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DAL LATINO AI VOLGARI ROMANZI:

LA VARIAZIONE DIATOPICA/DIACRONICA NEL LESSICO

Riferimenti bibliografici
DAF A. J. Greimas, Dictionnaire de l’ancien français, Paris, Larousse, 1979, 2004.
DEAF O. Bloch et W. von Wartburg, Dictionnaire étymologique de la langue française,
Paris, P.U.F., 19685.
DELI Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana,
Bologna, Zanichelli, 5 voll. 1979-1988.
DLaIt F. Calonghi, Dizionario latino-italiano, Torino, Rosenberg & Sellier, 1950.
DLI G. Devoto, G.C. Oli, Il dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier,
1990.
Renzi 1985 L. Renzi (con la collaborazione di G. Salvi), Nuova introduzione alla filologia
romanza, Bologna, il Mulino, 1985 (19872).
REW W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 3. voll-ständig
neubearbeitete Auflage, Heidelberg, Winter, 1935.
Tagliavini 1972 C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna, Pàtron, 19723.
Väänänen 1982 V. Väänänen, Introduzione al latino volgare (1963), trad. it., Bologna,
Pàtron, 1982.
1

Le quattro “norme areali”


(Matteo Bartoli e Giuseppe Vidossi, Lineamenti di linguistica spaziale, Milano, «Le
lingue estere», 1923, cap. III; M. Bartoli, Saggi di linguistica spaziale, Torino, Rosenberg
& Sellier, 1945 – sintesi in Renzi 1985, pp. 65-67.)
NORMA I – «La forma linguistica dell’area meno esposta alle comunicazioni è la più
antica» [vedi il caso di “domani”].
NORMA II – «Se delle aree periferiche lontane tra di loro presentano una forma
linguistica e l’area centrale compatta ne presenta un’altra, la prima è più antica» [vedi
il caso di “mangiare”, “parlare”].
NORMA III – «L’area che presenta una maggiore estensione geografica è la più antica»
[vedi il caso di barba in “zio”].
NORMA IV – «L’area raggiunta più tardi da una lingua (“area seriore” conserva una
forma più antica che non il centro stesso».
[sulla dialettica culturale tra centro e periferia vd.
http://www.youtube.com/watch?v=x8laVPiScp8 ]
(a) CONSERVAZIONE LESSICALE

(1) “fumo”
(REW, n. 3572)
lat. FUMU(M)
pg. fumo
sp. humo
cat. fum
prov. fum
fr. fum
eng. füm
friul. fum
it./tosc. fumo
sd. fumu
rum. fum

2
(b) SOSTITUZIONE LESSICALE

(2) “baciare”: una forma panromanza.


lat. OSCŬLU(M) < OS / OREM ‘faccia, bocca’ (diminutivo: ‘boccuccia’ → ‘bacio’
[DLaIt, s.v.], come AVUNCŬLU(M) < AVUS)
OS / OREM manca in REW, p. 501:
(a) le lingue romanze l’hanno sostituito con BŬCCA ‘guancia, gota’ / ‘chiaccherone’
[DLaIt, s.v.]:
(REW, n. 1357)
pg. boca
sp. boca
cat. boca
prov. boca
fr. bouche
eng. buoká
friul. buk’e
it./tosc. bocca
sd. bukka
rum. gură [< lat. GŬLA [REW, n. 3910] > it. gola]
(b) gli esiti italiani (e i corrispondenti nelle lingue romanze) orale, oralità sono parole
di origine colta, modellate sul latino, e usati (il secondo più del primo) in ambiti 3
specialistici. A maggior ragione tutto questo vale per gli esiti di OSCULU(M), lemma
assente in REW, p. 501: osculazione ‘in matematica, contatto di ordine superiore al
primo, ossia almeno tripunto, tra due curve’, osculare ‘di enti matematici, realizzare
un’osculazione’, osculatore ‘in matematica, che ha molteplicità di intersezione non
inferiore a tre con una curva, una superficie, ecc., in un suo punto’ (DLI, s.vv.).
«[…] un antico costume, che i romani definivano ius osculi: ai parenti più stretti della
donna spettava il diritto, ovviamente negato agli estranei, di salutarla con un bacio.
Così, di solito, il ‘diritto di bacio’ viene interpretato: come il diritto di manifestare
affetto in forme usualmente non consentite tra persone di sesso diverso. Ma in
realtà – le fonti sono esplicite in proposito – la funzione del ius osculi era diversa: era,
più precisamente, quella di controllare, baciandola, che la donna non avesse bevuto.»
[E. Cantarella, Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Milano, Feltrinelli,
1996, p. 63]
lat. BASIU(M) / BASIA
(REW, n. 976)
pg. beijo
sp. beso
cat. bes
prov. bais
fr. baiser / bisou
it./tosc. bacio
sd./log. bazu
rum. sărut, pupic
«Lat. bāsium, di prob[abile] orig[ine] celt[ica], noto per la prima volta, assieme a
bāsiare, attraverso il veronese Catullo e presto entrato nella lingua pop[olare] […]»
(DELI, I, p. 101, s.v.). Sul territorio veronese, abitato da popolazioni celtiche (Galli
Cenomani) e venete, nel 174 a.C. fu costruito un castrum romano; nel 49 a.C. Cesare
concesse alla città lo statuto di municipium e agli abitanti la cittadinanza romana
(come a tutta la provincia di Gallia cisalpina, che divenne territorio integrato
nell’Italia romana nel 42 a.C.).
DLaIt attesta esempi in Catullo (87-57 a.C.), Fedro (20 a.C.-51 d.C.), Petronio (27-
66 a.C.).

