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Platone contrappone la filosofia ad altri metodi di educazione,primo tra tutti quello della retorica capeggiato da Isocrate; per Platone

la vera retorica quella che si fonda sulla piena conoscenza della verit e delle persone cui ci si rivolge,non come la intendevano tutti i suoi contemporanei: per Isocrate e tutti gli altri essa consisteva invece nel formulare discorsi eleganti ma privi di verit. Platone critica anche la poesia:Socrate stesso diceva che essa non un vero sapere,ma una forma di conoscenza infusa dalla divinit:il poeta infatti quando componeva era divinamente ispirato,la divinit si serviva di lui per comunicare (basti pensare ad Omero ,che parlava ammaestrato dalla Musa).Platone era appassionato di etimologia e si divertiva a dare interpretazioni sull'origine e la derivazione delle parole,che per lo pi erano errate;una di queste,per,era corretta:Platone fece derivare la parola "mantica" dal termine greco "mania", follia. Infatti quando si davano responsi si era come se fuori di s: a parlare era la divinit. Non significa comunque che la poesia non valga nulla (Platone stesso pu essere considerato poeta). Va senz'altro a proposito citato lo " Ione " , un dialogo platonico considerato " minore " , dove ben emerge come fondamento della poesia non sia la scienza , bens l'ispirazione . Protagonisti sono Socrate e Ione , un rapsodo . Ione si dichiara espertissimo di Omero e di tutte le sue opere , e ne d prova recitando a memoria i pezzi pi svariati . Ione ne sa davvero molto su Omero , ma Socrate gli dimostra che il suo sapere non si basa su conoscenza e scienza : un'ispirazione divina. Platone nella "Repubblica" fa considerazioni pi articolate e complesse rispetto a quelle di Socrate ,attaccando l'arte su due piani differenti:1)morale e pi banale rispetto all'altro:Platone,come gi Senofane ,sostiene che l'arte ci presenta gli dei o gli eroi con caratteristiche fortemente negative e che assumono atteggiamenti meschini e di basso valore morale (basti pensare all'ira di Achille );lo stesso vale anche per la musica,di cui Platone era esperto (si racconta che ormai in fin di vita,sentendo una fanciulla che suonava il flauto,le ultime parole che pronunci prima di morire furono di rimprovero perch ella aveva stonato):a quell'epoca vi erano diversi stili ben canonizzati e definiti,ognuno dei quali stimolava determinati sentimenti,positivi e negativi. Secondo Platone la musica che stimola sentimenti negativi va assolutamente censurata;al giorno d'oggi abbiamo criteri di giudizio differenti:un brano musicale o ci piace o non ci piace,indistintamente dal suo valore morale:per noi bello e brutto sono su un livello totalmente differente da buono e cattivo. Prendiamo per esempio i Carmina Burana di Orf, di orientamento filo-nazista:si possono apprezzare pur non essendo filo-nazisti. Presso di noi vige l'autonomia dell'arte,che Platone non ha riconosciuto:bello-brutto diverso da buono-cattivo e da vero-falso: in un libro di storia ricerco la verit,in un romanzo la bellezza...Platone era senz'altro molto attratto dalla questione del bello,che per lui aveva a che fare con la natura e non con l'arte:parla infatti di begli uomini,belle piante,belle azioni...Il suo giudizio puramente morale:se un'opera cattiva sul piano morale,anche se bella va censurata,il che rientra bene nella concezione di stato totalitario platonico. Bisogna comunque dire che era un concetto molto diffuso presso i Greci,che lo riassumevano nella "calogazia": non c'era differenza tra bello e buono. Abbiamo anche tirato in ballo la coppia vero-falso,di valenza gnoseologica; abbiamo gi detto a riguardo delle idee che il piano ontologico e quello gnoseologico corrispondono:vero e falso si identifica con essere e non essere;di conseguenza il falso va censurato.2)metafisico e di pi alto livello:in un primo momento Platone afferma dunque che le opere d'arte pericolose vanno allontanate;successivamente,non soddisfatto di quanto detto,sostiene che vadano censurate tutte dalla prima all'ultima. Quando un artista raffigura un corpo,secondo Platone,imita un corpo esistente in natura;ma abbiamo detto che per Platone le cose sono imitazioni delle idee. Le opere d'arte sono quindi a suo avviso imitazioni di imitazioni:se gi le cose sensibili sono inferiori alle idee,figuriamoci le opere d'arte:sono un gradino pi distanti e contengono un tasso di verit addirittura inferiore a quello delle cose:le opere d'arte impediscono all'uomo ancora di pi rispetto alle cose sensibili di conoscere le idee e vanno dunque bandite. L'arte diventa quindi negativa a prescindere dal fatto che stimoli buoni o cattivi sentimenti:il piano morale non conta pi. Sono affermazioni piuttosto strane,soprattutto se consideriamo che Platone stesso era un artista e dedic dialoghi al bello naturale,come il "Fedro" o il "Simposio".

