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Francesco Marciano

Editrice L’Arca
2007
Ai nipotini a me carissimi:
Salvatore e Flavia Fiore,
Arcangelo e Niccolò Polito.

© Copyright

Copertina: Lay•Art Design

Finito di stampare nel mese di Aprile 2007


nella Tipografia “Grafica Campana” sas
S. Giuseppe Vesuviano (Na)
PRESENTAZIONE

La curiosità che ho sempre avuta di conoscere meglio il nostro


dialetto e la “lingua napoletana”, mi hanno spinto ad interessarmi
dell’origine e della etimologia di parole “nostrane” che forse i nostri
giovani non conoscono più, perché ormai in disuso ed obsolete, no-
nostante il loro pregnante significato.
Ovviamente è stato solo un tentativo di chiarire una certa nebu-
losità che avvolge il nostro modo di parlare di una zona geografi-
ca dell’hinterland napoletano a sud del Vesuvio, ma soprattutto di
conoscere l’evoluzione del linguaggio, di alcune abitudini, di detti,
proverbi e quanto è accaduto “a casa mia”. Questo perché ritengo
che, talvolta, il parlare in dialetto non è per niente una vergogna o,
come alcuni credono, una “deminutio capitis”, inaccettabile da parte
di tanti che non amano perdere i legami con le proprie origini che
affondano le loro radici in un lontano passato. Anzi sono del pare-
re che il dialetto possegga una sua dignità ed una sua collocazione
culturale e che abbia una forma di comunicazione più viva e vitale
e particolarmente incisiva e comunicante quando – soprattutto dalle
nostre parti – l’italiano “suona ma non crea”. D’altronde quasi tutti
gli italiani sono dotati di un certo bilinguismo di cui dovrebbero an-
dare fieri e orgogliosi.
Il titolo dell’opuscoletto “ ‘A grazia vosta” è una tipica espressio-
ne di saluto dei tempi andati, con cui i nostri padri, oltre a riverire i
conoscenti che si incontravano di giorno per strada, attiravano a sé
l’attenzione quasi obbligando gli stessi a rispondere: “Pure ‘a vo-
sta”. In alcuni casi ‘A grazia vosta aveva anche un significato diver-
4 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

so, e cioè quello di rivolgersi a qualcuno con l’intento di chiedergli


un favore aspettandosi una buona ricompensa.
Questa “salutatio” mi sembra abbastanza cortese, insieme ad
un’altra e cioè: “Criscite!”, che è addirittura bene augurante, e alla
quale si rispondeva: “ ‘O bbene vuosto pure”. Era, questo, un saluto
rivolto, da parte di chi passava davanti a un forno in cui una famiglia
stava panificando, o quando si andava per i campi dove i contadini
raccoglievano i prodotti della terra o mietevano il grano.
Il saluto “Criscite!” non è molto diverso da quello che oggi pro-
nunciamo in varie occasioni e cioè “Auguri”. Infatti il termine deriva
dal verbo latino “augère” e da quello greco “auxano” con identici
significati = crescere, accrescere, aumentare, abbondare, colmare,
arricchire.
Al termine del presente lavoro intendo ringraziare glia amici che,
in alcune occasioni e in vari modi, mi hanno collaborato: il prof.
Giuseppe Ferrigno, i sigg. Ubaldo Dardo, Franco Fiore e Donato
Robust, che ha messo a disposizione il suo archivio fotografico.
Un riconoscimento particolare va alla CO.EM. (Costruzioni Elet-
tromeccaniche) nelle squisite persone di Mario e Paolo Fiore per
aver contribuito alla pubblicazione di queste pagine.
A tutti coloro che avranno tra le mani il presente libretto, cordial-
mente dico: «Criscite!» e «‘A grazia vosta».
L’Autore
PREFAZIONE

Non sarebbe disutile ricordare, ancora una volta, che non esiste un
dialetto che è termine riduttivo e che si adopera solo per mera con-
venzione, ma una vera lingua napoletana che si sviluppa, s’integra
secondo il criterio della circolarità in progress proposta dal Croce, e
che è arricchimento dello spirito.
Dall’etrusco e dall’osco nell’area semantica della Campania si
consolida, specie in Partenope, il sostrato greco che rimane una
costante lessicale fino ad oggi, (si pensi all’uso dell’articolo napo-
letano).
Lingua “ufficiale” della corte borbonica, con particolare riguardo
a Ferdinando II, si cimentano nella lingua “ufficiale” del Regno i
librettisti dell’opera lirica del ‘700 (ad es. G.B. Pergolesi). Ma la
querelle era già esplosa con G. B. Basile, il cui Pentamerone è stato
tradotto dal napoletano del ‘600 in quello contemporaneo da R. De
Simone; con lo Sgruttendio di Scafati, autore della “Tiorba a tacco-
ne”, era continuata con L. Serio animatore di una violenta polemica
con l’abate Galiani, e sulla stessa scia si evolveva la poesia di F.
Russo, di S. Di Giacomo, o il teatro di R. Viviani e di E. De Filippo.
Cos’altro aggiungere?
Ed è proprio nel contesto di questa tradizione che s’inserisce il
prof. Francesco Marciano con la sua attenta ricerca etimologica (non
mancano vocaboli derivati dal latino, dal greco, dal francese, dallo
spagnolo, dall’arabo), il riferimento aneddotico stuzzicante, il flori-
legio di massime e proverbi, puntando il suo obiettivo, in primo luo-
go, sull’area vesuviana cui appartiene; e quindi, è un omaggio anche
6 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

alla sua terra; e così ci propone una lettura distensiva, e nel contempo
divulgativa su espressioni linguistiche ormai disuete a causa di mode
bizzarre, ma che restituiscono l’autenticità del nostro vivere legato
alla terra, al mondo agricolo cui apparteniamo, ravvivando, in tal
modo, la nostra memoria storica.
Raffaello Pecoraro
ABBREVIAZIONI

Accr. = accrescitivo M. = genere maschile


Af. = aferesi Mod. = moderno
Ant. = antico, antiquato N. = genere neutro
Ap. = apocope Num. = numerale
Ar. = lingua araba Ogg. = oggetto
Art. = articolo Perf. = tempo perfetto
Ass. = assimilata Pers. = persona, personale
Avv. = avverbio Pl. = numero plurale
Bibl. = biblico P. = participio
Compl. = complemento Prep. = preposizione
Cong. = congiunzione Priv. = privativa
Cost. = costatazione Pron. = pronome
Der. = deriva, derivare, derivazione Prov. = proverbio, proverbiale
Det. = detto Ps. = passato
Deter. = determinativo
Pz. = pronunzia
Dial. = dialetto, dialettale
Rem. = remoto
Dif. = difettivo
Rifl. = riflessivo
Dim. = diminutivo
R. = risposta
Es. = esempio
Sec. = secondo
Escl. = esclamazione, esclamativa
S.f. = sostantivo femminile
Esort. = esortazione
Sinc. = sincope, sincopata
Et. = etimologia
F. = genere femminile Sing. = singolare
Fig. = senso figurativo S.m. = sostantivo maschile
Fr. = lingua francese Sogg. = soggetto
Gen. = genesi (origine) Sost. = sostantivo
Gr. = lingua greca Sp. = lingua spagnola
Imp. = modo imperativo Spos. acc. = spostamento dell’ac-
Impr. = imprecazione cento
Ind. = modo indicativo Ter. = termine, parola
Inter. = interiezione T.l. = tardo latino
Interv. = intervocalica Tr. = transitivo
Intr. = verbo intransitivo V. = verbo
It. = lingua italiana Vv. = voce verbale
Lat. = lingua latina Voc. on. = voce onomatoperica
Loc. = locuzione = uguale a ….
A
A bizzeffe – s.f., in quantità; dall’ar. bizzaf o bizzef = in gran quanti-
tà, molto, assai.
A zeffunno – dal lat. subfundere = versare, rovesciare, affondare, som-
mergere; la pioggia “a zeffunno” è quella che sommerge la terra.
A’ntrasatta – avv., all’improvviso, derivato dall’allocuzione latina
intra res actas, tra le cose fatte, tra le normali occupazioni.
Abbasciur – s.m., lume, lampada da tavolo; dal fr. abbat-jour = pa-
ralume.
Abbentà – v.intr., arrivare, appressarsi; dal lat. adventare = avvici-
narsi, appressarsi, raggiungere.
Abbià - v.intr., avviarsi; dal lat. ad viam (ire) = avviarsi, contendere,
procedere.
Abbizià - v.tr., far pigliare un vizio, un difetto; dal lat. ad vitium dare
= indurre uno ad un vezzo, difetto, vizio.
Abbrucato – agg.sost., colui che ha mal di gola e non parla in modo
chiaro; dal lat. abraucus-a-um = reso rauco nella voce.
Abbuscà – v.intr., ricevere bastonate, percosse; dallo sp. buscar =
buscarle; ma anche v.tr. nel senso di procacciarsi qualcosa per vivere,
guadagnare.
Acalà – v.tr., abbassare, calar giù, dal lat. calare, v. tr. = mandar giù,
abbassare.
Accannà – v.tr., disporre le cose in modo diritto come le canne; ter-
mine che serve soprattutto in agricoltura per misurare una lunghezza,
dal termine “canna” = m. 2,642 mm.
Accapà – v.tr., dall’it. antico accapare = venire a capo, mettere ani-
mali o persone insieme, congiungere.
Accattà – v.tr., acquistare, comprare; lat. captare; gr. ktaomai = mi
procuro, acquisto, mi procaccio.
Acchiappà - v.tr., afferrare, prendere; dal lat. adcapulare = acchiap-
pare, raggiungere, prendere.
Accimmare – v.tr., tagliare la cima; in gr. da a priv. più chiuma =
adirarsi, inalberarsi; per est. alle cose: “‘o vine s’è accimmat’ ”.
10 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Accioppola – s.f., zuffa senza armi tra due contendenti; termine lon-
gobardo zuffa = ciuffa-zuffa, i due sostantivi che formano il verbo.
Acciso – agg., ucciso, affranto, stanco; dal lat. accisus = consumato,
ucciso.
Accocchià – v.tr., unire, accoppiare; dal lat. adcopulare = unire, con-
giungere.
Accuità – v.intr., starsene tranquillo; dal lat. adquiescere = star fer-
mo, riposare.
Accupput’ – agg., dall’it. coppa, a forma di coppa, fondo, cavo.
Acizzo - agg., acido; dal lat. aceteus-a-um, di aceto, che sa di aceto.
Acquazza – s.f., guazza, rugiada; dal lat. parlato aquacea o aqua-
tia (anche aquatio-onis) =.guazza, rugiada che bagna il terreno e le
piante, come fa la pioggerellina.
Addereto – avv. e prepos., al di dietro, indietro, dietro; dal lat. ad
deretro, avv. e prepos. = indietro, al di dietro.
Addobbecarse - v.intr., stordirsi, appisolarsi; dal lat. ad opium =
prendere oppio; dal gr. opion-ou = succo di papavero; per estens. =
stordirsi, quasi addormentarsi, ipnotizzato.
Affuto – avv., in fondo, in profondità; dal lat. adfutum, avv., altera-
zione di ad fundum = in fondo, in profondità.
Agguazzà – in senso fig. = abboccarsi, mangiare a spese degli altri.
In sp. aguàzar, lett. fermare acqua in un luogo.
Agliottere – v.tr., ingoiare, inghiottire; dal lat. agglutire = inghiot-
tire. L’espressione “mo’ te l’agliutte” si dice di chi pare, ma non è,
balordo, sciocco.
Aizare – v.tr., alzare(si), stare in piedi. In gr. izo = sedersi, preceduto
da a priv. = non sedersi, stare in piedi. Es. “ie m’aizo” = io mi alzo.
Alaccio - s.m., sedano; in ar. al aque = sedano.
Allaccià – v.tr., tritare, sminuzzare; ant. fr. hacier, mod. fr. hacher
= tritare.
Allertare – v.tr. e intr., mettere una cosa in senso verticale, stare
allerta; in sp. alertar = stare ritto, in piedi, porre qualcosa in senso
verticale.
Allessa – s.f., castagna lessa, dopo pulita; dal lat. tardo elixata, part.
pass. di elixare = lessare, breve cottura in acqua bollente: dare una
lessata alle castagne.
Alliffato – part. pass., abbigliato con una certa eleganza, agghinda-
to; in sp. alifar = agghindare, azzimato.
Aloja – s.f., aloe, genere di piante con fusto molto corto, foglie car-
Lettera “A” 11

nose disposte a rosetta. Aloja pàteca = aloe epatica, con cui si cura
il fegato.
Ammalire – v.intr., ammalarsi. In lat. ad malum ire, detto per anima-
li, andare a male, ammalarsi.
Ammariello – s.m., dal gr. kammaros-ou = gambero, gamberetto.
Ammartenato – agg. sost., guappo, sgherro. In lat. Martis natus =
letteralmente figlio di Marte; per estens. = uno che ha l’aria di bra-
vura, guappo.
Ammasciata – s.f., imbasciata, informazione recata su incarico al-
trui. Dal provenz. ambaissata e dal lat. ambactus = servo stipendia-
to; per estens. = ciò che si manda a dire per incarico.
Ammasonà – v.tr., mettere a dormire, portare a letto, a casa; dal fr.
maison = casa.
Ammatontà – v.tr., percuotere, pestare; dal lat. tundere, percuotete.
Ammenazzà (ammenaccià) – v.tr., minacciare, pungolare (le be-
stie).
Ammertecarse – v.rifl., rovesciarsi, inclinarsi; dal lat. inverticare =
volgersi, capovolgersi.
Ammizzià (ammezzià) – v.tr., dal lat. admentiri (da admentior) =
suggerire una menzogna, suggerire sottovoce se si debba fare o dire
una menzogna.
Ammosciare – v.tr., composto da a e moscio = rendere moscio, flo-
scio; fig. = annoiare, deprimere.
Ammuinà – v.tr., dallo sp. amohinar, da mohina = tedio, e mohino =
triste, avvilito; in nap.: io ammoino = infastidisco; v.intr. ammoinarsi
= affaccendarsi facendo confusione.
Ancunia – s.f., dal lat. incudo-inis = incudine.
Angarella – in gr. agxso (pz. ancso), ganchero, gancarella, angarel-
la. Fig.: Fare l’angarella = fare furberia, cercare di sottrarsi ad un
impegno.
Annecchia – in lat. anniculus-a-um, di un anno; iuvenca annicula =
giovenca di un anno, per estens. = carne tenerissima.
Annettà – v.tr., pulire, lucidare; in lat. annitidare = rendere nitido,
pulire.
Annoglia – salame confezionato di sole budella. In fr. andouille; la
d nel dialetto nap. è stata assimilata dalla n .
Antrita – dal lat. intrita = nocciola tostata.
Aonnare – in lat. abundare = abbondare, prosperare, accrescere.
Appilà – dal lat. oppilare = tappare, otturare la bocca, il naso, le
12 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

orecchie. Es. “appila ch’esce feccia”, modo di intimare ad uno di


non dire più spropositi.
Appizzà – dal lat. adpiccare = dare molestia, tormentare, stuzzicare.
Fig. = perdere, rimetterci. Es.: “nc’appizzaie cient’euro” = ci rimisi
cento euro.
Appoià – dal lat. adpodiare = mettere su un poggio (ad podium),
poggiare.
Apprettare – dal lat. appectorare = appuntare, dare molestia, tor-
mentare, stuzzicare.
Appurà – dal lat. adpurare = venire a sapere, scoprire, appurare.
Arciula – s.f., giara; dal lat. arceolum-i, s.n. = piccola brocca per
bere.
Arrapare – nap. (arrapà), forse da rapa intesa nel significato meta-
forico di membro virile; v. tr. (popol.) = eccitare sessualmente.
Arrappà – v.tr., aggrinzire, sgualcire; rifless. aggrinzirsi (della pelle,
di un frutto). Dal gotico rappa = ruga, grinza.
Arrassare - v.tr., allontanare, scostare; rifless. scostarsi, farsi da par-
te. In gr. rasso, v.tr. = urtare, intoppare, preceduto da a priv. = non
urtare, scostarsi.
Arrassusia – loc. avv., sia lontano da noi; dal fr. arrière soit ille = sia
indietro, lontano (da noi).
Arrevacà – v.tr., vuotare, scaricare; dal tardo lat. devacare e dal lat.
classico vacare = essere vuoto.
Arronzà – v.tr., prendere o rubare un po’ di tutto; etim. dialett. sp. di
Maiorca arronsar = rifinir male.
Artèteca – s.f., voce dotta dal lat. tardo arthritis e dal gr. arthritis
da arthron = articolazione, infiammazione degli arti. Ironicamente
rivolto ai ragazzi “tenere l’arteteca” significa muoversi in continua-
zione, non saper star fermo.
Arucola – s.f., ruca; in lat. aruca-ae, s.f., ruca; in dial. è dim. = ru-
chetta.
Astina – s.f., dim. di asta, sostegno di legno per mantenere salda la
zappa e altri strumenti agricoli.
Astipà – in lat. stipare = ammucchiare, riempire, conservare.
Astutà – v.tr., spegnere (il fuoco), estinguere; trasl. = uccidere. Etim.
dal lat. volg. extutare = proteggere (il fuoco coprendolo), dal semplice
tutare che si collega nella radice al v. tueri = guardare, proteggere.
Auanno – loc. avv. di tempo, quest’anno; in lat. hac-anno, qui nel-
l’anno.
Lettera “A” 13

Aunare – v.tr., raccogliere le cose per terra ad una ad una. In lat.


adunare = unire più cose.
Ausulià – v.tr., ascoltare di nascosto i discorsi altrui; etim. da una
forma osca, ausis, corrispondente al lat. auris (rotacismo lat.) equi-
valente ad “orecchia”; dal verbo auscultare, si pensa ad una forma
adausuliare.

Curiosità storiche

Abbabbiare.
Rendere babbeo un tizio. Il babbeo è la persona che più facilmente si
lascia ingannare, imbrogliare, prendere in giro, che si fa fare fesso.
In greco babion è il fanciullino (bebè, baby e bambino). L’analogo
babaios, il balbuziente, come in latino babeculus, è proprio l’uomo
ritardato. Abbabbiare è l’uomo che diventa babbeo e che è di chiaro
stampo maschile. La donna, infatti, non figura mai designata come
una “babbea” e non è facile abbabbiarla.
Abbo.
Gabbo, da gabbare, deridere, ma anche burla, beffa. Farsi gabbo di
qualcuno vuol dire burlarsene o “cuffiarlo”, “fare abbo”.
Abbrucarse.
Più che dal latino abraucari (v. dep.), deriva dal greco brogkos (pz.
broncos) cioè gola, trachea e per estens. bronchi. Chi ha troppo gri-
dato, cosa usuale dalle nostre parti, ha messo a dura prova i bronchi,
li ha stancati: si è abbrucato.
Accocchià.
Nel senso di mettere insieme, raggruppare, unire, congiungere. Il verbo
ha diverse sfumature e tutte portano all’idea di accorpare, raccogliere
più cose o concetti. L’etimologia è dal lat. adcopulare = unire insieme,
congiungere, alla lettera “accoppiare” mutatosi in accocchiare per la
norma fonetica napoletana dove il plurale latino o greco diventa ch,
come per chiù da plus, chiove da pluit, chiummo da plumbum.
14 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Accoppatura.
Termine prettamente napoletano, poco traducibile in lingua se non
attraverso giri di parole. Essa significa ed indica la parte che sta in
cima a qualcosa che ne rappresenta la sommità, la colmatura e che è
la migliore. In gastronomia è la parte squisita e più eccellente di una
portata. Per ironia tutta nostrana si può capovolgere il senso della pa-
rola in modo opposto come il peggio, il più abietto, la schiuma, come
l’espressione “essere accoppatura ‘e tutte ‘e fogliamolle”, “accop-
patura ‘e fetente, ‘e mariuole”… L’etimologia dell’accoppatura (che
consiste in ciò che si trova alla sommità) deriva dal lat. in capite,
nap. ’ncoppa a tutto, in ital. accoppare sta a significare: colmare un
qualcosa riempiendolo fino all’orlo.
Addobbechià.
Appisolarsi, assopirsi, addormentarsi, sonnecchiare. Anticamente il
verbo riportato come addobbiare vedeva la sua derivazione da ad-
opiare cioè oppiare, inserire un ipnotico in bevande o cibi per ren-
dere il destinatario innocuo o per farlo conciliare con il sonno, per
“scapuzzià”, proprio come chi “s’addobbechea”.
Addonarse.
In italiano accorgersi, avvedersi, venire a conoscenza. Frequente è
l’addonarse nei classici e negli scritti napoletani in genere. Di Giaco-
mo in “’A sensitiva”: “E te guardo int’alluocchie e me ne addono”,
F. Russo nel “Rusario sentimentale” esclama: “Sultanto tanno te ne
addunarraie”. Quanto all’etimologia il Galiani lo vorrebbe derivare
dal lat. advenire (avvicinarsi, arrivare) che non è correlata proprio
con addonarse; altri vorrebbero derivarlo dal francese s’adonner de-
rivante dal lat. donare se che vuol dire dedicarsi a qualcosa. Altra
ipotesi è che deriva da ad-noscere da cui adnotatus che per metatesi
può essersi modificato in adonato e, raddoppiando facilmente la d è
diventato addonato.
Alà.
“Chi ala poche val’”. Alà = sbadigliare, sintomo di pigrizia. Lo si
deriva da varie espressioni in classici quali: “Nun te stennecchiare,
nun alare, nun susperare” di Nicola Vottiero nell’opera “Specchio
de la cevertà, aliasse lo galateo napoletano”. In un antico adagio
“Lo soperchio alare vò ‘o dormire e mangiare”, indica poltroneria e
desiderio di cibo. L’etimologia è latina dal verbo halare = soffiare,
spalancare la bocca, olezzare, sbadigliare.
Lettera “A” 15

Ammarrà.
In italiano significa socchiudere, turare, coprire, chiudere non inte-
ramente, ma anche colpire e colpire particolarmente l’occhio di un
altro e ostruire, impedire. L’etimologia è di provenienza agricola
dal lat. marra che è la zappa per lavorare il terreno in superficie
e più propriamente per ammucchiarlo e formare argini e siepi di
chiusura.
Ammartenato.
Letteralmente si può spiegare con l’espressione latina “a Marte na-
tus” cioè individuo nato da Marte. Poiché Marte è il dio della guerra,
si vuole attribuire ad un “ammartenato” il significato di uomo belli-
coso, guappo, camorrista, ammartenato.
Annozzà.
Dall’italiano ingozzare con riferimento a gozzo. Si “annozza” per
tutto ciò che rimane in gola come un intoppo che non si riesce a
mandar giù.
Arrecettà.
Nel significato moderno vale rassettare, sistemare, mettere in ordine.
F. Russo in “La visita di capodanno”: “Resta in casa! E mò arrecet-
ta ‘a tavola”, sparecchia la tavola. Nella immaginativa napoletana
significa anche divorare qualcosa con ingordigia e rapidità. “S’è ar-
recettata ‘na scafarea ‘e maccarune”. Arrecettarse (v. intr.) sta per
morire, farla finita con la vita. L’etimologia di arrecettà derivante dal
lat. ad-recipere nel senso originario di dare accoglienza, ricovero,
asilo, donde ad-receptare cioè di dare a qualcuno o a qualcosa la
propria sistemazione, il proprio assetto.
Arrecriarse.
Chi s’arrecrea è colui il quale si delizia, si sollazza, gode con pie-
nezza, si allieta. La derivazione di arrecriarse si collega al latino
recreare che equivale a ristorare, sollevare, confortare, ristabilire.
Arrognarse.
Il senso del verbo in italiano è rimpicciolirsi, accorciarsi, contrarsi,
diminuire di statura, rannicchiarsi, restringersi in se stesso. L’etimo-
logia del verbo è presente nel verbo latino rugare, ossia incresparsi,
far pieghe, da cui l’italiano corrugare che, divenendo ad-rugare, for-
nisce l’esatta portata di arrognarse, il quale rende appunto quel rag-
grinzirsi, raggomitolarsi, tipico di chi di fatto si arrogna. Da notare
16 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

che dal verbo rugare deriva la napoletanissima rogna, equivalente a


scabbia, per mezzo della quale la pelle diventa ruvida.

Proverbi

‘A bbona campana ‘a luòng’ se sente.


La buona campana si sente da lontano. Fig. La buona fama è nota a
tutti.
‘A bbona parola mògne, ‘a trista pògne.
La buona parola produce del bene (mògne – da mungere), la cattiva
punge e nuoce.
‘A carcioffola se mònne a’ na’ foglia ‘a vota.
Ogni cosa deve essere fatta con criterio e gradualità. Variante: ‘nce
vo’ pacienza a mangià ‘e carcioffole.
‘A casa r’ò pezzente non mancano maje tozzole.
Nella casa del povero non mancano mai tozzi di pane.
‘A chiesa ròssa nun se perde maje ‘a messa.
In una chiesa grande, a qualunque ora, c’è sempre una messa per
poterla ascoltare. Fig. In un grande negozio si possono soddisfare
tutti i gusti.
‘A coppa ò cuòtto, l’acqua vullut’ .
Su una scottatura si aggiunge anche acqua bollente. Fig. Capita spes-
so che su una disgrazia se ne aggiunge altra.
‘A femmena è ‘na croce: abbracciatella a nnomme ‘e Dio.
La donna è una croce: abbracciala a nome di Dio.
‘A femmena è comme all’onna: o te solleva o t’affonna.
La donna è come l’onda (del mare): o ti solleva o ti fa affondare.
‘A femmena, pè dispietto, quanno l’ommo fa difetto, dice ch’è nu
scarfalietto.
La donna per dispetto, quando l’uomo è scarsamente virile, dice che
è (soltanto) uno scaldaletto.
Lettera “A” 17

‘A freva continua ammazza l’ommo.


La febbre continua ammazza l’uomo. Fig. I continui malanni man-
dano l’uomo in rovina.
‘A furmicula, quanno vò murì, mette ‘e scelle.
La formica, quando vuole morire, mette le ali. Fig. Quando uno vuol
fare il passo più lungo della gamba, finisce male.
‘A gallina fa l’uovo e ‘o gallo ‘e brucia ‘o culo.
La gallina fa l’uovo e al gallo brucia il culo. Fig. Chi ha subito un
torto, non si lamenta tanto quanto sembra farlo chi gli sta vicino.
‘A jennere e nepute chéllo ca faje è tutto perduto.
Generi e nipoti sembra siano sempre irriconoscenti.
‘A meglia vita è chella d’e vaccare, pecché tutta a jurnata manéa-
no zizze e denare.
Per traslato significa che la più bella vita è quella che si trascorre tra
donne e denari.
‘A monaca e Sant’Austino; ddoje cape ‘ncopp’ ‘a nu’ cuscino.
La monaca di Sant’Agostino: due teste su un solo guanciale.
‘A morte va trovanno ‘a ‘ccasione.
La morte va in cerca del pericolo a cui uno si espone.
A ‘nnomme ‘e Santa Cecca: o piglia o secca.
A nome di Santa Cecca, o la va o la spacca.
‘A potenza ‘e l’ommo è ‘a vrachetta.
La forza e l’attrattiva dell’uomo stanno tutte nella sua virilità.
‘A ppecundria è peggio d’à malatia.
La tristezza è peggiore di ogni malattia.
‘A preta peccerella ‘mmerteca ‘o carro.
Basta una piccola pietra per far rovesciare un grosso carro.
‘A ricetta ‘e passaguaje: “penzà poco e parlà assaje”.
Prima di dire qualcosa, occorre pensarci più volte, altrimenti si va
incontro a guai seri.
‘A sciorta d’ò piecuro: nasce curnuto e mmore scannato.
Si dice di persona particolarmente scalognata.
‘Aceno e àceno régneno ‘a macena.
Chicco a chicco si riempie la macina (macchina per triturare).
18 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

A bacant’ jamm’ buon’ carreche.


A vuoto già andiamo ben carichi. Fig. Si dice per chi già ha subito un
danno al quale se ne aggiunge un altro.
A cavallo jastemmato ‘e luce ‘o pilo.
A cavallo maledetto riluce il pelo (la criniera). Fig. Spesso le impre-
cazioni contro qualcuno non solo non lo colpiscono, anzi lo fanno
meglio prosperare.
A mmurì e a pavà, votta a scurdà.
A morire e a pagare rimanda quanto più puoi.
A vint’uno ora ‘a panza fa rummore.
A sera tardi lo stomaco reclama i suoi diritti.
Addò c’è gusto nun c’è perdenza.
Dove c’è gusto non c’è perdita. Fig. Quando una cosa piace si è di-
sposti anche a perderci su.
Addò téne ‘lluocchie téne ‘e mmane.
Dove ha gli occhi lì porta le mani. Fig. Si dice in genere di una per-
sona la cui tendenza è rubare.
Addò trase ‘o sole nun trase ‘o miereco.
Dove entra il sole non entra il medico. Fig. In un’abitazione ben so-
leggiata è difficile ammalarsi.
Aggio avuto ‘a mala notte e ‘a figlia femmena.
Ho avuto una cattiva nottata e una figlia femmina. Fig. L’espressione
è dovuta al fatto che, un tempo, la nascita di una bambina era consi-
derata per i genitori un impegno gravoso per procurarle la dote.
All’avvocato se rice a verità; s’ha ddà verè isso pò comme addà
‘mbruglià.
Il cliente deve essere sincero con il proprio avvocato; sarà compito di
questi imbrogliare poi – se è il caso – corte e giurati.
Amicizia e primmo ammore nun se scordano maje.
Forse anche perché, in genere, sono legati al ricordo della gioventù.
Aria, acqua e pulizia nun ‘e truove ‘nfarmacia.
Pur essendo le migliori medicine per una sana vita.
Aspiette, ciuccio mio, ca mò vène ‘a paglia nòva.
Si dice quando si vuole fare intendere che una certa cosa non avverrà
mai o, quanto meno, tarderà a verificarsi.
Lettera “A” 19

Astipa ‘o milo pe’ quanno te vene ‘a sete.


Cerca di fare economia oggi per quando potrai avere bisogno.
Avimmo fatto Corinto: ‘e cavere ‘a fora e ‘e fridde ‘a rinto.
Si dice quando qualcuno, presentato in un circolo da un amico, si
inserisce così bene tanto da poter poi escludere lo stesso suo presen-
tatore.
B
Baffi – s.m., peli lasciati crescere sul labbro superiore. Dal greco
bafè-ès, s.f., tintura, colorito.
Bajdo – s.m., inganno, truffa; dall’ingl. bait = truffa.
Balicia – s.f., valigia; dallo sp. balija = all’it.
Banconaro - s.m., vagabondo, perditempo, ozioso; in sp. banconèro
= rematore ozioso (chi sta seduto sul banco e non rema).
Barracca – s.f., baracca; in sp. barraca = baracca per deposito.
Bascuglia – s.f. , bilancia; in sp. bascula e in fr. bascule = bilancia a
bilico per corpi di grandi dimensioni.
Bavèt – s.f., pettorina per piccini; in fr. bavette = all’it.
Bazariota – s.m. , uomo ozioso e furbo. In gr. baxariòtes-ou = fan-
nullone.
Bibberò – s.m., poppatorio. In fr. biberon, voce dialettale = poppatoio.
Bidè – s.m., vaschetta bassa di forma allungata su cui si sta a caval-
cioni per lavarsi le parti intime. In fr. bidet = bidè.
Bidone – s.m., recipiente cilindrico a forma di botte. In fr. bidon =
al dialetto.
Bisciù – s.m., dal fr. bijou = gioiello, ma anche persona e cosa che si
ammirano per la loro grazia e raffinatezza.
Bisinisse – s.m., dall’ingl. busines = affare, impresa, lavoro.
Blè – agg., azzurro cupo. In fr. bleu = al dialetto.
Blùsa – s.f., camiciotto. In fr. bluse = al dialetto.
Bombét – s.f., cappello a cupola con falda stretta; in fr. chapeau (pz.
sciapò), bombè = al dialetto.
Bonafficiata – dal lat. beneficio = fare del bene, beneficiare; in dial.
= beneficato dal gioco del lotto.
Bord’ – s.m., orlo, angolo; in fr. bord = al dial.
Bordellessa – s.f., botte usata per vini pregiati o liquori. In fr. borde-
lais; in dial. bordellessa = botte usata a Bordeau.
Bordello – s.m., fig. luogo pieno di confusione e disordine, casino;
in lat. bordelum, casa dove si esercita la prostituzione, lupanare.
Brilocco – dal fr. breloque (pz. breloc) = ciondolo da collo, medaglione.
22 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Brioscia – s.f., panino al burro; in fr. brioche (leggi briosc) = al dia-


letto.
Buatt – s.f., piccola scatola cilindrica di latta; in fr. boîte ( leggi
buatt) = al dial.
Bucale – s.m., vaso di vetro o di creta, portafiori; in lat. boucalis-is
= vaso in genere.
Buchè – s.m., mazzo di fiori; in fr. bouquet ( leggi buchè) mazzolini
di fiori, il buchè della sposa.
Buffettone – s.m., schiaffone; in sp. bufetòn = schiaffo.

Proverbi

Bannèra vecchia onor’ ‘e capitano.


