Sei sulla pagina 1di 29

IL LESSICO

LATINO LAVORO SVOLTO DA:


SIMONE SALVATORE, GIULIA BURRACCHIO, SARA
ROMANO, GIACOMO MINO’, RICCARDO RAMPAZZO
PRIME TESTIMONIANZE DELLA
LINGUA LATINA
PAROLE E CITAZIONI LATINE
CHE FANNO RIFERIMENTO
ALLA LINGUA ITALIANA
DIGNITAS, EMULO, DUCIS IN FUNDO, SPONSOR, VOX POPULI, FORMA MENTIS, PRO CAPITE,
MEA CULPA, REPETITA IUVANT, SUPPLEX, DOMUS, SERVUS, IMPERATOR, PIETAS, CAPUT,
EGO, ORA ET LABORA, CAPTIVUS, PRINCEPS, CIVIS, IUS, VIRTUS, FIDES, MOS MAIORUM,
MENS
DIGINITAS
•Concetto che gli scrittori romani riferiscono spesso all'arte e in cui confluiscono il decoro, la
grandiosità, la gravità, talvolta in paragoni fra eloquenza ed arti figurative, ma soprattutto riguardo
all'architettura, la più severa delle arti, perché, come dice Cicerone, la dignitas è quasi un attributo
della bellezza maschile. L'architettura per i Romani deve unire l'utilitas alla dignitas, come esprime
ad esempio Cicerone quando parla delle colonne sostenenti templi e portici con dignità e utilità,
come alle medesime esigenze pratiche ed estetiche corrisponde, egli dice, il frontone del tempio.
Anche altrove Cicerone vede la dignitas unita alla commoditas nell'architettura e accenna alla
dignità della pavimentazione di un portico.Vitruvio nell'ordine dorico parla di formae dignitas e vede
accanto alla dignitas anche la venustas nelle basiliche simili a quella di Fano.
EMULO
•ETIMOLOGIA dal latino: aemulari, da aemulus emulo, rivale, specie in amore. Emulare è imitare un esempio
positivo cercando di fare pari o meglio; certo, ha quel retrogusto un po’ spiacevole dell’inseguire, o quasi del
copiare - come se ciascuno non avesse la propria unica strada -, ma ha anche l’energia della competizione, lo
slancio di una rivalità tesa a migliorare e prevalere. Connotati, questi, molto eloquenti nell’immagine di uno dei
principali significati di [aemulus] in latino, il rivale in amore. Il registro generale di questa parola è comunque
alto.È da notare come in diritto gli atti emulativi non siano atti di imitazione; con una certa sbavatura rispetto alla
traccia dei significati normali di questa parola, infatti, gli atti emulativi vengono intesi come gli atti, altrimenti
inutili, che un proprietario compie su una cosa propria al solo fine di disturbare o molestare altri. Ad esempio,
appiccare fuochi in giardino per affumicare i vicini, o stendere dalla finestra lunghe lenzuola per coprire loro la
finestra sottostante. Forse il nesso è da cercare in un’emulazione invidiosa e distruttiva, ma non riesce
particolarmente forte.
DULCIS IN FUNDO
•(lat. «il dolce [viene] in fondo»). – Proverbio spesso ripetuto con riferimento a fatti a lieto fine, a
notizie buone lasciate di proposito per ultime, ma spesso anche in tono ironico o in senso
antifrastico, con senso simile a «ora viene il bello».L'espressione, di origine medievale, indica
situazioni che, complicate all'inizio, trovano poi una conclusione favore-vole. Oggi è impiegata per
riferirsi a un'ultima notizia positiva che segue un elenco di cose meno positive o
addirittura negative.
SPONSOR
• Azienda, società commerciale, ente o singola persona che sostiene finanziariamente una
manifestazione sportiva, artistica, culturale, un’impresa scientifica, una trasmissione radiotelevisiva
o altre iniziative, allo scopo di pubblicizzare i propri prodotti o di aumentare il proprio prestigio e la
propria notorietà. Il nome indicava qualcuno che si presentava in un processo o in una cerimonia
(come il matrimonio) a garantire o a testimoniare per un altro. Il termine italiano deriva dall'inglese
e indica la persona o l'ente che finanzia l'attività di qualcuno per ricavarne pubblicità o visibilità.
