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COME AGIRE CON LE PAROLE

TRE ASPETTI DELL'ATTO LINGUISTICO


John Langshaw Austin

How to Do Things with Words, The Tilliatn fames Lectures at Harvard


University 1955, Oxford University Press, London 1962; II ed. riveduta
a cura di JAMES O. URMSON e MARINA SnrsÀ, London 1975; lez.
pp. 91-93; lez. VIII. pp. 94-108; lez. IX, pp. 110-120.

Consideriamo ora il punto a cui siamo arrivati: a partire dal


presunto contrasto fra enunciati performativi e constativi, ab-
biamo trovato indicazioni sufficienti per affermare che, nono-
stante tutto, l'infelicità sembra caratterizzare ambedue i tipi
di enunciato e non solo il performativo; e che l'esigenza di
una conformità o comunque di una relazione ai fatti, diversa in
casi diversi, sembra caratterizzare i performativi in aggiunta
all'esigenza della felicità, analogamente a quanto è caratteristi-
co dei presunti constativi.
Ora, non siamo riusciti a trovare un criterio grammaticale
per i performativi, ma abbiamo pensato che forse si potrebbe
persistere nell'idea che ogni performativo possa in linea di
principio essere ricondotto alla forma di performativo espli-
cito, e quindi che . si potrebbe riuscire a compilare una lista di
verbi performativi. In seguito però abbiamo scoperto che
spesso non è facile essere sicuri se un enunciato è performativo
o meno, anche quando è apparentemente in forma esplicita; e
a ogni modo, sintomaticamente, ci sono pur sempre gli enun-
ciati che iniziano con "Asserisco che..." (I state that...), i
quali sembrano soddisfare i requisiti dei performativi, eppure
costituiscono di certo il fare delle asserzioni e di certo sono
essenzialmente veri o falsi.
È dunque tempo di riaffrontare alla radice il nostro pro-
blema. Occorre riprendere in considerazione in modo piú
generale i sensi in cui dire qualcosa può essere fare qualcosa, o

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nel dire qualcosa facciamo qualcosa (e forse anche considerare il un atto "fatico," e l'enunciato che con esso viene prodotto un
caso, di tipo diverso, in cui col dire qualcosa facciamo qualcosa). "fema" (pheme) (da non confondersi con il femema della teo-
Forse rivolgere a questi temi uno sforzo di chiarificazione e di ria linguistica); e
definizione può servire a farci uscire dal groviglio in cui ci sia- (A.c) generalmente, compiere l'atto di usare quel fema o i
mo cacciati. Infatti, dopo tutto, "fare qualcosa" è un'espressio- suoi costituenti con un certo "senso" piú o meno definito e
ne molto vaga.' Quando proferiamo un qualunque enunciato con un "riferimento" piú o meno definito (che insieme equi-
(utterance),2 non stiamo "facendo qualcosa"? Certamente la valgono a "significato"). Possiamo chiamare quest'atto un atto
diversità dei modi in cui parliamo dell'azione" potrebbe, "rhetico," e l'enunciato che con tale atto viene prodotto un
qui come altrove, confondere le idee. Per esempio, possiamo "rhema" (rheme).4 ...1
contrapporre uomini di parole a uomini d'azione, possiamo
dire di qualcuno che non ha fatto niente, ma ha solo parlato o t j Ì I L'atto di "dire qualcosa" in questo pieno senso normale lo
detto cose; viceversa, possiamo anche contrapporre l'aver sol- -genomino, o soprannomino, esecuzione di un atto locutorio; e
tanto pensato qualcosa all'averlo detto effettivamente (ad alta lo studio degli enunciati in questi limiti e sotto questi punti di
voce), e in questo contesto dire è fare qualcosa. vista lo chiamo studio delle locuzioni o delle piene unità del par-
A questo punto dobbiamo precisare ciò che avviene quan- lare. Il nostro interesse per l'atto locutorio, beninteso, è so-
do "proferiamo un enunciato."' Per cominciare, c'è un intero prattutto rivolto a chiarire che cosa esso sia, ai fini di distin-
gruppo di sensi, che indicherò con (A), in cui dire una cosa guerlo da altri atti dei quali ci occuperemo in modo premi-
qualsiasi è sempre necessariamente fare qualcosa; questo in- nente. Lasciatemi aggiungere soltanto che, certo, se avessimo
sieme di sensi ammonta complessivamente al pieno senso della da discuterlo di per se stesso sarebbero possibili e necessa-
espressione "dire qualcosa." Possiamo convenire, senza sotti- rie moltissime ulteriori precisazioni — precisazioni di grandis-
lizzare e senza insistere troppo sulle parole da usare, che dire sima importanza non solo per i filosofi ma anche, ad esempio,
una cosa qualsiasi è: per i grammatici e i fonetisti.
Abbiamo tracciato tre grossolane distinzioni tra l'atto fone-
(A.a) sempre, compiere l'atto di emettere certi suoni (un tico, l'atto fatico e l'atto rhetico. L'atto fonetico è semplice-
atto "fonetico"); nel qual senso, l'enunciato è una "fonè" mente l'atto di emettere certi suoni. L'atto fatico è il profe-
(phone); rire certi vocaboli o parole, cioè suoni di certi tipi, apparte-
(A.b) sempre, compiere l'atto di proferire certi vocaboli o nenti e in quanto appartenenti a un certo lessico, conforme-
parole (cioè suoni di certi tipi appartenenti e in quanto apparte- mente e in quanto conformemente a una certa grammatica.
nenti a un certo lessico) in una certa costruzione (cioè confor- L'atto rhetico è l'atto di usare questi vocaboli con un senso
memente e in quanto conformemente a una certa grammatica), e un riferimento piú o meno definiti. Cosi "Egli ha detto 'Ti
con un certo tono di voce, ecc. Possiamo chiamare quest'atto gatto è sul tappeto'" riferisce un atto fatico, mentre "Egli ha
detto che il gatto era sul tappeto" riferisce un atto rhetico. Le
' Austin ha in effetti definito i performativi come enunciati la cui funzione seguenti coppie di esempi illustrano contrapposizioni ana-
non è quella, o soltanto quella, di dire qualcosa, ma quella di fare qualcosa, loghe:
di compiere un'azione. Cfr. AUSTIN [1962a], [1975), p. 5; e AUSTIN [1962c],
(1978a). [N.d.C.]
A questo punto nel testo inglese c'è una nota dell'autore che dice: "Uso "Egli ha detto 'Il gatto è sul tappeto,"' "Egli ha detto che
utterance solo nel senso di utteratum; per utteratio uso the issuing of an il gatto era sul tappeto";
utterance." Per questo motivo ci si è decisi, come si è già accennato (v. sopra,
Nota alle traduzioni), a tradurre perlomeno in questo testo austiniano utterance "Egli ha detto 'Vattene,'" "Egli mi ha detto di andar-
con "enunciato," riservando espressioni quali "proferire (un enunciato)" o mene":
"proferimento (di un enunciato)" a tradurre le perifrasi comprendenti il verbo
issue (lett.: "emettere"). [N.d.C.]
Non menzioneremo sempre, ma dobbiamo tener presente la possibilità ' I termini austiniani sono rispettivamente phone, pheme e rheme. Rite-
delreziolamento" [cfr. nota 10] che si produce quando usiamo il linguaggio nendo phone, come del resto gli altri due, un calco dal greco, lo si è reso con
nelle rappresentazioni teatrali, nel romanzo e nella poesia, nelle citazioni e nella il calco corrispondente "fonè." Per lo stesso motivo si è mantenuta la h nella
declamazione. grafia di "rhema." [N.d.C.]