Bandiera vecchia onore di capitano.
Bbona notte ‘e sonature.
Buonanotte ai suonatori. Fig. Si dice di una vicenda o affare che
è finito presto e male. Il detto forse deriva dall’espressione di uno
spettatore di trattenimento musicale che, appena iniziato, dovette so-
spendere per un imprevisto.
Bella o brutta muglièreta sia, n’à fa stà ‘ncumpagnia c’ò chi sia sia.
Bella o brutta che sia tua moglie non farla stare mai sola con chic-
chessia.
Bellu juoco dura poco.
Ogni bel gioco dura poco.
Bizzoche bis-bisse fino a che nun trova a isso; quanno l’ha truva-
to: è stato Dio ca me l’ha mannato!
La beghina non fa altro che biascicare preghiere per trovare un pre-
tendente; una volta trovatolo attribuisce a Dio il fortunato incontro,
come se lei non l’avesse desiderato.
Buono sì, ma fesso nò.
Anche la bontà deve avere un limite altrimenti si confonde con la
dabbenaggine.
C
Cabinètt’ – s.m., gabinetto; in fr. cabinet (pz. cabinè) = al dial.
Cacagliare – v.intr., balbutire. In gr. kacòs = male e logaò = parlare,
quindi parlare male (balbutire).
Caccavot – s.m., pentola di rame. In arabo kakkahò, s.m. = al dial.
Cacciuotte – s.m., cagnolino; in lat. catulus-i = al dial.
Cafettera – s.f., caffettiera. In sp. cafetèra = moglie di chi vende il
caffè o macchina in cui si fa il caffè.
Cafone – s.m., zappatore, contadino; in lat. cavonus deriva dal v.
cavare = zappare. In dialetto la v si è mutata in f. In Cicerone (Filip-
piche, VIII, 3, 9 e altrove) si cita un nome personale Cafo in senso
dispregiativo. Si tratta di parola di origine osca. Cafone è voce che
va collegata al v. osco kafare = zappare.
Caiola – s.f., gabbia per uccelli. In lat. caveola,ae, diminut. di cavea =
piccola gabbia. In dial. la v intervocalica è caduta senza compenso.
Calare – v.tr., mandar giù qualcosa sostenendola con una fune. In gr.
kalàō, v.tr. = allentare una corda tesa.
Calimma – s.f. , strato adiposo sottocutaneo. In gr. kalumma-atos,
s.n., copertura. Nel dialetto il termine greco sta ad indicare copertura
di carne sulle ossa. Es.: Tu nun faie calimma = Tu non ingrassi.
Cammisa – s.f., camicia. In sp. camisa = all’it.
Cammisòla – s.f., panciotto alquanto grande. In sp. camisòla = ca-
micia senza maniche.
Camorra – s.f., camorra, associazione segreta con leggi proprie e
che ricava da atti delinquenziali favori e guadagni. Etim. È un ter-
mine mediterraneo = morra, gregge, banda. Nata sotto gli spagnoli e
affermatasi nell’ottocento, è diventata molto potente e organizzata
secondo rigorose leggi.
Campierto – s.m., la parte del carro a forma di cassa in cui si de-
posita il materiale da trasportare, portacarico. Etim. Dal tardo lat.
cambortus di origine germ. (kambord) che letteralmente vuol dire
“chiusura fatta con pali”.
Canisto – s.m., cesto; dal gr. kanusthron-ou, s.n., cesta.
24 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Cannacca – s.f., collana per donna. Etim. araba, hannaqa = monile,


collana.
Cannavòla – s.f., golosità, desiderio di avere cibo; etim. da canna +
gola.
Cantaro – s.m., grande vaso concavo di creta; dal gr. kantharos-ou,
s.m. = vaso di creta.
Canzo – s.m., agio, opportunità, occasione; in gr. kàmptō, piegare,
incurvare, tornare indietro; per estens. = avere opportunità. Nel sign.
mod. deriva dal fr. chance (pron. scians) = canzo.
Capillo – s.m., pelo, capello; dal lat. capillus-i = capello.
Capone – s.m., cappone; in lat. capo-onis = cappone, gallo castrato
da giovane.
Cardillo – s.m., cardellino; in lat. cardillus-i, s.m. = cardellino.
Carizzo – s.m., carezza (dimostrazione affettiva). In lat. caritiae-
arum = carezza.
Carocchia - s.f., in it. nocchino, colpo energico dato sul capo col
pugno chiuso. Deriva dal gr. karoo = stordire, proprio come la con-
seguenza di una carocchia bene assestata.
Carrafella – s.f., ampollina. In sp. garrafèla, dim. di garafa = am-
pollina.
Carrara – s.f., via di campagna a terreno battuto. In lat. via carraria
= via campestre.
Carriare – v.tr., trasportare col carro. In sp. carreàr = all’it.
Carusiell’ – s.m., giostra. In fr. carrousel (pz. carusèl) = al dial. In
nap. carusiello, dalla forma della testa di un caruso (ragazzo), signi-
fica anche salvadanaio.
Caruso – s.m., testa rapata. In gr. kara-karatos, s.n. = testa, capo.
Casatiello – s.m., dolce natalizio fatto con farina di grano, uova, ca-
cio … e cotto al forno. Nella provincia napoletana il casatiello indica
il pane fatto con farina gialla di granturco; il pane biscottato prende
forma di barchetta.
Castagnetta – s.f., nacchera. In sp. castaneta (pz. castagneta) = al-
l’it.
Casumir – s.m., tessuto fine orientale. In fr. cachemir (pz. casc’mir)
= tessuto del Kascemir, portato in Europa dai francesi. Casimiro,
nome proprio di persona, è derivato da Kascemir.
Catarro – s.m., raffreddore; dal gr. katàrrous = che scorre giù, com-
posto da katà = giù e rèo = scorro. Anche nel tardo lat. la voce ca-
tarrhus = al gr.
Lettera “C” 25

Catèrbia – s.f., caterva, moltitudine, folla di persone. Dal lat. cater-


va = all’it.
Cato – s.m., secchia di legno. In gr. kados-ou = brocca, secchia.
Cauterio – s.m., cosa che tormenta, che molesta; fig. persona noiosa.
In gr. kauterios-ou = medicamento caustico, strumento che serve per
bruciare piaghe, cauterio.
Cazzimma – neologismo degli anni ’50, individuo furbo, scaltro;
scontata la derivazione dall’organo genitale maschile più “imma”
che è un dispregiativo.
Cellevrella – s.f. pl., cervella; fig. senno, giudizio. In lat. cerebella-
orum dim. cerebrum = piccolo cervello.
Ceniéro – agg., morbido, tenero; in lat. cinereus = come la cenere.
Centrella – s.f., chiodo con ampia capocchia. In gr. kèntron-ou =
chiodo. Nel dial. nap. si ha il diminutivo centrella.
Cepolla – s.f., cipolla. In sp. cebolla, s.f. = all’it.
Cerasa – s.f., ciliegia; dal lat. cerasum-i = ciliegia.
Cernere – v.tr., setacciare; in lat. cernere = all’italiano; dal verbo
deriva il sostantivo crivo dal lat. cribrum-i.
Chella – pr. dim., quella; in lat. eccu-illa = al dial.
Chiagnere – v. intr. e tr., piangere. In lat. plangere = all’it. In dial. il
gruppo “pl” di plangere si è mutato in “chi” di chiagnere.
Chiaia – s.f., piaga; dal lat. plaga-ae = piaga. Come prima, nel dial.
“pl” = “chi” e la “g” intervocalica è caduta col compenso di “i”.
Chiaitare – v.tr. , domandare con insistenza, ma anche lamentarsi. Il
lat. flagitare = chiedere con insistenza. In dial. “fl” mutato in “chi” e
la “g” intervocalica è caduta senza compenso.
Chianca – s.f., beccheria, macelleria. In lat. planca-ae = grosso pez-
zo di legno. In dial. “pl” mutato in “chi”. Il termine in dialetto sta ad
indicare tutta la macelleria, visto che il lavoro del macellaio si svolge
sul “grosso pezzo di legno” (chianca).
Chiancarella – s.f. , pezzo di legno squadrato, usato anche in mura-
tura. In lat. plancarula-ae, dim. di planca, piccolo pezzo di legno.
Chianto – s.m., pianto; in lat. planctus-us = pianto; trasf. di “pl”
in “chi”.
Chiapparo/iello – s.m., cappero, pianta arbustiva con foglie ovali,
fiori rosa e bianchi e frutto a bacca. In lat. càpparis e in gr kàppa-
ris, s.m. = cappero, frutto conservato in salamoia. Il vezzeggiativo
chiappariello viene dato ai ragazzini vispi ed intelligenti.
Chiastra – s.f., piastra; in lat. plastra-ae = piastra; trasf. come prima.
26 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Chiavare – v.tr.; 1) chiudere a chiave, dall’it. chiave; 2) inchiodare


o percuotere con un bastone; in lat. clava-ae = bastone. In dialetto
volgare = possedere sessualmente.
Chichierchia – s.f., cicerchia, pianta erbacea rampicante il cui seme
alimentava uomini ed animali. In lat. cicercula, dim. di cicer = cece.
Chieare – v.tr. , = piegare; in lat. plicare, v.tr., = piegare, “pl” mutato
in “chi”, la “c” di plicare è caduta col compenso di una “i”.
Chino – agg., = pieno. In lat. plenus-a-um = pieno; “pl” mutato in
“chi”, la “e” caduta nel m. ma rimane nel f. che è: chiena.
Chiocca (chiocche) – s.f. = tempia; di origine incerta; forse dal lat.
coccum-i, e dal gr. koccos-ou = nocciolo dei frutti, per assimilazione
= cosa rotonda. “Levà ‘e chiocche a uno” = intronargli il capo.
Chiovere – v.intr. = piovere; in lat. pluere, v.intr., = piovere; “pl”
mutato in “chi”.
Chirchio – s.m., cerchio; dal gr. kirkos-ou, s.m. = cerchio.
Chiù (cchiù) – avv., più; in lat. plus = più; “pl” mutato in “chi” e la
“s” caduta per apocope (caduta di una sillaba in fine di parola).
Chiummo – s.m., piombo; in lat. plumbum-i = piombo; “pl” mutato
in “chi” e “b” assimilata da “m”.
Cicerefuoglio – s.m., intrico di rami; in lat. caerefolium-i, intrico di
foglie e rami.
Cifrone - s.m., “pezzo di stoffa, nastro che i militari portavano al
braccio con l’indicazione degli anni di servizio”. L’etim. è dal fr.
chevron (pz. scevron) = gallone dei veterani, “distintivo di raffer-
ma”; per estens. = uno smaliziato, esperto.
Ciovare – v.tr., dare del cibo ad un bimbo, cibare, imboccare. In lat.
civare = al dial.; la “v” si è trasformata in “b”, perciò cibare.
Ciuciulià – voce onomatopeica da ciù-ciù = sussurrare, bisbigliare,
parlottare.
Ciunco – Cioncare – agg. e v., impedito, paralizzato; di etim. incer-
ta. Il vocabolo è in uso nel centro-meridione. “Statte ciunco” = sta
fermo, non ti muovere. (Vedi anche nelle curiosità).
Civiero – s. m., mezzo di cui si servono i contadini per il trasporto
del letame; dal lat. med. chiveria e civeria = al dial.; in fr. civière =
barella; in sp. civera = barella.
Clacca – s.f., insieme di persone che, in cambio di favori, applaudo-
no in teatro. Dal fr. claque (pz. clac) = al dial.
Commilfò – avv., ammodo, perbene; in fr. com’il faut (pz. com il fò)
= al dial.
Lettera “C” 27

Commò – s.m. , cassettone per biancheria. Dal fr. commode (pz.


comod) = al dial.
Compròmm’ – cong., subito, appena che; in lat. cum + prompte =
appena che.
Cònnola – s.f., culla, cesta; in lat. cunula-ae, s.f., dimin. di cuna-ae
e dal lat. cl. cunae-arum = piccola culla.
Consòla – s.f., mensola, tavola da parete con piedi lavorati. In fr.
consòle (pz. consòl), s.f., = al dial.
Consommè – s.m., brodo ristretto. In fr. consommè (pz. consomè),
s.f. = al dial.
Copella (cupella) – s.f., recipiente di legno privo di coperchio, bigon-
cia; in lat. cupella-ae, s. f., dimin. di cupa-ae = barile, botte, bigoncia.
Copet’ – s.m., confezione di nocciole, miele e farina. In arabo kupèth,
s. m., = al dial.
Correa – s.f., cinghia per i pantaloni. In sp. corréa, s.f. = all’it.
Cotoletta – s.f., costoletta. In fr. côtelette (pz. cotlét) s.f. = al dial.
Craje - domani; dal lat. cras, avv., = domani.
Crasta – s.f., coccio. In gr. gàstra-as = vaso panciuto (che, rotto,
forma le craste, i cocci).
Cresemisso – s.m., di chiara derivazione ingl. con cui i nostri conter-
ranei americani chiamano il tradizionale dono natalizio da scambiare
con parenti e amici; è considerato come la nostra ’mperta o ’nferta.
Crianza – s.f., creanza; in sp. crianza = al dial.
Criatura – s.f., bambino o bambina; in sp. criatùra = al dial.
Crisommola – s.f., albicocca. In gr. kruseos-eia-on, agg. = dorato e
melon-ou = pomo, quindi pomo d’oro.
Crivo – s.m., setaccio, crivello; in lat. cribrum-i = setaccio. In dial.
la “b” è mutata in “v” e la “r” è caduta.
Crocco – s.m., gancio uncinato di ferro; in fr. croc = al dial.
Cucuzzo – s.m., zucchino; in lat. cocutia-ae = zucchina.
Cuffiare – v.tr., burlare, deridere. Il verbo può derivare dall’espres-
sione: “mettere in capo ad uno una cuffia” per deriderlo. L’etim. è dal
gr. mod. kūphios, gr. ant. kūphos = stolto, vuoto.
Culòt – s.f., mutande; in fr. culottes (pz. culot), s.f. = mutande corte
da donna.
Cummigliare – v.tr., coprire; nel tardo lat. cumuliare, v.tr. derivato
da cumulus-i = cumulo e quindi coprire.
Cunnimma – s.f., condimento. In gr. kumizo = rendere gustoso,
condire.
28 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Cuofono – s.m., corbello, cesta concava. In gr. kofinos-ou, s.m. =


corbello, cesta.
Cuollo – s.m., collo; in sp. cuollo, s.m. = al dial.
Cuosciolo – s.m., impagliatura della sedia, il piano della sedia fatta
con fili di paglia intrecciata; dal gr. kòskinon = staccio, crivello; in
lat. e in it. regionale ha assunto significati diversi; si può pensare ad
una forma di sedia il cui piano somigliasse ad un crivello.
Cupiello – s.m., mastello, bigoncia; dal gr. kūpellon-ou = mastello.
Cuppino – s.m., mestolo, ramaiolo. In lat. cupa-ae, probabilmente
dim. di cuprum = rame, perciò ramaiolo.
Curriulo - s.m., legaccio di cuoio per le scarpe. Nel tardo lat. corio-
lum-i, s. n., dim. di corium-i = cuoio. Nel dial. loc. e in sp. curriulo
= erba convolvo.
Cuscino – s.m., guanciale. In lat. coxinum-i = al dial.

Curiosità storiche

Cannarone.
Gola in genere che dall’esterno viene chiamata canna (da cui can-
narutizia = golosità), cannarone o gliutteturo (via attraverso cui si
ingoia o agliotte), mentre la trachea è indicata, in napoletano, quale
cannaruozzolo.
Capa ‘e zì Vicienzo.
Espressione che deriva da una corruzione del latino “caput sine cen-
so” = testa senza censo, cioè chi non ha proprio niente da censire, chi
si trova in estrema miseria. Col primo censimento di Roma, ordinato
dal sesto re Servio Tullio, venivano catalogate le persone sprovviste
di beni di fortuna. È evidente che qui il caput non è tanto la testa,
quanto la persona.
Capostuoteco.
Consiste in un malessere, una vertigine, un passeggero malore, epilo-
go di una crisi isterica. Il vocabolo impropriamente è usato per gli es-
Lettera “C” 29

seri umani, perché la manifestazione del “capostuoteco” è tipica degli


animali e specie per i cavalli; si tratta proprio del capostorno della spe-
cie degli equini. L’etimologia è di derivazione latina, caput extortum =
testa rivoltata, buttata all’indietro, proprio come accade ai cavalli.
Chiachiello.
Uomo da poco, inetto, insicuro, incapace di mantenere un impe-
gno; si dice chiachiello anche una persona di piccola statura, mal-
ferma. L’etimologia può derivare dal greco blakicòs col significato
di indolente, codardo, che può diventare facilmente chiachiello per
la trasformazione delle lettere “bl” in “ch”. Alcuni propongono la
derivazione del vocabolo chiachiello dallo spagnolo qualquies cioè
qualunque, il tipo qualsiasi.
Chianca.
Beccheria, macelleria. Dal latino planca-ae, grosso pezzo di legno.
In dialetto napoletano “pl” è mutato in “ch”. Il termine dialettale sta
ad indicare tutta la macelleria, visto che il lavoro del macellaio si
svolge sul grosso pezzo di legno, detto chiancone.
Chiochiaro.
Citrullo, ignorante, balordo, uomo degno di derisione. Per l’etimo-
logia non si esclude una derivazione dalla lingua spagnola cochèar,
rammollirsi e quindi comportarsi da stupido. C’è, però, chi ne ravvi-
sa l’origine della chiochia –oggi ciocia- tipica calzatura dell’uomo
della terra. Nel Lazio è il ciociaro.
Ciammiello.
Il vocabolo è equivalente all’italiano zimbello (diventare zimbello
di qualcuno si dice a proposito di persona sprovveduta, fatta ogget-
to di scherno). Il termine si adoperava sia dai cacciatori, per il loro
particolare verso usato per adescare gli uccelli, sia per la figura di un
volatile che fungeva da richiamo per gli stessi uccelli. L’etimologia
del termine ciammiello deriva dal latino cymbalus, cembalo, stru-
mento formato da due dischi metallici che muovendosi o battendo
l’uno contro l’altro, producevano un suono acuto che ingannava gli
uccelli attirandoli. Quindi ciammiello è un uomo che si fa facilmente
ingannare o abbindolare.
Ciunco.
Il significato napoletano di ciunco è quello di paralitico, di perso-
na impossibilitata a camminare o a muoversi perché impedita nelle
30 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

membra in quanto vittima della ciunchìa. Per estensione si usa anche


a chi è in buona salute ma se la prende con comodo: “Ma che è, si
ciunco?” vale come l’espressione “Tiene ‘e ciunchie? L’etimologia
di ciunco deriva dal latino volgare truncare = mozzare, danneggiare.
Anche nell’italiano antico ciunco sta per troncato, mozzato, e chi ha
un arto mozzato non lo può adoperare perché paralizzato. La pronun-
cia di cioncare, dal verbo truncare, si è avuta dal mutamento del “tr”
in “c”, come è capitato nel linguaggio siciliano, per esempio Trapani,
in Sicilia, si pronuncia Ciapani; tranquillo si pronuncia cianquillo;
traditore si pronuncia ciaditore.
Cria (crie) .
Dal nome di alcune monete recanti sul recto il simbolo dell’orzo (in
greco kri) che è simbolo di abbondanza come il grano, ma di vil prezzo.
“Nun tenè manca a cria” è uguale a non avere niente, essere povero.
Cuffià.
“Pure ‘e cuffiate vanno ‘mparaviso”, è un detto napoletano con
cui si suole difendere chi è oggetto di scherno o di insulto. Antica-
mente il termine cuffiato valeva per l’individuo messo alla gogna,
disprezzato, messo alla berlina. Oggi è usato in modo più ameno,
scherzoso. Esso deriva dal greco cufon, letteralmente gogna pub-
blica per condannati. Il vocabolo è molto usato nei classici napo-
letani; il Basile nell’opera “Muse napoletane” dice: “No serve a
cuffiare”; Di Giacomo in “Suniette antiche”: “Che ve ne pare? Fa
‘o vero ‘o me cuffea?” F. Russo in “Repassatura”: “E pare ca me
dice cuffianno…”.
Cummiglià (scummiglià).
Equivale a coprire, avvolgere, incoperchiare, chiudere, celare, occul-
tare. Per contro con una “s” davanti significa scoprire, scoperchiare,
anche in senso metaforico. Dallo stesso verbo è derivato cummuo-
glio, coperchio; più spesso anche ironicamente: “tenè ‘o marito pè
cummuoglio”. L’etimologia è latina, secondo alcuni da cooperire
= coprire; secondo altri da cum-involvere ossia avvolgere, coprire,
schermare con qualcosa.
Curuoglio (‘o turciniello).
È l’equivalente del cercine o tortiglione. Esso consiste in un grande
fazzoletto raccolto in forma di ciambella e si poneva sul capo quando
si dovevano sostenere pesi abbastanza consistenti. Era soprattutto
la donna del sud, costretta a portare ‘ncapo non solo prodotti della
Lettera “C” 31

terra, come panieri di fichi, sporte di pomodori o di patate, ma anche


pesi vari alzati su solide teste, rimanendovi in perfetto equilibrio da
trasportare per alcuni chilometri.

Proverbi lettera “C”

Càgnano ‘e sunature ma ‘a musica è sempe ‘a stessa.


Specie in politica possono cambiare gli uomini, ma il mal-governo e
i profittatori ci saranno sempre.
Càrmate, Libò, ca ‘o carcere fète ‘e pimmece!
Meglio non farti trascinare dall’ira che potrebbe indurti a compiere
qualche azione che ti farebbe andare in carcere.
Carte e donne fanno chello che vònno.
Perché esse possono far felici oppure rovinare gli uomini.
Casa acconciata, morte apparecchiata.
Alle volte chi finalmente riesce a sistemarsi in una bella e conforte-
vole abitazione non riesce a godersela per tempo.
Casa senza sole ‘nce trase ‘o miéreco ‘a tutte ‘ll’ore.
In una casa malamente esposta ed umida, sono frequenti le malattie.
Catarro, vino c’o carro.
Sembra infatti che il vino caldo sia un ottimo rimedio.
Caver’ ‘e panne nun fa danno.
Il caldo prodotto da panni pesanti non procura danni.
Ccà ‘e pèzze e ccà ‘o sapone.
Qua gli stracci e qua il sapone. Il detto forse deriva dalla risposta che
dava il cenciaiuolo a quelle massaie le quali volevano il sapone e
promettevano di dargli alla prossima volta gli stracci.
Cchiù ‘ncoppa se saglie, cchiù bùtto se piglia.
La caduta di chi è salito molto in alto, è più rovinosa di quella di chi
tali altezze non ha mai raggiunto.
32 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Cchiù néra d’à mezza notte nun po’ venì.


Magra consolazione di chi ha già passato un sacco di guai.
Chell’ ca vò Maria ‘o trova p’à via.
Ciò che vuole Maria lo trova lungo la via. È una esclamazione di
gioia proferita da chi incontra una persona desiderata.
Chell’ che nun se vère ‘nfiore, nun se vère ‘nfrutto.
Ciò che non si vede in fiore non si vedrà neppure in frutto. Fig. Chi
non si comporta bene da ragazzo non si comporterà bene neppure
quando sarà maturo.
Chello che faje t’ò truove.
Ogni azione che compi, buona o cattiva che sia, ti sarà sempre ripa-
gata.
Chello che se ‘mpara ‘a giovane, nun se scorda a viecchio.
Specie per quanto riguarda la buona educazione ed i sani principi di
onestà e lealtà.
Chesta è ‘a ricetta e Ddio t’a manna ‘bbona.
Questa è la ricetta e Dio te la mandi buona. Il detto deriva dalle paro-
le pronunciate dal medico nel porgere la ricetta ad un ammalato.
Chi ‘a vo’ cotta e chi ‘a vo’ crura.
Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Il detto deriva da una risposta
data da un cameriere al padrone di un ristorante il quale chiedeva
come i clienti desiderassero la bistecca.
Chi ‘e speranze campa, disperato mòre.
Chi si nutre solo di speranze, muore di fame.
Chi ‘mmasciata te porta, ‘nciuria te vo’ fà.
Chi ti riferisce cosa non buona detta da altri sul tuo conto, ti vuole
fare un’offesa. Fig. Non bisogna prestare fede ai delatori.
Chi ‘nnanza t’onora, ‘a rèto te cortelleja. Oppure: chi t’alliscia
te tradisce.
Attenzione a chi ti adula o ti fa molti complimenti perché, in genere,
sparla poi alle tue spalle.
Chi abbaia assaje se fa ‘na panza ‘e viento.
Chi è solito gridare per ogni più piccola cosa si rode dentro vedendo
che gli altri restano indifferenti, abituati ai suoi scatti di ira.
Chi accatta ‘a ‘rrobba bbona fa fesso ‘o negoziante.
Lettera “C” 33

Questo perché la merce di buona qualità dura più a lungo.


Chi ave pietà r’è carne ‘e ll’ate ‘e ‘ssoje s’è mangiano ‘e cane.
Chi ha pietà di altri e trascura se stesso, finisce male.
Chi càgna ‘a via vecchia p’à nova, sape chello che lassa, nun sape
chello ca trova.
Chi cambia la strada vecchia per la nuova, sa quella che lascia, non
sa quella che trova. Fig. Prima di cambiare opinione, bisogna pen-
sarci bene.
Chi campa ‘a deritto, campa afflitto.
Chi vive secondo giustizia vive afflitto; cioè non si arricchisce mai.
Chi chiagne fótte a chi rire.
Chi piange – fingendo – danneggia e inganna maldestramente chi
ride.
Chi comanna nun sóre.
Chi comanda non suda. Fig. Chi da’ ordini, spesso non si cura delle
difficoltà di chi deve eseguirli.
Chi è ciuccio e se cred’ d’essere cervo, quanno zompa ‘o fuosso
se n’addona.
Lo stupido, che grazie ad appoggi, viene messo ad un posto di co-
mando pur non essendone all’altezza, prima o poi si accorgerà della
sua incapacità e inettitudine.
Chi fraveca e sfraveca nun perde maje tiempo.
Chi fabbrica e sfabbrica non perde del tutto il tempo. Fig. Chi si
accorge che una cosa è stata fatta male e subito la rifà non ha grandi
perdite.
Chi l’aiza ‘na vota, l’aiza sempe.
Chi solleva la gonna una volta, la solleverà sempre.
Chi lava ‘a capa ‘o ciuccio ‘nce perde l’acqua e ‘o sapone.
Chi lava la testa all’asino sciupa l’acqua ed il sapone. Fig. Il bene
fatto ad un ignorante va perduto.
Chi mangia sulo annózza.
Chi mangia da solo si ingozza (perché mangia troppo e svelto).
Chi nasce tunno, nun more quadro.
Chi nasce rotondo, non muore quadrato. Fig. Vizio di natura fino alla
morte dura.
34 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Chi nun accatta e nun venne, nun saglie e nun scenne.


Solo chi è in commercio può crearsi una grossa fortuna o cadere in
miseria; tutti gli altri condurranno sempre una vita modesta.
Chi nun tene figlie, chiagne nepute.
Ha due significati. 1) chi non ha figli si dedica di più ai nipoti; 2) chi
non ha avuto figli resta col desiderio di avere dei nipoti.
Chi parla assaje, arraggiona poco.
Chi parla troppo, quasi sempre, ragiona poco e non conclude nulla.
Chi pava primm è male servito.
Perché il commerciante o il prestatore d’opera non ha più interesse
ad accattivarsi o a servire nel migliore dei modi chi ha già pagato.
Chi pe’ tiempo penza, pe’ ora mangia.
Chi prepara in tempo il pranzo, mangia in orario. Fig. Il buon esito di
una cosa, dipende dalla sua preparazione.
Chi pecora se fa, ‘o lupo s’a mangia.
Chi pecora si fa, il lupo la divora. Fig. Quando si ha da fare con qual-
che persona cattiva bisogna agire con fermezza e coraggio.
Chi presta, se fa ‘e nnemice.
Chi presta qualcosa corre il rischio di perderla e di inimicarsi il debi-
tore a furia di sollecitarne la restituzione.
Chi se ‘nzagna sente ‘o dolore.
Chi si fa una ferita e perde sangue è solo lui che sente dolore.
Chi se mette appaura nun se cocca cu’ ‘e femmene belle.
Chi ha paura non va a letto con le donne belle.
Chi se sossa matina s’abbusca pane e vino; chi se sossa juorno
s’abbusca ‘nu cuorno.
Chi inizia a lavorare al mattino presto guadagnerà bene; chi invece è
indolente e poltrisce a letto morirà in miseria.
Chi semmena ardìche nun coglie vruoccole.
Chi educa male i propri figli non può aspettarsi da essi nulla di buono.
Chi sputa ‘ncielo, ‘nfaccia le torna.
Chi offende il Signore avrà la giusta punizione.
Chi sta vicino ‘o sole, nun sente friddo.
Fig. Chi è amico di persone potenti o ricche godrà della loro prote-
zione e dei loro benefici.
Lettera “C” 35

Chi stipa trova.


Chi fa delle economie avrà sempre delle riserve.
Chi tant’ mant’ e chi senza lenzole.
Chi ha tanti mantelli o coperte e chi neppure le lenzuola. Fig. Il po-
vero si lamenta quando vede un ricco scialacquare.
Chi te jetta a pòvera dint ‘a ‘lluocchie, te vò vedè cecato.
Chi ti loda o ti adula ha già deciso di truffarti.
Chi te rona, caro te vénn’.
Chi ti sta vendendo qualcosa e dice che quasi te la vuole donare, è
segno che te la vende molto cara.
Chi te sape t’aràpe.
I furti negli appartamenti sono quasi sempre da qualcuno che cono-
sce bene gli ambienti della casa.
Chi te vò bene appriesso te vene.
Chi ti vuole bene ti seguirà sempre e dovunque tu vada.
Chi tene ‘a faccia tosta s’ammarita, e chi no resta zita.
Alle ragazze un pizzico di civetteria e audacia sono indispensabili
per trovare più facilmente marito.
Chi tene arte, tene parte.
Chi conosce bene un mestiere, non soffrirà mai la fame.
Chi tène nu nievo e nun s’ò vere, tène ‘a sciorta e nun s’ò crére.
Chi tiene un neo e non se lo vede, ha una buona fortuna e non la
crede.
Chi troppo ‘a tira, ‘a spezza.
Chi vuole troppo temporeggiare nelle sue decisioni finisce col per-
dere ogni cosa.
Chi va pe’ ‘mmare, chisti pisci piglia.
Chi va per mare, questi pesci prende. Fig. Chi affronta un’impresa
pericolosa necessariamente incontra ostacoli.
Chi vò fa troppo ‘o saputiello fa a fine ‘e Franceschiello.
I presuntuosi e i saccenti finiscono molto male.
Chi vo’ ‘o male ‘e ll’àte, ‘o suoje sta arret’ ‘a porta.
Chi desidera il male per gli altri, dietro alla porta sta il male per sé.
Chiacchiere e tabbacchère ‘e legne ‘o Banco ‘e Napule nun ‘e
‘mpegna.
36 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Chiacchiere (parole) e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non


riceve pegno. Fig. Non si compra nulla a parole o con oggetti di vile
prezzo.
Cient’ gall’ a cantà, nun fa maje juorno.
Cento galli a cantare non fa mai giorno. Fig. Quando molti vogliono
far prevalere la propria opinione su un argomento, non si giungerà
mai ad una soluzione.
Ciuccio che arraglia ‘lle pròre ‘o battaglio.
Capita sia agli animali che agli uomini in … fregola.
Comme ‘o vir’, ‘o scriv’.
Come lo vedi, così lo descrivi. Fig. Solo a vederlo ti accorgi che uno
è malandato, povero.
Comme mi suone tu, accussì t’abballo!
Ogni azione deve essere proporzionata all’entità del corrispettivo per
essa concordata (Basile, Muse napoletane).
Comme se sémmena, se raccoglie.
Fig. Come si educano i figli, così sarà la loro riuscita.
Corne ‘e sore so’ corne d’oro; corne ‘e pariente so’ corne ‘ar-
giento; corne ‘e muglière so’ corne ovère.
Le vere corna sono solo quelle messe dalla propria moglie.
Criature: allessa; giuvinotte: ‘a fessa; viecchie: ‘a messa.
Ogni cosa a suo tempo: ai ragazzi piace mangiare le castagne lesse;
ai giovani piacciono le donne; ai vecchi serve solo prepararsi ad una
santa messa.
Cucchié, va’ chiano ca’ vaco ‘e pressa.
Cocchiere (vetturino), va piano perché ho fretta. Questo perché: se si
corre troppo si può cadere o inciampare, si può perdere del tempo e
arrivare tardi dove c’è l’esigenza di arrivare presto.
Cunsiglio ‘e vorp’, rammaggio ‘e galline.
Consiglio di volpe, danno di galline. Fig. L’espressione nasce quando
si osserva il raduno di persone costituite in autorità di male affare.
Cunt’ spiss’ e amicizia ‘a lluong’.
Quando i conti si fanno spesso, l’amicizia dura a lungo.
Curto e mal’ ‘ncavato.
Basso e mal cavato. Fig. L’uomo basso di statura è furbo per natura.
D
Dammiggiana (rammiggiana) – s.f., recipiente di vetro a forma di
grosso fiasco; dall’arabo damahgan = damigiana; ma anche dal fr.
dame-jeanne lett. = signora Gianna, evidentemente si tratta di una
signora corpulenta.
Ddùrece - n.c., dodici; dal lat. duodecim = all’it.
Decolté – s.m., scollatura di una veste femminile. In fr. décolleté (pz.
décolté) = al dial.
Denocchie – s.f., ginocchia, lat. geniculum = al dial.
Déte – s.f. pl., dita; dal lat. digitum e dal lat. volg. ditu.
Devacà (revacà) – v.tr., svuotare, vuotare. Etim. v. costruito su un
aggettivo del lat. volg. vacuus = vuoto.
Diasilla (riasilla) – s.f., inno lamentoso della chiesa. In lat. comincia:
“Dies ira, dies illa” = giorno di ira, quel giorno.
Dìcere (ricere) – v.tr., dire; dal lat dicere = al dial.
Diébbete (riébbete) – s.m., debiti; dal lat. debitum-i, s. n. = debito.
Dimane – avv. di tempo, domani. In lat. il termine è composto da:
de-mane, di (buon) mattino.
Dimànne (addimànn’) – v.tr., domandare, chiedere; in lat. deman-
dare, lett. raccomandare (mandare con de, ma anche mandare per
sapere, chiedere).
Dirrupà (rirrupà) – v.tr., lett. gettare da una rupe, dal lat. de rupare
= cadere da una rupe.
Ditto – s.m., detto; dal lat. dictum-i, detto, motto, sentenza.

E
38 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Dibbusciato (ribbusciato).
Il termine ignorato dai dizionari napoletani, contrassegna l’individuo
vizioso, dissoluto corrotto. Alcuni considerano la derivazione dello
stesso vocabolo dal francese débauche (pz. débosc) con cui si defi-
nisce l’orgia, l’eccesso nel bere, lo sviamento del lavoro e simile.
L’appellativo non è infrequente come rimprovero nei confronti di chi
si mostra pigro, indolente, stanco e svogliato come l’usa L. Bovio
in un suo scritto, “Nanninna”: “Cu’ chi vaje, se po’ sapé? Cu’ tre o
quatto ribbusciate comm’ a te?”

Proverbi

Dà ‘na botta ‘o chirchio e n’ata ‘o tumpagno.


Dare un colpo al cerchio ed uno al fondo della botte. Fig. Nel giu-
dicare tra due contendenti, per mantenerseli buoni, si dà un po’ di
ragione all’uno e un po’ all’altro.
Da amice e da pariante nun ce accattà e nun ce vennere niente.
Non combinare affari con amici e parenti.
Da chi nun tene figli, nun ce î né pe’ ràzzia né pe’ cunzigli.
Da chi non ha figli non andarci, né per favori né per consigli.
Da quanno è morta ‘a criatura, nun simme ‘cchiù compàr’!
Da quando è morta la bambina non siamo più compari. Fig. Vuole
essere una sorta di rimprovero rivolto a chi è stato favorito e non si
fa più vedere.
Ddio ‘o ssà e ‘a Maronna ‘o vvere.
Dio lo sa e la Madonna lo vede. Fig. È un’espressione di conforto per
chi si trova in una situazione precaria e spera nell’aiuto divino.
Dicètte ‘a pica: che mal’arte è ‘a fatica.
Lettera “D” 39

Il lavoro è troppo duro per chi non lo ama.


Dicètte ‘a vipera a ‘o vuoje: me può scamazzà, ma sempe cornu-
to sì.
La vendetta non cancella l’offesa, nel caso di adulterio.
Dicètte ‘a zì’ Menechella: è sempe bbona ‘na grattatèlla.
Fare scongiuri non fa mai male.
Dicètte ‘o cafone: ‘na vota me faje fesso!
L’esperienza insegna.
Dicètte ‘o pappagallo: chi vo’ campà felice vede ‘o stuorto e nun
‘o ddice.
Se vuoi vivere felice devi osservare ma tacere.
Dicètte ‘o scarafone: po’ chiovere ‘gnostro, cchiù niro ‘e chello
che songo nun pozzo addiventà.
Quando le cose vanno storte è inutile ribellarsi. Passerà.
Dicètte chillo: nun è ‘a merce ca nun ‘nc’aggusta, ma è ‘a mune-
ta ca nun ‘nc’abbasta.
Non è che i gusti siano difficili, la verità è che non abbiamo i soldi
per comprare nulla.
Dint’ ‘a n’ora Dio lavora.
Tutto si può risolvere in un batter d’occhio, se Dio lo vuole
Doppo ‘e cunfiette veneno ‘e difiette.
Dopo il matrimonio gli sposi incominciano a rivelare i propri reci-
proci difetti.
E
‘E pesole – avv., di peso; dal lat. pensilis = pensile, di peso.
Ebbiva – escl., voce di plauso; evviva! “Ebbiva isso e sim”. Per lo
più ironicamente, evviva lui!
Èbbreca – s.f., epoca; dal gr. epochè (sott. asterōn) = posizione (del-
le stelle), dal verbo gr. epèchein = trattenere, tenere, da epì = sopra
(come punto di riferimento) ed epèin = tenere, nel computare il tem-
po. Periodo di lunga durata.
Èllera – s.f., edera; in lat. hedèra con l’influenza del sost. helix =
elice, elce.
Embè – da ebbene ed anche da ebbè.
Entramè – s.f., vivanda che si dà tra una portata e l’altra; dal fr. en-
tramets (pz. antramè) = tra mezzo.
Erva (èvera) – s.f., erba; “erva de mare” = alga. Dal lat. herba =
all’it., di etim. incerta.
Éstrece – s.f., istrice, riccio; dal lat. hystrice da hystrix, e dal gr. hy-
strix = dal pelo in su.
Evirenza – s.f., evidenza; trasf. della “d” in “r”.

Curiosità storiche

‘E sguincio.
Camminare o procedere ‘e sguincio significa muoversi di sghimbe-
scio, obliquamente, di fianco. Il modo di dire ha anche un significa-
to allusivo: “va ‘e sguincio” chi non si comporta in modo lineare,
aperto, agendo invece slealmente. Della parola non si trova una fa-
cile etimologia, si può ipotizzare la derivazione tanto dal germanico
42 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

slimb = obliquo, quanto dall’antico francese guenchir = andare di


sghembo. Non si esclude neppure il verbo latino excampare nel sen-
so di farsi da parte, da cui l’italiano scansare e il napoletano “scan-
zà”: chi va “’e sguincio” infatti non avanza in linea retta, ma piega
da un lato per evitare una difficoltà.

‘E stramacchio.
Nascostamente, alla chetichella, clandestinamente. Espressione mol-
to in uso nel lessico giornaliero, ma registrata nei vocabolari napo-
letani. L’origine è da attribuire al gergo della mala vita, dove am-
macchiarse equivale a imboscarsi, rendersi latitante, sfuggire alla
giustizia quasi rifugiandosi nella macchia. È possibile che derivi da
extra mathesis o extra mathicos (dal gr. manthano = imparare), nel
senso di comportamento al di fuori dei retti insegnamenti e delle
giuste regole. Forse può derivare anche dal lat. extra-macula che
significa letteralmente fuori dalla macchia.

Proverbi

‘E chiácchiere fanno ‘e chiérchie, ma ‘e maccarúne régneno ‘a


panza.
Lett. Le chiacchiere fanno i cerchi, ma i maccheroni riempiono la
pancia. Fig. Non la parola, ma i fatti sono necessari.
‘E cuffiate pur’ ‘mparavis’ vanno.
I canzonati pure vanno in Paradiso. Talvolta anche quelli che sem-
brano sciocchi riescono bene nella vita.
‘E ddete r’a mano nun só tutte uguali.
Fig. Gli uomini non hanno tutti le stesse capacità, inclinazioni.
‘E denare fann’ venì ‘a vista ‘e cecate.
I denari ridanno la vista ai ciechi. Fig. I denari possono tutto nella
vita (tranne che a comprare la salute).
Lettera “E” 43

‘E femmene ne sanno cchiù d’ó diavolo.


