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IL SOLCO DI SANT'ISIDORO

A FASTELLO:
UNA RICERCA FOLCLORICO-LINGUISTICA
TRA IL LAGO DI BOLSENA E IL TEVERE
Flavio Frezza

"Quaderni dell'Ecomuseo della Tuscia"


Nr. 1 - 2012-11
INDICE

PREMESSA 2

SIMBOLI ED ABBREVIAZIONI 4

NOTE SUL DIALETTO 5

IL SOLCO DI SANT'ISIDORO 9

1. Cenni storico-ambientali 9
2. La "bbifulcina" 11
3. Il culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore 14
4. La gara del solco dritto 19
5. Conclusioni 25

REPERTORI LINGUISTICI 29

Glossario dialettale 29
Nomi imposti ai bovini 58
Antroponimia 58
Toponomastica 60

BIBLIOGRAFIA 63
PREMESSA

Apartire dall'estate del 2008, nell'ambito di un più ampio progetto


di documentazione dei dialetti e delle tradizioni popolari della Teverina
viterbese - ossia della porzione della nostra provincia compresa tra
il versante orientale dei Monti Volsini ed il fiume Tevere - , ho avviato
un'inchiesta nella piccola borgata di Fastello, nel territorio comunale di
Viterbo, allo scopo di documentare quanto rimaneva nei ricordi della
popolazione della tracciatura del solco dritto o "solco di Sant'Isidoro",
dando grande rilievo agli aspetti linguistici - e, in particolare, lessicali
- connessi alla manifestazione dei bifolchi fastellesi. L'indagine si è
conclusa nella primavera del 2012, alla vigilia dei festeggiamenti dedicati
a Sant'Isidoro l'Agricoltore, protettore dei contadini e patrono della
frazione viterbese.
La stesura del presente lavoro è stata possibile, innanzitutto, grazie
alla collaborazione di alcuni informatori - nati e residenti a Fastello o
nelle campagne contigue, nel territorio di Celleno - , elencati in ordine
anagrafico (sono state contrassegnate con asterisco le fonti intervistate a
più riprese): Silvio Mecocci* (1920), Adele Ceccobelli detta Ièlla* (1923),
Giuseppe Bellacima detto Pèppe Fao (1923), Adalgisa Ricci detta Argisa
(1926), Donato Paladino* (poeta dialettale ed ultimo partecipante alla gara
del solco dritto; 1929), Erina Mecocci (1930), Angelica Paladino (1933),
Maria Nasoni detta Manétta (1934), Filippo Nasoni detto Pippo (1935),
Ivana Scoponi (1939), Giovina Ercolani* (1941), Siro Mecocci (1942),
Teresa Ranucci (1945), Innocenzo Ranucci* (1945), Teodora Turchetti*
(1947), Cesarina Ranucci (1952). Un sincero ringraziamento va anche
alla sig.ra Michela Fersini ed a quanti hanno preferito rimanere anonimi.
Tra le persone che hanno collaborato mi piace ricordare, in particolare,
l'intera famiglia di Innocenzo Ranucci, sia per la grande disponibilità che
per aver favorito la cooperazione di altri cittadini fastellesi, agevolando, in
tal modo, l'attività del ricercatore, che - pur essendo nato da una famiglia
originaria di un centro limitrofo (Grotte Santo Stefano) - aveva scarsa
confidenza con la comunità locale e rischiava pertanto di essere visto
come un "elemento intrusivo" o "di disturbo".

2
Vorrei ringraziare, inoltre, chiunque abbia fornito informazioni
e materiali utili, in qualche caso inediti, ovvero, in ordine sparso: don
Roberto Bracaccini, Giancarlo Breccola, padre Rinaldo Cordovani e,
in particolare, Pamela Mecocci, per aver realizzato i disegni tecnici ed
avermi comunicato utili informazioni sulla chiesa di Sant'Isidoro, frutto
delle sue ricerche. La mia gratitudine va poi a Luigi Cimarra, per i continui
e preziosi suggerimenti e per l'aiuto nella correzione delle bozze. Sono
altresì grato, per i medesimi motivi (e per la pazienza dimostratami!), ad
Enrica Ciorba. Per la revisione delle bozze ringrazio anche Elisa Frezza,
mia sorella.
Meritano una menzione a parte il Comitato Festeggiamenti
Sant'Isidoro (Fastello) e l'Ass. cult. "Ecomuseo della Tuscia" (Grotte
Santo Stefano) per aver creduto nell'importanza della ricerca e per avermi
dato la possibilità materiale di mandarne i risultati alle stampe.
Per ragioni di spazio, si è purtroppo dovuto rinunciare a riprodurre
ampia parte del materiale fotografico ed iconografico raccolto. L'immagine
di copertina proviene dall'archivio personale della sig.ra Giovina Ercolani
e ritrae il villano Armando Ercolani con un paio di vacche maremmane
aggiogate, in loc. Ferrata, alla fine degli anni '30. In quarta di copertina
è riprodotto il dipinto dedicato al santo padrono, di recente fattura,
esposto all'interno della chiesa parrocchiale. La fotografia della chiesa di
Sant'Isidoro (p. 17) è stata fornita da padre Rinaldo Cordovani. Il progetto
grafico è del ricercatore. Per le operazioni di fotoritocco si ringrazia Cesare
Fanti.
Un pensiero, infine, va a mia nonna Clementina Pezzato detta Nina
(1920-2009) - originaria di Montefiascone ma per molti anni residente in
loc. Montanciano, a pochi chilometri da Fastello - , che per prima, ed in
ripetute occasioni, mi ha parlato del "solco di Sant'Isidoro", bella ed antica
tradizione fastellese che ho avvertito l'urgenza di documentare, prima che
il tempo ed i sempre più rapidi ed incisivi processi di globalizzazione ed
omologazione culturale ne cancellassero definitivamente ogni traccia.

L'autore

3
SIMBOLI ED ABBREVIAZIONI

accr. accrescitivo pi. plurale


agg- aggettivo pres. presente
ant. antiquato (v. in via di disuso) pron. pronominale
antifr. antifrastico prov. proverbio
antr. antroponimo top. toponimo
are. arcaico (v. desueta) tr. transitivo
cfr. confronta raro v. di scarso impiego
CH chiosa dell'informatore ree. recente (v. di ree. introduzione)
civ. civile (v. del registro formale) recipr. reciproco
cogn. cognome rif. riferito
coli. collettivo rifl. riflessivo
corri. comune rust. rustico (v. in uso nelle campagne)
d. detto s. sotto
descr. descrizione sec. secolo
dispr. dispregiativo s.f. sostantivo femminile
dist. distanza s.l.m. sul livello del mare
f. femminile s.m. sostantivo maschile
fam. famiglia; famigliare sopr. soprannome
fig. figurato SP Strada Provinciale
fraz. frazione SR Strada Regionale
gloss. glossario SS Strada Statale
ibid. ibidem sopr. soprannome
id. idem top. toponimo
impers. impersonale tr. transitivo
impf. imperfetto v. voce; verbo
imprec. imprecazione vd. vedi
ind. indicativo well. wellerismo
inter. interiezione
intr. intransitivo ? può segnalare un dubbio
ipocor. ipocoristico del raccoglitore.
kg chilogrammo / scansione di versi.
km chilometro 1 separa i singoli contesti linguistici
loc. località e gli elementi della fraseologia.
m metro; maschile II separa funzioni grammaticali,
mt metro alterati, locuzioni, proverbi, ecc.
m2 metro quadrato : —• rinvio a variante fonetica
n.pr. nome proprio o formale.
P- participio 0 racchiude termini scientifici
par. paragone di flora e fauna, chiose esplicative
pass. passato del curatore, abbreviazioni.
pegg- peggiorativo [] contiene integrazioni al testo
perf. perfetto fornito dall'informatore.
4
NOTE SUL DIALETTO

Data la rilevanza che assume, nel presente studio, il piano linguistico,


occorre almeno far cenno alle principali caratteristiche della parlata locale,
piuttosto conservativa e, fino a questo momento, del tutto inedita, se si fa
eccezione per le poesie di Donato Paladino1 e per alcuni brevi testi narrativi2,
relativi alle questue effettuate in occasione dell'Epifania, alla gara del solco
dritto ed al culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore3.
Il vernacolo di Fastello appartiene al gruppo dei dialetti mediani,
che include le parlate in uso nel Lazio, in Umbria ed in parte delle Marche
e dell'Abruzzo. Si hanno, quindi, fenomeni quali l'apocope o troncamento
dei verbi all'infinito (mógna "mungere", simentà) e l'assimilazione di alcuni
gruppi consonantici (<commatte "impegnarsi in un lavoro" lett. "combattere",
róppe "dissodare" lett. "rompere", stennardo).
Si segnala, poi, come il dialetto locale si adegui, in genere, alle
condizioni attestate nell'Orvietano, sulla sponda orientale del lago di Bolsena
e, in minor misura, nel capoluogo. Sono infatti presenti la trasformazione
sistematica di i finale in e (le bbifólce / le bbifólche "i bifolchi", domae
"domavi", mettìe "mettevi"), l'instabilità delle vocali atone (addomàono
"domavano", ugnìimo "ungevamo", bbùfolo "bufalo", cummessióne
"commissione", mòrghine / mòrgane "erpice a dischi Morgan") e la caduta
di d iniziale in certe strutture sintattiche (/ timóne e "di" légno, iròcchjo e
la "della" zzappa). Si registrano, inoltre, il pronome le "lo" "li" "la" "le"
(nòe le "lo" chjamamo l céppo) e la preposizione ma "a" "in" (ma le bbòa
"ai buoi", ma le maése "nelle maggesi"), accanto agli avverbi di luogo in
me- (meqquì "qui", mellì / meli "lì").
Un tratto interessante è costituito dalla quasi totale assenza di
rotacismo, ovvero della trasformazione l > r, come avviene nel romanesco
i sórdi "i soldi" "il denaro". A Fastello si ha, di norma, il mantenimento di
l (le sòlde, l zólco "il solco", la cultrina), comune, secondo gli informatori,
alla parlata arcaica4.
1) Paladino 2009.
2) Frezza 2009.
3) Sufficientemente documentato è invece il dialetto del contiguo centro di Montefiascone, già
oggetto delle inchieste dell'Atlante linguistico italo-svizzero (AIS) e dell'Atlante linguistico
italiano (ALI, in corso di pubblicazione); la località volsina è stata inoltre prescelta, insieme ad
Acquapendente, tra i punti d'indagine del vocabolario dialettale dell'Orvietano (M&U 1992).
4) Sono però attestate alcune voci rotacizzate (accramà, bbìfórco e, tra vocali, vòre "vuole"
e Muntìsere "Montisola"), che rimangono pur sempre in netta minoranza rispetto alle forme
in /. La situazione di Fastello non appare, tuttavia, isolata, poiché trova abbondanti riscontri
nella parlata di Grotte Santo Stefano (cfr. acclama, i sòldi, l zólco, i bbifólci, la cultrina).
Per quanto riguarda il sistema di trascrizione utilizzato, si è avuta
cura di presentare i materiali in modo tale da renderli contemporaneamente
comprensibili al pubblico non specializzato (in primis alla comunità
locale) ed utilizzabili dagli studiosi delle discipline linguistiche. La parti
in vernacolo sono state trascritte utilizzando il carattere corsivo e facendo
in modo di rappresentare almeno le principali caratteristiche fonetiche. I
caratteri utilizzati corrispondono, di norma, a quelli della lingua standard,
salvo alcuni accorgimenti.
L'accento grafico grave, che compare sulle vocali à, ì, it, ha
esclusivamente valore tonico, mentre, per indicarne la qualità, l'accento
grave è segnalato sulle vocali toniche aperte (è, ò) e quello acuto sulle chiuse
(é, ó), come in bbèstìa, érpece, ólmo "ólmo" e hbifólco. L'accento è indicato
sulle parole tronche, sdrucciole e bisdrucciole; compare su quelle piane per
distinguere il grado di apertura della vocale tonica soltanto se si tratta di una
e o di una o.
Per quanto concerne le consonanti, l'occlusiva prevelare sorda
davanti ad i semivocalica si rende con il trigramma chj + vocale (chjèsa),
mentre la corrispondente sonora è resa con ghj + vocale {preghièra).
L'occlusiva bilabiale sonora b è realizzata generalmente come
intensa, sia dopo silenzio che tra vocali (bbòvo "bue", le bbòa "i buoi",
ròbba). Non mancano, tuttavia, forme in cui tale rafforzamento non ha luogo
(.bòvo, le bòa, ròba).
Interessante è pure la realizzazione debole dell'affricata
postalveopalatale sonora g o "g dolce" {intiligènte "intelligente"), a fronte
della più comune pronuncia intensa (ggiógo, deliggiri).
Il carattere i rappresenta l'affricata apicodentale sonora {garzóne,
zziènnà), come nell'italiano azienda o zona5.
La fricativa palatale sonora è resa con j. Occorre menzionare come
l'intensità di tale suono sia estremamente variabile: essa è generalmente
rafforzata tra vocali (fòjja "foglia", pajja "paglia"), ma può essere più o
meno debole in certe voci (paja,pajale). È altresì attestata la pronuncia forte
-gghj- (fògghja, pagghja), particolarmente frequente tra gli anziani.
Meritano almeno una menzione alcuni tratti che il sistema di
trascrizione adottato non consente di rappresentare. Oltre alla palatizzazione
di 5 prevocalica - che gode di ampia diffusione nella nostra provincia - si
segnala la frequente resa semisonora di s tra vocali, scarsamente documentata

Anche a Montefìascone, d'altronde, il rotacismo sarebbe penetrato, o almeno avrebbe


conosciuto un notevole incremento, in tempi non remoti (Dinam. 2002:62-63).
5) Si nota come tale sonorità appaia talvolta in luogo della sorda comunemente usata (pènzo
"penso", n zólco "un solco").
6
nell'area viterbese, ma in realtà presente sia intorno al lago di Bolsena che
nella Teverina.
La pronuncia di v tra vocali è generalmente debole e tende addirittura
alla scomparsa (j'acìa "faceva", ddu acche "due vacche", ri altra òlta
"volta").
Assai evidente è pure la spirantizzazione o "aspirazione" di k e / tra
vocali, che può giungere fino al completo dileguo nel corso di pronuncia
veloce (apito "capito", la cerrata e "che" cce se toccaa le bbòa).
La lenizione od indebolimento delle consonanti k, t e p tra vocali
o dopo altre consonanti (/, m, n) viene segnalata soltanto qualora conduca
alla sonorizzazione completa o pressoché totale delle stesse. Il fenomeno
consiste nella trasformazione di detti fonemi nei corrispondenti sonori (anghi
"anche", un gunfino "confine dei campo", arado "aratro", sand' Isidoro, una
biètra "pietra", m boderétto "un piccolo podere"). Non mancano casi in cui
si hanno contemporaneamente lenizione e spirantizzazione.
All'interno del saggio le forme dialettali appaiono, di norma, tra
parentesi, dopo le voci di lingua. Nel caso in cui siano state registrate più
varianti per lo stesso termine, ci si è limitati a riportare quella posta a lemma
nei "Repertori linguistici", a loro volta suddivisi in "Glossario dialettale",
"Nomi imposti ai bovini", "Antroponimia" e "Toponomastica"6.
Il glossario contiene voci relative ai settori semantici connessi alla
gara del solco dritto, ovvero l'allevamento bovino, l'aratura, la semina, le
parti del campo, la geomorfologia del territorio e le caratteristiche essenziali
della società contadina (figure sociali e rapporti economici). Non mancano
termini relativi al culto del santo patrono, ai relativi festeggiamenti ed alla
gara tra i bifolchi. Per quanto attiene la struttura del repertorio, si è seguito,
grossomodo, il modello della collana "Vocabolario dialettale della Tuscia
viterbese", alla quale, per evidenti ragioni di spazio, si è costretti a rimandare7.
6) Il nucleo di base dei repertori linguistici è costituito da termini, locuzioni e nomi propri
raccolti incidentalmente nel corso delle prime interviste, prevalentemente a carattere
folclorico. Sono stati effettuati, in seguito, ripetuti sopralluoghi nel corso dei quali si è
fatto uso, a mo' di promemoria (si è infatti preferito, in genere, impiegare la tecnica della
conversazione guidata), del questionario dell' Atlante Linguistico Italiano (vd. nota 3), anche
per favorire il confronto con le fonti edite. In alcuni casi si è fatto ricorso, con estrema
cautela, a domande semasiologiche, tenendo conto sia delle raccolte lessicali esistenti (vd.
note 3 e 7), che di un testo relativo alla medicina ed alla veterinaria popolare nella Teverina
(Amici 1992).
7) La collana, diretta dal prof. Francesco Petroselli, ha lo scopo di documentare
scientificamente le parlate di alcuni centri campione del Viterbese. Fino ad ora sono stati
pubblicati i volumi relativi a Viterbo (Petroselli 2009), Blera (Petroselli 2010) e Civita
Castellana (Cimarra 2010), mentre sono in fase preparatoria i vocabolari di Canepina e
Sant'Oreste (RM), a cura di Petroselli e del prof. Luigi Cimarra.
Ci si limita, quindi, a segnalare come il termine posto ad esponente (in
carattere neretto, tondo) rappresenti, di norma, la voce più conservativa, e sia
seguito dalle eventuali varianti formali (in carattere corsivo), le quali sono
altresì elencate in ordine alfabetico (in carattere neretto, tondo), con rimando
(: —•) al lemma principale. Seguono la classifica grammaticale (assente nelle
voci anche di lingua), la sezione semantica (con traduzioni o spiegazioni del
termine, in carattere tondo) e l'eventuale fraseologia (in corsivo), composta
da contesti d'uso, testi folclorici, ecc. Gli elementi fraseologici sono separati
da una barra verticale (|), mentre la doppia barra (||) precede le sezioni dedicate
ai proverbi od alle frasi fatte (modi di dire, paragoni liberi, ecc.) oppure
separa le diverse accezioni grammaticali o, in alternativa, introduce forme
d'interesse linguistico quali voci verbali (precedute dalla dicitura "Forme"),
plurali irregolari (id.) od eventuali forme alterate. La frequenza d'uso dei
termini è segnalata con le opportune indicazioni (in carattere tondo: "ant.",
"are.", "civ.", "raro", "ree.", "rust."), per le quali si rimanda alla sezione
dedicata ai simboli ed alle abbreviazioni8. Nel caso in cui, all'interno della
fraseologia, appaiano termini non immediatamente comprensibili, se ne
fornisce la traduzione od una spiegazione (in carattere tondo) al termine
della frase, dopo virgola, od all'interno della stessa, racchiusa tra virgolette
doppie {man "a" qualche bbèstia).
Per quanto riguarda le parti dedicate all'onomastica sono stati seguiti
criteri analoghi. La sezione "Nomi imposti ai bovini" contiene una lista di
nomi propri, soprattutto di bovini aratori. Nomi, ipocoristici e cognomi citati,
oltre ad alcuni soprannomi legati ai settori indagati (appellativi di bifolchi e
proprietari terrieri), sono invece stati inseriti nella sezione "Antroponimia";
ci è sembrato poi utile elencare anche soprannomi di "maghi" e guaritori, i cui
interventi erano richiesti nel caso in cui un animale domestico fosse malato
o fosse stato presumibilmente colpito da malocchio. La sezione intitolata
"Toponomastica" registra i nomi di luogo citati, dei quali, quando è stato
possibile, si è fornito il toponimo ufficiale insieme ad altre informazioni
utili, oltre ai riscontri con la cartografia militare e regionale, preceduti da
doppia barra verticale (||); qualora il nome di luogo non appaia nelle carte
consultate, si è provveduto almeno ad indicare il toponimo cartografato più
vicino.
8) Tali informazioni sono tuttavia indicative, poiché non è stata condotta, in tal senso,
un'indagine specifica. Si fa presente, poi, come le voci e le locuzioni raccolte nelle località di
campagna (situate nel territorio di Celleno, ma orbitanti intorno a Fastello), più conservative,
siano state segnalate come "rustiche" soltanto nel caso in cui non siano state registrate
anche nel centro urbano; questo non significa necessariamente che tali forme siano assenti
a Fastello, ma soltanto che gli informatori qui residenti non ne hanno fatto uso nel corso
dell'inchiesta.
8
IL SOLCO DI SANT'ISIDORO

Quid est agrum bene colerei bene arare;


quid secunduml arare;
quid tertìol stercorare

C a t o n e il vecchio,
De Agri cultura liber (LXX - 61,1)