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"Egli ha detto 'Sarò là," "Egli mi ha detto che sarebbe quale ministro" oppure "Gli dissi che si stava comportando
stato là"; male e lui rispose che 'certe cose bisogna capirle." Comun-
"Egli ha detto 'È a Oxford o a Cambridge?'" "Egli ha que non è sempre facile usare "Disse che": se egli avesse usato
chiesto se era a Oxford o a Cambridge." il modo imperativo, diremmo piuttosto "disse di," "consigliò
di," ecc., o ne useremmo degli equivalenti quali "disse che do-
Soffermandomi su quest'argomento per l'interesse intrinseco vevo," "disse che avrei dovuto," e cosi via. Pensate inoltre
che presenta, al di là delle nostre esigenze immediate, accenne- a espressioni quali "mi diede il benvenuto" e "presentò le
rò ad alcuni punti di carattere generale, che vale la pena di sue scuse."
tenere presenti: Ancora un'osservazione riguardo all'atto rhetico: è evi-
dente che qui il senso e il riferimento (il nominare e il rife-
Ovviamente, per eseguire un atto fatico si deve ese- rirsi) di per se stessi sono atti ancillari eseguiti nel com-
guire un atto fonetico o, se si vuole, nell'eseguire l'uno si piere l'atto rhetico. Cosi possiamo dire: "Con intende-
esegue l'altro (ciò però non vuol dire che gli atti fatici siano vo..." e "dicendo `lui' mi riferivo a..." Possiamo compiere un
una sottoclasse degli atti fonetici. Abbiamo definito l'atto atto rhetico senza riferirci o senza nominare? In generale sem-
fatico come il proferire dei vocaboli in quanto appartenenti a brerebbe che la risposta sia negativa, ma ci sono casi proble-
un certo lessico). Ma l'inverso non è vero, perché se una scim- matici. Qual è il riferimento in "Tutti i triangoli hanno tre
mia emette un suono indistinguibile da "va," questo non è lati"? Analogamente, è chiaro che possiamo eseguire un atto
ancora un atto fatico. fatico che non sia un atto rhetico, ma non viceversa. Ad esem-
Beninteso, nella definizione dell'atto fatico sono stati pio, possiamo ripetere un'osservazione di qualcun altro, o bia-
riuniti due fattori: lessico e grammatica. Cosí non abbiamo scicare qualcosa, o leggere una frase latina senza conoscere il
assegnato alcun nome particolare alla persona che dice, per significato delle parole.
esempio, "gatto completamente il se" o "I silosi tovani ghi- Non importa molto in questa sede sapere quando un fema
rarono." Ma un altro fattore, da tenere in considerazione o un rhema sia lo stesso che un altro, sia nel senso del "tipo"
quinto la grammatica e il lessico, è il tono di voce. (type) sia nel senso dell'esemplare" (token), e in che cosa con-
(3) L'atto fatico, come quello fonetico, è comunque essen- sista un singolo fema o rhema. Ma, naturalmente, è impor-
zialmente mimabile, riproducibile (inclusi tono di voce, espres- tante ricordare che uno stesso fema, per esempio la stessa frase
sione del viso, gesti, eccetera). Si può mimare non soltanto l'as- (nel senso di pití esemplari dello stesso tipo), può essere usato
serzione tra virgolette "Quella ragazza ha bei capelli," ma an- in diverse occasioni di proferimento con un senso e un riferi-
che, con maogior complessità, il fatto che egli l'ha detta in mento diversi, e costituire cosí rhemi differenti. Quando ferri
un certo modo: "Quella ragazza ha bei capelli" (spallucce). diversi sono usati con lo stesso senso e lo stesso riferimento,
Questo è l'uso di "disse" con le virgolette, come lo troviamo potremmo parlare di atti rhetícamente equivalenti ("la stessa
nei romanzi: ogni enunciato può essere riprodotto pari pari tra asserzione" in uno dei sensi del termine), ma non dello stesso
virgolette, o tra virgolette seguite da "disse lui" o pití spesso rhema o di atti rhetici identici (che sono la stessa asserzione
"disse lei," eccetera. in un altro senso, richiedente l'uso delle stesse parole). Il fema
è un'unità di lingua: il suo difetto tipico è di essere una sfilza
L'atto rhetico invece è quello per riferire il quale diciamo, senza capo né coda — senza senso. Ma il rhema è un'unità del
nel caso delle asserzioni, "Egli disse che il gatto era sul tap- parlare; il suo difetto tipico è di essere vago o nullo o oscuro,
peto," "Egli disse che sarebbe andato," "Egli disse che dovevo ecc. Ma, anche se questi argomenti sono del massimo interesse,
andare" (le sue parole erano state "Devi andare"). Questo è il non gettano finora alcuna luce sul nostro problema dell'enun-
cosiddetto "discorso indiretto." Se il senso o il riferimento non ciato constatavo e della sua contrapposizione al performativo
sono considerati chiari, allora l'insieme o la parte in questione Per esempio rispetto a un enunciato — diciamo, "Sta per cari-
vanno messi tra virgolette, come delle citazioni. Cosf potrei care" — sarebbe perfettamente possibile chiarire completa-
dire "Egli disse che dovevo andare 'dal ministro' ma non disse mente "ciò che stavamo dicendo" nel proferirlo, in tutti i sensi

