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I dialoghi platonici secondo Trasillo (riassunti dal prof.

Diego Fusaro)
PRIMO PERIODO :
1 Eutifrone

L'interlocutore che d il nome al dialogo ( che porta anche il titolo " Sul santo " ) una
figura di " sacerdote " di ben modesta statura morale . Qualcuno pensa che possa essere
la stessa persona di cui si fa menzione nel " Cratilo " . Nel nostro dialogo Eutifrone un
personaggio gretto e di statura morale assai piccola . Egli fa il processo al padre non per
malvagit , n per ambizione , ma per cortezza di mente e piccolezza d'animo . Nel suo
fanatismo intollerante e nella sua sicurezza farisaica , non sa vedere la realt nelle sue
giuste proporzioni . In sostanza , non in malafede , in quanto convinto di dover agire
contro il padre per non " contaminarsi " ; ma oltre che vittima di un concetto di
contaminazione estremamente ambiguo , in errore in molti sensi . Ci che Platone vuol
suggerire con questo personaggio , quanto segue . Eutifrone , sacerdote della religione
ufficiale , che professa con tanta sicurezza di possedere l'esatta conoscenza del santo e
dell'empio , non riesce , nella discussione con Socrate , se non a contraddirsi e a
confondersi , mostrando di avere conoscenze tutt'altro che chiare ( crede di fare cose
sante accusando il padre , mentre cade nell'empiet ) . Pertanto la religione ufficiale che
Eutifrone rappresenta non ha affatto un adeguato concetto di santo . Il corretto concetto
di santo pu , invece , additarlo a Socrate , che ha superato quella fallace credenza sugli
dei , con una ben pi alta visione della divinit : proprio quella concezione che voleva
insegnare agli Ateniesi e per cui stato condannato .

2 Apologia

" L'apologia " , per fortuna , resta un dialogo giovanile nel quale Platone descrive il
processo che decret la condanna a morte di Socrate . E' proprio in questo dialogo che
emerge fortemente la differenza tra Socrate ed i sofisti : i sofisti pronunciavano discorsi
raffinati ed eleganti , ma totalmente privi di verit : per loro l'importante era parlar
bene , avere un buon effetto sulle orecchie degli ascoltatori . Per Socrate invece quel che
pi conta la verit : lui si proclama incapace di controbattere a discorsi cos eleganti e
ben formulati (ma falsi) . Socrate , pur non tenendo un'orazione raffinata , dice il vero :
la critica ai sofisti verr poi ripresa da Platone stesso . I sofisti puntavano a stupire
l'ascoltatore , dal momento che erano convinti che la verit non esistesse (soprattutto
Gorgia . Socrate per difendersi in tribunale non pronuncia un discorso (come i sofisti) ,
ma imposta un dialogo botta e risposta : proprio dal discorso che viene a galla la verit
(Platone dir che il discorso tra due o pi individui come lo scontro tra due pietre dal
quale nasce la fiamma della conoscenza) . Lo stile oratorio di Socrate scarno , secco e
quasi familiare , modulato a seconda dell'interlocutore . Il punto di partenza del discorso
socratico la cosiddetta " ironia socratica " , ossia la totale autodiminuzione , " io non so
, tu sai " . Cos inizia anche " L'apologia"

3 Critone

Il tema della condanna di Socrate viene da Platone affrontato ( oltre che nell' " Apologia
" e nel " Fedone " anche nel " Critone " , dialogo che prende il nome da Critone , un
agiato ateniese coetaneo di Socrate e , come ci dice Senofonte , suo discepolo
devotissimo . La scena si svolge nel carcere in cui Socrate deve soggiornare in attesa della
morte : Critone arriva in carcere al sorgere del sole per avvisare Socrate dell'arrivo della
nave da Delo : prima del suo arrivo , infatti , non potevano aver luogo le condanne
capitali . Critone cerca di persuadere Socrate ad evadere : tenta di convincerlo dicendo
che se non fuggir la gente biasimer i suoi amici per non averlo aiutato : ma Socrate gli
dice che le persone pi accorte , invece , oltre ad apprezzare i suoi discepoli perch hanno
provato ad aiutarlo , apprezzeranno anche lui perch non ha trasgredito la legge ;
Critone dice poi che tutte le difficolt pratiche che la fuga comporta sono superabili ( il
denaro per corrompere le guardie del carcere non manca e neanche le persone fuori da
Atene pronte ad aiutarlo ) e che rimanendo in carcere Socrate dannegger se stesso , i
figli ( che abbandoner senza poterli allevare ) e gli amici ( che gli sono molto affezionati
e che se la prenderebbero comunque con Critone che non stato in grado di farlo
evadere ) . Poi prende la parola Socrate , che si ostina a preferire la permanenza in
carcere : a sua difesa dice che la vita di un uomo deve essere coerente con le sue
dottrine : la legge non va violata in nessun caso ( Socrate l'ha sempre sostenuto nel corso
della sua vita ) : Socrate ha sempre rispettato le leggi e non vuole violarle proprio ora :
una legge , anche se ingiusta , non va trasgredita , ma bisogna battersi per farla cambiare
in meglio , a vantaggio proprio e degli altri concittadini . Socrate , poi , ormai vecchio e
trasgredire le leggi dopo aver condotto una vita corretta , il tutto per vivere solo i pochi

anni di vita che gli resterebbero , sarebbe un'assurdit , un'incoerenza : gli conviene
morire , ma poter dire di essere sempre stato coerente . Il problema di fondo se evadere
sia giusto oppure no : per Socrate chiaramente non lo , e commettere ingiustizia
gravissimo e pi dannoso per chi la commette che non per chi la subisce : per Socrate
addirittura pi dannoso il trasgredire le leggi rispetto all'essere uccisi . Critone , per ,
gli fa notare che la gente comune favorevole alla sua evasione e che d'accordo con
Critone stesso ; ma Socrate dice che non si devono seguire le opinioni di tutti , ma solo di
colui che effettivamente sa : lui convinto di sapere ci che fa e quindi vuole procedere
per la sua strada . Anche vicino alla morte Socrate continua a filosofare e pronuncia una
celeberrima frase : non bisogna tenere in massimo conto il vivere come tale , bens il
vivere bene , ed il vivere bene lo stesso che il vivere con virt e con giustizia .

Ione

Ione viene descritto all'inizio con l'articolo premesso al suo nome ( " tn Iona " ) , che
indica personaggio noto ( come anche in Italiano , ad esempio , si dice il Manzoni , il
Petrarca ... ) Tuttavia , paradossalmente , il personaggio non noto da altre fonti .
Rappresenta in modo emblematico il rapsodo e la sua professione ( come Timeo
rappresenta il pitagorico ) . il rapsodo per parecchio tempo presso i Greci ebbe il ruolo di
recitare le poesie e in particolare i poemi omerici . Recitavano a memoria su una specie
di palco , anche con abilit di attori , con attraenti vesti e ben adornati . Dapprima
accompagnarono la recitazione dei poemi con il suono della lira ; successivamente
tennero in mano una verga a m di scettro . Nelle grandi feste partecipavano a gare
organizzate nelle maggiori citt greche . Ebbero all'inizio molta importanza nella societ
greca in quanto costituirono uno strumento di comunicazione significativo nell'ambito
della cultura consegnata prevalentemente all'oralit . La loro massima diffusione ebbe
luogo nei secoli quinto e quarto ; ma non tardarono le critiche , col nascere e diffondersi
di una cultura critica . Erano giudicati in possesso di non adeguate e poco attendibili
conoscenze . Lo Ione appunto un documento esemplare di queste critiche , che sono poi
particolarmente severe in Senofonte ( Memorabili , 4 , 2 , 10 ) . Tuttavia non il rapsodo
come tale il centro focale del dialogo : Platone , partendo dal rapsodo , mira a chiarire
quale sia la natura del fatto artistico e del poeta : fondamento della poesia non la
scienza , ma l'ispirazione .

Ippia maggiore

I personaggi dellIppia Maggiore sono tre , due presenti sulla scena del dialogo , il terzo
cos insistentemente evocato da Socrate da essere , a sua volta , quasi visibile agli occhi
del lettore . Si tratta di Ippia , di Socrate e di uno Sconosciuto , un anonimo , chiamato in
causa dal filosofo con insistenza . Ippia era un famoso filosofo nativo di Elide , vissuto
nella seconda met del quinto secolo a.C. Dotato di memoria straordinaria , eresse ad
arte sistematica la mnemotecnica ; geniale , versatile , era anche caratterizzato da una
sconfinata vanit e da un sensibile amore per la ricchezza ; va poi ricordato che Ippia
era un accanito sostenitore della " polimatha " , ossia del sapore enciclopedico . Ippia
nel dialogo pieno di s ( proprio come nell' " Ippia Minore " ) , tracotante . Egli
erudito , dotato di svariate capacit e di notevoli abilit nello sfruttarle . Gli mancano
tuttavia , forse nell'Ippia Maggiore ancora di pi che nell' " Ippia Minore " , la finezza
psicologica e l'intelligenza speculativa necessarie per seguire il ragionamento socratico ,
per superare il piano dell'esperienza ed approdare ad esiti qualitativamente diversi .
Ippia non coglie la differenza tra una cosa bella e il bello in s , non capisce la vera
natura dello Sconosciuto che tormenta Socrate . Il dialogo per lui si riduce ad una sorta
di monologo , da cui emerge con le proprie certezze intatte e con molti dubbi sul modo di
procedere di Socrate . Non in grado di risolvere il problema posto da quest'ultimo , ma
neppure disponibile ad apprendere qualche cosa di nuovo e di diverso dalle bellezza .

Ippia minore

Questo dialogo , come l'Ippia Maggiore , dedicato al famoso filosofo nativo di Elide ,
vissuto nella seconda met del quinto secolo a.C. Dotato di memoria straordinaria ,
eresse ad arte sistematica la mnemotecnica ; geniale , versatile , era anche caratterizzato
da una sconfinata vanit e da un sensibile amore per la ricchezza . Socrate , che tratt
tutti i grandi sofisti con una sorta di rispetto compatibile con la profonda diversit delle
rispettive concezioni di vita , spietatamente ironico nei riguardi di Ippia . Questi
appare costantemente inadeguato nei confronti dei problemi affrontati , in genere
addirittura incapace di afferrare la vera natura e portata , sempre impossibilitato a

proporre per essi una accettabile soluzione . La discussione tra lui e Socrate assume a
volte sfumature grottesche ed eccenti di assurdit , perch pi che mettere in evidenza
una divergenza di opinioni , rivela l'appartenenza dei due a sfere di pensiero talmente
estranee l'una all'altra , da rendere impossinbile una reale comunicazione reciproca .
Ippia ha comunque una capacit di ripresa eccezionale , quando capisce di essere in
difficolt ; la sua fiducua in se stesso incrollabile e non si lascia scalfire neppure in
superficie dalle critiche dell'avversario . Egli fa ricadere su Socrate e sul suo metodo di
indagine la totale responsabilit del fallimento della ricerca , da cui esce indenne ed
ulteriormente imbaldanzito . Platone ne fa un personaggio vivace , gli riconosce doti non
comuni di erudizione e di personale abilit , ne evidenzia il successo in termini di fama e
denaro , ma ironizza senza piet sulla sua statura umana e sulla sua inconsistenza di
educatore e filosofo .

Lachete

In questo dialogo compaiono un discreto numero di personaggi , anche se il contributo


dato da alcuni di essi si limita a poche battute . Socrate in quest'opera , che si svolge
dopo la battaglia di Delio ( 424 a.c. ) , ha all'incirca 45 anni e si dichiara pi giovane di
Nicia e di Lachete cui cede il diritto di parlare per primi . Nel Lachete in particolare
Socrate riveste la medesima funzione che ha nel Carmide , quella cio di maestro
eccellente , richiesto , che conserva autonomia di scelta nei confronti dei suoi discepoli .
In pi di un passo del Lachete addirittura oggetto di autentica ammirazione da parte
dei presenti che , pur non comprendendolo a fondo , ne celebrano il metodo e il forte
ascendente sui giovani . E' per un Socrate gi proiettato in una luce pienamente
platonica , in cui emergono tematiche anticipatrici della maturit del discepolo . Chi
codesto Lachete che d il nome al dialogo ? E' un militare senza interesse n attitudini
per il mondo politico . Di lui lo storico Tucidide dice che fu un grande generale , un
grande uomo d'armi , distintosi in numerosi frangenti durante la guerra del Peloponneso
e morto nella battaglia di Mantinea del 418 a.c. E' una figura molto diversa da Nicia e si
distingue soprattutto per la concretezza e la linearit del suo discutere . Nicia , a
differenza di tutti gli altri personaggi del dialogo , fu davvero una figura
importantissima per la storia greca . Colto , moderato , raffinato fu un gran rivale del
partito democratico . Fu fautore della pace che porta il suo nome ( 421 ) tra Atene e
Sparta . Il dialogo si svolge in una palestra non ben identificata in cui Socrate
casualmente presente . La data cui il dialogo risale all'incirca il 424 - 423 a.c. poich si
allude alla battaglia di Delio . Il tema della discussione il valore dell'esercizio delle armi
. Interviene Nicia che sostiene che l'esercizio delle armi sia utilissimo , soprattutto per i
giovani : in primis bene che non perdano tempo in stupidi passatempi che non giovano
al fisico . Poi anche utile perch saranno avvantaggiati nelle battaglie , ed in una societ
come quella greca esse erano all'ordine del giorno . La guerra , secondo Nicia , ha il
potere di rendere coraggiosi : chi l'ha fatta pi coraggioso rispetto a chi non l'ha fatta .
Lachete dal canto suo dice che utile apprendere tutte le discipline , inclusa quella della
guerra . Per mentre nella citt in cui ci sono i migliori artisti tutti vanno per ammirarli
e apprendere , a Sparta , citt maestra nell'arte della guerra , non ci va nessuno per
ammirare o per apprendere , ma anzi tutti girano alla larga , dice Lachete : l'arte della
guerra per lui non utile come per Nicia . A Lachete , saggiamente , pare che un vile con
la guerra risulterebbe ancora pi vile perch mostrerebbe ancora di pi la sua vilt ,
mentre per un valoroso osservato da spettatori commettere un errore potrebbe costargli
critiche spietate . Anche Socrate dice la sua : chi il pi esperto nell'arte della
ginnastica ? O meglio , come lo si individua ? E' quello che l'ha studiata pi a fondo e si
esercitato sotto la guida di buoni maestri . Certo ci sono anche coloro che riescono senza
l'aiuto di maestri , ma nessuno si fida di loro finch non provano concretamente le loro
abilit . Nicia prende la parola e fa apprezzamenti su Socrate e Lachete : dice che
Socrate vuol sempre aver ragione , che riesce sempre a portare il discorso dove vuole e
che non risponde mai alle domande che gli si pongono . Lachete e Lisimaco , un altro
personaggio del dialogo , invitano Socrate a parlare perch a loro piace il suo modo di
fare . Socrate arriva a dire che il coraggio , visto che su quello che volge la discussione ,
una parte della virt . Ma che cosa il coraggio , chiede Socrate ? Lachete dice che il
non fuggire di fronte ai nemici . Socrate gli fa notare che una definizione troppo
generica , e per di pi si pu anche fuggire dai nemici combattendoli in fuga . Socrate gli
dice che se uno gli domandasse che cosa la velocit , lui direbbe che cosa
relativamente alla voce , relativamente alle gambe , al pensiero ... Poi invita Lachete a
dare una risposta del genere a riguardo del coraggio . Egli dice che una sorta di forza

d'animo . Ma Socrate gli fa notare che quanto ha detto incoerente perch cos come se
il coraggio fosse una forza illuminata dall'intelligenza . Si potrebbe forse chiamare
coraggioso uno che dimostrando forza d'animo spendendo saggiamente denaro in vista
di maggior profitto ? O se un medico davanti a un paziente malato di pleurite che gli
chiedesse da bere e da mangiare non si lasciasse convincere e resistesse con forza
d'animo alle richieste sarebbe coraggioso ? No di certo . Lachete imbarazzato per la
stoltezza che ha detto e d ragione a Socrate . Poi interviene Nicia che dice pi spavaldo
che mai che il coraggio scienza . Ma che scienza ? Chiede Socrate . Di certo non la
scienza del citaredo , n quella del flautista . E di cosa allora ? Nicia arriva a dire che il
coraggio la scienza delle cose da temere e di quelle da osare , non solo in guerra
( perch sarebbe troppo generico ) , ma in ogni circostanza . Lachete pensa che Nicia stia
dando i numeri : il coraggio come pu essere scienza ? Il medico , ad esempio , colui che
conosce i pericoli nelle malattie , il contadino quello che conosce i pericoli connessi
all'attivit agricola , e tutti gli altri artigiani conoscono sia gli aspetti sicuri sia quelli
pericolosi a riguardo della propria arte . Quindi la scienza del coraggio non pare
esistere . Ma Nicia fa notare che se per l'ammalato motivo maggiore di timore il vivere
del morire , il medico pu saperlo ? Per molti sarebbe meglio non riprendersi dalla
malattia e morire : i medici possono saperlo ? Quelli che preferiscono morire temono
altre cose rispetto a quelli che preferiscono vivere . Dipende dal singolo se preferisce
affrontare o meno un pericolo . Socrate per fa notare che coraggio non sinonimo di
temerariet n di vigliaccheria : una giusta via di mezzo , che varia a seconda dei casi .
Poi Socrate riprende la definizione di Nicia : il coraggio la scienza delle cose da temere
e di quelle da osare . Il coraggio per Nicia una scienza e , come tutte le scienze , non
conosce solo i mali ed i beni futuri e presenti , ma anche i passati . Il coraggio
diventerebbe cos scienza di tutti i beni ed i mali di tutti i tempi : allora sarebbe la virt
intera ! Ci deve essere qualcosa che non quadra in quanto ha detto Nicia . In conclusione
Lisimaco chiede a Socrate se aiuter a rendere i giovani quanto migliori possibili . Ma
Socrate dice , con la solita autodiminuzione , che non ne sarebbe degno , e emerso
anche dal dialogo : come tutti gli altri , anche lui si trovato in difficolt nel definire il
coraggio .

Liside

Dei personaggi del Liside non si sa molto . Sembra quasi che Platone , volendo trattare
dell' amicizia , cio di un sentimento che pu riguardare ogni uomo , non si sia
preoccupato di scegliere interlocutori noti , ma abbia piuttosto puntato sulla giovane et
dei medesimi , perch la considerava la pi adatta e naturale per il sorgere di legami
profondi . Questi personaggi , pertanto , hanno in comune una grande disponibilit al
sentimento dell' amicizia e dell' amore ed una grande freschezza nel viverli . Pare che
Liside sia realmente esistito ; sarebbe stato figlio di Democrito del demo di Aissone e
avrebbe avuto una figlia di nome Istmonike . Nel dialogo presentato come un ragazzo
giovane ed ancora sotto la rigida tutela dei genitori , ma animato da un vivo desiderio di
apprendere da chi ne sa di pi di lui , tramite la discussione . Legato a profonda amicizia
a Menesseno tanto da suscitare l' ammirazione e l' invidia da parte dello stesso Socrate
per il possesso di un tale bene , ha anche un asopetto molto attraente e fa nascere un'
intensa passione in Ippotale . Chi sia costui , non si sa esattamente . Nel dialogo
portatore di un modo di amare , sicuramente sincero ed appassionato , ma destinato a
suscitare le ironiche battute di Ctesippo e degli amici , perch inconcludente e senza
speranza , ed anche gli acuti ed efficaci rimproveri di Socrate , cui egli si rivolge per
avere consigli . Ctesippo che , con Ippotale , si fa incontro al filosofo non appena lo vede e
lo invita ad unirsi a loro , era un discepolo di Socrate che assistette alla sua morte ed
anche presente nell' Eutidemo come interlocutore . La sua , nel dialogo , una funzione
unicamente drammatica che svolge con vivacit e suscitando simpatie , ma non ha
rilevanza per l'approfondimento della tematica . A Menesseno legata una parte del
dialogo , quella in cui Socrate cerca di precisare chi sia l' amico , se chi ama o chi amato
e che si conclude nel giro di breve tempo con il riconoscimento , da parte del giovane ,
della mancata correttezza nell' impostazione della ricerca . Nelle ultime battute del
dialogo compaiono anche i pedagoghi di Liside e Menesseno , a conferma ulteriore della
giovane et dei ragazzi e per permettere di sciogliere con un buon pretesto una riunione
da cui , per il momento , non poteva emergere pi nulla di interessante . Per quanto
riguarda Socrate , egli resta la voce fondamentale cui Platone affida un preciso
messaggio ; interlocutore acuto e brillante , lascia intendere di sapere molto pi di quello
che dice e di essere in grado di spingere il proprio sguardo ben oltre i limiti del dialogo .