Le donne ne sanno più del diavolo. Fig. la donna è diabolica, è ca-
pace di tutto.
‘E ghjastemme cogliono a chi ‘e mmena.
Le bestemmie e le maledizioni ricadono sempre su chi le lancia.
‘E mmalatie vèneno a cavallo e se ne vanno a ppère.
Le malattie fanno presto a venire, ma per guarire occorre tempo.
‘E manca sempe ‘o sòrdo p’apparà ‘a lira.
Gli manca sempre un soldo per formare una lira. Ai tempi d’og-
gi si potrebbe dire: gli manca qualche centesimo per formare un
euro.
‘E notte nun parlà forte, ‘e juorno guardate attuorno.
Di notte non parlare ad alta voce, e di giorno fai attenzione a ciò che
dici.
‘E panne spuorche se lavano ‘nfamiglia.
I panni sporchi si lavano in famiglia. I problemi familiari si discuto-
no in seno alla famiglia.
‘E pariente só comme ‘e scarpe: cchiù só strette e chhiù te fanno
male.
Meglio guardarsi dai parenti, specie da quelli più intimi.
‘E ricche comm’ vònno, ‘e pezziente comm’ pònno.
Le persone ricche hanno le possibilità di fare delle scelte, mentre
i poveri devono accontentarsi di ciò che le loro modeste sostanza
possono consentire.
‘E sòrde vottano cauci.
I soldi tirano calci. Fig. Molti soldi spingono l’uomo al vizio.
‘E tre cose nun te fidà: femmene, giurece e sbirre.
Non fare affidamento su tre cose: donne, giudici e sbirri.
‘E viecchie hanno paura ‘e tre cose: carúta, catarro e cacarella.
I vecchi hanno paura di tre cose: caduta, catarro e diarrea.
È acqua ca nun leva sete.
Si dice di qualcosa che non procura alcun piacere.
È fernuta ‘a zizzella.
Si è svuotata la mammella. Fig. Si dice ad uno che è abituato a vivere
alle spalle di un altro che improvvisamente viene a mancare.
44 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

È gghiut’ ‘a carn’ ‘a sotta e ‘e maccarune ‘a coppa.


È andata la carne sotto e i maccheroni sopra. Fig. Gli ignoranti hanno
preso il sopravvento sui dotti.
È gghiuto ‘o puorco int’ ‘e mele.
Il porco è finito in un mucchio di mele. Fig. Il povero è capitato in
un grosso guaio.
È gghiuto pe’ se fa ‘a croce e s’è fatto male ‘ll’uocchie.
Nel farsi il segno della croce si è fatto male agli occhi. Fig. Nell’ac-
cingersi a compiere una favorevole impresa si è trovato inconsape-
volmente nei pasticci.
È pretusino a ogni menèsta.
È come prezzemolo ad ogni minestra. Si dice ad uno che si intromet-
te ad ogni faccenda.
È trasuto ‘e sicco e s’è votat’ ‘e chiatto.
Quando una persona stenta per ottenere un posto, un favore ad una
carica, una volta raggiunto lo scopo, perde la sua umiltà e la fa da
padrone.
È venuto ‘o zio r’Amereca!
È venuto lo zio dall’America. È l’esclamazione di chi, in occasione
di qualche ricorrenza per lui ricordevole, è pregato dagli amici ad
offrire e lui: “credete che sia venuto mio zio dall’America e mi abbia
portato i dollari?”
F
Facenna – s.f., faccenda; cosa di cui non si vuol dire il vero nome.
Dal lat. facienda (gerund. del v. facere) = cose da fare.
Facíte – 2ª per. pl. ind. pr. e imperat. pres. = fate. In lat. dal v. facere,
facitis (ind. pres.) e facite (imperat. pres.) = all’it.
Faglià – v.intr., mancare, dichiarare o far capire di non avere un
particolare colore nel giuoco delle carte; etim. dallo sp. fallar =
al dial.
Fàino – s.m., pugno, cazzotto. Etim. dall’ingl. fight = lotta, zuffa.
Faìto – s.m., faggeto, bosco di faggi.
Fanfarrone – s.m., uno che si vanta troppo. In sp. fanfarron, s.m.
= al dialetto.
Farfariello – s.m., folletto, demonio, spirito maligno; dall’arabo far-
far = folletto.
Farfuglio – agg., balbuziente; etim. in sp. dal v. farfullar = chiac-
chierare (senza farsi ben capire).
Farro – s.m., crusca macinata. In lat. far-farris = farina in genere.
Fascitiello – s.m., piccolo fascio di erba o di rami secchi. Nel tardo
lat. fascellus-i (dimin. di fascis-is) = piccolo fascio.
Fasulo – s.m., fagiolo. Dal gr. fasólos-ou, s.m., legume, piccola fava,
fagiolo.
Felasca – s.f., erba delle ciperacee, “festuca – etatior”; l’etim. deriva
da un termine mediterraneo fala = altura.
Fèle – s.m., fiele. Dal lat. fel-fellis = fiele.
Fellà – v.tr., affettare, tagliare in fette. Fig. diffamare, denigrare.
Fellàre – v.tr., affettare. In fr. feler = al dial.
Fèra – s.f., fiera, mercato periodico che si svolge in alcune città.
Etim. lat. feriae = giorni di riposo, vacanze.
Ferraro - s.m., fabbro ferraio. In lat. ferrarius-a-um, agg., ferreo, di
ferro.
Féscena - s.f., paniere a punta in giù, usato per raccogliere uva, fi-
chi… In lat. fiscina-ae = corbello, cestello, da fiscus = cesto; per
estens. = fisco, erario dello stato.
46 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Féssa – s.f., etim. dal tar. lat. fissa (part. del v. findere) = spaccare;
quindi fessura; per estens. significa vulva.
Fessiare – v.rifl., camminare ostentando vanità ed eleganza, ma
in maniera goffa. Lett. il v. vuol dire fare il fesso, comportarsi da
fesso.
Fetecchia – s.f., (derivata da fieto) fuoriuscita silenziosa di gas del-
l’intestino (anche loffia o loffa che è una voce onomatopeica tosca-
na). Fig. Fare ‘na fetecchia, si dice di arma che non piglia fuoco o di
cosa che fallisce.
Fetente – agg., sporco, puzzolente; fig. uomo di poco conto. In lat.
foetens-entis, part. pass. da foetĕre = che manda cattivo odore.
Ficurinie – s.f., fichi d’India; trasf. della “d” in “r” e di “dia”
in “ie”.
Fierro – s.m. = ferro. In sp. fierro = all’it.
Fieto – s.m., puzza; dal lat. foetium = puzza; dal lat. volg. foetere =
puzzare.
Figlióla – s.f., ragazza, figlia. In lat. filiola-ae (dimin. di filia-ae) =
piccola figlia.
Filoscio – s.m., frittata; etim. fr. filoche (pz. filosc’) = all’it.
Finucchio - s.m., finocchio. Nel tardo lat. foenuculum-i = all’it.
Fitúsi (o fetúsi) o anche fetenti – forma dial. locale di cestri, si rac-
colgono per pulire il forno a caldo dopo che si è bruciata la legna per
panificare; emanano gradevole odore.
Fitúso (o fetúso) - s.m., in senso fig. si dice di persona collerica,
stizzosa.
Fiura - s.f., figura, carta su cui sono raffigurate persone, animali
o cose.
Focarone – s.m., falò; etim. lat. focaris = del fuoco.
Focetola (fucetola) – s.f., beccafico; dal lat. ficedula, composta da fi-
cus = fico e dal v. edo = mangiare, quindi uccello che mangia fichi.
Foja – s.f., libidine, eccitazione sessuale, furore. Etim. lat. furia. La
voce latina è trasformata in base a regola toscana che muta “uria”
in “oia”.
Forcella – s.f., grossa mazza di forma biforcuta che assume una
funzione di sostegno. In lat. furcilla-ae (dim. di furca-ae), piccola
forca.
Forfè – s.m., cottimo. In fr. forfait (pz. forfè), s.m. = al dial.
Forgia – s.f., fucina del fabbro ferraio. In fr. forgie (pz. con la “j”
dolce) = al dial.
Lettera “F” 47

Fornacella – s.f., fornello a carboni. In lat. fornacilla-ae (dimin. di


fornax-is) piccola fornace.
Fóttere – v.tr. e intr., danneggiare, ingannare, imbrogliare; it. volg. =
possedere sessualmente. Lat. parl. futtere; lat. cl. futuere, ingannare,
imbrogliare. Fottersi intr., infischiarsene.
Frac – s.m., marsina, giacca caudata. In fr. frak, s.m. = al dial.
Fráceto – agg., guasto, marcio. In lat. fracidus-a-um, agg., (deriv.
dal v. fráceo) decomposto, corrotto.
Franfellicco (frammellicco) – s.m., piccolo pezzo di una pasta fatta
di miele e zucchero che i ragazzini nel dopoguerra acquistavano da
un “Franfelliccaro” con una sorta di baratto: davano degli stracci
in cambio di un pezzetto di “franfellicco”. Il termine è usato anche
in Toscana.
Freva – s.f., febbre. In lat. febris-is = al dial.
Frevàro – s.m., febbraio; dal lat. februarius (sott. mensis = mese),
mese di febbraio.
Fríere – v. tr., friggere. In lat. frigere, tr., = friggere.
Frije – dal v. friggere = frigge; la “j” ha preso il posto della dop-
pia “g”.
Fronna – s.f., foglia; dal lat. fronda-ae = ramicello con foglie.
Frungillo – s.m., fringuello. In lat. fringuella-ae, s.f., fringuello.
Fruvolo – s.m., folgore, razzo, fruvolo; per estens. ragazzo irrequie-
to. Dal latino fulgor-oris = folgore.
Fujente – s.m.pl., devoti della Madonna dell’Arco che girano di cor-
sa per le vie della città chiedendo offerte; etim.: deformazione dial.
del lat. fugientes (part. pres. del v. fugere) = i fuggenti.
Fuj-fuj = fuggi-fuggi; anche qui, come prima, la “j” ha preso il posto
della “g”.
Fulinia – s.f., fuliggine, ragnatela. Etim. lat. med. felinea e dal lat.
cl. fumigo-inis = all’it.
Fumiento – s.m., decotto di erbe odorose; se ne aspira il vapore
quando si è raffreddati
Furiesteco – agg., selvatico, uomo asociale. Nel tar. lat. foristicus-
a-um, (deriv. da foras stare) abitare fuori il centro urbano, selvatico.
Futo – agg., profondo. In lat. futum = al dial.

E
48 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Fetecchia.
L’equivalente italiano è quello di cilecca, di fiasco. In sostanza chi
fa fetecchia è colui che fallisce il colpo, manca l’obiettivo sperato, è
andato a vuoto e quindi diventa oggetto di derisione e di scherno, di
beffa. L’espressione è usata raramente negli scritti di autori perché ad
essa si attribuiva falsamente un senso di trivialità come “scorreggia
non rumorosa”. Ma ciò era inesatto perché il termine letteralmente
è: “scoppio debole e vano”, proprio di qualche fucile vecchio e poco
efficiente, di uno sbuffo d’aria al posto del rumoroso sparo. La de-
rivazione è dal lat. flaticulus, dal v. flare = soffiare impetuosamente,
sbuffare, proprio nel senso di piccolo fiato. Quindi ha un senso più
balistico che flatulento.
Figlio ‘e ‘ntrocchia.
È per definizione l’individuo abile, scaltro, grintoso, fornito di va-
lide capacità che riesce a cavarsela mettendo gli altri in difficoltà.
L’appellavo ‘ntrocchia non ha una storia precisa perché usato solo
da qualche secolo, né si sa a quale categoria di madre appartenga
‘ntrocchio. Un’ipotesi affacciata da un grande studioso (che oggi fa
testo) R. De Falco, vuole che discenda dalla parola del tutto napole-
tana, rocchia, insieme di più persone e per estensione, turba, frotta,
combriccola. Figlio ‘e ‘ntrocchia allora è uguale a figlio concepi-
to ‘int’ à rocchia, generato quasi per caso e allevato precariamente,
senza agi e comodità, costretto a tirarsi su da solo, privo di calore
della famiglia, senza protezione, tuttavia capace di sopravvivere e di
superare ogni sorta di difficoltà.
Fruscià.
V. tr. e rifl. = spendere, dissipare il proprio danaro, darsi delle arie e
affannarsi. Etimologia: l’idea del vantarsi sarà derivata dal significato
che ha il verbo napoletano nella forma riflessiva del suddetto “affan-
narsi” perché chi si affanna intorno ad un lavoro non ha tempo di dar
retta agli altri. Lat. frustiare = fare in pezzi, quindi dissipare. L’espres-
sione napoletana: “se fruscia Pintauro”, con riferimento ad uno che si
vanta, deriva dal fatto che Pintauro, l’antico pasticciere famoso per le
sue sfogliate, si riteneva essere il più bravo dei suoi colleghi.
Lettera “F” 49

Futo.
Il significato, per antonomasia, è quello di profondo. Il Puoti specifi-
ca: “che ha profondità”, mentre il Galliani aggiunge che “si dice pro-
priamente dei fossi”; non dissimile il significato di altri classici. C’è
però chi collega il termine al latino futum, indicante il vaso da tavola
che contiene acqua, ma che certamente non può meritare la qualifica
di profondo, tutt’al più può essere ampio, capace. Il vocabolo, come
osserva il De Falco, deriva da fundus = profondo, incavato così come
l’aggettivo funditus vuol dire: dalle profondità, nel profondo; da que-
sto fundus l’italiano fondo, donde le espressioni: occhi fondi, notte
fonda, selva fonda.

Proverbi

Fa’ a visita a Santa Elisabetta.


Trattenersi a lungo presso altri (la visita della Madonna a Santa Eli-
sabetta durò tre mesi).
Fà ‘o bbene e scuordete! Fà ‘o mmale e pienzace!
Fa il bene e dimentica! Fa male e pensaci! Un invito a fare sempre il
bene per non avere rimorsi nella vita.
Fà ‘o passo cchiù gruosso r’à gamba.
Quel tale fa il passo più lungo della gamba. Fig. Quel tale fa cose che
non si può permettere, superiori alle sue possibilità.
Fà ‘o piglia e porta.
Quel tizio fa come uno che prende una notizia e la porta agli altri.
Fig. Si dice di uno che è abituato a fare il delatore, lo spione.
Fà ‘o scemo pe’ nun ‘gghì à guerra.
Fa lo sciocco per non andare in guerra. Fig. Si dice di chi si finge
stupido per non sottostare alle regole e fare il proprio comodo.
Fà casa e potéca.
Sistemarsi con casa e bottega (in un solo vano).
50 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Fà chiagnere ‘e prete r’à via.


Fa piangere persino le pietre della strada. Fig. Si dice di uno che fa
tanto male agli altri da far piangere persino le pietre.
Fà comme t’è fatto can nun è peccato.
Fa agli altri ciò che gli altri hanno fatto a te perché non è peccato. È
questa una concezione poco cristiana, come se si dicesse “occhio per
occhio e dente per dente”.
Fà crai, crai, comme ‘a cornacchia.
Quel tale rinvia sempre a domani (dal lat. cras = domani) ciò che
deve fare oggi.
Fà cuofeno saglie e cuofeno scenne!
Fa come i corbelli dei muratori tirati attraverso l’argano: uno sale e
l’altro scende, ciascuno per conto proprio.
È un invito a non interessarsi di nessuno e procedere per la propria
strada.
Fa l’arte e Michelasso: mangia, veve e stà ‘o spasso.
Fa la stessa arte di Michelaccio: mangia, beve e sta a spasso. Est. Si
dice di chi non ha voglia di lavorare.
Fà l’indiano.
Quello fa proprio come un indiano. Fig. Cioè come uno che non vuol
capire quanto gli si dice fingendo di essere ignorante.
Fà paglia e grano uno montone.
Fare paglia e grano un solo mucchio. Fig. Mettere insieme senza
distinzione buoni e cattivi.
Fà scennere ‘o core int’ ‘e cazette.
Fa scendere il cuore nei calzini. Fig. Far scoraggiare completamente
una persona.
Fà sizio-sizio.
Dice sempre ho sete, ho sete. Fig. Chi si lamenta sempre del pro-
prio stato.
Fa una bòtta ddoje focetele.
Fare due profitti contemporaneamente, come quando con una sola
schioppettata si ammazzano due beccafichi.
Faccia senza color’ o favez’ o traditore.
Una faccia (volto) senza un colorito o è un falso o un traditore.
Lettera “F” 51

Facesse ‘na colata e ascesse ‘o sole!


Facessi un bucato e uscisse il sole! È una specie di imprecazione da
parte di chi, quand’anche si industri a fare ogni lavoro, non gliene va
nessuno a buon fine.
Fatte desiderà, si te vuò fa amice e si te vuò fa amà
Se vuoi riuscire sempre gradito ai tuoi amici, non essere troppo inva-
dente e non imporre mai la tua presenza.
Fatte i fatti tuoie e vire chi t’’e ffà fa!
Fatti i fatti tuoi e vedi cosa ti succede. Fig. È un’esclamazione di chi,
pur disinteressandosi dei fatti altrui, viene ingiustamente offeso.
Fattell’ cu’ chi è meglio ‘e te e falle ‘e spese!.
Fattela con chi è migliore di te e fagli le spese. Fig. Scegli le persone
perbene anche a costo di rimetterci.
Figl’ piccirill’ guaje piccirill’, figl’ gruoss’ guaje gruoss’, figl’ spo-
sate guaje addoppiate.
I figli piccoli danno piccoli fastidi, figli grandi guai grandi, figli spo-
sati guai raddoppiati.
Figlio muto ‘a mamma ‘o ‘ntenne.
Sia perché ad una mamma è sufficiente un solo sguardo per capire il
figlio e sia perché l’amore materno è tanto grande da non considerare
eventuali difetti o pecche.
Finì a pisci ‘nfaccia.
Terminare un pranzo a pesci (a torta) in faccia. Fig. Terminare di-
scussioni in modo violento e volgare. Uguale espressione esiste in
francese: à poissons sur le visage = a pesci in faccia.
Frevaro, curto e amaro.
Il mese di febbraio è breve ma rigido.
Fuje quanto vuò ca ccà t’aspetto.
Puoi fuggire o cercare di nascondere ciò che tu hai fatto di male, ma
la giusta punizione arriverà.
G
Gaff – s.f., sbaglio, sproposito. In fr. gaffe (pz. gaff) = al dial.
Galosce – s.f. pl., soprascarpe. In fr. galoche (pz. galosce) = al dial.
Gattò – s.m., focaccia. In fr. gâteau (pz. gatò) = al dial.
Gesina – s.f., podere coltivato a ulivi; etim. base osco-latina caesina
(pz. cesina) corrispondente al lat. caesio-onis, dal v. lat. caedere =
tagliare; il nome in principio indicò un terreno disboscato per pian-
tagione di ulivi.
Gialluto – agg., giallo in volto, giallognolo, giallo per itterizia.
Giara – s.f., bicchiere, più grande del normale, con manico. In arabo
giaradàh, s.f. = al dial.
Gilè – s.m., panciotto. In fr. gilet (pz. gilè), s.m. = al dial.
Giubba – s.f., casacca (proprio dei militari). In arabo gubbàh, s.f., =
lunga veste di lana per uomini.
Gliuommere – s.m., gomitolo; dal lat. glomerus-i = gomitolo.
Gniernò – abbr. di signornò, che oggi più comunemente si dice:
nossignore.
Gnòra-gnòro – s.f . e s.m., suocera e suocero. In sp. seňora e seňor
= signora e capo di famiglia.
Gnorsì (gnursì) – abbr. di signorsì, più comunemente sissignore.
Granogna – s.f., rana, ranocchia; etim. lat. ranucula (da una forma
precedente ramincula) = ranocchia.
Grappo (rappo) – s.m., racimolo; etim. lat. med.ev. grappus = al dial.
Grègna – s.f., manipolo di spighe, covone, mannello; etim. dal lat.
gremia, n.pl. da gremium-i = fascio, bracciata.
Guappo – s.m. e agg., camorrista, bravaccio; etim. dallo sp. guapo
che, a sua volta, risale al lat. vappa = vino svanito. Il “va” si è tra-
sformato in “gua” napoletano. Il Croce dà le varie voci della fami-
glia (guappo, guappone, guappesco, guapparia, guappetiello) come
derivati dalla spagna.
Guarzone – s.m., dipendente di un bottegaio, fattorino, commes-
so; etim. dal fr. garçon (pz. garsòn) che in origine indicava “soldato
mercenario”, poi “giovane cattivo”, poi “subalterno”.
54 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Guvierno – s.m., concime in genere. In sp. gubierno, s.m. = governo


(dello stato). In gr. poimainein = governare il popolo, ma anche ba-
dare (governare) gli animali, un terreno.

Curiosità storiche

Gaveglie.
Sono gli stinchi veri e propri che hanno tale appellativo, così dice il
Mormile nella versione delle favole di Fedro in “Versione napoleta-
na”: “a le gaveglie po’ l’uocchie le jettero” … e il Quattromani nella
traduzione delle Odi di Orazio: “e mò sò sconocchiate le gaveglie de
Priamo e de tutta la famiglia”.
Ghiorde (jorde).
La parola è di provenienza veterinaria; si riferisce ad una malattia
che facilmente prendono i cavalli, le cui giunture, ingrossate da un
eccessivo afflusso di sangue, si gonfiano rendendo difficoltoso il mo-
vimento. Il termine deriva dal lat. ingurgitare (riempire, saturare, da
cui il francese engourdir e l’italiano jorda) che per estensione indica
intorpidire, rendere pesante, camminare con difficoltà.Il termine dal
significato suesposto, si trova in diversi classici napoletani come nel
“4º Trattenimento della 1ª giornata del Pentamerone” di Vardiello,
dove si dice: “Aje le ghiorde che nun curre?” ed ancora nella “1ª
egloga delle Muse”: “ e io che aggio le jorde…”, e in un’opera del
Cortese: “fosse restato tutto de nu piezzo, co li ghiorde e la mano…”.
Nella “Ciucceide” del Lombardi: “ma Sellano lo fece passà ‘nnante
che pateva de jorde…”. L’espressione si usa anche nel senso ironico
e contrario per i ragazzi che hanno l’argento vivo addosso e si muo-
vono in continuazione.
Gliommere.
Gomitolo, deriva dal lat. glomerus con lo stesso significato, ma an-
che con il senso di consistente gruzzolo di denaro; la sua presenza è
Lettera “G” 55

nella commedia del Saddumene “Lo mostaccio”: “ca mò s’ha piglia-


to, pe’ la sanà, no gliommero”.
Guaglione.
È il ragazzo, il giovinetto, l’adolescente dotato di una certa autono-
mia, appartenete a famiglia modesta. Guaglione è tipicamente ragaz-
zo di strada, eretta a suo signore. Sulla etimologia del termine sono
state avanzate varie ipotesi. Una di queste è dal greco kalòs o kallion
= bello, bellino; dalla stessa lingua greca, gala che è il latte, alimento
principale per i bimbi. Ma né la prima, né la seconda reggono perché
il guaglione non deve essere forzatamente bellino o lattante. Altra
ipotesi è che potrebbe derivare dal francese gaillard che è simile al
nostro gagliardo o buontempone, ma sicuro di sé. Più pertinente al
significato nostrano è l’altro termine francese guailleur, uno che è
incline a burlare, a schernire, a beffeggiare, proprio come sanno es-
sere i nostri guagliuni. Fino alla metà del ‘700 il termine non ricorre-
va in alcun classico; in seguito compare nel “Socrate immaginario”
di Lorenzi: “E arreto li guagliuni puzzì le tricche-tracche me veneno
a sparà”. C’è anche un collegamento di guaglione con garçon con
cui in Francia si è sempre designato il ragazzo di bottega, quello
che viene adibito a mansioni di leggera fatica, così come a Napoli si
operava e si opera col guaglione, anche perché nel dialetto popolare
garçon diventava garzone. L’ultima ipotesi è stata formulata da Ar-
turo Fratta, esimio giornalista, che riportò un servizio da Marsiglia,
pubblicato su “Il Mattino” nel febbraio del 1982 dove sentì apostro-
fare dei ragazzini di strada con il nomignolo di vuaiù. Ora il voyu
(pz. vuaiù) è l’individuo giovane e libero che trova spazio proprio
nella strada (in fr. voie), la palestra in cui si realizza.
Guallara.
In italiano è l’ernia scrotale, che riguarda l’inguine, ma che in napo-
letano divente l’anguinaglia. Da qui altri appellativi usati nei classici
come: guallara, paposcia, burzone, mellunciello, contrapiso, quaglia,
zeppola, pallèra.
Gulìo.
Voglia intensa, desiderio morboso, una brama ardente. Nel “gulio”
c’è un qualcosa di irrazionale. È gulio quello della donna incinta che
si ostina a desiderare qualcosa; è gulio quello del bambino che, senza
arrivare alla ‘nziria, si impunta a pretendere qualcosa che non gli si
concede. Il gulio registra molte e antiche presenze letterarie nel Basi-
56 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

le, “Muse Napoletane” (“ca me n’era speruto pe’ gulio…”), nel Cor-
tese, “Vaiasseide” (“si viene a ascire prena et aje golio de quarche
cosa…”); ed ancora in Capasso, Vottiero, Russo, Murolo, Bracco.

Proverbi

Gente allèra Ddie l’aonna.


Dio fa abbondare, prosperare le persone allegre. Fig. Dio benedice
quelli che lo servono con gioia (ricordando l’esortazione di San Pao-
lo “Servite Domino in laetitia!” = Servite il Signore nella gioia). Fig.
Dio fa prosperare la gente scapestrata per darle agio di ravvedersi.
Già è bello ‘o ppetrusino, po’ va ‘a gatta e ‘nce piscia ‘a coppa.
Si dice quando qualcosa o qualcuno, già in condizioni non ottimali,
decade ulteriormente.
Giacchin’ facette ‘a legge e Giacchin’ morette acciso.
Giacchino fece la legge e Giacchino morì ucciso. È riferito a chi
viene punito con una sanzione di cui lui stesso è stato promotore. Il
proverbio è a proposito del fatto che Gioacchino Murat, re di Napoli,
fu ucciso a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815 con l’applicazione arbi-
traria della legge del 1808, emanata proprio da lui contro chiunque
avesse attentato al legittimo potere costituito.
Giorgio se ne vo’ ji e ‘o vescovo n’ò vo’ mannà.
Quando, pur con motivazioni diverse od opposte, due persone desi-
derano la stessa cosa.
Gobba a llevànte, luna mancante; gobba a ponènte, luna cre-
scente.
Il detto serve per prevedere… artigianalmente le fasi lunari.
Gravone ‘e castagna e femmene ‘e muntagne, càgnale ampresso
ca sparagne.
Carbone di castagne e donna di montagna, cambiali presto e rispar-
mierai.
I
I’ pe’ bbuje – espressione nostrana che vuol dire letteralmente: “ve-
dete per voi”, quindi “attenzione, lasciate passare”.
Iacuvella – (vedi nelle curiosità storiche).
Ialare – v.intr., sbadigliare. In lat. halare, v.intr., soffiare, spalancare
la bocca.
Ialliare – v.intr., pavoneggiarsi, vantarsi, mettersi in mostra. In gr.
iállo, v.intr., levarsi od elevarsi in volo.
Iamm’ – come avv. significa orsù, sbrigati!; come verbo ha signi-
ficato di “andiamo”.
Ianara – s.f., mostro femminile, immaginato per incutere paura ai
bimbi; anche nel significato di megera, strega. Nel lat. tardo ianara-
ae, s.f., = mostro immaginario che, si diceva, si nascondesse dietro
la porta (in latino ianua).
Iazzo – s.m., ovile; dall’arabo jaza, s.m., recinto di rami secchi per
custodire capre o pecore.
Iettàre – v.tr., gettare. In lat. iectare e in fr. jeter (pz jétér) = all’it.
Int’ – avv., dentro; in lat. intus = al dial.
Iocáre - v. tr. e intr., giocare. In lat. iocari, v.dep., = giocare.
Iorecà (iurecà) – v.tr., giudicare. In lat. iudicare, tr., giudicare, con
mutamento della “d” in “r”.
Isce – interiezione, si dice per imporre agli animali da tiro di fermarsi.
Iss’ – pr. pers., egli, lui. In lat. is-ea-id = egli, lui.
Isti – v. ire, 2ª pers. s., pass. rem. (perfetto), tu andasti.
Iummenta – s.f., giumenta, cavalla. In lat. iumentum-i, s.n., giumento.
Iuntùra – s.f., giuntura. In lat. iunctura-ae, s.f., giuntura.
Iuorno – s.m., giorno; in lat. diurnus = al dial.
Iusto – agg., giusto. In lat. iustus-a-um = all’it.
Jastemmà – v.tr., bestemmiare, maledire; dal lat. parlato blastemare;
dal lat. eccl. blasphemare; dal gr. blaspheméin = bestemmiare, offen-
dere la divinità o le cose sacre.
Jenca – s.f., giovenca; dal lat. iuvenca = all’it.
Jennero – s.m., genero; dal lat. gener-i = genero.
58 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Iacuvella.
Comportamento superficiale, modo di agire che crea confusione, ba-
nali astuzie, piccoli intrighi, vezzo, moina. Vocabolo molto usato, a
seconda le circostanze, da vari autori classici. Dal latino jaculum =
dardo, freccia, nel senso figurativo di lancio e rilancio, batti e ribatti
di moina, schermaglie amorose come si facevano un tempo. Questo
è il significato attribuito alla jacuvella da F. Russo nell’opera “ ’mPa-
raviso ” e in “A partenza”.
Jonta (gghionta).
S. f., aggiunta di derrata che i venditori di alimenti solevano fornire
ai clienti a completamento per il giusto peso o in sovrappiù. Dal
vocabolo sono nate molte espressioni come “pe’ ghionta ‘e ruotolo”
= per aggiunta al rotolo, antica nostra misura corrispondente a circa
900 grammi. Deriva dal lat. adjungere = aggiungere, completare,
integrare.

Proverbi

Î ‘a ll’erta pe’ scommessa.


Camminare quasi per scommessa. Essere in cattive condizioni fisi-
che tanto da camminare a stento.
Î ‘mParaviso pe’ disgrazia.
Andare in Paradiso per sbaglio. Fig. Godere di una cosa senza averne
il merito.
Î a mmare co’ tutt’ ‘e pānne.
Andare in mare con tutti gli abiti. Fig. Rovinarsi del tutto.
I figli so’ piezze ‘e còre.
I figli sono la parte più preziosa di noi stessi.
Lettera “I” 59

I reritte mòrono pe’ mmane d’’e fesse.


Perché alle volte questi ultimi prendono il sopravvento sui primi.
I strùnze sagliono sempe a galla.
Gli imbecilli riescono sempre a stare avanti ad ogni cosa.
Î truvanno paglia pe’ cient’ cavalle.
Andare in cerca di paglia per darla da mangiare a cento cavalli. Fig.
Escogitare pretesti per litigare.
Iénnere e nepute quanto ‘e faje è tutto perduto.
Tutto ciò che si fa o si dà ai generi e ai nipoti è perduto (perché essi
non ne sono mai riconoscenti).
Int’a vita ‘e tre cose te ne vide bbene: pann’ spuorch’, sorde ‘e
spiccio e mugliera brutta.
Nella vita si gode di tre cose: vestiti sporchi, (perché con essi ci
si può sedere dovunque senza paura di sporcarsi); denari spiccioli
– monete di tutte le taglie – (perché dovunque uno si trova potrà
comprarsi ciò che vuole pagando sempre in contanti); moglie brutta
(perché non si corre il pericolo di essere tradito).
Io faccio ‘o lietto, e tut te ‘nce cucche!
Io preparo il letto e tu ti ci corichi. È l’esclamazione rivolta ad uno
che si serve del lavoro fatto o preparato da un altro.
Io vengo d’ò morto e tu dice ch’è vivo?
Io vengo dal morto e tu dici che è vivo? Fig. Io conosco bene il fatto
accaduto e tu vuoi affermare il contrario?
“L”
Lacerta – s.f., lucertola. Il lat. lacerta-ae = lucertola.
Lámia – s.f., volta di un locale; etim. dal gr. tardo lamia = all’it.
(vedi curiosità).
Lamiento – s.m., lamento. In sp. lamiento, s.m., l’azione del lamen-
tarsi.
Lammich’ – s.m., fabbrica di alcool. In arabo al-ambik, s.f., caldaia
per distillare liquori, alambicco.
Lanià – v.tr., dilaniare, sbranare; etim. dal lat. laniare = all’it.
Làpede – s.f., grossi chicchi di grandine. In lat. lapis-idis, s.m., pie-
tra, sasso.
Làpeta – s.f., lapide sepolcrale; pl. = grandine; etim. lat. lapis-idis =
pietra (ma anche grandine con chicchi grossi).
Laps’ – s.m.pl., preoccupazioni, affanni. In lat. lapsus-us, = rovina,
colpo, sbaglio.
Lardià – v.tr., lardellare (cuocere carni inserendo pezzetti di lardo);
etim. il senso di accoltellare è preso dal v. it. lardellare.
Lassáre – v.tr., lasciare. In lat. laxáre = lasciare. In dial. la “x” è stata
mutata in doppia “s”.
Lavaturo – s.m., lavatoio. In lat. lavatorium-ii, s.n., lavatoio pubblico.
Lècco – s.m., burla; etim. da “eco” con l’assimilazione dell’articolo.
“Mettere lecco”, insultare, burlare una persona.
Lémmeto – s.m., limite, vialetto di divisione tra fondi rustici. Etim.
dal lat. limen-inis = limite, confine.
Léngua – s.f., lingua. In sp. léngua = al dial.
Lettèra – s.f., letto di paglia per bestie; etim. dal fr. litière, a sua volta
dal lat. med. lectaria (n. pl. dell’agg. lectarius = del letto, lettiera).
Liétteco – agg., debole, gracile. In gr. leptós-ē-ón = gracile di costi-
tuzione.
Ligna – s.f., linea di ortaggi in un campo. Es. ‘Na ligna ‘e patane =
Una linea di patate. In fr. lign = al dial.
Limma – s.f., lima. Prov. “Essere a limma e ‘a raspa” = essere la
lima e la raspa. Fig. Dicesi di persone avverse tra loro.
62 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Limmo – s.m., limo; specie di agrume da cui si ottiene il limoncello.


Linterna – s.f., lanterna. In sp. linterna = al dial.
Llòco – avv., là, in codesto luogo. In lat. illuc = al dial.
Locco – agg., stupido, tonto, sciocco; etim. dallo sp. loco. Il gruppo
consonantico “cc” si spiega con l’influenza della voce italiana “al-
locco” = stupido, sciocco.
Lòffa – s.f., peto non rumoroso. Etim. voce onomatopeica.
Lópa - s.f., la femmina del lupo. In lat. lupa-ae = lupa. Fig. sta per
fama insaziabile.
Lóta - s.f., fango, mota. In lat. lutum-i = all’it.
Lurdo – s.m., lordo, sporco. In lat. luridus-a-um, lordo, lurido.

Curiosità storiche

Laganaturo.
Matterello con cui si stende la spoglia; dal gr. laganion o laganon
che equivale a lasagna, da questo sostantivo deriva lo strumento che
serve a formare le strisce che danno vita alle lágane o laganelle.

Lámia.
Più anticamente riportata come lammia, costituiva la volta di un lo-
cale, la copertura in muratura di una camera, il soffitto degli ambienti
domestici. Ora il termine è raramente usato. L’etim. della lamia de-
riva, per alcuni, dal gr. lamia = apertura di bocca, bocca spalancata
e perciò assumente una forma concava; per altri da laimos = gola,
sempre indicante una struttura a volta, quindi dall’aggettivo lamios-
ē-on.

Lasco.
Indica cosa di scarsa consistenza, di non compatto volume, di struttu-
ra non compatta. Il Puoti dichiara lasco “il contrario di tirato o stret-
to”. In effetti il sud dà significati simili. Brodo lasco è quello molto
diluito, caffè lasco equivale a quello lungo e acquoso, l’opposto di
Lettera “L” 63

quello ristretto e carico, “lasco ‘e rine”, che è sofferente di inconti-


nenza, differente di quello “astrinto”. L’etimologia è quella latina di
laxus-a-um (dal v. laxare) uguale ad allentato, rilassato, diminuito.
(Orazio parla di una scarpa slargata che aderisce malamente al piede
e dice “calceus laxus” = scarpa lasca).

Leazza.
La leazza è una gara di trottole (strummoli). Il nome deriva dal dia-
letto dell’italiano “legaccio”, che per estensione e per l’uso di sined-
doche (l’uso di una parte per il tutto), ha dato origine alla “leazza”
che un tempo si svolgeva tra ragazzi del sud. Il vincitore prendeva
la trottola dell’avversario e la percuoteva con il suo “strummolo”, a
volte fino a ridurla in pezzi. (Vedi “spaccastrummole”).