1. Cenni storico-ambientali

Sul versante orientale dei Monti Volsini, a pochi chilometri dal


lago di Bolsena ed in prossimità della valle del Tevere, sorge la borgata di
Fastello (232 residenti, 430 m s.l.m.1), situata nel territorio comunale di
Viterbo (da cui dista 17,2 km), al confine con Montefiascone (dist.: 6 km)
e Celleno (dist.: 6,3 km).
Il territorio, prevalentemente collinare, è caratterizzato dalla
presenza di alcune sorgenti d'acqua {fontane) e di numerosi fossi, tributari
del torrente Rigo, affluente del Tevere. L'unica zona pianeggiante di una
certa estensione si trova immediatamente a nord dell'abitato, nel territorio
di Celleno. Sono qui ubicati i piccoli nuclei abitativi di Casa Salcione
(Salcióne) e Casa Strappaceci (Strappacéce), orbitanti intorno a Fastello
per motivi religiosi e, un tempo, didattici. Altre piccole borgate, site ad
est (/ Trìalóne, Fontanèlle) e ad ovest (le Bbugatte) dell'agglomerato
principale, costituiscono ormai un aggregato unico con quest'ultimo, in
seguito alla modesta espansione edilizia che ha avuto luogo a partire dal
secondo dopoguerra.
Si ignorano le origini del toponimo "Fastello", sebbene, secondo
qualcuno, il nome farebbe riferimento alla raccolta di fascine di legna
(fastelli) o, forse, ad una (ipotetica?) famiglia Fastella, che avrebbe avuto
possedimenti sul posto2.
1) Secondo gli ultimi dati disponibili (ISTAT 2001) i 232 residenti, suddivisi in 95 nuclei
familiari, vivono in 140 abitazioni, per un totale di 95 edifici. Occorrerebbe poi considerare
i numerosi immigrati che si sono trasferiti a Fastello, in pianta più o meno stabile, nel corso
dell'ultimo decennio: le case se só riempite tutte de forestière, quante ci n'erano IV hanno
acquistate tutte, nun è rimasta una casa lìbbera.
2) Il toponimo appare per la prima volta, secondo le fonti scritte che è stato possibile consultare,
nel 1819 (vd. nota seguente). Il nome di luogo viene talvolta preceduto, a Grotte Santo
Sul centro, che non sarebbe sorto prima del XVII sec.3, disponiamo
di scarse notizie storiche. Nelle vicinanze della frazione si trovano il sito
archeologico della città etrusco-romana di Ferento4 e la loc. Casal Fiorentino
- quest'ultima nel territorio di Bagnoregio (dist. del centro da Fastello:
16,2 km) - , dove un tempo sorgeva il villaggio di Castel Fiorentino5.
Nei dintorni del paese sono tuttora visibili delle grotte artificiali {gròtte),
scavate nel tufo, alcune delle quali sono state utilizzate fino a tempi non
remoti come abitazioni o come stalle.
Fino al 2007 Fastello ha fatto capo alla soppressa IX Circoscrizione
del Comune di Viterbo - con sede e servizi a Grotte Santo Stefano (dist.:
8,5 km) - e, in precedenza, alla delegazione comunale grottana6. Allo stato
Stefano, dall'articolo determinativo "il" (I Fastèllo), mentre lo stesso è assente nella parlata
locale. Si nota come, nel dialetto fastellese, un fascio d'erba o di legna non venga indicato
con il termine "fastello", ma con la voce anche di lingua "fascio": fa le fasce "preparare i
fasci d'erba per il foraggio"; ce sò ddìalètte, presémpio, per dire, a Ffastèllo dimo 1 fascio,
nói presémpio a Vvitèrbo dicono un fastèllo (ma il sostantivo manca in Petroselli 2009).
Cfr., nella vicina subarea orvietana, la seguente espressione: ggiùteme a ccarcà "aiutami a
caricare" sto fastèllo d'erbai (M&U 1992:17, s. aggiutà). Per le accezioni di fàscio nell'area
viterbese-orvietana, si rimanda alle fonti disponibili (Cimarra 2010:216, M&U 1992:188,
Petroselli 2009:284, Petroselli 2010:302). Cfr. anche i toponimi, attestati nel Lazio, di
Fascella, Fascia, Fascette e Fascianello, i quali farebbero riferimento ad appezzamenti di
terreno od ai covoni del grano (Conti 1984:154-155, s. Fascella). A Sarteano, in provincia di
Siena, cfr. il toponimo Fastelli, forse da "fastello" (Pieri 1969:389). Nel Senese, cfr. anche le
forme dialettali fastèllo "fastello" e fastèlli "grumetti di farina non ben sciolta nella cottura
o di pasta non lievitata nel pane" (Cagliaritano 1975:62). Per quanto riguarda la proposta
di derivazione del toponimo dal cognome Fastella, in assenza di documenti che sostengano
tale ipotesi, ci si limita a rilevare come questo sia attestato a Grotte di Castro, sul versante
opposto del lago di Bolsena.
3) La nascita dell'"agglomerato rurale" di Fastello sarebbe databile tra il XVII ed il XVIII sec.
(Romagnoli 2006:224). Le prime notizie che si sono potute rintracciare risalgono al 1819,
quando, secondo il Catasto Gregoriano, il territorio dei "Casali di Fastello", nel Comune
di Viterbo (Stato Pontificio), comprendeva 243 appezzamenti di terreno. La popolazione -
di cui si ignora la consistenza - usufruiva dei diritti d'uso civico - e, in particolare, delle
servitù di pascolo - che gravavano sui terreni dei Doria Pamphili e dei Sartori (http.7/www.
universitagrarie.org/doc/VT 188.pdf). Dieci anni più tardi, Fastello, "Frazione della Città di
Viterbo soggetta a quel Distretto, e Delegazione", nel territorio diocesano di Montefiascone,
contava 115 anime. La popolazione era destinata a rimanere pressoché invariata almeno fino
al 1861, quando era ridotta a "quasi 110 abitanti". Cfr. Indice 1829:82, Moroni 1861:234,
Palmieri 1857:18.
4) La città etrusco-romana di Ferento venne distrutta da viterbesi e cellenesi tra il 1170 e il
1172, in seguito ai ripetuti tentativi del Comune di Viterbo di estendere il proprio dominio
sino alla valle del Tevere.
5) 11 villaggio fortificato, alleato di Viterbo, venne distrutto dagli orvietani nel 1316 o 1317.
6) Nel 1928 il Comune di Grotte Santo Stefano venne soppresso ed il suo territorio (inclusivo
delle frazioni di Montecalvello e Vallebona) venne aggregato al capoluogo provinciale,
secondo le disposizioni del Regio Decreto 866 del 9 aprile, a firma di Benito Mussolini.
attuale la frazione risulta sprovvista di qualsiasi forma di rappresentanza
politica formale o di autonomia amministrativa. Si segnala, inoltre, una
notevole e perdurante carenza - quando non si tratti di totale assenza - di
servizi di tipo sanitario, didattico e commerciale7.
Si nota, inoltre, un elevato pendolarismo lavorativo (soprattutto in
direzione del capoluogo ed in particolare nel settore terziario)8, favorito
dalla rapidità con cui è possibile raggiungere i maggiori centri d'attrazione,
in contrasto con il relativo isolamento di cui ha sofferto il centro fino a
pochi decenni fa9.

2. La "bbifulcina"

Fino agii anni Cinquanta del secolo scorso la comunità fastellese


era composta quasi interamente da lavoratori della terra e la proprietà
A partire da quel momento il Comune di Viterbo individuò in Grotte e nel contiguo centro
di Magugnano (antica dipendenza ferentana passata sotto il dominio viterbese dopo la
distruzione della Splendidissima civitas) un'unica entità, denominata semplicemente
"Grotte Santo Stefano". Venne quindi istituita la "Delegazione Comunale di Grotte Santo
Stefano" - che comprendeva il territorio ex-comunale, Magugnano e le borgate di Fastello
e Pratoleva, già facenti parte del Comune di Viterbo - , poi soppressa in vista dell'istituzione
delle circoscrizioni comunali.
7) A parte un minimarket ed alcune aziende agricole, sono assenti attività economiche di
qualche rilievo. Mancano luoghi di socializzazione quali bar, circoli e centro anziani. La
gestione dell'ordine pubblico è affidata ai carabinieri di Grotte Santo Stefano. Sono assenti
sia un medico di base (per cui la popolazione deve fare riferimento a quelli in servizio a
Grotte) che una farmacia. La farmacia grottana gestisce però uno sportello in loco, con
apertura settimanale. Le scuole primarie (materne ed elementari) sono state chiuse negli ultimi
decenni del secolo scorso, dando luogo al pendolarismo scolastico verso Montefìascone e,
soltanto in piccola parte, verso Grotte ed il capoluogo. L'attuale cimitero è stato edificato nel
secondo dopoguerra; prima di allora i defunti venivano sepolti nel cimitero di Grotte e, in
precedenza, secondo alcuni, in quello di Celleno.
8) Data l'estrema difficoltà constatata nell'ottenere dati disaggregati da quelli del capoluogo
comunale, ci si è potuti affidare unicamente all'osservazione diretta ed alle testimonianze
della popolazione.
9) La strada provinciale Fastello (SP127) è stata aperta negli anni Sessanta del secolo scorso;
prima di allora i centri limitrofi potevano essere raggiunti soltanto percorrendo scomode
strade di campagna. La provinciale attraversa la borgata collegandola a Montefìascone - e,
quindi, alle strade Cassia (SR 2) ed Umbro-Casentinese (SS 71 ) - ed alla Teverina (SP 5), la
quale conduce al capoluogo, a Grotte (tramite la SP Grottana o SP 18), Celleno ed agli altri
centri della valle del Tevere. I più vicini caselli dell'Autostrada del Sole (Al) sono situati
ad Artigliano (26 km), Orvieto (33 km) ed Orte (37 km). I collegamenti col capoluogo sono
assicurati, inoltre, dalle linee degli autobus di Francigena s.r.l. e Cotral s.p.a. Si menziona,
poi, la linea ferroviaria Viterbo-Attigliano, inaugurata nel 1886, un tempo raggiungibile
grazie alla soppressa fermata di Celleno, ed attualmente tramite le stazioni di Grotte e di
Zepponami (fraz. di Montefìascone).
terriera - costituita soprattutto da piccoli appezzamenti - era scarsamente
diffusa. Un sistema di conduzione del terreno piuttosto comune era quello
della mezzadria (a mmèzzo)10, nato nel basso medioevo nel contesto
dell'economia feudale e scomparso soltanto di recente". Ampia parte della
popolazione era dedita, poi, al lavoro fìsso (a ggarzóne) o a giornata (a
ggiornada, a òpra) nelle aziende agricole (lezziènne) dei grandi proprietari
terrieri {lepatròne, le patronale, le propietàrie, le signóre), alcuni dei quali
{le Calistre, le Tassònie) risiedevano nei centri limitrofi.
Nell'ambito della variegata società contadina12, assumeva
particolare rilevanza la figura del bifolco (/ bifólco o, più raramente,
/ biforco). Come è noto, nel tempo, il termine ha assunto una valenza
negativa, come sinonimo di "grossolano, rozzo, maleducato"13, ed inoltre i
bifolchi {le bbifólce) sono stati, loro malgrado, stigmatizzati duramente da
una serie di detti proverbiali o blasoni popolari a sfondo sociale14. Malgrado
ciò, il bifolco godeva di un certo prestigio {parìa "sembrava" na còsa più
speciale), sia per la buona retribuzione rispetto agli altri agricoltori, che
per il diritto - acquisito grazie alle lotte della corporazione di categoria,
detta "società dei boattieri" od "arte bifolcina" - di godere della domenica
festiva (facìa fèsta), allora sconosciuta alla maggior parte dei lavoratori (/
bifólco èra m pò più Uìbbero).
Il bifolco era, inoltre, un operaio specializzato in grado di adempiere
ad alcune funzioni di capitale importanza: il suo mestiere {la bbifulcina)
10) Secondo questo tipo di contratto agricolo il mezzadro (cuntadino, mezzatro, sòccio,
poderante), al quale era affidato il podere, doveva corrispondere metà dei frutti del proprio
lavoro al proprietario terriero (facéino a mmèzzo), detto concedente.
11 ) La legge 15 settembre 1964, n. 756, vietò, a partire dal 23 settembre 1974, la stipulazione
di nuovi contratti di mezzadria, colonia parziaria o soccida. La legge 3 maggio 1982, n.
203, imponeva invece la trasformazione di quelli esistenti in contratti di affitto a coltivatore
diretto, dietro richiesta di una sola delle due parti.
12) Cfr., nel glossario, le seguenti figure (alcune delle quali già citate): agricultóre, bbifólco,
bbifolchétto (s. bbifólco), bbiscino, bbùttoro, capòccia, capuccétta, capuèziènda, caséngo,
cavallaro, cotecaro (dispr. per capòccia), crostino, cuntadino, fattóre, garzóne (ed il coli.
garzonamé), ggiornataro, guardiano, guidarèllo, mezzatro, muccaro, operajjo, sòccio,
Pecoraro, poderante, porcaro, simentarèllo, tratturista, vaccaro, vergaro, villano. Alcuni di
questi termini sono, tuttavia, sostanzialmente sinonimi. Si nota, poi, come in una comunità
ristretta come quella di Fastello la distinzione tra le varie figure dipendesse, talvolta, dal
contesto pratico, poiché, per limitarci al caso più frequente, anche un piccolo proprietario
terriero poteva prestarsi, a seconda dei propri bisogni, a fornire prestazioni lavorative a
giornata (nun ce campae sul tuo "con la tua proprietà terriera", toccava annà a òpra).
13) Cfr. i significati traslati di bbifórco (bbifórgo a Civita Castellana) in: Cimarra 2010:53,
M&U 1992:73, Petroselli 2009:181, Petroselli 2010:126.
14) Cfr. Tuscania: peffàn omo bbravo, / ce vònno tré bbifórchi, e m pecoraro (Provtus. :4905).

12
la cenata

3S23! -

l puncicarèllo l màneco
/ "
la sterratóra

l giógo

II'arato

Gli strumenti da lavoro del bifolco (illustrazioni di Pamela Mecocci).


includeva, infatti, la cura e la doma dei bovini (le bbèstie, le bbòa "i buoi",
le vaccine), l'aratura (lavorò la tèrra), la semina (simentà, ree, siminà)
e, nel caso dei bifolchi più abili, la fabbricazione delle parti di legno
dei propri strumenti da lavoro (Wordégne, IVarato, la cerrata, l giógo),
altrimenti affidata al capo degli operai (/ capòccia, dispr. / cotecaro)ÌS.

3. II culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore

Fastello ha fatto capo alla diocesi di Montefìascone fino al suo


accorpamento a quella di Viterbo, avvenuto nel 1986. Fino a tempi non
remoti, il centro non disponeva di un proprio edificio religioso ed i fedeli
facevano riferimento alla chiesa rurale - oggi sconsacrata - intitolata a
Sant'Isidoro l'Agricoltore (sand"Isidoro), situata in loc. Ranucci (le
Casale), piccola borgata appena al di là del confine con Montefìascone.
Soltanto a partire dai primi anni '30 la frazione ha potuto disporre di una
propria chiesa, riconosciuta come parrocchia tra il 1939 ed il 1942 ed
intitolata a Santa Lucia Filippini16.
La chiesa di Sant'Isidoro - risalente almeno al Settecento e già
oggetto di studio17 - è stata quindi progressivamente abbandonata e versa
15) Sull'importanza ed il prestigio della categoria dei bifolchi, cfr. anche Cimarra 2012:213-
214, Mancini 1996:28.
16) La prima pietra del nuovo edifìcio fu posta dal vescovo diocesano Rosi il 25 marzo 1931
e consacrata il primo ottobre 1933. La documentazione relativa alla costruzione della chiesa
ed al riconoscimento dello status di parrocchia è consultabile rispettivamente nei fascicoli
"Costruzione di una Chiesa, in Fastello" (AS VT 276) e "Riconoscimento della Parrocchia di
Fastello" (ASVT 614). Cfr. anche Cordovani 1989.
17) Il citato studio, ad opera della dott.ssa Pamela Mecocci e del dott. Angelo Marcoccia,
era finalizzato al sostenimento di un esame di "Laboratorio di restauro" presso la Facoltà di
Architettura dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Secondo quanto si evince
dai materiali consultati, il corpo principale della costruzione, risalente al XV1-XV11 sec., ha
subito ampliamenti e modifiche nei secoli successivi, sino agli ultimi interventi effettuati
nella prima metà del Novecento. Tuttavia, non è possibile stabilire con certezza se l'edificio
sia stato destinato sin dal principio alle funzioni religiose, sebbene il prospetto di quello che
si considera essere il nucleo originario, preso in analisi isolatamente dal resto del complesso,
richiami la tipologia della facciata a capanna, molto in uso per le costruzioni ecclesiastiche
dell'epoca. Sicuramente esso era già adibito al culto agli inizi del XVIII sec. dal momento
che, secondo le notizie fatte cordialmente pervenire da padre Rinaldo Cordovani, la
"Cronistoria-diario della Vicaria Curata di Santa Lucia Filippini in Fastello" (archivio
parrocchiale) riporta, in data sconosciuta, come il cardinale Marc'Antonio Barbarigo (1640-
1706, vescovo di Montefìascone a partire da) 1687) si preoccupasse per l'assistenza spirituale
"all'estesissimo contado di Montefìascone", aggiungendo che è "ben vero che [in] alcune
chiese rurali, come quella di San Pancrazio alle Coste, di S. Maria del Giglio in Zepponami,
di S. Isidoro ai Casali, si recava la festa un Sacerdote a celebrarvi la Messa".

14
attualmente in pessime condizioni. Il gonfalone dedicato al Santo (lo
stennardo), nonché il busto che lo ritrae (/ zanto lett. "il Santo", la tèsta
santa) - contenente una presunta reliquia ossea - , sono stati trasferiti nel
nuovo edifìcio parrocchiale nel secondo dopoguerra18, contestualmente allo
spostamento dei festeggiamenti dedicati al santo aratore da loc. Ranucci
a Fastello (de prima "un tempo" la festa èra a le Casale). I fastellesi
considerano tuttora Sant'Isidoro il proprio patrono e lo celebrano ogni
anno, nella domenica successiva al 10 maggio (la fèsta de sancTIsidòro)i9.
Il culto del santo madrileno (1080-1130, canonizzato nel 1622)
gode di una certa diffusione sia in Spagna che in Italia. Per quanto riguarda
la nostra provincia, egli è patrono di Fastello e Farnese e copatrono di
Civitella Cesi (fraz. di Blera), Latera e Monteromano. Appena al di fuori
dai confini regionali, la devozione a Sant'Isidoro è attestata a Canonica
(fraz. di Orvieto).
Si nota, però, come detto culto non sia stato sempre presente
nell'Alto Lazio e sia andato anzi a sostituirsi, nel tempo, alla devozione
della Vergine Assunta - antica patrona della corporazione dei bifolchi - e di
altri santi20. È stato fatto notare, inoltre, che dove sussistano festeggiamenti
in onore del santo aratore, questi "sono il frutto della comunità agricolo
pastorale che impegna le proprie energie anche materiali per la riuscita di
questa celebrazione"21.
Data la modesta entità abitativa del centro - addirittura più ridotta
in passato22 - , si può forse ipotizzare che, a Fastello, non sia mai esistita
un'associazione degli agricoltori. Si può invece affermare che il culto
di Sant'Isidoro fosse diffuso nell'area in esame almeno a partire dal
primo Settecento, quando la chiesa rurale di loc. Ranucci risultava già
18) All'interno della chiesa parrocchiale è altresì esposto un dipinto anonimo, di recente
fattura, donato da un cittadino di Grotte Santo Stefano negli anni '70. Esso raffigura un
miracolo del Santo, sul quale si tornerà meglio in seguito: Isidoro, che tiene in mano un
pungolo del bifolco, volge lo sguardo verso il cielo, intento nella preghiera, mentre sullo
sfondo un angelo guida una coppia di buoi nell'aratura.
19) Si nota come a Fastello, in passato, fosse piuttosto diffuso l'antroponimo Isidoro
(Disidòro, sicuramente dall'agionimo sonorizzato sandIsidoro, inteso come san Disidòro),
tanto che, per distinguere le persone che portavano questo nome, veniva di norma apposto
Pipocoristico od il soprannome con cui era noto uno dei genitori: Disidòro de la Lina,
Disidòro el Capòccia. Il nome era diffuso anche al femminile (la Durina "Isidora").
20) Nel caso di Latera il culto del santo risale, forse, al XVII sec. La prima testimonianza
scritta dell'esistenza di un dipinto a lui dedicato, all'interno della chiesa di San Sebastiano,
risale al 1670, mentre si hanno attestazioni dei festeggiamenti in suo onore, organizzati dai
bifolchi, a partire dal 1722 (Ferrara 1998:72). Cfr. anche Cimarra 2012:214.
21) Ferrara 1998:72.
22) Vd. nota 3.
15
intitolata al suo nome23. Le prime notizie certe relative all'esistenza di
celebrazioni dedicate al protettore dei bifolchi risalgono invece al 1815,
come è possibile desumere da un foglio a stampa di quell'anno contenente
un sonetto ad opera di "un fedele devoto", pubblicato in occasione della
"Festa del Glorioso S. Isidoro Agricola", patrono di "una chiesa rurale di
Montefiascone"24.
Secondo una credenza tuttora diffusa, il Santo sarebbe vissuto
per un certo periodo in loc. Ranucci (o, secondo qualcuno, a Fastello),
dove sarebbe stato impiegato stabilmente come operaio presso un'azienda
agricola. Per evitare che l'impegnativa professione di bifolco gli impedisse
di recarsi alla messa e di dedicare tempo alla preghiera, un angelo lo
avrebbe sostituito nell'adempimento delle proprie mansioni (jje veniva
IVàngelo, sto àngelo che jje lavorava). Un giorno, in una località a sud
di Fastello (/ Campanile), nel corso dei lavori agricoli, l'angelo avrebbe
sofferto l'arsura, ed Isidoro, per rinfrescarlo, avrebbe colpito una grossa
roccia (scòjjo) con il raschiatoio per pulire l'aratro (cerrata, sterratóra),
facendo scaturire la sorgente denominata Fonte Campanile {la fontana el
Campanile)25.
La tradizione popolare individua la fonte d'acqua in un luogo
ben preciso, prossimo a Fastello. Vanno poi considerate le caratteristiche
fìsiche della sorgente: fino a tempi recenti l'acqua sgorgava dal terreno
zampillando {bbollìa "zampillava"); si prestava, quindi, a sovrapporre la
leggenda alle caratteristiche geomorfologiche locali. Si sottolinea, inoltre,
l'importanza di Fonte Campanile, che costituiva - prima dell'allaccio alla
condotta comunale, avvenuto soltanto di recente - una delle poche fonti
d'approvvigionamento di acqua potabile26.

23) Vd. nota 17.


24) Si ringrazia, a tal proposito, lo storico montefiasconese Giancarlo Breccola per avercene
procurata una copia.
25) Nella versione raccolta nelle campagne di Celleno, i bovini avrebbero arato il terreno da
soli. La figura dell'angelo è assente anche nella variante di Grotte Santo Stefano, secondo
la quale il santo agricoltore, nel corso dei lavori estivi, avrebbe aiutato i colleghi bifolchi
stremati dalla sete, generando il fosso sito in loc. Le Amarelle (noto, sia a Grotte che a
Fastello, come / fòsso de le Lamarèlle e, soltanto a Grotte, come / fòsso de Tròcchi). Vd.
anche Frezza 2009:91-92, 2010:95.
26) L'acqua di Fonte Campanile venne condotta nelle case di Fastello nel 1969, ma, dopo
pochi anni, venne ritenuta non idonea poiché, nei pressi della sorgente, erano presenti alcuni
allevamenti; inoltre, dopo le piogge, l'acqua che giungeva nelle case era fangosa, torbida
{sf acqua veniva tùrbida, quando facéa del temporale). Fu effettuato, quindi, l'allaccio
ad un'altra sorgente situata in prossimità di loc. Pratoleva, che attualmente serve Fastello,
Grotte Santo Stefano e parte dell'abitato di Montecalvello.