Il luogo di svolgimento del dialogo una palestra di recente costruzione , situata lungo la
strada che passa presso le mura di Atene .

Carmide

Socrate, la voce narrante di questo dialogo, racconta di essersi recato in una palestra
ateniese - tradizionale luogo di ritrovo - reduce dalla battaglia di Potidea, una colonia
calcidica tributaria di Atene, che nel 433 si ribell al suo dominio e fu attaccata l'anno
successivo. Questo fu uno degli episodi che diedero origine alla guerra del Peloponneso.
Ma la battaglia di Potidea appena menzionata. Socrate preferisce riferire
dettagliatamente della conversazione, apparentemente frivola, con il giovanissimo
Carmide, cugino di Platone e di Crizia.Carmide e Crizia, poco meno di tre decenni
dopo, faranno parte dei Trenta tiranni. Il riferimento a queste circostanze pu far
pensare che la guerra menzionata di sfuggita, la presentazione di un tiranno nelle vesti di
un bellissimo ragazzo e l'elogio della sua ascendenza, che quella stessa di Platone, siano
un espediente ironico per permettere all'autore del dialogo di riflettere su se stesso e sul
proprio ruolo in quanto filosofo e parente di tiranni. Crizia dice a Socrate che Carmide
nello stesso tempo philosophos e poietikos, e acconsente a farlo conoscere a Socrate,
facendo passare quest'ultimo per un medico in grado di curarlo dai mal di testa di cui
soffre. In bocca a Crizia, la sophia di cui amico Carmide non sentita in contrasto con
la poesia. Il filosofo, tuttavia, viene presentato al futuro tiranno sotto una veste
esplicitamente pretestuosa: quella di un medico, cio di un "tecnico" che pu giovare alla sua
salute: portatore, dunque, di un sapere settoriale - che agli occhi di un profano non si distingue
dalla
magia
e
non
di
una
scelta
di
vita
complessiva.
Socrate, per, racconta al ragazzo che non si pu curare la testa senza curare il corpo inteso
come un intero [156c] e che non si pu curare il corpo senza tener conto della psiche o anima:
le malattie coinvolgono la persona nella sua totalit.Con questa mossa, Socrate, sebbene
presentato come competente in un sapere settoriale, si legittima come portatore di un sapere
complessivo.
L'anima si cura, prosegue Socrate, con i logoi (discorsi) belli, che producono sophrosine
(temperanza). Ma Carmide, interloquisce Crizia, non si distingue solo per la sua idea(nel
senso di aspetto), ma anche per la sua sophrosine. Il futuro tiranno non ha bisogno di imparare
nulla. Ecco la chiave dell'impostura di Socrate: spacciarsi per detentore di un sapere settoriale
l'unico modo per avvicinare chi non sa imparare e non disposto ad insegnare. La
sophrosyne cos descritta:

una scienza che non ha nessun oggetto esterno a se stessa;


ma che si occupa di se stessa e delle altre scienze non in quanto dotate di oggetto,
bens in quanto scienze;
essendo la scienza della scienza, deve essere in grado di riconoscere anche la
mancanza di scienza;
ma questo riconoscimento non pu fondarsi sul confronto con un oggetto esterno
e deve essere riflessivo: chi dotato di sophrosyne deve essere in grado di dire "io,
in virt del mio sapere, non so"

Si viene a formare un paradosso dovuto al contrasto fra la finitezza del soggetto


conoscente e del suo sapere - per questo che la sophrosyne una virt - e la pretesa di
totalit implicita nella definizione di sophrosyne come scienza della scienza. Crizia si
trova dinanzi al difficile compito di dimostrare se e come sia possibile una sophrosyne che sia
ricorsivamente scienza della scienza e anche della non-scienza. Che coerenza e che legittimit
pu
avere
un
sapere
che
afferma
di
non
sapere?
Quando Socrate smaschera come incoerente la pretesa di produrre un sistema di
corroborazione epistemologica completa, non lontano da Gdel. Ma se l'ignoranza socratica
un sapere che non pu essere dimostrato entro un sistema coerente diconoscenza, ne segue,
inevitabilmente, che filosofo e tiranno stanno faccia a faccia e devono confrontarsi su una
questione vitale che non ha soluzione formale.
Alcibiade maggiore

I personaggi dell' Alcibiade Maggiore sono due , Alcibiade e Socrate . Per saperne di pi
su Alcibiade , visitare la pagina dell' " Alcibiade Minore " . La questione dell'autenticit
del dialogo stata ampiamente dibattuta dagli interpreti , a partire dalla negazione di
Schleiermacher , largamente accolta dalla critica ottocentesca , soprattutto per motivi a
carattere filologico . E' stata in particolare sottolineata la somiglianza tra questo dialogo
e alcuni passi di Senofonte e addirittura di Aristotele . Oggi , tuttavia , si propensi ad

attribuire la paternit del dialogo a Platone . Il periodo di composizione , come quello


dell' " Alcibiade Minore " quello giovanile e L'Alcibiade maggiore senz'altro uno dei
primi dialoghi di Platone . La scena viene ambientata in un luogo imprecisato , verso il
431 a.C. , alla fine dell' efebato di Alcibiade , mentre Pericle era al governo . Il dialogo
inizia con Socrate che si rivolge ad Alcibiade : gli chiede se non stupito che , mentre
tutti l' hanno abbandonato , lui continua a stargli vicino : infatti sebbene gli amanti di
Alcibiade fossero tanti ed alteri , erano fuggiti tutti da lui , sopraffatti dalla sua
superbia , prerogativa che accompagna Alcibiade anche nel " Simposio " . Socrate dice
di voler proprio chiarire il motivo della sua superbia : Alcibiade convinto di non aver
bisogno di nessuno , di essere il migliore ; egli uno dei pi ricchi cittadini di Atene e ,
cosa che lo aggrada e lo insuperbisce ancora di pi , uno dei pi nobili ( non solo di Atene
, ma dell'intera Grecia ) ; tutti i suoi amanti si erano lasciati dominare da lui perch si
sentivano inferiori , ma appena possibile l'avevano abbondonato . Egli destinato ( e
convinto ) ad avere successo nella vita politica , ma Socrate gli spiega che senza il suo
aiuto non ce la far : gi quando Alcibiade era ancora un bambino Socrate gli era
affezionato e voleva che fosse un suo discepolo , desiderava parlargli , ma il suo demone
glielo impediva . Ora , invece , giunto il momento di discutere insieme : Alcibiade si
dichiara disposto al dialogo e cos Socrate d inizio al suo classico metodo del botta e
risposta : Alcibiade vuole diventare consigliere dell'Assemblea : dovr quindi dare
consigli a riguardo di cose che egli conosce meglio degli altri ; ma ci che sa l'ha appreso
o innato in lui ? Alcibiade dice di averlo imparato ; il suo sapere riguarda
essenzialmente lo scrivere , il suonare la cetra e il lottare . Ma quando in assemblea si
parler di costruzioni , un architetto dar senz'altro consigli migliori dei suoi , quando si
parler di mantica sar un indovino a dare consigli pi preziosi , anche se meno nobile e
meno ricco di lui : il consigliare , secondo Socrate , spoetta a chi conosce e non a chi
ricco . Ma Alcibiade spiega a Socrate che in Assemblea si danno consigli circa la guerra ,
su chi bisogna scegliere come alleato e chi come nemico , su quando farla e in che modo .
Socrate gli dice che se si deliberasse con chi si deve lottare un maestro di ginnastica
sarebbe pi idoneo di lui , e dire con chi si deve lottare significa dire con chi meglio
lottare . Ma cosa vuol dire meglio ? Il meglio nel fare la lotta ci che ginnico ( dice
Socrate ) , e nel suonare la cetra quale ? Alcibiade non sa rispondere e Socrate lo aiuta
dicendo che sar ci che pi musicale ; e per quello che riguarda il fare la pace o la
guerra , che cosa meglio ? Alcibiade anche in questo frangente non capace a
rispondere e suscita l'indignazione di Socrate , che gli chiede che cosa dir quando in
qualit di consigliere gli verr chiesto " Che cosa il meglio ? " . Socrate cerca di farlo
ragionare e gli chiede con quale criterio ci si allea con l'uno piuttosto che con l'altro e lui
risponde che ci si allea con chi giusto per combattere chi ingiusto . Il meglio a
riguardo della pace corrisponde quindi al giusto : ci si allea con chi meglio , cio con
chi giusto . Socrate stupito dall'ignoranza di Alcibiade e gli domanda chi sia stato il
suo maestro : lui risponde che tutto quello che sa l'ha appreso dai pi , dalla massa
popolare , un maestro su cui Socrate ha numerose riserve : tutti sanno distinguere un
uomo da un cavallo , ma quando gi devono dire quale dei due sia pi adatto alla corsa
non son pi capaci di insegnare perch sono in disaccordo tra loro . Ma Alcibiade non si
arrende e dice di possedere la scienza del giusto e dell'ingiusto , di essersene appropriato
e di non possederla da sempre : Socrate gli fa invece notare he gi da bambino , quando
subiva un torto , si lamentava e diceva che era un'ingiustizia : gi da piccolo pensava di
sapere , come sempre , cosa sia giusto e cosa sbagliato : non l'ha appreso . Alcibiade
indignato perch offeso , ma Socrate gli fa notare che si offeso da solo : infatti lui si
limitato a porgli domande e le sue stesse risposte l'hanno offeso . Alcibiade poi riprende
la tesi di Socrate dicendo che secondo lui , invece si fa la pace , ci si allea e si combatte
non perch giusto , ma perch utile ; Socrate dimostra l'identit di giusto e utile sulla
base della identit di giusto , bello , buono e utile . Alcibiade dice di essere confuso e di
non sapere pi come stiano le cose : Socrate dice che comunque se gli si chiedesse quante
mani ha o quante dita saprebbe ancora rispondere e che quindi ci su cui confuso ci
che non sa : la peggiore ignoranza , gli spiega Socrate credere di sapere quello che non
si conosce , soprattutto se si tratta di giustizia ( come nel caso di Alcibiade ) ed egli non
pu far altro che riconoscere che Socrate ha ragione . Poi Socrate cita il caso di Pericle ,
che non era stato in grado di trasmettere le sue conoscenze : la sua non poteva quindi
essere una conoscenza approfondita . Alcibiade riprende il dialogo dicendo che
comunque sar il migliore degli Ateniesi per bellezza e grandezza fisica e che quindi
primegger , ma Socrate gli fa notare che i suoi rivali non sono gli Ateniesi : che senso
avrebbe infati essere il numero uno degli Ateniesi , se poi il nemico pi forte ? L'

importante , dice Socrate , essere superiori ai nemici in modo tale che non osino
neanche attaccarci guerra , ma che si alleino con noi , in quanto pi forti . Alcibiade d
ragione a Socrate e si corregge dicendo che i veri nemici sono i re degli Spartani e dei
Persiani ; Socrate ne approfitta e decide di esaminarli per vedere se sono superiori o
inferiori agli Ateniesi : dall'attenta esaminazione Socrate arriva alla conclusione che
l'unico modo per aver la meglio su di loro usare la sapienza , e che se sar Alcibiade a
capo degli Ateniesi , allora la sconfitta per gli Ateniesi sar certa . Alcibiade vuole essere
un buon politico e chiede a Socrate di tratteggiare in breve le prerogative del vero
politico , che sappia ci che rende migliore la citt . La citt , dice Socrate , viene salvata
e governata dall'amicizia e dalla concordia , due cose che si basano sulla giustizia e sulla
conoscenza . Socrate poi introduce il concetto del " prendersi cura di s " : c' un modo
di prendersi cura di qualsiasi oggetto : un calzolaio si prende cura delle calzature , ma
non del piede : al piede ci pensa la ginnastica ; di ci che riguarda le mani si occupa
l'orefice , delle mani la ginnastica : allo stesso modo vi differenza tra il prendersi cura
di ci che ci riguarda e il prendersi cura di noi stessi . Ma che cosa la cura di noi stessi ?
E' la conoscenza di noi stessi : se ci conosciamo sappiamo come prenderci cura di noi ,
altrimenti , se non ci conosciamo , come possiamo farlo ? Primo passo per conoscerci
sapere che l'uomo costituito da un corpo e da un' anima : l'anima l'essenza
dell'uomo , il corpo il suo strumento ; per questo motivo chi conosce esclusivamente il
suo corpo conosce ci che gli appartiene , ma non conosce se stesso . Lo stesso concetto di
amare va rivisto , dice Socrate : amare veramente un uomo significa amare la sua
anima , non il suo corpo ; Socrate dice che tutti gli amanti che Alcibiade aveva avuto di
lui avevano amato solo il corpo , il suo strumento , una cosa destinata a morire , mentre
invece lui , Socrate , di Alcibiade ama l'anima , che la vera essenza e che imperitura .
Per conoscere davvero noi stessi dobbiamo guardare nella parte migliore della nostra
anima : Socrate sembra ammettere che in ogni anima umana ci sia un fondo di divino ,
che la rende migliore ; solo vedendo questa parte divina ci si pu conoscere davvero e
solo chi conosce se stesso in grado di governare la citt , in quanto temperante : non
conta essere nobili o ricchi ( spiega Socrate ) , ma temperanti : solo l'uomo temperante
sapr governare la citt . Quindi Alcibiade deve togliersi dalla testa di dover cercare il
potere tirannico , bens deve cercare la virt e deve cercarla nella sua anima : Alcibiade
alla fine del dialogo si sente un uomo nuovo , pronto a mettere in pratica quanto Socrate
gli ha detto .
Alcibiade minore

La scena dell'Alcibiade minore , cui la tradizione ha dato il sottotitolo " Sulla preghiera
" , si apre presentando , senza preamboli sui luoghi e sui personaggi , una discussione fra
Socrate e Alcibiade a proposito della preghiera . Alcibiade visse all'incirca tra il 450 ed il
440 a.c. Era figlio di Clinia , della famiglia degli Eupatridi , una delle pi ricche e potenti
di Atene , e di Dinomache , appartenente ad un'altra nobile famiglia ateniese . La vita di
Alcibiade fu assai avventurosa , costellata di molte peripezie , viaggi , mutamenti di
alleanze , rovesci e vittorie . Nel 404 , dietro istigazione dei Trenta tiranni e di Lisandro
di Sparta , venne assassinato in Frigia , dove si era rifugiato presso il satrapo
Farnabazo . Socrate incontra Alcibiade che sta andando a pregare con un " aspetto
grave " . Socrate dice che nel fare richieste agli dei bisogna essere molto prudenti perch
non capiti di chiedere , senza saperlo , grandi mali , credendo che siano beni : Socrate
cita il caso di Edipo , che , secondo la leggenda , chiese agli dei che i suoi figli dividessero
l'eternit paterna con la spada . Alcibiade gli fa notare che Edipo era un folle e subito
Socrate ne approfitta per dar inizio al dialogo filosofico : l'essere folle dunque il
contrario dell'essere assennato ? Alcibiade , pi convinto che mai , dice di s . Dunque ci
sono uomini dissennati , altri assennati altri ancora pazzi . Ma , per esempio , nel caso
della malattia o si sani o si malati : non c' n una via di mezzo n una terza
possibilit : quindi , dice Socrate , o si assennati o si dissennati . Dato che non ci pu
essere una terza possibilit , dissenatezza e follia rischiano di essere identiche . Ma se cos
fosse nella citt gli assennati sono pochi , mentre tanti sono i dissennati , che secondo
quanto pensa Alcibiade , sono folli . Ma se davvero follia e dissennatezza coincidessero ,
quei cittadini che risultano dissennati e quindi folli si dovrebbero comportare tutti da
folli : dovrebbero andare in giro a percuotere la gente , a distruggere le case ... La
premesse non reggono . Socrate dice che il problema va affrontato in un modo diverso ,
ma simile : prendiamo per esempio gli ammalati . Non necessario che chi ammalato lo
sia di podagra o di febbre o ancora di oftalmia . Potrebbe soffrire infatti di un'altra
malattia ancora : esse , infatti , sono tantissime . Ogni oftalmia una malattia , ma non
per questo ogni malattia un'oftalmia . Lo stesso vale nel campo dell'artigianato : vi
sono calzolai , costruttori , scultori , pittori ... Essi esercitano parti distinte dell'arte e

sono tutti artigiani , senza essere per tutti costruttori , n scultori , n calzolai ... Socrate
dice che proprio cos stata divisa anche la dissennatezza . Pazzi sono quelli che
possiedono la parte maggiore di dissennatezza , sciocchi quelli che ne posseggono una
parte inferiore . Ma il problema ora questo : chi sono gli assennati e che i dissennati ?
Per Alcibiade assennati sono coloro che sanno cosa si deve fare e dire , dissennati coloro
che non sanno nessuna delle due cose . Socrate dice che il punto che tutti agli dei
chiederebbero il bene , o meglio , quello che loro credono essere bene , ma che magari
male : il chiedere di essere tiranno pu parere un bene , ma in realt un male
dannosissimo . I dissennati sono proprio coloro che credono che sia bene ci che male .
Socrate arriva a dire che per qualcuno meglio ignorare piuttosto che conoscere .
Alcibiade allibito e non ci crede , ma Socrate gli spiega la questione facendogli un
esempio : se dovesse andare a pugnalare un tale e non lo riconoscesse per ignoranza e
quindi non lo uccidesse , dunque l'ignoranza non risulterebbe un bene ? Socrate arriva
poi a dire che il possesso delle altre scienze senza quella del bene inutile e addirittura
dannosa : gli oratori , ad esempio , consigliano sempre , o perch sanno consigliare o
perch credono di essere capaci a farlo , a riguardo della guerra o della pace , o della
costruzioni di mura o altro . Uno capace di consigliare , ma senza conoscere n che cosa
sia meglio , n quando sia meglio senz'altro un dissennato . Tuttavia egli consiglia il
peggio pensando di consigliare il meglio . La miglior preghiera che si possa rivolgere agli
dei chiedere loro di darci ci che meglio , dice Socrate e poi cita una leggenda secondo
la quale una divinit avrebbe preferito alle preghiere degli Ateniesi , che gli fornivano
ogni sorta di dono ma che chiedevano il male pensando che fosse bene , quelle degli
Spartani , che non gli facevano offerte sontuose come gli Ateniesi , ma che chiedevano al
dio il bene . Socrate dice poi ad Alcibiade che occorre che qualcuno gli spieghi come
rivolgere esattamente le preghiere agli dei : un p come Atena tolse la nuvola da davanti
agli occhi di Diomede perch potesse distinguere un dio da un mortale , cos dovr fare
quel qualcuno con Alcibiade .
Protagora