Proverbi

L’àbbo coglie e ‘a jastemma no.


Il gabbo, la burla colpisce, l’imprecazione no. Cioè chi canzona qual-
cuno gli arreca un dispiacere, mentre non glielo arreca se gli rivolge
una imprecazione.
Oppure: chi mette in burla un difetto fisico altrui, può accadere che
lui stesso ne venga colpito; ma chi con una imprecazione desidera il
male altrui, non accade che quel male colpisca lui stesso che lo ha
augurato ad altrui.
L’abbuso nun leva l’uso.
L’abuso di una cosa non ne toglie l’uso. È il proverbio latino “Abu-
sus non tollit usum”.
L’acqua ‘nfraceta ‘e bastimente a mare, e ‘a mugliera ammarci-
sce ‘o marito ‘nterra.
L’acqua fa marcire il bastimento nel mare e la moglie, sulla terra
ferma, fa morire il marito.
64 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

L’acqua e ‘a morte stanno arret’ ‘a porta.


L’acqua e la morte stanno dietro la porta. Fig. La pioggia e la morte
avvengono quando uno meno se le aspetta.
L’acqua e ‘o ffuoco nun se negano a nisciuno.
L’acqua ed il fuoco non si negano a nessuno. Questo perché sono
elementi essenziali della vita. Infatti un tempo si andava in prestito
anche di un po’ di fuoco.
L’acqua va addò pènne.
L’acqua scorre dove c’è pendenza. Le cose vantaggiose, le ricchez-
ze, vanno là dove ce ne sono già altre.
L’anema a Dio e ‘a rròbba a chi tocca.
L’anima a Dio e la roba a chi tocca. Fig. Dare ad ognuno quello che
gli spetta (Mt. 22,21: “Date a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel
che è di Cesare).
L’arraggia d’ ‘a sera astipatella p’ ‘a matina.
La rabbia della sera conservala per il mattino seguente. Fig. È me-
glio far passare il primo impeto d’ira ed inoltre la notte porta sempre
buoni consigli.
L’art’ ‘e tato è meza ‘mparata.
L’arte del padre è già per metà imparata dal figlio.
L’aucielle s’apparano ‘ncielo e i fessi s’apparano ‘nterra.
Gli uccelli si accoppiano in cielo e gli sciocchi sulla terra. Fig. Il
simile si unisce molto facilmente al suo simile.
L’avaro è comme ‘o puorco: tanno caccia ‘o bbene, quanno è
muorto.
L’avaro è come il maiale, solamente quando è morto si vedono e si
conoscono le sue ricchezze.
L’ommo nun s’ammisura c’a canna.
L’uomo non si misura con la canna (antica misura di lunghezza). Fig.
L’uomo non si giudica dalla statura.
L’ommo spusato â fune s’è attaccato.
L’uomo sposato si è legato ad una fune. Fig. Ha perduto una buona
fetta di libertà.
L’uocchio d’ ‘o patrone ‘ngrassa ‘o cavallo.
L’occhio del padrone ingrassa il cavallo. La sorveglianza da parte del
padrone su di un lavoro, fa si che lo stesso lavoro vada a buon fine.
Lettera “L” 65

L’uósso viecchio cunnisce ‘o tiano.


L’osso vecchio fa buon brodo e condisce bene la padella. Fig. Le cose
dette da una persona anziana o esperta sanno sempre di saggezza.
La mugliera sia comme lo presutto: né magro affatto, né sia gras-
so tutto.
La moglie deve essere come il prosciutto: né troppo magro, né trop-
po grasso.
Lèngua muta è mala servuta.
Lingua muta è mal servita. Chi non si esprime compiutamente non
ottiene ciò che desidera.
Levà ‘a pelle ‘a cuollo.
Levare la pelle di dosso a qualcuno. Fig. Far lavorare troppo, più del
dovuto, un operaio.
Levà ‘a vreccia ‘a int’ ‘a scarpa.
Togliere il sassolino dalla scarpa. Fig. Vendicarsi.
Ll’uoglio (‘a cera) se strùra e ‘a prucessione nun cammina.
L’olio (la cera) si consuma e la processione non va avanti. Fig. Non
bisogna perdere tempo inutilmente quando si deve compiere un do-
vere.
Luntano ‘a ll’uocchie, luntano r’o còre.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Simile a “occhio che non
vede, cuore che non sente”.
M
‘Mbrusà (‘mbrosà) – v.tr., etim. da proso, vocabolo tutto napole-
tano frequente nel gergo dei posteggiatori, da cui il verbo ‘mbrusà
(‘mbrosà) = imbrogliare, prendere per il … “proso”.
‘Mbruscinà – v.tr., strofinare; rifless. voltolarsi per terra; per estens.:
circuire qualcuno; etim. lat. proscynare, dal v. gr. prosckineo = salu-
tare inchinandosi, prostrarsi dinanzi ad uno.
‘Mbufunuto – agg., gonfio (in rifer. al volto o al corpo). Il vocabolo pog-
gia su una forma onomatopeica “buf” che indica il dilatarsi di qualcosa;
it. buffare = soffiare; in Cal. buffa = rospo; in nap. buffettone = schiaffo.
‘Mmezzià (‘mmizzià) – dal lat. invitiare = istigare al vizio, suggerire
una furbizia.
‘Mpapucchià – voce nap. da papocchia, pappamolle, imbroglio, pa-
sticcio, abbindolare, gabbare, darla a bere.
‘Mpàra – s.f., un rimprovero, una reprimenda che serve a far impa-
rare, a ben comportarsi. Etim. sp. empara = al dial.
‘Mpechèra – s.f., pettegola, intrigante; etim. da ‘mpèca = imbroglio,
raggiro; deformazione dial. dell’it. bega = all’it.
‘Mperta – s.f., insieme di cose caserecce date in regalo a Natale. Dal
lat. impertitus-a-um (part. pass. di impertire), dato, concesso. Imper-
tita (part. pass. n. pl.), nel dial. è diventato ‘mperta, con la caduta
della “i” iniziale, = cose date, cose regalate.
‘Mprenà – v.tr., ingravidare, rendere gravida una donna; etim. dal v.
lat. impregnare = all’it.
Maccarone – s.m., maccherone. Nel tar. lat. macca-ae = gnocco; per
accr. maccaronus-i, s.m., grosso, lungo gnocco.
Mafaro – s.m., cocchiume della botte; fig. deretano, culo. In ar. maf-
har, s.m. = cocchiume del barile.
Mafia – s.f., associazione a delinquere, soperchieria, prepotenza.
L’etimologia, forse, è dall’arabo Mahjas = millanteria.
Mammalucc’ – s.m., uomo sciocco, oggetto di scherno. In ar. mam-
luk, s.f., antica milizia egiziana, araba, vestita gaglioffamente, per
cui era oggetto di scherno per gli europei.
68 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Mandrullo – s.m., covile per animali domestici. Il vocabolo deriva


da una forma latina “mandrulla” ricavata dal tar. lat. mandra = stalla,
chiuso.
Manià – v.tr., maneggiare, toccare con mano, trattare una merce,
palpare. Etim. I vari significati derivano dal lat. manus = mano.
Maniare – v.tr., maneggiare, palpare. In sp. manejar = al dial.
Manibbolo – s.m., manovale di muratori; in lat. manipulus-i, s.m.,
compagnia di soldati. Il termine dialettale indica la parte per il tut-
to.
Mannaggia – interiezione: maledizione, perbacco! Etim. è un abbre-
viativo di “Male ne abbia”.
Mantesino – s.m., grembiule; etim. lat. “ante sinum” = davanti al
seno.
Mappina – s.f., pezzo di stoffa inservibile, straccio; fig. cattiva don-
na. In lat. mappina-ae, dim. di mappa = piccolo pezzo di stoffa.
Mappucià – v.tr., sciupare un vestito o un tessuto; etim.: da mappina
(lat. mappa = cencio, quindi ridurre come un cencio).
Marammé - interiezione: povera me, povero me, misera/o me; etim.
parola composta da mara (che sta per amara) e me.
Marènna – s.f., merenda, colazione. Etim. lat. dal verbo merère =
meritare (merenda è gerundivo del v. nom. pl. n. = cose da meritare).
Marpione – s.m., uomo furbo. In gr. marptis-eos, s.m., dal v. màrptō
= rapitore, assassino.
Maruzza – s.f., lumaca, chiocciola. Etim lat. tar marca, attra-
verso una forma medioev. marucea = all’it; ma anche dal gr. ma-
roumai = avvolgersi e zoon-ou = animale, quindi animale che si
avvolge.
Mastressa – s.f., maestra, donna saccente. Etim. dal fr. maitresse
(pz. metrès), s.f., = padrona, maestra.
Matinè – s.f., cappotto lungo. In fr. matinèe, s.f., sopravveste femmi-
nile indossata al mattino per la pulizia personale.
Matrizzare – v.intr., sortire il carattere materno, agire come la madre.
Menna – s.f., mammella; etim. dal lat. minna = all’it.
Mèrca – s.f., marchio, ferita; etim. fr. merc = al dial.
Mesale – s.m., mensale, dal lat. mensa – dim. = tovaglia da tavolo.
Mezacanna – s.f., misura che nell’Italia merid. corrispondeva a m.
1,03; trasl. “persona di modeste capacità e di scarsa virtù”. Etim.
Unità di misura equivalente alla metà di una canna; un tempo si usa-
vano le canne per misurare stoffe o altro.
Lettera “M” 69

Miulo (muiulo) – s.m., mozzo, pezzo della ruota nel quale sono fissa-
ti i raggi. Etim. lat. mediolus, agg. dim. di medium = al dial.
Mmertecà – v.tr., inclinare, far piegare su un fianco; rifl. e intr., in-
clinarsi, piegarsi; etim. da una forma lat. “inverticare” o “invertire”
= rovesciare.
Mò – avv., ora; deriva dal lat. mox = adesso, subito (mò-mò).
Mórola – s.f., mora (frutto del moro). In lat. morulum-i, s.n., = pic-
cola mora.
Mórra – s.f., branco, torma. In sp. morro, s.m., monte rotondo; etim.
da un’antica voce it. morra = mucchio, branco.
Muccuso – agg., moccioso. In lat. mucosus-a-um, agg. = al dial.
Mugliera – s.f., moglie; in lat. mulier-eris = moglie, donna.
Mulignana – s.f., melanzana; trasl. lividura; etim. Per il significa-
to traslato di lividura la voce è derivata dall’accostamento al nome
dell’ortaggio; l’origine è nel tar. lat. melania, e dal gr. melanìa =
macchia nera.
Mummara – s.f., grosso orcio di creta per acqua. Etim dal lat. bom-
byla - voce legata al gr. bombilos – vaso od altro.
Munazèro (monnazzaro) – s.m., stanzone per deposito merce, ma
anche immondezzaio. In ar. mon-hazer = grande stanza.
Muniglia – s.f., mondiglia, carbonella; etim. lat. mundiliae, dal v.
mundare = all’it.
Muojo – s.m., moggio, dal lat. modius = al dial.
Muollo – agg., molle. In lat. mollis e in sp. muello = molle.
Murmuriare – v.intr., mormorare. In lat. murmurare = all’it.
Muschillo – s.m., moscerino. In lat. muscella-ae, s.f., dimin. di mu-
sca-ae, piccola mosca.
Mustacciuolo – s.m., mostacciolo, dal lat. mustaceum, derivante da
mustum = mosto = dolce di farina impastata con miele, mosto cotto,
cioccolato, uva passa, fichi secchi, mandorle tritate.

E
70 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

‘Mbrofecà e ‘mbrufecà.
Verbo ormai in disuso, significa giovare, prosperare, fecondare, dare
profitto, far trarre giovamento o beneficio. L’etimologia è dal latino
proficere = far buon pro, trarre buon giovamento. “Puzzate ‘mprufe-
cà” oppure “ ‘O cielo te pozza ‘mprufecà sempe”, era l’espressione
con cui si manifestava un apprezzamento o un augurio.
‘Mpechèra.
Il vocabolo è del tutto femminile riguardante la donna pettegola e
intrigante, colei che vuole sapere tutto su tutti, che mette beghe in
situazioni già complicate. Il vocabolo può derivare da un lontano
latinismo “impicare” (da cui impicciarsi) nel senso di impegolare,
cospargere di pece e implicare cioè mettere scompiglio, coinvolgere
altri, far confondere le idee. Con tale significato è usato da F. Russo
in ’O ciardino: “Dì à verità, tu fusse ‘na ‘mpechèra mannata ‘a par-
ta mia pè me dannà?” e da Di Giacomo in Cimarosa: “Sentitela: Ah,
‘mpechera! Va llà scellarata!”.
‘Mpicciarse, ‘mpiccio, ‘mpicciarsi…
Un verbo tutto napoletano che equivale ad ingerirsi nelle faccende
altrui; l’impiccio consiste in un impedimento, una contrarietà, un im-
previsto, una noia che creano fastidio, disturbo e imbarazzo. Vocabo-
li di cui sopra non sono abbastanza diffusi nei classici. L’etimologia
del termine può essere derivata dal francese s’empecher = darsi pena,
pensieri, affanno, o dal latino impedicare = impedire, ostacolare, e
ancora dal latino impiccare = cospargere di pece e quindi invischiare
o invischiarsi, impegolarsi creando fastidio o nu ‘mpiccio.
Mamozio.
Persona somigliante ad un pupazzo, ad un fantoccio, ad una statua
scolpita male. Per estensione è l’individuo che si mostra inceppato
nei movimenti, un imbranato (direbbero i giovani d’oggi), un fantoc-
cio, una brutta statuina. Ed è proprio da una statua che il “mamozio”
trae il nome. Infatti la storia registra un monumento dell’epoca di
Costantino (sec. IV d.C.) rinvenuto a Pozzuoli nel 1704 in occasione
degli scavi per la costruzione della chiesa di San Giuseppe, raffigu-
rante il nobile puteolano Flavio Egnazio Lolliano Mavorzio, pretore
Lettera “M” 71

urbano, proconsole della Provincia di Aquila e candidato Questore.


Essendo la statua acefala, venne decisa la sua rifazione affidando-
ne l’incarico ad uno scultore di poco conto, tanto che elaborò una
“Capa” molto più piccola del dovuto e con una espressione di un
ebete. La statua di Mavorzio fu sistemata prima nella piazza princi-
pale, poi definitivamente (1919) nell’anfiteatro di Pozzuoli. L’ironia,
tutta napoletana, identificò qualunque individuo dall’aspetto strano,
indeciso, apatico, attonito e limitato intellettualmente con la curio-
sa statua del nobile Mavorzio ribattezzato intanto Mamozio che, tra
l’altro, vantava una discendenza della gens Mavortia, derivante da
Marte (dio della guerra).
Mappina.
Comune strofinaccio di canapa o tessuto doppio con cui si spolvera,
si asciugano le stoviglie, ci si netta le mani. Deriva dal lat. mappa, il
tovagliolo che i romani, secondo l’uso dell’epoca, dovevano portare
con sé quando venivano invitati alle mense degli amici. Dal diminu-
tivo di mappa (mappina appunto) deriva anche quel senso offensivo
della parola riservato alla donna spregevole, volgare e in genere colei
che si comporta in maniera scorretta. Non infrequente è la variazione
al maschile: “Chillu mappino!”.
Mastrillo.
Non è altro che la trappola per i topi. Vocabolo di antica ricorren-
za reso obsoleto dal progresso. Esso si preparava con la mollica e
scorza di formaggio che funzionavano da esca. L’etimologia è latina
composta da mus, topo, e triculum, da tricae, impedimento, ostacolo,
alla lettera: trappola per i topi.
Mattuoglio (mattuogliolo).
Parola oggi pressoché in declino. Il suo significato è quello di un fa-
gotto o di un involto di una massa di panni messi alla rinfusa. Si regi-
stra la presenza nelle opere di Lombardi, di Martuscelli, di Russo, di
Di Giacomo. L’etimologia è alquanto incerta. Quella che si accosta
di più al nostro significato è derivante dal greco massein o mattein
che equivale a: impastare, compattare, mettere assieme, formare una
massa, appunto come il mattuogliolo.
Mazza e pivuzo.
Gioco di strada consistente nel lancio e nella respinta, con una maz-
za, di un altro piccolo legno (‘o pivuzo) appuntito ai due lati. Questo
72 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

passatempo, che si svolgeva a coppie, aveva origine tanto lontana


da risalire persino agli Etruschi e ai Romani e fu diffuso in mol-
te regioni italiane. Scritti molto precisi su questo gioco sono quelli
dello Jorsa e di Angelo Manna, come riferisce R. De Falco nel suo
“Alfabeto Napoletano”. Il termine pivuzo probabilmente deriva dal
latino pusillus, diminutivo di pusus col significato di persona o cosa
di piccole dimensioni (appunto come il pivuzo che era 10 cm. mentre
la mazza era di 40 cm.). Da pusillus e pusilla, al femminile, è deriva-
ta pulzella; in napoletano la “lz” si è mutata in “uz” e quindi penza e
al maschile in pinzo o pivuzo.
Mummara.
Nome antichissimo di un recipiente di creta atto a trasportare acqua
(soprattutto zuffregna = sulfurea, zampillante verso Santa Lucia, o
quella ferrata proveniente dalle falde del Monte Echia, ora Chiatamo-
ne). Mummara, quindi, è uguale a vaso, anfora, contenitore di liquido.
L’etimologia è dal greco bombulion, in italiano bombola, recipiente
dal collo stretto che gorgoglia quando se ne versa il contenuto. È da
notare che il gruppo “mb” si è trasformato in “mm”, come per : imba-
sciata = ‘mmasciata, piombo = chiummo, tamburo = tammurro…
Munnolo.
Il termine deriva dal latino mundare, v tr, diventato it. tosc. mondare
col significato di privare qualcosa della buccia, ma anche pulire ,
nettare; es. mondare il riso = pulire il riso, da cui anche il termine:
“mondine” (donne che prestavano servizio nella risaia).
Il mummolo serve a mondare, cioè pulire il forno. Esso è formato da
un’asta di legno, alla cui punta si legano alcuni rametti con foglie di
cestri (nel nostro dialetto “fitusi”), che si raccolgono sui cigli delle
strade di campagna, per pulire il forno a caldo dopo che si è bruciata
la legna per panificare; “i fitusi” a contatto con i tizzoni ancora ar-
denti, emanano un gradevole odore.
Mustacciuoli.
Saporiti ed odorosi dolci – per lo più natalizi – di mandorla e ciocco-
lata a forma di rombi, un tempo fatti solo dalle Monache del Conven-
to di San Sebastiano. Mustacciuolo, it. Mostacciolo, deriva dal latino
mustaceum, da mustum = mosto. Infatti inizialmente era un dolce
impastato con farina e mosto cotto, in seguito è divenuto più raffina-
to perché il mosto, dal sapore acre, è stato sostituito dai pasticcieri
con il miele, uva passa, fichi secchi, mandorle tritate.
Lettera “M” 73

Proverbi

‘Mmaritarse cu’ ‘o sciore ‘mmocc’.


Sposarsi da vergine.
 miso ‘a lanterna ‘mman’ ‘o cecato!
Ha messo la lanterna nelle mani di un cieco. Fig. L’espressione è
rivolta a chi in un affare si affida ad un incompetente.
Maie cchiù nera r’a mezzanotte me po’ venì.
Mai più nera della mezza notte mi potrà capitare. Fig. Non potrà mai
capitarmi un evento più brutto di quello che ho subito.
Male a chella casa addò ‘a gallina canta e ‘o gallo tace.
Guai alla casa in cui la gallina canta ed il gallo tace. Fig. Va a rotoli
la casa in cui la moglie vuole sostituirsi in tutto al marito.
Male a chella casa addò ‘o cappiello nun trase.
Guai alla casa in cui non entra il cappello (il marito).
Male e bbène a fine vène.
Il male e il bene non durano per sempre.
Male nun fà e paura nun avé.
Non fare il male e non avrai paura, perché chi agisce sempre bene
non teme di nulla.
Mangi ‘nterra e te stuje ‘ncuollo.
Mangi seduto per terra e ti pulisci addosso. Fig. Si dice di una persona
molto avara dalla quale non può derivare mai un utile per un’altra.
Mangia a gusto tuojo e vieste a gusto ‘e ll’ate.
Chi vuole seguire la moda è costretto a vestire anche contro i propri gu-
sti; quando si tratta di mangiare, ognuno sceglie ciò che più gradisce.
Mangia ca r’o tuoio mangi.
Mangia perché mangi del tuo! Si dice di chi riceve in dono ciò che
lui stesso ha offerto.
Mamma, denare e gioventù se chiagneno quanno nun ce stanno cchiù.
Madre, denaro e gioventù si rimpiangono quando non ci sono più.
Marito e figli, comme l’aje accussì te pigli.
Marito e figli come vengono così te li devi tenere. Fig. È l’ammonimento
rivolto ad una donna che si lamenta del carattere del marito e dei figli.
74 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Maro chi cade e va truvanno aiuto!


Povera quella persona che cade in disgrazia e cerca invano qualcuno
che l’aiuti.
Masto ‘a uocchio, masto ‘a capuocchio.
Il mastro che lavora ad occhi (senza usare una misura) è un cattivo mastro.
Matremmonie e maccarune caure-caure.
Matrimoni e maccheroni vano consumati a caldo.
Mazza e panelle fanno ‘e figli belli; panelle senza mazza fanno ‘e
figli pazzi.
La sferza e il pane rendono educati i figli; il pane senza la sferza li fa
crescere scostumati.
Meglio esser’ ricche ‘e sangue ca ricche ‘e denare.
Meglio essere ricco di sangue che di denari. Fig. Meglio avere molti
figli che molte ricchezze.
Meglio ‘a faticà pe’ chi nun te pava, che a parlà cu’ chi nun te
capisce.
Meglio lavorare con chi non ti paga che parlare con chi non ti com-
prende.
Meglio ‘na mala jurnata che ‘na mala vicina.
Meglio avere una cattiva giornata che una cattiva vicina di casa. Fig.
Ciò perché la giornata passa, ma la vicina di casa è sempre là.
Meglio ‘nu ciuccio vivo ca ‘nu dottore muorto.
L’istruzione è certo un’ottima cosa, ma la buona salute è molto più
importante
Meglio ‘nu spruccillo pe’ marito ca ‘nu comparo ‘mperatore.
È meglio avere un marito povero che un amante imperatore.
Meglio esser’ capa ‘e sarda che córa ‘e cefalo.
È meglio essere testa di sardina che coda di cefalo. Fig. È preferibile
essere il capo di una piccola organizzazione che l’ultimo di una grande.
Meglio l’uovo oggi ca ‘na gallina rimáne.
Meglio avere un uovo oggi che una gallina domani (Poco e subito!).
Meglio puverella e vertuosa ca ricca e viziosa.
Meglio una moglie povera ma virtuosa anziché ricca e viziosa.
Meglio súlo ca mal’ accompagnato.
Meglio andare da solo che in cattiva compagnia.
Lettera “M” 75

Mentre ‘a bella se pretenn’, ‘a brutta s’ammarita.


Nel mentre la ragazza bella si pretende (perché presuntuosa), quella
brutta subito si marita.
Mentre ‘o miereco storéa, ‘o malato mòre.
Mentre il medico indugia in una diagnosi, l’ammalato muore.
Mettere ‘e mmane ‘int’ ‘o ffuoco.
Mettere le mani nel fuoco. Fig. Essere pronti a tutto, senza badare ai
pericoli.
Mettere ‘o ‘nniro ‘ncoppa ‘o gghianco.
Mettere nero su bianco. Fig. Stendere un atto legale.
Mettere ‘o ppépe ‘nculo ‘a zoccola.
Mettere il pepe nel deretano del ratto. Fig. Aizzare l’offesa contro
l’offensore.
Mettere ‘o ssale ‘ncoppa ‘a córa.
Mettere il sale sulla coda di un volatile. Fig. Sperare invano che un
fatto non accada.
Mettere uno ‘ncimma ‘a pèrteca.
Mettere uno in cima alla pertica. Fig. Sbandierare i difetti altrui.
Mettere uno cu’ dduje piére int’ ‘a ‘na scarpa.
Mettere qualcuno con due piedi in una sola scarpa. Fig. Ridurre qual-
cuno nell’impotenza di agire.
Mettersi ‘ntrirece.
Mettersi in mezzo a dodici per fare il tredicesimo. Fig. Mettersi in
evidenza tra tutti. Il detto, tutto napoletano, forse deriva dal fatto che
un vanitoso vuole emergere fra tutti gli altri, come Gesù emergeva
tra i dodici discepoli. Oppure può essere spiegato con il fatto che un
tempo la città di Napoli si divideva in dodici quartieri, ognuno dei
quali aveva un capo; si metteva ‘ntrirece colui il quale voleva sovrin-
tendere ai dodici (vedi la voce ‘ntrirece).
Montagna chiara e marina scura, parti pe ‘mmare ca vaje sicuro.
Quando c’è il sereno a monte, ma sul mare il cielo è scuro, non c’è
alcun pericolo per chi naviga.
Mòzzeca c’ ‘a càpa e c’ ‘a córe.
Morsicare con la testa e con la coda. Fig. Essere cattivo in ogni
cosa.
76 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Mugliera ‘ncannaccata, marito ‘ncurniciato.


Quando la moglie si ingioiella troppo, lo fa per essere ammirata o per
sfoggiare gioielli avuti in regalo (forse) dal suo amante; nell’uno e
nell’altro caso il marito o lo sarà oppure è già cornuto.
Mugliera bella si nun fa figlie frjatella!
Moglie bella che non ha figli, te la fai fritta!.
Munno era, munno è e munno sarrà.
Mondo era, mondo è e mondo sarà. Fig. Ciò che succede oggi, è
sempre successo e succederà.
Muntàgna e muntàgna nun s’affrontane maje.
Solo monte e monte non si incontrano mai. Fig. Non far male a qual-
cuno, perché un giorno puoi averne bisogno.
Muntàgna schiarata e cielo annuvolato, senza ‘mbrello fatt’ ‘a
camminata.
Quando la montagna è chiara e il cielo è nuvoloso, puoi uscire senza
ombrello per una passeggiata.
N
‘Ncaglià – v.tr., incagliare, trovare intoppo. In sp. encallar = al dial.
‘Ncappà – v.tr., prendere, afferrare. In sp. enchapàr = mettere la
cappa. Fig. Acchiappare, afferrare.
‘Nchiastro – s.m., impiastro, medicamento. Fig. Persona noiosa. In
lat. emplastrum-i = impiastro. Il gruppo “empl” si è trasformato in
“nchi”.
‘Nchimà – v.tr., fermare con punti lunghi ciò che si deve cucire. In lat.
implimare = al dial. Il gruppo “pl” latino si è trasformato il “chi” nap.
‘Nchiummà – v.tr., impiombare, fermare con un sigillo di piombo.
Etim nap. chiummo = piombo, dal lat. plumbum.
‘Nciarmà – v.tr., incantare, ammaliare. In lat. carminare = all’it.
‘Nciarmo – s.m., (deriv. dallo stesso verbo carminare) = incanto,
incantesimo, malia; per estens. azione nell’aggiustare un oggetto con
una specie di invenzione.
‘Nciucio – s.m., voce di origine onomatopeica = inciucio, chiacchie-
riccio, pettegolezzo. È possibile anche una derivazione dalla lingua
fr. juger = criticare, giudicare calunniando.
‘Ncriccà – v.tr., sollevare, rizzare; v.rifl., adornarsi, agghindarsi.
Etim. dal fr. cric = martinello, arnese per sollevare. Per estens.: vo-
lersi agghindare, farsi bello.
‘Ndrangheta – s.f., associazione mafiosa e camorristica della Cala-
bria; etim. dal gr. andra (uomo) e agatòs (buono) = uomo d’onore,
di principio.
‘Nfrucecà – v.tr., stipare, calcare, affastellare, insinuare, suggerire.
Etim. lat. da infulcire = inserire, stivare.
‘Ngarrare – v.tr., indovinare, colpire nel segno, intuire, prevedere.
In gr. engcharatto (pz. engaratto), percuotere in fondo, nel punto
giusto. In sp. engarrar = al dial.
‘Ngasà – v.tr., spingere con forza qualcosa in un posto stretto. In sp.
encasar = al dial, e in lat. incapare = spingere dentro.
‘Ngenzià – v.tr., incensare, lodare in modo eccessivo una persona. In
lat. incensare = al dial.
78 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

‘Ngiegno – s.m., pozzo per irrigare, noria, congegno; in sp. acena


(pz. acegna) = al dial.
‘Ngrifà – v.tr., rizzare; rifl., stizzarsi, impennarsi. Etim. dallo sp. en-
grifar = ingrifarsi.
‘Ngummà – v.tr., legare con la gomma, ingommare le ossa…
‘Nippulo – s.m., pelo, pelo sottile che si attacca agli abiti. Etim. dal
fr. nippes (pz. nipp) = all’it.
‘Nnoglia (‘nnuglitielli) – s.m., intrugli, sorta di salsiccia fatte di bu-
della trite, salame o involtino di budella. Etim. dal lat. involia = al
dial. Il gruppo “inv” latino si è trasformato in “inn” in dial.
‘Ntallià – v.intr., indugiare, trattenersi, perdere tempo, andare a zon-
zo; etim dal v. it. antico aliare = muovere le ali, aleggiare, con il
prefisso intensivo ed eufonico “nt”.
‘Nterzetto – avv., di contrabbando, in barba alla legge. Etim. lat.
interceptus = interrotto, sospeso.
‘Ntorzafaccia – s.m., schiaffone, ceffone; etim. dal v. nap. ‘ntorzà =
gonfiare … la faccia.
‘Ntracinuto – agg., massiccio, tarchiato; etim. dal v. latino intorcere
che sta per il class. torquère = torcere.
‘Ntrafilato – avv., tra le fila, intrufolato; etim. dal fr. entrefilé (pz.
antrefilé) = cosa inserita tra le altre quasi nascostamente.
‘Ntrament’ – avv., frattanto, mentre, nel momento in cui; etim. lat.
da intra momentum = nel momento.
‘Ntruppecà – v.intr., inciampare, incespicare. Etim. Il v. deriva da
un lat. reg. troppa = cespo, da cui anche l’it. incespicare, che deriva
a sua volta dal gr. trophè = nutrimento, da cui nasce il cespo.
‘Ntufà – v.tr., gonfiare, dilatare, riempire. Etim. dal lat. tupa, che corri-
sponde al lat. class. tuba = tromba; l’idea del gonfiare deriva da quella
di soffiare; potrebbe derivare anche dal v. gr. entūfo = soffocare.
‘Nzagnà – v.tr., salassare, cavar sangue (o anche denaro a qualcuno);
etim. dal lat. sanguinare con il prefisso in = insanguinare.
‘Nzallanire – v.rifl., stordirsi, intontirsi, confondersi. Etim., il verbo
risale al lat. reg. selenire, che a sua volta deriva dal gr. seleniao =
essere lunatico, dal sostantivo selene = luna.
‘Nzarà (‘nzarimma) – v.tr., sotterrare erbe nel terreno che diventano
alimento per la terra divenendo marce. Etim. dal gr. sapròs-e-on,
agg., = marcio.
‘Nzerta – s.f., corona, treccia (di pomodorini, agli, cipolle…). Etim.
dal lat. insertum-i (o sertum-i), s. n., = treccia, corona.
Lettera “N” 79

‘Nzertà – v.tr., innestare. In lat. inserere = all’it. e anche inseminare,


ingravidare; per le piante = innestare, cioè congiungere due piante
perché ne avvenga il trapianto.
‘Nzino – avv., nel seno, nel grembo. Etim. dal lat. in sinu = nel
seno.
‘Nzombrare – v.intr., spaventarsi, saltare per qualcosa improvvisa.
In sp. asombrar = fare ombra, generare meraviglia.
‘Nzorare – v.intr., sposarsi (proprio dell’uomo). In lat. da in più so-
ror-is = in-sorella, quindi unirsi ad una donna compagna, considerata
come una sorella. L’espressione latina completa è: in uxorem ire =
prendere moglie, quindi ‘nzorarsi.
Naccara – s.f., nacchera, castagnetta; in ar. naqqarha = al dial.
Nèpeta – s.f., nepetella (erba aromatica). In lat. nepeta-ae = all’it.
Nòva – s.f., notizia, novità. Es. “ ‘Na bbona nòva” = una buona no-
tizia; “ ‘Na mala nòva” = una cattiva notizia. Nòva, come agg., =
nuova; dal lat. novus-a-um = nuovo.
Nuzzolo – s.m., nocciolo, osso, parte dura di un frutto. Etim. dal lat.
nucleus-i = nocciolo.