16
La chiesa di Sant'Isidoro in loc. Ranucci (anni l80)
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JT^Ravagliàr sempre, meditar sovente ,


Dè|li anni eterni i' spaventosi, eventi,
In sudori stillarsi al sol cocente ,
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Bébé, c digiunar frequente.
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Gós1T cori"-'iFtraviglili f'è'ìl parco vitti
Le larve d* àtro tòsco'impure ètf'ebre
Debbcjjp nel ifaffiée arduo confitto:,
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nostro dalle sue" latebre
A nói "di Spagna V tiratore invitto
Bel setjso insegna ad ammorzar la fejbre:
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ftfs Sta««s«;fi» assai»*! i« X *«* Zfc ét&
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Sonetto dedicato al Santo (1815) Il busto di Sant'Isidoro
Secondo una variante della leggenda - diffusa tra le due guerre
da un parroco di Fastello - il miracolo (/ miràcolo de lo scòjjo) sarebbe
avvenuto non nei pressi del centro, ma in Spagna27. In questa versione
appare un ulteriore elemento, ossia il fatto che Isidoro sarebbe stato mal
visto dagli altri bifolchi (èra m pò criticato dalV altre) a causa del tempo
dedicato alle orazioni (facìa preghjèra); tale impegno lo avrebbe infatti
fatto arrivare costantemente in ritardo sul luogo di lavoro28. Un giorno,
per dissetare i propri colleghi, avrebbe colpito a terra con la ralla, facendo
scaturire una sorgente (ha ppiantato la cerrata, è vvenuta IVacqua).
Tra le versioni documentate, assume particolare rilevanza quella di
29
Latera , secondo la quale il santo agricoltore, dopo aver partecipato alla
messa, avrebbe subito, sulla soglia della chiesa, un rimprovero da parte del
possidente alle cui dipendenze lavorava, per aver abbandonato l'aratura.
Isidoro gli avrebbe rivelato, quindi, che un angelo stava lavorando per
lui e lo avrebbe condotto nei campi per assistere al miracolo. Il padrone,
sconvolto dalla visione, sarebbe stato soccorso dal santo, il quale gli
avrebbe offerto un bicchiere d'acqua fatta sgorgare dalla roccia.
E possibile riconoscere, nelle varianti segnalate, almeno tre
elementi ricorrenti: il primo è la genesi miracolosa di una sorgente
d'acqua, frutto, forse, di reminiscenze bibliche30; il secondo è ravvisabile
nello status socio-economico del protettore degli agricoltori, comune alla
grande maggioranza della popolazione dei centri dove è attestato il culto;
il terzo fattore è costituito dalle necessità spirituali di Isidoro, alla cui
27) La versione del parroco è quindi più fedele a quella propria della tradizione cattolica
ufficiale, secondo la quale Isidoro avrebbe compiuto i propri miracoli nel paese natale (cfr.
Canale 1756).
28) A tale elemento - il contrasto tra il Santo ed i suoi colleghi - è stato dato particolare
risalto dal nostro informatore di Canonica, il quale ha ripetutamente menzionato come gli
altri bifolchi fossero "invidiosi" di Isidoro, al punto di riferire al proprietario che egli non si
recava regolarmente al lavoro.
29) Cfr. Ferrara 1998, Fioriti 1998, Galli 1996.
30) Secondo Ferrara questo elemento trarrebbe spunto dall'acqua fatta sgorgare da Mosè
per dissetare il popolo, percuotendo una roccia (Es. 17; 1-7) identificata con Cristo da San
Paolo (1 Cor. 10; 1 -5); nel caso specifico di Latera, vi sarebbe poi un riferimento al patrono
San Clemente, il quale avrebbe generato una fonte d'acqua dalla roccia del monte (Fioriti
1998:7, n. 5). Si terrà presente, inoltre, il "ricordo della grande benedizione dell'acqua nella
veglia pasquale, l'acqua della benedizione delle case e quella della benedizioni dei campi per
le rogazioni" (ibid.-.l, n. 4). Nella sorgente e nell'acqua che ne sgorga sono poi ravvisabili gli
"archetipi che appartengono alla storia della nostra cultura, [...] immagini sincretiche della
vita che nasce dalla fenditura che l'uomo ha tracciato nella terra" (Galli 1996:88). Nella
variante raccolta a Canonica è però assente l'elemento dell'acqua, il che potrebbe forse
spiegarsi con una scarsa conoscenza della leggenda da parte del nostro informatore.

18
soddisfazione il Santo deve dedicare tempo sottratto al lavoro nei campi.
Nella variante di Latera, il legame tra gli ultimi due elementi si fa
più esplicito, con la presenza del contrasto tra l'operaio ed il proprietario
temerò. La popolazione laterese, come quella di Fastello, è stata composta,
fino a tempi recenti, quasi interamente da lavoratori agricoli e, come è noto,
lo Stato Pontificio consentiva ai datori di lavoro di negare ai propri operai la
domenica festiva. Nell'opposizione tra Isidoro ed il datore di lavoro è stato
quindi visto un tentativo di avanzare le proprie rivendicazioni attraverso
una celebrazione religiosa - nella quale, infatti, il clero svolge un ruolo
del tutto marginale - , laddove non era possibile far valere i propri diritti
direttamente presso i "detentori del potere"31. Altre inteipretazioni hanno
invece dato risalto agli aspetti maggiormente connessi alla religiosità e, in
particolare, al "valore catechetico" della leggenda, negando la presenza di
un "contrasto tra bracciante e classe padronale"; ci sembra, però, che una
teoria non escluda l'altra, ma che queste siano, anzi, complementari32.

4. La gara del solco dritto33

Fino alla fine degli anni Cinquanta del XX sec., contestualmente ai


festeggiamenti patronali, si svolgeva, prima in loc. Ranucci e poi a Fastello,
la gara del solco dritto {l zólco de sand'Isidoro), alla quale partecipavano
alcune squadre (squatre) composte da bifolchi salariati (le garzóne) o capi
degli operai (le capòccia), oppure da altre figure del mondo contadino,
provenienti dalla compagne contigue o, più frequentemente, dal centro
stesso (èh, qqualcuno pure de fora "fuori", ma la maggiorparte quéste del
paése). Il numero di squadre - le quali erano composte, di norma, da tre
o quattro uomini - non era predefinito e se ne potevano avere dalle due
alle otto, anche se nella maggior parte dei casi se ne contavano quattro o
cinque (méno de quattro mai).
Nei giorni che precedevano la festa - la quale attirava, a dire
degli informatori, numerose persone dai centri limitrofi (venìono pure li
forestière a vvéda) - venivano individuati i percorsi che dovevano essere
31) Ferrara 1998:72-73. Cfr. anche Galli 1996:75-76.
32) Cfr. Galli 1996:76-77, Fioriti 1998:77.
33) La manifestazione fastellese è, ad oggi, del tutto inedita, fatta eccezione per alcuni
testi narrativi, integrati da brevi commenti del raccoglitore (Frezza 2009:92). Si fa presente
come le informazioni qua presentate siano state attinte interamente dalle fonti orali, poiché i
registri parrocchiali di Fastello che si sono potuti consultare non contengono alcuna notizia
relativa al rituale. Per ragioni di tempo si è purtroppo dovuta escludere una ricerca negli
archivi della diocesi di Montefiascone.
tracciati. Il punto di partenza era costituito dallo spiazzo che si trova di
fronte alla chiesetta di Sant'Isidoro a le Casale (425,6 m s.l.m.), oppure,
più recentemente, dal piazzale antistante la chiesa parrocchiale di Fastello
(430 m s.l.m.).
La destinazione veniva scelta in base ad alcuni criteri pratici, ovvero
tenendo conto della presenza di costruzioni, o di ostacoli di altro genere,
che potessero compromettere la visibilità o la buona riuscita dei solchi. Il
punto d'arrivo era costituito dal medesimo poggio (tutt'um pòggio) per
tutte le squadre - i cui solchi potevano distare alcune decine di metri l'uno
dall'altro - oppure, a seconda dello spazio disponibile, da alture limitrofe
(purché cc'éono "avessero" la visuvale "visuale"). Non necessariamente
i solchi avevano la stessa lunghezza poiché, nel caso in cui le squadre
avessero diverse mete, poteva accadere che un percorso si andasse ad
intersecare con un solco già tracciato, per cui occorreva interrompere la
fenditura del terreno. In base alle testimonianze raccolte abbiamo potuto
individuare quattro percorsi, la cui lunghezza poteva variare dai 2,8 ai 7,5
km in linea d'aria.

Percorso 1. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci).


Arrivo: Podere Poggio delle Vacche (/pòggio de le Vacche),
465,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo.
Lunghezza del tracciato: 3,5 km ca. in linea d'aria.

Percorso 2. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci).


Arrivo: Montisola (Muntìsere), 498,7 m s.l.m.,
nel territorio di Montefiascone.
Lunghezza del tracciato: 3,1 km ca. in linea d'aria.

Percorso 3. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci).


Arrivo: Monte Iugo (Montìugo), 433,7 m s.l.m.,
nel territorio di Viterbo.
Lunghezza del tracciato: 7,5 km ca. in linea d'aria.

Percorso 4. Partenza: chiesa di Santa Lucia Filippini (Fastello).


Arrivo: Campo del Gatto (/ campo el Gatto),
357,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo.
Lunghezza del tracciato: 2,8 km ca. in linea d'aria34.
34) Sono stati inoltre citati, quali punti d'arrivo, con partenza da le Casale, una zona nota
come /Zambuco (lett. "il Sambuco"), non identificata, ed un'altura detta lpòggio de Bbajarde,
non ben individuata, ma non distante da loc. Budrione, nel territorio di Montefiascone.
20
i pòggio
e ie Vacche I"".

confine comunale
strade principali
ferrovia
corso d ' a c q u a
solco dritto
m punto d'arrivo
G
*
centro abitato
sorgente
mn oltre 400 m s.l.m.
Salcióne

Muntisele

$ * t ^
laf(7ntmta\__
marne el Campanili

\/ campo
el Gatto

Montiugo

Alcuni percorsi tracciati dai bifolchi di Fastello nel corso della gara
I solchi attraversavano sia ampie porzioni delle grandi proprietà
terriere che piccoli appezzamenti, per cui era necessario chiedere
l'autorizzazione ai proprietari, i quali la accordavano regolarmente, sia per
rispetto della tradizione {èra una tradizzìóne che non dicéono gnènte; jje
le facéono fapper via del zantó) che per il fatto che la gara, in genere, non
arrecava danni alle coltivazioni, interessando soprattutto terreni incolti
{tutte pèzze e "di" sòdo)35. Tuttavia, le fenditure del terreno passavano,
in qualche caso, anche attraverso terreni coltivati a grano {anche am
mèzzo al grano, IP hanno fatte), il che contribuiva a far risaltare il solco,
guardandolo in lontananza.
Eventuali ostacoli incontrati durante la tracciatura, quali pietre
o vegetazione spontanea, venivano rimossi a mano {tajjàono li stréppe,
li spini, la ròhba), mentre non costituivano un problema i corsi d'acqua
presenti in alcuni avvallamenti. La solcatura, infatti, non avveniva lungo
l'intero percorso, ma soltanto sulle superfìci visibili dal punto di partenza
{sèmpre su n tratto che dda Fastèllo se vedéva), quindi su un versante dei
poggi {e ssópra sópra le pògge, facéono sti pèzze de sólco) ed in parte
delle superfìci pianeggianti. Erano invece esclusi i fondovalli {le funnétté)
ed i versanti non visibili delle alture.
Nel punto in cui la visibilità del solco terminava, la tracciatura
veniva interrotta {staccàvano). Se questo significava un risparmio di
energie da parte dei partecipanti, costituiva, d'altro canto, anche la
maggiore difficoltà, poiché, osservando le varie porzioni {le pèzze) dal
punto di partenza, si doveva avere l'impressione che si trattasse di un solco
unico {pare tutfun zólco "un solco unico", però am mèzzo nun c'è. allóra
èppiù ddifficile a mméttelo, èhl)M\ Secondo gli informatori, occorrevano
almeno tre o quattro segmenti di solco affinché la sua lunghezza fosse
considerata apprezzabile {tré o quattro pèzze, sennò nun valiono gnènte,
nói), ma il loro numero era di norma superiore {al campo del Gatto, da
Ila dda capo "in cima" virine sétf òtto "sette od otto" pèzzi). I partecipanti,

Secondo qualcuno, dal medesimo punto di partenza, il solco talvolta giungeva in una località
imprecisata prossima al centro abitato di Fastello (non è chiaro, tuttavia, se questa costituisse
la destinazione finale o se il solco proseguisse in direzione sud-est).
35) A Valentano non veniva chiesto alcun permesso ai proprietari: "Nun tocca a cchiedeje
7 permesso. E consuetudine del paese e bbasta. La consuetudine guasta la legge" (Luzi
1980:38).
36) Nel caso di Valentano - dove il territorio da solcare è costituito dalla vallata del
torrente Olpeta, sicuramente meno "accidentata" dei terreni noti ai bifolchi di Fastello -
l'allineamento delle diverse porzioni è noto come accodare o con il sostantivo aggiontatura
(Luzi 1980:38-39).
22
nel punto in cui il percorso era nuovamente visibile, dovevano quindi fare
in modo di riprendere l'esatta direzione del pèzzo precedente (da m pòjjo a
n antro aripijjàono la dirizzióne de quél zólco, a echi lefacéapiù ddritto).
Affinché la tracciatura andasse a buon fine, la stessa doveva essere
preceduta da una non semplice fase di picchettamento del terreno (ambiffà),
nel corso della quale venivano presi come punti di riferimento alcuni
elementi ben visibili, come la cupola della cattedrale di Santa Margherita
(la cùppula de Muntifiascónè), ed il terreno veniva quindi picchettato con
appositi segnali (ambiffa, pòsta, contropòsta, stennardó).
Seguiva, poi, la tracciatura (métta l zólco), eseguita con gli aratri
di legno (Warate) trainati dai bovini (vacche maremmane, più raramente
buoi)37. Una volta terminata l'operazione, veniva talvolta piantato, nella
parte terminale della fenditura, un palo (dacapo "in cima" al zólco
ce piantàvano m palo; m passóne dritto) od un altro oggetto che desse
l'illusione che il solco tracciato fosse più lungo (tu, da distante, vedéve sto
palo dritto, vedéve che sto sólco non finìa mai)38.
Lo svolgimento dell'intera gara (picchettamento e tracciatura)
poteva richiedere molte ore di lavoro, nel corso delle quali i partecipanti,
per ragioni pratiche, bevevano soltanto acqua, astenendosi dal vino39.
Il solco veniva quindi giudicato, nel giorno dei festeggiamenti, da
un'apposita commissione (cummessióne), sulla cui composizione sono
stati raccolti pareri contrastanti. Va scartata, a nostro avviso, l'idea che
37) La maggior parte dei bovini presenti nella zona era costituita da vacche, poiché, in
genere, soltanto le grandi aziende agricole possedevano dei buoi, ed ancora più ridotta era la
presenza dei tori, utilizzati a scopi riproduttivi (la mónta de le vacche) e quasi mai impiegati
nei lavori agricoli (/ tòro non è dda lavóro). L'unica razza di bovini presente nel territorio era,
un tempo, quella maremmana (de prima e prima "anticamente", tutte bbèstie maremmane).
Ciro Calisti, di Celleno, fu forse il primo possidente ad introdurre le vacche di razza chianina
(le vacche ggintile, ree. le chjanine), già presenti in prossimità del confine con Bagnoregio
(loc. Pratoleva); tuttavia, i nostri informatori ricordano come la massiccia importazione di
questi bovini avvenne soltanto in seguito, ad opera della famiglia Tassoni (Tassònie inizziò
cco la chjanina). Per quanto attiene la gara del solco dritto, i partecipanti potevano utilizzare
le proprie bestie da lavoro oppure, se non ne possedevano, chiederle in prestito a qualcuno. 1
capòccia ed i bifolchi impiegavano invece i bovini delle aziende agricole per cui lavoravano.
38) L'operazione, indicata da qualcuno come una vera e propria scorrettezza (èra na
paraculata "un atto di furbizia"; c'avranno fatto anche discissióne, sicuramente, perché...
tu m pòifà l furbo cusìl), viene da altri ricordata come un innocuo espediente, peraltro
abbastanza comune. Si nota come uno stratagemma simile venga utilizzato anche a
Valentano, in questo caso per dare l'illusione che il solco non subisca alcuna interruzione in
presenza di ostacoli non removibili (Luzi 1980:41).
39) Gli informatori hanno ricordato l'opportunità di detta astensione e come non vigesse, a
tal proposito, un vero e proprio divieto, come invece avveniva ad Onano, dove si parla di un
"tabù alimentare: era consentito loro di bere solo acqua" (Mancini 1996:24-25).
questa fosse formata dagli organizzatori della festa (le festaròle)40, mentre
appare credibile l'opinione più diffusa, secondo la quale la giuria era
formata, oltre che da non meglio precisati "esperti" (forse bifolchi od ex-
partecipanti), almeno da alcuni proprietari terrieri (sicuramente ne fece
parte / zòr Ciro, ovvero Ciro Calisti). Quando veniva individuato il solco
migliore, un bastone veniva piantato dove iniziava la fenditura del terreno
(piantàano l bastóne, dice, quésto è mmègghjoì "è il migliore"; quésto è
mmèjjo de tutteì) e veniva così proclamata la squadra vincitrice (chi lo
facéa più ddritto e ppiù llungo vincéa la gara). I possidenti, però, in più
di un'occasione, avrebbero favorito i propri dipendenti ([Calistre] piantò
l bastóne sul zólco che èra pèggio "sul solco peggiore"; facéono vince
sèmpre qualcuno, èh\), dando luogo a diatribe e discussioni (dóppo c'èra
la crònecaì "polemiche" lett. "cronaca").
Il premio (/ prèmio de la festa) consisteva principalmente nel
riconoscimento dell'abilità del vincitore (èra stato l mèjjo bbifólco) e
nell'onore di aver vinto (IVonore che cc'ìono "avevano"), ma non erano
esclusi premi in natura (m pò de vino bbòno o, più recentemente, una cassa
di birra). Più rari erano i premi in denaro (le sòlde fracàvolo "nessuno"
te le dava), i quali, se presenti, erano poco consistenti (quattro sòlde) e
venivano talvolta, almeno in parte, dati in offerta alla chiesa. Si ricordano,
poi, alcuni riconoscimenti simbolici, quali un santino di carta di grandi
dimensioni stampato per l'occasione (un zanto appòsta, fatto appòsta),
oppure un piccolo gonfalone (uno stendardo, meli "lì", ddel zanto),
entrambi raffiguranti Sant'Isidoro.
Gli informatori ricordano come l'usanza, percepita come arcaica
(na còsa antica, èra!; na còsa antica da sèmpre), sia stata interrotta
soltanto durante la seconda guerra mondiale, per poi proseguire fino agli
ultimi anni Cinquanta, anche se, secondo qualcuno, nel corso del decennio
successivo la competizione avrebbe avuto luogo in un'altra occasione, ma
senza alcun seguito.
La fine della tradizione sarà imputabile, a Fastello come altrove, ai
profondi cambiamenti economici e sociali avvenuti a partire dal secondo
dopoguerra41. Ci si riferisce, in particolare, al progressivo abbandono delle
40) Al Comitato di Sant'Isidoro, insieme alla Confraternita del Santissimo Sacramento (la
cunjratèrna), estinta nei tardi anni Sessanta, era delegata l'organizzazione dei festeggiamenti.
41) A Latera il rito si tenne per l'ultima volta nel 1964, salvo poi riprendere nel 1993 o
1994 (cfr. Ferrara 1998:72, Galli 1996:78); a Valentano, prima del recupero del 1977, la
tradizione si interruppe intorno al 1960 circa (Luzi 1980:27). In altre località (Marta, Grotte
di Castro, Onano, Proceno, passim) l'usanza era invece stata abbandonata nel corso dei
primi decenni del XX sec.
24
campagne ed al conseguente inurbamento dei contadini, alla scomparsa
della categoria dei bifolchi, alla diminuzione degli allevamenti bovini
(//'allevaménte le tròe più ppòchel "ne sono rimasti pochi")42, alla
frammentazione delle grandi proprietà terriere ed alla recinzione dei terreni,
nonché alla massiccia introduzione di mezzi tecnologici nelle campagne,
a partire dai trattori e dagli aratri moderni, che hanno progressivamente
sostituito l'utilizzo delle bbèstie da lavóro, degli antichi aratri di legno e
dei più recenti aratri leggeri di ferro {le cuitrine)43.
Si terrà conto, infine, di come l'edificazione di nuove costruzioni -
sia a Fastello che nelle campagne limitrofe - , insieme all'ampliamento di
quelle già esistenti (mapprima magara c'èra meno abbitazzióne "c'erano
meno case", oppure èrono più bbassé), abbia di fatto reso sempre più
difficoltosa l'individuazione di alture adatte a costituire i punti d'arrivo
della gara (ògge hanno custruvito e nnemméno se véggono "vedono"più).