Chiaramente aveva ben presente le capacit persuasive dell'arte. Tuttavia in epoche successive si sono usate queste stesse affermazioni platoniche per giustificare l'arte:essa non imita la realt empirica,ma le idee stesse ed strano che Platone non se ne sia accorto in quanto aveva tutti gli strumenti:i ritratti stessi (presso i Greci ancora di pi i busti) sono idealizzati;l'artista sfrutta il volto di chi deve ritrarre per poi passare all'idea vera e propria ( lo stesso del triangolo disegnato che serve per ragionare sull'idea di triangolo).Probabilmente per noi pi facile capirlo perch possediamo la macchina fotografica; facile per tutti capire la differenza tra un ritratto e una foto. Da notare,poi,che dalla scoperta della macchina fotografica in poi i pittori hanno cominciato a fare ritratti sempre pi astratti e meno realistici. Gorgia aveva dato grande importanza all'arte sganciandola dal piano ontologico:secondo lui dal momento che la verit non esiste,ci si pu creare un mondo proprio,dato che non c' un vero mondo:non si hanno vincoli imitativi;per Gorgia l'artista tanto pi bravo tanto pi riesce ad ingannare. Gli artisti secondo Platone,invece, con le loro "copie" precludono agli uomini la possibilit di conoscere. Altro motivo della condanna da parte di Platone che l'arte corrompe i giovani perch rappresenta l'uomo in preda alle passioni;vengono indotti a considerare normale una vita in balia delle passioni,dell'odio, dell'invidia...l'arte stessa sviluppa le passioni. Lo stesso Omero (che veniva anche definito "la bibbia dei Greci" dal momento che nelle sue opere si trovava un po di tutto:verit religiose,tecniche militari...)ha rappresentato i pi grandi eroi in preda a passioni. Platone nella sua condanna risparmia solo la musica e le poesie patriottiche che elevano l'uomo al grande dovere di sacrificio per la patria,ispirandosi al modello spartano,dove la musica patriottica aveva avuto importanza sul piano educativo. Tuttavia in altri dialoghi d un giudizio positivo rivalutandola completamente (egli stesso era un grande poeta).

Filosofia versus Poesia: Platone e i poeti di Susanna Mati


Biennale di Poesia Anterem, Biblioteca Civica di Verona, 15 Novembre 2008 LAltro per eccellenza rispetto alla Filosofia: la Poesia, vera amica stellare. Una lunga tradizione filosofica ci conduce a questidentificazione dellamica-nemica: da Platone fino a Heidegger, passando per Leopardi, Hlderlin, la tradizione idealistico-romantica, ecc. Vicinanza-lontananza philosophia-poiesis: poeta e pensatore (custodi della dimora dellessere) abitano vicini su due alture separatissime - stanno su due vertici alla stessa altezza, ma divisi. Si tratta della grande lotta interna al dire umano, di uninsistente rivalit che persiste nel corso dei millenni tra le due pi alte espressioni della vita umana, poesia e filosofia, le quali da sempre si contendono il primato dello spirito in rapporto al tentativo di esprimere una/la verit. Nessun facile irenismo (lovviet che ognuno esprime la verit, una parte di essa, a modo proprio, col proprio linguaggio), bens lotta, agonismo, rivendicazione di una supremazia (Platone: ribadire la supremazia della philo-sophia, in quanto ricerca, ovvero sapere senza contenuto, superiore alle forme artistiche, cos come alle produzioni della techne). Qui sta la radice del problema (leibniziano-borgesiano, ma anche, tra laltro, givoniano): filosofia come romanzo? Il romanzo erede della fabula mitologica, passando per la Sage? E la filosofia solo una narrazione, cio un romanzo inconsapevole? QuellAltro, insomma, forse lo Stesso, il Medesimo? In Platone la poesia (tragica) la grande nemica; sorge qui, sul crinale della pi decisiva delle crisi e degli agoni, la palaia diaphora (Resp. X, 607 b), lantico dissidio, lantica inimicizia tra philosophia e poiesis analoga al sacro sgomento col quale Nietzsche stava davanti allatavica contesa tra arte e verit. Inizia la grande lotta che porta alla cosiddetta condanna dellarte (libri II, III, e, con motivazioni diverse, Resp. X). (Platone riguardo allarte molto pi provocatorio, pi attuale, pi produttivo ad es. della Poetica di Aristotele).