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finora distinti, senza chiarire affatto se nel proferirlo stavo com- condo senso, come dell'esecuzione di un atto "illocutorio" ("in-
piendo l'atto di avvertire oppure no. Può essere perfettamente locutorio"), cioè l'esecuzione di un atto nel dire qualcosa in
chiaro ciò che voglio dire con "Sta per caricare" oppure con contrapposizione all'esecuzione di un atto di dire qualcosa; chia-
"Chiudi la porta," ma non essere chiaro se la frase sia intesa co- mo l'atto cosf compiuto una "allocuzione" (illocution) e farò ri-
me un'asserzione o un avvertimento, o che altro. ferimento alla teoria dei diversi tipi di funzione del linguaggio
Eseguire un atto locutorio è in generale, possiamo dire, an- qui in discussione come alla teoria delle "forze illocutorie" (il-
che e eo ipso eseguire un atto che propongo (li chiamare atto locutionary forces).
illocutorio (illocutionary act). CosíNell'eseguire un atto locuto- Si può dire che per molto tempo i filosofi hanno trascurato
rio eseguiremo anche un atto del tipo dei seguenti: questo studio, riducendo tutti i problemi a problemi di "uso lo-
cutorio"; e in effetti, di solito, si cade nella "fallacia descritti-
fare una domanda o rispondervi, va" cui si è accennato nella lezione I proprio scambiando un
dare un'informazione o un'assicurazione o un avvertimento, problema del primo tipo per un problema del secondo.' t: vero,
annunciare un verdetto o un'intenzione, ora ci stiamo liberando da questo atteggiamento; da alcuni anni
pronunciare una sentenza, a questa parte ci si sta rendendo conto sempre piú chiara-
conferire un titolo o lanciare un appello o fare una critica, mente che l'occasione in cui viene proferito un enunciato ha un
compiere un'identificazione o dare una descrizione, peso notevole, e che le parole usate devono in certa misura
essere "spiegate" dal "contesto" in cui erano destinate a essere
e cosi avanti. (Non vorrei assolutamente dar l'impressione che proferite, o sono state effettivamente proferite, in uno scam-
si tratti di una classe chiaramente delimitata.) Il nostro eo bio linguistico. Eppure siamo tuttora troppo inclini a dare
ipso non ha qui nulla di misterioso. Il guaio sta piuttosto nel queste spiegazioni nei termini dei "significati delle parole."
gran numero di sensi diversi che può avere un'espressione vaga Certo, si sa clic possiamo usare la stessa parola con cui ci rife-
come "in che modo stiamo usando l'enunciato" — essa può ri- riamo al significato (meaning: intendere, significare) anche con
ferirsi persino all'atto locutorio, e inoltre agli atti perlocutori riferimento alla forza illocutoria — "Egli lo intendeva come
cui arriveremo tra un momento. Quando eseguiamo un atto lo- un ordine" ("He meant it as an order"), eccetera.' Ma io
cutorio, usiamo il linguaggio: ma in che modo preciso lo usia- voglio distinguere la forza dal significato, nel senso in cui inten-
mo in una data occasione? Le funzioni del linguaggio o i modi dere o significare è equivalente a usare con senso e riferimento,
in cui lo usiamo sono infatti molto numerosi, e fa una gran dif- proprio come è ormai divenuto essenziale distinguere fra senso
ferenza per il nostro atto — inteso in un certo senso, il senso e riferimento.
(13)5 — se in una data occasione lo stiamo "usando" in que- Inoltre, abbiamo qui un esempio dei diversi usi della
sto modo o in un altro, in questo senso o in un altro. Non è espressione "usi del linguaggio," o "uso di un enunciato," ecc.
affatto lo stesso se stavamo consigliando, o solo proponendo, — "uso" è un termine disperatamente vasto o ambiguo, pro-
o proprio ordinando; se stavamo, in senso stretto, promettendo, prio come il termine "significato," che ora è diventato di pram-
o solo annunciando un'intenzione vaga; e cosi via. Tali questioni matica mettere in ridicolo. Ma "uso," il suo sostituto, non è in
penetrano un po', ma non senza confusione, nella grammatica condizioni molto migliori. Possiamo chiarire completamente
(vedi sopra) 6 ; noi comunque le dibattiamo costantemente, per l'uso di un enunciato" in una particolare occasione, nel senso
esempio quando ci chiediamo se certe parole (una certa locu- dell'atto locutorio, senza ancora entrare in merito al suo uso
zione) avevano il valore o la forza (torce) di una domanda, o nel senso dell'atto illocutorio.
avrebbero dovuto essere prese come una stima, e cosi via.
Ho parlato dell'esecuzione di un atto in questo nuovo, se- Cfr. A USTIN [1962a], p. 3. [N.d.C.]
Se quest'ultima parte dell'argomentazione vale soprattutto per le teorie
5 Vedi sotto, p. 67. del linguaggio formulate in lingua inglese, data l'ambiguità caratteristica del
6 Austin si riferisce alla discussione dei possibili criteri grammaticali, sia verbo inglese mean, ciò nulla toglie alla portata tendenzialmente generale della
pure parziali e non decisivi, per riconoscere gli enunciati performativi, e dei precedente osservazione circa il trattare problemi di forza illocutoria come pro-
numerosi espedienti che contribuiscono a chiarire la forza degli enunciati, in blemi di significato. Si pensi, ad es., alle polemiche sul "significato" dei termini
A USTIN [1962a1, cap. V e VI. [N.d.C.] valutativi (cfr. A USTIN [1962a], [1975], pp. 163-41. EN.d.C.1