VOX POPULI, VOX DEI
•Il concetto espresso da questa locuzione si trova già nella Bibbia e negli autori greci, ma nella forma
usata ancora oggi risale all'alto Medioevo. La frase significa che una notizia, quando è molto diffusa
e nota a tutti, diventa vera, come se provenisse da Dio stesso. La locuzione, nella sua accezione
odierna, compare per la prima volta in Alcuino (Capitulare Admonitionis ad Carolum IX [1,376
Baluzio]). Lo stesso Alessandro Manzoni usa molto spesso questa locuzione nel suo più famoso
romanzo, i Promessi Sposi, come nel caso della folla che mette a ferro e fuoco Milano.
FORMA MENTIS
•lat. (propr. «forma di mente»), usata in ital. come s. f. – Struttura mentale, soprattutto con riguardo
al modo di considerare e intendere la realtà, quale si determina nell'individuo, per indole e per
educazione: è cosa contraria, o congeniale, alla sua forma mentis. Saggio sulla pluralità
dell'intelligenza (Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences) è un'opera dello psicologo
statunitense Howard Gardner, pubblicata per la prima volta nel 1983 e tradotto in italiano nel 1987.
L'espressione è impiegata in italiano per indicare l'atteggiamento mentale di una persona, la sua
predisposizione a qualcosa.
PRO CAPITE
•Pro capite è una locuzione latina che significa "a testa", cioè "per ciascuno". È usata nel campo
statistico per indicare la media "per persona", "singolarmente". Ad esempio, il reddito pro capite
indica l'ammontare di denaro di cui dispone ogni abitante di una determinata regione o nazione.
L'espressione indica la ripartizione di qualcosa fra i membri di un gruppo; oggi si usa soprattutto nel
lessico delle-conomia, come nell'espressione "reddito pro capite" che indica il reddito medio di un
determinato gruppo di persone, ad esempio gli abitanti di un paese.
MEA CULPA
•L'espressione, in ablativo di causa, è tratta dalla preghiera cristiana del Confiteor con cui il fedele
ammette la propria colpa e manifesta il proprio pentimento. Viene usata anche laformula "fare,
recitare il mea culpa", ovvero ammettere il proprio torto, la propria colpevolezza. Queste parole
fanno parte del Confiteor ("Io confesso"), preghiera in latino con la quale i cattolici chiedevano
perdono a Dio riconoscendo le proprie colpe. La formula intera è "Mea culpa, mea culpa, mea
maxima culpa", e si pronuncia battendosi tre volte il petto con la mano.
REPETITA IUVANT
•Il motto, di origine popolare, è usato soprattutto in ambito didattico per indicare che ripetere più
volte una spiegazione aiuta a impararla; più in generale, sottolinea l'utilità di ribadire
indicazioni o ordini. Repetita iuvant: così dicevano i latini quando avevano davanti qualcuno un po'
duro di comprendonio. Questa locuzione può essere tradotta in italiano come “ciò che viene
ripetuto serve”.
SUPPLEX
•Secondo l'etimologia più attendibile l'aggettivo supplex,"supplice", deriva dalla radice *plec-, che
contiene l'idea del "piegare" e che si trova nei verbi plecto, "piego", impli-co, "avvolgo", e negli
aggettivi simplex, "piegato una volta sola". Supplex allora è, letteralmente, "colui che è piegato sotto
(sub)", ovvero colui che si inginocchia. Dal termine derivano il verbo supplicare, "assumere la
posizione del supplice", e il sostantivo supplicium che, con valore attivo, indica la "preghiera" (l'atto
del rivolgere una richiesta in ginocchio), con valore passivo la "punizione" (l'atto del sottomettersi
per scontare una pena).L'aggettivo latino e i termini da esso derivati sopravvivono nell'italiano
"supplice", "supplica", "supplicare", "supplizio"; nel francese suppliant ("supplice") e supplication
("supplica"); nell'inglese suppliant, nello spagnolo suplicante e nel portoghese suplicante.II termine
italiano "supplizio" ha subito un restringimento di significato rispetto al latinosupplicium.