C. Valerio Catullo 4
V.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus Viviamo, mia Lesbia, e amiamo
rumoresque senum severiorum e ogni mormorio perfido dei vecchi
omnes unius aestimemus assis. valga per noi la più vile moneta.
Soles occidere et redire possunt: Il giorno può morire e poi risorgere,
nobis, cum semel occidit brevis lux, ma quando muore il nostro breve giorno,
nox est perpetua una dormienda. una notte infinita dormiremo.
Da mi basia mille, deinde centum, Tu dammi mille baci, e quindi cento,
dein mille altera, dein secunda centum, poi dammene altri mille, e quindi cento,
deinde usque altera mille, deinde centum. quindi mille continui, e quindi cento.
Dein, cum milia multa fecerimus, E quando poi saranno mille e mille
conturbabimus illa ne sciamus, nasconderemo il loro vero numero,
aut nequis malus invidere possit, che non getti il malocchio l'invidioso
cum tantum sciat esse basiorum per un numero di baci così alto.

trad. di S. Quasimodo: Catullo, Canti,


Milano, Mondadori, 1955 (1976)
(3) “cavallo” / “cavalla”: varietà di esiti tra masch. e femm.
3a. EQUUS ‘cavallo’ (voce i.e.: vd. gr. íppos etc.) non ha voce in REW, p. 256, perché
il lemma non è stato conservato in nessuna lingua romanza (per cui equestre,
equitazione, equino ecc. sono tutte voci colte, di origine latina).
I volgari neolatini continuano CABALLU(M):
(REW, n. 1440)
pg. cavalo
sp. caballo
cat. cavall
prov. cavalh
fr. cheval
lad. čaval
friul. k’aval
it./tosc. cavallo
sd./log. kaďďu
rum. cal
CABALLU(M) compare nel II sec. a.C., «usato specialmente per indicare il cavallo da
tiro e da lavoro», e connotato in senso peggiorativo sia nel merito (indicava il
castrone) sia nel registro stilistico (i grammatici «ci dicono che era voce della lingua
popolare») [Tagliavini 1972, p. 221].
3b. EQUA ‘cavalla’ ha avuto maggior fortuna, essendo attestato in:
(REW, n. 2883) 5
pg. égua
sp. yegua
cat. egua, egoa
a.prov. ega
a.fr. ive, yegue, esgue, eque (XI-XIII sec.)
sd./log. ebba
rum. iapă
Il fr. mod. jument (> it. giumenta: vd. DELI, II, p. 502 s.v.) nasce dall’a.fr. jument
‘animale da soma’ (< IUMENTU(M), medesimo significato: un sost. deverbale da
IUNGO: cfr. IUGUM ‘giogo’), specializzatosi poi con valenza equina (XIII sec.: dal
1314 è attestato jumente), e sostituì ive, che aveva un corpo fonico più gracile (vd.
DEAF, p. 353 s.v., e DAF, p. 326 s.v.).
CABALLA è attestata in:
(REW, n. 1437)
prov. cavala (fr. cavale, lemma colto)
it./tosc. cavalla
pg. cavala ‘sgombro’
sp. caballa ‘sgombro’
(4) “orto” / “giardino”: lemmi nuovi per oggetti nuovi.
Il lt. HORTUS (<i.e. *GHER- ‘recinto’: cfr. gr. chórtos) designava ogni luogo recintato, e
indicava part. appezzamenti che fungevano al contempo da ‘orto’ (utile) e da
‘giardino’ (estetica) (DELI, IV, p. 848 s.v.). La sua conservazione nelle lingue
romanze sconta una riduzione semantica alla sola funzione utilitaria.
(REW, n. 4194)
pg. horto
sp. huerto
cat. ort
prov. ort
a.fr. ort
lad. üert
it./tosc. orto
sd./log. ortu
L’a.fr. ort ha lasciato il posto al mod. jardin potager (potager è denominale da potage <
pot, lemma di origine basso-tedesca, indicante la scodella, o i recipienti in terracotta
usati per la cottura: potage è ‘quello che si cuoce/mette’ in un pot [vd. DELF, p. 501
s.v. pot]).
Jardin (< francone GARDO: cfr. ingl. garden, ted. Garten) è il lemma (derivato dal
francese*) a cui le lingue romanze – per ragioni di sociologia culturale: l’imitazione
dello ‘stile di vita’ dell’aristocrazia feudale – hanno attribuito la funzione ‘estetica’
degli spazi naturali recintati: 6
(REW, n. 3684)
fr. jardin
prov. gardí
pg. jardim
sp. jardin
cat. jardí
it. giardino
*Si tratta di un francesismo (cioè di un lemma ‘importato’ dal francese) perché solo
in a.fr. (> fr. mod.) /GA-/ > /dзa/- o / dзa/: vd. GALLINA > prov. galina, pg.
galinha, sp. e it. gallina vs a.fr. geline (oggi poule).
(5) “zio”: distribuzione areale di un’innovazione.
Le occorrenze romanze della nozione ‘fratello del(la) padre / madre’ dipendono da
tre basi distinte:
(a) AVUNCULU(M) (< AVUS, ‘zio materno’ vs PATRUUS ‘zio paterno’ [DLaIt, s.v.]):
(REW, n. 838)
cat. oncle
prov. oncle
fr. oncle
rum. unchiu
(b) THIUS (< gr. theîos ‘zio paterno/materno’):
(REW, n. 8709)
pg. tío
sp. tío
cat. tío
it./tosc. zio
it./sic. zu
sd./log. tiu
(c) BARBA (lt. med. barba, lemma attestato nell’XI sec., derivato da una
specializzazione semantica di BARBA ‘barba (d’uomo) = uomo autorevole’, e poi
diffuso dai Longobardi anche nell’Italia CS, e non derivato da un lemma germanico
origine del ted. pop, mod. Base ‘zia / cugina’. Cfr. DELI, I, pp. 113-114 s.v.):