Chi il poeta in Platone? Il poeta un mentitore, un essere policefalo, multiforme, sfuggente come Proteo, un hypokrites: un mimetes. Problema della mimesis (Resp. X) = non tanto imitazione, quanto ri-produzione, cio ri-creazione (ex novo, di fatto). La somiglianza col sofista evidente, anche nellabuso che entrambi fanno della potenza di apate, linganno - la psicagogia (II-III Resp.), la teo-logia falsa del mito e dei poeti. Poeta e sofista si sottraggono alla decisione inequivoca per la verit, da una parte grazie ad un relativismo o pragmatismo, dallaltra per la necessit dellelemento illusorio proprio della coscienza estetica. Mentre la verit non equivoca, come la congerie mitico-tragica vorrebbe farci credere, bens univoca, secondo Platone. Nulla esisteva di tanto sottratto al principio di non-contraddizione (e a quasi tutti i principi della logica) come il racconto mitico, la fabula; le varianti mitiche sono dei veri compossibili (a-dogmatismo della mitologia, tolleranza). Platone invece combatte, contraddice apate, la dea Apate, lInganno archetipico Schelling: dal quale ha origine la mitologia figlia della nera Notte (Esiodo, Teogonia): Ate Apate Peith. Nel testo platonico si attua una vera e propria critica della coscienza estetica, come nota finemente Gadamer (Platone e i poeti). Lesperienza vissuta dal rapsodo, dal poeta, e in ultimo dallo spettatore gi in se stessa senza aggiungervi necessariamente la menzogna esplicita del detto corruttrice per lanima, portatrice di una falsa morale, di un traviamento insano; loblio estetico di s consegna alla facile psicagogia delle passioni squilibranti, fa prendere il sopravvento alla parte irrazionale dellanima, sovverte le gerarchie conoscitive: perde, disperde lindividuum. La mimesis artistica rende luomo doppio e molteplice, introduce consapevolmente in un mondo di finzioni condivise, pretende che si rinunci al sacro potere dellautocoscienza, della vigilanza. La coscienza estetica ci espropria, portandoci fuori di noi, in ekstasis come avviene al poeta, lape delle Muse che per sorte divina (theia moira) en-theos e ek-phron (Ione, 534 b-c): nel dio, e fuori dal senno. E tuttavia Platone non pu appunto rinunciare alla concezione greca secondo la quale il poeta anche un essere divino: nel Fedro la mania un dono divino, ben superiore alla stessa sophrosyne. Nello Ione la sapienza poetica considerata pi vicina alla specie mantica e alla potenza magnetica. una theia dynamis, una forza divina a spingere il poeta, come accade per la pietra chiamata magnete; la quale non solo attrae a s gli anelli di ferro, ma infonde loro una potenza tale che permette di esercitare lo stesso potere, quindi di attrarre altri anelli, in modo da formare una lunga catena magnetica di elementi collegati, partecipanti del medesimo influsso, caduti sotto lo stesso potere. Tutti gli anelli stanno da ultimo appesi al monstruum della Musa, e non forse questa lultima delle ragioni per cui la parola poetica pu mandare in perdizione. La Musa il Magnete originario che rende ispirati, che in primis possiede; la poesia si origina infatti dal dio, conferma Platone, per poi passare attraverso gli entheoi, i posseduti, gli invasati; essi attingono alle fonti del miele delle Muse, portando a noi questi doni come api. I poeti dicono la verit appunto perch sono fuori di s, esseri eterei, alati, sacri, la cui mente si svuotata per esser capace di accogliere il divino: allho theos autos estin ho legon: ma colui che parla attraverso di loro il dio stesso. Il poeta dunque solo un hermeneus, un mediatore ermetico del dio, un vate, un recipiente il cui dono divino consiste nel conservarci le parole dette dagli di (Ione, 533 d535 a). Ermetismo puro la calamita-calamit della poesia. Ione: finale in cui Socrate chiede al rapsodo Ione se vuol esser detto un uomo ingiusto (adikos, senza equilibrio nellanima, squilibrato, scorretto), oppure un uomo divino. Questa ambiguit rimane sempre indecisa in Platone. Il poeta cio ci custodisce e ci trasmette la Parola divina della Musa (cfr. Mario Luzi, altezza della nominazione): e tuttavia il poeta mente. Non solo mente, ma non sa nemmeno dove stia la verit. Paradosso di un uomo divino, e ingiusto allo stesso tempo. Disposizione estetica (ovvero sospensione del principio di realt, disponibilit allillusione, cospirazione nellinganno) ed estatica (ovvero svuotamento di s per far posto alla voce divina, che simpadronisce dellanima, del daimon): queste due condizioni spossessano lautocoscienza e lequilibrio della psyche, rimuovono momentaneamente la sophrosyne, e sono richieste fino allultimo anello.