5. Conclusioni

La popolazione di Fastello sembra aver ignorato, fino a tempi


recenti, la presenza, in altre località, della tracciatura del solco dritto.
L'usanza, avvertita come una peculiarità del centro, è in realtà attestata
in ampia parte dell'Italia centro-meridionale, con l'inclusione di centri
campani, umbri, laziali (a nord di Roma ed al confine con l'Abruzzo) ed
abruzzesi44. La tradizione non sarebbe ignota, poi, alle Marche ed alla

42) I pochi allevamenti bovini di una certa consistenza rimasti a Fastello nel secondo
dopoguerra sono scomparsi agli inizi del decennio scorso, in seguito alla crisi del settore
causata dal cosiddetto "morbo della mucca pazza" (encefalopatia spongiforme bovina): le
guae pe wennélM "i guai [che ho passato] per venderle".
43) Cfr. Cimarra 2012:210, Mancini 1996:29.
44) Per quanto riguarda il Lazio (escluse le località del Viterbese, elencate a parte) l'usanza
è attestata a Campagnano (RM), Formello (RM), Sacrofano (RM), Magliano Romano
(RM), Mazzano (RM), Bracciano (RM), Anguillara (RM), Bacugno (RI); in Umbria i centri
interessati sono Annifo [fraz. di Foligno (PG)], Castelluccio di Norcia (PG), Monteleone di
Spoleto (PG), Scheggia (PG); in Abruzzo la tradizione è documentata a Rocca Pia (AQ),
Rocca di Mezzo (AQ), Antrosano [fraz. di Avezzano (AQ)], Cerchio (AQ), Guardiagrele
(CH); infine, per la Campania, si segnalano Alife (CE), Caiazzo (CE), Castel Morrone (CE),
Sturno (AV), Flumeri (AV), Viilanova del Battista (AV), Mirabella Eclano (AV), Castelfranco
in Miscano (BN), San Bartolomeo in Galdo (BN), Castelvetere in Valfortore (BN). La lista
delle località - incluse quelle della Tuscia, che si è preferito elencare di seguito - è stata
mutuata, salvo alcune aggiunte e rielaborazioni, da un recente saggio relativo alla gara del
solco dritto tra Formello e Campagnano (Cimarra 2012:211). Per alcuni di questi centri si
dispone di contributi dedicati (Sarego 2003, Sisto 2006, Vozza 2003).
Puglia, e se ne conserverebbero alcune tracce in Toscana45, con riscontri
in Spagna ed in Russia46.
Per quanto riguarda lanostra provinci a, sono attestate manifestazioni
analoghe nelle seguenti località, suddivise per subaree47:

Monti Volsini e lago di Bolsena:


Fastello, Gradoli, Grotte di Castro48, Latera49, Marta50,
Onano51, Proceno, Valentano52.

Maremma viterbese:
Canino, Tuscania, Tarquinia.

Monti Cimini ed agro falisco:


Bassano in Teverina53, Bomarzo, Fabrica di Roma, Faleria.

Le varianti rintracciate possono dipendere da diversi fattori. Ci si


riferisce agli aspetti religiosi - e quindi alle connessioni al culto di Maria54
45) Di Nola in: Luzi 1980:7.
46) Cimarra 2012:212.
47) Si includono in nota i riferimenti bibliografici delle fonti che si è potuto consultare. Per
una più esauriente bibliografia sull'argomento, anche al di fuori dei confini provinciali, si
rinvia a Cimarra 2012:235-236, note 37-41.
48) Marziantonio 2002:31, 2004:38-39.
49) Notevole, a Latera, è la rappresentazione della leggenda (vd. par. 3), con l'intervento di
un agricoltore vestito da angelo, intento ad arare il terreno; per la relativa bibliografia, vd.
nota 29.
50) De Sanctis Ricciardone 1982:27-152.
51) Mancini 2005:19-30.
52) La monografia di Luzi contiene abbondante documentazione relativa al recupero della
manifestazione a Valentano, integrata con testimonianze sulle vecchie edizioni della stessa
(prima metà del XX sec.) ed opportune ricerche tra le fonti d'archivio (Luzi 1980). Vd.
anche il più recente contributo di Mancini, che descrive, tra l'altro, le attuali modalità di
esecuzione della tracciatura (Mancini 1996).
53) Per quanto riguarda Bassano, si dispone soltanto di vaghe testimonianze raccolte sul
campo, secondo le quali la gara, in tempi remoti (primi decenni del Novecento), si sarebbe
svolta in occasione delle festività patronali (Santi Fidenzio e Terenzio, 27 settembre).
54) 11 solco è dedicato alla Madonna nelle località in cui ha (o aveva) luogo intorno al 15
agosto, giorno dell'Assunzione (Onano, Proceno, Valentano, passim). A Marta la tracciatura
avveniva in occasione della festa della Madonna del Monte, il 14 maggio, mentre a Grotte di
Castro si teneva nel giorno dei festeggiamenti della Madonna di Castelvecchio, la domenica
successiva all'Assunta. Poco al di fuori dei confini provinciali, a Fornello, la gara si svolgeva
il martedì successivo alla Pasqua ed era collegata alla devozione alla Madonna del Sorbo.
Si nota, però, come l'attestazione del culto mariano non escluda la devozione ai santi cari
ai bifolchi. A Valentano, ad esempio, è stata raccolta la seguente testimonianza: "Cereno

26
o alla devozione a Sant'Isidoro55 - , alle condizioni geomorfologiche dei
territori interessati, all'eventuale carattere agonistico dellamanifestazione56
ed alla sua coincidenza con determinate fasi dei lavori nei campi, comprese
in un arco di tempo che va dal 17 gennaio - festa di Sant'Antonio Abate -
alla fine della stagione estiva57.
Nel caso di Fastello, si può notare il sovrapporsi del rito alla
celebrazione del protettore degli agricoltori, e quindi alla prima aratura
dell'anno (la prima maése), ma la medesima coincidenza è riscontrata
altrove58. È noto ad altre località anche il sistema escogitato per tracciare il
solco - suddividendolo in porzioni allineate - , ma ci sembra che nel centro
in esame tale caratteristica assuma una particolare rilevanza, sia per il
carattere prevalentemente collinare dei terreni attraversati - e quindi per la
maggiore difficoltà, rispetto ad altre località, ad ottenere un solco dritto59 - ,
che per le tecniche di picchettamento adottate, tra le quali almeno una
risulta piuttosto elaborata (lo stennardo). Mancano, invece, l'esposizione
e l'offerta dei frutti del lavoro della terra (covoni di grano, pane, dolci
cotti in forno, ecc.), generalmente presenti dove siano attestati rituali del
genere.
Solitamente si tende ad attribuire a manifestazioni di questo
tipo - fatte risalire a culti precristiani - un carattere propiziatorio o di
anche le preghiere, lo me so' rriccommannato sempre a San Sidoro perchè è '/protettore
de le hiforche. [...] Poe se diceva '/ Patarnostro, San Sidoro ajiutateme, e vvia"; il santo
aratore, insieme a Sant'Antonio Abate, veniva poi invocato prima di iniziare la tracciatura:
"Pescatore, Ovidio, Peppe e Sergio si segnano con la croce e gridano: Viva San Sidorol La
tiratura ha inizio" (Luzi 1980:39-40). E poi, alla fine del rituale: "Evviva San Sidorol Con
un segno di croce, così come lo avevano iniziato, i bifolchi pongono termine alla loro fatica"
(ibid.: 42).
55) Anche a Latera la tracciatura del solco avviene in occasione della festa patronale,
celebrata l'ultima domenica di maggio.
56) Sebbene, nella maggior parte dei casi, il rituale assuma la forma di gara, si registra, a
Valentano e a Latera, la tracciatura di un solco solo. Tuttavia, anche in queste località, lo
spirito di competizione tra bifolchi, più che scomparire, passa tutt'al più in secondo piano.
In alcune occasioni, a Valentano, è capitato che un gruppo di spettatori, qualora pensasse di
poter eseguire un lavoro migliore, decidesse di tracciare un secondo solco ('/ solco de sfida),
parallelo al primo (Luzi 1980:34-36). Cfr. anche quanto avveniva a Latera, dove si ricordano
"i rimproveri che i provetti agricoltori osavano fare all'inesperto Angelo [vd. nota 41 ] circa
il suo modo di guidare l'aratro" (Fioriti 1998:76).
57) È stata fatta notare la relazione tra la distribuzione delle manifestazioni in questo periodo
di tempo e la necessità di replicare le arature nel corso dell'anno (Cimarra 2012:211).
58) Vd. nota 55.
59) 11 grado di competizione sarà più elevato quanto maggiori saranno le difficoltà presentate
dal terreno da arare (Cimarra 2012:212). Cfr. Valentano: l"L solco èppiù bbello 'ndo' èppiù
difficile. A terreno libbero qualunque stupido le fa" (Luzi 1980:37-38).

27
ringraziamento60. Sebbene tale elemento non possa essere escluso, i nostri
informatori non ne hanno fatto mai menzione, neppure quando è stata
posta loro un'esplicita domanda al riguardo. I fastellesi danno piuttosto
risalto alla celebrazione del santo patrono ed alla dimostrazione di bravura
da parte dei bifolchi, tra i quali le prove di abilità non erano d'altronde
limitate alle "grandi occasioni" (la gara del solco dritto), ma erano anzi
piuttosto comuni e consistevano nel tracciamento di solchi lunghi alcune
centinaia di metri, anche all'interno delle grandi aziende agricole, come
confermano le testimonianze raccolte nei vicini centri di Grotte Santo
Stefano e Lubriano, nonché nello stesso Fastello.
Non è un caso che, almeno in parte delle località dove si è
voluta mantenere l'usanza, questo sia stato possibile grazie all'impiego
di trattori agricoli e di mezzi sofisticati quali i tacheometri61, al fine di
ottenere risultati analoghi a quelli conseguiti in precedenza dai bifolchi, i
quali disponevano unicamente dei bovini da loro domati, dei tradizionali
strumenti da lavoro e del plurimillenario bagaglio di esperienze della
propria categoria lavorativa.

60) Cfr. Cimarra 2012:213, Luzi 1980:47, Mancini 1996:20, 22, 24.
61) Così risulta per Valentano (Mancini 1996:56), dove pure il recupero del rituale era stato
originariamente effettuato, per quanto possibile, con l'impiego dell'antica strumentazione,
manovrata da alcuni bifolchi anziani, nati tra il primo ed il terzo decennio del XX sec. (Luzi
1980:31-34).