Che cosa insegna Protagora ? Di che cosa il sofista rende abili a parlare? Questo il
primo argomento del Protagora, che mette in scena, tramite la narrazione di Socrate ,
una conversazione in una casa privata, nella quale Protagora ospite. Protagora di
Abdera un celebre sofista, che vende il proprio sapere. In che senso il sapere
vendibile? Perch questo sapere merita di essere acquistato? Queste domande sono
complesse: come osserva Socrate , il rischio nell'acquisto degli insegnamenti molto pi
grande che in quello del cibo. Il cibo una cosa con cui si ha un rapporto, molto intimo,
di incorporazione: ma i cibi si possono portare a casa in un recipiente e analizzare,
mentre le cognizioni devono essere messe alla prova su s stessi, nella propria anima.
Con un vantaggio o un danno irreversibile: conoscere significa cambiare, in un senso
"lineare" e irrevocabile, e non semplicemente soddisfare un bisogno che si presenta
ciclicamente e che deve essere compensato per mantenerci in vita. Per questo, le
cognizioni non possono essere valutate come se fossero cose. Il sofista vende qualcosa, e
perci pu essere ingannevole nel lodare la sua merce, senza porsi il problema di sapere
se faccia bene o male ai suoi "clienti". Il rapporto commerciante/cliente un rapporto di
manipolazione, nel quale chi vende si preoccupa solo di sfruttare a proprio vantaggio un
bisogno dell'altro, o addirittura di suscitare nell'altro un bisogno che non ha. Il problema
del bene dell'altro, in questo contesto, del tutto superfluo, se non deleterio, rispetto allo
scopo di vendere. Il potenziale di manipolazione insito nel rapporto fra commerciante e
cliente particolarmente grave quando si ha che fare con la conoscenza, che forma
l'uomo pi profondamente di quanto faccia il cibo, dato che offre strumenti per valutare
tutto il resto. Ci che si impara non pu essere dimenticato allo stesso modo in cui ci si
libera del cibo. Socrate osserva che tutti hanno la parola ad Atene, quando si deve
deliberare sul modo di condurre gli affari di stato, mentre nelle altre arti - la medicina,
per esempio - c' una divisione del lavoro che porta ad affidare le deliberazioni tecniche
alle persone competenti. Evidentemente, per gli Ateniesi, la politica non insegnabile: se
tutti hanno titolo a parlare di politica, tutti la conoscono gi e dunque non occorre
insegnarla. Protagora , tuttavia, dice di insegnare l'arte politica, che l'arte di
amministrare con senno tanto la propria casa, quanto le faccende pubbliche. Protagora
illustra la sua tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere
in societ, ha distribuito aidos e dike a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della
cultura e dell'organizzazione politica perch sono creature prive di doti naturali, come
artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di
queste due virt "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all'uomo, bens
come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che stato trasmesso in maniera consapevole, e

non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si pu render


conto soltanto ex post: per questo possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre
non si pu "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli. Socrate non convinto:
perch l'insegnamento della giustizia spesso talmente fallimentare che la virt del
padre non riesce neppure ad essere trasmessa al figlio? Protagora risponde, questa volta,
non con un mito, ma con un discorso o ragionamento: c' o non c' qualcosa di unico, cui
necessario che tutti i cittadini partecipino, se la citt deve sussistere? Se questo
qualcosa andros arete (e cio giustizia, piet religiosa, temperanza, sapienza) allora nei
suoi confronti ci si comporta come se fosse insegnabile. In primo luogo, si punisce chi si
comporta ingiustamente, guardando al futuro, cio allo scopo di impedire il colpevole o
altri ricadano in quel comportamento: ma questo comportamento ha senso solo se si
presuppone che sia possibile imparare ad essere giusti. Inoltre, anche il pi ingiusto degli
uomini che vivono in citt partecipa della virt (politica), proprio come tutti coloro che
parlano il greco partecipano alla sua conoscenza. La giustizia e il pudore, che la rende
efficace, possono dunque essere considerate come la "lingua" della convivenza comune.
E il sofista si distingue dagli altri perch sa aiutare chiunque a divenire buono e bello,
cio ad usare questa "lingua" in maniera eccellente. In altri termini: il sofista non
conosce nulla pi di quanto gi conoscono tutti, ma la sua arte consiste nel saperlo
esprimere ed insegnare meglio degli altri. La garanzia della sua competenza solo la sua
eccellenza personale. La comunicazione del sapere All'inizio del dialogo, Protagora aveva
affermato che la sofistica un'arte molto antica, risalente addirittura ai poeti Omero,
Esiodo e Simonide. Qui se ne vede la ragione: il sofista, come il poeta, non fa che
esprimere e tramandare un sapere comune. A questo punto Socrate , che era stato ad
ascoltare il lungo argomento di Protagora , lo interrompe, osservando che alcuni oratori
pubblici sanno fare lunghi e bei discorsi ma, come libri, se venissero interrotti e li si
interrogasse, non saprebbero rispondere, n a loro volta porre domande. Piuttosto,
replicherebbero con un altro lungo discorso, risuonando come bronzi percossi. Come nel
Fedro , Socrate sembra pensare che un sapere comunicato monologicamente,
sottraendosi al dialogo, sia un morto nozionismo, se non addirittura un esercizio di
potere. Bisogna sottolineare che lo stile monologico di Protagora si concilia bene con il
ruolo politico-educativo che il sofista attribuisce a se stesso: non occorre il dialogo,
quando chi parla si limita ad esprimere al meglio ci che gli altri gi sanno - quando,
cio, la conoscenza etica e politica non intesa come frutto di una faticosa costruzione,
ma come una "dote" di fondo che si d per presupposta. Socrate cerca di condurre
Protagora ad una argomentazione dialogica, chiedendogli se giustizia, temperanza,
santit sono parti dell'unica virt, oppure sinonimi di un'unica realt. Protagora
risponde che sono come la parti di un volto, cio parti di un intero qualitativamente
differenti e coordinate fra loro, e non come le parti dell'oro, che differiscono fra loro solo
quantitativamente. Socrate replica che, se cos, allora ogni parte della virt diversa
dall'altra e si pu avere una parte senza avere l'altra. Per esempio si pu essere
coraggiosi senza essere sapienti. Oppure, per fare un altro esempio, la giustizia pu
entrare in contrasto con la piet religiosa: la giustizia pu essere empia e la santit
ingiusta. Questa conclusione andrebbe a scardinare la morale politica della citt, con un
conflitto "fra virt" simile a quello della tragedia sofoclea Antigone. Socrate esprime la
sua opinione: fra giustizia e piet religiosa non pu esserci conflitto, anzi, ci deve essere
identit. Protagora replica che tutte le cose, anche se differenti, hanno qualche elemento
in comune; ma non basta questo per chiamarle uguali. Pertanto, per la presenza di
qualche elemento comune, la distinzione fra le parti della virt non comporta
necessariamente n la loro identit n la loro reciproca contraddizione. Non c' dunque
bisogno di trattare le virt come se fossero una cosa sola. La morale politica, in altri
termini, comporta la possibilit che virt differenti siano fra loro armoniosamente
coordinate in un unico intero. Socrate prosegue ponendo un altro problema concernente
la relazione fra le virt, e cio: chi compie un atto ingiusto agisce da saggio? Protagora
risponde che personalmente si vergognerebbe di affermarlo, ma che molti sostengono
una tesi simile, e cio che si pu commettere ingiustizia e comportarsi saggiamente,
quando se ne ricava dell'utile. Una logica di questo genere si trova, per esempio, nel
dialogo degli Ateniesi con i Melii riportato da Tucidide. Protagora , per il quale, come
sappiamo da un suo frammento, l'uomo la misura di tutte le cose, afferma che l'utile
relativo al soggetto cui si indirizza: ci sono cose utili agli uomini e nocive ai cavalli, o utili
se usate all'esterno e dannose all'interno del corpo e cos via: "in effetti il bene qualcosa
di svariato e multiforme." Questa conclusione insidiosissima per le morale della
polis, di cui Protagora si era presentato maestro. Se il bene si riduce all'utile, e l'utile

relativo al tipo di soggetto interessato, allora, come diceva Tucidide, si pu parlare di


giusto solo ove un'uguale costrizione o necessit lo rende "utile" per tutte le parti in
causa. Altrimenti, non c' nessun ostacolo all'etica aristocratica della prevalenza del pi
forte e della legge non pi comune, bens solo personale. Il nucleo dell'obiezione di
Socrate questo: se le parti della virt vanno intese come parti fra loro differenti, si pone
il problema del principio della loro coordinazione. Un volto con le sue parti, per usare la
metafora di Protagora , un intero gi dato. Ma se le virt sono cose che si imparano, e
non doti naturali, allora la loro coordinazione deve essere costruita e giustificata. Socrate
interrompe Protagora , chiedendogli ironicamente di spezzare i suoi lunghi discorsi,
altrimenti, a causa della sua scarsa memoria, egli non riesce a seguirlo. Protagora replica
che se avesse parlato come voleva l'avversario, ora non sarebbe il migliore, n sarebbe
diventato famoso. Socrate minaccia di andarsene e si perviene a un compromesso.
Questa interruzione importante: Socrate pone il problema del potere nella
comunicazione del sapere. Se il sapere qualcosa che oggetto di competizione - se si
deve fare a gara a chi il miglior sofista, per esempio - inevitabilmente verr scelta la
modalit di comunicazione pi vantaggiosa per chi parla. Il discorso lungo e monologico
un espediente ottimo se si vuole mettere a tacere l'avversario, e rendergli difficile
seguire - e criticare - i nostri passaggi logici. Una comunicazione funzionale al potere
prediliger, pertanto, la "macrologia" monologica, ossia una argomentazione ampia,
diffusa e non "interattiva". Protagora un sofista: uno che vende il proprio sapere in un
regime di libera concorrenza. La sua comunicazione deve essere intrisa di una logica di
potere e di monopolizzazione del tempo e dell'ascolto del suo pubblico: non potrebbe
permettersi - neppure economicamente - di valersi del principio dialogico, che
collaborativo e critico. Se il sapere deve essere venduto, chi discute con noi giocoforza o
un concorrente o un cliente, e non un nostro pari nella ricerca della conoscenza. Dopo un
interludio, dedicato all'esegesi di un passo del poeta Simonide, Socrate propone di
ritornare sull'argomento della conversazione, che era il problema dell'insegnabilit - e
dunque della scientificit - della virt. Parlare dei poeti, che non si possono neppure
interrogare su quello che dicono, come far suonare la voce estranea del flauto ai
banchetti, perch non si ha nulla da dire con la propria voce. Socrate chiede di nuovo se
sapienza, coraggio, temperanza, giustizia, piet religiosa (le virt tradizionali del
cittadino) sono cinque nomi che si riferiscono a un solo oggetto, cio sono sinonimi.
Oppure ciascuno di questi termini si riferisce a qualcosa che non abbia una potenzialit
identica all'altra, cio a elementi reciprocamente diversi? Protagora risponde che sono
tutte parti della virt, ma il coraggio pu esserci anche in mancanza di sapienza,
temperanza, giustizia e piet religiosa. Socrate replica che il coraggioso - che non lo
sconsiderato - uno che ha coraggio in cose che sa fare. Dunque sapienza e coraggio sono
identici. Protagora obietta che cos ragionando, si potrebbe dire che chi fisicamente
forte potente, e chi ha imparato la lotta pi potente, e dunque sapienza e forza fisica
sono la stessa cosa. Possiamo provare a interpretare la tesi di Protagora in termini
insiemistici: l'insieme F dei forti interseca l'insieme S dei sapienti: la zona grigia
dell'illustrazione conterr persone forti e sapienti. Possiamo anche sostenere, in termini
intensionali, che la sapienza rende possibile usare la forza con criterio, e dunque rende
pi forti. Ma da ci non segue che forza e sapienza siano la stessa cosa. Se ci mettiamo in
una prospettiva estensionale, possiamo vedere senza difficolt che esistono sia sapienti
che non sono forti (parte gialla di S), sia forti che non sono sapienti (parte grigio scuro di
F). Socrate , per, si propone di dimostrare che tutte le virt hanno, intensionalmente,
come loro componente essenziale la conoscenza. Questo implica che ciascuna virt possa
avere anche altri caratteri, ma che sia identificabile come virt perch ha la
connotazione essenziale della sapienza o conoscenza. Socrate sposta la questione,
conducendo Protagora ad affermare che alcune cose piacevoli sono buone; altre no; altre
sono indifferenti; e lo stesso discorso vale per le cose dolorose. Dunque il piacere, preso a
s, non un bene. La scienza - chiede ancora Socrate - ha capacit di coordinazione delle
azioni umane, oppure queste sono guidate da piacere, dolore, amore talvolta, pi spesso
paura, e la scienza come un loro servo? Oppure la scienza qualcosa di bello, capace di
avere in mano il governo dell'uomo, tanto che se si conosce il bene e il male non si pu
essere dominati da null'altro? Protagora , in quanto sofista, sceglie la seconda opzione.
Ma aggiunge che la maggioranza degli uomini dice che pur conoscendo il meglio e
potendolo seguire, non lo fa perch sopraffatta da paura, dolore, piacere e altre passioni.
Socrate osserva, assumendo il punto di vista della maggioranza, che certi piaceri sono
riconosciuti cattivi perch conducono a dolori, e certi dolori buoni perch conducono a
piaceri. Ma questo significa che bene e piacere coincidono. E dunque chi dice di fare il

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male perch sopraffatto dal piacere, dice in effetti contraddittoriamente che fa cose
spiacevoli, cio cattive, perch sono piacevoli, cio buone. E anche affermando che si
scelgono piaceri minori presenti contro piaceri maggiori futuri, si ricade nella stessa
difficolt. Si pu per dire che l'apparenza dei piaceri vicini pi forte ed evidente di
quella dei piaceri futuri e lontani. Ma allora la felicit sta nell'arte della misura, o nella
forza dell'apparenza? Se vale la prima risposta, la salvezza della nostra vita consister
nella scienza. Lasciarsi sopraffare dal piacere ignoranza. L'essere vinto da se stesso
ignoranza, il vincere se stesso sapienza. Nessuno fa volontariamente e consapevolmente
qualcosa che ritiene male. Ragionando cos, Socrate deve sostenere, in contraddizione
con i suoi dubbi iniziali, che la virt scienza, e dunque insegnabile; mentre se fosse
come diceva Protagora , non lo sarebbe: se trattiamo la virt come una pluralit di
facolt, nulla ci assicura che queste ultime siano in armonia fra loro. Protagora stesso lo
riconosce, quando sostiene che certe virt, come il coraggio, possono non essere
accompagnate da sapienza. Bisogna per sottolineare che la "scientificit" della virt di
Socrate ben diversa dall'insegnabilit di cui parlava Protagora . Non si tratta di
esprimere meglio qualcosa di comune e acquisito con tutte le sue potenziali incoerenze,
ma di governare consapevolmente la propria vita. Il tema della comunicazione del
sapere, anche se compare solo come interludio nella discussione fra Socrate e Protagora ,
intrecciato a quello della virt. Se virt conoscenza, come capacit di cosciente
autogoverno, essa pu svilupparsi solo nella consapevolezza personale, e non nell'ascolto
passivo di lunghi monologhi propagandistici. Non a caso, Socrate conclude dichiarando
di preferire Prometeo a Epimeteo, perch questi gli permette di provvedere alla sua vita
nella sua interezza. Infatti, mentre Epimeteo distribuisce cose gi pronte per l'uso, e
utilizzabili solo in un modo, Prometeo - il dio della techne - dona all'uomo
consapevolezza e possibilit di uno sviluppo autonomo. Socrate non dice nulla della terza
distribuzione del mito di Protagora , quella compiuta da Zeus, che d a tutti aidos e dike.
Si pu per sospettare che questi doni siano, nella sua prospettiva, dei palliativi
"epimeteici", cio meri strumenti che gli uomini devono ricevere passivamente, da un
dio o da un sofista, proprio come gli animali hanno ricevuto da Epimeteo le loro zanne e i
loro artigli. E che la virt come conoscenza sia qualcosa che non si pu n ricevere, n
comprare, ma che ciascuno, discutendo con gli altri, deve comprendere e costruire da s.
La conclusione di questo dialogo pu essere vista come un esempio di ironia complessa.
Protagora riuscito a convincere Socrate sul fatto che la virt sia qualcosa di
insegnabile? S e no: Socrate dichiara esplicitamente di aver cambiato idea: questo,
letteralmente, quello che accaduto. Ma, come abbiamo visto, egli intende per "virt
insegnabile" un esercizio di critica e di consapevolezza che assai diverso
dall'espressione sofistica dei valori politici della cultura civica. Socrate , in realt, non
d'accordo col sofista, ma stato da lui "convinto", perch ha indotto Protagora a
riconoscere una prospettiva alternativa a quella che egli aveva inizialmente proposto.
Gorgia

Il dialogo si svolge in casa di Callicle, che ospita il sofista Gorgia di Leontini e il suo
discepolo Polo, in un momento posteriore al 407 (Socrate allude alla sua esperienza di
pritania dicendo che avvenuta l'anno precedente). Callicle, che svolge una parte
rilevante nel dialogo, probabilmente un personaggio inventato dalla fantasia di Platone
per rappresentare, per cos dire, l'acclimatazione dell'etica aristocratica alla democrazia.
Il Gorgia un passo importante nella maturazione del pensiero di Platone: l' lenchos e
alcune tesi socratiche convivono con la critica filosofica alla democrazia e con l'accenno a
miti e temi metafisico-morali destinati a venir sviluppati nelle successive opere della
maturit. Gorgia , che si vantava di saper rispondere a qualsiasi domanda, reduce da
una fortunata esibizione pubblica. Socrate gli pone un quesito analogo a quello cui aveva
messo di fronte Protagora : "chi sei?", cio "che cosa insegni?" Polo, ambizioso allievo
del sofista, si offre di rispondere in sua vece: gli uomini hanno molte technai, apprese
dall'esperienza. L'esperienza fa s che la nostra vita proceda secondo una regola (kata
technen) e non a caso (kata tychen ). Gorgia il migliore, perch possiede la techne pi
bella. [448c] La tesi di Polo ha una componente epistemologica: l'idea che la techne,
intesa nel senso di conoscenza indirizzata alla pratica, derivi esclusivamente
dall'esperienza. Socrate osserva che il giovane sofista ha imparato la retorica, ma non il
dialeghesthai, cio l'arte del dialogo come argomentazione finalizzata alla verit: si
lanciato in una lode della retorica, ma non ha detto che cos'. Ha fatto un discorso
propagandistico, mentre Socrate chiedeva una definizione che spiegasse quale fosse il
contenuto caratterizzante dell'insegnamento di Gorgia. [448d] Interviene Gorgia , che

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accetta di discutere con Socrate usando la brachilogia, l'argomentazione breve, che


rende possibile l'interlocuzione, in luogo della macrologia: un abile sofista sa
padroneggiare entrambe le tecniche. La retorica - spiega Gorgia interrogato da Socrate una techne, come la tessitura, la medicina, la ginnastica, la musica. Tutte le technai
producono discorsi persuasivi nel rispettivo ambito di competenza e hanno ad oggetto
dei beni. Le technai manuali si risolvono nel lavoro, quelle discorsive hanno la loro
azione e ratificazione nei discorsi. In particolare, la retorica si occupa di produrre
discorsi persuasivi nelle assemblee politiche e nei tribunali: il suo oggetto il giusto e
l'ingiusto. E' una techne che conferisce grande potere a chi la domina, perch un
discorso persuasivo pu sopravanzare, nelle pubbliche assemblee, le argomentazioni di
esperti in altri rami del sapere. [ 449d ss.] Socrate induce Gorgia a distinguere fra il
memathekenai e il pepisteukenai, ossia fra il sapere che segue all' avere imparato e la
convinzione che segue all' essere stati persuasi. [ 454c ss]. Sia chi ha imparato, e dunque
sa, sia chi stato convinto, e dunque nutre una credenza, persuaso di ci che gli stato
messo in mente: ma mentre pu esserci una persuasione ( pistis ) vera e una persuasione
falsa, non pu esservi una scienza ( episteme ) falsa. La retorica, che mira alla
persuasione e non all'insegnamento, suggerisce soltanto delle credenze, e funziona
soprattutto davanti a un pubblico di ignoranti - un pubblico cui non viene trasmesso
nulla, ma semplicemente manipolato. Gorgia sottolinea che se della retorica viene fatto
un uso ingiusto, la responsabilit di questo uso non dipende da chi l'ha insegnata, ma
dall'allievo che la impiega cos. In altri termini, l'arte del sofista uno strumento
moralmente neutro, una tecnica nel senso moderno della parola, il cui significato
assiologico dipende dall'uso che se ne fa. Socrate replica che, stando cos le cose, il retore
non esperto neppure sull'oggetto del suo discorso, il giusto e l'ingiusto, e conosce solo
l'arte di persuadere gli ignoranti, cio di sembrare sapiente fra gli incompetenti. Gorgia ,
cadendo in contraddizione con quanto detto prima, risponde affermando che la retorica
comporta anche la conoscenza di ci che giusto. [460c-d] La distinzione socratica fra il
sapere che segue l'aver imparato e la persuasione che segue all'essere convinto potrebbe
incorrere nel sospetto di essere una distinzione meramente retorica: chi ci assicura che
l'insegnamento non sia una forma scaltrita di persuasione? Anche i sofisti con cui
Socrate si confronta hanno la pretesa di insegnare qualcosa; le domande con cui Socrate
li incalza suggeriscono il dubbio che la sofistica non abbia nulla da trasmettere, ma si
riduca al marketing di se stessa. Gorgia stesso, di fronte a questo dubbio, preferisce
cadere in contraddizione, affermando che la retorica ha qualcosa da insegnare sul giusto
e sull'ingiusto. Socrate davvero diverso dai sofisti? Per rispondere a questa domanda,
dobbiamo scoprire, nell'argomentazione di Socrate , qualcosa che la distingua dalla
retorica sofistica. E questo compito difficile, perch Socrate conosce ed usa le tecniche
argomentative dei suoi avversari. Ma, proprio discutendo con Gorgia , fa
un'affermazione che nessun sofista potrebbe condividere: ...ritengo l'essere confutato
come un maggior beneficio, tanto maggiore, quanto meglio essere liberati dal male pi
grande che liberarne altri. (458a) Lo spessore semantico del sostantivo greco lenchos e
del corrispondente verbo elencho comprende non solo la nostra "confutazione", ma
anche il venire riconosciuti colpevoli, e l'essere svergognati (in Omero). L' elenchos, in
altri termini, non una riprovazione puramente cognitiva, ma comporta una esperienza
umiliante. Un sofista o un politico pubblicamente confutati avrebbero fatto una brutta
figura, e avrebbero perso mercato o potere. Stando cos le cose, bizzarro e paradossale
che Socrate veda nell' lenchos una esperienza salutare e benefica, tanto da render
preferibile il venir confutati al confutare; ed analogamente bizzarra la convinzione
socratica che subire ingiustizia sia meglio che commetterla. Ma proprio simili
convinzioni distinguono l' atteggiamento di Socrate da quello dei sofisti: Socrate pu
avere la certezza di "insegnare" perch egli stesso si espone alla confutazione e, non
facendosi pagare, rifiuta la competizione della politica e del mercato. La differenza
prima fra stile socratico e stile sofistico non solo logica ed epistemologica - non
riguarda solo gli strumenti argomentativi - ma ha anche a che vedere con un
orientamento e un interesse etico, preliminari allo sviluppo dei suoi ragionamenti: per
un interesse etico che Socrate mette alla prova se stesso e gli altri in una confutazione che
allo stesso tempo una esperienza di purificazione personale. Polo sfrutta l'imbarazzo
del maestro come occasione per rifarsi avanti: Gorgia si vergognato di ammettere che
la retorica una tecnica indipendente da ogni controllo assiologico, e Socrate ne ha
approfittato per farlo cadere in contraddizione. Ma come se la caverebbe Socrate, se
fosse investito del compito di rispondere? Socrate accetta la sfida, e si impegna a
sostenere la tesi che la retorica - l'arte di argomentare in pubblico - non una vera e