DOMUS
•Il sostantivo domus, di origine indoeuropea, designa la«casa" come simbolo della famiglia. La
radice di domus si ritrova in vocaboli come dominus, -i, m., "signore", "padrone" (con i suoi derivati
dominium, -ii, n., "dominio", e dominatio, -onis, f., "dominazione"), o dominator, -oris, m.,
"dominatore". Nel passaggio dal latino alle lingue romanze il termine domus è stato soppiantato da
casa, "casetta", "capanna", "casa di campagna", che apparteneva al linguaggio popolare. In italiano
domus è sopravvissuto unicamente nella parola "duomo" (francese dôme), attraverso il sintagma
del latino cristiano domus ecclesiae ("casa della comunità dei fedeli").
SERVUS
•Il nome servus, -i, m., "schiavo", "servo", secondo alcuni studiosi è in relazione con il verbo servare
("conservare", "sorve-gliare"). Il suo significato originario sarebbe dunque "guar-diano (della proprietà)". Alla
medesima famiglia di parole appartengono: il verbo servire, "essere schiavo"; il sostantivo servitium, -ii, n.,
"schiavitù", "insieme degli schiavi"; l'aggettivo servilis, -e, "servile", "la schiavo"; l'avverbio serviliter,"in modo
servile". Il femminile di servus è serva, -de. Gli esiti di servus nelle lingue romanze convergono sul significato di
"servo" (francese serviteur, spagnolo sirviente, servidor ecc.), mentre la nozione di "schiavo" è espressa da
parole derivanti dal latino medievale s(c)lavus, "(prigioniero di guerra) slavo" (spagnolo esclavo, francese esclave,
da cui l'inglese slave ecc.), diffusosi in Europa a partire dal X secolo in concomitanza con la prima ondata
commerciale di schiavi slavi. Le parole italiane "servaggio","servizio", "servilismo", tutte astratte e derivate dal
latino servus, si riferiscono a tre modi diversi di intendere la condizione o l'azione del servire: cerca il significato
di ciascun termine sul vocabolario di italiano, cogliendone la valenzapositiva o negativa.
IMPERATOR
•• Imperator, imperatôris, m., indicava originariamente il"comandante", cioè colui che riceveva
l'imperium, il "som-mo potere", il comando dell'esercito in guerra e il ruolo di giudice in pace.
Questa designazione generica divenne poi un titolo onorifico, quello di "comandante supremo", di
cui un generale romano poteva fregiarsi dopo una vittoria importante. A partire da Augusto
l'appellativo assunse il significato di "imperatore" nel senso di comandante
dell'intero Stato romano.
PIETAS
•• Pietas, pietatis, f., abbraccia almeno tre ambiti di significato e costituisce uno dei cardini del mos
maiorum, l'insieme di valori morali e civili su cui si fondava l'etica ro-mana. Indica il rispetto e la
venerazione per gli dei, ivi compreso il meticoloso adempimento di tutti gli obblighi religiosi; il senso
del dovere verso i propri familiari e l'osservanza dei doveri verso lo Stato e la comunità dei cittadini.
In rapporto ai diversi contesti si dovrà rendere con"senso del dovere", "rispetto", "amore filiale",
"affetto","Benevolenza". L'italiano "pieta" è la conseguenza di uno slittamento semantico della
parola avvenuto in epoca cristiana.
CAPUT
•• Caput, capitis, n., indica il "capo", la "testa" e, per me-tonimia, l"uomo", la "persona"; riferito a
cosa inanimata diventa invece "estremita", "origine" (caput fluminis,"sorgente di un fiume"). Dal
momento che il "capo" è indispensabile alla vita, il nome entra in locuzioni come poe-na capitis,
"pena capitale", o damnare capîte, "condannare a morte". E nota infine l'espressione Roma caput
mundi in cui la parola assume il significato di "capitale".
EGO
•Il pronome personale di 1ª persona singolare, corrispondente all'italiano "io", è impiegato nel
linguaggio della psicoanalisi per indicare la personalità propria di un individuo. Costituisce inoltre il
primo elemento di molte parole, ad esempio "egoismo". Usato anche per indicare la
consapevolezza e la coscienza di una persona di esistere, utilizzato da Freud per definire tale istanza
psichica. Oggi il termine è utilizzato per indicare una grande stima di se stessi.
