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notiziario di Piansano e la Tuscia
Anno XIV n° 4
OTTOBRE / DICEMBRE 2009

“Fior di ginestra...”
dalla
Tuscia
Grotte
Santo Stefano Un vocabolario dialettale
Flavio
per il capoluogo
Francesco Petroselli, “Il lessico dialettale viterbese
Frezza
nelle testimonianze di Emilio Maggini” (Viterbo 2009)

N
on si può certo affermare che il lessico dialet-
tale viterbese sia scarsamente documentato:
un seppur ristretto numero di pubblicazioni
ha avuto il pregio di fissare su carta termini ed
espressioni altrimenti condannati all’oblio. Ciò che
mancava era un testo che alla facile comprensibilità,
anche da parte dei non esperti, unisse accuratezza e
precisione tanto nella raccolta delle informazioni
quanto nella loro presentazione. Mancava insomma un
autentico vocabolario che illustrasse con cura scienti-
fica non soltanto il lessico vernacolare del capoluogo,
ma anche il suo utilizzo quotidiano, e che ne rappre-
sentasse in maniera soddisfacente le caratteristiche
fonetiche.
A partire dallo scorso novembre studiosi, appassiona-
ti e semplici curiosi possono finalmente contare su
uno strumento preciso ed affidabile, ossia il nuovo
libro di Francesco Petroselli: Il lessico dialettale viterbe-
se nelle testimonianze di Emilio Maggini (Banca di
Viterbo-Credito Cooperativo, Tipolitografia Quatrini,
Viterbo 2009, 640 pagg.). Si tratta purtroppo di
un’edizione fuori commercio; una copia elettronica è
tuttavia scaricabile, gratuitamente, dalla biblioteca
digitale dell’università di Göteborg, al seguente indiriz-
zo:
http://hdl.handle.net/2077/21808
Come suggerisce il titolo, i materiali presentati proven-
gono da un’unica fonte, ovvero il poeta dialettale Emi-
lio Maggini, del quale si dirà meglio in seguito. Sfo-
gliando l’opera ci si trova di fronte alla fedele riprodu-
zione di un lessico “rappresentativo dell’uso collettivo
delle generazioni anziane nel quartiere contadino ed
operaio di Pianoscarano”, che per alcune caratteristi- In copertina: il quartiere di Pianoscarano nella prima metà del ‘900 (archivio Mauro
che si distingueva non soltanto dal viterbese parlato Galeotti). Le immagini che corredano l’articolo sono tratte interamente dal libro

da li bbucóne - “i benestanti” - ma anche da quello in


uso negli altri quartieri del capoluogo. monumentale Proverbi e detti proverbiali della Tuscia
viterbese (Viterbo 2001) ed il più recente Contributo
L’autore alla conoscenza del dialetto di Canepina. Con un saggio
Francesco Petroselli - nato a Viterbo nel 1932, libero introduttivo sulle parlate della Tuscia viterbese (Civita
docente all’università di Göteborg, in Svezia - ha già Castellana 2008), nonché due raccolte di estremo inte-
pubblicato testi importanti e noti ben al di là dei confi- resse - ancora inedite - relative a preghiere e canti poli-
ni provinciali, quali ad esempio Blasoni popolari della tici registrati nella nostra provincia nel corso di oltre
Provincia di Viterbo Vol.I-II (Viterbo 1978-1986), un trentennio di ricerche.
Canapicoltura viterbese: documenti di storia orale Va ricordata infine la pluridecennale partecipazione di
(Viterbo 1981) e La vite. Il lessico del vignaiolo nelle Petroselli alle attività del Gruppo Interdisciplinare per
parlate della Tuscia Viterbese Vol.I-II (Göteborg 1974- lo Studio della Cultura Tradizionale dell’Alto Lazio, al
1983), nonché numerosi contributi a riviste e bollettini quale si devono l'organizzazione di iniziative e conve-
locali. gni, nonché numerose pubblicazioni relative alle “cul-
L’autore ha inoltre curato, insieme a Luigi Cimarra, il ture subalterne” della Tuscia.