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REPERTORI LINGUISTICI

GLOSSARIO DIALETTALE vrappeso sul collo del bovino: da le


vòlte "a volte" jje facéa male pure
a, inter., voce con cui si incitano U'accollate, se dicéva. le bbòtte
le bestie a camminare: quando jji m pò fòrte | pijjava IP accollata la
dicéve vial, al, partivano, tutfa bbèstia.
ddue, col carro, entrambe | al, via, accollato, p. pass, di accollasse ||
qqual agg., dal collo gonfio, con eventua-
abbearà, bbeerà (raro), v. tr., ab- le formazione di ascesso, a causa
beverare || Forme: Ind. impf. 6 bbe- del peso del giogo (rif. al bovino):
eràono. sò accollate.
abbiffà: —> ambiffà. accoppia, v. tr., 1. accoppiare (di
accappellatura, s.f., tecnica di bovini): IPaccoppiave, jje mettée
aratura consistente nell'iniziare la ggiógo, accoppiavi i bovini e li ag-
lavorazione dal centro del campo; giogavi. 2. unire due fétte (vd. fét-
si tracciava il primo solco ottenen- ta), in seguito all' accappellatura
do, su un lato, la prima fétta (vd.); (vd.) || Forme: Ind. impf. 2 accop-
al ritorno veniva tracciato un altro piava, 6 accoppiàono.
solco e la seconda fétta si univa alla accramà: —> acclamà.
prima: [accappellatura] fai na fétta addomà, domò, v. tr., domare
a annà ssii e bbutta qqua. na fétta a bestie: è d(faddomasse, quéstal,
vveni ggiù e rribbutte qqual allóra, va domata | [il bovino] quann'èra
ècco riccoppiade, nói e ppói dóp- IP età, de vénte mése venia doma-
po, dóppo coménce a llavorà. to, all'età di venti mesi | / mi padre
acciaccatura, s.f., contusione (rif. e l mi nònno non Phanno domate
all'unghia della vacca). pòche!, (antifr.) mio padre e mio
acclamà, accramà (raro), v. tr., nonno ne hanno domati molti (di
far crescere rigoglioso (di terreno bovini) | addomàono, da le vòlte
adatto ad una coltura): IPaccrama. "a volte", pure l tòro \ jje dàvano
na pianta vòre "vuole, richiede" la quattro scòppie "qualche percos-
tèrra lènta, e na pianta vàie la tèrra sa". e mmagara alPinìzzio, pòi le
fòrte. portàano a mmano, nun è cche...
accollasse, v. intr. pron., formarsi alPinìzzio annàano portate a mma-
di un edema sul collo del bovino: le no quanno le domave, capidol, uno
vacche s'accollàvono || Forme: P. diètro tenéva la cultrina o IP aratro,
pass, accollato. e llavorave, e uno avante "davan-
accollata, s.f., improvviso so- ti" che le portava a mmano | dim-
29
mi chi ha ddomato l primo vitèllo arrivò, ce piantàono una canna o
(frammento di ottava) || Forme: um bastóne alto, co un còso bbian-
Ind. impf. 2 domave; 6 addomàono, co. im mòdo che bbifólco che imbif-
domàvono | P. pass, addomato. fava, ha "hai" cupido'?, vedéva, ce
affata, s.f., (eiv.) afta epizootica: mettéva quéllo e imbiffava dritto a
Wàjfata è italiano, jje se dicìa la qquéllo, picchettava in quella dire-
pedana, la chiamavamo. zione || Forme: Ind. pres. 4 abbiffa-
aggina, v. tr., lasciar pascolare li- mo (rust.) | impf. 2 ambiffae; 3 im-
beramente: agginele ggiù, a mman- biffava (raro),
giàl, lasciale pascolare! ammalatìa (rust.), malatìa, s.f.,
agricoltóre: —> agricultóre. malattia: c'èra pòco capitale, le
agricultóre, agricoltóre, s.m., malatie vèngono quanno il capitale
(ree.) agricoltore: sto sand* Isidoro è mmaggióre, in presenza di nume-
èra agricoltóre. rose bestie,
albùccio, s.m., pioppo (Populus ammanzì, v. tr., ammansire, ren-
alba L. e Popidus nigra L.); il le- dere mansueto (di animale).
gno stagionato veniva utilizzato per ammareà, v. intr., meriggiare,
fabbricare il giogo, riposare all'ombra durante le ore
allevaménto: un gròsso alle- calde del meriggio: le vacche am-
vaménto de vacche chjanine \ èh, maréono, meriggiano.
ITallevaménte le tròe più ppòche\, ammattatójjo, s.m., (ree.) matta-
ne sono rimasti pochi, toio: W ammattatójjo communale,
ambiffa, mbìffa, bbiffa (rust.), s.f., comunale,
biffa, canna o paletto messo come ammazzatóro, s.m., mattatoio,
punto di riferimento per squadrare ampresà, v. tr., (ant.) solcare, trac-
un terreno: piantono una canna, ciare con l'aratro i solchi paralleli
quélle sò cchjamate, dice, le bbiffe \ per la semina || Forme: Ind. impf. 3
métta Fambiffe, picchettare il terre- ampresava.
no | / piano te va bbène, co ppòche annomato, agg., denominato, de-
mbiffe lo fae, perchè le védi. signato con un nome (di animale),
ambiffà, mbiffà, imbiffa (raro), appoecionasse, v. intr. pron., es-
abbiffà (rust.), v. tr., picchettare il sere colpito dalla mastite (rif. alla
terreno, segnandolo con le biffe: mammella della vacca): jje s'ap-
ambiffàe l zólco, picchettavi | am- poccióna.
biffallo, picchettarlo | mbiffallo co arado: —•> arato.
le canne, id. | da meqqul, abbiffa- arato, arado, aratro (ree.), s.m., 1.
mo ggiù man quélla casa, da qui, aratro di legno a due ali con vomere
picchettiamo il terreno fino a quella di ferro, a trazione animale: Warato
casa | io sò cche ddó "dove" doéano de légno \ un aratro de légno tirato
30
da le bbòa. 2. (ree.) aratro moderno na che non dà più latte || s.f., man-
a trazione meccanica, applicato al canza di latte: su ccinquanta muc-
trattore agricolo || dim. aratrèllo. che ce pòrno èsse dièci in asciutta,
aratro: —> arado. ce ne potrebbero essere dieci,
ariccoppià, riccoppiò, v. tr., uni- assolcà, v. tr., tracciare solchi; sol-
re due fétte (vd. fétta), in seguito care || assolcasse, v. intr. pron., ca-
ali' accappellatura (vd.) || Forme: P. dere in un solco (di bestie): le pèco-
pass, riccoppiado. re jje capita fàcile assolcasse, méno
arimétte, v. tr., ricondurre al chiu- la vacca, alle pecore succede spes-
so: rarimettémo déntro, le ricondu- so, alla vacca meno frequentemente
ciamo al chiuso, le chiudiamo nella | rimane assolcata.
stalla. attacca, v. tr., attaccare, legare: at-
aripassà, ripassò, v. tr., arare di taccò l carro | attaccò la coltrina \
nuovo il terreno in autunno, con attaccò IVaratro || v. intr., 1. far pre-
l'aratro di legno o con la cultrina sa: una tèrra che attacca. 2. essere
(vd.): ripassò l terréno \ a ssémina, fertile (di animale): n attacca mae,
a ottóbbre, venia ripassado colFa- è sterile | tante vòlte nun attaccòa-
rado. de légno, al tempo della se- no. nun fijjòano pròpio.
mina, nel mese di ottobre, il terreno attoppato, agg., di bovino che non
veniva arato di nuovo j| Forme: Ind. ha digerito: quélle sò attoppate.
impf. 6 aripassàono, ripassàono j P. avventasse, v. rifl., gonfiarsi, del
pass, ripassato, ripassado. ventre di animali per meteorismo
arisciògghje, v. tr., staccare di acuto: s'è avventada.
nuovo i bovini dal giogo. avvettà, v. tr., aggiogare due paia
arisimentà, v. tr., seminare di di buoi, per i terreni difficili da lavo-
nuovo || Forme: Ind. impf. 6 arisi- rare: dò "dove" fadigàvano paréc-
mentòvono. chio. un lavóro fadigóso, ché um
arrè, inter., grido d'incitamento pajjo n ce la facéva, Wavvettàono.
per far girare i bovini: arrè, qquaì azziènda: —» zziènna.
ggiraì qquaì arrè\ azziènna: —> zziènna.
arrota, v. intr., far stridere i denti azzinnà, zzinnò, v. intr., poppare:
(dei bovini, in seguito all'indige- nn azzinnava più, aveva smesso di
stione). poppare.
ascènzio, s.m., (rust.) assenzio azzoppasse, v. intr. pron., divenire
(Artemisia absinthium L.); veniva zoppo: la vacca s'azzoppava | .s'az-
bollito nell'acqua e poi sommini- zoppano le bbèstie.
strato ai bovini come rimedio con-
tro l'indigestione, bbanchétto, s.m., panchetto, sga-
asciutta, agg., di animale femmi- bello a tre gambe su cui siede il
mungitore: m banchétto de légno. di Tassoni | tutte bbifólche òmmene
bbarbazzale, s.m., 1. giogaia del "uomini" che hanno laorato sèm-
bue. 2. pappagorgia, di una persona: pre coir arate \ l bifólco èra m pò
c ha l barbazzale! più llibbero (il bifolco, che godeva
bbastardo: / vitèllo bbastardo, di un giorno di riposo settimanale,
ottenuto da un incrocio || dim. bba- era considerato più libero rispetto
stardèllo: èrono m pò bbastarde, agli altri operai) | èra stato l mèjjo
col chjanino, èrono bbastardèlle. bbifólco, il migliore, il più bravo ||
bbastóne: piantàano l bastóne, dim. bbifolchétto, apprendista bifol-
dice, quésto è mmègghjol, è il mi- co || prov.: bbifolchétto sènza bbar-
gliore (alla fine della gara del solco ba, 1 bòo a ttèrra e la tèrra arrabbia
dritto un bastone veniva piantato (prov. in uso tra i bifolchi per scher-
sul solco migliore) | piantò l ba- nire gli apprendisti) | la ràbbia el
stóne sul zólco che èra pèggio, sul bifolchétto quanno sciòjje, la ràb-
solco peggiore || dim. hbastoncèllo. bia del cacciatór quanno nun cójje
bbeerà: —»• abbearà. (la rabbia dell'apprendista bifolco,
bbèstia, s.f., animale domestico al termine della giornata lavorativa,
equino o bovino: na bbèstia che viene paragonata a quella del cac-
ssuffrìa la sède, soffriva la sete | ciatore che manca la preda). 2. (fìg.)
bbèstie bbrade \ le bbèstie da lavóro persona rozza, grossolana, maledu-
\ tutte sti bbèstie da carne | bbèstie cata: sèe m bifórcoì, sei un maledu-
gròsse, a. adulte, b. grandi, impo- cato || Forme: pi. bbifólce, bbifólci
nenti: / bòvo veniva "diventava" na (raro), bbifólche, bbifórce (raro),
bbèstia gròssa, più dde na vacca | bbifórco: —* bbifólco.
de prima e prima "anticamente", bbifulcina, s.f., mestiere del bifol-
tutte bbèstie maremmane \ smétte le co.
bbèstie, cessare l'attività di alleva- bbirracchjo, s.m., vitello di un
tore || pegg. bbestiàccia. anno non castrato; torello,
bbestiame: mantenéve bbestìame, bbiscino, s.m., garzone del pasto-
mantenevi il bestiame, re, pastorello: / biscino de le pècore.
bbiffa: —> ambiffa. bbólla, s.f., carbonchio, malattia
bbifólco, bbifórco (raro), s.m., intestinale delle vacche: man "a"
1. bifolco: tutti ggènte "persone" qualche bbèstia jje venia, la bbólla.
espèrte che ffacéono quél lavóro, bbòo, bbòvo, bòvo (raro), s.m., 1.
èrono chjamate i bbifólce \ allóra bue: um bòvo ggióvene | commat-
e* èrono parécchi e e bbifólci, a quei te co le bbòva, lavorare con i buoi
tempi ce n'erano molti | le bbifólce | qui, da nòe, bbòve, pòca ròbba.
de Calistre, al servizio di Calisti | sèmpre le vacche, c'erano pochi
le bbifólce de Tassònie, al servizio buoi, abbiamo sempre lavorato con
le vacche | sandtIsidoro lavorava vallo || Forme: pi. bbùttere,
co le bhòve | ce sarà una paròla, in bbuvino, s.m., (civ.) bovino.
italiano, pròpio détta bbène saran-
no le bbuòve | i bbuòve sò ccrastate cacà, v. tr., defecare (di uomo e di
|| prov.: / bòa dice cornuto alVàsino animale).
| mójje e bbuòi dèipaési tuoi || dim. cacada, s.f., 1. deiezione umana.
bboétto: la cólpa n è la mia, la cól- 2. sterco di animali,
pa è ddel boéttoì (per giustificare un caffè: jje se facéa l caffè (rimedio
raccolto scarso). 2. bovino da lavo- contro l'indigestione dei bovini) |
ro in genere || Forme: pi. bbòa, bòa pure l caffè jje se dava (id.).
(raro), bbòva, bbòve (ree.), bbòe caicchja, s.f., chiovolo del giogo,
(ree.), bbuòve (civ.), bbuòi (solo in di legno, utilizzato con l'aratro a
un prov.). trazione animale.
bbòvo, bòvo: —> bbòo. caicchjóne, s.m., chiovolo del
bbranco: le bbranche de bbòa, i giogo, di ferro, utilizzato con il car-
branchi, le mandrie di buoi, ro agricolo: / caicchjóne del carro,
bbròzzo, s.m. coli, foglie d'olivo quéllo èra de fèrro \ la caicchja
somministrate ai bovini come fo- è ppiù ppìccola e l caicchjóne è
raggio, dopo la potatura della pian- ggròsso.
ta; rendevano sgradevole il sapore calóre, s.m., 1. stato di eccitazio-
del latte. ne sessuale dell'animale; calore:
bbudèlla, s.f. pi., viscere (di uomo in calóre quanno che vvanno a la
e di animale), razza, nói, che vvanno al tòro | la
bbùfolo, s.m., bufalo, bbèstia va in calóre. 2. (rust.) sta-
bbura, s.f., bure dell'aratro, to congestizio od infiammatorio
bbusciga, s.f., (rust., are.) vescica (di animale): un calóre pròpio la
(di uomo e di animale?), bbèstia, c'ìa "aveva",
bbuttà, v. tr., buttare, gettare: camarróna, s.f., vacca vecchia,
bbuttà l giógo, togliere il giogo (rif. camarróne, s.m., 1. bue vecchio.
al bovino) | bbuttava lu stàbbio, 2. (fig., dispr.) uomo vecchio: è n
concimava con il letame | bbuttào- camarróne.
no ggiù l zéme a minano, semina- campano, s.m., campanella che si
vano a mano || Forme: Ind. impf. 2 applica al collo del manzo (vd.).
bbuttae\ 6 bbuttàono, bbuttàvono. canale: / canale del pìscio, cana-
bbùttero: —* bbùttoro. letto di scolo nella stalla || dim. ca-
bbùttoro, bbùttero, s.m., vaccaio, nalétta: la canalétto dó "dove" va
cavalcante che spinge la mandria; wia l pìscio, la ròbba.
buttero: bbùttero èra sèmpre quéllo cannèllo, s.m., gambo della spiga
che ccommattéa co le bbòa cui ca- di frumento: / cannèllo del grano.
mammella della vacca): m pò car-
capézza, s.f., cavezza; veniva uti-
lizzata con gli equini e, in minor niccióna.
misura, con i bovini giovani, carràccio, s.m., solco profondo
sul terreno o sulla strada, provocato
capitale, s.m., insieme delle bestie
da allevamento o da industria, da pioggia violenta: / carràccio le
capitèllo, s.m., capezzolo (umano facéa II'acqua, la pioggia | Ili n ze
e di animale), pò ppassà, cché cc'èn carràccio!
capoccétta: —* capuccétta. carrétta, s.f., carriola a mano, con
capòccia, s.m., capo operaio di una ruota e due stanghe: co la car-
grande azienda agricola: ma "in" rétta di quélle de na vòlta, de légno,
che bbuttava lu stàbbio.
una zziènda, l patròne tenéa l capòc-
cia | c'èra l capòccia che ccomman- carriòla, s.f., carriola a mano, con
una ruota e due stanghe,
nava tutte quante, dava ordini a tutti
| / capòccia de le vacche | il capòc- carro, s.m., carro agricolo a due
cia a ccapo de le bbifòlce e ddel ruote trainato dai buoi || prov.: nu
bestiame, de le bbòa | / capòccia fa-mmétte mae l carro davante a le
céa "fabbricava" le ggióghe, facéa bbòe.
tutto, ll'arate pe llavorà || s.f., testa
casale, s.m., casa rustica isolata:
(umana e di animale): la capòccia partive dal casale la mattina, pijjae
del vitèllo. le pajale e sti ggionture \ stava ggiù
cappannóne, s.m., capannone: ma n casale su la ròba de Caliste,
le bbèstie sò mmésse ma le cap- viveva in un casale, nella proprietà
pannóne, sono nei capannoni | / di Calisti.
trattóre mal cappannóne, dò ce caséngo, s.m., uomo di fiducia
mettìemo l carro, nel capannone, tuttofare del proprietario, in un'a-
dove tenevamo il carro agricolo, zienda agricola: però cc'èrono le
capuccétta, capoccétta, s.m., sot- bbifólche che ddóppo l zignóre "il
tocapo, capo in seconda degli ope- proprietario terriero" portòrono
rai di un'azienda agricola, sotto il caséngo (avanzamento di carriera
capòccia (vd.). dei bifolchi all'interno dell'azienda
capuzziènda, s.m., (raro) capo agricola) | facéa m pò l caséngo.
dell'azienda agricola, caterpìllere, s.m., trattore agrico-
caricaèrba, s.f., macchina per rac-lo della marca Caterpillar: quélli
cogliere il fieno, caricarlo e traspor-
tèmpe Ili c'ia "a quei tempi posse-
tarlo all'interno della stalla; carica-
deva" tré ttrattóri, c'ia però un flèt-
fieno. te e ddu caterpìllere uso montagna,
carnìccia, s.f., tessuto mammario americani.
fibroso della vacca, cavallaro, s.m., guardiano di ca-
carniccióna, agg., fibrosa (di valli.
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cavatura, s.f., solco particolar- ehjanino, s.m., (ree.) bovino di
mente profondo al centro del cam- razza chianina.
po, ottenuto quando l'aratura inizia chjappà, v. tr., catturare: li bbùtte-
su un lato del terreno, re che ccórrono diètro ma le bbòa,
centopèlle, s.m., omaso dei rumi- ma le ggiuvénche pe cchjappalle,
nanti: / centopèlle ce ll'ha la vac- corrono dietro ai buoi ed alle gio-
cina. venche, per catturarli.
céppo: tagghjàvano na pianta, o chjodèllo, chjovèllo (rust.),
un ramo, bbasta che cc' èra la gras- chjuvèllo (rust.), s.m., anello, di
sézza "dimensione" del céppo, nòe pelle di bufalo, fissato sul giogo, in
le chjamamo l céppo, dell'aratro, cui s'infila il timone del carro: mal
quéllo che llavóra (rif, alla fab- "nel" giógo c'èra l chjodèllo.
bricazione del ceppo dell'aratro) | chjòdo: un chjòdo bbèllo érto
/ céppo de fèrro (rif. alla cultrina, "spesso", scapocciato "spuntato",
vd.). che n facia danno a nnessuno, e
cerrada: cenata. qquéllo tenia la cóncia e l chjovèl-
cerradada, s.f., 1. colpo inferto lo (rust.) || dim. chjudino, chiodino;
con il pungolo del bifolco: e pp'ia veniva utilizzato per fissare la ralla
tante bbòtte, e pp'ia tante cerrada- al pungolo del bifolco,
de. sta ttranquillo che le pia bbònel, chjovèllo: —> chjodèllo.
ne prende tante (rif. al bovino che chjuvèllo: —* chjodèllo.
toglie il giogo). 2. colpo inferto con cinquantacinque, s.m., tipo di
la ralla. trattore agricolo della marca FIAT:
cerrata, cerrada, s.f., 1. pungolo / cinquantacinque che ppesava cin-
del bifolco, costituito da un lungo quantacinque quintale, a ccingole.
bastone di corniolo al quale veniva cinturino, s.m., cinghia di cuoio
talvolta applicata una punta metalli- che serve a fissare il campano (vd.):
ca: la cerrata e "che" cce se toccaa / cinturino che allacciava l campa-
le bbòa. 2. ralla, raschiatoio per pu- no.
lire l'aratro: la cerrada quélla che eoa, s.f., coda,
cce se pulìa IV arado. codecaro: —* cotecaro.
chjanina: (ree.) la chjanina è wi- còjjo (rust.), cuòjjo, s.m., cuoio,
nuta qqua ddóppo, la vacca di razza cojjóne, s.m. pi., testicoli (di uomo
chianina è di recente introduzione e di animale),
| Tassònie inizziò cco la chjanina, cóla, s.f., panno usato come cola-
Tassoni fu il primo ad introdurla | toio per il latte munto,
pure Calistre ce IVéa le chjanine, colèstro: —> cuculèstro.
anche Calisti possedeva delle chia- còllo: lega l còllo a la vaccina (al
nine. giogo) | / mi nònno, l mi padre, ma-
garìjjì legàono n trónco, a {trascino o di vacche aggiogati,
"strasciconi", un trónco de légno a còrno, s.m., 1. corno: còrno de
ttrascìno, capidol, che èra leggèro, vaccina \ jje bbruciàono la pónta
però, lóro piano piano cominciàano "punta" del còrno (pratica avente
a f f ò l còllo, iniziavano a fortificare lo scopo di arrestare la crescita del-
la muscolatura del collo (descr. di le coma dei tori e, più raramente,
una delle fasi iniziali della doma), delle bestie brade) | spunta l còrno
coltrina: —> cultrina. (id.) | la capòccia co le corna | che
commatte, v. intr., impegnarsi in bbèlle còma che cc'hanno, sti ddu
un lavoro: commatte co le bbèstie, maremmane! | na mazzata m mèzzo
lavorare con le bestie | commatte al crànio cu n còrno e Waltro "tra
coli'aratro | io però cco le mucche le corna", cascava e le scannava
n c'hò ccommattuto mai, non ci ho (stordimento del bovino prima della
mai lavorato || Forme: Ind. pres. 3 macellazione) || well.: la mucca a
commatte | impf. 3 commattéa | P. la dònna jj'ha ddétto: nun guardò
pass, commattuto. pperché hò le corna, pòrto nòve
commessióne: —* cummessióne. mése quanto una dònna (rif. alla du-
commissióne: —> cummessióne. rata della gestazione); CH: perchè
cóncia, s.f., anello di cuoio di bu- la dònna ma la "alla" mucca jj'ha
falo, attaccato sul giogo: una cón- ddétto cornuta | nun guardò cche
cia de pèlle de bbèstia. ppòrto le còma, ma pòrto nòe mése
condadino: —» cuntadino. quante na dònna, la vacca [lo disse]
confratèrna: —> cunfratèrna. || Forme: pi. còma, còme (raro). 2.
contadino: —* cuntadino. bossolo per la cote; custodia conica,
contropòsta, s.f., 1. punto dell'o- ricavata da un corno di vacca dalla
rizzonte, situato oltre la pòsta, uti- punta mozza, contenente acqua in
lizzato per traguardare un campo: cui si conserva la cote per affilare,
pijjàono la contropòsta, presémpio còrpo, s.m., ventre, intestino (di
quél cammino Ila, ad esempio quel uomo e di animale): nu sta bbène
comignolo. 2. paletto di riferimen- col còrpo.
to, situato oltre la pòsta, utilizzato còsta: mpèzzo de còsta, un appez-
per traguardare un campo; i paletti zamento di terreno in pendio | o na
venivano colorati con vernice bian- scésa o na còsta, èra uguale (sono
ca o nera e sistemati sul campo a sinonimi) || dim. costarèlla, piccola
colori alterni per essere più visibili: discesa ripida,
ha a pijjà ppure la contropòsta lun- cotecaro, codecaro (raro), s.m.,
tano, devi prenderla come punto di (dispr.) capo degli operai, che fa gli
riferimento, in lontananza, interessi del proprietario dell'azien-
còppia, s.f., coppia di buoi aratori da agricola: l cotecaro èra un omo
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che ffacéa la spia mal "al" padróne, cruciale, s.m., biforcazione
èra cotecaro \ cotecaro vorrébbe dì dell'albero; veniva utilizzata per la
f f a "parteggia" ppel padróne \ quél- fabbricazione del ceppo dell'aratro,
Io è n cotecaro, le védeì \ comman- cuculèstro (are.), colèstro, s.m.,
na "dà ordini", dice, è n cotecarol primo latte della vacca dopo il par-
crastà, v. tr., castrare: le cojjóne n to.
ce l'ha ppiù. véne crastato all'età cultrina, coltrina, s.f., aratro leg-
dde òtto mése, un anno, e vvenìono gero di ferro ad un'ala: na cultrina
domate pe llavorà. venìono fòrte\, a rròte, con le ruote | le cultrine de
diventavano forti, fèrro co le ròte | ché pprima lavora-
crastino, s.m., castrino, castratore va coli'aratro, a mmano. quélli de
di animali. légno, dóppo, invéce, sò vvenutì stì