ORA ET LABORA
•È il motto dei benedettini e richiama a una vita che alterna il lavoro alla contemplazione e alla
preghiera. I verbi orare e laborare perdono il significato "classico" originario di"pregare (qualcuno)"
e " affaticarsi" per assumere quello di "pregare (Dio)" e "lavorare". Benedetto fu il fondatore
dell'ordine benedettino. Scrisse per i suoi monaci la Regola, che prescrive povertà, obbedienza e un
fortissimo impegno di preghiera e di lavoro, secondo il motto Ora et labora ("Prega e lavora").
CAPTIVUS
•L'aggettivo e sostantivo captivus, -i, m., deriva dal verbo capio, "prendo", "catturo", e designa "colui che è
stato catturato" e, quindi, il "prigioniero (di guerra)". Dal I secolo d.C. i filosofi latini cominciano però a usare
il termine anche con il valore metaforico di "prigioniero" di una passione negativa (in Seneca, ad esempio,
incontriamo l'espressione irae captivus, "prigioniero dell'ira", "preda dell'ira"). Con quest'accezione morale il
termine entra nel linguaggio cristiano (captivus diaboli, "prigioniero del diavolo"). Captivus assume perciò il
significato di "contrario alla legge morale". L'idea della negatività morale assunta dal termine latino in epoca
tarda si conserva nell'italiano "cattivo". Il significato originario di captivus permane invece nel francese captif
e nell'inglese captive, "prigioniero". In italiano l'idea della prigionia è rimasta invece nella parola "cattività".
Da capio deriva anche il sostantivo captatio, che, associato con il termine benevolentia, forma l'espressione
captatio benevolentiae.
PRINCEPS
•Princeps, usato per lo più come aggettivo sostantivato e composto da primus, "primo", e dal tema di capio, -is,
-ère,"prendo", indica "colui che occupa il primo posto", il "primo", considerato rispetto a un gruppo o nel
tempo. Il termine, in senso traslato, e in rapporto al livello sociale o al merito, si rende con "il più
ragguardevole": così principes civitatis sono i "cittadini più ragguardevoli", i "notabili", contrapposti agli infimi,
gli "umili L'aggettivo vale anche nel senso di "capo", "guida", "fondatore", "autore": prin-ceps scelèris è l'autore
del delitto". Al plurale principes designa in ambito militare i "soldati di seconda fila". A partire da Augusto in poi
princeps, "principe", "imperatore", è il titolo con cui venivano designati gli imperatori. Da princeps derivano
principalis, "principale", "relativo al principe" principatus, "primato", "impero", "sovranita";principalitas,
"primato". Il termine latino princeps si è conservato nell'italiano "principe", nel francese prince, nello spagnolo
principe e nell'inglese prince, dove indica il figlio del re o della regina. Principalis ha dato come esito l'aggettivo
"principale", che designa la persona o la cosa più importante.
CIVIS, CIVITAS
•[ civis «cittadino»]. – Termine che, nella concezione politica e giuridica latina, designava la città-
stato, corrispondente alla πόλις dei Greci; indicava inoltre l’insieme dei cittadini, distinguendosi in
ciò da urbs, che indicava invece la città come complesso di edifici e di mura.
IUS
•s. neutro lat. (propr. «diritto»), usato in ital. al masch. – Parola usata anche in contesti italiani per indicare,
in tono più enfatico e solenne, il diritto (cfr. la forma italianizzata giure). Seguita da particolari
determinazioni, indica o estese branche o speciali istituti o particolari consuetudini del diritto romano e
medievale: ius civile, nel linguaggio giur. romano, il diritto di tutto un popolo e, senz’altra aggiunta, del
popolo romano; ius gentium «diritto delle genti» (v. gente2, n. 2 a); ius italicum «diritto italico»
(v. italico); ius connubii, istituto del diritto romano, analogo alla epigamia greca, consistente nella capacità di
contrarre matrimonio valido agli effetti civili; ius gladii (propr. «diritto di spada»), nello stato feudale, il
diritto riconosciuto al barone di infliggere la pena capitale. In partic., ius primae noctis (v. la voce). Talora
anche in usi scherz., spec. in passato: per es., ius murmurandi, il diritto di mormorare, di esprimere le
proprie critiche, il proprio dissenso, che, se esercitato sottovoce, non può essere represso neanche in regime
totalitario.