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Comunque, prima di precisare ulteriormente quest'ultima Allo stesso modo possiamo distinguere l'atto locutorio
nozione, soffermiamoci a confrontare sia l'atto locutorio sia "Egli disse che..." dall'atto illocutorio "Egli sostenne che..." e
l'atto illocutorio con un terzo tipo di atto. dall'atto perlocutorio "Egli mi convinse che..."
C'è un ulteriore senso (C) in cui eseguire un atto locutorio e Si noterà che gli "effetti consecutivi" qui accennati (vedi
in esso uno illocutorio può anche essere eseguire un atto di una C.a e C.b) non includono effetti consecutivi di un tipo parti-
altra specie. Dire qualcosa produrrà spesso, o addirittura di colare: quelli ottenuti, ad esempio, a titolo d'impegni per il
norma, determinati effetti consecutivi sui sentimenti, i pen- parlante, come avviene quando si promette; i quali rientrano
sieri, le azioni dell'uditorio, o di chi parla, o cli altre persone: nell'atto illocutorio. A quanto pare, bisogna fare delle restri-
e si può dire qualcosa col preciso scopo, l'intenzione, il pro- zioni, poiché è chiaro che c'è una differenza fra ciò che intuia-
posito di produrre tali effetti. Tenendo conto di questo, pos- mo essere una vera e propria produzione di effetti reali e
siamo allora dire che chi parla ha eseguito un atto definibile quelle che consideriamo semplici conseguenze convenzionali; in
con un termine che faccia riferimento solo obliquamente (C.a), ogni caso su questo ritorneremo.
o anche per nulla (C.b), all'esecuzione degli atti locutorio e Finora quindi abbiamo distinto, in modo approssimativo,
illocutorio. Chiameremo l'esecuzione di un atto di questo gene- tre specie di atti — quello locutorio, quello illocutorio e quel-
re, esecuzione di un atto "perlocutorio" (perlocutionary ad), e lo perlocutorio. Ora faremo qualche commento d'ordine ge-
l'atto eseguito, nei casi adatti — sostanzialmente nei casi (C.a) nerale a queste tre classi, lasciandole sempre abbastanza ap-
— una "perlocuzione" (perlocution). Per ora, non definiremo prossimative. I primi tre punti riguarderanno di nuovo "l'uso
quest'idea piú accuratamente, anche se ovviamente ne ha biso- del linguaggio."
gno, ma daremo semplicemente degli esempi:
Quanto ci interessa in queste lezioni è sostanzialmente
(E. I ) attenerci al secondo dei nostri tre atti, quello illocutorio, e
Atto (A) o Locuzione: confrontarlo con gli altri due. In filosofia c'è una costante ten-
Egli mi disse "Sparale!" intendendo con "spara" spa- denza a elidere quest'atto in favore di uno o dell'altro degli
ra, riferendosi con "le" a lei. altri due; tuttavia esso è distinto da questi ultimi. Abbiamo
Atto (B) o Illocuzione: già visto come le espressioni "significato" (meaning) e "uso
Egli mi incitò a spararle (o mi consigliò, ordinò, ecc. di di un enunciato" possano oscurare la distinzione tra atti loca-
spararle). tori e illocutori. Ora notiamo che parlare dell'uso" del lin-
Atto (C.a) o Perlocuzione: guaggio può, analogamente, oscurare la distinzione tra gli atti
Egli mi persuase a spararle. illocutori e quelli perlocutori — e perciò li distingueremo con
Atto (C.b): piú cura fra breve. Parlare dell'uso del linguaggio' per so-
Egli mi indusse a spararle (o fece sí che io le sparassi, stenere una tesi o per avvertire" sembra proprio tale e quale
ecc.). parlare dell'uso del linguaggio' per persuadere, eccitare, allar-
(E.2) mare"; tuttavia nel primo caso, per delineare il contrasto in
Atto (A) o Locuzione: modo approssimativo, possiamo dire che l'uso" del linguaggio
in questione è un uso convenzionale, nel senso che, come mi-
Egli mi disse "Non puoi farlo."
nimo, può essere reso esplicito dalla formula performativa; ma
Atto (B) o Illocuzione: nel secondo caso non possiamo dirlo. Cosí possiamo dire "So-
Egli protestò contro ciò che volevo fare. stengo che" o "Ti avverto che" ma non possiamo dire "Ti con-
Atto (C.a) o Perlocuzione: vinco che" o "Ti allarmo che." Inoltre, possiamo chiarire com-
Egli mi dissuase, mi moderò. pletamente se uno ha sostenuto qualcosa o no senza entrare in
Atto (C.b): merito alla questione se ha convinto qualcun altro o meno.
Egli mi fermò, mi riportò alla ragione, ecc. Per approfondire il problema, è il caso di chiarire su-
Egli mi disturbò. bito che l'espressione "uso del linguaggio" può riferirsi a fac-
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cende ancora piú disparate che gli atti illocutori e perlocutori, e illocutorio, non dimentichiamolo, è un atto convenzionale: un
con tutta evidenza completamente diverse da tutte quelle delle atto compiuto in quanto conforme a una convenzione.
quali ci stiamo occupando qui. Ad esempio, possiamo parlare
dell'uso del linguaggio" per qualcosa, ad esempio per scher- I prossimi tre punti sono importanti perché i nostri atti
zare; e possiamo usare "in" in un modo diverso dall'in" illo- sono atti.
cutorio, ad esempio quando diciamo "nel dire 'p' stavo scher-
zando" o "recitando una parte" o "componendo una poesia." (4) Glí atti di tutte e tre le nostre specie, dal momento
Questi riferimenti all'uso del linguaggio" non hanno nulla che consistono nel compiere delle azioni, ci impongono di te-
a che fare con l'atto illocutorio. Per esempio se dico "Va', e nere in debito conto i malanni che sono retaggio dell'azione in
afferra una stella cadente," può essere evidente quali siano il generale. Dobbiamo essere pronti, sistematicamente, a distin-
significato e la forza del mio enunciato, ma ancora del tutto in- guere tra "L'atto di fare x," cioè di riuscire a fare x, e "l'atto
certo quale di queste altre specie di cose io stia facendo.' Ci di tentare di fare x." Nel caso delle illocuzioni dobbiamo esse-
sono eziolamenti,' usi parassitari, ecc., vari usi "non seri," "non re pronti a tracciare la debita distinzione, che il linguaggio or-
pienamente normali." Le normali condizioni di riferimento dinario non registra se non in casi eccezionali, tra
possono essere sospese, oppure può darsi che io non faccia alcun l'atto dí tentare di o tendere a (o affettare, ostentare,
tentativo di farti fare qualcosa: Watt \Vhitman non incita sul pretendere di, iniziare, accingersi a) compiere un certo atto illo-
serio l'aquila della libertà a librarsi nel cielo. cutorio; e
(3) Inoltre ci possono essere delle cose che "facciamo" in l'atto di riuscire a compiere o consumare o portare a
connessione col dire qualcosa, che non sembrano rientrare esat- t termine tale atto.
tamente, almeno a prima vista, in nessuna di queste classi ap- Questa distinzione è, o dovrebbe essere, un luogo comune
prossimativamente definite, oppure sembrano vagamente ricon- della teoria del nostro linguaggio relativo all'azione" in ge-
ducibili a piú d'una di esse; e comunque a prima vista non nerale. Ma precedentemente abbiamo messo in evidenza la spe-
danno l'impressione d'essere tanto distanti dai nostri tre atti ciale importanza che essa riveste in connessione con i perfor-
quanto lo è scherzare o scrivere poesia. Per esempio, l'insinua- mativi': è sempre possibile, ad esempio, tentare di ringraziare
zione, che si verifica quando insinuiamo qualcosa nel o col pro- o informare qualcuno, ma fallire, in modi diversi, perché egli
ferire un enunciato, sembra coinvolgere una qualche conven- non ascolta, o la prende come un'ironia, o non era merito suo,
zione, come avviene nell'atto illocutorio: ma non possiamo e cosi via. Questa distinzione si presenterà, come per qualsiasi
dire "Io insinuo...," e se ne riceve l'impressione che si tratti, altro atto, anche nel caso dell'atto locutorio; qui però gli in-
come per il dare a intendere, di un effetto ottenuto con abilità successi non saranno infelicità come nel caso precedente ma,
e non di un semplice atto. Un altro esempio è esprimere emo- piuttosto, incapacità di articolare le parole, di esprimersi chia-
zione. Possiamo esprimere emozione nel o col proferire un enun- ramente, eccetera.
ciato, come quando imprechiamo; ma ancora una volta qui non (5) Poiché i nostri atti sono azioni, dobbiamo sempre te-
possiamo usare le formule performative né gli altri espedienti ner presente la distinzione tra effetti o conseguenze prodotti
tipici degli atti illocutori. Potremmo dire che usiamo l'im- avendone l'intenzione o senza volere; ricordando che (i) quan-
precare (swearing)" per dar sfogo ai nostri sentimenti. L'atto do chi parla intende produrre un effetto, esso può ciò nono-
stante non verificarsi, e (ii) quando non intende produrlo o in-
9 Go and catch a lalling star è il primo verso di una poesia molto nota di tende non produrlo, può ciò nonostante verificarsi. Per far
John Donne (1572-1631). [N.d.C.] fronte alla complicazione (i) ci rivolgiamo, come sopra, alla
L'eziolamento consiste nel pro g ressivo ingiallirsi e imbianchirsi degli
organi verdi di piante che crescano in condizioni di luce troppo scarse, dovuto
alla mancata formazione di clorofilla. L'uso di una tale metafora da parte di Si gnora] è giurare per Nostra Signora; ma "Al diavolo!," per quanto sia sem-
Austin suggerisce che egli intendesse citazione, recitazione, teatro, poesia ecce- pre swearing [stavolta nel senso di "imprecare], non è giurare per Nostra
tera come usi linguistici sottratti almeno in parte alla "luce del sole" delle Signora.
condizioni normali della comunicazione. [N.d.C.] " Cfr. A USTIN [1962a]; cap. II e III; e anche A USTIN [1962c]. (1978i).
" Swearing è ambiguo: "I swear by Our Ladv" [Giuro per Nostra [N.d.C.]