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propria techne, perch non ha ad oggetto un bene umano; , piuttosto, una forma di
kolakeia, cio di adulazione e di seduzione. Non avendo un progetto, essa si basa solo
sull'esperienza, come del resto aveva detto Polo all'inizio del dialogo. Il rapporto fra la
retorica e l'amministrazione della giustizia, intesa come una techne, paragonabile a
quello fra la cucina e la medicina: un bravo cuoco, in base alla sua esperienza, pu certo
cucinare cibi gradevoli al palato, ma solo un buon medico, che ha in mente un ideale di
salute fisica, sa dire quale sia la dieta pi sana. [463b ss] Per questo motivo, non si pu
sostenere che sia sufficiente l'esperienza a fare una techne: occorre anche una
conoscenza dei fini cui indirizzata l'azione. Questa conoscenza non pu derivare solo
dall'esperienza, perch richiede un giudizio sui fini in base ai quali facciamo i nostri
progetti. Polo replica dicendo che retori e tiranni hanno un grande potere nella citt,
perch possono far bandire o mettere a morte chi vogliono. Una tesi di questo genere
presuppone la convinzione che la retorica, se intesa come tecnica agnostica rispetto alla
natura e al valore dei fini per i quali viene impiegata, accresca il potere delle persone che
la dominano. Imparare una tecnica mettendo fra parentesi il problema della moralit dei
suoi fini conduce a padroneggiare degli strumenti che ci sarebbero preclusi se avessimo
scupoli di natura etica. Il nostro arbitrio, in questo modo, avr possibilit pi ampie di
realizzazione. [466a ss] Socrate , che pensa che una vera techne includa la
consapevolezza e la valutazione dei suoi fini, deve dimostrare che i retori e i tiranni non
hanno le potenzialit loro attribuite, perch non hanno la consapevolezza e la capacit di
valutare gli scopi per i quali agiscono. Essi non fanno ci che desiderano, ma ci che
sembra loro opportuno. E le due cose non sono necessariamente identiche. Gli uomini
agiscono per degli scopi, che devono essere dei beni per loro: ad esempio, chi beve una
medicina amara, lo fa in vista di un bene, la sua salute. Le azioni che compiono per
ottenere questi beni sembrano loro buone. Ma una azione che sembra buona, cio in
grado di realizzare il bene cui finalizzata, pu non essere l'azione pi adatta per
conseguire il bene che l'agente si prefigge. In questo caso, l'agente fa ci che gli sembra
bene, ma non fa ci che desidera. Usando una distinzione prodotta dalla filosofia
analitica (E. Anscombe), possiamo dire che, in questo caso, l' oggetto reale della sua
azione non si identifica con il suo oggetto inteso. Ci che l'azione effettivamente realizza
diverso da ci che l'agente aveva in mente di ottenere. Questo avviene quando un agente,
pur avendo il potere di agire, manca di conoscenza sulla vera natura della sua azione.
Facciamo un esempio: l'oracolo annuncia a Edipo che uccider sua padre e sposer sua
madre. Edipo, essendo convinto che i suoi genitori adottivi di Corinto siano i suoi
genitori naturali, fugge a Tebe per sottrarsi alla profezia. Qui comincia a desiderare di
sposare la vedova del re, Giocasta. Questo l'oggetto inteso della sua azione, ci che gli
sembra bene. Edipo, tuttavia, non sa che Giocasta sua madre; ignora, pertanto, che
l'oggetto reale del suo desiderio proprio ci che sta cercando di evitare, e cio il
matrimonio con sua madre. Edipo fa quello che gli sembra bene, ma non quello che
desidera, a causa della sua ignoranza. Se ci manca la conoscenza, non basta il potere, per
realizzare quello che vogliamo. Quando Socrate afferma che il potere senza conoscenza
non ha nessun valore, non sta parlando di una conoscenza semplicemente tecnica, ma
della conoscenza del bene, che permette di discernere il giusto dall'ingiusto. Egli ha di
fronte un interlocutore, Polo, il quale pensa che la retorica, svincolata dall'etica, possa
migliorare il benessere di chi se ne vale senza farsi scrupoli. Il poter fare ci che sembra
dei retori e dei tiranni qualcosa di invidiabile. E a questo interlocutore deve dimostrare
che l'ingiustizia, e non l'impotenza, il male supremo: Il supremo male, il male peggiore
che possa capitare, commettere ingiustizia... Non vorrei n patirla n commetterla, ma,
fra le due, se fossi costretto a scegliere, preferirei piuttosto patire che commettere
ingiustizia. [469b-c] Socrate conduce Polo a riconoscere che il vero potere non
semplicemente fare ci che si vuole, ma riuscire a trarne vantaggio. Il giovane sofista,
allora, gli adduce come esempio di felicit (eudaimonia) un usurpatore e tiranno di
successo, il despota macedone Archelao figlio di Perdicca. Come prova della sua tesi
presenta il consenso della maggioranza. Socrate , per, non accetta questa prova come
valida: il ridicolo e l'appello ad una opinione condivisa dai pi sono solo surrogati di
confutazione - surrogati tanto pi sospetti in quanto offerti da un sofista, che fino a un
momento fa si era vantato di saper manipolare le assemblee con la propria retorica - i
quali non hanno nessun valore in una argomentazione ad veritatem. [471d ss] Socrate si
propone di dimostrare a Polo, con il metodo elenctico, che non possibile essere nello
stesso tempo adikos (ingiusto) ed eudaimon (felice). L'opinione da cui prende avvio l'
lenchos la tesi di Polo secondo cui subire ingiustizia peggiore (kakion) che
commetterla; ma commettere ingiustizia moralmente pi brutto (aischion) che patirla.

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Questa tesi si basa sul presupposto che la bellezza e la bruttezza morale (kalon e
aischron) siano diverse dall' agathon e dal kakon, cio dal bene e dal male in quanto
inteso a procurare felicit. Il primo passo dell'lenchos consiste nel chiedere per quale
ragione una cosa considerata "bella" (kalos). La risposta : perch d piacere o utile
a chi la contempla. Analogamente, una cosa apparir brutta (aischros) se provoca dolore
o danno. Cio il bello e il brutto dipendono dal piacere e dal dolore che provocano, o (vel)
dal bene e dal male che procurano. Polo aveva riconosciuto che commettere ingiustizia
pi brutto (aischion) che patirla. Ma questo significa che Polo riconosce anche che
commettere ingiustizia pu essere o pi doloroso o (vel) pi dannoso (peggiore) che
subirla. Commettere ingiustizia non supera in dolore in patirla. Possiamo per
ammettere che lo supera in male, e quindi: commettere ingiustizia peggio (kakion) che
subirla. Questo argomento si basa su un' omissione, che lo pu fare apparire un sofisma,
se non rendiamo esplicite le sue premesse tacite. .Ma, nel dialogo, un argomento
sufficiente a piegare Polo: la giustizia, in quanto padronanza di s o sophrosyne,
rappresenta il benessere e la salute dell' anima. E chi si sottrae alla giustizia correttiva e
alle sue punizioni, si comporta come un bambino che cerchi di sottrarsi alla sua
medicina, perch non si rende conto che serve per guarirlo. Anzi, se vogliamo il male di
un nostro nemico dobbiamo cercare di sottrarlo alla giustizia, perch viva il pi a lungo
possibile in compagnia della sua infelicit. Perci, conclude Socrate ironicamente, la
retorica serve soltanto quando si ha a che fare con chi ha intenzione di commettere il
male. Altrimenti perfettamente inutile. A questo punto, irrompe nella discussione un
interlocutore ancora pi agguerrito di Polo, il padrone di casa Callicle. Socrate parla sul
serio o scherza? Perch, se dicesse sul serio, l'intera vita umana sarebbe capovolta, e tutti
faremmo proprio il contrario di quello che dovremmo fare. Socrate gli risponde con un
gioco di parole: siamo entrambi innamorati, io di Alcibiade e della filosofia, tu del demos
ateniese e di Demo figlio di Pirilampo. Tu non sai contraddire quello che dice il tuo
amore, ma ti lasci cambiare da cima a fondo. Cos faccio io; con la differenza che
Alcibiade dice ora una cosa ora un'altra, la filosofia sempre la stessa. E se non confuti
quanto sostiene la filosofia, tu sei in disaccordo con te stesso e disarmonico
(asymphonon). Per capire che cosa vuol lasciare intendere Socrate, dobbiamo tener
presente che il rapporto fra l'amante adulto e il pi giovane amato era di tipo educativo:
Callicle che fa tutto quello che dice Demo, che , con un doppio senso, un ragazzo e il
popolo, un cattivo politico e un cattivo amante. [481b ss.] Callicle decide di stare al
gioco: Socrate riuscito a prevalere su Gorgia e su Polo perch ha usato dei trucchi
retorici, e ha approfittato del fatto che i due sofisti si vergognassero a dire quello che
veramente pensavano. Entrambi hanno trattato l'idea di giustizia come qualcosa di dato,
e non hanno osato metterla in discussione. Ma basterebbe smascherare il carattere
convenzionale di questa idea per sottrarsi agli argomenti di Socrate, la cui forza si basa
solo sul pudore altrui. Polo, quando diceva che commettere ingiustizia pi brutto
(aischion) che subirla, intendeva pi brutto kata nomon (per legge o per convenzione od
uso); Socrate , invece, suggerisce che lo sia kata physin (per natura). Ma per natura ci
che pi brutto - subire ingiustizia - anche peggiore; solo kata nomon che il
contrario. Per natura non da aner (uomo, nel senso di maschio), ma da servo subire
ingiustizia senza essere capaci di ricambiarla, ed meglio morire che vivere maltrattati e
offesi. Quelli che fanno i nomoi sono i deboli e i molti, per il loro utile (sympheron ).
Spaventano i pi forti, che potrebbero prevalere, dicendo che brutto e ingiusto
pleonektein (pretendere di avere pi del dovuto) e cercare di prevalere sugli altri. Essi
amano avere l'uguale perch sono mediocri. Ma per natura giusto che il migliore
prevalga sul peggiore, e il pi potente sul meno capace. Questo la natura lo mostra
ovunque, tra gli animali e tra gli uomini, nelle citt e nelle famiglie. Il forte che riuscisse
a liberarsi dagli incantesimi della citt, sarebbe nostro padrone. Questo sarebbe il
physeos dikaion (il giusto secondo la legge di natura). [483a ss.] La filosofia solo un
passatempo per i giovani, e non da aner continuare a proticarla da adulti, quando si
deve misurare il proprio valore nell'agor e nella polis: Socrate, ad esempio, non
saprebbe difendersi se accusato ingiustamente in tribunale, proprio perch perde tempo
con la filosofia, quando la retorica sarebbe assai pi utile. Le tesi di Callicle usano la
sofistica e l'etica aristocratica per smascherare la giustizia e l' isonomia democratica
come ingannevole e convenzionale. La realt dei rapporti umani, come si pu vedere
nella famiglia e nella politica estera, si basa sulla legge del pi forte, che,
aristocraticamente, anche il migliore. Callicle, tuttavia, nonostante faccia proprio
l'arsenale delle critiche antidemocratiche contemporanee, accetta la democrazia come
campo di battaglia: i migliori sono, elitisticamente, anche coloro che prevalgono

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manipolando le masse con la retorica. Socrate si compiace di aver trovato un


interlocutore come Callicle, che la miglior pietra di paragone per la sua anima, in
quanto possiede scienza, benevolenza e parresia (franchezza nel parlare). E dopo questa
captatio benevolentiae, egli comincia l' lenchos, che punta, impietosamente, sui suoi
pudori. Nel confronto con Callicle, che un aristocratico, Socrate si atteggia ad ingenuo,
ma sceglie provocatoriamente esempi che fanno riferimento a cose e persone "vili", allo
scopo di irritare e mettere in ridicolo il suo interlocutore. Questo espediente retorico
serve a smascherare i presupposti assiologici che Callicle nasconde acriticamente sotto la
sua professione di realismo. La prima obiezione di Socrate mette in luce una
contraddizione caratteristica della critica aristocratica all'etica della democrazia: se la
maggioranza pensa che commettere ingiustizia peggio che subirla, e impone con la
forza la sua preferenza alla minoranza, nel suo diritto naturale, essendo la pi forte. E
Callicle, per quale il giusto secondo natura comporta la prevalenza del pi forte,
dovrebbe coerentemente rassegnarsi alla volont dei pi, a prescindere dalla loro
condizione sociale. Callicle risponde, sdegnato, che Socrate approfitta della sua scelte
terminologiche infelici: i migliori che hanno diritto di prevalere sui peggiori non sono i
pi forti fisicamente, perch questo legittimerebbe il potere di una accozzaglia di plebei e
di schiavi. E rettifica la sua definizione: i "migliori" sono quelli che valgono di pi, nel
senso che sono i pi intelligenti o competenti. [488c ss] Socrate gli chiede chiarimenti: un
medico, in quanto esperto di dieta, ha il diritto di ingozzarsi con una quota
sproporzionata di cibo, in luogo di distribuirlo a ciascuno secondo le sue necessit? Un
bravo tessitore avr titolo ad avere pi degli altri, e se ne andr in giro avvolto in molti e
magnifici drappi? E, per quanto riguarda la distribuzione delle scarpe, un calzolaio
dovr andare a spasso indossando pi paia di scarpe, e pi grandi di quelle degli altri?
Callicle, sempre pi irritato, risponde che lui non si occupa di simili mestieranti, ma delle
persone esperte negli affari politici, a cui deve essere assegnato il potere nella citt.
Socrate mette Callicle di fronte a un altro aspetto dell'etica democratica: la virt della
sophrosyne (temperanza o autocontrollo). Questi "migliori", che dovrebbero governare
la citt, sanno governare se stessi? Il suo interlocutore, da aristocratico, rifiuta di
trattare la sophrosyne come una virt: il giusto per natura comporta che ciascuno
assecondi i suoi desideri e le sue passioni. La temperanza non una virt, perch
comporta l'asservimento al nomos, al logos e al biasimo dei molti, anzich alla proprie
passioni personali. [491e] Socrate , riprendendendo una metafora pitagorica, paragona l'
anima di chi asservito alla passione ad un orcio bucato, che deve essere continuamente
riempito con un recipiente anch'esso bucato. La natura del desiderio tale che esso non
potr mai essere soddisfatto, perch continuer a ripresentarsi ciclicamente, in base a
bisogni pi o meno indotti. Callicle, di contro, pensa che l'essenza della vita felice sia
questo ciclo ripetitivo di soddisfazione e di deprivazione: vivere dolcemente consiste nel
pi grande fluire. L'ideale di vita di Callicle si contrappone frontalmente a quello di
Socrate: chi persegue la conoscenza segue un itinerario lineare e irreversibile, come
possiamo vedere nel Protagora, mentre chi persegue il piacere prigioniero di un
processo ripetitivo. Socrate propone a Callicle, che aveva in mente le nobili passioni
dell'aristocratico, come il desiderio di primeggiare sugli altri o di vendicare gli amici,
una serie di applicazioni sgradevoli o scurrili della sua tesi. La vita decantata da Callicle
simile a quella del caradrio, una specie di piviere che mangia mentre evacua, o a quella
di un malato di rogna che trova sollievo nel grattarsi continuamente, o ancora - cosa
obbrobriosa per un fautore dell' andreia - a quella dell'omosessuale passivo. Callicle si
scandalizza, ad onta della sua decantata indipendenza dalle convenzioni dei pi. Dopo
essersi cos preparato il terreno, Socrate pu colpire Callicle al cuore della sua tesi, che
comporta l'identificazione del bene con il piacere (nel senso di soddisfazione dei
desideri). Bene e piacere non sono la stessa cosa per tre motivi fondamentali: Il piacere
ha luogo durante la soddisfazione di un bisogno. Ma il bisogno si manifesta sotto forma
di una sofferenza; e il piacere che segue alla sua soddisfazione dura solo finch il bisogno
viene soddisfatto, cio finch esso convive con la sofferenza dovuta alla deprivazione. Ad
esempio, si beve per placare la pena della sete, ma il bere rimane piacevole solo finch
dura questa pena. Se la sofferenza un male, e il piacere presente solo in concomitanza
con questa, allora esso non pu essere un bene, cio qualcosa che vale la pena scegliere
per se stesso, e non in quanto rimedio a un male. La bont di questo tipo di piacere,
infatti, tale solo in relazione a uno stato di sofferenza provocato dal bisogno. Se il
piacere fosse identico al bene, si dovrebbero identificare le persone buone con le persone
che godono; ma buoni e cattivi godono e soffrono, rispetto a una medesima esperienza, in
uguale misura. L' eudaimonia qualcosa di pi complesso di una semplice situazione