pm. barbo, barba 7
lig. barba, barbàn
tic. baba
lomb. barbo, barba
em. barba
ven. barba
friul. barbe
Si tratta di una di quelle innovazioni lessicali che «[…] non giungono a diffondersi
per tutto il territorio, o non h[a] avuto sufficiente forza, o [è] partit[a] troppo tardi
per raggiungere le zone più lontane. […] Sono certamente innovazioni che si
irradiano dal Sud e dall’Est quelle dei continuatori di thius […] contro quelli di
avŭnculus […]» [Tagliavini 1972, p. 228].
(6) “parlare”: distribuzione areale di innovazioni.
(a) Il verbo lat. dal significato neutro ‘parlare’, LOQUOR / LOQUI (verbo deponente),
non ha attestazione in REW, p. 415 (in tutte le lingue romanze gli equivalenti a
loquela / locuzione, eloquente / eloquenza, interloquire ecc. sono lemmi di origine colta e
scritta, dei latinismi).
(b) Verbo connotante (attestato tra I sec. a.C. e II d.C. in Plauto, Terenzio, Livio,
Svetonio [m. 126 d.C.]) è FABŬLOR / FABŬLARI (anch’esso deponente),
‘chiaccherare, cianciare, inventare → mentire’: < FABŬLA (è quindi un verbo
denominale), ‘narrazione di invenzione → storiella, bugia, leggenda, apologo, testo
teatrale’ (< FOR /FARI, ‘pronunciare un discorso’ = gr. phēmí). Vd. DLaIt, s.v.
Il verbo è attestato nelle lingue romanze, non nella forma deponente ma in quella
attiva, FABŬLARE:
(REW, n. 3125)
1. con significato non connotato (= denotato): ‘parlare’
pg. falar
sp. hablar
2. con significato connotato: ‘raccontare storie’
a.fr. fabler
a.it. favolare
(c) Per denotare il sema ‘parlare’ le altre lingue romanze occidentali – escludo rum.
vorbi – attestano un altro verbo latino, PARABŎLARE:
8
(REW, n. 6222)
cat. parlar
prov. paraular
fr. parler
it. parlare
(sono francesismi lo sp. parlar e il pg. palrar)
PARABŎLARE < PARABŎLA / PARABŎLE < gr. parabolé. PARABŎLA / PARABŎLE ha,
secondo DLaIt, s.v., due significati: (1) retorico e precristiano: ‘paragone,
similitudine’; (2) cristiano: ‘parola rivelata, parabola’ (‘traduzione’ in gr./lat. dell’ebr.
mashal).
Il significato (2) si attesta nella Scrittura: vedi p.s. Matteo, 13,8 Vos ergo auditis
parabolam seminantis / «Voi dunque intendete la parabola del seminatore»; il
significato connotato si trasforma nel Tardo Antico e nell’Alto Medioevo latino in
significato denotato: ‘parola rivelata, parabola’ → ‘parola’, per cui in rustica parabola
significa ‘in lingua volgare’ (cit. in Väänänen 1982, § 166). La stessa dinamica
coinvolge il verbo PARABŎLARE: che in origine è un verbo connotante, che nell’uso
corrente e diffuso (e non specifico) è utilizzato per un significato denotato.
Perché FABŬLARE e PARABŎLARE sostituiscono LOQUI? (1) perché essi «hanno un
significato più concreto e […] [una] forma più corposa», e (2) perché «loqui era poco
popolare a causa della sua coniugazione deponente» (Väänänen 1982, §§ 143 e 144:
Accade a LOQUI quello che accade a FERRE ‘portare’, sostituito da PORTARE).
(7) “mangiare”: l’area marginale ha attestazioni più arcaiche.
I testi letterari fra i secoli II a.C. e II. d.C. (Terenzio, Cicerone, Ovidio, fino a Seneca
e Svetonio) attestano:
(a) come verbo denotante (1) EDO, EDĔRE / ESSE, «verbo irregolare e senza volume»
(Väänänen 1982, § 142: vd. DLaIt, s.v.); (2) il composto COMEDĔRE, dalla
morfologia regolare – oltre all’infinito, cfr. pres. ind. 2sg. comedis vs es (vd. DLaIt,
s.v.).
(b) come verbo connotante MANDŪCO, MANDŪCĀRE ‘masticare, rimpinzarsi’ (vd.
DLaIt, s.v.), attestato come antico in Varrone (n. 116 a.C.): «in origine era usato solo
dagli autori comici e satirici, ma alla fine dell’epoca repubblicana era diffuso anche
nella lingua della buona società, talché Augusto stesso ne faceva uso (cfr. Svetonio,
Aug., 76)» (Tagliavini 1972, p. 229).
EDĔRE / ESSE non ha attestazione in REW, p. 253. Continuano COMEDĔRE:
(REW, n. 2077)
pg. comer
sp. comer
Continuano MANDŪCĀRE:
(REW, n. 5292)
a.cat. manugar
cat. menjar
prov. mangar
fr. manger (> pg. manjar) 9
lad./eng. manğer
a.it. manducare, manicare
it./tosc. mangiare
sd./log. man(d)igare
rum. mînca
(8) “domani”: l’area marginale ha attestazioni più arcaiche.
Il lat. CRAS si conserva in:
(REW, n. 2296)
sd./log. kraz
it.S krai
a.pg. cras
a.sp. cras
La perifrasi avverbiale DE MANE ( A MANE: sost. neutr. indecl. [DLaIt, s.v.]) è alla
base delle forme nelle altre lingue romanze:
(REW, n. 2548)
cat. demá
prov. demá
fr. demain → lendemain
eng. damaun
friul. doman
it./tosc.domani (ant. dimani)
rum. mâine [vd. dimineaţă (mattino)]
sp. mañana e pg. amanhã derivano da *MANEANA, sviluppo di MANE ‘mattino’ (REW,
n. 5295).