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distinzione tra tentativo e successo; per far fronte alla com- per riassumere la storiella da bambini della vecchia che si sforza
plicazione (ii) ricorriamo ai comuni espedienti linguistici del de- di portare il maiale a casa in tempo per fare il pranzo al
clinare le responsabilità (avverbi come "involontariamente," e vecchio marito, possiamo dire, in ultima analisi, che il gatto
cosí via) che teniamo di riserva per uso generale in tutti i casi ha spinto il maiale a entrare nel recinto della fattoria, o l'ha
del compiere azioni." fatto entrare, o ha fatto sí che vi entrasse: 4 Se in questi casi noi
Inoltre, naturalmente, dobbiamo riconoscere che in menzoniamo sia un atto B (illocuzione) sia un atto C (perlocu-
quanto i nostri atti sono azioni, può anche non trattarsi di cose zione) diremo "Col (o per mezzo del) B-are egli C-ò" piuttosto
fatte da noi nel senso pieno dell'espressione: ma che potrem- che "Nel B-are..." Ecco perché chiamiamo C, a differenza dell'
mo aver fatto, ad esempio, sotto costrizione o in qualche altra atto illocutorio, atto perlocutorio. ...1
maniera del genere. Di altri modi in cui può capitarci di non
compiere l'azione in senso pieno si è già parlato al punto (2); È la distinzione fra le illocuzioni e le perlocuzioni quella che
potremmo aggiungervi anche i casi di cui si è parlato al punto piú probabilmente creerà delle difficoltà; perciò la affronteremo
(5), in cui produciamo conseguenze per errore o senza volere. subito, chiamando in causa, strada facendo, la distinzione tra
Infine, dobbiamo ribattere all'obiezione riguardante i illocuzioni e locuzioni. È certo che il senso perlocutorio di
nostri atti illocutorio e perlocutorio — cioè che la nozione di "compiere un'azione" deve in certo modo essere escluso co-
atto è poco chiara — con un teoria generale dell'azione. Abbia- me non attinente nei confronti del senso in cui un enunciato,
mo l'idea che un "atto" sia una cosa fisica fissa che facciamo, se il proferirlo è "compiere un'azione," è un performativo, al-
distinta da convenzioni e da conseguenze. Ma meno se i performativi hanno da essere distinti dai constativi.
l'atto illocutorio e perfino quello locutorio implicano Infatti è chiaro che, se le circostanze lo permettono, si può su-
convenzioni: paragoniamoli all'atto di fare un inchino. È un scitare qualunque o quasi qualunque atto perlocutorio col pro-
inchino solo perché è convenzionale ed è compiuto solo perché ferire, con o senza calcolo, qualsiasi enunciato si voglia, e in
è convenzionale. Pensiamo, analogamente, alla differenza tra particolare un puro e semplice enunciato constativo (sempreché
calciare una parete e calciare un goal; un tale animale esista). Tu puoi, per esempio, distogliermi
l'atto perlocutorio include sempre delle conseguenze; (C.b)15 dal fare qualcosa informandomi, magari in buona fede
ad esempio, quando diciamo "Col fare x stavo facendo y" ti- ma in circostanze opportune, sulle conseguenze che la mia azio-
riamo sempre in ballo una serie piú o meno lunga di "conse- ne avrebbe: e ciò si applica anche a (C.a):' perché tu puoi con-
guenze," alcune delle quali possono essere "non intenzionali." vincermi (C.a) che lei è adultera chiedendole se non era suo
Non c'è alcuna restrizione a un atto fisico minimo. Anzi, pos- il fazzoletto trovato nella camera da letto di X," o affermando
siamo far rientrare una serie arbitrariamente lunga di quelle che era suo.
che potrebbero essere altresf chiamate le "conseguenze" del no-
stro atto sotto il termine scelto per designare l'atto stesso; e " L'autore allude a una favola in cui vari animali agiscono a catena l'uno
questo è, o dovrebbe essere, un luogo comune fondamentale sull'altro, col risultato finale di smuovere il maiale. [N.d.C.]
della teoria del nostro linguaggio relativo all'azione" in gene- " Per il significato di questi riferimenti, vedi p. 68.
rale. Cosí, se ci viene chiesto "Che cosa ha fatto?" possiamo " Ibidem.
n Che l'impartire pure e semplici informazioni produca, quasi sempre,
rispondere o "Ha sparato all'asino," o "Ha tirato un colpo di effetti consecutivi sull'azione non è piú sorprendente dell'inverso, cioè che il
fucile," o "Ha premuto il grilletto" oppure "Ha mosso il dito compiere una qualsiasi azione (compreso il proferimento di un performativo)
abbia regolarmente la conseguenza di rendere noi stessi e gli altri consapevoli di
indice," e può darsi che tutto ciò sia vero. Allo stesso modo, certi fatti. Compiere qualsiasi atto in modo scoperto o scopribile è dare orca.
sione a noi stessi e, in genere, anche ad altri di venire a conoscenza sia (a) del
" Si può osservare che questa complicazione (ii) può presentarsi, come è fatto che noi abbiamo compiuto quell'atto, sia anche (b) di molti altri fatti re-
lativi ai nostri moventi, al nostro carattere, ecc., che possono essere inferiti dal
naturale, anche nei casi dell'atto locutorio e di quello illocutorio. Posso dire fatto che abbiamo compiuto quell'atto. Se lanci un pomodoro durante una
qualcosa o riferirmi a qualcosa senza intenderlo, o impegnarmi senza volere ad riunione politica (o se urli "lo protesto" quando lo fa qualcun altro — ani.
assumere la responsabilità di un certo atto; ad esempio, posso ordinare a qual- messo che questo sia compiere un'azione), la conseguenza sarà probabilmente
cuno di fare qualcosa senza avere l'intenzione di ordinarglielo. Ma è in con- quella di far conoscere agli altri che tu ti opponi, e di condurli a pensare che
nessione con la perlocuzione che questo fenomeno ha il maggior rilievo, come hai certe convinzioni politiche: ma questo non renderà il lancio o l'urlo veri o
d'altronde la distinzione tra tentativo e successo. falsi (benché essi possano essere ingannevoli, e persino deliberatamente). In