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personale, perch comporta un rapporto con gli altri e con il mondo in generale. Per
questo il suo problema pu essere correttamente posto solo nel logos, cio nel discorso,
che va oltre le sensazioni private. Se si ammette, come ha fatto Callicle, che ci siano
piaceri migliori e piaceri peggiori, il criterio di classificazione dei piaceri stessi sar un
bene differente da questi. E occorrer una techne - non la semplice esperienza del
desiderio e della sua soddisfazione - per distinguere i piaceri utili da quelli dannosi alla
nostra felicit. Questa techne non pu essere la retorica, perch si basa solo
sull'esperienza e non ha un progetto. Il suo modello deve essere, piuttosto, il lavoro
dell'artigiano, che sceglie i pezzi da montare tenendo presente l' eidos. In base al modello
offerto dall' eidos, i pezzi vengono disposti in un ordine ( taxis) e in una proporzione
armoniosa (kosmos). [503e ss] L'ordine del corpo si chiama salute, quello dell' anima
nomos, o legge. Questo ordine si conserva attraverso le virt personali della dikaiosyne
(giustizia) e della sophrosyne, e comporta una relazione armoniosa sia con se stessi, sia
con la totalit fuori di s. Socrate diceva che la virt consapevolezza: per questo essa
pu essere riassunta nella sophrosyne, che controllo di s. [507b ss] Nel Gorgia, accanto
a questa tesi socratica, si introduce l'elemento dell' eidos, il modello di rettitudine, ordine
e armonia dell' anima. Ci si potrebbe chiedere se l' eidos, in quanto modello, possa fare a
meno della consapevolezza personale, fino ad ispirare un "modellamento" delle persone
a prescindere dalla loro volont. L'equiparazione socratica di virt e conoscenza, se
applicata in modo radicale, sembra non autorizzare nessuna punizione differente dalla
confutazione. Una punizione che si giustificasse perch riplasma le persone secondo il
modello appropriato non sarebbe compatibile con la teoria della virt come conoscenza,
ma potrebbe essere legittimata da una nozione di virt come conformit a un eidos. La
prospettiva del Gorgia, tuttavia, resa problematica dal fatto che Platone non rigetta la
tesi socratica della virt come consapevolezza: l' lenchos, per esempio, trattato come
un'esperienza di emendazione non soltanto cognitiva, ma anche morale. Egli aggiunge
alla tesi di Socrate, la teoria dell' eidos dell'anima come modello di ordine, come se non
vi fosse contrasto fra le due posizioni. Nella parte conclusiva del dialogo Callicle, che
stato sconfitto dall' lenchos, segue l'argomentazione di Socrate con riluttanza e senza
convinzione, per cortesia verso Gorgia , che continua a fare da spettatore, e perch il suo
interlocutore lo costringe, quasi, a continuare. Socrate si dice incapace a costruire una
argomentazione senza il controllo di un altro dialogante, che verifichi la solidit delle sue
tesi. E arriva a dire che, per quanto i ragionamenti condotti fino a quel momento siano
"di ferro e diamante", non sa affatto come stiano veramente le cose, ma sa solo che
nessuno, finora, riuscito a sostenere tesi diverse senza venir confutato. [509a] La
certezza del ragionamento elenctico sempre provvisoria, perch costruita sulle opinioni
di persone provvisorie: Socrate non lusinga mai i suoi interlocutori, nel senso che non
permette loro di nutrirsi dell'illusione di aver acquisito qualcosa da lui. Questa debolezza
nello stesso tempo un punto di forza: mentre gli esperti di retorica Gorgia e Polo sono
ridotti a spettatori, Socrate conduce chi riesce a discutere con lui ad occuparsi non di
tecniche argomentative sul giusto e sull'ingiusto, ma del giusto e dell'ingiusto in quanto
questione sostantiva. Socrate , seguito dal recalcitrante Callicle, affronta un problema
tecnico-politico: per evitare di subire ingiustizia occorre o conquistare il potere, o
parteggiare per il governo in carica. Ma per essere amici di chi al potere, occorre
essergli il pi possibile simile: un tiranno, ad esempio, disprezzer chi peggiore di lui e
avr paura di chi migliore di lui. Sar amico solo di chi ha la sua stessa mentalit ed
disposto a rimanergli soggetto. Se l'arte della politica si riduce a una pratica di
sopravvivenza, essa consister semplicemente nell'ingraziarsi il padrone. Callicle pensa
di valersi della retorica per manipolare le masse, che, aristocraticamente, disprezza. In
realt, cercando di lusingarle, si rende simile a loro, mentre un buon politico dovrebbe
piuttosto interagire con le persone, per renderle migliori. [510a ss] D'altra parte, anche
se riconosciamo l'utilit della retorica per argomentare nelle assemblee e nei tribunali, e
dunque, all'occorrenza, per sottrarsi a una condanna a morte, non si vede da dove questa
disciplina possa trarre un titolo di nobilt. Anche il nuoto, la navigazione e la tecnica di
costruire macchine da guerra salvano la vita; 6+9+eppure il maestro di nuoto, il
marinaio e il meccanico non vanno pavoneggiandosi per la loro techne, anche perch essi
sanno benissimo che i loro strumenti servono solo alla sopravvivenza, e non alla felicit
delle persone. E' bizzarro che Callicle, un meccanico della sopravvivenza politica, guardi
dall'alto in basso il costruttore di macchine, quando egli stesso, per farsi valere nella
polis, si renda simile al demos che tanto disprezza, al solo scopo di lusingarlo. [511d ss] Il
Gorgia si conclude con il primo dei grandi miti platonici della maturit: il mito del
giudizio dei morti. Socrate afferma che questo racconto in realt un logos, e ha solo

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l'apparenza di mythos. Tanto vero che egli stesso dice di vivere cercando di non
commettere ingiustizia, piuttosto che di non subirla, perch teme molto di pi il giudizio
dei morti, con la cui narrazione si congeda da noi, che quello dei vivi.
SECONDO PERIODO:
Menone

Nell'Eutidemo viene presentato , a tre riprese , il dialogo diretto fra due personaggi ,
Socrate e Critone . Esso viene interrotto due volte dal racconto di Socrate , che espone a
Critone la disputa eristica svoltasi tra Eutidemo , Dionisodoro , Clinia , Ctesippo , un
logografo non meglio identificato ed alcuni loro compagni ed amici , i quali intervengono
nel dialogo quasi come un coro . Nel racconto di Socrate compaiono poi due coppie :
Clinia e Ctesippo , Eutidemo e Dionisodoro . clinia , figlio di Assioco , un giovane
aristocratico , ricco di doti , sempre seguito da una schiera di ammiratori ; un amico di
Socrate , a cui siede familiarmente vicino . Ctesippo , amante di Clinia , viene presentato
con un temperamento piuttosto insolente , violento e passionale . Ama la discussione :
all'inizio pare incapace di cogliere il punto debole degli avversari , ma nel corso della
confutazione , capito il trucco degli eretisti , li attacca sul loro stesso terreno , fino alle
conseguenze pi assurde e offensive . Per quel che riguarda Eutidemo e Dionisodoro ,
secondo i critici probabile che siano esistiti due sofisti che portavano questi nomi , ma
altrettanto probabile che Platone abbia costruito questi due personaggi con notevole
libert : entrambe ci vengono presentati come emigrati a Chio ( la citt le cui leggi erano
state varate da Protagora ; si proclamano entrambi esperti di molte arti : sanno fare un
p di tutto . Va poi ricordato l'interlocutore anonimo di Critone : viene descritto come
uno scrittore di discorsi per tribunali ; rivolge critiche simultaneamente a Socrate , ai
sofisti e alla filosofia stessa . Fin dall'antichit questo personaggio stato identificato
conIsocrate , uno dei pi grandi nemici di Platone ( insieme con Democrito ) , che il
filosofo attacca anche nel " Gorgia " . Il dialogo si svolge in un luogo indeterminato ; per
quel che riguarda la datazione , si concordi nel fissarla intorno al 411-404 a.C. Per i
temi trattati , gli studiosi tendono ad avvicinare l'Eutidemo soprattutto al " Menone " ,
ma anche al " Gorgia " e al Cratilo . Il dialogo si apre con l'incontro tra Socrate e
Critone , i quali tengono un dialogo preliminare sulla vita ; Critone chiede poi
informazioni a riguardo di Eutidemo e Dionisodoro ( che aveva visto il giorno primo
discutere con Socrate ) , e Socrate li elogia entrambe per sapienza e racconta del loro
incontro nel Liceo : entrambi si erano proclamati maestri di virt e migliori di chiunque
altro ad insegnarla : essi sono nel liceo proprio per divulgare la loro virt . Allora
Socrate , racconta a Critone , ne approfitt per invitarli a persuadere il suo amico Clinia
all'esercizio della filosofia . Cos i due si cimentarono nel dimostrare in favore della
filosofia , interrogando Clinia in questo modo : " ad imparare sono i sapienti o gli
ignoranti ? " Clinia rispose " i sapienti " ed Eutidemo chiese ancora " Chi sono quelli
che chiami maestri ? " " i maestri lo sono di quelli che apprendono " ; ed Eutidemo " ma
quando si impara non si sa ancora ci che si apprende , giusto ? Pertanto ad apprendere
non il sapiente , ma colui che ignora " . Ma Eutidemo confuta la sua stessa definizione
dicendo che quando un maestro spiega ad apprendere sono i sapienti , mentre gli
ignoranti restano tali . A questo punto tutti gli spettatori che assistevano
all'argomentazione avevano cominciato ad applaudire fortemente . Poi Eutidemo , non
ancora soddisfatto , pone altre domande senza via d'uscita come queste a Clinia . Socrate
tiene poi un discorso protrettico a Clinia e cerca di rassicurarlo sugli intenti scherzosi di
Eutidemo e Dionisodoro . Poi Socrate presenta a Clinia un esempio di esortazione alla
filosofia che si incentra sulla coincidenza di felicit , scienza , sapienza e filosofia . Poi
Eutidemo e Dionisodoro fecero una seconda dimostrazione eristica a Socrate e a
Ctesippo : Socrate spieg che voleva che Clinia divenisse un sapiente e Dionisodoro
chiese se in poche parole volevano che diventasse quello che non era allora , e che non
fosse pi quello che era allora . E Socrate disse di s , e a questo punto Dionisodoro
afferm baldanzoso che dunmque lo voleva morto , giocando con l'espressione nonessere pi . Ctesippo a questo punto va su tutte le furie , perch convinto che i due "
maestri di virt " si stian facendo beffe di lui e di Socrate mentendo spudoratamente ; a
questo punto Eutidemo fece una dimostrazione analoga in difesa di Dionisodoro : per
mentire si intende dire ci che non ; fare ci che non esiste in assoluto impossibile ;
dire un modo di fare , di agire ; quindi , di conseguenza , non si pu dire ci che non
in assoluto . Ctesippo si innervos sempre pi e a calmarlo ci pens Socrate , che prese il
suo posto nella discussione con Eutidemo e Dionisodoro dicendo che loro , negando la
possibilit di dire il falso , si riallacciano a Protagora e alla sua dottrina secondo la quale
tutto vero . Poi chiese loro se , visto che impossibile dirlo , almeno pensare il falso

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possibile . Loro pi convinti che mai risposero di no . Ma dunque non esiste neppure
l'ignoranza , che consiste nell' ingannarsi su certi oggetti , e di conseguenza non esistono
nemmeno uomini ignoranti , disse Socrate seguendo il loro ragionamento ; ma questo
sarebbe impossibile perch di uomini ignoranti eccome se ce ne sono ! Ma Dionisodoro
chiese in tono di sfida a Socrate di confutare , e Socrate gli disse che era impossibile , in
quanto , secondo il ragionamento stesso di Dionisodoro , tutto quel che si dice vero e
nessuno s'inganna mai . Poi , continu Socrate , se nessuno mai si inganna , che cosa
sarebbero venuti ad insegnare Dionisodoro ed Eutidemo nel Liceo ? Socrate spieg ai due
stranieri che il loro modo di argomentare , per quanto meraviglioso e ricco di ornamenti
retorici , dopo aver abbattuto gli altri tendesse a cadere da solo . Poi intraprese un
secondo discorso protrettico per Clinia , che deve essere convinto a dedicarsi alla filosofia
: solo la scienza capace sia di produrre , sia di utilizzare il proprio oggetto pu rendere
felici . Ma difficile trovare una scienza come questa : i cacciatori , per esempio , con la
loro arte sanno come catturare le prede , ma non sanno utilizzarle e le cedono ai cuochi
( cos fanno anche i pescatori ) ; neanche i matematici sanno sfruttare la loro scienza ;
essi sono come dei cacciatori ( infatti non producono le figure riguardanti le loro
materie , ma trovano quelle che esistono ) e consegnano i loro oggetti ai dialettici affinch
li usino . Poi intervennero anche Eutidemo e Dionisodoro , che posero nuove domande a
Socrate e riuscirono a dimostrare tramite una dimostrazione tortuosa e quasi
paradossale che se si conosce qualcosa come se si conoscesse tutto ; a questo punto
Ctesippo si adir nuovamente , non credendo possibile , per quanto la loro dimostrazione
fosse coerente , che qualsiasi uomo possa conoscere tutto e chiese loro di dirgli quanti
denti avevano in bocca senza contarli , quante stelle brillavano in cielo e molte altre cose
simili , alle quali i due risposero dicendo che a loro bastava sapere , senza rispondergli .
Socrate paragon i ragionamenti di Eutidemo e Dionisodoro all' Idra , animale
mitologico , con il quale combatt Ercole e ogni volta che le veniva amputata una testa ,
ne faceva nascere molti altri : cos sono anche i ragionamenti di quei due che Socrate ,
per sbaglio , defin " fratelli " . Dionisodoro lo corresse spiegandogli che non erano
fratelli e da l cominci una nuova discussione " eristica " di Dionisodoro ed Eutidemo ,
che chiesero a Socrate se Iolao , nipote di Ercole , era pi nipote di Ercole o di Socrate
stesso . Socrate disse che , senz'altro , era pi nipote di Ercole in quanto suo non poteva
esserlo , visto che non era figlio di suo fratello Patrocle . Ma Patrocle suo fratello
davvero , gli domandarono Dionisodoro ed Eutidemo ? Socrate rispose che lo era ma non
per parte di padre , visto che il padre di Socrate era Sofronisco e quello di Patrocle
Cheredemo . Dunque Cheredemo e Sofronisco erano padri allo stesso modo , gli
domandarono i due , ma Socrate spieg che solo Sofronisco per lui era padre . Dunque
Cheredemo diverso dal padre ? Dal mio senz'altro , disse Socrate . Dunque padre pur
essendo diverso dal padre ; se si diversi dalla pietra non si pietra , se si diversi
dall'oro non si oro e se si diversi dal padre non si padre , quindi anche Cheredemo
non padre , afferm Dionisodoro , e poi aggiunse che se per il padre era Cheredemo ,
allora Sofronisco , essendo diverso dal padre , non era padre e quindi Socrate era privo
di padre . A questo punto intervenne Ctesippo , furibondo come non mai e disse che con
questo ragionamento Cheredemo si troverebbe ad essere padre di tutti gli uomini e di
tutti gli animali ! Ctesippo poi , beffardo , disse a Dionisodoro che suo padre era padre di
porci e di cani ( seguendo il ragionamento ) , e Dionisodoro concluse che anche il padre di
Ctesippo per figli aveva cani e porci , visto che era lo stesso padre ... Dopo aver fatto
risaltare aporie concernenti i legami di parentela , in modi alquanto affini Dionisodoro
ed Eutidemo fecero risaltare anche aporie concernenti il vedere e il parlare . Poi la
conversazione si spost sulla dottrina delle idee e sulle sue contraddizioni , argomento
peraltro ampiamente affrontato da Platone nel " Parmenide " . Dionisodoro disse a
Socrate che a rigore , se una cosa stando vicina all'idea di bellezza diventa bella , allora
lui , che gli era seduto accanto , sarebbe dovuto diventare Dionisodoro . Socrate si trov
davvero in difficolt di fronte a Dionisodoro che continuava ad incalzarlo e gli chiedeva :
" Ma tu , o Socrate , dici che per agire bene bisogna fare ci che compete ; e che cosa
compete al cuoco ? " Socrate rispose " tagliare la carne e farla bollire " e Dionisodoro
replic " dunque un cuoco che prenda un uomo , lo tagli a pezzi e lo metta a bollire , avr
agito bene ? " . Socrate cap che la discussione con individui del genere era davvero
difficile , ma tuttavia ammira i due eristi e li elogia invitandoli ad accogliere nella loro
cerchia anche lui e Clinia . Poi riprende il dialogo tra Socrate e Critone . che racconto
che nel liceo , al termine della discussione con Eutidemo e Dionisodoro , aveva incontrato
un logografo che gli aveva sparlato della filosofia , dicendogli che il suo amico Socrate si
era appena fatto una figuraccia . Socrate replica criticando aspramente i logografi e le

18

persone come quel tale , che si credono i pi sapienti sulla faccia della terra solo perch
hanno intrallazzi politici ( infatti scrivono discorsi per i politici ) , senza in realt sapere
nulla , ma che in fin dei conti van perdonati per la loro ignoranza . Critone spiega poi a
Socrate di avere un figlioletto e di non sapere quale tipo di educazione sia giusto
impartirgli ; Socrate gli dice di affidarlo alla filosofia , se pensa che sia una buona cosa ,
di tenerlo lontano da essa se pensa che essa sia inutile . Cos si conclude il dialogo .
Eutidemo

Nell'Eutidemo viene presentato , a tre riprese , il dialogo diretto fra due personaggi ,
Socrate e Critone . Esso viene interrotto due volte dal racconto di Socrate , che espone a
Critone la disputa eristica svoltasi tra Eutidemo , Dionisodoro , Clinia , Ctesippo , un
logografo non meglio identificato ed alcuni loro compagni ed amici , i quali intervengono
nel dialogo quasi come un coro . Nel racconto di Socrate compaiono poi due coppie :
Clinia e Ctesippo , Eutidemo e Dionisodoro . Clinia , figlio di Assioco , un giovane
aristocratico , ricco di doti , sempre seguito da una schiera di ammiratori ; un amico di
Socrate , a cui siede familiarmente vicino . Ctesippo , amante di Clinia , viene presentato
con un temperamento piuttosto insolente , violento e passionale . Ama la discussione :
all'inizio pare incapace di cogliere il punto debole degli avversari , ma nel corso della
confutazione , capito il trucco degli eretisti , li attacca sul loro stesso terreno , fino alle
conseguenze pi assurde e offensive . Per quel che riguarda Eutidemo e Dionisodoro ,
secondo i critici probabile che siano esistiti due sofisti che portavano questi nomi , ma
altrettanto probabile che Platone abbia costruito questi due personaggi con notevole
libert : entrambe ci vengono presentati come emigrati a Chio ( la citt le cui leggi erano
state varate da Protagora ; si proclamano entrambi esperti di molte arti : sanno fare un
p di tutto . Va poi ricordato l'interlocutore anonimo di Critone : viene descritto come
uno scrittore di discorsi per tribunali ; rivolge critiche simultaneamente a Socrate , ai
sofisti e alla filosofia stessa . Fin dall'antichit questo personaggio stato identificato con
Isocrate , uno dei pi grandi nemici di Platone ( insieme con Democrito ) , che il filosofo
attacca anche nel " Gorgia " . Il dialogo si svolge in un luogo indeterminato ; per quel
che riguarda la datazione , si concordi nel fissarla intorno al 411-404 a.C. Per i temi
trattati , gli studiosi tendono ad avvicinare l'Eutidemo soprattutto al " Menone " , ma
anche al " Gorgia " e al Cratilo . Il dialogo si apre con l'incontro tra Socrate e Critone , i
quali tengono un dialogo preliminare sulla vita ; Critone chiede poi informazioni a
riguardo di Eutidemo e Dionisodoro ( che aveva visto il giorno primo discutere con
Socrate ) , e Socrate li elogia entrambe per sapienza e racconta del loro incontro nel
Liceo : entrambi si erano proclamati maestri di virt e migliori di chiunque altro ad
insegnarla : essi sono nel liceo proprio per divulgare la loro virt . Allora Socrate ,
racconta a Critone , ne approfitt per invitarli a persuadere il suo amico Clinia
all'esercizio della filosofia . Cos i due si cimentarono nel dimostrare in favore della
filosofia , interrogando Clinia in questo modo : " ad imparare sono i sapienti o gli
ignoranti ? " Clinia rispose " i sapienti " ed Eutidemo chiese ancora " Chi sono quelli
che chiami maestri ? " " i maestri lo sono di quelli che apprendono " ; ed Eutidemo " ma
quando si impara non si sa ancora ci che si apprende , giusto ? Pertanto ad apprendere
non il sapiente , ma colui che ignora " . Ma Eutidemo confuta la sua stessa definizione
dicendo che quando un maestro spiega ad apprendere sono i sapienti , mentre gli
ignoranti restano tali . A questo punto tutti gli spettatori che assistevano
all'argomentazione avevano cominciato ad applaudire fortemente . Poi Eutidemo , non
ancora soddisfatto , pone altre domande senza via d'uscita come queste a Clinia . Socrate
tiene poi un discorso protrettico a Clinia e cerca di rassicurarlo sugli intenti scherzosi di
Eutidemo e Dionisodoro . Poi Socrate presenta a Clinia un esempio di esortazione alla
filosofia che si incentra sulla coincidenza di felicit , scienza , sapienza e filosofia . Poi
Eutidemo e Dionisodoro fecero una seconda dimostrazione eristica a Socrate e a
Ctesippo : Socrate spieg che voleva che Clinia divenisse un sapiente e Dionisodoro
chiese se in poche parole volevano che diventasse quello che non era allora , e che non
fosse pi quello che era allora . E Socrate disse di s , e a questo punto Dionisodoro
afferm baldanzoso che dunmque lo voleva morto , giocando con l'espressione nonessere pi . Ctesippo a questo punto va su tutte le furie , perch convinto che i due "
maestri di virt " si stian facendo beffe di lui e di Socrate mentendo spudoratamente ; a
questo punto Eutidemo fece una dimostrazione analoga in difesa di Dionisodoro : per
mentire si intende dire ci che non ; fare ci che non esiste in assoluto impossibile ;
dire un modo di fare , di agire ; quindi , di conseguenza , non si pu dire ci che non
in assoluto . Ctesippo si innervos sempre pi e a calmarlo ci pens Socrate , che prese il
suo posto nella discussione con Eutidemo e Dionisodoro dicendo che loro , negando la
possibilit di dire il falso , si riallacciano a Protagora e alla sua dottrina secondo la quale