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(9) Distribuzione areale dei fenomeni morfosintattici: il comparativo.
(Väänänen 1982, §§ 259-260)
Il grado comparativo in latino si esprime:
(a1) in forma sintetica, per innesto del suffisso *-[JOS]- > -[JOR]- sulla base dell’agg.:
FORTE(M) ‘forte’ → FORTIORE(M) < *FORTIOSEM;
(a2) in forma analitica, ricorrendo all’avverbio MAGIS (< MAGNUS): (α) se gli agg.
hanno un tema in vocale (arduus → magis arduus; dubius → magis dubius; ecc.); (β) per
esprimere enfasi o opposizione: magis disertus quam sapiens / «più parlatore che
saggio»;
(a3) nella lingua teatrale e in quella tecnica (Plauto, Vitruvio) si attestano in epoca
pre-medievale, accanto alla forma magis argutum, la forma plus miser. L’uso di PLŪS –
che mostra interferenze con l’uso greco di polýs – diventa forma corrente «in epoca
imperiale, soprattutto a partire da Tertulliano» (155ca.-230: scrittore cristiano di
origine africana).
Nelle lingue romanze:
il tipo (a1) si conserva in pochissimi aggettivi: vd. l’it. buono → migliore, cattivo
→ peggiore, grande → maggiore, piccolo → minore ecc.
il tipo (a2) MAGIS è attestato nelle aree marginali E e O (REW, n. 5228): pg.
mais forte, sp. más fuerte, cat. més fort, rum. mai foarte;
11
il tipo (a3) PLŪS è attestato in un’area centrale (REW, n. 6618): fr. plus fort,
prov. plus fort, eng. plus fort, it./tosc. più forte, sd./log. prus forte.

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