crepa, v. intr., morire a causa di cultrine, sono entrate in uso.
meteorismo acuto (di animale): s'è cummessióne (rust.), commes-
ggonfiada, dice, crèpal \ è ccrepa- sane, commissióne (civ.), s.f,
da\ commissione giudicatrice, giuria: /
créta: pròpio quélla créta, ch'é giórno de la fèsta, la séra, facìono,
ccóme la péce quanno piòve, l'ar- sèmpre le patròne, na commissióne
gilla, quando piove, diventa collo- e stimàvano l zólco (rif. alla gara
sa, vischiosa come la pece, del solco dritto).
cretósa, agg., argillosa: tèrra cuncimata, s.f., azione di conci-
cretósa. mare.
creulina, s.f., creolina; veniva uti- cuncime, s.m., concime: l cunci-
lizzata per disinfettare le ferite dei me, de tante qualità \ l cuncime nun
bovini: all'estate specialménte ce c'èra, nun ze comprava, costava
se mettìa la creulina, um pò annac- tanto, le sòlde n c'èrono, mancava
quata, perché, sinnò cce facìono le il denaro per acquistarlo,
vèrmene, vi si formavano i vermi, cunfìno, san., confine del campo:
crino, s.m., recipiente di vimini un gunfino (raro),
usato per raccogliere l'erba o le fo- cunfratèrna (rust.), confratèrna,
glie per il foraggio e portarle ai bo- s.f., confraternita: la confratèrna
vini: l crino ce s'annava a f f à II'èr- portaa tutte le stendarde, l crucifis-
ba. èra un còso tónno de vénco, un so, portaa sta ròbba qui.
recipiente rotondo, di vimini, cuntadino, contadino, conda-
crògnolo, s.m., corniolo (Cornus dino (raro), s.m., 1. mezzadro: /
mas L.); il legno veniva utilizzato contadino èra quéllo che stava a
per fabbricare l'aratro ed il pun- mmezzadrìa e cc'ìa "possedeva"
golo del bifolco: m bèi légno de anche le bbèstie pe llavorà | stàvo-
crògnolo. no pe ccontadine cu Ccalistre, lavo-
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ravano come mezzadri per Calisti | erbétta.
sò state tanto contadine qquassù èrgna, s.f., ernia (di uomo e di ani-
eco le Bbattagline. 2. (raro) colti- male).
vatore diretto: èra contadino lòppe érpece, èrpice, 1. erpice: Wèrpi-
la campagna, in campagna || prov.: ce e "che" sse tiraa co le vacche |
contadino, scarpe gròsse "da lavo- èrpice a mmajja | èrpice rotante
ro" e ccervèllo fino. | seminàono e ppòe aripassàono
cuòjjo: —> còjjo. ri altra òlla "volta" coir èrpice, cu
custodì, v. tr., coltivare, prendersi le bbòa, e rricoprìvano || par.: è
cura del terreno. ggrèzzo quante n érpiceì, è sgra-
ziato, grossolano. 2. (fig.) persona
deliggirì, v. intr., digerire: quanno sgraziata, grossolana: è n érpeceì
che n deliggirìvono jje se faciva, da erpecià, erpicià, v. tr., lavorare la
le vòlte, anche le bbuttijje, IVacqua terra con l'erpice; erpicare,
coir òlio, a volte, quando i bovini èrpice: —* érpece.
non digerivano, gli si somministra- erpicià: —>• erpecià.
vano acqua ed olio, erpiciata, s.f., lavoro effettuato
dentóne, s.m., molare della vacca con l'erpice: [il terreno] le ripas-
cresciuto più del normale, per cui sàono, pòi jje dàono rì erpiciata,
non riesce a masticare; un tempo, pòi bbuttàono ggiù Izéme a mmano.
quando si riscontrava questo pro- èttaro: —> èttero.
blema, la bocca dell'animale veniva èttero, èttaro, s.m., ettaro || For-
tenuta aperta con un pezzo di legno me: pi. èttere, èttare.
ed il molare veniva quindi limato,
di'arèa, s.f., diarrea (di uomo e di falda, s.f., deiezione di vacca,
animale), fàola, fàvola, s.f., (rust.) trattore
domà: —> addomà. a vapore con aratro, della marca
Fowler || Forme: Tp\.fàule,fàole.
ènnara, s.f., edera (Mederà helix fardèllo, s.m., porzione di fieno
L.); le foglie venivano somministra- usata come foraggio: l fardèllo del
te ai bovini come foraggio, durante fièno.
l'inverno; rendevano sgradevole il fàscio: un fàscio cf èrba fà le fa-
sapore del latte, sce, preparare i fasci d'erba per il
èrba, s.f., 1. erba (ogni pianta bas- foraggio.
sa non legnosa). 2. (coli.) insieme fattóre, s.m., fattore dell'azien-
di piante spontanee che coprono da agricola: / fattóre è qquéllo che
un terreno: fa IVèrba, raccogliere amministra e qquéWaltre sò ttutte
l'erba per foraggio. 3. fieno: Wèr- subbattèrne, (raro) subalterni | tut-
ba sécca, il fieno essiccato || dim. te a scala a scala "secondo un or-
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dine gerarchico", ha "hai" capidol ll'attacco de la bbura.
c'èra l padróne, pó c'èra l fattóre fièno: /fièno sécco, essiccato,
e cc'èra l guardiano, capito? pòi fièra, s.f., fiera di merci o bestia-
dòpo c'èra l capòccia de le vacche, me: la fièra de Vitèrbo, fiera di be-
c'èra l bùttero. stiame che si teneva annualmente
favétta, s.f., fava piccola da forag- nel capoluogo di provincia || accr.
gio ( Vida faba minor L.); veniva fieróne, grossa fiera: / fieróne a
utilizzata per il sovescio, Vvitèrbo.
fàvola: —» fàola. flètte (ant.), fratte, s.m., trattore
ferrà, v. tr., ferrare: ferrò le vac- agricolo della marca FIAT.
che, raraménte. se podéa ferrò una fijjà,/tò, v. intr., figliare, partorire
siffacéa l'acciaccatura sótto, se ne (di animale): sta ppe ffià la vacca
poteva ferrare qualcuna soltanto in | nun fijja, è sterile || Forme: Ind.
seguito ad una contusione all'un- pres. 3 fijja | impf. 6 fijjàano.
ghia. fògghja, fòjja, s.f., foglia: fòjje
ferrana, s.f., erbaio di segala || d'ulìo, foglie d'olivo (vd. bbròzzo).
f
dira .ferranétta. òjja: fògghja.
fèsta: facìa fèsta, godeva di un fontana, s.f., 1. fontana pubblica.
giorno di riposo (rif. al bifolco) | 2. fonte sorgiva,
la festa de sand'Isidoro, festeggia- fontanile: —> funtanile.
menti dedicati al santo patrono | forcina: —• furcina.
/ giórno de la fèsta, id. | de prima forcinata, s.f., 1. colpo infetto con
"un tempo" la fèsta èra a le Casale il forcone. 2. quantità di materiale
(dopo l'abbandono della chiesa di sollevata con il forcone: una forci-
loc. Ranucci, i festeggiamenti de- nata de fièno.
dicati a Sant'Isidoro l'Agricoltore fórma, s.f., 1. fossa per lo scolo
furono spostati a Fastello), delle acque, sul campo. 2. zanella,
festaròlo, s.m., membro del comi- cunetta a lato della strada,
tato organizzatore della festa patro- frasinétto, s.m., Frassineto, varie-
nale: le festaròle, gli organizzatori, tà di frumento,
fétta, s.f., quantità di terra tagliata fratta, s.f., siepe,
e sollevata dall'aratro ad un passag- frèsa, s.f., erpice a disco o a denti
gio: apri l zólco e tte bbuttà qqua trainato da trattore,
la fétta. fresà: —» sfresò.
fià: -+fijjà. fritto, s.m., fegato (di uomo e di
fiatte: —• flètte. animale),
fibbiara, s.f., stegola, asta di legno frocétta: —• frucétta.
verticale con cui si guidava l'aratro frucétta, frocétta, s.f., nasiera,
di legno: la fibbiara che ccoprìa morsetta di ferro che si applica nel-
le froge delle vacche e dei buoi: nina | [nella nostra zona] la mag-
la frocétta mal "nel" naso | tirae giorparte maremmane, invece da la
la frucètta man quéllo, gli tiravi la parte i sópra, diciamo, vèrzo Bba-
nasiera (per farlo girare) | frocét- gnoréggio quélle ggentile, a nord,
te gròsse, di dimensioni maggiori, nelle vicinanze di Bagnoregio.
usate con le bestie dalla corporatura ggiógo: / giógo pe mmétte ma le
più imponente, vacche, da mettere alle vacche | sii
frustada, s.f., frustata: jje davano capòccia de le zziènde facìano le
la frustada. ggióghe pe le bbèstie, fabbricavano
funnétto, s.m., (dim.) piccolo av- i gioghi | mettée su l giógo, aggio-
vallamento, modesta depressione gavi | [il bovino] abbassaa le corna,
del terreno: ma le "nei" funnétte. pijjaa sii l giógo e ppò legae, abbas-
funtanile, fontanile, s.m., abbe- sava le corna, sollevava il giogo e
veratoio: passàvano al funtanile, le poi lo legavi | portò l giógo \ spezzò
bbeeràono. l giógo.
furcina, forcina, s.f, forca a due ggiontura, s.f., giuntoia, ancola
o più rebbi, di legno o di metallo: del giogo che passa sotto il collo
la forcina cui màneco de légno e della bestia: le ggionture, che le le-
la furcina de fèrro | [ai bovini nel- gae mal "al" giógo cusì.
la stalla] jje bbuttae Uà lfièno co la ggiornada, s.f., giornata: io qui
furcina. tèmpe Ili, ce lavorao, a ggiornada,
a quei tempi lavoravo a giornata,
garzoname, s.m. coli., insieme ggiornataro, s.m., operaio agrico-
dei garzoni alle dipendenze delle lo, pagato a giornata.
aziende agricole, ggirèllo: lpèzzo del girèllo, la par-
garzone, s.m., garzone di azienda te del girello (taglio di carne bovi-
agricola: le garzóne, e ssà quante na) | l girèllo è qquél blòcco tónno
ce sòl sò ttutte, a Ffastèllo, facìono "rotondo" che sse védepròpio su la
sto mestière!, di garzoni ce ne sono parte del còscio.
molti. Chiunque, a Fastello, faceva ggiuvénca, s.f., vacca giovane,
questo mestiere | èra n garzóne suo, giovenca,
alle sue dipendenze | annàvono co gomèra: —» gumèra.
le propietàrie a ggarzóne, lavora- gonimèlla: —- gummèlla.
vano come garzoni per i proprietari gonfiasse, v. rifl., gonfiarsi, del
terrieri, ventre di animali per meteorismo
ggentile: —» ggintile. acuto: me s'èra gonfiata una manza
ggintile, ggentile, agg., di razza co mmagnà IP òrzo, jj'éo "avevo"
chianina: nòe jje dimo le vacche dato tanto òrzo \ quando se gon-
ggintile, però èra chjamata la chja- fiavano, acqua e acéto (rimedio
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contro il meteorismo acuto dei bo- zienda agricola (aveva diritto alla
vini). cavalcatura),
gònfio, agg., afflitto da meteori- guernà, v. tr., governare animali,
smo acuto (di animale). guidarèllo, s.m., (ant.) capo dei
grajjòle, graviòle, raviòle (ree.), bifolchi, incaricato di guidarli nel
s.m. pi., ravioli dolci di pastasfo- corso dell'aratura: / guidarèllo,
glia con ripieno a base di ricotta, quéllo ampresava | / guidarèllo è
uova, cannella e liquore; vengono avante "davanti" a ttutte, appòsta
preparati in occasione della festa le chjàmano l guidarèllo.
patronale: pròpio l zanto "la festa guinza, s.f., palude,
patronale", sancf Isidoro portava la gumèra, gomèra, s.f., vomere
grajjòle \ le raviòle, quélle co la ri- dell'aratro: Waratro èra de légno,
còtta. sólo che la gumèra de fèrro, soltan-
grano: e pprima c'èra l Vergigno, to il vomere era di ferro,
r Róma, l Frasinètto, èrano quéste gummèlla, gommèlla (raro), s.f.,
le qualità dde grano, le varietà di giumella, quanto entra nel cavo
frumento. delle due mani accostate con le dita
gràvida, gràvita (raro), agg., (ree.) unite: na gummèlla de grano.
gravida: aèsso "adesso" si comincia
ddì ggràvida, ma na vòlta préna [si imbiffà: —> ambiffà.
diceva]. indiggistiòne, s.f., indigestione
graviòle: —> grajjòle. (di uomo e di animale),
gràvita: —» gràvida. intestà, v. tr., legare per le corna
gréppo, s.m., zona scoscesa, scar- una coppia di buoi,
pata. intistino, s.m., intestino (di uomo
gròtte, s.f., grotta, caverna: dòpo e di animale).
l mi bbabbo féce la stalla, dóppo
qqua, ma sinnò c'iimo la gròtte, e laorà, lavorò, v. intr., lavorare: la-
ddéntro ce tenémo le bbèstie, poi, di vamano ma sfazziènde, in queste
recente, mio padre costruì una stal- || v. tr., arare: lavorò la tèrra, arare
la, ma in precedenza possedevamo il terreno | lavorallo, ararlo | lavorò
una grotta e dentro ci tenevamo le co le bbòa | c'éa "possedeva" tutte
bestie || dim. gruttino: c'è n grutti- maremmane pe llavorà \ le bbèstie
no da na parte che cce dormiino le e "che" llaoràono | émo "abbiamo"
bbifólce, dove dormivano i bifolchi. lavorato col trattóre | la tèrra èra la-
guarda, v. tr., 1. guardare. 2. pa- vorata || Forme: Ind. impf. 1 lavorao;
scolare: guardàono le bbèstie, pa- 2 lavorave; 3 lavoraa; 4 lavoraamo
scolavano. (ree.); 6 laoràono, lavoràano.
guardiano, s.m., guardiano dell'a- lattònzo, s.m., vitello da latte.
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lavorà: —> laorà. mannàano al macèllo e finisce1., se
lé, inter., voce per trattenere unanon ci si ragionava, se non obbedi-
bestia, vano, le mandavano al macello,
lecchjèra: licchjèra. maése, s.f., 1. prima aratura
legatóro, s.m., mangiatoia all'a- dell'anno, su cui viene gettata la se-
perto, alla quale venivano legati i mente: la prima maése. 2. maggese;
bovini: / legatóro, ce le legàvono, stato del terreno lasciato in riposo
via. per seminarvi l'anno successivo:
lemosì, s.f., vacca di razza Limou-aWèpoga n èra cóme ùgge, che cci
sine, di ree. introduzione, só le mèzze, c'è l mórgane, c'è le
lettièra: —> licchjèra. còse, mbócche ggiù ma le maése,
allisci e spiane, a quei tempi non
lèvoto, lièvoto (civ.), s.m., lievito:
/ lèvoto de bbirra (veniva sommi- era come oggi, che ci sono i mezzi,
nistrato ai bovini per favorirne la il mòrgane (vd. mòrghine), gli stru-
digestione), menti. Ora vai nelle maggesi, lisci e
licchjèra (rust.), lecchjèra, let- spiani || dim. maesétta.
tièra (ree., raro), s.f., strame: la magnadóra: —*• magnatóra.
lettièra co la pajja | fa la lecchjèra,magnatójja: —•» magnatóra.
preparare lo strame | è óra de fajje magnatóra, magnadóra, ma-
"preparargli" la lecchjèra | arifà lagnatójja (ree.), mangiatójja (ree.),
lecchjèra, sistemare, mettere in or- s.f., mangiatoia, greppia: jje se met-
dine lo strame, téva l ròtolo del zale, nói, ma la
lièvoto: —> lèvoto. magnatóra, nella mangiatoia,
limito: —> lìmoto. malatìa: —> ammalatìa.
lìmoto, limito, s.m., margine del màneco, mànico, s.m., manico: /
campo: jjó mmellì mmal lìmoto, mànico lóngo "lungo" pe ttoccà le
(ant.) al margine del campo, bbèstie (rif. alla cerrata, 1).
lunara, agg., sterile (di animale mangiatójja: —> magnatóra.
femmina): la vacca lunara || s.f., manichino, s.m., stiva con cui si
vacca sterile. regge l'aratro,
mànico: —> màneco.
macchja, s.f., bosco, macchia || mantra, s.f., spazio recintato per
dim. macchjétta | accr. macchjóne. i bovini.
macellà, v. tr., macellare, manza, manza (civ.) s.f., bovino
macellaro, s.m., macellaio, giovane, di sesso femminile, desti-
macellazzióne, s.f., macellazione, nato alla macellazione: na manza
macèllo: bbèstie da macèllo che da carne | prima che ddiventasse
vvanno macellate \ si èrano bbèstie vacca èra una manza.
che n ce raggionae, allóra le manza: —* manza.
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manzétta, manzétta (civ.), s.f., vi- na medrada o um pélo più "lungo
tella giovane di circa un anno, circa 1 mt. o poco più"! dacabo "in
manzétta: —» manzétta. cima" ce legàono un cordino.
manzétto, s.m., (rust., raro) vitello mazzarèlla, s.f., bastone lungo
giovane di circa un anno, circa mt. 1/1,50, con grossa capoc-
manzo, s.m., (rust., raro) bue ca- chia, usato per pungolare il bestia-
strato, con al collo il campano (vd.), me o come arma da difesa: [maz-
che guida il branco, zarèlla] èra bbòno pure pe ddifènne
maremmana, s.f., vacca di raz- le cristiane "persone", cèrtol
za maremmana: la maremmana è mbiffa: —» ambiffa.
scura e cc'ha le còma lunghe cusì mbiffà: —» ambijfà.
| maremmane all'èpoga. aWèpoga mèrca, s.f., marchiatura a fuoco
c 'èra tutte maremmane, a quei tem- del bestiame: le facìono la mèrca.
pi c'erano soltanto vacche marem- ma le zziènne gròsse, però, la mar-
mane. chiatura veniva praticata, ma sol-
maremmano, agg., di razza ma- tanto nelle grandi aziende agricole.
remmana: la bbèstia maremmana mercà, v. tr., marchiare il bestiame
èra mólto intiligènte, intelligente col ferro rovente,
| vacche maremmane che llavóra- mèrco, s.m., marchio impresso a
no || s.m., razza di bovino allevato fuoco sul bestiame,
nella Maremma: èra n maremmano, mèrda, s.f., 1. deiezione umana. 2.
quéllo. sterco di animali,
mastite: la mastite véne uguale, mesata, s.f., paga mensile:
pure ma le dònne, sia alle vacche da annàvono co le propietàrie a
latte che alle donne, ggarzóne fisse, pròpio a mmesata
maturà, v. intr., macerare, fer- fisso a f f à l pastóre, a f f à l vaccaro
mentare (rif. al letame): se matura- cu le bbòve, i proprietari terrieri li
va, diventava um pò polènte, di una assumevano in pianta stabile, veni-
consistenza simile a quella della vano pagati mensilmente,
polenta | quanno s'èra maturato m mesura, misura, s.f., 1. misura di
pochétto se portava via. capacità per aridi, pari a circa 30 kg.
mazzafrusto, s.m., pungolo costi- 2. recipiente per misurare: la misu-
tuito da un bastone della lunghezza ra de légno.
di un metro circa, su una cui estre- métta, métte, v. tr., 1. mettere:
mità veniva applicata una corda per métta n zólco, solcare | métte sót-
frustare i cavalli e, quando trainava- to, aggiogare | méttelo, metterlo |
no il carro agricolo, i bovini: [maz- jje mettici l mèrco, lo marchiava a
zafrusto] èra um bastóne, m ba- fuoco. 2. seminare: se méttono le
stoncèllo pulito, fatto bbène, lungo bbròccole pe le bbèstie || Forme:
Ind. pres. 2 métte | impf. 2 mettìe, froge delle vacche e dei buoi,
mettive, mettée; 3 mettìa; 4 mettìe- mósca cavatina, s.f., mosca caval-
mo; 6 mettéono | Imper. 4 mettémo. lina (Hippohosca equina L.); infa-
métte: —* métta. stidisce equini e bovini, nel periodo
mèzza, s.f., 1. misura per aridi, estivo.
pari a 25 kg. 2. antica unità di misu- mucca: la mucca da latte \ la muc-
ra agraria di superficie, ca, quélla che ddà l latte, e invéce
mezzatro, s.m., (raro) mezzadro, la vacca quélla che llavóra.
mèzzo: annàvano a mmèzzo, la- muccaro, s.m., custode delle vac-
voravano come mezzadri | facéino che da latte: il muccaro è qquéllo
a mmèzzo, spartivano a metà i pro- che stava co le mucche.
dotti del podere (con il concedente), mucco, agg., nato da una vacca da
misura: —» mesura. latte: / tòro mucco \ la vacca mucca.
misurélla, s.f., unità di misura di mugne: —• mógna.
capacità per aridi, pari a kg. 7 di mujjà, v. intr., muggire || Forme:
grano. Ind. pres. 3 mujja | impf. 3 mujjava.
mógna, mugne (civ.), v. tr., mun- mungana, agg., (raro) di vacca
gere. allevata per la produzione del latte;
mòlla, s.f., stato di inzuppamento mongana: la vacca mungana.
del terreno || prov.: quanno ae "vai" murcinara, s.f., boschetto o mac-
a ssimentà eco la mòlla, è mmèg- chia di scarsa estensione, all'interno
ghjo annà a ddormì eco la nònna (il di una proprietà terriera, dove ven-
terreno bagnato non va seminato); gono gettate le pietre che si trovano
CH: fae sólo che ddanne, fai soltan- nel terreno circostante, al fine di fa-
to danni, vorirne la lavorazione: la murcina-
montà, v. tr., coprire (di animali): ra adè "è" una macchjétta, pìccola,
Vha mmontata. im mèzzo a un terréno.
mónte, s.m., modesta altura, colle, muro a ssécco, s.m., muro senza
poggio, malta, usato come confine per il
mòrgane: —* mórghine. campo || Forme: pi. mure a ssécco,
mòrgano: —» mòrghine. mure a ssécche.
morghinà: —• smorghinà. musaròla, s.f., museruola per bo-
mòrghine, mòrgane (raro), mòr- vini, di ferro o, recentemente, di
gano (raro), s.m., erpice a dischi plastica.
Morgan.
morra, s.f., pendio scosceso, di- natura, s.f., apparato genitale del-
rupo. la donna e di animale femmina,
morzétta, s.f., (raro) nasiera, mor- ncalurito, agg., di bovino in stato
setta di ferro che si applica nelle congestizio od infiammatorio: nca-
lurito ché nu sta hbène col còrpo, l'ordégne che ffamo sto lavóro1.,
coir intistino | la bbèstia che èra prendi gli attrezzi!
ncalurita. ossógna, s.f., sugna, grasso che si
nèrbo, s.m., 1. nervo. 2. mem- forma attorno ai rognoni del maiale;
bro del bue. 3. staffile, formato dal veniva liquefatta e poi massaggiata
membro disseccato ed intrecciato sugli edemi che si formavano sul
del bue. collo dei bovini.
nòcchjo, s.m., nocciòlo (Corylus
avellana L.): cénnere del nòcchjo, padronale: —• patronale.
cenere di legno di nocciòlo (veni- padróne: —> patròne.
va applicata sull'occhio del bovino padulóso, agg., (ree., raro) pa-
leso dal forasacco segalino), ludoso: sò ppòste m pò padulóse,
nominado, agg., denominato, de- sono posti un po' paludosi,
signato con un nome (di animale): pagghja,pajja,paja (raro), s.f., 1.
tutte nóme, c'ìono "avevano", tutte paglia: la bbajja, (raro) la paglia ||
nominade, èhì, tutte], i bovini veni- prov.: o pajja o fièno, bbasta che l
vano tutti denominati, còrpo sia pièno. 2. gambo della spi-
nòstro, s.m., terreno di nostra pro- ga di frumento.
prietà: nòe lavoraamo sèmpre sul pàglio, s.m., sorta di lotteria popo-
nòstro, sul terreno di nostra pro- lare; aveva luogo in occasione della
prietà. festa patronale: il pàglio del paése
| [pàglio] ai tèmpe "a quei tempi"
occhjatìccio, s.m., malocchio (su magare c'èra bbisògno, èh, allóra
persone od animali domestici): gua- mettéono um pajjo di scarpe, maga-
stò Wocchjatìccio, (rust.) togliere il ri mettèono un vistito, tutto attacca-
malocchio | jje levava II'occhjatìc- to "appeso, esposto", in fila, tante
cio, gli toglieva il malocchio, còse! sì, ppòi scrivévono le bbijjet-
ógna, ugna (ree.), s.f., unghia del- tine e wenìono imbussolate déntro
la vacca: ir ugna e la "della" vacca. una scàtola, e cci mettéono sèmpre
ólmo, s.m., ólmo (Ulmus campe- l zanto, sant'Isidoro, quando lo ti-
stris L.); il legno veniva utilizzato ràvono "estraevano", quando usci-
per fabbricare l'aratro ed il giogo. va l zanto e l nóme apprèsso, quéllo
operajjo, s.m., operaio agricolo, vincéva.
pagato a giornata, paja: pagghja.
òpra, s.f. coli., braccianti: annà a pajale, s.m., fune intrecciata tra le
òpra, andare a lavorare a giornata corna dei bovini per guidarli,
come bracciante, pajja: pagghja.
ordégno, s.m., attrezzo, utensi- pajjada: pajjata.