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tutto vero . Poi chiese loro se , visto che impossibile dirlo , almeno pensare il falso
possibile . Loro pi convinti che mai risposero di no . Ma dunque non esiste neppure
l'ignoranza , che consiste nell' ingannarsi su certi oggetti , e di conseguenza non esistono
nemmeno uomini ignoranti , disse Socrate seguendo il loro ragionamento ; ma questo
sarebbe impossibile perch di uomini ignoranti eccome se ce ne sono ! Ma Dionisodoro
chiese in tono di sfida a Socrate di confutare , e Socrate gli disse che era impossibile , in
quanto , secondo il ragionamento stesso di Dionisodoro , tutto quel che si dice vero e
nessuno s'inganna mai . Poi , continu Socrate , se nessuno mai si inganna , che cosa
sarebbero venuti ad insegnare Dionisodoro ed Eutidemo nel Liceo ? Socrate spieg ai due
stranieri che il loro modo di argomentare , per quanto meraviglioso e ricco di ornamenti
retorici , dopo aver abbattuto gli altri tendesse a cadere da solo . Poi intraprese un
secondo discorso protrettico per Clinia , che deve essere convinto a dedicarsi alla filosofia
: solo la scienza capace sia di produrre , sia di utilizzare il proprio oggetto pu rendere
felici . Ma difficile trovare una scienza come questa : i cacciatori , per esempio , con la
loro arte sanno come catturare le prede , ma non sanno utilizzarle e le cedono ai cuochi
( cos fanno anche i pescatori ) ; neanche i matematici sanno sfruttare la loro scienza ;
essi sono come dei cacciatori ( infatti non producono le figure riguardanti le loro
materie , ma trovano quelle che esistono ) e consegnano i loro oggetti ai dialettici affinch
li usino . Poi intervennero anche Eutidemo e Dionisodoro , che posero nuove domande a
Socrate e riuscirono a dimostrare tramite una dimostrazione tortuosa e quasi
paradossale che se si conosce qualcosa come se si conoscesse tutto ; a questo punto
Ctesippo si adir nuovamente , non credendo possibile , per quanto la loro dimostrazione
fosse coerente , che qualsiasi uomo possa conoscere tutto e chiese loro di dirgli quanti
denti avevano in bocca senza contarli , quante stelle brillavano in cielo e molte altre cose
simili , alle quali i due risposero dicendo che a loro bastava sapere , senza rispondergli .
Socrate paragon i ragionamenti di Eutidemo e Dionisodoro all' Idra , animale
mitologico , con il quale combatt Ercole e ogni volta che le veniva amputata una testa ,
ne faceva nascere molti altri : cos sono anche i ragionamenti di quei due che Socrate ,
per sbaglio , defin " fratelli " . Dionisodoro lo corresse spiegandogli che non erano
fratelli e da l cominci una nuova discussione " eristica " di Dionisodoro ed Eutidemo ,
che chiesero a Socrate se Iolao , nipote di Ercole , era pi nipote di Ercole o di Socrate
stesso . Socrate disse che , senz'altro , era pi nipote di Ercole in quanto suo non poteva
esserlo , visto che non era figlio di suo fratello Patrocle . Ma Patrocle suo fratello
davvero , gli domandarono Dionisodoro ed Eutidemo ? Socrate rispose che lo era ma non
per parte di padre , visto che il padre di Socrate era Sofronisco e quello di Patrocle
Cheredemo . Dunque Cheredemo e Sofronisco erano padri allo stesso modo , gli
domandarono i due , ma Socrate spieg che solo Sofronisco per lui era padre . Dunque
Cheredemo diverso dal padre ? Dal mio senz'altro , disse Socrate . Dunque padre pur
essendo diverso dal padre ; se si diversi dalla pietra non si pietra , se si diversi
dall'oro non si oro e se si diversi dal padre non si padre , quindi anche Cheredemo
non padre , afferm Dionisodoro , e poi aggiunse che se per il padre era Cheredemo ,
allora Sofronisco , essendo diverso dal padre , non era padre e quindi Socrate era privo
di padre . A questo punto intervenne Ctesippo , furibondo come non mai e disse che con
questo ragionamento Cheredemo si troverebbe ad essere padre di tutti gli uomini e di
tutti gli animali ! Ctesippo poi , beffardo , disse a Dionisodoro che suo padre era padre di
porci e di cani ( seguendo il ragionamento ) , e Dionisodoro concluse che anche il padre di
Ctesippo per figli aveva cani e porci , visto che era lo stesso padre ... Dopo aver fatto
risaltare aporie concernenti i legami di parentela , in modi alquanto affini Dionisodoro
ed Eutidemo fecero risaltare anche aporie concernenti il vedere e il parlare . Poi la
conversazione si spost sulla dottrina delle idee e sulle sue contraddizioni , argomento
peraltro ampiamente affrontato da Platone nel " Parmenide " . Dionisodoro disse a
Socrate che a rigore , se una cosa stando vicina all'idea di bellezza diventa bella , allora
lui , che gli era seduto accanto , sarebbe dovuto diventare Dionisodoro . Socrate si trov
davvero in difficolt di fronte a Dionisodoro che continuava ad incalzarlo e gli chiedeva :
" Ma tu , o Socrate , dici che per agire bene bisogna fare ci che compete ; e che cosa
compete al cuoco ? " Socrate rispose " tagliare la carne e farla bollire " e Dionisodoro
replic " dunque un cuoco che prenda un uomo , lo tagli a pezzi e lo metta a bollire , avr
agito bene ? " . Socrate cap che la discussione con individui del genere era davvero
difficile , ma tuttavia ammira i due eristi e li elogia invitandoli ad accogliere nella loro
cerchia anche lui e Clinia . Poi riprende il dialogo tra Socrate e Critone . che racconto
che nel liceo , al termine della discussione con Eutidemo e Dionisodoro , aveva incontrato
un logografo che gli aveva sparlato della filosofia , dicendogli che il suo amico Socrate si

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era appena fatto una figuraccia . Socrate replica criticando aspramente i logografi e le
persone come quel tale , che si credono i pi sapienti sulla faccia della terra solo perch
hanno intrallazzi politici ( infatti scrivono discorsi per i politici ) , senza in realt sapere
nulla , ma che in fin dei conti van perdonati per la loro ignoranza . Critone spiega poi a
Socrate di avere un figlioletto e di non sapere quale tipo di educazione sia giusto
impartirgli ; Socrate gli dice di affidarlo alla filosofia , se pensa che sia una buona cosa ,
di tenerlo lontano da essa se pensa che essa sia inutile . Cos si conclude il dialogo .
Menesseno

Nell'Eutidemo viene presentato , a tre riprese , il dialogo diretto fra due personaggi ,
Socrate e Critone . Esso viene interrotto due volte dal racconto di Socrate , che espone a
Critone la disputa eristica svoltasi tra Eutidemo , Dionisodoro , Clinia , Ctesippo , un
logografo non meglio identificato ed alcuni loro compagni ed amici , i quali intervengono
nel dialogo quasi come un coro . Nel racconto di Socrate compaiono poi due coppie :
Clinia e Ctesippo , Eutidemo e Dionisodoro . clinia , figlio di Assioco , un giovane
aristocratico , ricco di doti , sempre seguito da una schiera di ammiratori ; un amico di
Socrate , a cui siede familiarmente vicino . Ctesippo , amante di Clinia , viene presentato
con un temperamento piuttosto insolente , violento e passionale . Ama la discussione :
all'inizio pare incapace di cogliere il punto debole degli avversari , ma nel corso della
confutazione , capito il trucco degli eretisti , li attacca sul loro stesso terreno , fino alle
conseguenze pi assurde e offensive . Per quel che riguarda Eutidemo e Dionisodoro ,
secondo i critici probabile che siano esistiti due sofisti che portavano questi nomi , ma
altrettanto probabile che Platone abbia costruito questi due personaggi con notevole
libert : entrambe ci vengono presentati come emigrati a Chio ( la citt le cui leggi erano
state varate da Protagora ; si proclamano entrambi esperti di molte arti : sanno fare un
p di tutto . Va poi ricordato l'interlocutore anonimo di Critone : viene descritto come
uno scrittore di discorsi per tribunali ; rivolge critiche simultaneamente a Socrate , ai
sofisti e alla filosofia stessa . Fin dall'antichit questo personaggio stato identificato
conIsocrate , uno dei pi grandi nemici di Platone ( insieme con Democrito ) , che il
filosofo attacca anche nel " Gorgia " . Il dialogo si svolge in un luogo indeterminato ; per
quel che riguarda la datazione , si concordi nel fissarla intorno al 411-404 a.C. Per i
temi trattati , gli studiosi tendono ad avvicinare l'Eutidemo soprattutto al " Menone " ,
ma anche al " Gorgia " e al Cratilo . Il dialogo si apre con l'incontro tra Socrate e
Critone , i quali tengono un dialogo preliminare sulla vita ; Critone chiede poi
informazioni a riguardo di Eutidemo e Dionisodoro ( che aveva visto il giorno primo
discutere con Socrate ) , e Socrate li elogia entrambe per sapienza e racconta del loro
incontro nel Liceo : entrambi si erano proclamati maestri di virt e migliori di chiunque
altro ad insegnarla : essi sono nel liceo proprio per divulgare la loro virt . Allora
Socrate , racconta a Critone , ne approfitt per invitarli a persuadere il suo amico Clinia
all'esercizio della filosofia . Cos i due si cimentarono nel dimostrare in favore della
filosofia , interrogando Clinia in questo modo : " ad imparare sono i sapienti o gli
ignoranti ? " Clinia rispose " i sapienti " ed Eutidemo chiese ancora " Chi sono quelli
che chiami maestri ? " " i maestri lo sono di quelli che apprendono " ; ed Eutidemo " ma
quando si impara non si sa ancora ci che si apprende , giusto ? Pertanto ad apprendere
non il sapiente , ma colui che ignora " . Ma Eutidemo confuta la sua stessa definizione
dicendo che quando un maestro spiega ad apprendere sono i sapienti , mentre gli
ignoranti restano tali . A questo punto tutti gli spettatori che assistevano
all'argomentazione avevano cominciato ad applaudire fortemente . Poi Eutidemo , non
ancora soddisfatto , pone altre domande senza via d'uscita come queste a Clinia . Socrate
tiene poi un discorso protrettico a Clinia e cerca di rassicurarlo sugli intenti scherzosi di
Eutidemo e Dionisodoro . Poi Socrate presenta a Clinia un esempio di esortazione alla
filosofia che si incentra sulla coincidenza di felicit , scienza , sapienza e filosofia . Poi
Eutidemo e Dionisodoro fecero una seconda dimostrazione eristica a Socrate e a
Ctesippo : Socrate spieg che voleva che Clinia divenisse un sapiente e Dionisodoro
chiese se in poche parole volevano che diventasse quello che non era allora , e che non
fosse pi quello che era allora . E Socrate disse di s , e a questo punto Dionisodoro
afferm baldanzoso che dunmque lo voleva morto , giocando con l'espressione nonessere pi . Ctesippo a questo punto va su tutte le furie , perch convinto che i due "
maestri di virt " si stian facendo beffe di lui e di Socrate mentendo spudoratamente ; a
questo punto Eutidemo fece una dimostrazione analoga in difesa di Dionisodoro : per
mentire si intende dire ci che non ; fare ci che non esiste in assoluto impossibile ;
dire un modo di fare , di agire ; quindi , di conseguenza , non si pu dire ci che non
in assoluto . Ctesippo si innervos sempre pi e a calmarlo ci pens Socrate , che prese il
suo posto nella discussione con Eutidemo e Dionisodoro dicendo che loro , negando la

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possibilit di dire il falso , si riallacciano a Protagora e alla sua dottrina secondo la quale
tutto vero . Poi chiese loro se , visto che impossibile dirlo , almeno pensare il falso
possibile . Loro pi convinti che mai risposero di no . Ma dunque non esiste neppure
l'ignoranza , che consiste nell' ingannarsi su certi oggetti , e di conseguenza non esistono
nemmeno uomini ignoranti , disse Socrate seguendo il loro ragionamento ; ma questo
sarebbe impossibile perch di uomini ignoranti eccome se ce ne sono ! Ma Dionisodoro
chiese in tono di sfida a Socrate di confutare , e Socrate gli disse che era impossibile , in
quanto , secondo il ragionamento stesso di Dionisodoro , tutto quel che si dice vero e
nessuno s'inganna mai . Poi , continu Socrate , se nessuno mai si inganna , che cosa
sarebbero venuti ad insegnare Dionisodoro ed Eutidemo nel Liceo ? Socrate spieg ai due
stranieri che il loro modo di argomentare , per quanto meraviglioso e ricco di ornamenti
retorici , dopo aver abbattuto gli altri tendesse a cadere da solo . Poi intraprese un
secondo discorso protrettico per Clinia , che deve essere convinto a dedicarsi alla filosofia
: solo la scienza capace sia di produrre , sia di utilizzare il proprio oggetto pu rendere
felici . Ma difficile trovare una scienza come questa : i cacciatori , per esempio , con la
loro arte sanno come catturare le prede , ma non sanno utilizzarle e le cedono ai cuochi
( cos fanno anche i pescatori ) ; neanche i matematici sanno sfruttare la loro scienza ;
essi sono come dei cacciatori ( infatti non producono le figure riguardanti le loro
materie , ma trovano quelle che esistono ) e consegnano i loro oggetti ai dialettici affinch
li usino . Poi intervennero anche Eutidemo e Dionisodoro , che posero nuove domande a
Socrate e riuscirono a dimostrare tramite una dimostrazione tortuosa e quasi
paradossale che se si conosce qualcosa come se si conoscesse tutto ; a questo punto
Ctesippo si adir nuovamente , non credendo possibile , per quanto la loro dimostrazione
fosse coerente , che qualsiasi uomo possa conoscere tutto e chiese loro di dirgli quanti
denti avevano in bocca senza contarli , quante stelle brillavano in cielo e molte altre cose
simili , alle quali i due risposero dicendo che a loro bastava sapere , senza rispondergli .
Socrate paragon i ragionamenti di Eutidemo e Dionisodoro all' Idra , animale
mitologico , con il quale combatt Ercole e ogni volta che le veniva amputata una testa ,
ne faceva nascere molti altri : cos sono anche i ragionamenti di quei due che Socrate ,
per sbaglio , defin " fratelli " . Dionisodoro lo corresse spiegandogli che non erano
fratelli e da l cominci una nuova discussione " eristica " di Dionisodoro ed Eutidemo ,
che chiesero a Socrate se Iolao , nipote di Ercole , era pi nipote di Ercole o di Socrate
stesso . Socrate disse che , senz'altro , era pi nipote di Ercole in quanto suo non poteva
esserlo , visto che non era figlio di suo fratello Patrocle . Ma Patrocle suo fratello
davvero , gli domandarono Dionisodoro ed Eutidemo ? Socrate rispose che lo era ma non
per parte di padre , visto che il padre di Socrate era Sofronisco e quello di Patrocle
Cheredemo . Dunque Cheredemo e Sofronisco erano padri allo stesso modo , gli
domandarono i due , ma Socrate spieg che solo Sofronisco per lui era padre . Dunque
Cheredemo diverso dal padre ? Dal mio senz'altro , disse Socrate . Dunque padre pur
essendo diverso dal padre ; se si diversi dalla pietra non si pietra , se si diversi
dall'oro non si oro e se si diversi dal padre non si padre , quindi anche Cheredemo
non padre , afferm Dionisodoro , e poi aggiunse che se per il padre era Cheredemo ,
allora Sofronisco , essendo diverso dal padre , non era padre e quindi Socrate era privo
di padre . A questo punto intervenne Ctesippo , furibondo come non mai e disse che con
questo ragionamento Cheredemo si troverebbe ad essere padre di tutti gli uomini e di
tutti gli animali ! Ctesippo poi , beffardo , disse a Dionisodoro che suo padre era padre di
porci e di cani ( seguendo il ragionamento ) , e Dionisodoro concluse che anche il padre di
Ctesippo per figli aveva cani e porci , visto che era lo stesso padre ... Dopo aver fatto
risaltare aporie concernenti i legami di parentela , in modi alquanto affini Dionisodoro
ed Eutidemo fecero risaltare anche aporie concernenti il vedere e il parlare . Poi la
conversazione si spost sulla dottrina delle idee e sulle sue contraddizioni , argomento
peraltro ampiamente affrontato da Platone nel " Parmenide " . Dionisodoro disse a
Socrate che a rigore , se una cosa stando vicina all'idea di bellezza diventa bella , allora
lui , che gli era seduto accanto , sarebbe dovuto diventare Dionisodoro . Socrate si trov
davvero in difficolt di fronte a Dionisodoro che continuava ad incalzarlo e gli chiedeva :
" Ma tu , o Socrate , dici che per agire bene bisogna fare ci che compete ; e che cosa
compete al cuoco ? " Socrate rispose " tagliare la carne e farla bollire " e Dionisodoro
replic " dunque un cuoco che prenda un uomo , lo tagli a pezzi e lo metta a bollire , avr
agito bene ? " . Socrate cap che la discussione con individui del genere era davvero
difficile , ma tuttavia ammira i due eristi e li elogia invitandoli ad accogliere nella loro
cerchia anche lui e Clinia . Poi riprende il dialogo tra Socrate e Critone . che racconto
che nel liceo , al termine della discussione con Eutidemo e Dionisodoro , aveva incontrato

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un logografo che gli aveva sparlato della filosofia , dicendogli che il suo amico Socrate si
era appena fatto una figuraccia . Socrate replica criticando aspramente i logografi e le
persone come quel tale , che si credono i pi sapienti sulla faccia della terra solo perch
hanno intrallazzi politici ( infatti scrivono discorsi per i politici ) , senza in realt sapere
nulla , ma che in fin dei conti van perdonati per la loro ignoranza . Critone spiega poi a
Socrate di avere un figlioletto e di non sapere quale tipo di educazione sia giusto
impartirgli ; Socrate gli dice di affidarlo alla filosofia , se pensa che sia una buona cosa ,
di tenerlo lontano da essa se pensa che essa sia inutile . Cos si conclude il dialogo .
Cratilo

Un altro problema,molto astratto e legato alla possibilit di ragionare,che Platone


affronta in et avanzata (e anche in giovent) ed in diversi dialoghi quello riguardante
il vero e il falso,in parallelo con l'essere ed il non essere : si torna a problematiche
parmenidee e viene messa da parte la figura di Socrate.La possibilit di poter distinguere
il vero dal falso legata al poter commettere errori ed il tema viene affrontato nel
"Sofista" ;gi dal titolo dell'opera si pu intuire la solita critica platonica dei sofisti,gi
avanzata in giovent:qui per trattata con sfumature pi ontologiche.Che cosa
c'entrano i sofisti con il vero-falso e l'errore ? Si pu sbagliare solo quando si pu porre
una differenza tra vero e falso : Gorgia e Protagora ,i due maggiori esponenti
sofisti,erano rispettivamente del parere che tutto fosse falso ( Gorgia ) e che tutto fosse
vero ( Protagora ):per entrambe non vi la distinzione tra vero e falso :o ce n' uno o
l'altro,si basano sul fatto di non poter distinguere il vero dal falso.Per Parmenide dire il
falso vuol dire ammettere il non essere,le cose come non sono (il che impossibile);per
Parmenide si dice e si pensa solo ci che ,ci che esiste.Questo spiega come un dialogo
tutto incentrato sulla filosofia eleatica si leghi al sofismo:le tesi eleatiche e quelle sofiste
mirano ad affermare che l'errore sia impossibile,che non ci sia la distinzione tra vero e
falso.Sono posizioni differenti che portano alle stesse conclusioni,sebbene in modi
diversi.Il "Cratilo" ed il "Teeteto" sono dialoghi dove si cerca di contestare la possibilit
di non errare : se non esiste la possibilit di sbagliare tutti i discorsi saranno o veri o
falsi;se tutto vero o falso e non c' la via di mezzo viene a perdere di significato perch
una cosa sensata quando contiene un p di verit,ma anche un p di falsit,quando si
trova in una via di mezzo (ancora una volta Platone assume posizioni intermedie);se non
si ammette l'errore non si pu ammettere la verit,che ci che non sbagliato.Il
"Cratilo" prende il nome da un seguace di Eraclito,che per aveva radicalizzato le
posizioni del maestro e si era molto soffermato sul "panta rei" (tutto scorre):a suo avviso
impossibile dare i nomi alle cose perch cambiano di continuo:noi chiamiamo P un
fiume ma non corretto:non esiste qualcosa che si chiami P perch cambia in continuo
( un esempio evidente perch le acque si rinnovano in continuazione);si fissa
artificialmente una cosa che non fissabile perch in continua mutazione.Cratilo con il
"panta rei" arriva a dimostrazioni sofistiche: impossibile conoscere qualcosa che
cambia sempre.Quindi in teoria ,dal momento che non si possono attribuire
nomi,bisognerebbe solo indicare le cose.Secondo alcuni studiosi Platone stesso sarebbe
stato allievo di Cratilo,il che pu sembrare strano se consideriamo la dottrina delle
idee,in cui viene ammesso un essere fisso,stabile e permanente.Pensandoci bene,per,non
poi cos strano:Platone deve aver constatato che nel mondo sensibile non c' nulla di
stabile ed ricorso alle idee.Platone nel "Cratilo" effettua un'ampia discussione sulla
problematica della lingua.Al tempo dei sofisti vi erano state interessanti considerazioni a
riguardo , legate al binomio "nomos"-"fusis" (convenzione-natura);questo della lingua
un problema tipicamente antropologico e di materia sofistica.Alcuni sofisti erano del
parere che si attribuiscano i nomi in maniera spontanea,secondo natura ("kat
fusin"),come se la natura stessa ci suggerisse la nomenclatura di cui servirsi nei suoi
confronti.Altri la pensavano in modo opposto:gli uomini attribuiscono i nomi in maniera
assolutamente artificiale,secondo convenzione ("kat vomon").Questa diatriba in corso
ancora al giorno nostro;Platone,dal canto suo,sostenne che attribuiamo i nomi un p
"kat fusin" e un p "kat nomon".Nella tradizione ebraico-cristiana vi il mito della
torre di Babele;la lingua di Adamo (l'ebraico) sarebbe stata naturale ed i nomi
corrispondevano esattamente all'essenza delle cose e proprio con i nomi si poteva
cogliere l'essenza delle cose.Nella torre di Babele i linguaggi successivi sarebbero stati
convenzionali e non vi era pi piena corrispondenza tra i nomi e le cose.Platone dunque
del parere che la soluzione sia intermedia e noi moderni concordiamo con lui:vi una
mescolanza dei fenomeni.Esiste s una derivazione naturale dei nomi:sono le cose stesse
che suggeriscono i nomi da usare,ma le lingue parlate sono molteplici:una componente di
arbitrareit ci deve per forza essere.Quindi le cose tendono a suggerire il nome con cui
chiamarle ma dopo di che l'uomo ci lavora sopra correggendo il tutto con la