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oggetta ott-dic 2009
dalla
Tuscia
Emilio Maggini, poeta viterbese Fijje mie, magnate magnate, / l pane rótto nu lu tocca-
Emilio Maggini (Viterbo 1906-1986) - “agricoltore, viter- te, / quéllo sano nu lu roppéte, / favorite se ppotéte
bese di Pianoscarano, il quartiere più popolare della (tiritera).
città” - è noto non soltanto per la bellezza dei suoi
scritti - che comprendono tre raccolte poetiche e tre Fòr di Pòrta Fiorintina c’hanno mésso li lampióne, / pi
volumetti in prosa - ma anche per la loro accuratezza ffà llum’a sti bbucóne, / chi cci vanno a ffà ll’amó
linguistica, estranea a certe influenze del romanesco, (canzone).
che già nei primi decenni
del secolo scorso erano
avvertibili sia tra gli
scrittori dialettali viter-
besi che tra i membri
della borghesia cittadi-
na. Nelle parole del
poeta: “Mi sono sforzato
di esprimermi con i suoni
della mia parlata nativa,
anche a rischio di com-
promettere la limpidezza
del verso e la sua
eleganza ritmica. D’ac-
cordo, questa nostra par-
lata sembra poco adatta
per raffigurazioni gentili,
per astrazioni e ragiona-
menti elevati; ma basta
per dire l’essenziale della
nostra esperienza umana.
Modificarla e violentarla
non è leale e preferisco
rispettarla come ce l’han-
no tramandata i padri”.
Ritratto di Emilio Maggini (archivio famiglia Emilio Maggini)

L’opera
È bene specificare che Carta d’identità di Emilio Maggini (archivio famiglia Emilio Maggini)
soltanto una parte dei materiali proviene dagli scritti
di Maggini; i rapporti di parentela tra Petroselli ed il
Séta monéta / lle dònne de Gaéta / che ffìlono la séta, /
poeta hanno infatti permesso all’autore di effettuare, a
la séta e la bbambace, / Peppino num me piace, / me
partire dal 1960, lunghe interviste relative agli argo-
piace Ggiuvanne, / chi ffa ccantà li galle, / li galle e le
menti più disparati: agricoltura, medicina popolare,
galline, / la chjòccia e li pulcine, / la bbèlla zzitèlla, /
credenze e superstizioni, arti e mestieri, ecc. La
chi ggiòca a ppiastrèlla, / col fijjo dil ré, / tira sù sto
paziente sbobinatura dei materiali ha quindi fornito
piède che ttòcca a tté (filastrocca).
una mole di informazioni tale da poter offrire una rap-
presentazione a tutto tondo del dialetto un tempo in Non mancano esempi di testi contenenti doppi sensi
uso a Piascarlano. ed allusioni:
Il libro si apre con un esauriente saggio introduttivo
Quélla dònna chi ffilava / dalle la fava!
contenente notizie biografiche e bibliografiche su
Emilio Maggini insieme ad un’accurata ricostruzione La battuta fa riferimento “all’abitudine delle filatrici di
dell’ambiente culturale, economico e sociale di quar- tenere in bocca una fava per aumentare la saliva con
tiere e cittadino dell’epoca. cui umettare il filo” ed offre quindi uno spaccato non
La parte successiva, dedicata ai “Documenti etnolingui- soltanto dell’umorismo popolare ma anche di una
stici e folklorici”, contiene alcuni testi narrativi, un modalità lavorativa ormai tramontata o marginale.
buon numero di testi brevi (relativi a credenze, usan- Segue l’imponente “Vocabolario dialettale viterbese”: si
ze, consuetudini, ecc.) ed un’ampia raccolta di testi fol- tratta di un accurato elenco di termini in vernacolo e
klorici relativi sia al mondo degli adulti (stornelli, can- delle loro varianti fonetiche, in cui non mancano prezio-
zoni, orazioni, indovinelli, ecc.) che a quello dei bambi- se indicazioni sulla frequenza e la vitalità delle voci pre-
ni (ninnananne, filastrocche, scioglilingua, ecc.): sentate (si distinguono termini rari, recenti, arcaici, ecc.).

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dalla Pianoscarano
(archivio Francesco Galli)
Tuscia
Si apprende quindi che chjù significa “chiurlo, assiolo
(Otus scops L.)”; che il termine stramo sta ad indicare il
“fogliame” o i “resti della battitura dei legumi secchi”;
che la grànena e la ggelata altro non sono che la “gran-
dine” ed una “brinata dannosa” per le coltivazioni. Più
noti - e in qualche caso ancora attuali - sono termini
come: piccasórce, ossia “pungitopo (Ruscus aculeatus
L.)”; corcasse o colcasse, vale a dire “adagiarsi”, “acca-
sciarsi” oppure “coricarsi, andare a riposare”; zzélla,
ovvero “sudiciume sulla pelle” e in senso figurato
“sfortuna”: pòrte pròprio zzélla tu.