74 John L. Austin Come agire con le parole 75

Dobbiamo quindi tracciare una linea di demarcazione tra (2) Ci sembra inoltre di poter ricavare qualche aiuto dalla
l'azione che compiamo (in questo caso l'illocuzione) e le sue natura particolare degli atti di dire qualcosa, in contrasto con
conseguenze. Ora, in generale, e se l'azione non è un'azione le ordinarie azioni fisiche: infatti nel caso di queste ultime
linguistica ma un'azione "fisica" non convenzionale, questa è perfino l'atto fisico minimo, che ci si sforza di separare dalle sue
una faccenda complicata. Come abbiamo visto, possiamo, o può conseguenze, essendo un movimento del corpo, è in pari mate-
piacerci pensare che possiamo, classificare per gradi successivi ria' con almeno molte delle sue conseguenze immediate e natu-
come in realtà semplici conseguenze della nostra effettiva azio- rali; mentre, in qualunque cosa possano consistere le conse-
ne nel senso del preteso atto fisico minimo, per quanto imme- guenze immediate e naturali di un atto di dire qualcosa, nor-
diate e facilmente prevedibili, una parte sempre maggiore di malmente non si tratta di ulteriori atti di dire qualcosa, siano
quanto inizialmente e ordinariamente è incluso o eventualmente essi piú in particolare compiuti da colui che ha parlato o anche
si potrebbe includere sotto il nome dato al "nostro atto" di da altri.' Sicché qui abbiamo una specie di rottura regolare
per se stesso." L'atto fisico minimo in questo caso risulterà e spontanea nella catena, che non si presenta nel caso delle azio-
consistere nel fare uno o pití movimenti con parti del nostro ni fisiche, ed è specificamente associata alla classe dei nomi di
corpo (per esempio, piegare il dito, il che ha prodotto il movi- illocuzioni.
mento del grilletto, il che ha prodotto..., il che ha prodotto la
morte dell'asino). Beninteso, a questo proposito ci sarebbero Questo può permetterci qualche passo avanti. Ma, a que-
da dire molte cose delle quali in questa sede non è necessario sto punto, ci si può chiedere: le conseguenze introdotte con la
occuparsi. Ma almeno nel caso degli atti di dire qualcosa, terminologia delle perlocuzioni non sono forse in realtà con-
seguenze degli atti (A), le locuzioni? Nel cercare di separare
(1) la terminologia ci offre un aiuto che di solito non "tutte" le conseguenze, non dovremmo risalire diritti oltre
accorcia nel caso delle azioni "fisiche." Con le azioni fisiche in- all'illocuzione, fino alla locuzione — e precisamente all'atto
fatti c'è quasi sempre la tendenza a denominare l'azione non (A.a), l'emissione di suoni, che è un movimento fisico?" Certo,
con termini corrispondenti a quello che qui abbiamo chiamato si è già ammesso che eseguire un atto illocutorio è necessaria-
atto fisico minimo, bensí con termini che comprendono un rag- mente anche eseguire un atto locutorio: che, per esempio, con-
gio maggiore o minore, ma indefinitamente estensibile, di quan- gratularsi è necessariamente dire delle parole; e che dire delle
to potremmo chiamare le sue conseguenze naturali (o, guar-
dando in un'altra direzione, l'intenzione con cui è stata com-
piuta). sia parte del mio corpo introduce di fatto un nuovo senso di "ho mosso."
Cosi posso muovere le orecchie come sanno fare certi ragazzi, o prendendole fra
Non soltanto noi non usiamo la nozione di atto fisico mi- le dita e scuotendole; oppure muovere il piede, o come si fa normalmente o
nimo (che in ogni caso è discutibile), ma non sembriamo nep- manipolandolo con la mano come quando ho il formicolio. In esempi come
pure disporre di una classe di nomi che aiutino a distinguere gli "Ho mosso il dito" l'uso ordinario cli "muovere" è determinante. Non dobbiamo
cercar di risalire oltre a esso fino a un "ho calzato i miei muscoli" e simili.
atti fisici dalle conseguenze: mentre, nel caso degli atti di dire "' Questo in pari materia potrebbe mandarvi fuori strada. Non intendo
qualcosa, il repertorio dei nomi per gli atti (B) sembra espres- dire, come ho rilevato nella nota precedente, che il mio "muovere il dito" sia
in ultima analisi simile, dal punto di vista metafisico, a "il muoversi del
samente destinato a sottolineare una certa, regolare frattura grilletto" che ne è la conseguenza, oppure a "il fatto che il mio dito muove
tra l'atto (il nostro dire qualcosa) e le sue conseguenze (che il grilletto." \la "il movimento di un dito indice" è in pari materia con "il
di solito non sono il dire qualcosa); o comunque un gran nu- movimento di un grilletto."
Potremmo anche mettere le cose in un altro modo, estremamente impor
mero di queste ultime.' tante, dicendo che il senso in cui dire qualcosa produce effetti su altre persone,
o causa effetti, è un senso di causare fondamentalmente diverso da quello usato
nel caso della causalità fisica per pressione, ecc. La causalità intesa in tal senso
modo analogo la produzione di un qualsiasi numero di effetti consecutivi non deve operare attraverso le convenzioni del linguaggio ed è una questione d'in-
impedirà a un enunciato constativo di essere vero o falso. fluenza esercitata da una persona sull'altra: si tratta probabilmente del senso
Non affronto il problema di quanto possano estendersi le conseguenze. originario di "causare."
I consueti errori su quest'argomento si possono trovare, ad esempio, nei " Vedi piú avanti.
Principia Ethica di Moore [cfr. MOOR [ 1903], (1964)]. '2 Ma lo è davvero? Abbiamo già notato che la "emissione di suoni" è a
Si noti che, se noi supponiamo che l'atto fisico minimo sia un movi- sua volta, in realtà, una conseguenza dell'atto fisico minimo consistente nel
mento del corpo, il fatto che, nel caso di "Ho mosso un dito," l'og getto mosso muovere gli organi vocali.