VIRTUS
•La parola Virtus nel mondo romano era utilizzata “per indicare la forza consapevole e perseverante per cui
l’individuo opera al conseguimento di un fine, resistendo alle avversità della fortuna” e tale fine, nella maggior
parte dei casi, era il bene, la grandezza, l’onore e la gloria di Roma. Nel mondo romano il concetto di Virtus
espresso era fortemente presente all’interno della società e condiviso dalla maggior parte dei cittadini romani.
“Solo un uomo, un vir che possedeva la virtus, poteva portare le armi” ed infatti la Virtus era proprio la dote
dell’uomo romano. Tale concetto risulta ancora più evidente per il fatto che proprio la radice della parola Virtus è
Vir e ciò fa un atto voluto per simboleggiare, anche linguisticamente, il legame indissolubile che deve esistere tra
l’uomo e quell’insieme di valori interiori, quali la forza, il coraggio, la giustizia, la sapienza, la temperanza, l’onestà,
che possono essere raccolti e rappresentati da un’unica sola parola: Virtus. Tali valori dovevano accompagnare il
cittadino verso gli scopi fondamentali della vita di tutti i Romani: la maiestas populi romani (la gloria e l’utile dello
stato), che di rimando coincideva con la maiestas (la gloria e l’utile del singolo individuo).
FIDES
•Nella latinità classica Fides era la parola con cui si indicava uno dei principali valori ideali per un
Romano: Fides infatti indicava la "parola data", la "lealtà" sia questa intesa in ambito pubblico che privato,
anche e soprattutto nei confronti dei nemici. Poi con il Cristinesimo si assiste ad una chiara evoluzione
semantica della parola e si chiama Fides la virtù teologica, la lealtà a Dio e viene associata al credere
fermamente in Lui. Con Fides inoltre si tende a indicare il "credere a quelle verità che pur esistono anche se
non possono essere spiegate con la ragione o la scienza". Nonostante però la trasformazione semantica,
continua a preservarsi ancora quella sfumatura classica latina quando ad esempio parliamo di "far fede" ad un
impegno o una promessa e non a caso si parla di "fede coniugale" quando si indica quella fedeltà,
quell'impegno reciproco a cui i due sposi promettono di "far fede" quando si scambiano la celebre promessa. Si
chiama, ancora, "fede" l'anello che i due sposi si scambiano proprio a ricordare, come segno tangibile, la parola
data, la promessa fattasi reciprocamente. Ma è da questa classica accezione che si ricollega anche il valore
burocratico-giuridico di "testimonianza scritta, certificato" da cui nasce, nel 1437 attraverso il dialetto lombardo
la famosa "fedina" (penale)".
MOS MAIORUM
•Con l’espressione mos maiorum (letteralmente il costume degli antenati) i Romani indicavano quel
complesso di valori e di tradizioni che costituivano il fondamento della loro cultura e della loro civiltà.
•Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di
continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto, in marcia verso la realizzazione
di un grande progetto comune.
•Il mos maiorum era, in altri termini, l’insieme dei valori collettivi e dei modelli di comportamento cui
doveva conformarsi qualsiasi innovazione; rispettare il mos maiorum significava quindi incanalare le energie
e le spinte innovative entro l’alveo rassicurante della tradizione, così da renderle funzionali al bene comune.
A questo proposito il fondamento dei mores maiorum era basato su cinque virtù fondamentali: fides, pietas,
majestas, vistus e gravitas. La fedeltà, la lealtà, la fede, la fiducia e reciprocità tra i cittadini, ma pure verità,
l'onestà ed affidabilità.
MENS
• [lat. mens mĕntis, affine al lat. meminisse e al gr. μιμνήσκω «ricordare»]. Il complesso delle facoltà
umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in particolare quelle intellettive,
percettive, mnemoniche, intuitive, volitive, nella integrazione dinamica che si attua nell’uomo,
quindi si può tradurre con mente, pensiero…
GRAZIE PER
L’ATTENZIONE
LAVORO SVOLTO DA:
SIMONE SALVATORE, GIULIA BURRACCHIO, RICCARDO RAMPAZZO,
SARA ROMANO, GIACOMO MINO’

Potrebbero piacerti anche