le, strumento da lavoro: pia qqua pajjata, pajjada, s.f., pagliata; in-
testino tenue di vitello o agnello da na e di animale).
latte, condito e cotto al tegame, pàscolo: le bbèstie stanno fora a
pajjo: -> paro. ppàscolo, sono fuori, al pascolo |
palo: dacapo "in cima" al zólco ce èrono a ppàscolo, pascolavano,
piantàvano m palo (vd. m passóne pasquale, s.m., (ree.) trattore agri-
dritto, s. passóne). colo della marca Pasquali || dim.pa-
pannume, s.m., peritoneo (di squalétto.
uomo e di animale), passerèlla, s.f., passaggio nella
pantàscia, s.f., grassella dell'in- siepe: la passerèlla ma la fratta,
guine (di bovino), nella siepe.
parà, v. tr., pascolare: vò a pparà passo, s.m., passaggio: um passo
le vacche, vado a pascolare le vac- col cancèllo.
che | paràono le bbèstie, pascolava- passóne: m passóne dritto (utiliz-
no. zato nel corso della gara del solco
parécchjo, s.m., coppia di bovini dritto per dare l'illusione che il sol-
aggiogati || prov.: tira più um pélo co tracciato fosse più lungo; veniva
de frégna "vulva" che m parécchjo piantato nella parte terminale del
de bbòa || Forme: pi. parécchje, solco, in cima ad un poggio),
parécchj (raro), pastóne, s.m., beverone a base di
parijja, s.f., due paia di bovini ag- semi di lino bolliti; veniva sommi-
giogati che trainano lo stesso aratro, nistrato ai bovini per favorirne la
per i terreni difficili da lavorare, digestione: il pastóne jje se facéva
paro, pajjo (ree.), s.m., 1. paio: col zéme de lino.
m par de mila àttere, duemila etta- patronale, padronale, s.m., gros-
ri circa | c'èra qualcuno che cc'ìa so proprietario terriero,
m pò de tèrra, ma più cche ttenia, patròne, padróne, s.m., proprie-
um par de vacche o ddue, qualcuno tario: le padróne de quéste zziènde
possedeva un piccolo appezzamen- | annàvono co le patròne, erano al
to, ma poteva avere al massimo uno servizio dei proprietari terrieri.
o due paia di vacche | le bbèstie, Pecoraro, s.m., 1. pastore delle
ognuno c'ia "possedeva" um pajjo, pecore. 2. (fig.) persona rozza, ma-
ddu pajje "due paia", ce Wìono tut- leducata: sèe m pecorarol, sei un
te le vacche, chiunque possedeva maleducato.
qualche vacca. 2. coppia di buoi pedana, s.f., afta epizootica: [pe-
aratori o di vacche aggiogati: m par dana] jje venia ma la bbócca cóme
de vacche, m bar de vacche (raro) | um puzzo, (rust.) in bocca si forma-
m pajjo de bbòe || Forme: pi. pare, va una sostanza simile al pus | [pe-
pajje (ree.),pajja (ree.), dana] jje spaccava II'ugna e la vac-
parturì, v. intr., partorire (di don- ca s'azzoppava, eppòe nun ze gita-
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ria più. n ze guarìino più. nun èrono un tempo si trovavano in corrispon-
più bbòne pe llavorà, toccaa falle denza dei pozzi.
macellò, non erano più in grado di piòtta, s.f., zolla, con o senza erba:
lavorare, bisognava farle macellare, vò a rróppe le piòtte, vado a disso-
pèlle: pèlle de bbèstia \ quando se dare le zolle.
nnava a la fièra, c'èrano a wénna piottolóso, agg., zolloso (di terre-
"in vendita" sti pèlle de bbùfolo. no).
pestatura, s.f., contusione (rif. pìscio, s.m., 1. colaticcio delle be-
all'unghia della vacca), stie. 2. orina.
pèzza, s.f., quarto posteriore tene- póccia, s.f., mammella (di donna o
ro della vacca macellata, di animale femmina),
pèzzo, s.m., 1. appezzamento di poderante, s.m., mezzadro: dóp-
terreno: tutte pèzze e sòdo, di so- po piano piano le poderante sò ite
daglia || dim. pezzétto, pizzittino: le via, i mezzadri sono gradualmente
pezzétte de tèrra, modesti appez- scomparsi, se ne sono andati,
zamenti | m pizzittino e "di" tèrra podére: annàvono a ppodére, la-
ce IViomo "possedevamo" tutte. 2. voravano come mezzadri | stava ma
nel corso della gara del solco dritto, m "in un" podére Ili al campo del
porzione di solco tracciata sul piano Gatto | quél podére gròsso || dim.
od in salita, in modo che, osservan- poderétto, podere di piccole dimen-
do i segmenti dal punto di parten- sioni: m boderétto, (raro) un picco-
za, si avesse l'illusione guardare un lo podere,
solco unico: e ssópra sópra le pòg- pògghjo: -> pòjjo.
ge, facéono sti pèzze de sólco. pòggio: pòjjo.
piana: dim.pianétta, zona pianeg- pòjjo, pògghjo, pòggio (ree.),
giante di scarsa estensione, s.m., poggio: da m pòggio a n antro
pianà, v. tr., coprire (di animali): dovéa èsse in dirizzióne, da un pog-
F ha ppianata. gio all'altro, il solco doveva seguire
picchjóne, s.m., piccone: de pri- la stessa direzione (rif. alla gara del
ma la fatto tutto a ppicchjóni, a quei solco dritto) | da m pòjjo a n antro
tempi aveva eseguito l'intero lavoro aripijjòono la dirizzióne de quél
col piccone, zólco, a cchi le facéa più ddritto
piètra: una biètra, (raro) una pie- (id.) || dim. poggétto, puggétto.
tra | na bbèlla piètra, una grossa pontóne, s.m., parte del campo
pietra || accr. pietróne. dove le macchine agricole non rie-
pilétta, s.f., abbeveratoio all'aper- scono ad arrivare: è m pèzzo de tèr-
to, ricavato da un blocco di pietra ra che n ce se rièsce a llavorallo.
di grandi dimensioni: de prima sti arimane m pontóne.
pilétte e'èrono dó e'èrono le pózze, porcaro, s.m., guardiano di porci.
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portapìscio, s.m., (rust.) canaletto diciono lpuncicarèllo. ci mettìe um
di scolo nella stalla, pezzétto de chjòdo appinzado "ap-
pòsta, s.f., segnale per traguardare puntito", e qquanno le toccae jje
il campo: la pòsta p' ambiffallo, per bbucae la pèlle.
picchettarlo, purcina, agg., porcina: tèrra pur-
pozzétta, s.f., pozza dove deflu- cina.
isce lo scolaticcio, all'esterno del-
la stalla: la pozzétta del pìscio \ la quarto, s.m., 1. porzione del cam-
pozzétta fòri de la stalla. po: quél quarto de tèrra \ l quarto
prado, s.m., prato, sarébbe l quarto de sta maése, tut-
préna, agg., gravida (di animale ta, anche pònno èssa pure cénf ètte-
femmina): quélla è ppréna préna\, re, possono essere anche cento etta-
è in gravidanza avanzata, ri | te vénno II'èrba, tutto sto quarto,
présa, s.f., fascia di terreno colti- èl, ti vendo tutta quella che vedi in
vato costituita da una serie di sol- questa porzione. 2. ciascuna del-
chi: facéono le prése, quésto, annà le quattro parti in cui viene divisa
e winì, facìa la présa | le prése pe una bestia macellata: de la vaccina,
sto vèrzo, in questa direzione, sò le quattro quarte | l quarto del
profile, s.m., profìme, asse di le- còscio ) l quarto de la spalla.
gno che tiene unita la bure col cep- quartùccio, s.m., misura per aridi,
po del vomere; l'estremità superiore pari a 15 kg.
è spaccata, in modo tale da potervi
inserire un cuneo di legno, tramite il ramado, s.f., poltiglia bordolese;
quale si regola la profondità dell'a- veniva utilizzata per curare l'afta
ratura (vd. anche zzéppa, 1). epizootica: calce e rramado, sólo
propietàrio, s.m., proprietario ter- che èra mólto più ccalce (le bestie
riero. venivano fatte passare in una poz-
provènna, s.f., profenda, razione za colma di poltiglia bordolese, ma
di foraggio. con una maggiore percentuale di
prucessióne: —> prucissióne. calce rispetto alla soluzione usata
prucissióne, prucessióne, s.f., per solforare le viti),
processione, raviòle: —> grajjòle.
puncicà, v. tr., pungolare: ma le razza: va a la razza, alla monta
bbèstie le puncicae, pungolavi le (rif. alla vacca) | min vanno a la raz-
bestie. za, non si accoppiano (id.).
puncicarèllo, s.m., puntale me- remessino, s.m., recinto per il be-
tallico del pungolo del bifolco: ce stiame vaccino alla fiera,
mettive sù ddacapo "in cima" la réna, s.f., terreno sabbioso, friabi-
cerrata tagghjata "tagliata" para, le: si "se" ttu vvae Uà ssul pòggio è
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rréna. mento: de prima c'èra r Róma, un
renarèlla, agg., sabbiosa: la tèrra tempo,
quélla lènta lènta quélla renarèlla. rompe: —* róppa.
riccoppià: —» ariccoppià. rompetratta, s.f., solco trasversa-
riète, s.m., Rieti, varietà di fru- le sul campo.
mento. rompetura, s.f., dissodamento
rifrescà, rinfrescò, v. tr., favorire del terreno in estate con la cultrina
la digestione: le rinfrésco, le aiuta (vd.) o, anticamente, con l'aratro.
a digerire. róppa, róppe, rompe, v. tr., dis-
righino, s.m., canaletto di scolo sodare: róppe le piòtte \ quanrìèra
nella stalla, ggiugno, lùglio, cominciàano a
rigonfiasse, v. rifl., gonfiarsi di rrómpe l terréno (vd. rompetura).
nuovo, del ventre di animali per me- róppe: —> róppa.
teorismo acuto: quésta se rigónfia. ròsa, s.f., taglio di carne bovina,
rinfrescà: —> rifrescà. corrispondente ad una parte del co-
rinterzà, v. tr., seminare il grano scio: la ròsa de la vaccina è ssul
ogni tre anni: se rinterzava. restava còscio | la parte del còscio adè "è"
a ppàscolo. dóppo tré anne se lavo- la ròsa.
rava, ce se mettia l grano, la ròbba. rùbbio, s.m., antica unità di mi-
ripassa: —> aripassà. sura agraria di superficie, pari a m2
rippe, s.m. (ree.) ripper, tipo di at- 8.000.
trezzo da scavo, ruga, s.f., bruco verde peloso,
ròba: —» ròbba. larva di farfalla che danneggia le
ròbba, ròba (raro), s.f., 1. roba: coltivazioni: dicéa che ssi "se" cce
ha ffatto tutta ròbba da carne (rif. passava l biforco co la cerrata, dice
ad un'azienda ortofrutticola ricon- annàano via, sti rughe (pratica ma-
vertita ad allevamento bovino) | gica secondo cui il bifolco, recitan-
nòe le ugnìimo co la ròbba calla, l do una formula a bassa voce, trac-
zégo callo, ròbba del gènere, le un- ciava con la ralla un passaggio per
gevamo con il sego caldo (rimedio i bruchi, sul quale non avrebbe do-
contro la mastite). 2. prodotti agri- vuto camminare; i bruchi seguivano
coli. 3. proprietà terriera: la ròbba il tracciato sino ad una parete inter-
de lóro, la loro proprietà | nòe sémo na della stalla, dove raggrinzivano
state sèmpre su la ròbba nòstra, e morivano); commento: ce passò
abbiamo sempre vissuto e lavorato "passai", e io così, co la cerrata a
su terreni di nostra proprietà || dim. ttracino "strasciconi", c'èrano più
robbétta, modesta proprietà terrie- dde prima! [ride] c'è dda dì le pa-
ra: la robbétta sua. ròle (l'informatore attribuisce l'in-
róma, s.f., Roma, varietà di fru- successo della pratica alla mancata
conoscenza della formula magica). festa patronale || santa Lucìa Filip-
rumicà, v. intr., ruminare || Forme: pine, Santa Lucia Filippini, a cui è
Ind. pres. 3 ritmica. intitolata la chiesa parrocchiale,
sbalzo, s.m., dislivello del terreno,
sando: —» santo. sbilercà, v. intr., 1. piegare, cur-
sano, agg., di animale non castra- vare (di solco): sbilercava popò,
to: qualche ttòro sano. era un po' storto | quanno fanno l
santo, sando (raro), s.m., 1. san- zólco: va ddritto, nu sbilercà, èhì
to. 2. immagine sacra (vd. tèsta [dicono] | [i bovini] si "se" sbiler-
santa, s. tèsta): [in processione] càvono, di prima, le sonàvono, un
/ prète avante a ttutte, col zanto, tempo li malmenavano | quann'èra
davanti a tutti. 3. santino di gran- n cèrto punto, le scoppiàvono.
di dimensioni, immagine del santo W accoppìàono, ggià ccu m pajjo
patrono data in premio ai vincitori de bbòe, o vacche ggià ddomate.
della gara del solco dritto: jje dàano mettéono una domata e una nò,
un zanto appòsta, fatto appòsta. 4. ha "hai" cupido'?, accoppiate nel
giorno della festa patronale || agg., giógo, ché num podéono "in modo
santo: sanfAntògno, Sant'Antonio che non potessero" sbilercà (descr.
Abate, protettore degli animali, in- della fase della doma in cui i bovi-
vocato quando si entra in una stalla: ni venivano spaiati ed accoppiati a
sanfAntògno! | sanfAntògno fa- bestie già domate). 2. fuoriuscire
guardeì, li protegga | sanfAntògno del vomere dal solco: è ttòsta la
dajje la salute! | sanfAntògno è tèrra, allóra sbilèrca su, se alza | si
pprolettóre de le bbèstie 11 giórno de ddópo sbilèrche, te véne stòrto | si
sanfAntògno, giorno della benedi- "se" sbilercade, annade fora, anda-
zione degli animali e, recentemente, te fuori. 3. (fìg.) recalcitrare, uscire
dei trattori || prov.: santa Lucìa, la dal branco (di animale). 4. (fìg.) sra-
ggiornata córta che cci sìa, Natale, gionare, vaneggiare: sbilèrca, nòe,
um passo de cane, sanfAntògno, intendémo quando nun ce stai più
um passo de bbòvo (rust.) (sull'al- ttanto co la tèsta || Forme: Ind. pres.
lungarsi delle giornate) || sandl- 2 sbilèrche; 3 sbilèrca; 5 sbilercade
sidòro, sanf Isidoro, sanflsitòro | impf. 3 sbilercava; 6 sbilercàvono.
(raro), Sant'Isidoro l'Agricoltore, scarpata: dim. scarpatèlla.
protettore dei contadini e patrono di scassà, v. tr., dissodare, lavorare il
Fastello: sand"Isidoro èppròpio de terreno in profondità: Calìstre scas-
le Casale \ sanf Isidoro è vvinuto a sava le tèrre.
Ffastèllo | sanf Isidoro co le bbòa | scèrole, s.f., vacca di razza Charo-
sand'Isidoro lavoraa co le vacche | laise, di ree. introduzione: scèrole e
l giórno sanf Isidoro, il giorno della llemosì, quelle sò ppròpio da carne
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pròpio. seminà: —* siminà.
scésa, s.f., discesa, sémmala, sémmola, s.f., crusca;
sciacquo, s.m., canaletto trasver- veniva somministrata ai bovini per
sale di scolo sul campo: sciacquo è favorirne la digestione,
quéllo che sse facéa mal "nel" ze- sémmola: —» sémmala.
minato co le vacche, sèrta, s.f., due paia di bovini ag-
sciògghje, sciòjje, v. tr., 1. scio- giogati che trainano lo stesso aratro,
gliere, slacciare: sciòjje le ggiontu- per i terreni diffìcili da lavorare,
re. 2. staccare i bovini dal giogo, sfilasse, v. rifl., paralizzarsi del tre-
sciòjje: —» sciògghje. no posteriore (detto di bovino),
sciugasse: —» sciuttasse. sfonnado, agg., detto di bovino
sciuttasse, sciugasse, v. intr. pron., cui, per contusione, viene un'er-
essere priva del latte (di animale nia che passa il peritoneo e arriva
femmina): se sciuttàono | [la mucca all'addome: è sfonnada ché jje s'è
gravida] a ssètte mése se lascia, se rrótto 1 pannume.
fa sciugà, non viene più munta, sfresa, fresò (raro), v. tr., lavora-
scòjjo, s.m., grande pietra, masso: re il terreno con la frèsa (vd.): col
è no scòjjo gròsso 11 miràcolo de lo trattóre che ppàssono a sfresà |
scòjjo, miracolo attribuito a Sant'I- frèsa la tèrra, lavora la terra,
sidoro l'Agricoltore (vd. top. la fon- signóre, s.m., grande proprietario
tana el Campanile). terriero: (imprec.) un cólpo ma le
scólo, s.m., canaletto di scolo sul signóre e mma echi le protègge!,
campo: lo scólo dell'acqua. venga un accidente ai proprietari
scoppià, v. tr., spaiare, separare terrieri e a chi li protegge!
(di bovini aggiogati) || Forme: Ind. simentà, sementò (raro), v. tr., se-
impf. 6 scoppiàvono. minare: éh, vò "vado" a ssimentàì
scornasse, v. rifl. reeipr., cozzare || Forme: Ind. impf. 3 simentaa j P.
con le coma (di due animali): se pass, siménto, simentato.
s cornono. simentarèllo, s.m., (ant.) semina-
scultrinà, v. tr., arare il terreno tore.
con il coltro: vò "vado" a scultrinà. simentaròla, s.f., bisaccia portata
sécchjo, s.m., bigonciolo per la a tracolla contenente la semente da
mungitura, spargere: [.simentaròla] adè strét-
secónda, s.f., placenta (di donna o ta, e ppòe dacapo "in cima" c'ha
di animale femmina), la bbócca gròssa, prima è strétto
ségola, s.f., segale (Secale cereale strétto così, pòi dacapo più ggran-
L.); veniva somministrata ai bovini de. e allóra quéllo se le portava su
come foraggio, li spalle, piano piano le facéa vini
sementa: —> simentà. avante "davanti", ovante e ssimi-
51
nava. mbè, io, l mi pò "mio padre" stòrto e ssacco dritto (per giustifi-
e"ha ssimentato tante vòlte. care un'aratura malriuscita); CH: /
simentatriee, s.f., seminatrice, zólco si "se" è stòrto n gne fa gnèn-
macchina per spargere ed interrare te. I zacco, si sta ddritto vói dì cche
i semi: simentaa co la simentatriee. è ppièno | patate fitte e l zólco largo
siminà, seminò, v. tr., (ree.) semi- || Forme: pi. sólche, suólche (rust.,
nare: prima "un tempo" siminà cche raro). 2. gara del solco dritto, dispu-
ne sapéono che vvoléa dì'ì dicéono tata tra più squadre, che si svolgeva
sementà\ | la "aveva" simìnato la in occasione della festa patronale:
maése co le vacche || Forme: Ind. l zólco de sand'Isidoro | a Ffastèl-
impf. 3 siminava; 6 seminàono | P. lo se facéa / zólco | volémo métta
pass, siminato. l zólcoì, partecipiamo alla gara?
siminato, s.m., (ree.) terreno, | mettémo l zólcoì, partecipiamo! |
campo posto a semina; seminato, annamo a mmétta l zólcoì, id.
siminatricétta, s.f., (dim., ree.) sórgo, s.m., sórgo (<Sorghum vul-
seminatrice, macchina per spargere gare Pers.); veniva somministrato
ed interrare i semi: qualche ssimi- ai bovini come foraggio: tanto il
natricétta a vvacche, trainata dalle zòrgo, usava, se mettéva "semina-
vacche. va", ché ffacéva il fióre e ppòe sto
smatrà, v. intr., avere il prolasso fióre se capava "selezionava", èra
uterino (rif. alla vacca): ha smatra- tutto um mazzo, èh, se capava sto
to. sórgo, ché la mettévano appiccato
smorghinà, morghinà (raro), v. tr., "appeso" su la stalla e cce IVarisi-
lavorare il terreno con l'erpice Mor- mentàvono, nu lu sò, n affare cusì
gan. "una cosa del genere", quéIVal-
sòccio, s.m., mezzadro: le sòcce tro "la rimanenza" jje se dava a le
de le patròne. bbèstie.
sòda, s.f., femmina sterile di ani- spacca, v. tr., tracciare il solco con
male. l'aratro: spacche un terréno da la-
sòdo, s.m., sodaglia, terreno incol- vorò, tracci il solco,
to. spalla: jje scappava fora la spalla,
soèscio: —> sùèscio. subiva una lussazione omeroscapo-
sólco, s.m., 1. fenditura longitu- lare (detto di bovino) | tirò a spalla,
dinale nel terreno destinata a rice- tirare in due direzioni differenti, di
vere i semi; solco: n zólco, n zólco bovini aratori: si "se" ttìrono a spal-
(raro), un solco | fà l zólco, solcare la è un guajjo, adèi
| quattro o cinque suólche (rust., spallado, agg., di bovino con lus-
raro) | ah, che ssólco stòrtoì (rif. ad sazione omeroscapolare.
un'aratura maldestra) || prov.: sólco spica, s.f., spiga.
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spicchjà, v. tr. e intr., picconare: corteo || dim. stennardino (rust.). 2.
hanno spicchjato, hanno fatto la stendardo dato in premio ai vinci-
mangiatóia, hanno ricavato una tori della gara del solco dritto: uno
mangiatoia (all'interno di una grot- stendardo, meli "lì", ddel zanto.
ta artificiale utilizzata come stalla), 3. (rust.) sistema di picchettamen-
spino, s.m., biancospino, to del campo usato nel corso della
spoccià, v. tr., svezzare un anima- gara del solco dritto; consisteva nel
le: spocciallo pe llevagghje l latte, piantare due paletti congiunti da
pe nun fallo più ppià l latte, svez- un pezzo di stoffa colorata, teso,
zarlo, per non farlo più allattare | al centro del quale veniva posto
èsso mó lo spóccioì, ora lo svezzo, un cerchio bianco; il solco doveva
stabbia, v. tr., concimare: / cunci- quindi passare in corrispondenza di
me stabbia, ròbba chimica, sì. detto segnale,
stàbbio, s.m., letame, concime or- sterrà, v. tr., liberare dalla terra;
ganico. sterrare.
staccà, v. intr., interrompere la sterratóra, s.f., ralla, raschiatoio
fenditura del terreno nei punti in cui per pulire l'aratro: la sterratóra de
questa non sarebbe stata visibile dal fèrro.
punto di partenza, nel corso della stradélla, s.f., viottolo, stretto
gara del solco dritto, passaggio sul campo,
stalla: d.: hai chjuso la stalla stréppo, s.m., arbusto di quercia;
quanno le bòa sò scappade, quan- sterpo.
do sono usciti i buoi || dim. stallét- strìscia, s.f., modesto appezza-
ta, stalla di modeste dimensioni: mento di terreno.
una stallétta bìccola, (raro) piccola siièscio, soèscio, s.m., sovescio: /
| accr. stallóne, stalla di grandi di- zoèscio èra: radice, favétta e llupi-
mensioni: lo stallóne de Tassònìe. ne.
stallada: —> stallata. suo, s.m., terreno di sua, loro pro-
stallata, stallada, s.f., quantità di prietà: quèlle campàano sul zuo ste
animali contenuti in una stalla: na villane, il terreno gli era sufficiente.
stallata de bbèstie.
sténco, s.m., (rust., are.) stinco tàvola, s.f., ala dell'aratro a tavola
(umano e di animale), fissa o della cultrina (vd.): / céppo
stendardo: —> stennardo. co la tàvola èra de fèrro (rif. alla
stennardo, stendardo (raro), s.m., cultrina, vd.) | qui tàvele d" accia]o,
1. stendardo, gonfalone portato in quelle tavole (id.).
processione in occasione della fe- tazza, s.f., (ree.) abbeveratoio,
sta patronale: lo stennardo avante a all'interno della stalla moderna,
ttutte, davanti a tutti, in apertura del tèrmine, s.m., segnale di confine
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del campo: dacapo e ddapiède "in tèsta: la tèsta santa, immagine
cima ed in fondo" se méttono le tèr- sacra; busto di legno raffigurante
mine anche a cciménto. ce métte m Sant'Isidoro l'Agricoltore, all'in-
pèzzo de fèrro, ce métte um pèzzo di terno del quale è conservata una
ciménto armado. presunta reliquia del santo | la tèsta
tèrra, s.f., 1. terreno: dà la tèrra, de sanf Isidoro, id.
regolare la profondità dell'aratura | tettóra, s.f., tettoia,
jje se dà ttèrra, più ttèrra, méno tèr- timóne, s.m., timone dell'aratro: /