76 John L. Austin Come agire con le parole 77

parole è necessariamente, almeno in parte, fare determinati mo- Finora ho sostenuto che possiamo sperare di isolare l'atto
vimenti pii o meno indescrivibili con gli organi vocali.' Cosí illocutorio da quello perlocutorio in quanto produzione di con-
che la divergenza fra azioni "fisiche" e atti di dire qualcosa non seguenze, e che esso stesso non è una "conseguenza" dell'atto
è completa da tutti i punti di vista; qualche connessione c'è. locutorio. Ora però devo farvi notare che l'atto illocutorio, fer-
Ma (i) anche se questo può essere importante in certi nessi e ma restando la sua distinzione da quello perlocutorio, è con-
contesti, non sembra impedirci di tracciare una linea di de- nesso con la produzione di effetti nei sensi seguenti:
marcazione, per i nostri scopi attuali, là dove ne abbiamo biso-
gno e cioè fra il compimento dell'atto illocutorio e tutte le A meno che non si ottenga un certo effetto, l'atto illo-
conseguenze che ne derivano. E inoltre OD, cosa molto piú im- cutorio non sarà stato eseguito felicemente, con successo. Ciò
portante, dobbiamo rifiutare l'idea, cui sopra si è accennato in non equivale a dire che l'atto illocutorio consista nell'ottenere
forma ipotetica, che l'atto illocutorio sia una conseguenza di un certo effetto. Non si può dire che io abbia avvertito un udi-
quello locutorio, e anche l'idea che ciò che la terminologia torio a meno che questo non senta ciò che dico e non lo inten-
delle illocuzioni introduce sía un riferimento addizionale ad da in un certo modo. Si deve ottenere un effetto sull'uditorio, se
alcune delle conseguenze della locuzione," cioè che dire "egli l'atto illocutorio ha da essere portato a compimento. Come do-
mi incitò a..." equivalga a dire che egli disse certe parole e in vremmo metterla a questo punto? E come possiamo delimitare
pití che il suo dirle aveva oppure forse era inteso avere certe quest'effetto? Genericamente parlando esso consiste nell'ottene-
conseguenze (? un effetto su di me). Se per qualche ragione o re la comprensione del significato e della forza della locuzione.
in qualche senso avessimo da insistere nel "risalire" dall'illocu- Cosi l'esecuzione di un atto illocutorio implica assicurarsi la
zione all'atto fonetico (A.a), ciò che faremmo non sarebbe recezione (uptake).
risalire a una azione fisica minima attraverso la catena delle L'atto illocutorio "ha effetto," "entra in vigore," in
sue conseguenze, nello stesso modo in cui presumibilmente po- certi modi, diversi dal produrre conseguenze inteso come pro-
tremmo risalire dalla morte del coniglio al movimento del dito vocare il verificarsi di stati di cose in modo "normale," cioè
sul grilletto. L'emissione di suoni può essere una conseguenza introducendo cambiamenti nel corso naturale degli eventi. Co-
(fisica) del movimento degli organi vocali, del respiro, ecc.: sí "Io battezzo questa nave Oueen Elizabetb" ha l'effetto di
ma il proferire una parola non è una conseguenza dell'emettere
un suono, né fisica, né d'altro genere. Neppure il proferire le locuzione un qualche "primato" rispetto all'illocuzione. Dopo tutto, perché qua-
parole con un certo significato è una conseguenza del proferire lificare l'una (A) e l'altra (B)? Possiamo essere d'accordo sulle parole effettiva-
le parole, né fisica, né d'altro genere. Per tutto ciò, anche gli atti mente pronunciate, e addirittura sul senso nel quale le si è impiegate e sulle
realtà per riferirsi alle quali sono state usate, e tuttavia essere ancora discordi
fatici (A.b) e gli atti rhetici (A.c) — questione delle conseguenze sulla questione se, nelle cicostanze date, esse costituivano un ordine o una
fisiche a parte — non sono conseguenze di atti fonetici (A.a). minaccia o semplicemente un consiglio o un avvertimento. Ma dopo tutto, ana-
logamente, c'è ampio spazio per disaccordi in casi singoli anche quando il
Quello che effettivamente introduciamo con l'uso della termi- problema è come si debba descrivere l'atto rhetico A.c nella terminologia delle
nologia delle illocuzioni è un riferimento, non alle conseguenze locuzioni (che cosa voleva dire veramente? A quale persona, momento, ecc. si
riferiva effettivamente?). E in verità possiamo spesso essere d'accordo, per
(almeno in senso ordinario) della locuzione, ma alle conven- esempio, che il suo atto era proprio un atto d'ordinare (illocuzione), ma essere
zioni di forza illocutoria, nella loro relazione alle particolari ancora incerti su che cosa egli intendesse ordinare (locuzione). t. verosimile
circostanze dell'occasione in cui l'enunciato viene proferito. Ri- che l'atto sia almeno tanto "in dovere" di essere descrivibile come un tipo piú
o meno definito di illocuzione, quanto lo è di essere descrivibile come un atto
torneremo ora brevemente ai sensi in cui l'esecuzione ben riu- locutorio (A) piú o meno definito. Nel decidere la descrizione corretta sia di
scita o completa di un atto illocutorio introduce effettivamente una locuzione sia di un'illocuzione sorgeranno necessariamente difficoltà riguar-
danti convenzioni e intenzioni: l'ambiguità di significato o di riferimento,
delle "conseguenze" o degli "effetti" di certi tipi." deliberata o involontaria, è forse tanto comune quanto il mancare, deliberata-
mente o involontariamente, di render chiaro "come devono essere prese le
nostre parole" (nel senso illocutorio). Inoltre, tutto l'apparato dei "performativi
" Limitandoci sempre, per semplicità, a considerare gli enunciati orali. espliciti" (vedi sopra, [cfr. A USTIN [1962a], soprattutto cap. V]) serve a
" Tuttavia, si veda pitl avanti. impedire disaccordi nella descrizione degli atti allocutori. In effetti impedire i
15 Vedendo che, dato un singolo atto rhetico (A.c), ci può ancora essere disaccordi riguardanti la descrizione degli "atti locutori" è molto piú difficile.
spazio per incertezze circa il modo in cui esso dovrebbe essere descritto nella Ciascuno di questi atti, comunque, è convenzionale e suscettibile di ricevere
terminologia delle illocuzioni, potremmo essere ancora tentati di attribuire alla un'"interpretazione" in sede di giudizio.