Poesie di Emilio Maggini Per un gran numero di voci è disponibile un’ampia fra-
seologia consistente in espressioni colloquiali, detti,
Nu’ mi ni va bene una proverbi, blasoni popolari, ecc.:
Nu’ mi ni va bene una pi’ ‘l su’ verso,
escio da casa e lasso ‘l fazzoletto,
crompo l’ombrello novo e già l’ho perso sòrdo, s.m., soldo: n c’ha n zòrdo pi ffanne due | quélle
vo aprì la porta e ciò la chiave drento. sò ggènte che cc’hanno le sòrde, sono ricchi | nvéce
- Mi fo li scarpe nove e mi li sento ll’operajje, l zòrde le pijjava la famijja | ~ de càcio, bam-
chi vanno bene e po’ nun c’è più verso bino di statura ridottissima | m’ha détto n zòrdo!, ti
da fall’entrà e ci cammino a stento sembra poco? || dim. sordarèllo || pl. sòrde, soldi, de-
e ciò ‘na zella chi mi vene appresso. naro: pi qquattro ~ lo crómpe | pòre ~ del mi zzi Pèppe!
- Ma la vigna chi c’ivo piantata | pòre ~ bbuttate!, sprecati | cu le sòrde dil tenènte te sè
pi’ tanto tempo nun ciò preso gnente fatta la pirmanènte (frammento di canzone) | quattro ~
sempre viniva granena e gelata.
de tratteniménto, cosa immaginaria, che si manda a
Da famme cappellaro evo pensato
ma ho smesso pi’ pavura chi li gente prendere presso qualcuno da bambini, della cui pre-
avesseno da nascia senza capo. senza ci si vuol liberare per qualche tempo | (d.) l
zòrde sò ffatte pe èssa spése.
Quanno 'l chiù v'avarà avvisato
Quanno a la sera corche su lu stramo Verso un vocabolario della Tuscia Viterbese
dormevemo pir terra Nonostante la mole, l’opera di Petroselli non ha prete-
la luna ci guardava se di completezza, né per quanto attiene il piano lessi-
fije mie! cale né tanto meno per ciò che riguarda i testi folklori-
Mo chi s’avvicina ci. Sarebbe sbagliato, inoltre, credere che Il lessico dia-
pir mi l’urtema sera; lettale viterbese possa dirsi rappresentativo dei dialet-
quanno sarà ‘rrivata
ti dell’intera provincia: se i termini in uso sono in gran
‘l camiciotto mio drento a la grotte
nu’ lu staccate! parte condivisi, notevoli possono essere le differenze
Si mi veggarete giù mal fosso nella fonetica, nella morfosintassi, nel grado di apertu-
‘nfra ‘l piccasorce ‘ndove ‘l rusignolo ra alle innovazioni provenienti dalla lingua nazionale,
cantava e c’eva ‘l nido, nelle influenze e nelle convergenze con le aree limitro-
nu’ mi chiamate! fe (siano esse la Toscana meridionale, l’Orvietano,
Più là ‘ndove la scricciola covava l’Amerino, la Campagna Romana, ecc.).
vicino ‘ndu gocciava l’acqua fresca, Non a caso il libro non costituisce che il primo volume
si mi vedete llì, della collana “Vocabolario Dialettale della Tuscia
nu’ mi chiamate! Viterbese”; faranno seguito altri vocabolari come quel-
Pirchè dret’al canneto
lo relativo al dialetto di Blera - a cura dello stesso auto-
mi st’aspettà la barca di la notte
e nu’ li si pò di’: “vengo dumane!” re - e quello dedicato a Civita Castellana - a cura di
Ma appena ‘l chiù v’avarà ‘vvisato Luigi Cimarra.
chi la mi ombra avarà preso ‘l via Molto quindi rimane da fare per “salvare il salvabile”
nun mi cercate più, pirò ascortate dei nostri vernacoli, che non possono più essere con-
ancora ‘l canto mio siderati deformazioni della lingua italiana, né tanto
chi vola pi’ la valle, meno appannaggio dei nostalgici, soprattutto in un
seguitatelo valtre, e ‘l rusignolo momento in cui essi appaiono in rapida trasformazio-
cantarà pur’esso ‘insieme a vvue! ne e - in alcuni casi - sembrano ormai avviati alla (ine-
vitabile?) scomparsa.
Tratte da: MAGGINI E., ‘Gni tempo ha la su’ ‘mpronta,
Tipolit. Quatrini A. & F. snc, Viterbo 1988.
flavio.frezza@gmail.com - www.piantorena.it

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