ra | levò la tèrra, arare più in super- timóne e "di" légno | / timóne de le
ficie | te pijjaa méno tèrra, lavorava bbòa || dim. timuncèllo.
più in superficie | la tèrra è mmòlla, toccà, v. tr., spingere avanti a sé un
zuppa, bagnata | tèrra cretósa, ter- animale, pungolare: toccà le bbèstie
reno argilloso | tèrra fòrte, terreno | toccà le bbòa || v. intr., spettare: jje
simile all'argilla, pesante e com- toccava de bbòva, faceva il turno
patto, senza calcare né tufo: si "se" notturno, per sorvegliare il bestia-
è ttèrra fòrte te s'appicceca ma la me | te tócca de bbòvdì, è il tuo
tàvola, si attacca all'ala dell'aratro turno? || v. intr. impers., bisognare,
| / grano duro ma la "nella" tèrra occorrere: toccaa chjamà l vitrina-
fòrte | tèrra tòsta, terreno duro | tèr- jo || Forme: Ind. impf. 2 toccae; 3
ra purcina, terra porcina: la tèrra toccaa.
purcina è ddura, tremènda, fatico- tòro: / tòro non è dda lavóro, non
sa, difficile da lavorare | tèrra lèn- è adatto al lavoro nei campi | l tòro
ta, terreno penetrabile all'aria e alla èra fòrte, sài e l tòro èra na bbe-
pioggia, scarsamente produttivo: stiàccia. èh, èra fòrte tantoì | va al
tèrra lènta vale pòco | tèrra sciòlta, tòro, alla monta (rif. alla vacca) | jje
id. | quella tèrra pròpio néra, tòsta, danno l tòro, la portano alla monta
tòsta, che qquanno tu wai a lla- (id.) | chi ttenéva l tòro pe la mónta
vorà, al trattóre lo fa ppattinà. da de le vacche, stava col branco, lo
quanto è ddura. però cce fa anche teneva nella mandria | ma la "nella"
la ròbba "è molto produttiva", èh\ gròssa zziènda, poddarzi pure che
perchè la ròbba fa ppiù ssu qquélla lo potéono pure métte sótto "ag-
che ssu la tèrra lènta. 2. appezza- giogare" qualche ttòro sano, che lo
mento di terreno: n antro pèzzo e domàvono. ma mólto pòco, non era
tèrra, un altro appezzamento di ter- una pratica diffusa || dim. torèllo,
reno | na manciata de tèrra, un mo- toro giovane,
desto appezzamento di terreno | la tracciata, s.f., scia sul terreno,
tèrra de le combattènte, porzione di tracciata come segnale per fornire
terra distribuita dallo stato ai reduci una direzione: famo "facciamo" sta
della prima guerra mondiale. tracciaiai
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tràccio, s.m., orma di animale: l na travèrza trainata | ce se mettìa
traccio de la vaccina | / tràccio de na travèrza pe ttravèrzo "di traver-
la bbèstia. so", co na caténa.
traggiogà, v. intr., togliere il gio- trégghja: -> trijja.
go: [i bovini] traggiogàvono. trag- tréjja: —> trijja.
giogàono s'intènde e "che" bbut- trénta, s.m., tipo di trattore agri-
tàvono l giógo. colo della marca FIAT,
trattóre, s.m., trattore agrico- treqquarte, s.m., trequarti, stru-
lo: l trattóre a ccìngole | allóra le mento chirurgico per penetrare nel-
trattóre c'èrano pòche, di qui tèmpe le cavità; viene utilizzato per favo-
Ili, n tèmpo de guèrra, a quei tempi, rire la fuoriuscita di gas intestinali
durante la guerra | piano piano le dalle bestie colpite da meteorismo
còse sò ccambiate. sò ccumencia- acuto: ho ppréso sto treqquarte,
te a vvenì le trattóre, e allóra émo ttà\, na bbòttajje l'hò nfilado, glie-
"abbiamo" sèmpre lavorato anghi lo ho infilato.
"anche" co le vacche, co le vacche, tri'ale, s.m., canale sul campo nel
o le bbòe, che sia. ma peròì... cu quale confluisce l'acqua condotta
le trattóre se facìa la prima maése dallo sciacquo (vd.) || accr. trìalóne.
(i trattori venivano inizialmente im- trialétto, s.m., canaletto di scolo
piegati soltanto per la prima aratu- della stalla: / trialétto del pìscio.
ra). trijja (rust.), trégghja, tréjja, s.f.,
tratturista, s.m., trattorista. treggia, sorta di slitta arcaica a tra-
travajjo, travajo, s.m., 1. trava- zione bovina, utilizzata per traspor-
glio, congegno di travi per immo- tare il grano,
bilizzare le vacche durante la ferra- troscétta: —> truscétta.
tura: / travajjo ògge ce sò dde fèrro, tròscia, s.f., grossa pozza in cui si
sò ffatte bbène, ai tèmpe èra fatto abbevera il bestiame; può essere ar-
de légno, a quei tempi era di legno. tificiale oppure naturale, formatasi
2. armatura per la monta delle vac- in corrispondenza di una sorgente o
che. composta da più cavità del terreno
travajo: —» travajjo. colme d'acqua: le bbèstie annàa-
travèrza, s.f., (rust.) attrezzo ar- no a hbée ma ste tròsce, andavano
caico di legno costituito da una a bere in queste pozze | tutte tròsce
traversa tondeggiante, applicata al d'acqua meqquìl, qui.
giogo tramite una catena; veniva truscétta (raro), troscétta, s.f.,
impiegato per dissodare le zolle, orma lasciata dal bovino, colma
prima dell'introduzione dell'erpice; d'acqua: la troscétta mal tràccio de
in seguito l'utilizzo è stato limitato la vaccina, nell'orma della vacca,
ai pendii, più difficili da lavorare: tuo, s.m., terreno di tua proprie-
55
tà: nun ce campae sul tuo. toccava pòchi jje dicono le vaccine ma le
annà a òpra, il terreno di tua pro- vacche, alcuni le chiamano vaccine
prietà non era sufficiente, bisogna- | se dovrèbbe di bbuvine, ma però,
va andare a lavorare a giornata, ha isto "hai visto"?, nói capace che
jji si dicéa le vaccine, capitava che
ugna: —> ógna. le chiamassimo vaccine (la voce
ufio, s.m., olivo (Olea europaea "vaccina" viene avvertita come dia-
L.); le foglie venivano sommini- lettale).
strate ai bovini come foraggio (vd. vaco, s.m., chicco: il vaco del gra-
bbròzzo). no.
umiccióne, s.m., ombelico (uma- vanga: la vanga quélla che f f a la
no e di animale). maése.
vangà, v. tr., vangare: se vanga.
vacca: ddu acche, (raro) due vac- varacchina, s.f., varechina; veni-
che | vacche bbianche, di razza chia- va utilizzata per disinfettare le ferite
nina | le vacche ggintìle, id. [ le vac- dei bovini: m pò de varacchina.
che sarde (di ree. introduzione) | le vaso, s.m., (fig.) apparato mam-
vacche da lavóro \ le vacche da latte mario di un animale,
| toccò le vacche, pungolare | le vac- vergaro, s.m., vergaio, capo del
che de le tue, di tua proprietà 11 naso personale di azienda ovicola: / ver-
de la vacca | / fianco de la vacca \ l garo quéllo che ccommannava, sót-
culo de la vacca | c lamo vacche, to al padróne.
pèquere e mmajjale. altro un c'èra, vergigno, vergìnnio, s.m., Virgi-
(rust.) possedevamo vacche, pecore lio, varietà di frumento,
e maiali. Non c'era nient'altro | de vergìnnio: —> vergigno.
vacche io ce IP io parécchje, ne pos- vetrinajjo: —> vitrinajjo.
sedevo tante | da picculo, cìomo le villano, s.m., contadino proprie-
vacche, da grande, e'ionio lo stés- tario di un piccolo appezzamento
so le vacche, dòpo sèmo, sémo iti di terreno e di una vigna: c'ée na
in guèrra, sémo venute e anco sse manciata de tèrra èri villano, se
lavorava co le vacche, quando ero possedevi una piccola quantità di
piccolo, possedevamo delle vacche. terreno || prov.: al villano nu gne lo
Una volta adulto, ne possedevamo fà ssapére, quanfè bbòno il càcio
ancora. Poi siamo andati in guerra, co le pére.
siamo tornati, e si lavorava ancora vinticinque, s.m., tipo di trattore
con le vacche. agricolo,
vaccaro, s.m., bovaro: / vaccaro viscica, visciga, s.f., vescica (uma-
cu le bbòve. na e di animale),
vaccina: la vaccina da latte j m visciga: —» viscica.
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vitamajja, s.f., letamaio: [i bovi-
chio della zappa (dissodamento del-
le zolle) || par.: gnorante quante na
ni nella stalla] ìono "avevano" fatto
zzappa, grossolano, maleducato,
tutta la mèrda de la nòtte! èh, a la
zzappà, v. tr., zappare,
mattina pìjjae sii um pò de pajja co
zzappatura: prov.: mèjjo na zzap-
sta mèrda, le mettìe su la carriòla e
patura che ddièce cuncimate.
le portae ma sta vitamajja, nel le-
tamaio. zzappóne, s.m., grossa zappa ro-
busta per terreni sassosi e duri,
vitèllo: un vitèllo che pp'ìa l latte,
zzéppa, s.f., 1. cuneo di legno, po-
che viene allattato | qualche vvitèllo
sto ad incastro con il profime, che
da carne \ ai vitèlle, dóppo che sse
consentiva di regolare la profondità
facéono gròssi jji se dava l nóme,
dell'aratura (vd. anche profile). 2.
una volta adulti venivano denomi-
cuneo di legno per fissare la cóncia
nati || dim. vitellètto, vitello fino ad
(vd.) al giogo: la zzéppa pe rrèggia
un anno di età | accr. vitellóne, vitel-
la cóncia, per reggere,
lo tra il primo ed il secondo anno di
zziènda: —> zziènna.
età: vitellóne da carne | vitellóne da
ingrasso. zziènna, azziènna, zziènda,
azziènda, zziènta (raro), s.f., azienda
vitrinajjo, vitrinajo, vetrinajjo,
agricola: leggente "persone"prima,
vitrinàrio (civ.), s.m., veterinario:
tutte a llavorà ppe sti zziènne, pe
èra un vitrinajjo in gamba | però
le campagne "in campagna", ope-
na vòlta ce s'èf ammalato n vitèl-
rajje, garzóne \ na gròssa zziènda,
lo, nn azzinnava più, nnò'ì allò "al-
di grandi dimensioni | ha smésso la
lora" la mi sòcera jféva llevato I
malòcchjo. però se n chjamàomo lzziènna, ha cessato l'attività | allóra
dó "dove" c'èrano ddièce bbifólce,
vitrinàrio, l vitèllo moriva!, se non
dò c'èra quìndece, dó c'èrano cin-
avessimo chiamato il veterinario il
vitello sarebbe morto, que, secóndo la zziènta quant'èra
vitrinajo: —» vitrinajjo. gròssa e ppiù cc'èreno, più era
vitrinàrio: —» vitrinajjo. grande l'azienda, più bifolchi vi la-
voltorécchjo: —» volturécchjo. voravano | la zziènna e "di" Cali-
stre | la zziènna e "di" Cadétte | la
volturécchjo, voltorécchjo, s.m.,
zziènda de Bbajarde | la zziènda de
aratro in ferro a due ali con vome-
Tassònie.
re versoio, usato per arare pendii:
voltorécchjo da bbòva, trainato dai
zziènta: —> zziènna.
buoi | voltorécchjo da trattóre, trai-
zzinna, s.f., mammella di donna
nato dal trattore agricolo. e di animale: la vacca maremmana
nu jje s'ammalava, la zzinna, non
/zappa: róppa co la zzappa. era soggetta alla mastite,
coWòcchjo e la zzappa, con l'oc- zzinnà: —* azzinnà.
57
zzoppina: —• zzuppina. maria, vacca,
zzuccà, v. intr., cozzare con le cor- marinèlla, vacca,
na (di animali): quélla zzucca, sta morétta (la): —» murétta.
attènto ché zzuccaì || zzuccasse, v. murétta, morétta (la), vacca; dal
rifl. recipr., cozzare con la corna (di colore del manto,
due animali): se zzùccono. natalina (la), vacca,
zzuppina, zzoppina (raro), s.f., nerina (la), vacca; dal colore del
afta epizootica: la zzoppina e la pe- manto.
dana sò uguale (sono sinonimi). padiglióne, patiglióne (raro), bue.
palmarina, vacca,
NOMI IMPOSTI AI BOVINI palommina, vacca; forse dal colo-
re del manto,
altobbèllo, bue. patiglióne: —> padiglióne.
arditèlla, vacca: tanto, Arditèlla riccétto, bue.
tanto, usava, era un nome molto co- rodéo, toro,
mune. rosétta: —> rosétta (la).
bbaricèllo, bue. rosétta (la), rosétta, vacca: io le
bbellacima, vacca, chjamavo, le chjamavo... Rosétta!,
bbellatréccia, vacca, fòrza, vièneì, qual, qua\, e ddu fi-
bbellavita, bbellavita (la), vacca, schje, e vvenianoì, due fischi ed ar-
bbellavita (la): —» bbellavita. rivavano,
bbelmante, bue. spadina, vacca,
bbianca (la), vacca; dal colore del sposétta (la): —> spusétta (la).
manto. spusétta (la), sposétta (la), vacca,
bbrillante, bue, toro, stellina, vacca da latte; nome mol-
bbrunétta, vacca; dal colore del to comune, imposto, di norma, per
manto. la macchia sulla fronte, ma a volte
bbrunétta (la): —> bbrunétta. usato anche in sua assenza,
bbruno, bue; dal colore del man- tortorèlla, vacca; dal colore del
to: c'èra quelle Ili che èrono m pò manto.
bbèlle scuri "molto scuri" jje dicìo- venezziana, vacca.
no Bbruno. ha "hai" capito? perchè
èra scuro, perchè èra n maremma- ANTROPONIMIA
no, quéllo.
colonnèllo, bue. argisa, ipocor., Adalgisa (infor-
cornacchjòla, vacca; dal colore matrice),
del manto, bbajarde, Baiardi, cogn. di pro-
fioravante, bue. prietario terriero (di Montefiasco-
ggilda (la), vacca. ne).
bbattagline, Battaglini, cogn. di cor. con cui era nota la madre | Disi-
proprietario terriero (di Bagnore- dòro el Capòccia, dal sopr. con cui
gio) || le Bbattagline, farri, era noto il padre (vd. / Capòccia).
bbruciafèrro, sopr. di fabbro; dorina: —» durina.
fabbricava le parti metalliche degli durina, dorina, ipocor., Isidora.
strumenti del bifolco; il sopr. è do- isitòro: —*• disidòro.
vuto alle scarse capacità lavorative Ièlla, ipocor., Adele (informatri-
a lui attribuite: un fabbrétto um pò ce).
scadènte. maguggiatta (la), sopr. di "maga"
bbùzzeca (la), bbùzzica (la), sopr. e guaritrice: la Maguggiatta stava
di "maga"; l'appellativo fa riferi- "viveva" a Ffontanèlle.
mento alla corporatura: èra grassét- manetta, ipocor., Maria (informa-
ta. trice).
bbùzzica (la): —* bbùzzeca (la). nina, ipocor., Clementina (infor-
caicchje (le), cavicchje (le) (raro), matrice),
sopr. fam., forse da caicchja (vd. peggiorò, sopr. di bifolco,
gloss.). pèppe fao, sopr. (informatore),
caliste: —*• calistre. pietràccio, sopr. di Pietro Calisti,
calistràccio, sopr. di Pietro Calisti, proprietario terriero (di Celleno).
proprietario terriero (di Celleno). pippo, ipocor., Filippo (informa-
calistre, caliste, Calisti, cogn. di tore).
proprietario terriero (di Celleno): polidòre: —*• pulidòre.
èra n omo cattivo, Calistre || le Ca- pulidòre,polidòre, Polidori, cogn.
listre, fam. di proprietario terriero || le Puli-
capòccia (1), sopr., dal mestiere dòre, fam.
esercitato: facéa l capòccia (vd. ranucce, ranucci (raro), Ranucci,
gloss.). cogn. molto diffuso a Fastello e nei
carlétte, Carletti, cogn. di proprie- centri limitrofi: le Casale e ppure
tario terriero || le Carlétte, fam. Salcióne, tutte Ranucci.
cavicchje (le): —• caicchje (le). ranucci: —* ranucce.
ciro: / zòr Ciro, l zur Ciro (raro), sènze, Sensi, cogn. di proprietario
il signor Ciro (Calisti), proprietario terriero (di Roma, forse originario
terriero (di Celleno). di Grotte Santo Stefano): Sènze To-
ciuchétto (1), sopr. di bifolco, nino, Antonio Sensi,
crocciala, sopr. di capòccia (vd. sónno, sopr. di guaritore, lett.
gloss.): ma Ddisidòro "ad Isidoro" "sónno"; viveva nel Bagnorese:
jji dicìono Crocciala. guaria Wammalatìe (rust.).
disidòro, isitòro (raro), n. pr., Isi- stréga (la), vd. la Maguggiatta.
doro: Disidòro de la Lina, dall'ipo- tassògne: —> tassònie.
tassòne: —> tassònie. casale (le), casale (li) (raro), casa-
tassònie, tassògne (raro), tassòne li (li) (raro), Ranucci (DD 42.5468°,
(raro), Tassoni, cogn. di proprieta- -12.0945°), 425,6 m s.l.m., nel ter-
rio temerò (di Montefiaseone) || le ritorio di Montefiaseone; modesto
Tassònie, le Tassògne (raro), le Tas- nucleo abitativo, nelle vicinanze
sòne (raro), fam. della SP Fastello; costituiva il punto
zzilatto, sopr. di bifolco. di partenza della gara del solco drit-
to, prima che questa venisse sposta-
TOPONOMASTICA ta a Fastello: quél zólco partia da
li Casali | amavamo a la méssa a
bbucatte (le): —» bbugatte (le). li Casali | le Casale èrono tutte Ra-
bbugatte (le), bbucatte (le) (raro), nucce | tutte parénte, tutte Ranucci,
Bocatti o Bugatti (DD 42.5464°, èrano, e llòro festeggiàvono tutto
-12,0922°), nel territorio di Viterbo; "tutti" sand'Isidoro e ffaciono sto
modesto nucleo abitativo sito a ri- sólco da le Casale, l mi babbo me
dosso della SP Fastello, al confine le dicia. e vvinivono a Ffastèllo, col
con Montefiaseone, ad ovest della zólco, arrivavano fino a Fastello ||
borgata principale; oggi costitui- CTR Lazio, IGM Celleno.
sce parte integrante dell'abitato di casale (li): —*• casale (le).
Fastello: le Bbucatte sò qquanno casali (li): —> casale (le).
vènghe "vieni" da Montifiascóne || chjèsa de fastèllo (la), chiesa par-
CTR Lazio, IGM Celleno. rocchiale di Fastello (DD 42.5468°,
campanile (1), top. non cartogra- -12.0945°), intitolata a Santa Lucia
fato, nel territorio di Viterbo; area Filippini, sita nell'omonima via.
circostante la fontana el Campanile chjèsa de le casale (la), chjesétta
(vd.). de le casale (la), chiesa rurale scon-
campo del gatto (1): —> campo el sacrata (DD 42.5507°, -12.0823°),
gatto (el). intitolata a Sant'Isidoro l'Agricol-
campo el gatto (1), campo del gat- tore, in loc. Ranucci (vd. le Casale):
to (l), pòggio el campo el gatto (/), l zanto l'hanno pòrto a Ffastèllo.
Campo del Gatto o Campo del Gal- sand'Isidòro l'hanno pòrto a Ffa-
lo (DD 42.5254°, -12,1049°), 357,7 stèllo. e la chjèsa è stat'abbando-
m s.l.m., nel territorio di Viterbo; nata, dalla chiesa di Sant'Isidoro,
costituiva uno dei punti d'arrivo l'immagine sacra è stata portata a
della gara del solco dritto, con par- Fastello.
tenza da Fastello: / campo del Gat- chjèsa de sand'isidòro (la), lo
to, è cchjamato, quél pòggio sópra stesso che la chjèsa de le Casale
la ferrovia || CTR Lazio, IGM Cel- (vd.).
leno. chjesétta de le casale (la): —>
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chjèsa de le casale {la). montiugo, monteugo (raro), Mon-
cùppula e muntifiascóne (la), cu- te Iugo (DD 42,4866°, -12,0545°),
pola della cattedrale di Santa Mar- 433,7 m s.l.m.; modesta altura sita
gherita, a Montefìascone; veniva tra la SR Cassia e la SP Mariana,
talvolta utilizzata come punto di nel territorio di Viterbo; costituiva
riferimento per tracciare il solco, uno dei punti d'arrivo della gara del
nel corso della gara: jje dae la diriz- solco dritto, con partenza da loc.
zióne vèrzo la cùppula e "di" Mun- Ranucci (vd. le Casale): arrivàvo-
tifiascóne. no ggiù a Mmonteugo, pure || CTR
fontana el campanile (la), Fon- Lazio.
te Campanile (DD 42.5507°, muntifiascóne, montifiascóne,
-12.0823°), fonte sorgiva, nel ter- Montefìascone.
ritorio di Viterbo; secondo la tra- muntìsere, (rust.) Montisola (DD
dizione popolare sarebbe scaturita 42.5507°, -12.0823°), 498,7 m
da un colpo inferto su una roccia s.l.m., collina prossima a Zeppona-
da Sant'Isidoro l'Agricoltore con mi, nel territorio di Montefìascone;
la ralla: quésto sand' Isidoro ha costituiva uno dei punti d'arrivo
bbattuto co la cerrata e è uscita della gara del solco dritto, con par-
quél?acqua del Campanile || CTR tenza da loc. Ranucci (vd. le Casa-
Lazio, 1GM Celleno. le) || CTR Lazio, IGM Montefìasco-
fontanèlle, piccolo nucleo abitati- ne.
vo situato presso l'omonima loca- piazza de la chjèsa (la), spiazzo
lità (DD 42.5598°, -12.0951°), nel situato di fronte alla chiesa parroc-
territorio di Viterbo; sito a ridosso chiale (DD 42.5466°, -12.0945°),
della SP Fastello, oggi costituisce 430 m s.l.m., nel territorio di Vi-
parte integrante della borgata prin- terbo; coincide con un tratto di via
cipale || CTR Lazio, IGM Celleno. Santa Lucia Filippini; costituiva
fòsso de le lamarèlle (1), fòsso de il punto di partenza della gara del
le ramarèlle (l) (raro), top. non car- solco dritto, dopo che questa, da
tografato, nel territorio di Viterbo; loc. Ranucci, fu spostata a Fastel-
modesto corso d'acqua prossimo al lo: la partènza è dda la piazza de la
bivio tra la SP Teverina e la SP Fa- chjèsa, èra.
stello, sito in loc. Le Amarelle (DD pòggio de bbajarde (1), top. non
42,5485°, -12,0883°), in CTR La- cartografato, nel territorio di Mon-
zio, IGM Celleno. tefìascone; lett. "il poggio di Baiar-
fòsso de le ramarèlle (1): —» fòsso di" (dal cognome del proprietario;
de le lamarèlle (/)• vd. antr. Bbajarde)-, la modesta al-
monteugo: —> montiugo. tura, non identificata con precisione
montiflascóne: —* muntifiascóne. ma prossima a loc. Budrione (DD
42.5524°, -12.0736°), in IGM Mon- lo nucleo abitativo nel territorio di
tefiascone, costituiva imo dei punti Celleno || CTR Lazio, IGM Celle-
d'arrivo della gara del solco dritto, no.
con partenza da loc. Ranucci (vd. le trealóne (1): —» trl'alóne (/).
Casale). trìalóne (1), trealóne (l) (raro),
pòggio de le vacche (1), Podere top. non cartografato, nel territorio
Poggio delle Vacche (DD 42.5811°, di Viterbo; modesto nucleo abitati-
-12.0937°), 465,7 m s.l.m., nel ter- vo sito a ridosso della strada pro-
ritorio di Viterbo; costituiva uno dei vinciale, immediatamente ad ovest
punti d'arrivo della gara del solco di Fontanèlle (vd.); oggi costituisce
dritto, con partenza da loc. Ranucci parte integrante dell'abitato di Fa-
(vd. le Casale) || CTR Lazio, IGM stello; il top. fa riferimento ad un
Celleno. trìale (vd. gloss.), tuttora esistente,
pòggio el campo el gatto (1): —> che scorre in prossimità della bor-
campo el gatto (l). gata.
precòjjo (1), top. non cartografato, zzepponame (le), Zepponami
nel territorio di Viterbo; podere im- (fraz. di Montefiascone).
mediatamente a nord di Procoietto
(DD 42.5598°, -12.0951°), in IGM
Celleno; il top. fa probabilmente ri-
ferimento a tecniche di allevamento
arcaiche.
ranucce (le), (civ.) lo stesso che
le Casale (vd.): èra llassù, sant'I-
sidoro. de li Casale, èra. veraménte
sò cchjamate le Ranucce, quélle.
salcióne, Salcione (DD 42.5466°,
-12.0945°), nel territorio di Celle-
no; la località include il piccolo nu-
cleo abitativo di Casa Salcione (DD
42.5579°, -12.0992°) || CTR Lazio,
IGM Celleno.
sambuco (I), top. non cartografa-
to e non identificato; costituiva uno
dei punti d'arrivo della gara del sol-
co dritto, con partenza da loc. Ra-
nucci (vd. le Casale).
strappacéce, Casa Strappaceci
(DD 49.5476°, -12,1001°), picco-
62
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64
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