Si deve cedere allenthousiasmos, cedere alla presenza/parola del dio, disfarsi della mortalit per vivere nel tempo degli immortali, congiunti alleterno o almeno per fingerselo, affabulandosi, trasfigurandosi. E tuttavia: questo atteggiamento giusto? Partecipa di Dike, conforme allordine corretto? Platone non ha dubbi: per lanima, latteggiamento estetico ingiusto; in quanto parziale, squilibrato, transitorio, ambiguo. Questatteggiamento richiede lambiguit della mania, fa delluomo un burattino degli di (o, che lo stesso, delle sue stesse finzioni). Solo per breve tempo luomo sopporta la presenza divina; altrettanto poco dura linganno. La condizione del poeta divino dunque effimera (estremamente inadatta, dannosa per la fondazione di una polis-psyche giusta, armonica, equilibrata: ecco la condanna nella Repubblica). Perch mai svuotarsi della mortalit, dimenticare la sua peculiare condizione, i suoi tremendi, costanti bisogni di appiglio, di misura, di sicurezza? Dovremmo forse comportarci o parlare come di? Dovremmo forse perderci nellinforme, nellindeterminato, nellaorgico del divino ins Ungebundene, nellabsolutus? E quale ordine di verit proclameremo, tramite le parole della poesia? Non saranno, queste parole, sempre in contrasto con gli ordini reali-razionali che luomo si sforza di creare intorno a s? E daltra parte non avranno preventivamente dimenticato lesistenza di una verit ultima, non affabulabile, scevra da inganno, semplicissimamente intelligibile? In conclusione, per poter essere poeta, bisogna decidere in noi stessi il filosofo. Non bisogna cio farsi guidare dalla volont di verit, e dallempiet disincantante che essa comporta, ma al contrario essere disposti a farsi ingannare, a vivere la fabula dellillusione, a cedere al potere magnetico, calamitante dellarte. Ma come potr conciliarsi questo atteggiamento di sospensione estetica con la quieta, trasparente unit dellessere vero, dellessenzialissimo monoeides, che non ha bisogno di inganni? per colpa della poiesis che si costretti ad affermare lessere del non-essere, a causa dellinstabilit che essa insinua che tutte le cose precipitano in uno stato di oscillazione, e che va di conseguenza compiuto il parricidio della dottrina parmenidea (Sofista). Lessere si rivela tragicamente inconciliato, larmonia il luogo che manca ai nostri discorsi, e che essi rincorrono come la loro ulteriorit puramente possibile. E nonostante ci, il poeta e rimane un essere divino (aner theios, Ione 542 a), per quanto egli sia sicuramente adikos. Le ragioni della condanna dellarte sono dunque di due ordini: non solo linganno della mimesis che Platone condanna (verso lalto, per cos dire, per motivi ontologici); anche, specularmente (e verso il basso), il fatto che il sapere poetico inadatto alla polis, alla sua fondazione, al suo realistico mantenimento. Il tragico sicuramente la chiave del rapporto tra poesia e filosofia; non infatti anche quella della filosofia una decisione tragica? Platone lo confessa apertamente: per poter proseguire nel ragionamento (Rep. X, 608 a), per salvare la potenza razionale del logos (che forma, ordinamento, distanza, salute), per far questo che occorre bandire il poeta dalla polis. La sua, quella del filosofo, la pi tragica krisis, la pi sconcertante rinuncia, la decisione pi cruciale. Per non essere doppio, egli toglie-via, de-cide, rinuncia alla poesia. E la decide in se stesso. dalla polis della psyche che Platone bandisce il poeta (tutta largomentazione della Repubblica basata infatti sulla stretta e puntuale analogia tra citt e anima): ma dopo averne assorbito tutte le capacit, dopo averne bevuto il nettare inebriante fino allultima goccia. (Il giovanissimo Platone, il miglior figlio dellEsperia, bruci tutte le tragedie da lui composte per poter convertirsi alla filosofia). Ed con coscienza affilatissima che Platone non vuole pi essere poeta. Platone si strappa un pezzo danima. Decidere il poeta in se stesso pare dunque essere la tragica condizione per diventare filosofo.