78 John L. Austin Come agire con le parole 79

dare un nome alla nave, o di battezzarla; e di conseguenza cer- farlo," il cui obiettivo è appunto quello di distogliere, può
ti atti successivi, come quello di riferirsi a essa come al ge- produrre il seguito di mettere sull'avviso o anche di allarmare.
neralissimo Stalin, saranno fuori posto. Alcuni atti perlocutori, cioè quelli per i quali non c'è una for-
(3) Abbiamo detto che molti atti illocutori sollecitano per mula illocutoria, consistono sempre nella produzione dí seguiti:
convenzione una risposta o un seguito. Cosí un ordine solle- cosí io posso sorprenderti o turbarti o umiliarti con una locu-
cita come risposta l'obbedienza e una promessa il mantenimento. zione, sebbene non vi sia alcuna formula illocutoria "Ti sor-
La risposta o il seguito possono essere "a due sensi" o "a senso prendo con...," "Ti turbo con...," "Ti umilio con..."
unico": cosi possiamo distinguere tra sostenere, ordinare, pro- L caratteristico degli atti perlocutori che la risposta otte-
mettere, proporre, e chiedere di, offrire, chiedere se e chie- nuta, o il seguito, possano essere ottenuti con l'aiuto di mezzi
dere "Sí o no?" Se la risposta viene accordata, o il seguito non locutori, o addirittura esclusivamente con questi ultimi:
adempiuto, ciò richiede un secondo atto da parte di chi parla o cosí l'intimidazione può essere ottenuta brandendo un bastone
di un'altra persona; ed è un luogo comune del linguaggio delle o puntando un fucile. Perfino nei casi del convincere, del per-
conseguenze che questo secondo atto non possa essere incluso suadere, del far obbedire e del far credere la risposta può essere
nella sequenza d'azione originaria. ottenuta non verbalmente; ma se non viene eseguito alcun atto
illocutorio, è dubbio se sia il caso di usare tale linguaggio ca-
Tuttavia, in linea generale possiamo sempre dire "Gli ho ratteristico degli obiettivi perloc-utori. Si confronti l'uso di
fatto fare..." con una parola indicante l'atto di risposta. Ciò fa "Gli ho fatto fare" con quello di "L'ho fatto obbedire." Co-
sí che l'atto vengo ascritto a me e si tratta, nei casi in cui si munque, questo solo criterio non è sufficiente a contraddistin-
impiegano o possono essere impiegate delle parole, di un atto guere gli atti illocutori, dal momento che possiamo ad esem-
perlocutorio. Cosí dobbiamo distinguere "Glielo ho ordinato pio avvertire, comandare, conferire un titolo, donare, protestare
ed egli ha ubbidito" da "L'ho fatto ubbidire." Quest'ultima o scusarci con mezzi non verbali e questi sono tutti atti illo-
frase ingenere implica che ai fini della produzione, ascrivibile a cutori. Possiamo ad esempio fare marameo o lanciare un po-
me, di questa conseguenza sono stati impiegati mezzi addizio- modoro a titolo di protesta.
nali, incentivi, prestigio personale, e influenza eventualmente Piú importante è vedere se queste risposte e seguiti possa-
spinta fino alla costrizione; molto spesso interviene persino un no essere ottenuti con mezzi non convenzionali. Certamente
atto illocutorio diverso dal mero ordinare, come quando si possiamo ottenere seguiti perlocutori identici con mezzi non
dice "Gliel'ho fatto fare affermando x. " convenzionali (o, per cosi dire, "aconvenzionali"), mezzi che
1
Ci sono cosi tre modi in cui gli atti illocutori sono legati agli ' non sono convenzionali per nulla o che non lo sono rispetto
effetti: assicurarsi la recezione, entrare in vigore, e sollecitare allo scopo in questione; cosí si può persuadere qualcuno fa-
una risposta; e sono tutti ben distinti dalla produzione di ef- cendo dondolare dolcemente un grosso bastone o ricordando-
fetti che è caratteristica dell'atto perlocutorio. gli gentilmente che i suoi anziani genitori sono ancora nel
L'atto perlocutorio può consistere o nel raggiungimento di terzo Reich. Strettamente parlando, al contrario, non si potrà
un obiettivo perlocutorio (convincere, persuadere) o nella avere un atto illocutorio a meno che i mezzi impiegati non
produzione di un seguito perlocutorio. Cosí l'atto di avvertire siano convenzionali, e pertanto i mezzi per riuscire a com-
può raggiungere il suo obiettivo perlocutorio di mettere sull'av- pierlo non verbalmente devono essere convenzionali. Ma è dif-
viso e avere anche il seguito perlocutorio di allarmare; e ficile dire dove comincino e dove finiscano le convenzioni; è co-
un'argomentazione contro un'opinione può mancare di rag- si che si può avvertire qualcuno agitando il bastone o
giungere il suo obiettivo, ma avere il seguito perlocutorio di donargli qualcosa mettendogliela semplicemente in mano. Ma
convincere il nostro interlocutore della verità dell'opinione di- se io avverto qualcuno agitando un bastone, allora il mio agi-
scussa ("Sono riuscito soltanto a convincerlo"). Ciò che costi- tare il bastone è un avvertimento: lui può riconoscere molto
tuisce l'obiettivo perlocutorio di una illocuzione può essere il bene ciò che intendo: il mio atto gli apparirà un inconfondi-
seguito di un'altra. Per esempio, avvertire può produrre il se- bile gesto cli minaccia. Difficoltà analoghe si presentano nel ca-
guito di distogliere uno dal compiere un'azione, e dire "Non so del dare un consenso tacito a un accordo, o del promettere

RO lobo L. Austin

tacitamente, o del votare per alzata di mano. Ma resta il fatto INTENZIONE E CONVENZIONE
che molti atti illocutori non possono essere eseguiti se non di- NEGLI ATTI LINGUISTICI
cendo qualcosa. Questo è vero per l'asserire, l'informare (a dif- Peter F. Strawson
ferenza dall'indicare), il sostenere, il fare stime, il calcolare, il
giudicare; è vero della gran maggioranza dei verdettivi e degli
espositivi, anche se con molti esercitivi e commissivi accade
diversamente."

Intention and Convention in Speech Acts, in "Philosophical Rcview,"


73, 1964, pp. 439-60.

1. In questo saggio mi propongo di discutere alcuni problemi


concernenti le nozioni austiniane di forza illocutoria d'un enun-
ciato e di atto illocutorio eseguito dal parlante nel proferire
un enunciato.'
Vi sono due punti preliminari a cui devo accennare, se
non altro per sgombrare il terreno. Austin contrappone ciò che
egli chiama l'uso "normale" o "serio" del linguaggio a quelli
che chiama usi "eziolati" o "parassitari." La sua teoria della
forza illocutoria si riferisce essenzialmente all'uso normale o
serio del linguaggio e non, o non direttamente, agli usi ezio-
lati o parassitari; e lo stesso vale per i miei commenti sulla
sua teoria. Con ciò non intendo sostenere che la distinzione
fra uso normale o serio del linguaggio e gli usi secondari che
egli chiama eziolati o parassitari sia talmente chiara da non
richiedere alcun ulteriore esame; ma io assumerò che vi sia
da tracciare urla tale distinzione e non la esaminerò ulterior-
mente.
Il secondo rilievo preliminare riguarda un'altra distinzio-
ne, o coppia di distinzioni, tracciata da Austin. Austin distin-
gue la forza illocutoria d'un enunciato da ciò che egli chiama
il suo "significato" e fa distinzione tra gli atti illocutorio e
locutorio eseguiti nel proferire l'enunciato. Possono sorgere
dei dubbi circa il secondo termine di ciascuna di queste di-
stinzioni. Si può avere l'impressione che Austin non abbia cilia-

26 Per le definizioni di verdettivi, espositivi, esercitivi e commissivi, ' Tutti i rimandi, salvo diversa indicazione, si riferiscono a A USTIN
cfr. A USTIN [1962a], cap. XII. [Nel presente volume, cfr. Introduzione;
VENDLER [1970], (1978), S EARLF. [1975a], (1978a).1 1962a].

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