23

ragione:ancora oggi,comunque,ci sono parole onomatopeiche,che suggeriscono l'essenza


del soggetto cui sono riferite ("zanzara","cornacchia"...).Si tratta di una teoria
intermedia che mette insieme il lavoro razionale a quello naturale.Ma cosa c'entra tutto
questo nell'ambito del "Cratilo" e della discussione del vero-falso ? Pi di quello che
potrebbe sembrare : per Platone entrambe le possibilit per denominare le cose negano
la possibilit dell'errore : le parole corrispondono esattamente alle cose;o sono
totalmente artificiali o totalmente naturali:si arriva alla stessa conclusione.Se mi attengo
alla teoria "kat fusin" un libro mi suggerisce la parola con cui chiamarlo ed solo
quella:non c' possibilit di errore.Se mi attengo al "kat nomon" i nomi sono
totalmente artificiali e quindi vanno bene tutti :lo posso chiamare libro,ma anche
tavolo,scarpa...sar in ogni caso corretto e anche qui non c' possibilit di
sbagliare:infatti in assenza di un arbitrio generale tutti i nomi risultano corretti.Il far
corrispondere al meglio (con un misto di lavoro naturale e artificiale) il nome all'essenza
delle cose consente di affermare che l'errore esiste e che la retorica (quella vera ) la
filosofia.Platone sposta poi il problema dalle cose alle idee:cos come si possono dare
nomi alle cose che si conoscono,si possono dare nomi alle idee che si conoscono:c' una
dimensione conoscitiva e vi uno sforzo di attribuire nomi che esprimano l'essenza di ci
a cui si riferiscono.Il "Teeteto" un dialogo dedicato alla matematica:il protagonista ,
Teeteto, un giovane matematico che in futuro diventer famoso.E' anche dedicato alla
conoscenza sensibile e a quella intellegibile,che quella vera e propria.Quando si parla
della conoscenza sensibile viene citato Protagora,che sosteneva che le cose sono come mi
sembrano e che l'uomo misura di ogni cosa:si tratta del relativismo assoluto.Platone
interessato a ci perch siamo di fronte al rapporto tra vero e falso.Per poter
ragionare,come detto,occorre ammattere l'esistenza del vero e del falso.A supportare le
tesi di Platone un suo allievo, Aristotele ; egli dice che con i sofisti non si pu neppure
discutere perch ,dal momento che sostengono che tutto sia vero o che tutto sia falso , nel
momento in cui un sofista discute smonta le sue stesse tesi perch in un certo senso
ammette la distinzione tra vero e falso,la possibilit dell'errore:se infatti ci fosse solo il
vero o il falso che motivo ci sarebbe di discutere ? C' anche chi vuole che il
"Parmenide" sia in realt una confutazione da parte di Aristotele delle teorie del
maestro Platone : dunque Socrate rappresenterebbe Platone,mentre Parmenide
Aristotele.In effetti ci sono numerosi indizi a sostegno di questa tesi : la stessa
argomentazione del terzo uomo la ritroviamo in testi di Aristotele ed quindi probabile
che sia sua a tutti gli effetti.D'altronde Aristotele non condivise mai pienamente le teorie
del maestro e se rimase nell'Accademia fino a oltre trent'anni fu solo per il rispetto che
aveva nei confronti di Platone.
Simposio

Apollodoro , con cui il dialogo si apre , un discepolo molto affezionato a Socrate che
viene citato anche nel " Fedone " , in quanto piange quando Socrate beve la cicuta .
Aristodemo che si reca con Socrate al simposio , e che nel dialogo ci viene presentato
come uno dei pi innamorati discepoli di Socrate , non viene ricordato in altri dialoghi .
Ne fa menzione invece Senofonte ( Memorabili ) in un dialogo con Socrate sull'esistenza
di dio . Fedro , invece , compare in un altro dialogo di Platone ( " Il Fedro " appunto ) ed
un giovane , amico di Platone attratto dall'arte oratoria . Pausania un retore esperto .
Al suo discorso , che esprime idee allora in voga sulla questione d'amore , Platone dedica
ampio spazio , in quanto esprime appunto quell'idea che Platone vuole superare . Egli
un amico intimo di Pausania . Erissimaco era un medico , figlio di acumeno pure
medico , con idee vicine a quelle dei filosofi naturalisti , e in particolare quelle di Eraclito
. Aristofane il pi celebre commediografo greco e di lui non c' bisogno di dire altro ,
data appunto la sua notoriet . Agatone un poeta tragico di cui ci sono pervenuti solo
pochi frammenti . Nacque intorno al 447 a.C. La vittoria con la sua prima tragedia risale
al 416 a.C. , quindi , quando ancora era giovane ( 30 anni circa ) . Che fosse famoso ai
suoi tempi dimostrato , oltre che da quanto ci dice qui Platone e dal come lo tratta ,
anche dal fatto che ne parli Aristotele nella Poetica e che ne parli pure Aristofane . Aveva
recepito alcune idee riguardanti lo stile da Gorgia , come qui Platone stesso ricorda .
Alcibiade il celebre uomo politico ateniese ( nel dialogo ha circa 30 anni ) , ricco di
gloria e di denaro , avventuroso e al culmine della sua notoriet . Diotima , invece , non ci
nota per altra fonte e deve essere un'invenzione platonica . Il luogo in cui si svolge
l'azione la casa di agatone ; nel prologo il luogo la strada che porta alla casa di
Agatone e l'atrio dei vicini . La data in cui si svolge il dialogo quello della vittoria di
Agatone con la sua tragedia ( 416 a.C. ) , mentre la data in cui Apollodoro narra ci che
aveva udito da Aristodemo , verosimilmente , si colloca prima del 399 a.C. , ossia

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sicuramente prima della morte di Socrate . La data di composizione del Simposio non
facilmente determinabile . Sicuramente fa parte delle opere della maturit . Forse da
collocarsi fra gli anni Ottanta oppure Settanta del secolo quarto a.C.
COMMENTO AL DIALOGO
Tra amore e filosofia c' uno stretto rapporto , tant' che l'amore una metafora della
filosofia :questa stretta parentela ( peraltro esaminata anche nel " Fedro " ) Platone la
esamina meglio nel "SIMPOSIO"(dal Greco sun+pino=bere insieme),il suo capolavoro :
Socrate si sta dirigendo verso la casa del tragediografo Agatone quando incontra un
amico;allora invita anche l'amico e quando sono ormai arrivati , Socrate comincia a
riflettere intensamente.Durante i simposi (all'epoca non c'era la TV e le serate si
trascorrevano cosi')veniva nominato un simposiarca il cui compito era quello di dare un
ordine alla discussione facendo passare la parola da un invitato all'altro e selezionare
l'argomento da trattare.Si sceglie di parlare dell'amore:c' chi dice che Eros la divinit
pi giovane e pi bella,chi dice che la pi vecchia in quanto forza generatrice di
tutto,chi sostiene che sia una forza cosmica che domina la natura,chi suggerisce che sia
un tentativo da parte di tutti gli enti finiti di eternarsi procreando,c' chi del parere che
sia la divinit pi valorosa in quanto riesce a dominare perfino la guerra,facendo
riferimento all'episodio mitico secondo il quale Ares,il dio della guerra,sarebbe
innamorato di Afrodite.Aristofane,celeberrimo commediografo,narra una storia
semiseria:si tratta di un mito secondo il quale gli uomini un tempo erano tondi, sferici e
doppi:questi esseri si sentivano forti e perfetti e peccarono di tracotanza;gli dei per
punirli li tagliarono a met e per ricucirli fecero loro un nodo(l'ombelico)sulla
schiena;poi lo posizionarono sulla pancia perch si ricordassero di quanto era successo
ogni volta che guardavano in basso:questi esseri sentivano il bisogno di ritrovare l'altra
met e la cercavano disperatamente.Quando la trovavano si attaccavano e non si
staccavano pi neanche per mangiare e cosi' morivano di fame;cosi' gli dei crearono
l'atto sessuale che consentiva di trovare un appagamento da questa unione.Questo mito
originale ci spiega due cose:1)in ogni epoca i rapporti sessuali sono sempre stati etero e
omo.2)il tentativo di ritornare ad una situazione primordiale.Notare che nel mondo
greco la forma sferica sempre vista come unit originaria perfetta( cosi' era gi in altri
grandi filosofi quali Empedocle,Parmenide...).Se si leggono accuratamente tutti i discorsi
ci si accorge che ognuno di essi contiene una parte di verit:il discorso finale di Socrate
non sar nient'altro che una sintesi in cui li unisce praticamente tutti.Egli racconta di
essersi una volta incontrato con una sacerdotessa(Diotima)che gli ha rivelato tutti i
misteri dell'eros:viene a proposito citato un mito riguardante i festeggiamenti divini per
la nascita di Afrodite:tra le varie divinit ci sono anche Poros(astuzia,furbizia)e
Penia(povert).Essi,ormai ubriachi per l'eccessivo bere,si uniscono e viene cosi'concepito
Eros,che ha quindi le caratteristiche dei suoi genitori: ignorante,povero e brutto a causa
di Penia,ma sa cavarsela sempre grazie a Poros.Non bello,ma sa andare a caccia della
bellezza;egli sente l'amore ed soggetto della ricerca della bellezza e dell'amore,svolge le
mansioni dell'amante e non dell'amato.Chiaramente se ricerca la bellezza significa che
non la possiede:cos il filosofo privo e bisognoso del sapere (penia=povert),ma ha
anche le capacit di cercarsi e di procurarsi ci di cui privo
(poros=astuzia,espediente);dato che Eros privo di bellezza e le cose buone sono
belle,manca anche di bont;ci che non bello o buono,non necessariamente brutto e
cattivo;per Platone vi un livello intermedio;tra il sapere e l'essere ignoranti la via di
mezzo consiste nell'avere buone opinioni,senza per darne ragione;la posizione
intermedia comunque non un male perch uno stimolo per arrivare al top:chi si trova
nella posizione pi bassa sa di non potersi elevare e neanche ci prova,chi si trova in
quella pi alta non si deve impegnare perch gi nella posizione ottimale:chi si impegna
e lavora chi si trova in una zona intermedia (i filosofi,che non sanno ma si sforzano di
avvicinarsi al sapere).Tutti gli dei,gli aveva detto Diotima,sono belli e buoni e di
conseguenza Eros non rientra nella categoria.Anche da questo punto di vista Eros riveste
una posizione intermedia:non un dio,ma neanche un mortale: un qualcosa che nasce e
muore di continuo; una metafora con cui si vuole dimostrare che non si pu mai
possedere totalmente l'amore; anche metafora della filosofia perch l'uomo non
possiede il sapere,ma si sforza per ottenerlo;pu riuscire ad avvicinarvisi,ma non si
tratta comunque di una conquista definitiva:il pieno sapere irraggiungibile.Dunque
Eros una semi-divinit intermedia.Nella struttura sociale dell'epoca l'omosessualit era
tipica dei filospartani e di coloro che avevano un'impostazione culturale arcaica: questo
il caso di Socrate e Platone.Il rapporto veniva vissuto "pedagogicamente",vale a dire che

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era un rapporto di tipo maestro-allievo.A differenza dell'amore eterosessuale,di livello


pi basso in quanto volto al piacere fisico e alla procreazione materiale,quello
omosessuale era di pi alto livello in quanto volto alla procreazione spirituale:vengono
fecondate le anime per procreare nuove idee.Propriamente in Socrate non si parlava di
amore,ma vanno tenute in considerazione le affermazioni a riguardo della
maieutica(Socrate diceva di fare lo stesso lavoro della madre che era un'ostetrica:lei
faceva partorire le donne,lui le idee): Socrate aveva quindi gi in mente anime gravide
da far partorire;Platone invece sostiene che ci sia una vera e propria fecondazione delle
anime,che chiaramente non devono essere sterili.Ben si intuisce che la ricerca dell'amore
combacia con quella della filosofia.Alla fine del Simposio irrompe improvvisamente il
famoso Alcibiade,totalmente ubriaco,che racconta pubblicamente di aver fatto delle
"avances" a Socrate ,che per non ha accettato:lui,bello,giovane,aitante con un vecchio
decrepito che non ci sta:il che sta a significare che la bellezza esteriore conta meno di
quella interiore,ed anche un modo per ribadire il concetto della scala gerarchica
dell'amore. Socrate non ci viene presentato come un asceta:egli totalmente immerso
nella sua realt,ma non si lascia catturare:ai festini lui partecipa tranquillamente,pur
non identificandovisi;dagli altri si distingue perch mantiene sempre la sua capacit di
giudizio(nel Simposio l'unico a non addormentarsi) . Emerge poi nel Simposio , ed
emerger anche nel Fedro , l' idea del bello : le anime migliori hanno un trasporto di
gioia , dice Socrate , quando vedono nelle cose sensibili l' immagine dell' idea che stanno
cercando ; perci chi cerca l' idea del bello preso dalla passione per gli esseri in cui
scorge la bellezza e il raggiungimento dell' idea del bello non che un approfondimento
di questo amore ; l' idea del bello , inoltre , quella pi evidente anche nel mondo
sensibile perch facilmente coglibile con la vista e va interpretata come stimolo per
indagare la realt intellegibile e per scoprire tutte le altre idee . Non a caso nel Simposio
Socrate dice : " La giusta maniera di procedere da s o di essere condotti da un altro
nelle cose d' amore questa : prendendo le mosse delle cose belle di quaggi , al fine di
raggiungere il Bello , salire sempre di pi , come procedendo per gradini , da un solo
corpo bello a due , e da due a tutti i corpi belli , e da tutti i corpi belli alle belle attivit
umane , e da queste alle belle conoscenze , e dalle conoscenze procedere fino a che non si
pervenga a quella conoscenza di null' altro se non del Bello stesso , e cos , giungendo al
termine , conoscere ci che il bello in s " .
Fedro

Il Fedro una delle opere pi famose di Platone sia perch filosoficamente parlando
rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero , in quanto viene descritta la
sorte delle anime dopo la morte e si accenna alla celeberrima dottrina delle idee , sia
perch uno di quei dialoghi " artisticamente " ben riusciti , che il lettore prova piacere
nel leggere . Le tematiche trattate in quest' opera sono varie e complesse , ma la prima
che possiamo ravvisare l' argomentazione in favore dell'oralit con un mito di
ambientazione egizia , simbolo per i Greci di una grande civilt:il protagonista Teuth ,
divinit della scrittura e della saggezza . Egli un inventore dalle grandi abilit e
presenta le sue scoperte al faraone che le promuove sempre con entusiasmo ; quando
per Teuth propone l'invenzione della scrittura,spiegando che serve a ricordare,il
faraone non approva,sostenendo che,al contrario,sortirebbe l'effetto opposto:mettendo le
cose per iscritto , infatti,non pi necessario ricordarle . Proprio nel ricordare consisteva
la sapienza:le posizioni del faraone possono un p identificarsi con quelle di Platone , che
sostiene che la vera filosofia sia quella orale . E' un'evidente difesa dell'oralit mediante
un mito platonico,inventato di sana pianta,cosa che per altro Platone faceva
spessissimo.Pu sembrare strano che un filosofo,che per definizione chi cerca di dare
spiegazioni razionali e scientifiche,si serva del mito,che non nient'altro che una
spiegazione fondata sulla tradizione e sulla religione:la verit che per Platone il mito
una cosa al di fuori del comune,che ha ben poco a che fare con la tradizione.Egli sapeva
bene che l'argomentazione razionale era migliore,ma sapeva altrettanto bene che un
mito,una favola o una metafora possono sortire ottimi effetti : stimolano la
fantasia,divertono e restano meglio impressi.Platone se ne serve dunque come arma
impropria dell'intelletto . Inoltre convinto che si possa dimostrare l'immortalit
dell'anima,ma non razionalmente:si serve cosi' di miti esplicativi,detti escatologici:non a
caso si parla di "fede razionale"di Platone . Egli sfrutta inoltre i miti per descrivere
particolari livelli della realt:aveva in mente come una scala che vedeva il suo fulcro
intorno all'essere,che corrispondeva al pieno livello di conoscenza ( pienamente
conoscibile solo una cosa che , che esiste pienamente ) : pi ci si allontana dall'essere