Curiosità storiche

‘Ncaforchià.
Verbo tutto napoletano = nascondere, ficcare, insaccare, spingere al-
l’interno. Il vocabolo è stato usato in diverse espressioni dai maggio-
ri scrittori napoletani, dallo Stigliola, Basile, Capasso al De Filippo
che in “’E sciure puverielle” parla di “mille casarelle ‘ncafurchiate”,
proprio della Napoli popolare. Secondo il De Falco, l’etimologia è
dal greco kataforeo, da cui catafuorchio, nel senso di portare giù,
mettere sotto e perciò nascondere.
‘Ncarrà.
Il significato napoletano è quello di imboccare o prendere la strada
giusta, colpire nel segno, azzeccare una previsione. Diverse sono le
ipotesi sull’etimologia del verbo, quelle che si accostano di più al si-
80 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

gnificato sono engarrar di derivazione spagnola ed in-carrare di de-


rivazione latina, la quale è più pertinente in quanto significa proprio
imbroccare e letteralmente prendere la giusta carreggiata (‘ncarratu-
ra); la prima (quella sp.) significa più uncinare (da garre = uncino) e
perciò poco pertinente all’incarrare.
‘Nchiasto (o ‘nchiastro).
Deriva da impiastro che ha origine dal greco emplastros, dal v. em-
plasso = spalmare. Un tempo era un medicamento a base di erbe
(camomilla) da applicarsi ben caldo sulla parte del corpo ammalato.
Per estensione dire a qualcuno che è un impiastro o ‘nchiasto signi-
fica volerlo qualificare come un buono a nulla, una persona noiosa o
scansafatiche.
‘Ncignà (o ‘ngignà).
Equivale a inaugurare, cominciare a servirsi di una cosa, ad usare per
la prima volta. Si incigna un vestito nuovo, un paio di scarpe ecc…
L’etimologia è dal greco kainos = nuovo, dal v. egkainizo (pz. engai-
nizzo) che significa inaugurare. A conforto di ciò l’Egkainìa era la
festa annuale ebraica che si teneva in ricordo dell’inaugurazione del
tempio di Gerusalemme.
‘Nciuciare.
Significa mettere discordia, sobillare, creare pettegolezzi, seminare
zizzania. ‘Nciucisso, o ‘nciuciatore, è colui che diffonde una cattive-
ria o malignità raccolta da altri. L’etimologia, secondo alcuni, deriva
dalla voce onomatopeica del fare ciù-ciù, ciuciulià che significhereb-
be sussurrare, ma l’inciucio è tutt’altra cosa. Per questo giustamente
De Falco fa derivare il verbo direttamente dal verbo greco kukao ed
egkukao, che significano rimescolare, intorbidare, mischiare, quindi
‘nciucià.
‘Ncuccià o ‘ncoccià.
Il verbo può essere usato transitivamente quanto intransitivamente;
nel primo sta per sorprendere, incontrare fortuitamente una persona o
trovare una cosa, o cogliere in fallo, in flagrante qualcuno; nel secon-
do caso il verbo assume un altro significato che è quello di impuntarsi,
ostinarsi, intestardirsi, insistere. L’etimologia è duplice: la prima da
incopulare, nel senso di sorprendere, cogliere sul fatto, come chi è
“legato”, “accoppiato”, a chi lo ha scoperto; la seconda è derivante dal
termine lat. coccia, ossia testa dura, collegabile al gr. cottis =cranio.
Lettera “N” 81

‘Nfinfero.
Guappo di periferia, borioso, gradasso e anche elegante: “venitelo
a vedé, mò passa ‘o ‘nfinfero c’ ‘o cuollo ‘mpuzumato e ‘a capa a
gliòmmero!” era il ritornello di una canzone degli anno ’50. l’eti-
mologia è dubbia; potrebbe derivare dallo sp. fanfaròn = al nostro
fanfarone che non è proprio ‘o finfero, o, come suppone il De Falco,
un piccolo pesce, il Naucrates ductor o pesce pilota, chiamato anche
varvaro, fanfano, napoletanizzandosi in ‘nfinfaro, la cui prerogativa
è quella di precedere, come guida, pesci più grossi come balene, tar-
tarughe… o addirittura navi, facendo loro da battistrada vantandose-
ne, comportandosi quasi come un ‘nfinfero.
‘Nnacchennella.
Un uomo alquanto effeminato, bellimbusto, uno che guarda le donne
ammiccando. Il vocabolo proviene da una espressione in lingua fran-
cese e risale al tempo delle invasioni franco-spagnole nel napoletano.
Durante questo periodo i soldati spagnoli osservavano compiacenti
le belle ragazze napoletane con occhialetto, ora monocolo, quasi
avessero un solo occhio. Da qui i francesi per denigrarli dicevano: il
n’a qu’en oeil (pz. Il nà c’an eiglie) e quindi ‘nnacchennella.
‘Ntalliarse.
Sinonimo di esitare, attardarsi, temporeggiare. Il verbo è adoperato
in molti scritti di classici come il Palomba nelle “Astuzie femminili”:
“Totò, tu te ‘ntallie?”; il Nicolardi in “Io e Zerepillo”: “Me voglio
‘ntallià pe’ sti centuorno…”. Chi si ‘ntallea aderisce al suolo, vi si
radica come per attendere un qualcosa che debba venir fuori, ma in
definitiva non realizzando alcunché. L’etimologia ha origine dal gr.
en-thallein = germogliare, mettere radici.
‘Nterzetto.
Il suo significato vuole esprimere qualcosa che si è fatta di nascosto,
in barba alla legge, non alla luce del giorno. La derivazione del vo-
cabolo è dal latino intercipere (part. pass. interceptus-a-um) = sor-
prendere insidiosamente, da cui l’italiano intercettare. Chi frodando
il prossimo agisce ai confini della legalità deve pur temere che possa
venir scoperto e “pigliato ‘nterzetto”.
‘Ntrirece.
È un avverbio e significa: giusto in mezzo, al centro, in vista. L’eti-
mologia, più che della figura di Gesù che compare sempre al cen-
82 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

tro dei dodici apostoli come tredicesimo, si riferisce al nº 13 della


Smorfia che indica il candeliere; si sa, infatti, che spesso al posto di
‘ntrirece si usa l’espressione ‘ncanneliere per indicare una persona
presente al centro di un affare o di una discussione.
‘Nturzà (‘ntorzà).
Verbo tutto napoletano col significato di gonfiare, inturgidire, ingros-
sare. L’etimologia del verbo la si può leggere nel latino turgare o
inturgidare, dal significato di essere o diventare gonfio (da cui l’ag-
gettivo turgidus-a-um) che è vicino al nostro ‘nturzà.
‘Nzagnà.
Verbo alquanto in disuso nei nostri giorni, significa salassare, aprire
una vena, cavare il sangue a chi si pensava affetto da eccessi sangui-
gni e a lui si praticava la ‘nzagnata da parte di chi sapeva manovrare
le forbici (barbieri, sarti). Erano rimedi empirici e pericolosi. Il ver-
bo non deriva tanto dal latino signare, ma dal francese sangler = far
sanguinare per estrazione di plasma.
‘Nzallanì (‘nzallanirse).
Indica il modo di essere di chi si mostra stordito, confuso, intonti-
to, rimbecillito, stonato. Diverse sono le ipotesi etimologiche: alcuni
vorrebbero far derivare il verbo dal latino insanire (diventare fol-
le, smaniare, infuriarsi), ma il suo significato non si addice ad uno
‘nzallanuto; altri vorrebbero derivato dal greco selenizomai (regi-
strato anche come selenazo e seleniao) che significa soffrire il mal di
luna (selene). Quella più probabile è nel verbo greco zalaino (essere
sciocco, stolto, demente). La parola appare in molti classici napole-
tani come quelli del Cassese, del Quattromani, del Lombardi.
‘Nziria.
È un capriccio fine a se stesso, ostinato, senza sbocco; essa si espri-
me spesso con una noiosa sonorità, il piccio, che la rende insoppor-
tabile e noiosa. L’appellativo veniva per lo più riservato ai ragazzini-
peste. La sua etimologia da alcuni è vista dal latino insidiae ( il cui
significato di imboscata, agguato, è alquanto lontano dalla bizza);
altri la fanno discendere da ira, meglio in-ira, altri ancora dal greco
eris o sun-eris = con dissidio, e ciò evidenzia meglio il significato di
contrasto e litigiosità della ‘nziria.
‘Nzularchìa (‘nzularcarse, ‘nzelarcata).
Viene così definita, in napoletano, quella disfunzione epatica che in
lingua è l’itterizia. L’esatta derivazione del termine è alquanto sin-
Lettera “N” 83

golare: già dai latini veniva definita morbus arquatus richiamatisi


a quel solis-arcum con cui essi definivano l’iride. Infatti si riteneva
che chi avesse fissato l’arcobaleno o avesse diretto verso esso l’atto
dell’orinare, sarebbe stato punito col prendere un colore giallastro,
caratteristica dell’ittero. ‘Nzelarchia, quindi, deriva da solis-arcus,
arco del sole = solarchia dove so si è trasformato in nz.

Proverbi

‘N’ora ‘e gusto porta cient’anne ‘e guaje.


Un’ora di godimento porta cento anni di guai. Fig. Un piccolo piace-
re causa molti danni.
‘Na cosa tànno l’appriezza, quannno nun ‘a tiéne.
Allora si dà valore ad una cosa, quando la si perde.
‘Na femmena e ‘na papera arrevutaiene Napule.
Una donna e un’oca misero in subbuglio Napoli.
‘Na mano lava a n‘ata.
Una mano lava l’altra (e Manzoni aggiunge: e tutte e due lavano il
viso). Fig. Un favore ricambia un altro favore.
‘Na vota all’anno nun fa danno, ‘na vota ‘o mese porta spese,
ogne jorno è taluorno.
Una volta l’anno non porta danno, una volta al mese comporta spese,
una volta al giorno è una seccatura continua.
‘Na vota è prena, ‘na vota allatta, nun ‘a pozzo maje vàtte.
È la difficoltà di chi vorrebbe dare una sonora lezione ad una moglie
che però è sempre incinta.
‘Na vota se taglia, ma ciente vote s’ammesúra.
Un pezzo di stoffa si taglia una sola volta, ma cento volte si deve
prendere la misura. Fig. Prima di fare una cosa importante bisogna
rifletterci molto.
84 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

‘Nce capimmo a sische.


Ci intendiamo a fischi. Fig. Fra di noi ci intendiamo con un cenno.
‘Nce pònno chhiù ll’uocchie ca ‘e scuppettate.
Il malocchio può essere considerato più dannoso di una fucilata.
‘Ncoppa ‘o ccuotto l’acqua volluta.
Sulla scottatura cade l’acqua bollente. Fig. Spesso ad un male se ne
aggiunge un altro peggiore.
‘Ntiempe ‘e tempesta ogne pertuso è puorto.
In tempo di tempesta ogni piccola insenatura è porto (di salvezza).
Fig. Nelle disgrazie e nelle difficoltà ogni piccolo aiuto diventa
utile.
‘Nu muorzo ‘nnant’ all’ora, nun piglia chhiù sapore.
Gli stuzzichini e le tartine che si prendono abitualmente con l’aperi-
tivo andrebbero eliminati perché rovinano il gusto del pranzo.
‘Nu patre campa a ciente figli e non ciente figli campano a ‘nu
patre.
Un padre da solo riesce a procurarsi cibo per cento figli, cento figli,
al contrario, non provvedono al padre indigente.
‘Nu sòrdo ‘a misurella e chill’amico sempe dorme.
Nonostante debba restituire una piccola somma, cifra, (misurella =
un secchiello di caldarroste), l’amico finge sempre di dormire ed es-
sere distratto per non pagarla.
Naso ‘e cano, mano ‘e barbiere e culo ‘e femmena so’ sempe
fridde.
Tre cose sono quasi sempre fredde: il muso dei cani, le mani dei bar-
bieri ed il fondo schiena delle donne.
Natale cu’ e tuije, Pasca cu’ chi vuoje.
Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.
Né ‘e Venere, né ‘e Marte nun se sposa e nun se parte e nun se dà
principio all’arte.
Il venerdì ed il martedì sono i due giorni meno indicati per sposarsi,
partire ed iniziare una qualsiasi nuova attività.
Nisciuno dice làvata ‘a faccia ca pare ‘cchiù belle ‘e me!
Nessuno dice: lavati la faccia perché sembrerai più pulito di me! Fig.
Tutti sono invidiosi degli altri se sono migliori o più belli.
Lettera “N” 85

Nisciuno è cuntento ‘e chello ca tene.


Nessuno è contento di quello che ha. (Orazio nelle satire diceva:
Nemo sua sorte contentus, nessuno è contento della sua sorte).
Nisciuno è nato ‘mparato.
Nessuno è nato già istruito. Fig. Ognuno può sbagliare, è l’espres-
sione che insegna a vivere.
Nove mise, nove vise.
Durante i primi mesi di vita il bambino cambia continuamente fisio-
nomia.
Nun c’è ammore senza gelusia.
Non esiste amore sincero senza gelosia.
Nun c’è matremmonio senza cuntraste.
Non può esserci matrimonio senza litigi.
Nun c’è pezzentaria senza rifiette.
Non c’è povertà senza difetti.
Nun è tutt’oro chello ca luce.
Non è tutto oro quello che luccica. Fig. L’apparenza inganna.
Nun fa male ca è peccato, nun fa bene ca è sprecato.
Se fare il male è certamente peccato, il fare bene alle volte può essere
indice di stupidità.
Nun fa ogne èvera nu fascio.
Non riunire in un solo fascio tutte le erbe. Fig. Non confondere, in un
giudizio, i buoni con i cattivi.
Nun se fa passà a mosca po’ naso.
Non si fa passare la mosca sul naso. Fig. Quel tale non la perdona a
nessuno.
Nun sempe rid’ e sciala ‘a mugliera d’ ‘o mariuolo.
La moglie del ladro non sempre ride e se la gode.
Nun sfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe!
Lascia perdere chi preferisce non toccare certi argomenti o chi prefe-
risce starsene in santa pace, per i fatti suoi.
Nun sputà ‘ncielo ca ‘nfaccia te torna.
Non metterti contro e non disprezzare i tuoi superiori perché ne su-
birai poi le conseguenze.
86 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Nun te fa riebbete cu’ ‘a vocca.


Non farti debiti con la bocca. Fig. non promettere ciò che non puoi
dare.
Nun tène pile ‘a lengua.
Non ha peli sulla lingua. Fig. È uno che deve sempre dire quello che
pensa.
O
Obbreco – s.m., obbligo, impegno, dovere imposto a qualcuno. Dal
v. lat. obligare = obbligare, legare a; comp. da ob, intens., e ligare =
legare.
Ogge – avv., oggi; dal lat. hodie derivante da hoc-die = in questo
giorno.
Ógna – s.f., unghia; in lat. ungula, dim. di unguis = unghia.
Ogne – agg., ogni; in lat. omnis-e = all’it.
Ógnere – v.tr., ungere, spalmare di grasso. Etim. “Ng” di ungere
passa per metatesi a “gn” come in mógnere (per mungere), chiagnere
(per piangere).
Ommo – s.m., uomo; dal lat. homo-inis = uomo.
Onza – s.f., oncia, peso (anche moneta); in lat. uncia = oncia, dodi-
cesima parte di un asse. Unità di misura di peso usata in Italia e in
altri paesi, prima del sistema metrico decimale, per lo più intorno ai
30 grammi.
Opere – s.f. pl., operai (della terra). Dal lat. operae-arum, s.f., =
operai.

Proverbi

‘O ‘mmitato po’ ‘mmità.


Un invitato, a sua volta, può invitare altri.
‘O barbiere te fa bello, ‘o vino te fa guappo, e ‘a femmena te fa
fesso.
In conclusione le donne vengono sempre maltrattate.
88 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

‘O bbene ‘e Ciccio Pullastro: a pizzeche e a mmuorze accirette


‘a mugliera.
L’affetto di Ciccio Pollo: uccise la moglie a furia di pizzichi e morsi.
‘O bbene è fatto ‘a coselle.
Il bene è fatto di piccole cose.
‘O bbuono juorno se vede d’ ‘a matina.
Il bel giorno si vede già dal mattino. Fig. Il carattere di un uomo lo
si vede già dall’infanzia.
‘O bbuono marito fa ‘a bbona mugliera.
Il buon marito rende buona anche la moglie.
‘O cane mozzeca ‘o stracciato.
Il cane morde lo straccione. Fig. I guai visitano chi già ne ha tanti.
‘O ccare cùrrece; ‘o buon mercato piensace.
Corri a comprare una cosa che si vende a caro prezzo; rifletti bene prima
di comprare una merce a prezzi ridotti (perché probabilmente è scaduta).
‘O cielo te scanza d’ ‘a mugliera gelosa e d’ ‘o marito ‘mbriacone.
Il cielo ti scanzi da moglie gelosa e da marito ubriacone.
‘O coraggio ‘o tene ma è ‘a paura che ‘o fotte.
Il detto vale per chi si dichiara coraggioso ma all’atto pratico si dimo-
stra un fifone.
‘O curnuto è sempre l’urdemo a sapé e guaje suoje.
Il marito cornuto è, in genere, sempre l’ultimo a sapere di esserlo.
‘O ddiritto mòre sempe pe’ mmano d’ ‘o fesso.
I furbi e gli scaltri spesso soccombono davanti a persone che stimano
poco o considerano delle nullità.
‘O diavolo quanno è viecchio, se fa monaco cappuccino.
Dopo aver vissuto nella dissolutezza e nel peccato, molte persone
anziane cercano di conciliarsi con Dio nella speranza di salvarsi
l’anima in extremis.
‘O figlio d’ ‘o zappatore nun se scarde maje d’ ‘a mamma.
I figli dei contadini difficilmente dimenticano la propria mamma.
‘O figlio muto ‘o capisce ‘a mamma.
Il figlio muto lo capisce la mamma.
‘O gghianco e ‘o russo veneno d’ ‘o musso.
Il colorito roseo lo procurano il mangiar bene e l’aria buona.
Lettera “O” 89

‘O lietto se chiamma rosa e si nun duorme te ripuose.


Il letto si chiama rosa, se non ci dormi almeno ti riposi.
‘O lupo perde ‘o pilo, ma nun ‘o vizio.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Fig. L’uomo cattivo, anche
quando sarà diventato vecchio, rimane sempre cattivo.
‘O male fierro ‘o strura ‘a mola.
Un cattivo ferro (attrezzo, mezzo, strumento) viene consumato dalla
mola. Fig. Un uomo cattivo viene ridotto all’impotenza da uno più
cattivo di lui.
‘O masto è masto e ‘o patrone è capo masto.
Il mastro è mastro e il padrone è capo dei mastri. Fig. È il padrone
che decide come deve essere fatto un lavoro.
‘O matrimonio se fa cu’ ‘e cunfiette e no cu’ ‘e ficusecche!
Il matrimonio si festeggia con i confetti e non con i fichi secchi. Fig.
Il matrimonio comporta sacrifici di molte spese.
‘O meglio pranzo è l’appetito.
Il miglior pranzo è l’appetito.
‘O miereco piatuso fa ‘a chiaia cancrenosa.
Il medico pietoso fa diventare la piaga cancrenosa. Fig. Chi è troppo
indulgente con i figli permette che essi crescano scostumati.
‘O paese è d’ ‘o paesane.
Il paese è del paesano. Fig. Si dice spesso in una contesa dove si
cerca di aiutare un compaesano e non un forestiero.
‘O Pateterno dà i vascuotte a chi nun tene ‘e riente.
Il Padre Eterno dà i biscotti a chi non ha denti. Fig. Spesso le ricchez-
ze sono in mano a chi non le sa amministrare.
‘O patrone ‘e sarde mangia sardelle.
Il padrone delle sarde mangia sardine. Fig. Il padrone di alcuni beni
spesso ne gode la parte peggiore.
‘O peggio surdo è chillo che nun vò sentì.
Il peggior sordo è quello che non vuole sentire.
‘O peggio trave scocca.
La peggiore trave (che si trova in una soffitta) è quella che scricchio-
la. Fig. Nella società gli elementi peggiori sono quelli che si agitano,
che criticano e si lamentano sempre.
90 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

‘O pesce fète da’ capa.


Il pesce puzza dalla testa. Fig. Se in una famiglia, o in una società, le
cose non vanno bene, è colpa di chi ne è il capo.
‘O pesce gruosso mangia ‘o piccirillo.
Il pesce grande mangia il piccolo. Fig. Il potente opprime il debole.
‘O popolo ‘o vvò!
Il popolo lo vuole. Fig. Spesso è proprio il popolo a voler essere im-
brogliato, probabilmente perché non sa distinguere il bene dal male.
‘O pover’ ‘ommo sciala pe’ ddisgrazia.
Il povero scialacqua solo in caso di disgrazia altrui.
‘O pparlà ‘nfaccia è fatto pe’ ‘ll’amice.
Il parlare franco è proprio per gli amici.
‘O presuntuoso è sempe fesso.
L’immodestia è infatti indice di meschinità.
‘O primm’anno còre a còre; ‘o second’anno culo a culo; ‘o ter-
z’anno cauce ‘nculo.
Il primo anno (di matrimonio) cuore a cuore; il secondo sedere con-
tro sedere (di spalle); il terzo a calci nel sedere.
‘O primmo surco nun è surco.
Il primo solco non è solco. Fig. Ogni inizio di un’opera è difficoltoso.
‘O rutto porta ‘o sano.
L’ammalato porta sulle spalle chi è sano. Fig. È l’esclamazione che
si ripete quando un povero soccorre un ricco.
‘O sazio nun crére ‘o riuno.
Il sazio non crede a chi è digiuno. Fig. Il ricco non crede a chi è in-
digente.
‘O signore ‘e natura all’azione s’ammisura.
Il signore di natura si riconosce dalle azioni che compie.
‘O Signore primma ‘e ffà e po’ l’accocchia.
Il Signore prima li crea e poi li accoppia. Fig. Si dice per scherzo nei
riguardi di due sciocchi che si uniscono in matrimonio.
‘O sparagno nun è maje guaragno.
Il risparmio non è mai guadagno.
‘O spasso d’ ‘a zitella so’ ‘e capille.
I capelli sono il divertimento (hobby) dei ragazzi.
Lettera “O” 91

‘O tavernaro te venne chello che tène.


L’oste ti vende quello che ha. Fig. Nessuno dà ciò che non ha. È il
detto latino “Nemo dat quod non habet”.
‘O te mangia sta menesta ‘o te vutte d’ ‘a finesta.
Si dice quando non c’è alcuna soluzione tra due difficili e delicate
chances.
‘O tiemp’ è galantommo.
Il tempo è galantuomo. Fig. bisogna saper attendere; il tempo lenisce
i dolori e li fa dimenticare.
‘O trappito cagnaje l’uocchie p’ ‘a cora.
La talpa permutò gli occhi per la coda. Fig. Si dice a proposito di chi
per un bene minore rinuncia ad uno maggiore.
‘O ttuosseco manco ‘e surece ‘o vonno.
Il veleno neppure i topi lo vogliono. Fig. le cose brutte e nocive sono
evitate da tutti.
‘O vino è ‘o latte d’ ‘e viecchie.
Il vino è il latto dei vecchi.
Ogn’acqua leva ‘a sete.
Nei casi di necessità anche un piccolo aiuto serve a qualcosa.
Ogne scarafone pare bello ‘a mamma soja.
Ogni figlio appare bello alla propria madre, anche se somiglia ad uno
scarafaggio.
Ogni femmena bella pecca a’ ‘o naso.
Ogni donna bella ha qualche difetto al naso.
Ogni lassato è perduto, ogni pigliato è guaragnato.
E quindi è meglio arraffare quanto più è possibile.
Ogni promessa è debbeto.
Ogni promessa è come un debito, va assolutamente mantenuta.
Ogni scarpa addiventa scarpone.
Ogni scarpa diventa scarpone. Fig. Tutti invecchiano.
Ognuno prega p’ ‘o Dddio suoio.
Ognuno prega per il suo Dio. Fig. Ognuno vorrebbe che i fatti suoi
vadano bene.
Ognuno sa abballà quanno ‘a sciorta sòna.
Tutti si danno da fare e sono contenti quando la fortuna è dalla loro parte.
92 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Ognuno tira l’acqua ‘o mulino suoio.


Ognuno vorrebbe attirare l’acqua al suo mulino (per la macina). Fig.
ognuno pensa ai suoi interessi.
Ommo ‘e vintotto e femmina ‘e diciotto.
In un matrimonio perfetto l’uomo deve essere più maturo della don-
na, anche di una diecina di anni in più.
Ommo sposato â fune s’è attaccato.
L’uomo sposato si è legato alla fune (anche in senso figurativo).
P
Pacca – s.f., natica; dal gr. pakius-èia-ù, agg., = doppio, spesso, pin-
gue, grasso, carnoso. In dial. c’è l’espressione “pacchiarse” = cam-
minare muovendo le natiche, le anche.
Pàccaro – s.m., schiaffo; in gr. da pas-pasa-pan, agg., = tutto e da
keir-òs = mano: (colpo dato) con tutta la mano.
Palettò – s.m., cappotto, soprabito. In fr. paletot (pz. paltò), s.m., =
al dial.
Paliata – s.f., mazzate date, assestate ad uno; in gr. da pale = lotta,
combattimento; ma anche dallo sp. apalear = paliare.
Palummo – s.m., colombo. In lat. palumbus-i, s.m., = colombo sel-
vatico. Nel dial. la b è stata assimilata dalla m.
Panàro – s.m., paniere; dal lat. panarium-ii = all’it.
Panecuocolo – , nome di città (odierno comune di Villaricca); etim.
lat. panicoculus = panettiere, fornaio, forse un antico forno.
Pannazzaro – s.m., venditore di panni e stoffe, cenciaiuolo; etim.
lat. pannatiarius o pannarius, dal sost. pannus = panno.
Pantosca – s.f., protuberanza, gonfiezza sporgente lasciata dall’ara-
tro o dalla zappa. In gr. da pas-pasa-pan = tutto e da oskos-ou =
nodo; fig. sasso, protuberanza. In dial. terreno a pantosche = terreno
di tutte protuberanze.
Panzé – s.f., fiore, viola del pensiero. In fr. pensée (pz. pansé), s.f.,
= al dial.
Panzuto – agg., panciuto. Etim. dallo sp. panzudo, agg., = al dial.
Papagno – s.m., papavero. In nap., però, è un energico paccaro che,
come una sostanza oppiacea, contenuta nel papavero, provoca torpo-
re e sonno.
Papocchia – s.f., pappa molla e brodosa, ma anche pasticcio, intrigo;
etim. dalla variante papa di pappa, in Piemontese papocia = al dial.
Papone – s.m., treno a vapore. In fr. papin denis (pz. Papen Denì), fisi-
co francese 1647-1714, che per primo conobbe la forza del vapore.
Papuscio – s.m., pantofola. In ar. (persiano) bâbush, s.m., = calzatu-
ra di lana usata per il letto.
94 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Paraustiello – s.m., appiglio, pretesto, ragionamento, paragone rife-


rito a persone; etim. dallo sp. para-usted = per voi.
Paréglia – s.f., coppia di cose uguali. In fr. pareille (pz. parèie), = al dial.
Pariare – v.tr., digerire, assimilare i cibi. In lat. paria, s.n. pl., = cose
uguali (rendere le cose uguali dopo averle pariate).
Pàrio – s.m., da pariare; “tené nu pario buono” = digerire bene e
subito; per assimilazione pario = stomaco.
Parzonàro – s.m., mezzadro, fittavolo. In lat. partionarius-ii, s.m.,
= mezzadro.
Pascóne – s.m., insieme delle erbe da pascolo o da sotterrare per ar-
ricchire il terreno di materia organica. In lat. pascuum-ui = pascolo.
Nel dial. è divenuto accrescitivo.
Pastenaca – s.f., = pastinaca: ombrellifera spontanea nelle zone
umide, con ombrelle composte di fiori gialli, radice carnosa comme-
stibile (pastinaca sativa); forse da qui il nome di sisaro, proveniente
dalla voce gr. sisaron, e da quella latina siser = pastinaca.
Pastenaturo – s.m., piantatoio, piolo con cui si fanno buchi nel ter-
reno per piantarvi semi e piantine; etim. dal lat. pastinum.
Patrizzare – v.intr., avere somiglianze del padre. In gr. patriàzo,
v.intr., = essere simile al padre.
Pazziare – v.intr., scherzare, giocare. In gr. pàizo = scherzare, gioca-
re, proprio dei bambini; infatti pais-idòs = bambino.
Peléa – s.f., pretesto per bisticciare. Etim. sp. da peléa = rissa, bisticcio.
Pellecchia – s.f., pelle aggrinzita, buccia sottile; etim. lat. pellicula
da cui lo sp. pelleja.
Pendendif – s.m., catenina pendente dal collo. In fr. pendendif (pz.
pandandif) = ciondolo.
Pennulià – v.intr., penzolare, pendere. Etim. da una forma lat. pen-
dulare legata all’agg. pendulus, dal v. pendēre.
Perchiepétola – s.f., donna di poco conto; etim. composta da per-
chia = donna pettegola, volgare e petula dal v. petulare = pettegola-
re, risalente al lat. cl. petere = chiedere con insistenza.
Perciare – v.tr., forare con succhiello. In fr. percier (pz. persér) =
al dial.
Percoca – s.f., pesca gialla; etim. lat. da praecoquus-a-um, agg., =
primaticcio. In dial. è rimasto agg. sost. per indicare uno dei frutti
primitivi.
Perepullo – s.m., pianta delle ombrellifere i cui rami somigliano ai
piedi di pollo.
Lettera “P” 95

Péreto (o pireto) – s.m., peto; etim. dal lat. peditum, con la d passata
ad r, per esempio caré da cadere, miéreco da medico.
Perimma – s.f., muffa; etim. lat. dal v. perimere, intr., = distruggere,
rendere inservibile. In dial. c’è anche peruto, ammuffito.
Peròta – s.m., saccente, saputello. Etim. dal gr. perì-erotào, v.intr.,
=interrogare intorno a una cosa, voler sapere troppo su un fatto.
Pèrteca – s.f., lungo bastone per bacchiare noci o castagne. In lat.
perteca-ae, s.f., = bastone di legno.
Peruozzolo (o piruozzolo) – s.m., piuolo, gamba della sedia; etim.
lat. epi(u)rus e dal gr. epiuros e pèiros (piuolo), da qui la forma di-
minutiva di piruozzolo.
Pèrzeca – s.f., pesca rossa. In lat. fructus persicus = frutto della Per-
sia.
Pesule – agg., sospeso da terra, pendolo, pesolo; etim. lat. da pensi-
lis-e = pensile, che pende.
Petaccia – s.f., straccio, cencio; in sp. pedazo = parte di una cosa,
pezzuola.
Petrosino – s.m., prezzemolo. Etim. dal gr. petroselinon-ou = nato
tra le pietre.
Péttola – s.f., parte terminale di un vestito. Etim. dal gr. petalon =
lembo della veste.
Picchè – s.f., stoffa a due faccie. In fr. piqué (pz. picché) 0 al dial.
Piénnolo – s.m., penzolo. Etim. lat. da pendulus-a-um, agg., derivato
dal v. pendere = pendente, che penzola.
Piezzo – s.m., animale da macello. In fr. pièce (pz. piès) = pezzo.
Pilo – s.m., pelo; fig. cosa da nulla. In lat. pilus-i = al dial.
Piluscio – s.m., felpa vellutata. In fr. peluche (pz. pelusc’) = al dial.
Piòneca – s.f., miseria, sfortuna, disdetta; etim lat. da poeonia e dal
gr. paionìa = pianta usata in medicina nell’antichità (evidentemente
portava male).
Pipitiare – v.intr., parlare (voce onomatopeica). Etim. gr. dal v. pip-
pizo, v.intr., = pigolare, parlare sottovoce.
Pìreto - s.m., scorreggia. Dal lat. peditum-i, s.n., = al dial.
Pirett’ – s.m., bottiglia o lampada a forma di pera. In fr. poirétte (pz.
puarét) = al dial.
Pirtuso – s.m., = buco, foro. In lat. pertusus-a-um = bucato, dal v.
pertundere = bucare. Si trova in numerose espressioni nap.: “Mettere
‘e rrecchie pe’ pertose”; “A tiempe ‘e tempesta ogne pertuso è puor-
to”; “Pizzeche e vase nun fanno pertose”.
96 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Pisàre – v.tr., pigiare, pestare. In lat. pisiare (deriv. dal v. pinsere), =


pigiare, pestare.
Pivuzo – vedi tra le curiosità Mazza e pivuzo.
Pocella – s.f., fanciulla, ragazza; etim. dal fr. pucelle = pulcella (pz.
pulsella) e quindi ragazza.
Pochiare – v.intr., sottostare, stare sotto (ai compagni). In sp. pujar
= avere difficoltà nel liberarsi.
Polecà (o pulecà) – v.tr., strofinare qualcosa con i polpastrelli del
pollice e dell’indice; etim. dal lat. pollicare ricavato dal sost. pollex-
icis = pollice.
Potéca – s.f., bottega. Etim. gr. da apotèke = bottega.
Presutto (prisutto) – s.m., prosciutto. In lat. perexsutus-a-um, agg.,
derivante dal v. perexsurgere = prosciugare bene e perciò = prosciu-
gatissimo, molto disseccato.
Prèvola – s.f., pergola (di vite, di rose); in lat. pergola-ae = al dial.
Proiare (proiere) – v.tr., porgere, dare, concedere. Etim. dal gr. proie-
mi = porgere, dare.
Puca – s.f., mazza, porzione di ramo o gemma che viene innestata su
di un’altra pianta. Etim. dal v. gr. pukàzo = rendere compatto.
Pucchiacca – s.f., erba porcellana, portulaca; vulva, organo sessuale
femminile. Etim. Nel senso di erba dal lat. portulaca attraverso il
tardo lat. porclaca; nel senso di vulva si giunge dall’incontro del
nome del’erba (portulaca) con il sost. di origine calabrese pucchia o
purchia = pozza, fonte d’acqua, luogo dove zampilla l’acqua; da qui
per analogia si giunge alla napoletana purchiacca o pucchiacca.
Pulicino – s.m., pulcino. In lat. pulicinus (alterazione di pullus)
= pollo.
Pullitro – s.m., puledro. In lat. pullitrus-i, al posto di pullus equinus
= figlio della cavalla = puledro. C’è anche in dial. spullitriare = sco-
razzare come un puledro.
Puóio – s.m., poggio. In sp. pojo = al dial.
Puórco – s.m., porco. In sp. puerco = al dial.
Puórro – s.m., porro, neo. In sp. puerro = al dial.
Puórto – s.m., porto. In lat. portus-us = porto. In sp. puerto = al dial.
Purtuall’ (portovallo) – s.m., arancia. In sp. purtual = arancia porto-
ghese; infatti i portoghesi portarono dalla Cina e dalle Indie orientali
la pianta di arancio prima in Africa e poi in Europa.
Puss – s.m., marcia, umore putrido delle ferite. In lat. pus-puris =
al dial.
Lettera “P” 97

Curiosità storiche

Paposcia.
Ernia. È uno dei termini dialettali che indicano il rigonfiamento del-
l’apparato interno del corpo, il pacco intestinale e i visceri in genere.
È simile a “ ‘ntorcià ” = gonfiare; l’etimologia è dal greco entosthidia
= rigonfiamento. Gli altri termini sinonimi di paposcia sono: gual-
lara, burzone, ‘ntoscia, mellunciello, quaglia, zeppola, contrapiso,
pallera, scesa tonna, polletra.
Paraustiello.
Ragionamento capzioso, contorto, cavillo gratuito, argomentazione
suggestiva ma infondata. L’etimologia potrebbe essere spagnola:
para usted = per voi, un ripetitivo rivolto all’interlocutore per con-
vincerlo con argomenti validi solo in apparenza; potrebbe derivare
anche dal gr. paràstasis, che sta per esposizione, dimostrazione, pro-
va adatta a persuadere, a far comprendere, (che sembra più valida
della prima).
Pernacchio/a.
Rumore fatto con la bocca per schernire gli altri, scorreggia. Etim.
Dal lat. vernaculum = maniera di essere di persone triviali, avere un
comportamento da “verna” = schiavo. Il passaggio da “vernacchio”
a “pernacchio” è breve.
Pizzulià (o spizzulià).
Prendere cibo col becco è correlabile al termine pizzo del becco di
volatili, proprio quello con cui gli uccelli possono ingerire piccole
quantità di cibo. Il termine pizzo deriva dal francese pìque = arma o
oggetto appuntito. Lo spizzulià è invece proprio degli esseri umani
quando si tratta di spizzulicare, piluccare, di gustare di tutto un po’.

E
98 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Proverbi

Pane ‘e marito poco ‘e saporito; pane ‘e figlie a ciente miglia.


Pane (offerto) dal marito, poco ma saporoso; pane dato da figli,
lungi cento miglia.
Pane e cepolla fanno ‘o core cuntento.
Pane e cipolla fanno il cuore contento. (Basta poco per essere felici).
Pann’ spuorche e mugliera brutta nisciuno ‘ntuppo.
Panni sporchi e moglie brutta, nessun fastidio (perché non costitui-
scono interesse da parte di nessuno).
Pare ‘a sporta r’ ‘o tarallaro.
Sembra la sporta del ciambellano. (Tutti la cercano…).
Pare ca mò te veco!
Sembra che ora ti vedo! Fig. È l’esclamazione rivolta a chi si pre-
figge di conseguire un fine molto difficile.
Pare l’auciello ‘e Fuorirotta: tène ‘o pizzo buono e ‘a scella
rotta.
Sembra l’uccello di Fuorigrotta: ha il becco buono ma l’ala rotta.
Fig. Si dice di chi vuole solo mangiare ma poco lavorare, adducen-
do motivi di salute.
Parla a schiovere.
Parla a spiovere. Fig. Parla a casaccio.
Parla comme t’ha fatto mammeta!
Parla come tua madre ti ha generato! (Con naturalezza e sponta-
neità).
Parlanno d’‘o diavolo spontano ‘e corne.
Si dice quando, parlando di una persona assente, questa arriva ina-
spettatamente. (Lupus in fabula).
Passasse l’angelo e dicesse: ammen!
Possa passare l’angelo e dire: così sia! Fig. Possa acadere quello
che tu desideri.
Passato ‘o Santo, passata ‘a festa.
Passato il giorno della festa di un Santo, è passata la festa. Fig.
Ogni cosa deve farsi a tempo giusto e stabilito.
Lettera “P” 99

Pazzi e criature Ddio l’aiuta.


Dio aiuta i pazzi e i bambini. Fig. La Provvidenza aiuta quelli che
inconsapevolmente si trovano in difficoltà.
Pe’ carna tosta curtiello tagliente!
Quando si deve avere a che fare con un avversario duro e difficile,
bisogna prepararsi allo scontro per cercare di non soccombere.
Pe’ fa’ ‘o Papa s’addà sapé fa ‘o sacrestano.
Per comandare bene bisogna venire dalla gavetta e cioè conoscere
bene il proprio mestiere o la propria professione.
Pe’ guaragnà ‘o mafaro, spisso se perde ‘a votta.
Per guadagnare il tappo spesso si rovina la botte. Fig. Per guada-
gnare una piccola cosa spesso se ne perde una maggiore.
Pe’ mare nun ce stanno taverne.
Per mare non ci sono osterie. Fig. Chi affronta un’impresa anorma-
le, incontrerà rovina.
Pe’ n’aceno ‘e sale se perde ‘a menesta.
Per un chicco di sale in più si rovina una minestra.
Pe’ stà sempe sano, vieste cavero, mangia poco e cammina
chiano.
Per stare sempre bene in salute indossa abiti caldi, mangia poco e
cammina lentamente.
Penzà ‘a notte p’ ‘o juorno.
Pensare la notte ciò che si deve fare il giorno. Fig. Essere molto
accorto e preoccupato.
Perdere Filippo e ‘o panaro.
Perdere Filippo ed il paniere. Fig. Perdere il tempo e il lavoro fat-
to.
Piglià ‘na scippacentrella.
Prendere uno scivolone da far schiodare le scarpe. Fig. Contrarre
una brutta malattia.
Piglià ‘o ciuccio p’ ‘a capezza.
Prendere l’asino per la cavezza. Fig. Tenere uno sotto freno.
Piglià uno ‘a cucchiere ‘a fitto.
Trattenere uno come se fosse un vetturino. Fig. Maltrattare uno
dopo che se ne è servito.
100 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Piglià uno c’ ‘o ‘llardo ‘ncuollo.