Tuttavia, nonostante la decisione di Platone, poesia e filosofia rimangono sorelle, e continuano lifelong a sorvegliarsi. Non a caso entrambe si emancipano, mediante un faticoso procedimento di chiarificazione, dalla radice comune del mythos radice con cui i conti non saranno mai chiusi dalla quale divergono gi da sempre, discostandosene con latto stesso del loro sorgere, in un momento senza memoria, separandosi alla nascita. Poesia e filosofia, da Pindaro ai tragici a Eraclito o Pitagora, iniziano entrambe con una critica al mito (critica che prosegue in Platone, accentuata dalle motivazioni relative alla paideia), o meglio con un tentativo parallelo di catarsi di ci che nel mito era inaccettabile. La poesia pretende di essere il vero mito, cos come il mito lanima della tragedia. Anche la filosofia, in un altro senso, pretende di essere il vero mito. Platone mitologizza nel costruire la sua citt il suo uno Stato nei discorsi, la cui possibilit data dalla filosofia stessa, dallulteriorit possibile che questa indica. Per tacere ovviamente delluso esplicito dei miti Se mythos parola-racconto-discorso, origine muta di tutte le parole, allora entrambe ne partecipano come modi eccellenti di creazione, e le loro parole potranno rispecchiare creativamente quellindicibile, quelloriginale mancante: entrambe funzioneranno cio per mimesis, per imitazione poietica, per ricreazione, ri-produzione: entrambe saranno arti mimetico-tragiche, nelle quali la parola vola pi alta possibile. Il poeta non potr pi parlare la parola della Musa, il filosofo non si appeller a nessun fondamento. Tragico l(im)possibile ulteriore della poesia, non meno tragico l(im)possibile ulteriore della filosofia. E tuttavia: saranno per questo solidali, o addirittura simili? Sar placata con cos poco la loro rivalit? Al di l delle facili e apparenti sintonie tra poesia e filosofia, qui ci si gioca il dominio sulla parte pi sublime dellanima umana: e chi non straziato dallaut aut, ma anche dallinsondabile, misteriosissima solidariet degli opposti, non degno di esser detto n poeta n filosofo. questa, scrive Leopardi, la nemicizia giurata e mortale tra poesia e filosofia, che ci rende insieme freddissimi ragionatori e ardentissimi poeti, in unalternanza drammatica di incantesimo per via dillusione e disincanto. Per questo motivo, pensa il divino Platone, noi filosofi, quando giungeranno in citt poeti tragici, i figli delle tenere Muse, gli esseri divini, riconosceremo tramite i loro espedienti i nostri antitechnoi, in loro stessi i nostri antagonistai nellimmane dramma della parola, e diremo loro: Ottimi ospiti, noi stessi siamo poeti di una tragedia (hemeis esmen tragodias autoi poietai) che, nei limiti del possibile, la pi bella e la pi nobile; tutta la nostra costituzione non che imitazione della vita migliore e pi bella (mimesis tou kallistou kai aristou biou), il che per noi costituisce in realt la tragedia pi vera (tragodian ten alethestaten). Voi siete poeti, e anche noi siamo poeti del medesimo genere, vostri rivali nellarte, vostri antagonisti nella composizione del pi bello dei drammi (Poietai men oun hymeis, poietai de kai hemeis esmen ton auton, hymin antitechnoi te kai antagonistai tou kallistou dramatos), che solo la vera legge (nomos) pu condurre a compimento, secondo la nostra speranza (elpis) (Leggi VII, 817 b).

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