Sorprendere qualcuno con un pezzo di lardo sulle spalle. Fig. Co-
gliere qualcuno in flagrante.
Pigliarse ‘o rito co’ tutt’ ‘a mano.
Prendersi il dito con tutta la mano. Fig. Prendersi troppa confidenza.
Pigliarse ‘o spavo ‘ncerato.
Prendersi lo spago incerato. Fig. Usare meticolosità nel fare una cosa.
Ponno chiù l’uocchie c’ ‘a ‘e scuppettate.
Possono (far male) più gli occhi che le schioppettate.
Portà (purtà) uno p’ ‘o filo ‘e seta.
Portare uno legato ad un filo di seta. Fig. Rinviare con raggiri un
favore da fare o un debito da pagare.
Portà uno appiso ‘nganno.
Tenere uno in gran pregio e considerazione.
Pozzate aonnà comme aònna ‘o mare!
Possiate abbondare (prosperare) come abbonda il mare!
Prenanza ogne male scanza.
La gravidanza fuga ogni malanno.
Primma e se mmarità: vraccia ‘e fierro, cosce ‘e fierro e panza
comm’ auciello; doppo maritata: vraccia rotte, cosce rotte e pan-
za quant’a ‘na votte.
Prima di sposare: braccia di ferro, gambe di ferro e pancia di uccelli-
no; dopo sposata: braccia rotte, gambe rotte e pancia come una botte.
E tutto ciò per evitare il lavoro.
Provole e presutte sempe nuje ‘nce jamme pe’ sotto.
Provole e prosciutti sempre noi ci andiamo sotto (a perderci). Fig.
Siamo sempre noi che in delle circostanze, subiamo le pene.
Puozze avè ‘a sciorta r’ ‘a brutta!
Possa tu avere la sorte della brutta. Fig. È l’augurio rivolto ad una
ragazza bella, perché possa avere un marito buono, come ordinaria-
mente l’ha una ragazza brutta. Difatti i buoni giovani non vanno in
cerca delle doti fisiche, ma delle doti morali di una ragazza.
Puozze avè ‘n’ora ‘e pretiate int’ a ‘nu vico stritto!
Possa tu avere un’ora di pietrate in un vicolo stretto! Fig. Che tu
possa rovinarti completamente.
Lettera “P” 101

Pure ‘e pulece teneno ‘a tossa.


Anche le pulci hanno la tosse. Fig. Si dice di un ragazzo o di uno
sciocco che vuole farla ad uno più grande o più saggio e bravo.
Pure a Reggina avette bisogno r’ ‘a vicina.
Anche i potenti possono aver bisogno di aiuto da parte dei sottopo-
sti.
Pure ll’onóre s’ ‘o castighe ‘e Ddio.
Il ricoprire cariche importanti comporta l’assunzione di grosse re-
sponsabilità e maggior lavoro.
Q
Quacche – agg. indet., qualche, derivante da qual(e) che (sia); in lat.
qualis-e = al dial.
Quaquiglia – s.f., conchiglia; in fr. coquille = conchiglia.
Quarajesema – s.f., quaresima; in lat. quadragesima (sott. die) =
quaranta giorni (prima di Pasqua).
Quartana – s.f., (febbre) quartana. In lat. quartana (febris) = febbre
che si manifesta ogni quattro giorni.
Quartiarse – v.rifl., piegarsi da un lato, schernirsi.
Quatte – num. card., quattro. In lat. quattuor = al dial.
Quattuordeci – agg.num., quattordici; in lat. quattuordecim = al
dial.
Quibus – pr. relat. (dat. o abl. pl.), ai quali, con i quali. Questa voce
latina, però, sta a significare “denari”. Es. “Pe’ se ‘nzorà ‘nce vonno
i quibus” = per ammogliarsi ci vogliono i denari.

Curiosità storiche

Quequero.
L’appellativo di quequero viene dato alla persona che manifesta at-
teggiamenti curiosi e ridicoli, alla persona che si comporta in modo
strano e quasi trascurato, un individuo, insomma, giudicato come chi
vive al di fuori delle norme convenzionali. Il termine derivato dal
sorgere della setta dei Quacqueri in Inghilterra intorno alla metà del
Seicento. Il Quacquerismo auspicava il ritorno ad una vita semplice
e secondo natura. Il nome deriva dall’aggettivo inglese quaker = tre-
molante, uno che trema. In virtù del loro credo, i quaccheri vestono
104 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

dimessamente, con trascuratezza e senza alcuna eleganza. Quacche-


ro divenne a Napoli e nella provincia sinonimo di una persona che si
fa notare per la sua insolita apparenza e per il suo aspetto esteriore
poco curato, cioè quequero.

Proverbi

Quanno ‘a gatta nun ce stà ‘e surece abballano.


Fig. In assenza del capo o del superiore ognuno fa il proprio comodo.
Quanno ‘e figlie fotteno ‘e patre so’ futtute.
Fig. Se i figli conducono una vita dissoluta, sono guai per le finanze
paterne e familiari.
Quanno ‘na femmena s’acconcia ‘o quarto ‘e coppa, vo’ affittà
chillo ‘e sotto.
Quando una donna cura particolarmente il suo aspetto esteriore, lo fa
perché vuol piacere agli uomini e quindi trovar marito o … qualcosa
di simile.
Quanno ‘o ricco accarezza ‘o puveriello, è segno ca ‘o vo’ fottere.
Quando qualche potente ti circuisce o ti adula, certamente vorrà un
favore da te.
Quanno cchiù ‘a puorte ‘a ‘lluongo, cchiù se ‘mbroglia ‘a ma-
tassa.
Quanto più una causa va per le lunghe, più le cose si impasticciano.
R
Racchio – agg., che è brutto, sgraziato. In lat. raculum-i = al dial.
Racioppola – s.f., piccolo grappo d’uva. In lat. racepulus = piccolo
grappo.
Rafaniello – s.m., ravanello; in gr. rafanos-ou = ravanello; in lat.
raphanus sativus radicula = varietà di rafano con radici ingrossate,
esternamente rosse, commestibili.
Raffio – s.m., attrezzo di ferro a denti uncinati; da una voce antica
longobarda kraffo = uncino.
Ranauottolo – s.m., rospo, rana dei pantani. Etim. lat. rana-botulae
= rana di fogna o di pantano.
Rapesta – s.f., rapa selvatica; fig. ignorante. Etim. sp. da rapista =
al dial.
Rasca – s.f., muco espettorato. In sp. rascàr, v.intr., = raschiare,
espettorare.
Ràsola – s.f., raschiatoio. Etim. lat. rasilis-e, agg., (dal v. radere), =
raschiato.
Ratiglia – s.f., graticola. In lat. craticula, dimin. di cratis = piccola
grata.
Raù – s.m., sugo dello stufato per condire maccheroni. In fr. ragoût
(pz. ragù), s.m., = sugo di carne.
Réfola – s.f., alito di vento, soffio leggero di vento; etim. da una for-
ma latina refulum derivata dal v. reflare = soffiare all’indietro.
Refonnere – v.tr., rifondere. In lat. refùndere = riversare, rifondere.
Refòsa – s.f., aggiunta da dare in una permuta (dallo stesso verbo
latino refùndere).
Refrescarse – v.rifl., rinfrescarsi, ristorarsi. In sp. refrescàr, v.tr., =
diminuire il calore, ristorarsi mangiando.
Reposare – v.intr., riposare, dormire. In sp. reposàr, v. intr., = al dial.
Rescenziell’ – s.m., meningite. Dal lat. descensus-us = all’it.
Resciatà – v.intr., rifiatare. In lat. reflatare = respirare, riprendere
fiato.
Rezza – s.f., rete (degli uccelli o dei pesci). In lat. rete-is, s.n., = all’it.
106 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Ribbotte – s.m., fucile, schioppo; etim. “ri” è prefisso equivalente a


“due” più “botta” = schioppo.
Ribbusciato – s.m., uomo ozioso. Etim. fr. da debauché (pz. debo-
scé), agg., vizioso, corrotto (in dial. nap. la “d” si è mutata in “r”).
Riella – s.f., regolo dei muratori. In sp. rièl, s.m., = al dial.
Riffa – s.f., lotta, lotteria; etim. sp. rifa = all’it.
Rimmìto (rummìto) – s.m., eremita; agg., solitario. Dal gr. eremos
= solitario.
Riròte – s.m., veicolo a due ruote, barroccio; etim. dal lat. cl. birotus,
e dal lat. tardo birotium = carro a due ruote (da bis più ruote).
Riscignuolo – s.m., usignolo. Dal lat. lusciniola-ae, s.f., = piccolo
usignolo.
Risico – s.m., rischio; in gr. rizikòn-ou, s.n., scoglio, rischio.
Riùno – agg. sost., digiuno. In lat. iejunium-ii = digiuno.
Rognone (o rugnone) – s.m., rene; etim. da una forma lat. di renio-
renionis, variante di renes-um = reni.
Ròta – s.f., ruota; in lat. rota-ae = all’it.
Róte – s.f., dote; in lat. dos-dotis, s.f., = dote.
Ruciulià – v.intr., scivolare, ruzzolare; etim. dal lat. roteolare dedot-
to da rotare = rotolare, ruzzolare.
Runcillo – s.m., ronciglio, ronchetto; etim. dal tardo lat. si registra
runcilio, dal v. roncare = troncare.
Rustina – s.f., rovo. In lat. ruris tinus = arbusto selvatico, quindi
rovo.
Rutto – s.m., eruttazione. In lat. ructus-us, s.m., = al dial.

Curiosità storiche

Racchio/a.
Individuo zozzo, zotico, sciocco, villano, deforme. Il vocabolo de-
riva dall’ebraico racha, diventato in greco rakà col significato di
stupido, abominevole di cui si legge nel vangelo di Matteo (5, 22):
“Chi dirà al suo fratello raca sarà condannato…”.
Lettera “R” 107

Rappa.
Ruga, da rappa deriva arrappà, diventare o apparire rugoso, pieno
di grinze, vizzo, increspato. Per l’etimologia del vocabolo si ritiene
che derivi dal greco rapto = cucire insieme mediante (rughe) pieghe,
suturare, trapuntare (it. rattoppare).
Rattuso.
È lo sterile voglioso tastatore, il lascivo strofinatore, il mogio at-
tentatore di “rotondità” femminili che poco se l’aspettano e meno
lo gradiscono, quello della decadente “manomorta”, colui che vanta
aderenze solo nei luoghi o nei mezzi di trasporto super affollati, (così
De Falco in “Alfabeto napoletano”). Il vocabolo è dal lat. radare,
cioè raschiare, grattare, da cui rasus = rasentato, sfiorato.
Renza.
Il senso primario di renza è quello di inclinazione di cosa non linea-
re. Il vocabolo racchiude più significati, anche in senso metaforico
così: “je ‘e renza, tirata ‘a renza, piglià ‘a renza”. “Ammore vo’ ‘a
renza e l’acqua vo’ ‘a pendenza”. Il vocabolo deriva dal greco reon
= ruscello, corrente che scorre e che fluisce.
Ricchione (recchione).
Con questo termine si indicano solo gli invertiti attivi, (gli altri, i
passivi, sono i femminielli). Il vocabolo ha una sua storia. All’epo-
ca del vicereame accadeva che sbarcassero a Napoli spesso marinai
spagnoli provenienti da terre lontane di conquista. Essi, per esibizio-
nismo, mettevano ai lobi orecchini vistosi e più grossi del normale;
ciò eccitava la fantasia dei napoletani, anche perché quegli orecchini
per il loro peso facevano allungare oltre misura la dimensione delle
orecchie; in considerazione, poi, del fatto che quei naviganti fossero
costretti a dover rinunziare per lunghi periodi ai rapporti con l’altro
sesso, il risultato era che ad essi i napoletani appioppassero l’appel-
lativo di ricchioni (orecchio con l’accrescitivo).
Riggiòla.
Tipica mattonella in cotto, “rosseggiante”, diffusa soprattutto nel
Sud. L’etimologia, secondo alcuni, deriva dall’arabo rajuela, secon-
do altri dallo spagnolo rejnela che indica soltanto una grata di ferro;
più probabile invece è dal latino rubeola, cioè rossiccia in relazione
al suo specifico colore.
Rocchia.
Frotta, branco, stormo. Forse da rotulum (latino tardo) = rotolo; let-
teralmente ciascuno degli elementi cilindrici del fusto di una colonna
108 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

di pietra spesso uniti tra loro da punti metallici. Per estensione pezzi
di qualcosa uniti. Rocchia di salsiccia, rocchia di carne, rocchia di
anguilla, ma anche rocchia di uomini (vedi: figlie ‘e ‘ntrocchia).

Proverbi

R’‘o bbuone nun se po’ dice ‘o male.


Di chi è buono non si può dire male.
R’a’ trista via se piglia ‘a meglia.
Da una cattiva strada si passa ad una migliore. Fig. Tra due mali si
cerca di scegliere il minore.
Rafanié, fatte accattà a chi nun te sape!.
Ormai ti conoscono bene; rivolgiti a chi ancora non sa quali panni
vesti.
Rammece ra’ fa’, che ‘a jurnata è nu muorzo!
Diamoci da fare perché la giornata è un boccone (breve). Fig. È
l’esortazione verso qualcuno a sbrigarsi nel suo lavoro.
Ricere pane pane e vino vino.
Dire pane al pane e vino al vino. Fig. Chiamare le cose col proprio
nome, dire le cose schiettamente.
Ricètte ‘a pàppece: ramme ‘o tiempo ca te spertoso!
Disse il tonchio (insetto che rode i legumi): dammi il tempo che io ti
buco (ti rodo). Fig. Col tempo me la pagherai.
Ricètte ‘o ranauottolo: zompa chi po’!
Disse il rospo: salti chi può. Fig. Chi può fare una cosa la faccia.
Ricètte mastropertuso: oggi s’è cagnato l’uso.
Disse mastropertuso: oggi si è cambiato l’uso. Fig. Oggi certe usan-
za si sono abolite.
Lettera “R” 109

Ricètte San Catiello ‘e Castiellammare: chi se piglia ‘o ddoce


s’ha ddà piglià pure l’amaro.
Disse San Catello di Castellammare: chi prende una cosa dolce, deve
prendere anche quella amara. Fig. Chi accetta un incarico deve anche
assumersene la responsabilità.
Rici sì, ca nun è peccato.
Dici sempre sì, perché non è peccato. Fig. Chi obbedisce non sbaglia
mai perché le responsabilità sono di chi comanda.
Rimme a chi si’ figlio e te rico a chi assumigli.
Dimmi di chi sei figlio e ti dirò a chi assomigli. Fig. È il detto latino
di “Qualis pater, talis filius” = tale padre, tale figlio.
Risélle ‘e femmene, caparro pe’ ommo.
Sorrisetti di donne, promesse per l’uomo.
Rispettà ‘o cane p’ ‘o patrone.
Rispettare il cane per l’amicizia col padrone. Fig. Avere riguardo di
qualcuno a causa dei suoi parenti.
Robba ‘e mangiatorio nun se porta ‘ncuffessorio.
I peccati di gola, data la loro natura, non andrebbero confessati.
Robba trovata, mezza guadagnata.
Perché il solo fatto di averla trovata costituirebbe un titolo di merito.
Rocco fatica e Pizzicato magna.
Rocco lavora e Pizzicato mangia e vive alle sue spalle.
Ropp’ ‘a luna ‘e mèle, vène ‘o ffèle.
Dopo la luna di miele viene il fiele. Fig. Dopo i primi giorni felici del
matrimonio vengono giorni tristi.
Ropp’ ‘e cinquant’ann’, ogni anno è nu malanno.
Dopo i cinquant’anni ogni anno è un malanno.
Ropp’ ‘o male tiempo addà venì o bontiempo.
Dopo il cattivo tempo, deve venire il bel tempo. Fig. Dopo alcune
sofferenze deve venire la gioia.
Rosecà a fune.
Rosicchiare la fune. Fig. Morire.
Róssa malupina va a cavallo ô pulicino.
La rossa di mal pelo cavalcherebbe anche un pulcino (riferito alla
vogliosità della “rossa”).
110 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Róssa, saluta e passa.


Se incontri una donna dai capelli rossi, saluta e passa oltre.
Rutte pe’ rutte.
Rotto per rotto. È il motto di chi non ha più niente da perdere.
S
Sacca – s.f., tasca. Dal gr. sàkkos-ou, s.m., = borsa.
Sanfasòn – avv., a casaccio, alla buona; in fr. sans façon (pz. san
fasòn) lett. = senza ragione, a casaccio.
Sanguetta - s.f., sanguisuga, mignotta. In fr. sanguétte = piccola san-
guisuga.
Sanzàro – s.m., mediatore, sensale. In arabo simsâr, s.m., = all’it.
Sàrcena – s.f., grosso fascio di rami, legnetto da ardere. Etim. dal lat.
sarcina-ae, s.f., = fardello, fascio.
Sarma – s.f., basto; sella delle bestie da soma, ai cui lati si legano
delle ceste. Etim. Dal gr. sagma-atos, s.n., = sella.
Sarrecchia – s.f., falcetto, salciuolo; etim. lat. serricula, dim. di ser-
ra = sega.
Sarviet’ – s.m., tovagliolo; in fr. sarviette (pz. sarviet), s.f., = al
dial.
Sburrià – v.intr., scorazzare, correre di qua e di là; etim. it. volg.
sborrare che ha significato di sgorgare con violenza
Scacatiare – v.intr., schiamazzare (proprio delle galline dopo aver
deposto l’uovo); fig. sbraitare. In sp. cacarear, v.intr., = dare ripetute
grida.
Scafarea – s.f., grande recipiente. Etim. Dal gr. scafo, derivante dal
v. scàpto = scavare, qualcosa di scavato, come catino, bacinella, ti-
nozza; identica è l’etimologia di “scafotare” che indica lo scavare
con insistenza, frugare, “scavotare”.
Scafesso – s.m., uomo alquanto sciocco, ignorante; etim. dal gr. ska-
feos-ou, s.m., = uomo di poco conto.
Scaienza – s.f., sfortuna, disgrazia, miseria, povertà; etim. corri-
sponde all’it. scadenza; da ex cadentia, part. del v. lat. ex-cádere,
accadere, per indicare accadimenti negativi.
Scamazzare – v.tr., calpestare. Dal gr. kamàzo (da kamai, avv., per
terra) = rendere inservibile qualcosa per terra.
Scanaglià – v.tr., cercare di sapere, investigare, sondare; etim. dal v.
it. scandagliare.
112 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Scarda – s.f., scheggia, scaglia (di pietra); squama, scaglia (di pe-
sce); ha valore dispr. se riferito ad un uomo, il contrario se riferito a
donna. Etim. dal germ. skarda = spaccatura.
Scarmare – v.tr., lasciar cadere fiori o frutti bacati. L’etim. è dal lat.
excarminiare, v.tr., = eliminare il superfluo, ciò che non serve.
Scazzella – s.f., cavillo, pretesto; etim. contrazione del sost. scazza-
zella; ma anche dal gr. kakazeìa-as = pretesto.
Scazzimma – s.f., cispa, caccola; etim. dal gr. kakkè = escremento,
presupposto dell’it. cacca o caccula, dal lat. caccita = cispa; ma an-
che dal fr. chassie (pz. sciassì) = cispa. Ancora dal gr. skaòmos-ou,
s.m., = cispa e da qui si è giunti al nap. scazzimma.
Scemanfù – s.m., borioso, vanaglorioso. In fr. je m’en fous (je m’an
fu) = strafottente, menefreghista. Lett. = io me ne fotto.
Scé-scé – locuz. avv., volere l’impossibile, attaccar brighe, cavillare.
Etim. fr. chercher (pz. scerscer) con uguale significato del dial.
Schiattiglia – s.f., sfregio, difetto; etim. sost. dal v. schiattà nel sen-
so di “rodersi di rabbia” ed ha il significato di “azione che fa rodere
di rabbia”.
Schizzo – s.m., piccola parte di qualcosa (es. ramme ‘nu schizzo
‘e pane = dammi un po’ di pane). Etim. dal gr. shiza-es, s.f., =
scheggia.
Sciaccare – v.tr., ferire con pietre. Dal lat. flaccare (alteraz. di flac-
cescere) = indebolire, danneggiare. Nel nostro dialetto il gruppo fl
è diventato sci.
Sciaffer – s.m., autista. Dal fr. chauffeur (pz. scioffer), s.m., = al
dial.
Sciamarr’ – s.m., piccone. In fr. chamarrer (pz. sciamarrer) = far
buchi. In dial. c’è anche “Sciamarrare” = dare colpi di piccone. Altra
etim. è quella derivante da due sostantivi: (a)scia = scure, e marra
= zappa.
Sciammeria - s.f., giacca lunga con coda posteriore, marsina; atto
sessuale, coito, etim. sp. chamberga = al dial.
Sciantosa – s.f., ballerina, donna leggera; in fr. chanteuse (pz. scian-
tés) = donna da teatro.
Sciaraballo – s.m., tipo di calesse dei contadini. In fr. char à bancs
(pz. sciarabanc) = carrozza a quattro ruote con sedili per trasportare
persone. In dial. bancs si è mutato in ballo in quanto le persone che
vanno in calesse, per strade di campagne alquanto dissestate, vengo-
no sballottate da una parte e dall’altra tanto che sembrano ballare.
Lettera “S” 113

Sciarretta – s.f., calesse che serve a trasportare merci. In fr. charret-


te (pz. sciarret) = carretta.
Sciasciàre – v.tr., stare a proprio agio, rilassato, prendersela comodo
(vedi nelle curiosità storiche).
Sciato – s.m., fiato. In lat. flatus-us, s.m., = all’it.
Scic – agg., elegante, bello. In fr. chik (pz. scìch) = al dial.
Sciore – s.m., fiore. Dal lat. flos-oris, s.m., = all’it.
Sciorire – v.intr., fiorire. Dal lat. florère, v.intr., = fiorire.
Scioscià – v.intr., soffiare. In lat. sufflare, v.intr., = all’it.
Sciosciole – s.f. pl., frutta secca mista. In fr. choses-choses (pz. scios-
scios) = cose-cose.
Sciucquaglio – s.m., in arabo shuqq-al, s.m., = amuleto pendente dal
collo o dal polso.
Sciummo – s.m., fiume; in lat. flumen-inis, s.n., = all’it. Il gruppo fl
si è trasformato in nap. in sci.
Sciuscella – s.f., carruba. Nell’arabo antico shushel, s.f.; in arabo
odierno kàrub = carruba.
Scolla – s.f., pezzo di stoffa triangolare usata per avvolgere i capelli
o una ferita. Etim. dal gr. skùllo, v.tr., = strappare, dividere strappan-
do, pezzo di stoffa strappata da un panno.
Scuffia – s.f., cuffia. In sp. escòfia, s.f., = al dial.
Scufiare – v.tr., provare nausea di mangiare o bere nel piatto o bic-
chiere altrui. Nel fr. antico èsckif (pz. èscif), s.f., = nausea, ripugnan-
ze.
Scugnà – v.tr., bacchiare; dal lat. excuneare = togliere qualcosa dal
cuneo.
Scuppètta – s.f., schioppo ad una canna. In sp. escopèta = al dial.
Scurriato – s.m., frusta, sferza di cuoio, correggiato; etim. lat. (vir-
ga) ex corrigiata = correggia.
Scuscinà (cuosciolo) – v.tr., colpire con bastonate alla schiena, di-
lombare, slombare; etim. il v. nel significato “ridurre nelle condizio-
ni di un impagliato di sedio sfondato” (che sarebbe il cuosciolo).
Scutulià – v.tr., scuotere, agitare, picchiare, percuotere; etim. dal lat.
ex cutulare, iterativo di ex-cutere = scuotere.
Scutuliata – s.f., insieme di percosse date con un bastone. Etim. dal
gr. skutalon-ou, s.n., bastone, randello.
Secozzone – in lingua italiana è “sergozzone”, consistente in un pu-
gno portato dal basso verso l’alto al mento e alla gola, cioè al gozzo
in genere e che è l’esatto equivalente dell’ “uppercut”.
114 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Secreté – s.m., armadio per conservare cose di valore. In fr. secre-


taire = al dial.
Secutà – v.tr., cacciare, allontanare, inseguire; etim. dal lat. sequita-
re, forma iterativa del v. sequor = seguire, inseguire.
Secutare – v.tr., cacciar via animali o persone. Dal v. latino sectari
(dep.) = inseguire, correre dietro.
Serognere – v.tr., ungere, fig. aiutare. Etim. dal lat., sero-ungere =
ungere col siero, ingrassare.
Setaccio – s.m., crivello molto stretto, oggetto da cucina. In lat. cri-
brum-i, s.n., e setaceum, agg., = crivello fatto di setole.
Sfacchinata – s.f., lavoro gravoso che indebolisce. L’etim. è dal gr.
sfakiàzō = indebolire.
Sfacèlo – s.m., sciagura, grande rovina. Dal gr. sfakèlos-ou, s.n., do-
lore violento, rovina.
Sfatto – agg., troppo maturo o troppo cotto. Dal gr. sfactòs-e-on,
agg., = abbattuto, inservibile, non buono.
Sfelénzo – s.m., persona agile nell’imbrogliare; in gr. sfèlas-asa-an
(part. aoristo att. del v. sfallo = che ha danneggiato).
Sfizio – s.m., piacere, gusto, divertimento. In lat. vitium-i, s.n., =
vizio, difetto. Il termine in dialetto ha una “s” derivata dal prefisso
“ex” che indica il contrario; inoltre la consonante “v” si è trasformata
in “f”, quindi sfizio = dote non viziosa.
Sguazzariare – v.tr., agitare un liquido, di guazzare. In sp. eguazàr
= al dial.
Sgubbià – v.tr., deformare, storpiare; etim. : incontro di gobba con
sgorbio.
Siluet – s.f., ragazza snella come figurina, dalla linea agile. Deriv.
dal fr. silhouette (pz. siluet) = al nap.
Sincero – agg., puro, sincero. L’etim. è dal lat. sine (senza) cera
(cera) = senza cera, puro, immacolato. “Senza cera” si diceva origi-
nariamente del miele puro, divenuto tale dopo che dal miele grezzo,
sottoposto a trattamenti, era stata tolta ed eliminata quella parte di
cera grassa.
Singhiare – v.tr., tracciare un segno; v.rifl., lesionarsi, fendersi. Dal
lat. signare = notare con segno, segnare. Il verbo è diventato singhia-
re per metatesi (trasposizione) della “n” dopo il si, così come singo
= segno.
Sizia-sizia – voce preceduta dal v. “fare sizia-sizia” = lamentarsi,
affannarsi; etim. dal v. lat. sitio = aver sete.
Lettera “S” 115

Smerzà – v.tr., rovesciare, rivoltare, ribaltare; etim. lat. exversare.


Smurzuniare – v.intr., mormorare, borbottare. In gr. mùzo, v.tr., =
borbottare.
Socra – s.f., suocera. Il lat. socrus-us, s.f., = all’it.
Sofìstecho – s.m., uno che ha sempre da criticare, da ridere. In gr.
sofistikòs-e-on, agg., = pedante, cavilloso (vedi nelle Curiosità sto-
riche).
Solachianiello – s.m., ciabattino, calzolaio; etim. voce composta da
sòla = risuolare e chianiello = ciabatta.
Sopressata – s.f., grosso salame. In lat. caro (carne) superpressata =
molto pressata, insaccata.
Sorece – s.m., topo. In lat. sorex-soricis = topo di campagna.
Sossere – v.tr., alzare; v.rifl., alzarsi. Etim. lat. da sus-esse; sus (avv.)
= in su, in alto, più esse (v. sum) = essere, stare, quindi stare in su,
in piedi.
Spaccastrommole – locuz. avv., a vanvera, a casaccio. Etim. l’espres-
sione si collega al gioco della trottola in cui il perditore deve esporre
la sua trottola ai colpi violenti degli avversari che tirano con lo scopo
di spaccare lo strummolo.
Sparagnare – v.tr., risparmiare; dal gr. sparàssō, v.tr., = togliere via
qualcosa, decurtare.
Spezzuliare – v.tr., mangiare una cosa a pezzetti. (Vedi pizzulià tra
le curiosità della P).
Spiare – v.tr., domandare, indagare. Dal gr. spàō, v.tr., = tirar fuori,
spillare.
Spruceto – agg., aspro di modi, ritroso, scontroso; etim. dal lat. aspru-
go-aspruginis, indicante una cicoria selvatica dalle foglie “ruvide e
aspre” e che ha dato in dial. salent. le voci: spruscene, spruscena.
Spruocco (spruoccolo) – s.m., rametto secco per il fuoco. In lat.
broccus-a-um, agg., lett. = denti sporgenti in fuori; nel dial. la “s”
deriva da “ex” e la “b” si è mutata in “p” e perciò da broccus si è
passati a sprocc… = all’it.
Spulecarielli – s.m.pl., fagioli freschi da sbaccellare. In lat. expo-
liari (v.dep.) = togliere la corteccia. Nel tardo lat. expolicare =
sgranellare.
Sputazzella – s.m., chiacchierone, ciarlatano; dal gr. spondàzo,
v.intr., = affrettarsi nel parlare.
Squarcione – s.m., millantatore, fanfarone; etim. lat. dal v. quartula-
re = spaccare in quarti, squartare.
116 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Stàntero (stantalo) – s.m., stipite; etim. agg. lat. stantarius = sopra-


stante, imminente.
Stèlla – s.f., pezzo di legna da ardere. Etim dal gr. stéleos-ous, s.m.,
= tronco da ardere.
Stoiare – v.tr., pulire, asciugare con panno. Il verbo deriva dal lat.
storea-ae, s.f., stuoia, panno, straccio.
Strepetiare – v.intr., contorcersi nelle membra. Etim. dal gr. strefe-
dinèo, v.intr., = avere il capogiro.
Strèvezo (streuzo) – agg. e avv., fuori del comune, dell’ordinario. Il
termine è dal lat. extra usum = fuori dall’uso.
Stroffola – s.f., filastrocca, baggianata, sciocchezza; etim. lat. stropha
(gr. strophè) equivalente a parole furbesche, pretesti.
Struffolo – s.m., dolcetto natalizio a forma di nocciola. Etim. dal gr.
stroggulos-e-on, agg., = rotondo sferico.
Strummolo – s.m., trottola. In gr. strombolos-ou (dimin. di strom-
bos) = piccola trottola.
Sturcio – s.m., sfregio, difetto nella forma, sconcio; etim. dal v. stur-
cià = sfregiare, sfigurare, far boccacce, storcere il muso, dal v. it.
storcere e dal lat. torquēre = all’it.
Stutare – v.tr., spegnere, uccidere. Dal lat. tutari, v.dep., = rendere
sicuro, difendere. Nel dial. la “s” (prefisso di ex) dà il senso opposto
al verbo. Quindi stutare = offendere, distruggere.
Suffunnare (zeffonnare) – v.intr., affondare nell’acqua, sprofondare.
Etim. dal lat. suffundere = bagnare. Nel dial. la “d” è stata assimilata
dalla “n”.
Suglia – s.f., lesina; in lat. sugula-ae = all’it.
Suppigno – s.m., copertura di un tetto con tegole disposte a pendio.
L’etim. è dal lat. tectum supinum = tetto in pendio, inclinato. In dial.
l’agg. è divenuto sost. e la “n” ha preso il suono di “gni” come nello
spagnolo la “ň” si legge “gni”.
Surziare – v.tr., sorseggiare. Nel tardo lat. suctiare (deriv. da succus,
s.m., = succo) = bere un succo.
Sùvero – s.m., sughero. In lat. suber-eris, s.n., sughero. Nel dial. la
“b” è stata mutata in “v”.

E
Lettera “S” 117

Curiosità storiche

Samenta.
Dare a qualcuno del “samenta” o “semente” significa definirlo fa-
rabutto, maligno, cattivo soggetto. Il termine nasce come sostantivo
che in seguito è diventato aggettivo. Samenta era una condotta di
fognatura, un raccoglitore di acque reflue, putride, in seguito con sa-
menta si indicherà proprio la latrina di fogna, e con questo vocabolo
nasce un’espressione di F. Russo in “Dinto o sebbeto”: “Che facive?
Sta zoccola e samenta!”. L’etimologia, molto probabilmente, deriva
dal lat. samium o samius (da cui samentum) con cui si indicavano tut-
ti i contenitori di terracotta, così denominati perché prodotti a Samo.
Nell’antichità anche le tubazioni di scarico erano di creta, così come
i contenitori di liquido. La fantasia dei napoletani ha fatto poi assu-
mere al vocabolo un significato del tutto dispregiativo per l’uomo.
Sbarià.
Il significato antico è quello di smaniare, farneticare, vaneggiare, di-
strarsi. L’etimologia è greca, dal verbo bareo con la giunta di una “s”
iniziale rafforzativa = essere oppresso, avere degli assilli, proprio di
chi sbaréa.
Sbrunzulià (sbrenzulià).
Strapazzare, scuotere, sbatacchiare, malmenare qualcuno. Circa la sua
etimologia col tempo si è fatta accettare quella del Galiani “ridurre in
vrenzole” anche perché l’antica scrittura del verbo era “sbrenzuliare”.
Per quanto riguarda le vrenzole si rimanda alla lettera “V”.
Scaienza.
È il sinonimo più appropriato della malasorte, della sfortuna, della
disgrazia, della disdetta. Il termine, anche se ora è in declino, è stato
molto usato negli autori del passato. L’etimologia deriva dal greco
skaios = sinistro (contrario di destro). Nell’antichità tutto ciò che si
trova a sinistra ha avuto il significato di irregolare, di abnorme, di
dannoso e di cattivo. (Es. Un sinistro in campo assicurativo; sinistro
aspetto di qualche persona; a qualche tiro “mancino”!).
Scamonéa.
Voce dispregiativa, indica un ammasso di rimasugli o di scarti. Per
estensione si riferisce anche a persone; accozzaglia di persone di
118 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

bassa levatura, di povera marmaglia, insieme di povera gente. L’eti-


mologia è greca da skammónia, una pianta dal cui tronco, una volta
praticata l’incisione, usciva una sorta di gommoresina. Però l’albero
inaridiva quasi all’istante, divenendo un avanzo, un relitto, un insie-
me di cortecce e fogliame inservibile, un’accozzaglia di cose inutili.
Da qui l’accostamento alle persone di tale fatta.
Scarfà.
Riscaldare. Vocabolo di uso comune da cui si ricava “scarfaturo”,
“scarfalietto”. L’etimologia di scarfà discende dal latino calefacere
= riscaldare e risulta vicino al verbo greco karfo = disseccare e pro-
sciugare con una sorgente di vapore.
Scetà.
Equivale a svegliare, destare, aprire gli occhi, cessare di dormire. Il
termine si trova molte volte anche nelle canzoni classiche napole-
tane (Scétate Carulì di Di Giacomo; Si sta voce te sceta int’ ‘a nut-
tata di Nicolardi e De Curtis). Scetato è l’individuo pronto, vigile,
scattante, attento; scetata è la ragazza intraprendente, decisa, che
sa ciò che vuole. L’etimologia è dal latino excitare somno = destare
dal sonno.
Scisto.
Petrolio un tempo usato in casa per tenere acceso un lume tramite
una calzetta imbevuta di scisto. Tuttavia esso non riusciva troppo
gradito perché bruciando emanava un fumo che faceva bruciare gli
occhi e insozzava l’ambiente perché era poco raffinato. Il vocabolo
etimologicamente deriva dal greco skistos (dal v. skizo = dividere) ed
indica la caratteristica di alcune rocce dette “scistose” da cui si rica-
va il petrolio greggio. Ironicamente il vocabolo è usato anche nel si-
gnificato di vino, come: “te piace ‘o scisto!”. Oppure riferito al caffè
non gradito (o male riuscito): “a chi ‘o daje ‘sta tazza ‘e scisto?”.
Sconocchià (scunucchià).
Letteralmente significa cadere per un improvviso cedimento delle
ginocchia, battere a terra per mancamento delle ginocchia. Nel lin-
guaggio corrente scunucchià significa venir meno, sentirsi mancare
le gambe, perdere le forze, avvertire un malessere. Lo sconocchia-
mento avviene anche per una forte emozione, per una improvvisa
gioia. L’etimologia del vocabolo è composta dal greco gonu = ginoc-
chio, e kampto = mi piego, preceduto da una “s” primitiva”.
Lettera “S” 119

Scugnà (scugnizzo).
Vocabolo tutto napoletano dai vari significati (anche se analoghi).
Si scugnano le noci, (abbacchiare le noci), si scugna il granone, si
scugna il grano con la trebbia, si scugnano le pigne sgranandole, e
le castagne sbucciandole. L’etimologia è latina dal verbo excuneare,
nel senso di eliminare, togliere, cacciar via dal suo posto. (A Napoli
si usa il vocabolo anche nell’estrarre i denti). Anche il vocabolo scu-
gnizzo dovrebbe derivare dallo stesso verbo latino nel suo part. pass.
excuneatus = ragazzo malmenato, cacciato, abbandonato.
Senga (singo).
Nome del tutto napoletano che equivale a crepa, lesione, graffio,
spaccatura, fessura. Nella senga è insita la verticalità dello spacco,
mentre il singo indica il senso orizzontale. L’etimologia della senga
e del singo deriva dal latino signum, a sua volta dal greco sema, cioè
segno, impronta, con lo scambio (metatesi) di “gn” in “ng” (es. ógna
– unghia).
Sereticcio.
Riferito al pane e ai cibi a base di farina, raffermo, duro, stantio,
perciò meno commestibili. La sua etimologia è quella dal latino se-
reticius, da serus = tardivo, ritirato, vecchio. Il termine per estensio-
ne significa anche duro di carattere, persona spigolosa, autoritaria;
l’ommo sereticcio appare poco malleabile.
Sguiglià.
Germogliare, sbocciare, fiorire delle piante. Sguiglio è il germoglio
della cipolla, della patata… . L’etimologia del vocabolo è incerta;
alcuni lo fanno derivare dal francese – guiller – foneticamente vici-
no al nostro termine, ma dal significato di ingannare o burlare che
non gli si addice; da altri dal latino exvigilare, nel senso di destarsi
dal torpore; altri ancora (R. De Falco) pensa al verbo latino gigno
= generare, riprodurre, mutatosi in guigno e poi in guiglio (con la
variazione della “n” in “l”).
Smerzà.
Il senso letterale è quello di rivoltare, rovesciare, ribaltare; si smer-
zano anche le maniche di camicia, le lenzuola. Diffuse sono anche
le cose fatte o subìte di ‘smerza: “farse ‘a croce cu’ ‘a mana smerza
(sinistra)”. L’etimologia è latina, dal verbo ex vertere, rovesciare,
volgere al contrario con la “v” che si muta in “m”.
120 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Sofisteco – sofesteca.
Il termine sofisteco deriva dal greco sophistès (= sapiente) ed è sino-
nimo di sophòs (= saggio). Anticamente alludeva ad un uomo esperto,
dotato di una vasta cultura generale. Con questo nome si indicavano
ad esempio i Sette Savi. Invece nel V sec. si chiamavano Sofisti que-
gli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano
dietro compenso; fatto, quest’ultimo, che per gli aristocratici appariva
“scandaloso”. Infatti Senofonte bollò i Sofisti come “prostituti della
cultura”. Ma furono soprattutto Platone e Aristotele a “demonizza-
re” culturalmente i Sofisti. Essi infatti li giudicarono falsi sapienti,
“negozianti di merce spirituale”, interessati al successo e ai soldi più
che alla verità. Attraverso i secoli i Sofisti vennero “marchiati” come
pseudofilosofi, “cavillatori in mala fede, maestri di ragionamenti cap-
ziosi”. Oggigiorno l’aggettivo sofistico equivale spesso a “falso, truc-
cato”, tanto è vero che si parla persino di cibi sofisticati!.
Spantecà (spànteco).
Verbo e sostantivo dal significato di spasimare, struggersi e soffrire
non solo per un malanno o una infermità, ma anche e soprattutto per
un male spirituale, per un forte desiderio di amore non appagato. “Oi
né, fa priesto, viene… nun me fa spantecà” si dice in “O marenariello”
di Ottaviano e Gambardella. Tanti altri sono gli spunti nelle canzoni
napoletane. L’etimologia, secondo alcuni, deriva dal greco pan (tutto)
e teco (mi struggo); secondo altri dal verbo greco spao nel senso di
essere tormentato, patire di convulsioni da cui anche spasmo.
Spaparanzà.
Non sta solo a significare il puro e semplice aprire, spalancare con
veemenza. Si spaparanzano porte e finestre quando non ce la si fa
più a stare al chiuso. Il verbo è di derivazione greca: spao, cioè svel-
lere e parastas ossia stipiti o cardini, quindi spalancare scardinando.
“Il dire spaparanza ‘sta porta significa aprirla subito e tutta”.
Sperì (spirì).
Desiderare ardentemente, bramare, anelare intensamente. L’etimo-
logia del verbo risale al latino exsperire nel senso di morire dalla
voglia di qualcosa, fare l’acquolina in bocca.
Spruoccolo.
Sinonimo napoletano di legnetto aguzzo, stecco nodoso, rametto sec-
co, fuscello, bastoncino. Modi di dire sul vocabolo: “addò arrivamm’
Lettera “S” 121

mettimmo ‘o spruoccolo”; “mettere ‘o spruoccolo ā córa”, pungola-


re o stuzzicare muli o cavalli per farli camminare più speditamente.
L’etimologia è da ricercarsi in lingua tedesca collegandosi al longo-
bardo spron diventato in tedesco sprok nel significato di ramo, da cui
spruoccolo = piccolo ramo.
Statella.
S.f., stadera, voce dotta dal latino tardo statère (m.) e dal greco stater
= peso, moneta. Nella Grecia antica era formata da ognuno di due
pesi che si ponevano su due piatti della bilancia per stabilirne l’equi-
librio. Questo oggetto è formato da un lungo braccio graduato con
dei ganci che servono a sostenere oggetti da pesare e dal “romano”
(in arabo rummana = stadera); in origine “melagrana” per forma del
peso. Esso è il contrappeso che si fa scorrere lungo il braccio.
Stricchimacchio.
Sta per bevanda in genere, però gustosa, piacevole, saporita. L’eti-
mologia del vocabolo è dal latino stomaticus ed enstomaticus pro-
prio nel senso di gradevole ed utile allo stomaco.
Sturcio.
È in genere la persona o cosa contraffatta, deforme, male in arnese.
“Chillo è proprio nu sturcio”. Per estensione la parola indica anche
un lavoro mal fatto, l’opera non bene riuscita, piena di difetti, ed
altresì la smorfia, la boccaccia fatta a qualcuno. L’etimologia è dal
verbo latino extorquēre = storcere, deformare.
Susamielli.
Dolci fatti di pasta di mandorle e miele a cui si soleva aggiungere dei
grani e semi di sesamo, da cui susamielli o sesamielli.

E
122 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Proverbi

S’appìccecano ‘e vajasse e se sbrogliano ‘e matasse.


Quando le serve litigano si disfano le matasse (vengono fuori le ma-
gagne).
S’è cagnata l’èbbreca.
Si è cambiata l’epoca. Fig. Oggi non si agisce più come una volta.
S’è vottata ‘a zappa ‘ncoppa ‘e pière.
Si è tirata la zappa sui suoi piedi. Fig. Si è rovinato da se stesso.
Salumone dette tanta cunziglie e po’ purtaje ‘a mugliera ‘ncuol-
lo.
Salomone dette agli altri tanti consigli, ma finì col portarsi la moglie
sulle spalle (per poca fiducia).
Salutame ‘a fibbia! – dicette ‘on Fabio.
Si dice quando una cosa è perduta ed occorre rassegnarsi, oppure
come espressione di noncuranza o di indifferenza per una buona o
cattiva notizia.
San Pascale Baylonne, protettore delle donne, mannamillo nu
marito bello, tuosto e sapurito!
San Pasquale Baylon, protettore delle donne, mandami un marito
bello, tosto e gustoso.
San Vincenzo provved’ a mannà nu terno ‘o mese e nu marito
all’anno.
San Vincenzo provvedi a far vincere un terno al mese e a trovare un
marito all’anno.
Santa Barbara e San Simone, facìte passà sti lampe e truone.
Santa Barbara e San Simone, fate cessare lampi e tuoni.
Santa Bibbiana: nu’ mese, nu’ juorno e na’ semmana.
A Santa Bibbiana (2 dicembre) se piove pioverà un mese, un giorno
e una settimana.
Santa Chiara, roppa arrubbata, se facette ‘e pporte ‘e fierro.
Santa Chiara, dopo che fu derubata, fece al monastero le porte di fer-
ro. Fig. Spesso capita che i rimedi si portano quando ormai è troppo
tardi.
Lettera “S” 123

Sante ‘ncielo e carte ‘nterra.


Si diceva un tempo nell’atto di bruciare delle immaginette sacre (‘e
fiurelle).
Santo Luca se ‘nc’è spassato.
Si dice di una donna molto bella tanto da sembrare dipinta da San
Luca, protettore dei pittori.
Sapé ‘o correre e ‘o fuì.
Sapere il correre e il fuggire. Fig. Avere ogni tipo di esperienze, sia
positiva che negativa.
Scarpa larga e mugliera brutta fanno bbona riuscita.
Scarpa larga e moglie brutta fanno buona riuscita. La prima perché
non fa male e la seconda sia perché farà di tutto per tenersi caro il
marito ma anche perché questi potrà vivere serenamente senza esse-
re roso dalla gelosia.
Scegliere ‘a mènnola ‘a int’o cunfietto.
Prendere la mandorla da dentro il confetto. Fig. Tra molte cose
scegliere la migliore senza tenere in nessun conto del diritto al-
trui.
Scetà i can’ che dormono.
Svegliare i cani che dormono. Fig. Istigare qualcuno che può far del
male.
Sciglie, sciglie e po’ ‘o peggio te piglie.
Scegli, scegli e finirai col prendere il peggior marito.
Sciorta e cauce ‘nculo, viato a chi n’ave!
È senz’altro felice chi ha la buona sorte e qualche spintarella dietro.
Scucina che nun è Pasch’.
Smetti di cucinare perché non è Pasqua. Fig. Smetti di preparare per-
ché è stata rinviata o annullata la festa. (Secondo alcuni l’espressione
è di origine ebraica: gli Ebrei festeggiavano la Pasqua nel sabato
dopo il plenilunio di marzo.
Una volta il sommo sacerdote sbagliò il calcolo delle fasi lunari e,
accortesene quando il popolo faceva già i preparativi per la Pasqua ,
ordinò di sospendere la festa.
Se mangia pe’ campà, nun se campa pe’ mangià.
Il mangiare dovrebbe essere solo un mezzo per vivere e non il fine
della vita.
124 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Se pigliano cchiù mosche cu’ na’ goccia ‘e mèle ca cu’ ‘na votta
acit’.
Si riesce ad ottenere di più se le persone vengono trattate con genti-
lezza e cortesia che con durezza e cattivi modi.
Se sape comm’ se nasce ma nun se sape comm’ se more.
Il destino degli uomini dipende esclusivamente da Dio; a noi mortali
non è dato conoscerlo.
Senza renare nun se cantano mésse.
Senza denari non si cantano messe. Fig. Non si può far niente se non
ci sono i soldi.
Sfurtunato è chi se ‘nzora: ‘na notte ‘e contento e mille jurnate
‘e turmiento.
Sfortunato è colui che si sposa: passerà una notte di gioia, ma mille
giorni di tormenti.
Si ‘e corne tenessero ‘e ffronne, chillo camminasse ‘nfrascato.
Se le corna avessero delle foglie, le teste dei cornuti sarebbero tutte
ricoperte da frasche invece che di capelli.
Si ‘e ghiastemme cogliessero, scuppettate nun ce ne stessero.
Se le imprecazioni colpissero, schioppettate non ce ne sarebbero.
Si ‘e vase facessero pertose, ‘e ffacce d’ ‘e guaglione sarriano
grattacase.
Se i baci producessero buchi, le facce delle ragazze sarebbero grat-
tugie.
Si ‘o dicessa ‘a mora (moda), ‘e femmene jessero cu’ ‘o culo ‘a
fora.
Se la moda lo imponesse, le donne andrebbero col sedere sco-
perto.
Si ‘o priesteto fosse bbuono, se prestasser’ ‘e mugliere.
Se fare un prestito fosse una cosa buona, si presterebbero le mogli.
Si brutta e vecchia la mugliera piglia, magne cu’ gusto e duorme
cu’ schiattiglia.
Se prendi una moglie brutta e anziana, potrai mangiare con gusto ma
dormirai con la rabbia in cuore.
S’è fritto ‘o ffecato!
Ormai il guaio è fatto.
Lettera “S” 125

Si l’auciell’ conoscesser’ ‘o ‘ggrano, ‘a Puglia nun ce ne stesse


cchiù.
Se gli uccelli conoscessero il grano, in Puglia non ce ne sarebbe più.
Fig. Se i ladri conoscessero bene le ricchezze altrui, i ricchi divente-
rebbero poveri.
Si nun sure e nun travaglie nun può stennere ‘a tuvaglia.
Chi non lavora e non suda non mangia.
Si nun te vuò fa scanaglià r’o vicino, cúccat’ ampressa e aizete
matina!
Se non ti vuoi far scandagliare (scorgere) dal vicino, coricati presto
e alzati di buon mattino!
Si pezzènne tu vuò ‘je, miette ‘ll’opere e nun ce ‘je.
Se vuoi ridurti in povertà, manda gli operai in campagna e stattene a
casa. Fig. La sorveglianza in un lavoro è necessaria.
Si ti vuò fa nemici, prieste ‘e renare!
Se ti vuoi fare dei nemici, impresta il danaro! Fig. È un ammonimen-
to a non imprestare mai dei soldi.
Si uno non more, n’ato non gode.
Equivale al detto latino “Mors tua vita mea”. La tua morte è la mia vita.
Socra cecata, nocra abbenturata.
Suocera che non vede, nuora fortunata.
Sole ‘e lastre e viento ‘e fessura, portano l’ommo a’ sepoltura.
Il sole preso attraverso i vetri della finestra e gli spifferi di vento che
passano attraverso le fessure sono molto pericolosi per la salute.
Spaccà l’uovo co’ pigliuocco.
Dividere l’uovo in due parti perfettamente uguali con un bastone.
Fig. si dice di una persona tanto avara da essere tirata anche nelle
piccolissime cose.
Sposa ‘nfosa, sposa uriosa.
Sposa bagnata, sposa con buoni auspici (fortunata).
Spósate a chi saje, ca si nun t’arricchisce allimmeno campar-
raje.
Sposa chi ben conosci: se non ti arricchisce almeno camperai sere-
namente.
Spusarizie e vescuvate so d’ ‘o cielo destinate.
Matrimoni e cattedre vescovili sono predestinati dal Cielo.
126 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Stà ‘ncoppa ‘o taglio ‘e curtiello.


Star sulla lama del coltello. Fig. Stare sul punto di rovinarsi.
Stà ‘nguaiato comme ‘a fèra ‘e Salierno.
Sta rovinato come la fiera di Salerno. Fig. Essere in pietose condi-
zioni economiche. (L’espressione deriva dal fatto che nella fiera di
Salerno, che ha luogo tutti i venerdì di Quaresima, per cui è detta “
‘a fèra r’ ‘o Crocifisso”, ci sono molti rivenditori di articoli uguali,
per cui nessuno di essi guadagna il necessario.
Sta comm’a mmiercurì ‘mmieze ‘a semmana.
Sta come mercoledì al centro della settimana. Fig. Intromettersi in
ogni faccenda.
Sta cu’ n’uocchio ca nun vére ‘a n’ato.
Stare con un occhio che non vede l’altro. Fig. trovarsi in situazioni
economiche disperate.
Sta’ sott’a péttula d’ ‘a mugliera.
Vivere sotto la gonnella della moglie.
Stamm’ rint’ ‘o vèntre r’a vacca.
Stiamo nel ventre della mucca. Fig. Abitare in luoghi tranquilli e
sicuri.
Stipa ca truove.
Conserva tutto e al momento giusto troverai ciò che ti serve.
Stìpate ‘o milo pe’ quann’ te vène ‘a sete!
Conservati la mela per quando ti verrà sete. Fig. Vèndicati per quan-
do avrai l’occasione.
Storta và, adderitta vène; sempe storta nun po’ gghì.
Una cosa va storta e una viene diritta; non può andare sempre storta.
Fig. Non tutti i mali vengono per nuocere.
Sturéa ‘a notte po’ juorno.
Studia la notte per il giorno. Fig. Essere tanto furbi da progettare la
notte ciò che si dovrà fare di giorno.
Sulo ‘e fesse se pigliano ‘a mugliera ‘ncuntante e a rota ‘ncre-
denza.
Solo gli sciocchi prendono la moglie in contanti e la dote a credito.
Suspira Cesare pecché ha visto ‘e cosce d’ ‘a signora.
Cesare emette sospiri perché ha visto le gambe della signora.
T
Tabacchèra – s.f., tabacchiera. In sp. tabaquéra = al dial.
Tacca – s.f., falda di legno, scheggia di legno. In arabo tahak, s.f.,
scheggia di legno.
Tacchiare – v.intr., camminare svelto, veloce. In gr. takus-eia-ù,
agg., = andare svelto, veloce.
Taffettà – s.f., specie di tessuto di seta. In fr. taffetas (pz. taff-tà), tes-
suto che fu importato in Francia da una città persiana detta Taftan.
Tagliola – s.f., trappola; in lat. taleola-ae, s.f., piccola trappola.
Tamarro – s.m., uomo buono a nulla, zotico. In arabo tamàr, s.f., pal-
ma selvatica che non dà datteri. In dialetto è usato in modo figurato.
Tarall’ – s.m., ciambella senza ingredienti dolci, confezionata con
farina a mo’ di ciambella.
Tardío – agg., tardivo. In sp. tardio-ia = al dial.
Tariff’ – s.f., prezzo fisso imposto ad un oggetto. In arabo te-harit
= al dial.
Tata – s.m., padre. Anticamente tata era la prima parola balbettata
da neonati per chiamare il padre. Anche oggi i piccini, nel loro primo
sviluppo del linguaggio ripetono l’espressione: ta-ta…
Tatillo – s.m., babuccio, papà; etim. diminut. di tata “nonno”.
Taúto – s.m., cassa da morto. In arabo tabút, s.m., cassa in generale.
Lo spagnolo avrebbe ricavato il nome dall’arabo tabút = arca. La
voce è documentata in Sicilia dal 1348.
Tazza – s.f., piccola coppa di vetro, di porcellana, per sorbire il caffè
o altro. In arabo tasàh = coppa di vetro.
Tèccate, teccatillo, teccatella – interiezione, eccoti, eccotelo/la;
etim. da “ecco” incontratosi con “te”.
Tegnere, v.tr., tingere. In sp. teñir (pz. tegnir) = al dial.
Tenemiento – s.m., territorio di pertinenza di un comune; territorio
in generale; etim. lat. medioevale tenimentum = proprietà, possedi-
mento, dal v. tenēre = possedere.
Tennecchia – s.f., tralcio di vite, palmite, sarmento; etim. lat. tendi-
culae-arum (dal v. tèndere) che indicava la corda tesa, il laccio.
128 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Tetella – s.f., gallinella, pollastrina; per estens. fanciullo, ragazzina;


etim. vezzeggiativo ricavato dalla voce di richiamo tè… tè…
Tiano – s.m., tegame, dal gr. téganon-ou = all’it.
Tièlla – s.f., padella di rame. In lat. tegella-ae = padella in generale.
Tiempo – s.m., tempo. In sp., tiempo = al dial.
Tiésto – s.m., coperchio della pentola o di un recipiente. In sp. tiésto
= al dial.
Tirabusciò – s.m., cavatappi. In fr. tire-bouchon (pz. tir-busciòn) =
al dial.
Tiraffarò – s.m., imbroglione, lestofante. In fr. tire-affaire (pz. tir-
affér), s.m., trae impicci, cava faccende.
Tiraggio – s.m., camino, canna fumaria. In fr. tirage (pz. tiràje) = al
dial.
Tirocciola – s.f., carrucola; etim. lat. troclelea, dal gr. trochiléa; va-
rianti irp. trocciola, tarozzola, e calabr. troccula.
Toletta – s.f., tavolo su cui si monta uno specchio, insieme di azioni
per aggiustarsi allo specchio. In fr. toilette (pz. tualèt) = al dial.
Tòmo – agg. e avv., mogio mogio, mezzo addormentato. In gr. tò-
mos-ou, s.m., pezzo di tronco. Fig. Uomo inebetito.
Tótaro – s.m., uomo grasso e stupido. In gr. dal v. totházo = de-
ridere.
Trafecare – v.tr., distribuire il vino di un recipiente o di un barile in
fiaschi, bottiglie e simili. In sp. trafagar = travasare. Fig. Darsi da
fare nascostamente per conseguire uno scopo.
Traìno – s.m., carro trainato da un cavallo per trasportare merci. In
fr. train (pz. trèn), s.m., carro agricolo, oggi anche treno.
Trammiarse – v.intr., incurvarsi, (dicesi del legno messo in opera).
Fig. Camminare dondolandosi, in lat. transversum, avv., = di traver-
so, dal verbo trasmeare, uscir fuori dal proprio posto..
Trappàno – s.m., uomo goffo, tozzo. In fr. trapu (pz. trapù), s.m.,
rozzo, tozzo.
Trappito – s.m., frantoio, torchio per le ulive, oleificio. Etim. lat.
trapetum in prestito dal gr. trapēton = macchina per pigiare l’uva.
Trasíte – 2ª per. pl. Ind. pres. o Imperat. pres., entrate, dal v. lat.
trans-ire = all’it.
Travagliare – v.intr., lavorare. In fr. travailler (pz. travaiér) = al
dial.
Trébbete – s.m., treppiede, treppiedi; etim. sonorizzazione delle la-
biali sorde.
Lettera “T” 129

Treccalle – s.m., antica moneta napoleonica equivalente alla metà di


un tornese; etim. la voce significa letteralmente “tre cavalli”, cavalli
diviene “calli” per sincope; il cavallo era l’infima moneta napoleoni-
ca detta così perché originariamente recava l’impronta di un cavallo.
La frase “treccalle e ‘mmescaménce” è frase con la quale si indicava
il ficchino, colui che per poco e senza meriti (traccalle è la moneta di
modestissimo valore) pretende di intromettersi in faccende che non
lo riguardano.
Trezziare – v.tr., intrecciare, incrociare le carte da gioco prima di
iniziare il gioco. Nel tardo lat. tertiare = torcere, intrecciare.
Tricàre – v.intr., tardare, indugiare. In lat. tricari = all’it.
Trobéa – s.f., acquazzone di maggio. In fr. troubler (pz. trublér),
v.intr., intorbidarsi; ma anche temporale. Etim. Dal gr. tropeia =
procella, tempesta; attraverso un lat. reg. tropaeia che indicava un
vento.
Truculiare – v.tr., scuotere leggermente un oggetto. In gr. trúkō =
scuotere.
Truvolo – agg., intorbidito, torbido. In fr. trouble (pz. trubl) = al
dial.
Tumpagno – s.m., fondo della botte o di altro recipiente di legno. In
gr. túmpanon-ou, s.n., copertura di un tamburo.
Tumpetiare – v.intr., percuotere. Dal gr. tupto, v.tr., = picchiare.
Tumpetiata – dallo stesso verbo (tupto) = insieme di percosse.
Tuocco – s.m., modo di scegliere a chi tocchi fare una determinata
cosa o spetti un premio o altro, tocco; trombosi, colpo apoplettico;
etim. all’idea di trombosi si arriva dal significato di “colpito” che ha
il verbo “toccare” nel part. pass. lat. ictus = colpo (apoplettico).
Tuppittù, voce onomatopeica per dire picchiare alla porta, (tupto).
Tuppo – s.m., acconciatura di capelli femminili tirati dietro la testa e
arrotolati. In fr. toupet (pz. tupé) s.m., = al dial.
Turduméo – s.m., babbeo, sciocco. In lat. turdus-i, s.m., tardo e
meus-a-um, agg. poss., mio, quindi: babbeo mio.
Turzo, s.m., torsolo; fig. uomo sciocco. In gr. thursos-ou = all’it.
Tutamaglio – s.m., una specie di euforbia, piccola pianta medi-
camentosa che emana dagli steli gocce di liquido lattiginoso, me-
dicamentoso; etim. lat. reg. tithumallium, dal gr. tuthymallos un
nome che richiama “il latte” della “mammella” della “nutrice” nel-
la prima parte. In gr. titthēia = allattamento, titthē = balia, titthos =
mammella.
130 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Taccarià.
Sparlare, sforbiciare, fare maldicenza, trinciare, ridurre in pezzi, fare
a tacche (it. intaccare). La tacca in effetti è un’incisione che lascia
una traccia; taccariello era un legnetto che serviva per piccoli usi do-
mestici. L’etimologia si collega all’antico germanico taikka = segno,
e chi taccaréa il segno lo lascia (anche se solo moralmente).
Taluorno.
Riferito alle cose è quello di un guaio già passato, una contrarietà
subita, una molestia, un assillo, una seccatura; riferito alle persone,
individuo noioso, piccolo, scontento e insoddisfatto. Il termine è an-
tico e usato molto negli scritti dei classici napoletani. La discendenza
è greca da talan, con i suoi derivati da talaina, talanizo.
Titò.
L’appellativo era riservato, nella prima metà dell’Ottocento, ai sol-
dati svizzeri di stanza a Napoli e deriva dall’abituale interiezione con
cui quei militari (provenienti dalla Svizzera Francese) nel chiedere
informazione al comune passante dicevano : “Dis-donc”, cioè “dim-
mi, spiegami”. Il suono era ignoto ai semplici uomini della strada, ai
quali risuonava come: Ti-tò.
Trappàno.
È lo zotico per eccellenza, lo scostumato, l’incivile, colui che non sa com-
portarsi, che ignora le norme di buona creanza. Incerta è l’etimologia del
nome. Alcuni pensano derivi dallo spagnolo trapajoso = cencioso, mi-
serabile; altri dal francese trapu = sgraziato, goffo, nano; altri ancora lo
fanno discendere dalla parola trappola (da trappa = laccio) come di chi si
lascia ingannare e facilmente accalappiare, cadendo perciò in trappola.
Tricà.
Tardare in genere, ma anche indugiare, attardarsi, trattenersi, tempo-
reggiare. La causa del tricàre è di norma costituita da un imprevisto
impedimento, da un ostacolo inaspettato. Si trica non per propria
volontà, ma per un quid che fa perdere tempo. L’etimologia del ver-
bo si può ricavare dal latino tricae (da cui il verbo tricare) che indi-
ca: fastidi, contrarietà, pastoie, difficoltà, ossia intrighi. Nella parlata
quotidiana spesso si usa l’espressione: “trica e vène pesante”.
Lettera “T” 131

Trupéa (trobbéa).
Intensi e improvvisi acquazzoni che normalmente si verificano nei
mesi di maggio (trupéia d’ ‘e cerase, d’ ‘e cresommole, che capita
durante la raccolta delle ciliegie e delle albicocche) ma anche duran-
te il mese di settembre. L’origine del termine è greco (dal verbo trepo
= volgere) che dà l’idea dell’improvviso volgere del vento che si alza
impetuoso e improvviso che prende una precipitazione violenta.
Turceturo.
Un tempo aggeggio atto a torcere la lana o la seta, ma anche per strin-
gere le funi attorno alle some torcendole fra loro. L’etimologia è dal
verbo latino torqueo = attorcigliare, piegare girando, riavvolgere.

Proverbi

Taglieme mane e piere e vottame ‘mieze ‘e miei!


Tagliami mani e piedi e gettami in mezzo ai miei! Fig. i parenti,
anche se in contrasto con noi, saranno sempre dalla nostra parte se
qualcuno ci offende.
Tant’è ‘na caruta, quant’è ‘na ‘nciampata.
Una caduta è uguale a un’inciampata. Fig. In un lavoro non si deve
badare alla spesa, purché venga fatta bene.
Tanta vote va ‘a femmena a ‘e feste ch’addeventa disonesta.
Tante volte la donna va alle feste che diventa disonesta.
Tante vote va ‘a lancella int’ ‘o puzzo ca ‘nce resta a maneca.
Tante volte va il secchio nel pozzo finché non ci rimane il ma-
nico. (Il proverbio è simile a quello italiano: Tanto va la gatta al
lardo…).
Te facesse cchiù nu vestito ca ‘na mangiata.
Ti farei più un vestito che un pranzo (dicesi ad un mangione).
132 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Te mina ‘nnanzi pe’ nun te truvà a rèta.


Ti spingi avanti per non trovarti indietro. Fig. Trovi subito le scuse
adatte per non essere rimproverato.
Te veco e te chiagno.
Ti vedo e ti piango. Fig. Ho compassione del tuo stato miserevole.
Tené ‘a pava ‘e surdato e ‘e vizie ‘e generale.
Avere la paga da soldato e i vizi da generale. Fig. Spendere più di
quanto si guadagna.
Tené ‘o musso astrinto.
Avere la bocca chiusa (ostentare un atteggiamento sdegnoso e
ostile).
Tené ‘o segreto d’ ‘e munacelle.
Non saper mantenere un segreto al pari delle suorine.
Tené a sciòrta ‘e Retella: ‘a rogna e ‘a zella.
Avere la fortuna di Rita: la scabbia e la tigna.
Tené ‘e rènnete spase ‘o sole.
Tenere le rendite sparse al sole. Fig. Non possedere proprio niente.
Tené l’arraggia d’ ‘e vérule.
Avere la foga rabbiosa delle vedove.
Tené uno ‘a ‘bbarda e ‘a sella.
Tenere uno da barda e da sella. Fig. Servirsi di uno come se fosse schiavo.
Tengo ‘o mare ‘nnanze e ‘e bufale appriesso.
Ho il mare davanti e i bufali dietro. Sono oberato di lavoro.
Ti piace ‘o vino cu’ ‘a néva.
Ti piace il vino con la neve. Ironicamente: ti piacciono le buone cose;
oppure: ti piace canzonare la gente.
Tira cchiù nu pilo ‘e femmena ca’ na pareglia ‘e vuoje.
Tira più un pelo di donna che una coppia di buoi.
Trase ‘e sguincio e te miette ‘e chiatto.
Entri di traverso e ti metti di prospetto. Fig. Sei molto scaltro nell’in-
trometterti.
Tre cose addà tené ‘a zitella: musso ‘e purciello, recchie d’asinel-
lo, ventre ‘e pecuriello.
Tre cose deve possedere la ragazza da marito: muso di porcellino,
orecchie d’asinello, ventre di capretto.
Lettera “T” 133

Tre cose fanno l’omme ‘e niente: assaje parlà e poco sapé, assaje
spennere e poco avè, assaje mustà e poco valé.
Tre cose rendono qualcuno uomo da nulla: discutere di cose di cui
si è poco conoscitore, essere spendaccione senza avere risorse, fare
sfoggio mentre si vale poco.
Tre cose nun s’anna ‘mprestà: libbre, mugliera, denare.
Tre cose non vanno prestate: libri, moglie, denaro.
Tre cose nun se ponno annasconnere: ommo muorto, varca rotta,
femmena prena.
Tre cose non si possono nascondere; uomo morto, barca avariata,
donna incinta.
Tre songh’ ‘e putiente: ‘o papa, ‘o rrè e chi nun tene niente.
Tre sono i potenti: il papa, il re e chi non ha niente.
Trova cchiù ampressa ‘a femmena ‘a scusa, ca ‘o sorece ‘o pertuso.
Trova prima un pretesto la donna che il topo un forellino.
Truvà ‘o chiuppo ‘e ‘ll’uva roce.
Trovare il pioppo cui è legata una vite di uva dolce. Fig. Trovare il
mezzo per vivere senza lavorare.
Tu ‘e sciuscie e io càvere ‘e voglio.
Tu le raffreddi e io le voglio calde. Fig. Io le voglio in un modo e tu
me le vuoi vendere in un altro. (L’espressione è rivolta ad un vendi-
tore di caldarroste da parte di un compratore il quale le desiderava
calde mentre quello gliele voleva dare raffreddate).
Tu si comme a San Matteo: ‘na faccia annanza e n’ata ‘a reto.
Tu sei come San Matteo: una faccia davanti e un’altra indietro. Fig.
Sei un voltafaccia. (Il detto deriva dal fatto che nella cripta del Duo-
mo di Salerno ci sono due statue di San Matteo, protettore della
città, l’uno alle spalle dell’altro così che sembrano una sola con due
facce).
Tu vatte ‘a mmé e io vatto ‘o ciuccio.
Tu percuoti me e io percuoto l’asino. Fig. Tu offendi me ed io mi
vendicherò con qualcuno dei tuoi, più deboli di te.
Tutte diceno ca l’ammore è amaro, ma ognuno vo pruvà si è
ovèro.
Tutti dicono che l’amore porta sacrificio e doveri, ma tutti vogliono
sperimentarlo.
134 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Tutto ‘o munno è paese.


In ogni posto del mondo si troveranno sempre le solite maldicenze,
invidie, vanità, come accade nei piccoli paesi.
Tutto fummo e niente arrusto.
Tutto fumo e niente arrosto. Fig. Tutto apparenza ma senza so-
stanza.
U
Uaglione – s.m., ragazzo, figlio maschio. Etim. dal gr. uiòs, s.m.,
figlio e laous, s.m., del popolo. Per questo uaglione = figlio del po-
polo.
Uapparia – s.f., azione malvagia, da persona violenza (deriva dal
lat. vappa).
Uappo – s.m., impostore, camorrista. Dal lat. vappa-ae = uomo cat-
tivo, corrotto.
Uarzone – s.m., operaio stabile a servizio di signori. In fr. garçon
(pz. garsòn), s.m., operaio dipendente.
Ubberì – v.intr., ubbidire. Dal lat. oboedire = al dial.
Uffo – s.m., osso che è tra il fianco e la coscia. Dalla voce longobarda
huf = al dial.
Únnece – num. card., undici. In lat. undecim = al dial.
Uórgio – s.m., orzo. In fr. orge (pz. orj), s.m., = al dial. La derivazio-
ne, però, è dal lat. hordeum = orzo.
Uósemo – s.m., odore, fiuto. In gr. osmés-és, s.f., odore, dal v. osmào
= fiutare.
Uosso – s.m., osso. In lat. os-ossis = osso.
Úppola! – esclamazione di un tempo andato per zittire qualcuno.
Dal lat. òppila, ossia: tura, chiudi, appila le labbra.
Úria – s.m., augurio. L’etim. è da una voce dotta lat. augur-is, s.m.,
augure, responso divinatorio reso dagli auguri.
Úrmo – agg., ultimo. In lat. ultimus-a-um = ultimo. (Es.: mannare
uno a’ ll’ urmo = lasciarlo senza vino al gioco del tocco).
Urzo – s.m., orso. In lat. ursus-i, s.m., orso.
Usco – s.m., brina; dal lat. pruina, della stessa radice di prurire =
bruciare. Quindi brina = rugiada congelata che si forma – per subli-
mazione nelle notti serene – su oggetti con temperatura inferiore a
zero. Anche dal v.tr. uscà’ = bruciare; etim. lat. ustulāre = bruciare
(dal freddo intenso).
136 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Úffo.
È l’anca vera e propria che aveva questo nome arcaico, che è uno
dei pochi vocaboli di origine longobarda presenti nel napoletano. In
tedesco è huf = uffo, col quale ai nostri tempi si dà il significato non
solo dell’anca in genere, ma del femore.
Uósemo.
È lo specifico odore avvertito con fiuto (sentì l’uósemo), quindi fiu-
tare; per estensione, intuire le mosse di qualcuno, presagire qualco-
sa. L’etimologia del termine, molto in uso nel passato e nei classici,
deriva dal verbo greco osmào dal significato di odorare, fiutare, an-
nusare.

Proverbi

Una cosa ‘nce vo’ pe’ essere ricco: o nasceta, o pasceta, o ‘na
bbona ‘ncurnatura.
Per essere ricco occorre esserlo dalla nascita o diventarlo con una
vita laboriosa, o anche con “l’essere becchi” che può facilitare – o
direttamente o indirettamente – il miglioramento della posizione
economica.
Uno va, n’ato vène, tutt’e dduje se vônno bene.
Un litigio va, un altro viene, ma entrambi si vogliono comunque bene.
Uócchi can nun vire, còre can nun resérie.
Occhi che non vedi, cuore che non desideri. Fig. Non si desidera ciò
che non si vede (lontano dagli occhi).
Uócchie ‘e pesce, addò guarda, crésce.
L’occhio del pesce, dove guarda fa prosperare tutto. Fig. È la risposta
che dà chi è accusato di avere il malocchio.
Lettera “U” 137

Uócchie, maluocchie e furticielle all’uócchie: schiatta ‘a ‘mmiria


e crepano e maluocchie.
Filastrocca proverbiale e scaramantica contro l’invidia ed il maloc-
chio.
Uócchio manco, còre franco; uócchio ritto, còre afflitto.
Se ti batte o ti duole l’occhio mancino (sinistro) è presagio di buone
notizie; se ti duole l’occhio destro è cattivo augurio.
Uóvo ‘e n’ora, pane ‘e nu juorno, farina ‘e nu mese, vino ‘e n’an-
no e figliola ‘e quinnece anne.
Uovo di un’ora, pane di giornata, farina di un mese, vino di un anno
e ragazza di quindici anni. (Consigli per chi ama le cose fresche o
stagionate).
V
Vaccino/na – s.m. e f., vacca, mucca, carne di mucca; l’etim. è dal-
l’agg. lat. vaccinus-a-um = di mucca.
Vacunnia – formula di saluto e di augurio per uno che parte; equiva-
le in it. a: va con Dio.
Vaìna – s.f., guaìna (fodero del ronciglio). In sp. guaìna = al dial.
Vajassa – s.f., donna libertina. Dall’arabo baassa = al dial. Nel fr.
ant. baiasse, s.f., = serva. Nel dial. la “b” è mutata in “v”.
Valanza – s.f., bilancia. In sp. balanza = al dial.
Valanzino – s.m., cavallo che si aggiunge a quello legato alle stan-
ghe per bilanciare il tiro con quello che è dall’altro lato, bilancino, la
traversa alla quale si attacca quel cavallo.
Valanzòla – s.f., bilancia, specie di travicello che nel carro è fermato
alla parte anteriore dello sterzo e al quale si legano i bilancini o si
attaccano le tirelle. L’etim. è da ricercare nella parola sp. valanza =
bilancia.
Vanghià – v.tr., vangare, dissodare il terreno con la vanga.
Varda – s.f., di origine persiana, bard’a = barda, specie di sella rusti-
ca su cui si appoggia la soma e serve ai contadini per cavalcare.
Varricchione – s.m., argano di legno usato dai carrettieri per tesare
le funi che trattenevano la merce sul carro. In sp. varejon (accr. di
vara) = pezzo di tronco d’albero.
Varra – s.f., spranga di legno che serve a sostenere la porta per as-
sicurarne una solida chiusura. In sp. vara, s.f., = grosso e lungo ba-
stone.
Vasàre – v.tr., baciare. In lat. basiare, v.tr., baciare. In dial. la “b” è
mutata in “v” per interiezione labiale.
Vasciajola – s.f., donnicciuola, femminuccia, donna pettegola e vol-
gare; etim. dal sost. vascio = basso cioè stanza a piano terra nei quar-
tieri umili di Napoli.
Vasenicola – s.f., basilico. In gr. basileus = re, basilikon = erba di
re (per il suo profumo); è originaria dalla Persia dove regnava il
Gran Re.
140 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Vaso – s.m., bacio. In lat. basium, s.n., = bacio.


Vaso – s.m., recipiente di terracotta, vetro o altro; dal lat. vas-is =
all’it.
Vasolaro (vasularo) – s.m., stradino, lastricatore. Dalla parola baso-
lo, pezzo di lastra eruttiva per pavimentare strade, specie al Sud.
Vastàso – s.m., bastagio (operaio che carica e scarica). In gr. bastazō,
v.tr., portare, trasportare.
Vatecaro – s.m., carrettiere. In lat. vadicare, v.intr., andare in giro.
Vava – s.f., ava, nonna; dal lat. avi = antenati.
Vàvera – s.f., varva, dal lat. barba = parte del viso dove crescono i
peli della faccia.
Vaviare – v.intr., imbrattarsi di bava.
Vaviglia – s.f., leggera bava che taluni fanno parlando.
Vavone – s.m., avolo, nonno; accr. di avo.
Velliculo – s.m., ombelico. Dal lat. volg. umbillicus, di origine in-
deuropea = all’it. Da questa forma deriva villicus da cui il dim. vel-
licolo.
Venère – ter. pers. pl. del pass. rem. del v. venire = vennero. In lat.
venerunt = al dial.
Vennegna – s.f., vendemmia. Etim. dal lat. vindemia, composta da
vinum = vino e un derivato del v. demere = prendere; operazione del
raccogliere l’uva.
Verdumma – s.f., verdura, ortaggi, verdume; etim. dall’it. verdume.
Sia la voce italiana che quella napoletana fanno riferimento ad un sost.
lat. viridumen (da viridis) = verdume e quindi verdumma in nap.
Vermenara – s.f., vermenaia, spavento; etim. il significato traslato
si spiega con l’antica credenza che i forti spaventi facessero nascere,
nel pacco intestinale dei ragazzi, vermi lunghi e sottili.
Veròla/verolèra – s.f., caldarrosta (castagna con la scorza incisa
e cotta in una padella bucherellata). Potrebbe derivare dal lat. dal-
l’unione di due termini: veru-us, s.n., = spiedo e olla-ae = padella,
pentola, castagna cotta in padella a mo’ di spiedo.
Vertécene – s.f., vertigini, capogiro.
Vescica – s.f., vescica. In lat. vesica-ae = al dial.
Vesuvio – s.m., nome proprio del nostro vulcano. Esso, che gli anti-
chi designarono in varie grafie. (Vedi nelle Curiosità storiche).
Veverone – s.m., beverone, calcina, malta allungata nell’acqua, di
cui si servono i muratori in alcuni lavori. Il termine è usato anche nel
significato di “pasto per i maiali”.
Lettera “V” 141

Vierno – s.m., inverno. In sp. invierno = al dial.


Vippeto – part. pass. del v. vévere (bere) = bevuto.
Voccolaro – s.m., gozzo (del maiale); pappagorgia (dell’uomo);
etim. dal lat. tardo bucculare, che indicava una specie di vaso; per
una certa somiglianza di forma, la voce ha preso il significato di
pappagorgia; c’è anche da considerare il termine lat. bucculae = ma-
scelle e la voce, pure lat., buccola = barbazzale, che i soldati romani
portavano sotto l’elmo.
Vommecare – v.tr., vomitare, rigettare, mandar fuori, palesare. Etim.
in it.: vomicare, accanto a vomitare.
Votabbannera – s.m., voltabandiera, voltagabbana, girella. Etim.:
votà = voltare, cambiare e bannèra = bandiera.
Votapescia – s.f., piccola mestola piana e bucherellata per rivoltare
ciò che sta cuocendo nella padella e per mescolarlo in piatti.
Votta-votta – s.m., ressa, calca; etim. dal v. vottà = spingere.
Vozza – s.f., gozzo, tumefazione che appare sotto il mento di qual-
cuno.
Vranca – s.f., zampa anteriore di animale con unghie da ferire; fig.
mano che afferra qualcosa, branca.
Vrassecàle-vrassecàro – s.m., semenzaio, vivaio. Etim. dal lat. tardo
brassicarius, da brassica = cavolo, poiché tali vivai si preparavano
nell’antichità proprio per quel tipo di ortaggi.
Vreccia – s.f., sorta di pietra e frammento di essa, breccia.
Vrenna – s.f., crusca; etim. brenna per crusca è anche voce dell’it.;
nel lat. tardo brinna = all’it.
Vrenzola – s.f., straccio, frammento di stoffa. In lat. brandeum =
brandello.
Vriala – s.f., succhiello (utensile per falegnami). In fr. vrille (pz.
vriglie) = al dial.
Vrisèra – s.f., braciere. In sp. brasèro, s.m., = al dial.
Vrocca (term. ant.) – s.f., forchetta. In sp. vrocca = chiodetto per
prendere cibi dal piatto.
Vuculià – v.tr., cullare, dondolare; etim.: forma iterativa di vucà, cor-
rispondente all’it. vogare.
Vufara – s.f., bufala; etim. alternanza di b/v e scambio della conso-
nante l con r, quindi bufala = vufara.
Vunnella – s.f., gonnella, dim. di gonna.
142 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Curiosità storiche

Vatecaro.
Vetturale, chi guida la bestia da soma. L’etim. è da cercarsi in va-
tèca, bestia da soma adoperata in un servizio, salmeria, merce da
carico; in lat. medioevale viatica (bestia), da viaticus = relativo al
viaggio. Un proverbio dialettale a proposito è: “Ce vonno i cazzi
vatecari pe’ fa’ i figli carrettieri”, per essere buoni carrettieri ci
vogliono figli d’arte.
Vesuvio.
Vulcano. Questo vulcano, che gli antichi disegnarono in varie gra-
fie, affonda l’origine del suo nome nella radice indeuropea ves, che
indicava il fuoco e che ritroviamo nel nome della dea Vesta, adorata
come dea del fuoco e del focolare domestico. Quindi Vesuvio po-
trebbe essere definito terra o luogo di fuoco.
Vivillo (vavillo).
Correggiato, arnese per battere il grano, i fagioli secchi con buc-
cia; esso è formato da due bastoni legati fra loro ad un’estremità da
correggie. Etim. dalla stessa base mediterranea “gabilo”; it. gavello;
nap. gaveglia, dove la “g” trasformata in “v” ha dato vaveglia-vavel-
lo-vivillo.
Vommero.
L’etimologia è dal latino vomer = aratro. Il nome deriva da una gara
che in passato si svolgeva tra i contadini del luogo e di cui il premio
ambito era costituito proprio da un vomere.
Vrenzola.
Straccio, frammento di stoffa, vestimenti laceri, parvenza di vestito.
Le attestazioni del vocabolo sono frequenti negli autori quali: il Ba-
sile, il Perruccio, il Valentino, il Russo. Fare “vrenzule-vrenzule” =
ridurre a brandelli. Ed è da questo termine che deriva il vocabolo in
questione, e ciò a seguito della mutazione di “br” in “vr”; es. vrasie-
re, vruoccole, vrache = braciere, broccoli, brache, e della “d” in “z”
(come hordeum = orzo).
Vriala.
Attrezzo di falegnami che consiste in un succhiello o trivellino atto
a praticare dei fori nel legno per deporvi delle viti. L’etim. è quella
Lettera “V” 143

latina dalla parola veru-us = spiedo, oggetto che serve, sì, ad infilzare
carne da arrostire, ma anche a bucare, a “perciare”.
Vruoccolo (vruoccole).
S.m., broccolo. Termine tutto italiano che sta ad indicare qualcosa di
germogliato e di cresciuto. Nel dialetto napoletano, ormai in disuso,
c’è anche il termine “vroccola” che è un forchettone d’argento che
serviva per girare la pasta. Da vruoccole deriva anche vrucculiar-
se, vroccolosa, nel significato di mettersi in evidenza e fare moine,
smorfie.

Proverbi

Vaco chiano pecché vaco ‘e presso.


Vado piano perché vado di fretta. Il detto può sembrare contradditorio,
ma non è così. Infatti chi ha fretta di fare una cosa, deve farla con cal-
ma; diversamente, se agisce in fretta e furia, spreca tempo e la cosa rie-
sce male. A conforto di quanto sopra c’è il proverbio latino: “Semper
cito fit quod lente fit”, si fa sempre presto ciò che si fa lentamente.
Vaco pe’ aiuto e trovo scarrupo.
Vado in cerca di aiuto e trovo rovina. Fig. Spesso è dannoso essere
aiutato.
Vaj ricenn’ che lastico chiove e ‘a casa scorre.
Vai dicendo che sull’astrico della casa vi piove ed in casa scorre l’ac-
qua. Fig. Prima fai il tuo comodo e poi ti lamenti. Origini del prover-
bio: un muratore aveva fatto il lastrico su una casa di un contadino e
questi se ne servì come aia. Il lastrico si lesionò e durante la pioggia
l’acqua scorreva in casa. Allora il contadino andava lamentandosi
sparlando del mastro. Costui l’affrontò rivolgendogli la frase che è
divenuta proverbiale.
Vaj sfottenne i cane ca rormeno.
Vai insultando i cani che dormono. Fig. Vai provocando le persone
cattive per farti “sfrocoliare”.
144 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Vaj trovanno zite e morticielle.


Vai in cerca di feste nuziali e di funerali di bambini. Fig. Tu vai dove
c’è da guadagnare facilmente senza lavorare.
Vale cchiù na ‘bbona parola ca ciente ducate.
Alle volte una buona parola di conforto o di aiuto morale è più im-
portante e preziosa di un soccorso finanziario.
Vale cchiù uno a ffa’ ca ciento a comannà.
Produce più una sola persona che lavora sodo anziché cento persone
che vogliono solo comandare.
Vene vierno p’ ‘e male vestute.
Si avvicinano tempi duri specie per i poveracci che non hanno di che
coprirsi.
Venì cu’ ‘e mmane mman’.
Venire con le mani in mano. Fig. Presentarsi a casa di un amico senza
regalo in occasione di lieti eventi.
Vennere ‘e llacrime e Cristo.
Vendere le lacrime di Cristo. Fig. Vendere una cosa a caro prezzo.
Verenne fa’, sapenne fa’.
Vedendo fare, sapendo fare. Fig. L’esempio trascina.
Vestirse ‘a fesso.
Vestirsi da sciocco. Fig. Fingersi ignorante per sapere la verità di un
fatto o scoprire notizie che possono tornare utili.
Viato a chi ‘o perde e povero a chi ‘o trova.
Beato chi lo perde e povero chi lo trova. Fig. È un giudizio su perso-
ne cattive e perverse.
Viato a chi se ‘nzora e piglia gnora.
Felice l’uomo che, sposando, porta in casa la suocera.
Vicin’ ‘a sessantina, lassa ‘a femmina e piglia ‘o vino.
Quando ti avvicini ai sessant’anni, lascia la donna e ricorri al
vino.
Viecchie alliffate, femmene scappate!
Vecchi agghindati: donne, fuggite!. Fig. Le persone anziane spesso
costituiscono pericolo per le belle donne.
Viento ca nasce ‘e juorno, dura tre juorne; viento ca vene ‘e not-
te, finisce ‘e botte.
Lettera “V” 145

Quando il vento incomincia a soffiare di giorno, dura per tre giorni;


mentre se inizia di notte, si calma subito.
Vieste Ciccone ca pare Barone.
Vesti bene, Ciccone (in genere un contadinotto), e sembrerai un Ba-
rone. Fig. È un’esortazione a vestire in modo pulito e ordinato per
assumere un aspetto più civile.
Viestete matina!
Vestiti di buon mattino! Fig. Sii il primo a darle in un bisticcio.
Vizio ‘e natura fino ‘a morte rura.
Vizio di natura fino alla morte dura. Fig. Ricalca un po’ il detto lati-
no: “Natura non facit saltus”, la natura non fa salti cioè fa necessa-
riamente il suo corso.
Vo’ ‘o cocco monnato e bbuono.
Volere il cocco già scortecciato.
Vocca chiusa e uocchio apierto, nun facettero maje nisciuno di-
sierto.
Le persone riservate, ma nello stesso tempo attente ed osservatrici,
non corrono il rischio di restare sole ed abbandonate.
Voce ‘e popolo, voce ‘e Ddio.
Voce di popolo, voce di Dio.
Volerse mangià miezo munno.
Volersi mangiare mezzo mondo. Fig. Minacciare tuoni e fulmini.
Vota e gira, ‘o munno è sempe ‘o stesso.
Passano i secoli e i millenni ma il mondo in sostanza non cambia.
Vòttate pe’ primmo, pure si so’ mazzate!
Buttati per primo anche se si tratta di mazzate! Fig. Affronta subito
una situazione.
Vuot’, gira e martiell’ e staje sempe ‘lloco!
Volti e rivolti il ferro sotto i colpi del martello e sei sempre allo stes-
so posto. Fig. Si dice a chi non ha proprio voglia di lavorare.
Z
Zambruosco – s.m., tanghero, villanzone; forse dall’etim. sp. zam-
bombo, con uguale significato dell’it.
Zampáno – s.m., zanzara; etim. dal sost. zampa = animale dalle
lunghe zampe.
Zeccola – s.f., nottolino, piccolo pezzo di legno inchiodato ad una
parte della porta per mantenerla chiusa. In it. si dice nottolino per-
ché ha la forma del becco della civetta che in lat. è noctua-ae.
Zéfera – s.f., vento impetuoso. In gr. zéfuros-on, vento impetuoso.
Zeffunnà – v. tr., subissare, precipitare. L’etim. è lat. dal verbo
suffundare (per suffundere); ant. sp. sofondár.
Zella – s.f., tigna. In gr. zelos-ou, ardore, prurito.
Zenniare (zinniare) – v.intr., far cenno con gli occhi, fare l’occhio-
lino. Dal termine lat. cinnare = far cenno con gli occhi. Nel dial.
la “c” si è mutata in “z” attraverso il suono della “c” francese, che
unita ad “i” o “e” si legge “s” e quindi in “z”.
Zerepella – s.f., astuzia, scaltrezza, atto di furbizia. L’etim. è dal
lat. versipellis = astuto, furbo (comp. del verbo vertere = cambiare
e pellis = pelle); il verbo vertere risulta qui trasformato.
Zico – s.m., poco, una piccola parte di qualcosa. In lat. ciccum-i =
una minima parte; la derivazione è come quella di prima.
Zimarra – s.f., soprabito ecclesiastico (lungo cappotto). In sp. zi-
marra, s.f., indumento rustico a mo’ di lunga giacca.
Zimmaro – s.m., caprone, becco, montone. In gr. chimmaros-ou =
caprone. L’etim. risale al longobardo ziber = animale da sacrificio,
antico ted. zébar.
Zita – s.f., voce meridionale, tipo di pasta alimentare lunga di dia-
metro alquanto grosso.
Zito/a, zitella – s.m. e f., uomo celibe, donna nubile anche se al-
quanto bisbetica. Dal gr. zetéu (v.tr.), crescere. Il part. pres. att. zetón-
ōusa-ón, colui o colei a cui manca una cosa e la cerca.
Zizza – voce longobarda = mammella.
Zóccola – s.f., ratto, topo di fogna. Fig. prostituta dei bassifondi.
148 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Zompare – v.intr., saltare. In sp. zumbàr, voce onomatopeica per


indicare il rumore del salto. Zumpà dal gr. sun-podois = (saltare) con
i piedi.
Zucà – v.tr., succhiare, suggere, poppare; verbo ricavato direttamen-
te dal lat. sucus = succo, sugo.
Zucaróla – s.f., arnese che serve ad estrarre il latte dalle mammelle
delle donne; etim. dal verbo nap. zucà.
Zucuso – agg., succoso. In lat. sucosus-a-um = succoso.
Zuoccolo – s.m., zoccolo. In sp. zuócolo, s.m., dim. di zucco = pic-
colo zoccolo.
Zurfégna – agg., sulfurea = zolfo con aggiunta di acqua.
Zurfariello – s.m., zolfanello, fiammifero; etim. dal sost. it. zolfo.

Curiosità storiche

Zantraglia (zentraglia).
Col termine si indica una donna (o moltitudine di persone) volgare,
plebea, sgradevole. L’etimologia della parola parte da lontano. Du-
rante l’epoca dei francesi, la cui nobiltà trascorreva la vita nel Ma-
schio Angioino, dopo un lauto banchetto il ciambellano raccoglieva
i resti del banchetto – ogni sorta di ossa e avanzi – e chiamava i cit-
tadini del popolo affamato per farglieli raccogliere. Questa sorta di
rifiuti in francese veniva chiamata “Les entrailles” = “le zentraglie”.
Il vocabolo si legge anche in libri classici del Cortese, di Capurro, di
F. Russo.
Zarro.
Sta per “equivoco, errore, abbaglio, papera”. “Piglià ‘nu zarro”. Lo
zarro, come una cantonata, si piglia, cioè si urta, si intoppa. L’etim.
deriva dall’arabo Zahr che significava “dadi da gioco”, costituiti un
tempo da piccole pietre su cui erano incisi i numeri. Quindi pietra
contro cui si può andare a finire inavvertitamente prendendo una
cantonata, un abbaglio, uno zarro.
Lettera “Z” 149

Zella (zelluso).
Malattia dei capelli, per est. tigna, alopecia, scherzosamente testa, zuc-
ca, coccia. Fig. per debito, chiodo, vizietto, magagna. Campà ‘e zelle
= campare di debiti; grattà ‘a zella a uno = bastonarlo; scummiglià ‘a
zella = scoprire gli altarini. Zelluso = tignoso; levà ‘a coppola ‘o zellu-
so = scoprire i difetti altrui. L’etim. è greca dal verbo tillo che equivale
a spelare, perdere i capelli. Si noti il mutamento della “t” in “z”.
Zennià.
Equivale ad ammiccare, alludere, strizzare l’occhio in segno di inte-
sa, fare l’occhiolino. Deriva dal lat. “cinnare” di uguale significato.
La “c” iniziale si muta in “z”, come per panza da pancia, trezzià da
treccia…
Zénzula.
Da zenzula è disceso anche zenzuluso, ossia persona dai vestiti a
brandelli o straccione se riferito ad un uomo, ma in modo dispre-
giativo se riferito a donna, donnetta da niente, fannullona, ciarliera.
Il vocabolo è molto diffuso anche negli scritti di opere classiche. In
napoletano si chiama zenzula o zenzella l’uccello canoro linaria, fa-
nello, cincia o zigoletta. L’etim è uguale a quella di vrenzula con la
mutazione di “ci” in “z”.
Zimmaro.
Maschio della capra, caprone, becco, montone, irco. L’appellativo di
zimmaro ha assunto anche il significato di villano, zotico e anche di
uomo sudicio e alquanto puzzolente. “Féte comm’a ‘nu zimmaro”.
Da zimmaro è derivato anche zámmaro che significa diseducato, ca-
fone, screanzato. L’etim è greca da chimaros (da qui prese il nome la
Chimera, sintesi di capra, leone e serpente). C’è stata la mutazione
in “z” della “c” iniziale.
Zoza.
Appellativo che si riserva a specie di generi alimentari immangiabili.
Zoza è il caffè mal riuscito, lasco; zoza è un qualcosa che non si rie-
sce a mandar giù. Il vocabolo deriva dal fr. sauce = salsa, che doveva
rappresentare una raffinatezza gastronomica, un intruglio elaborato.
Tuttavia mentre la sauce francese è fatta di latte, burro e farina (tipo
béchamelle), la salsa nostrana è per definizione solo quella a base
di pomodoro. Di qui quasi per disprezzo la parola sauce (salsa) ha
preso il significato di zoza.
150 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Proverbi

Zappa ‘e femmina e surco ‘e vacca, povera chella terra ca l’an-


cappa.
Zappa usata da donna e solco trascinato da vacca, povero il terreno
che ci capita.
Zitto, chi sàpe ‘o juóco!
Stia zitto chi conosce il gioco! Fig. Quando qualcuno sta spiegando
una cosa, che già la conosce, non deve interferire.
Zitto, zitto! ‘mmiez’ ‘o mercato.
Zitto, zitto! In mezzo al mercato. Fig. È l’esclamazione di chi ha
confidato un segreto ad un amico e questi è andato a spifferarlo a
tutti.
Zompa ‘o citrullo e va’ ‘nculo ‘o parularo.
Il detto vale quando chi si adopera molto e cura da vicino un certo
affare o il buon andamento della famiglia, o anche di una qualsiasi
comunità, ma non riceve che ingratitudine e irriconoscenza.
Zompa chi po’! dicette ‘o ranauottolo.
Si dice quando ad una persona ogni cosa, oppure un determinato
affare, va per il giusto verso, generando un po’ di invidia da parte
degli altri.
Cognomi e rispettivi soprannomi
di famiglie strianesi esistenti sul territorio
fino al giugno 2006

Adamo – M. 82, F. 55 = 137


Addam’, Livirate, ‘O Commess’, Quinniciaro, Zumpill’.
Albamonte – M. 2, F. 4 = 6
Scappacazone.
Alfano – M. 16, F. 27 = 43
Arcena, Bruttuom’, ‘A Monacella, Peparo, Russulillo.
Allegri – M. 9, F. 4 = 13
‘E Pernell’.
Ambrosio – M. 27, F. 29 = 56
‘E Sessa.
Ammirati – M. 14, F. 23 = 37
Soreciari.
Angora – M. 16, F. 13 = 29
Sarragliuolo, ‘O Stagnaro.
Annunziata – M. 25, F. 27 = 52
Gelatiero, Pastaiuolo, Strifizzi.
Apuzzo – M. 9, F. 7 = 16
Corachiatto.
Archimio – M. 10, F. 8 = 18
Porcarielli.
Argento – M. 10, F. 5 = 15
Cepollone.
Ascolese – M. 22, F. 15 = 37
Arcena.

Basile – M. 11, F. 4 = 15
‘A Guardianella, Cacamichele.
Bello – M. 7, F. 8 = 15
‘O Chianaiuolo.
Boccia – M. 54, F. 50 = 104
‘E Frasie, ‘A Massaria, Pascalone, ‘O Poggiomarinese, ‘O Scafatese.
Benvenuto – M. 1, F. 4 = 5
Cuorno ‘nculo.
Buono – M. 12, F. 16 = 28
‘A Befana, Brasilero.
152 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Calcaro – M. 4, F. 7 = 11
‘A Guardia.
Caldieri – M. 10, F. 24 = 34
Ciras’, ‘E Caldier’.
Carbone – M. 101, F. 109 = 210
Bannera, Civiero, ‘U Miricano, Piripì-Zzozzò, ‘U Pittato, Sacchet-
tell’, Spasar’, ‘A Vurpicella.
Carrella – M. 3, F. 9 = 12
‘U Cutugno, ‘I Rinili.
Cascella – M. 20, F. 9 = 29
‘E Cascell’.
Casillo – M. 30, F. 17 = 47
‘A Barbera, ‘E Casell’, Tabbacchin’.
Castaldo – M. 20, F. 15 = 35
Fravolese, ‘E Meccie.
Cirillo – M. 10, F. 5 = 15
‘A Vignetella.
Coppola – M. 20, F. 22 = 42
I Coppol’, Casimirr’, Furficiaro.
Cordella – M. 127, F. 125 = 252
Capoianco, ‘E Cordell’, ‘O Chianchier’, ‘Lleveraiuolo, I Luciano, ‘U
Russo, ‘E Stell’, ‘E Valardino, Vatassar’, Zap-Zap, ‘O Zenzolo.
Corrado – M. 23, F. 32 = 55
I Limon’, Sciummatari.
Cretoso – M. 27, F. 13 = 40
Pignatar’, ‘A Rossolella.
Cuomo – M. 8, F. 10 = 18
‘E Gragnano.
Curtis – M. 4, F. 0 = 4
Peparo.

D’Ambrosio – M. 26, F. 21 = 47
‘E Carill’.
D’Anna – M. 2, F. 7 = 9
R’Anna.
D’Avino – M. 19, F. 17 = 36
‘Mbarinata, ‘O scarparo.
Del Core – M. 3, F. 7 = 10
Del Cor’.
De Filippo – M. 24, F. 24 = 48
‘I Tardii.
Del Giudice – M. 23, F. 25 = 48
Picarielli, Cotenari, Pilera, ‘O Sessone, Tartagliella.
Cognomi e Soprannomi 153

Dell’Aglio - M. 4; F. 2 = 6
Scampugliati.
De Santis – M. 11, F. 3 = 14
‘A Santa, ‘E Tommasin’.
De Vivo – M. 17, F. 11 = 28
‘O Mallardo, Sissintonio, I Suliviest’.

Esposito – M. 47, F. 52 = 109


Mummarelle, Piciuni, ‘O Rammaro.

Falco – M. 81, F. 57 = 138


Luscier’, ‘E Farc’, ‘E Pernell’, Sicchitiell’, ‘O Cafunciell’.
Falgiano – M. 3, F. 4 = 7
‘O Vardaro.
Feltro – M. 8, F. 8, = 16
Venta vent’.
Ferrara – M. 79, F. 76 = 155
‘A Cepoll’, I Ciacci, U’ Micion’, ‘O Monaco, Picchiriniell’, I Richett’,
‘A Schiava, Trippipill’.
Finale - M. 3, F. 3 = 6
‘U Spit’.
Fiore – M. 128, F. 127 = 255
Capoianco, Casatiello, Ciucciari, Giuricielli, I Liborio, Maddiell’,
Macchiulill, Rampin’, Ricanna ‘e tat’, ‘E Sciore, Squarcione, I Sa-
rete.
Franza – M. 5, F. 11 = 16
I Mancin’, ‘U Piscupiariell’.
Franzese – M. 44, F. 31 = 75
Crapari, ‘A Guardia, Prizzitone.
Fusco – M. 12, F. 9 = 21
I Prizzitone.

Gaito – M. 31, F. 39 = 70
Crapar’, ‘O Mozzon’, Pesciappan’, Santulun’.
Gatti – M. 36, F. 32 = 68
I Gatti, ‘Ccialì, Firdinanduni, Pascalone.
Gaudio – M. 5, F. 2 = 7
‘U Ricciolone.
Giugliano – M. 1, F. 4 = 5
Pirtuso.
Gragnanelli – M. 18, F. 10 = 28
‘Ddavione, Taccarielli.
154 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Gerli – M. 5, F. 7 = 12
‘U Ghiuotto.
Gravetti – M. 7, F. 5 = 12
‘I Mundin’.
Graziano – M. 12, F. 13 = 25
‘I Mulistrin’, ‘U Ruppio.

Isonzo – M. 3, F. 5 = 8
‘U Stuppus’.

La Manna – M. 37, F. 34 = 71
Castagnari, Preton’, ‘E Sessa.
Langella – M. 17, F. 24 = 41
Capaccese.
Lettieri – M. 2, F. 3 = 5
Paparacotta.
Lombardi - M. 6, F. 7 = 13
Spaccapret’.

Maccarone – M. 42, F. 29 = 51
Ceglione, ‘E Maccarone, Pittato, Sinella.
Macciotta – M. 1, F. 2 = 3
‘A Peloscia
Malinconico – M. 19, F. 18 = 37
‘A Sciocca, Scialone.
Manna – M. 10, F. 7 = 17
Ceciarol’.
Marchesano – M. 34, F. 34 = 68
Ciaccitielli, Cotenari, Giamatt’, Parrilli, Perdenza, Sghizzamm’.
Marciano – M. 63, F. 45 = 108
‘E Catiell’, Giuliant’, Mbunn’ e mangia, ‘E Mastaccatiell’ (Sparafu-
cile, ‘I Priemmt), Piscitielli, Zoccolari.
Migliaro – M. 17, F. 29 = 46
‘I Ualan’, ‘O Talian’.
Minichini – M. 9, F. 10 = 19
‘U Luongo, ‘E Parrelle, ‘O Ventolo.
Mirabella – M. 13, F. 12 = 25
Strunzill’ (‘O Bambiniell’).
Miranda – M. 27, F. 15 = 42
O’ Ferrar’, ‘O Valintinaro.
Molisse – M. 12, F. 12 = 24
‘I Spruvier’.
Cognomi e Soprannomi 155

Muro - M. 13, F. 6 = 19
‘I Taccariell’.

Nunziata – M. 28, F. 14 = 42
‘A ‘Ndringuliatore, ‘E Mariniell’, Stoppell’.

Oreste – M. 18, F. 15 = 23
Pesciappane, ‘E Volerie.

Paciello – M. 31, F. 27 = 58
‘O Caporale, ‘A Capaccese, Passariello, ‘U Pulizzascarpe.
Pagano – M. 33, F. 29 = 62
Angelantonio, ‘E Crapell’.
Palma – M. 1, F. 2 = 3
Razzapullo, ‘A Varrese.
Palmigiano – M. 10, F 7 = 17
‘O Guardianiello.
Pellegrino – M. 82, F. 78 = 160
I Fusill’, ‘E Matuccio, ‘O Monaciello, ‘E Panzetta, Pepaianca, ‘U
Rimbambit’, ‘O Sacrestan’, ‘O Zengher’.
Prospero – M. 9, F. 2 = 11
‘U Misirro.
Rega – M. 65, F. 81 = 146
I Cavallari, Gambardella, I Réa, Sbitato, Vasciolella, ‘A Zizzella.
Rendina – M. 140, F. 95 = 235
‘A Barbera, Ciardullo, ‘A Corella, ‘I Nirun’, ‘Ntonettone, Mangiacu-
lo, Mastaccarolo, Mastarrocco, Minichirinl’, Minicone, Pachiuchi,
Pintarielli, ‘A Riecilir’, ‘E Sacchetta, Sciabolella.
Risi – M. 15, F. 7 = 22
Nunzione, Maramece.
Robust – M. 7, F. 8 = 15
‘I Liborio.
Robustelli – M. 34, F. 33 = 67
‘O Pallino, ‘A Patana, ‘O Sgarbato.
Ruggiero – M. 5, F. 6 = 11
Cuoppo ‘e pepe.
Ruocco – M. 0, F. 3 = 3
O’ Vecce.
Russo – M. 1, F. 3 = 4
Passariello.

Santorelli – M. 13, F. 8 = 21
Vrucculuso.
156 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

Saviano – M. 3, F. 6 = 9
‘E Savian’.
Serafino – M. 86, F. 89 = 175
‘O Barbiere, ‘O Cafone, ‘A Fruscianese, I Lucariell’, I Luciun’, ‘O
Mandrangolo, ‘O Merol’, ‘O Sarto, ‘O Scarduso, ‘A Varrese.
Sole – M. 6, F. 4 = 10
‘E Lavocella.
Sorrentino – M. 21, F. 9 = 30
‘O Scarpariello, ‘O Scioraro.
Sorvillo – M. 96, F. 78 = 164
Caraggiotol’, Colacchiuto, Mustaccione, ‘O Prevete.
Sosto – M. 3, F. 4 = 7
I Ciccion’.
Soviero – M. 68, F. 57 = 125
‘O Cataro, I Livierce.
Spinola – M. 5, F. 4 = 9
‘U Spit’.
Spista – M. 38, F. 32 = 70
Alesia, Ciaccitiell’, Minicone, ‘E Tatill’.
Stella – M. 3, F. 4 = 7
Micciarella.
Stellato – M. 4, F. 8 = 12
‘O Torcettaro.

Tanagro – M. 5, F. 8 = 13
Filippone.

Verdastro – M. 4, F. 1 = 5
Zumpillo.
Verdolino – M. 2 F. 2 = 4
Mandulino.
Vermiglio – M. 10, F. 6 = 16
Cap’ ‘e ll’aglio.
Vesuvio – M. 11, F. 10 = 21
Mezanotte, ‘A Vignetell’.
Vilucchio Fiore – M. 4, F. 5 = 9
I Ginesia.

Zanfardino - M. 13, F. 8 = 21
Capuluong’.
Zimarra – M. 3, F. 5 = 8
Carolone.
BIBLIOGRAFIA

- Altamura A., Dizionario dialettale napoletano, Napoli 1961.


- Andreoli R., Vocabolario napoletano-italiano, Torino 1887.
- Bausilio G., Le origini della lingua napoletana, Loffedro Ed. 2002.
- Bertoldi V., La parola quale testimone del passato, Napoli 1945.
- Campanini-Carboni, Vocabolario Latino-Italiano e Italiano-Latino,
Ed. Paravia, Torino.
- Contursi D., Dizionario domestico italo-napoletano, Napoli 1876.
- D’Ascoli F., Dizionario etimologico napoletano, Napoli 1979.
- De Falco R., Alfabeto napoletano, Colonnese Editore 1996.
- De Mura E., Poeti napoletani dal Seicento ad oggi, Marotta 1977.
- Devoto-Oli, Dizionario della lingua latina, Firenze 1971.
- Galiani F., Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, che
più si scostano dal dialetto toscano, Napoli 1789.
- Rocci L., Vocabolario Greco-Italiano, S. E. Dante A. 1979.
- Rohlfs G., Scavi linguistici nella Magna Grecia, Galatina 1974.
- Saviano L., Il Folklore della città di Ottaviano, Laurenziana Na-
poli 1977.
- Zingarelli, Nuovo vocabolario della lingua italiana, Zanichelli
Ed. 2003.
158 Francesco Marciano - ’A grazia vosta

INDICE

Presentazione . . . . . . Pag. 3
Prefazione . . . . . . » 5

Abbreviazioni . . . . . » 7
Origini e parole della lettera A . . . » 9
Curiosità storiche . . . . . » 13
Proverbi dialettali . . . . . » 16
Origini e parole della lettera B . . . » 21
Proverbi dialettali . . . . . » 22
Origini e parole della lettera C . . . » 23
Curiosità storiche . . . . . » 28
Proverbi dialettali . . . . . » 31
Origini e parole della lettera D . . . » 37
Curiosità storiche . . . . . » 38
Proverbi dialettali . . . . . » 38
Origini e parole della lettera E . . . » 41
Curiosità storiche . . . . . » 41
Proverbi dialettali . . . . . » 42
Origini e parole della lettera F . . . » 45
Curiosità storiche . . . . . » 48
Proverbi dialettali . . . . . » 49
Origini e parole della lettera G . . . » 53
Curiosità storiche . . . . . » 54
Proverbi dialettali . . . . . » 56
Origini e parole della lettera I . . . » 57
Curiosità storiche . . . . . » 58
Proverbi dialettali . . . . . » 58
Origini e parole della lettera L . . . » 61
Curiosità storiche . . . . . » 62
Proverbi dialettali . . . . . » 63
Origini e parole della lettera M . . . » 67
Curiosità storiche . . . . . » 70
Proverbi dialettali . . . . . » 73
159

Origini e parole della lettera N . . . Pag. 77


Curiosità storiche . . . . . » 79
Proverbi dialettali . . . . . » 83
Origini e parole della lettera O . . . » 87
Proverbi dialettali . . . . . » 87
Origini e parole della lettera P . . . » 93
Curiosità storiche . . . . . » 97
Proverbi dialettali . . . . . » 98
Origini e parole della lettera Q . . . » 103
Curiosità storiche . . . . . » 103
Proverbi dialettali . . . . . » 104
Origini e parole della lettera R . . . » 105
Curiosità storiche . . . . . » 106
Proverbi dialettali . . . . . » 108
Origini e parole della lettera S . . . » 111
Curiosità storiche . . . . . » 117
Proverbi dialettali . . . . . » 122
Origini e parole della lettera T . . . » 127
Curiosità storiche . . . . . » 130
Proverbi dialettali . . . . . » 131
Origini e parole della lettera U . . . » 135
Curiosità storiche . . . . . » 136
Proverbi dialettali . . . . . » 136
Origini e parole della lettera V . . . » 139
Curiosità storiche . . . . . » 142
Proverbi dialettali . . . . . » 143
Origini e parole della lettera Z . . . » 147
Curiosità storiche . . . . . » 148
Proverbi dialettali . . . . . » 150
Cognomi e rispettivi soprannomi di famiglie strianesi » 151
esistenti sul territorio fino al giugno 2006 .
Bibliografia . . . . . . » 157

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