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( sia pi in alto , sia pi in basso ) e pi la conoscenza diventa inferiore.Una cosa non


pienamente conoscibile non pienamente razionale ed il modo migliore per parlarne il
mito . Un mito molto interessante quello della " biga alata " , raccontato nel "Fedro" :
Platone tratta qui un argomento non pienamente raggiungibile con la ragione ( dice
esplicitamente : " spiegare come l' anima richiederebbe da ogni punto di vista un'
esposizione assolutamente divina e lunga , mentre dire a che cosa essa assomiglia si
addice a un' esposizione umana e pi breve " ) , anche se il nucleo alquanto razionale :
racconta dell'esistenza dell'anima e dell'incarnazione . Per Platone l'anima come una
biga trainata da cavalli alati : essa composta da tre elementi : un auriga e due cavalli .
Nell'esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo,con la
possibilit di raggiungere un livello superiore,l'iperuranio,una realt al di l del mondo
fisico che si riconnette alla celeberrima teoria delle idee secondo la quale vi erano due
livelli di realt:il nostro mondo e le idee.L'auriga impersonificava l'elemento
razionale,mentre i cavalli quelli irrazionali:ci significa che la nostra anima per
Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali.Dei due cavalli , uno,di colore
bianco , un destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo , l'altro , nero ,
tozzo,recalcitrante ed incapace : compito dell'auriga riuscire a dominarli grazie alla
sua abilit e alla collaborazione del bianco.Il nero si ribella all'auriga (la ragione)e
rappresenta le passioni pi infime e basse,legate al corpo.Il bianco rappresenta le
passioni spirituali,pi elevate e sublimi.Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono
negativi e che comunque impossibile eliminarli:si possono solo controllare con la
"metriopazia",la regolazione delle passioni . E' una metafora efficace perch vero che
guida l'auriga , ma senza i cavalli la biga non si muove:significa che le passioni sono
fondamentali per la vita . Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale,in
quanto dotata di sapere,spetta il governo dell'anima.Anche le anime degli dei hanno i
cavalli , ma solo bianchi . Lo scopo arrivare all'altopiano dell' iperuranio , dal
momento che lass si trova il nutrimento adatto alla parte migliore dell' anima e grazie
al quale l' anima riesce a volare : gli dei non incontrano particolari difficolt , mentre le
bighe delle anime umane hanno seri problemi perch si creano ingorghi ed i cavalli neri
tendono a volare nella direzione opposta , verso il basso , ossia verso le cose terrene e
sensibili , meno preziose . Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti
sulla terra : questa l'incarnazione . Una volta arrivato sulla terra , l'uomo non si
ricorda pi dell'altra dimensione , e vive con nostalgia : la vita dell'uomo non nient'
altro che un tentativo di tornare a quella situazione primordiale e le vie da percorrere
per raggiungerla sono due : a ) la prima via costituita dalla filosofia , che ci consente di
vedere le ombre di quel mondo splendido ( viene qui introdotto il concetto di "
reminescenza " , che verr poi approfondito in dialoghi quali il " Fedone " e il " Menone
" ) , di cui quello terreno solo un'imitazione : necessario che l' uomo riconduca le
realt sensibili , mutabili , mortali e molteplici , alle rispettive idee , immutabili , perenni
e unitarie : " Bisogna infatti che l' uomo comprenda in funzione di quella che viene
chiamata Idea , procedendo da una molteplicit di sensazioni ad una unit colta con il
pensiero . E questa una reminescenza di quelle cose che un tempo la nostra anima ha
visto quando procedeva al seguito di un dio e guardava dall' alto le cose che diciamo che
sono essere , alzando la testa verso quello che veramente essere " ; b ) la seconda via
costituita dalla bellezza : si tratta di una via pi semplice , che fa nascere l'amore ; se ha
la meglio il cavallo bianco guidato dall'auriga l'amore assumer connotazioni sublimi , se
vincer quello nero sar un amore puramente fisico . Ma in che cosa consiste l' amore e
perch nella persona amata si vede qualcosa di speciale , di bello che fa s che la si ami e
che la si voglia tutta per s ? Platone per rispondere a questa domanda tira in ballo il
bello in s ( l' idea del bello ) : " la Bellezza splendeva tra le realt di lass come Essere .
E noi , venuti quaggi , l' abbiamo colta con la pi chiara delle nostre sensazioni , in
quanto risplende in modo luminosissimo ( ... ) : solamente la Bellezza ricevette questa
sorte di essere ci che pi manifesto e pi amabile " : le anime migliori hanno un
trasporto di gioia quando vedono nelle cose sensibili l' immagine dell' idea che stanno
cercando ; perci chi cerca l' idea del bello preso dalla passione per gli esseri in cui
scorge la bellezza e il raggiungimento dell' idea del bello non che un approfondimento
di questo amore ; la bellezza una delle tante idee e , a differenza della altre , filtra
facilmente nel mondo sensibile perch coglibile per tutti grazie ad un senso , la vista :
proprio nel Fedro Platone dice che l' amore " la mania per la quale qualcuno , vedendo
la bellezza di quaggi e ricordandosi di quella vera , mette le ali e cos alato arde dal
desiderio di levarsi in volo , ma non riuscendovi , guarda verso l' alto come un uccello
senza curarsi di quanto avviene quaggi e guadagnandosi in tal modo l' accusa di essere

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pazzo " ; per Platone chi ama in modo puro arriva addirittura a vedere nella persona
amata un barlume di divino , perch infatti coglie in essa l' idea del bello , una realt
sovrasensibile e divina ed preso dal desiderio di trattare l' amato come un essere
divino : " chi stato iniziato recentemente e chi ha a lungo contemplato le visioni passate
, quando vede un bel volto di aspetto divino , che imita bene la bellezza , o un bel corpo ,
per prima cosa ha un fremito e qualcuno dei timori passati si insinua in lui . Quindi lo
guarda e lo onora come un dio e , se non temesse di apparire completamente folle ,
offrirebbe sacrifici all' amato come a una statua sacra o a un dio " . Poi , come naturale
che avvenga dopo il fremito , alla vista di quello , un cambiamento un sudore e un calore
insolito si impadroniscono di lui . Egli , infatti , ricevuto l' effluvio della bellezza
attraverso gli occhi , si riscalda e cos l' ala viene irrorata . Secondo Platone per gli occhi
degli innamorati intercorre un fluido che scorre fino al punto dove le ali dei cavalli
s'erano spezzate cosi' che si ricreano e si pu tornare alla dimensione primordiale : il
liquido che viene a contatto con l'ala spezzata le d nuovo vigore facendola rispuntare ;
proprio quando essa sta ricrescendo,esattamente come i primi denti che spuntano,fa
soffrire . Quando si vicini alla persona amata , contemplandola scorre nuovo flusso che
fa passare il dolore dell'anima alimentandola . Quando si lontani dalla persona
amata,invece,non arrivando pi il flusso,le ali si inaridiscono e si seccano,accentuando il
dolore e la sofferenza . Quindi l'innamorato far di tutto per vedere il pi spesso
possibile la persona amata e solo in sua presenza star bene . Il concetto di amore
platonico che abbiamo oggi deriva dal medioevo e non completamente corretto in
quanto i Medioevali credevano che per un innalzamento spirituale non ci dovesse essere
amore fisico ; per Platone c' una scala gerarchica dell'amore : nei gradini pi bassi si
trova l'amore fisico,ma per arrivare in cima ad una scala bisogna percorrere tutti i
gradini . Per Platone l'anima ed il corpo hanno caratteristiche opposte : l'una spirituale
e legata all'Iperuranio ( ed immortale ) , alla dimensione delle idee , mentre l'altro
puramente materiale , affine al mondo sensibile e terreno , e soprattutto mortale .
Mentre il corpo spinge l'uomo a cercare piaceri sensibili e di livello basso , l'anima lo
induce a cercare piaceri sublimi e spirituali . Va senz'altro notato come Platone riprenda
la teoria dei Pitagorici ( e degli Orfici ) secondo la quale il corpo la prigione dell'anima
( si giocava sulla parola greca "soma"che indica il corpo e "sema",che indica invece la
prigione ) . Il contrasto anima-corpo lo si affronta anche da un punto di vista
gnosologico:il corpo talvolta ci aiuta a conoscere , talvolta ci ostacola:se si disegna un
triangolo rettangolo e ci si ragiona,da un lato pu essere un aiuto per passare
all'astrazione e passare all'idea di triangolo,che ben diversa dal triangolo disegnato che
solo un'imitazione mal riuscita,dall'altro pu essere un ostacolo se ci si limita a
ragionare su quel singolo triangolo senza passare al livello di astrazione . Platone
assolutamente convinto dell' immortalit dell' anima ; nel " Fedone " egli dimostrer in
modo approfondito le sue tesi , qui nel Fedro , invece , abbozza qualche argomentazione :
l' anima per definizione movimento allo stato puro ed piuttosto evidente il fatto che
immortale ci che si trova ad essere in continuo moto ; ma non si tratta di un moto
qualunque : anche le cose mortali , infatti , si muovono , in quanto mosse da altro , ma
nel momento stesso in cui il moto si esaurisce esse cessano di vivere . Il moto di un ente
immortale deve essere quindi perenne e l' ente stesso deve esserne la causa ; pi
precisamente , esso deve essere la causa del moto anche per tutte le altre cose che si
muovono ( e che in quanto messe in moto sono destinate a morire ) : ci che immortale
si trova quindi ad essere anche principio ed chiaro che un principio , per essere tale ,
non deve essere generato , bens deve essere " causa sui " , perch se il principio stesso
ci che d la vita ( il moto ) a tutte le altre cose , evidente che se nascesse dovrebbe
nascere da un principio e quindi non sarebbe pi lui il principio . E dato che il principio
ingenerato ne deriva anche che incorruttibile perch se morisse nulla potrebbe pi
nascere ( tutto infatti nasce dal principio ) e neanche lui stesso potrebbe rinascere da
altro , perch tutto nasce dal principio ( che lui ) . Tutto questo discorso del principio
chiaramente va riferito all' anima , che , come per i cristiani , immortale , incorruttibile
, ma a differenza della concezione cristiana , ingenerata . Il corpo , invece , di per s
inanimato e se durante il corso della nostra vita lo possiamo muovere solo grazie all'
anima , la quale appunto puro movimento . Ritornando alla visione platonica dell'
amore , la principale differenza tra l'amore di oggi e quello dei tempi di Platone che al
giorno d'oggi abbiamo in mente un amore " bilanciato " , biunivoco , dove i due amanti
si amano reciprocamente ; ai tempi di Platone era univoco , uno amava e l'altro si faceva
amare ; ecco perch per tutto il Fedro ci si chiede se sia meglio compiacere chi non ama
piuttosto che chi ama , come se non potesse accadere un amore dove ci si ama a vicenda :

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nel mondo greco o l'uomo amava la donna o l'uomo amava l'uomo : l'omosessualit era
diffusissima e non suscitava alcun tipo di scalpore . Talvolta ci poteva essere un amore
biunivoco , che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre
tra gli occhi : secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di " specchio " : in realt
l'amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perch vede riflessa la propria bellezza : "
Come un soffio di vento o un' eco rimbalzando da superfici lisce e solide giunge di nuovo
al punto di partenza , cos il flusso della bellezza torna di nuovo all' amato passando
attraverso gli occhi , la via naturale per la quale esso raggiunge l' anima e la colma . Qui
esso irriga i punti di passaggio delle ali , le fa spuntare e riempie d' amore a sua volta
anche l' anima dell' amato " ; una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di
Dante : " amor , ch' a nullo amato amar perdona... " : come se chi amato si
innamorasse del sentimento stesso . Platone ci parla in modo approfondito dell'amore (in
Greco "eros" , che designa l'amore passionale ed irrazionale , diverso da " agap " ,
l'amore puro ) proprio nel "FEDRO" ( oltre che nel " Simposio " ):in realt gli
argomenti trattati sono due :1 ) l'eros ; 2 ) la retorica . In effetti risulta piuttosto strana l'
idea di collocare nello stesso dialogo due tematiche cos diverse , che hanno ben poco in
comune , soprattutto se teniamo in considerazione quanto Platone stesso ci dice nel
Fedro ( 264 c ) a proposito di come deve essere strutturata ogni opera d' arte : " sia
costituita come un essere vivente " , che abbia un corpo dotato di una parte centrale ,
una testa , delle membra , insomma degli elementi solidali gli uni con gli altri e con l'
insieme . E' per evidente che nel Fedro Platone non applichi questa teoria da lui stesso
propugnata . Quella di Platone,oltre ad essere un'epoca di passaggio tra oralit e
scrittura, anche un'epoca in cui emerge un importante quesito:come si fanno ad
educare i cittadini?Vi era chi rispondeva che l'unica via era la filosofia ( tra questi
Platone stesso ) , e chi , come Isocrate,sosteneva che per tale funzione ci fosse la
retorica.Platone,dunque,vuole argomentare in difesa della filosofia:le vicende si svolgono
nella campagna circostante Atene,in una calda giornata estiva.Protagonista Socrate
,che si potrebbe dire sempre presente nei dialoghi di Platone sebbene man mano che
l'autore matura tenda a sfumare;Socrate in campagna si imbatte in Fedro,un suo
discepolo che ama i bei discorsi a tal punto da trascriverli tutti.I due si siedono al riparo
dal sole sotto un platano , circondati da un paesaggio incantevole , e Fedro mostra a
Socrate un'orazione di Lisia , uno dei pi grandi oratori greci,che si appena trascritto:
un'orazione riguardante l'amore a carattere " sofistico " , si cercano cio di dimostrare
cose paradossali ed assurde:Lisia (va senz'altro notato come Platone ben riproduca lo
stile lisiano ) cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ama:Lisia parte
dal presupposto che l'amore sia una " follia " e che concedersi a chi ama una
stoltezza:si avrebbe un amore troppo "appiccicaticcio" che se mai si rompesse farebbe
soffrire terribilmente l'innamorato-amante ; poi dopo che passato l'ardore iniziale si
torna in s e ci si rimprovera di esseresi comportati cos da "rimbambiti" e si finisce per
soffrire di continuo.Con una persona non amata chiaro che ci si comporterebbe in
tutt'altro modo:pi che altro si penserebbe ad essere felici noi rispetto all'amato non
amato . Socrate ( incitato da Fedro ) a sua volta imposta due discorsi:nel primo conferma
la tesi lisiana,mentre nel secondo sostiene che il suo "demone"(una specie di coscienza
personale-angelo custode che si fa sentire solo quando Socrate sta commettendo un
errore) lo sta ammonendo,facendogli capire che sta clamorosamente sbagliando . Anche
per Socrate l'amore una follia,per,a differenza di Lisia , per lui positiva:vi sono
infatti follie dannose e negative,ma anche positive e benigne . Poi Socrate formula un
nuovo discorso per farsi perdonare per quel che ha detto dal dio dell'amore ("Eros") ,
per evitare che la divinit lo punisca . E' difficile comprendere quale sia il tema centrale (
l'amore ? La retorica ? ) ; fatto sta che due argomenti strettamente connessi tra loro sono
l' amore e la filosofia ( vedi il " Simposio " ) in quanto l'amore (l'eros) stesso una
metafora per indicare la filosofia ( sia l' amore sia il sapere , infatti , sono due cose mai
pianemante conquistabili ) ; la retorica vera poi , per Platone , non altro che la
filosofia , la dialettica , e quindi in questa maniera si pu in qualche modo stabilire un
rapporto amore - retorica . Tuttavia la retorica di cui Lisia si fa portavoce non affatto
quella vera , essenzialmente perch cerca di dimostrare cose paradossali , non
attenendosi minimamente al vero , bens tenendo presente la famosa constatazione
sofistica che " la parola pu tutto " . La vera retorica , ossia la filosofia , per Platone deve
agire nel seguente modo , esposto nel Fedro : " Prima di tutto bisogna conoscere la verit
su ciascuna delle questioni di cui si parla o si scrive ; essere in grado di definire ogni cosa
in se stessa e , dopo averla definita , saperla di nuovo dividere in base alle specie fino
all'indivisibile ; individuare allo stesso modo la natura dell'anima , trovando in genere il

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discorso adatto a ciascuna natura ; comporre e organizzare il discorso di conseguenza ,


rivolgendo a a un'anima complessa discorsi complessi e dai molteplici toni , a un'anima
semplice discorsi semplici . A questo punto , e non prima , sar possibile coltivare il
genere retorico con la massima arte consentita dalla sua natura , sia per insegnare , sia
per convincere " : il fulcro del discorso chiaramente la conoscenza della verit : non
serve pronunciare discorsi raffinati ed eleganti che esulino dalla verit : sono molto
migliori i discorsi meno piacevoli e pi " terra a terra " che per si basano sulla verit .
Repubblica

Il Fedro una delle opere pi famose di Platone sia perch filosoficamente parlando
rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero , in quanto viene descritta la
sorte delle anime dopo la morte e si accenna alla celeberrima dottrina delle idee , sia
perch uno di quei dialoghi " artisticamente " ben riusciti , che il lettore prova piacere
nel leggere . Le tematiche trattate in quest' opera sono varie e complesse , ma la prima
che possiamo ravvisare l' argomentazione in favore dell'oralit con un mito di
ambientazione egizia , simbolo per i Greci di una grande civilt:il protagonista Teuth ,
divinit della scrittura e della saggezza . Egli un inventore dalle grandi abilit e
presenta le sue scoperte al faraone che le promuove sempre con entusiasmo ; quando
per Teuth propone l'invenzione della scrittura,spiegando che serve a ricordare,il
faraone non approva,sostenendo che,al contrario,sortirebbe l'effetto opposto:mettendo le
cose per iscritto , infatti,non pi necessario ricordarle . Proprio nel ricordare consisteva
la sapienza:le posizioni del faraone possono un p identificarsi con quelle di Platone , che
sostiene che la vera filosofia sia quella orale . E' un'evidente difesa dell'oralit mediante
un mito platonico,inventato di sana pianta,cosa che per altro Platone faceva
spessissimo.Pu sembrare strano che un filosofo,che per definizione chi cerca di dare
spiegazioni razionali e scientifiche,si serva del mito,che non nient'altro che una
spiegazione fondata sulla tradizione e sulla religione:la verit che per Platone il mito
una cosa al di fuori del comune,che ha ben poco a che fare con la tradizione.Egli sapeva
bene che l'argomentazione razionale era migliore,ma sapeva altrettanto bene che un
mito,una favola o una metafora possono sortire ottimi effetti : stimolano la
fantasia,divertono e restano meglio impressi.Platone se ne serve dunque come arma
impropria dell'intelletto . Inoltre convinto che si possa dimostrare l'immortalit
dell'anima,ma non razionalmente:si serve cosi' di miti esplicativi,detti escatologici:non a
caso si parla di "fede razionale"di Platone . Egli sfrutta inoltre i miti per descrivere
particolari livelli della realt:aveva in mente come una scala che vedeva il suo fulcro
intorno all'essere,che corrispondeva al pieno livello di conoscenza ( pienamente
conoscibile solo una cosa che , che esiste pienamente ) : pi ci si allontana dall'essere
( sia pi in alto , sia pi in basso ) e pi la conoscenza diventa inferiore.Una cosa non
pienamente conoscibile non pienamente razionale ed il modo migliore per parlarne il
mito . Un mito molto interessante quello della " biga alata " , raccontato nel "Fedro" :
Platone tratta qui un argomento non pienamente raggiungibile con la ragione ( dice
esplicitamente : " spiegare come l' anima richiederebbe da ogni punto di vista un'
esposizione assolutamente divina e lunga , mentre dire a che cosa essa assomiglia si
addice a un' esposizione umana e pi breve " ) , anche se il nucleo alquanto razionale :
racconta dell'esistenza dell'anima e dell'incarnazione . Per Platone l'anima come una
biga trainata da cavalli alati : essa composta da tre elementi : un auriga e due cavalli .
Nell'esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo,con la
possibilit di raggiungere un livello superiore,l'iperuranio,una realt al di l del mondo
fisico che si riconnette alla celeberrima teoria delle idee secondo la quale vi erano due
livelli di realt:il nostro mondo e le idee. L'auriga impersonificava l'elemento
razionale,mentre i cavalli quelli irrazionali:ci significa che la nostra anima per
Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali.Dei due cavalli , uno,di colore
bianco , un destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo , l'altro , nero ,
tozzo,recalcitrante ed incapace : compito dell'auriga riuscire a dominarli grazie alla
sua abilit e alla collaborazione del bianco.Il nero si ribella all'auriga (la ragione)e
rappresenta le passioni pi infime e basse,legate al corpo.Il bianco rappresenta le
passioni spirituali,pi elevate e sublimi.Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono
negativi e che comunque impossibile eliminarli:si possono solo controllare con la
"metriopazia",la regolazione delle passioni . E' una metafora efficace perch vero che
guida l'auriga , ma senza i cavalli la biga non si muove:significa che le passioni sono
fondamentali per la vita . Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale,in
quanto dotata di sapere,spetta il governo dell'anima.Anche le anime degli dei hanno i
cavalli , ma solo bianchi . Lo scopo arrivare all'altopiano dell' iperuranio , dal

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momento che lass si trova il nutrimento adatto alla parte migliore dell' anima e grazie
al quale l' anima riesce a volare : gli dei non incontrano particolari difficolt , mentre le
bighe delle anime umane hanno seri problemi perch si creano ingorghi ed i cavalli neri
tendono a volare nella direzione opposta , verso il basso , ossia verso le cose terrene e
sensibili , meno preziose . Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti
sulla terra : questa l'incarnazione . Una volta arrivato sulla terra , l'uomo non si
ricorda pi dell'altra dimensione , e vive con nostalgia : la vita dell'uomo non nient'
altro che un tentativo di tornare a quella situazione primordiale e le vie da percorrere
per raggiungerla sono due : a ) la prima via costituita dalla filosofia , che ci consente di
vedere le ombre di quel mondo splendido ( viene qui introdotto il concetto di "
reminescenza " , che verr poi approfondito in dialoghi quali il " Fedone " e il " Menone
" ) , di cui quello terreno solo un'imitazione : necessario che l' uomo riconduca le
realt sensibili , mutabili , mortali e molteplici , alle rispettive idee , immutabili , perenni
e unitarie : " Bisogna infatti che l' uomo comprenda in funzione di quella che viene
chiamata Idea , procedendo da una molteplicit di sensazioni ad una unit colta con il
pensiero . E questa una reminescenza di quelle cose che un tempo la nostra anima ha
visto quando procedeva al seguito di un dio e guardava dall' alto le cose che diciamo che
sono essere , alzando la testa verso quello che veramente essere " ; b ) la seconda via
costituita dalla bellezza : si tratta di una via pi semplice , che fa nascere l'amore ; se ha
la meglio il cavallo bianco guidato dall'auriga l'amore assumer connotazioni sublimi , se
vincer quello nero sar un amore puramente fisico . Ma in che cosa consiste l' amore e
perch nella persona amata si vede qualcosa di speciale , di bello che fa s che la si ami e
che la si voglia tutta per s ? Platone per rispondere a questa domanda tira in ballo il
bello in s ( l' idea del bello ) : " la Bellezza splendeva tra le realt di lass come Essere .
E noi , venuti quaggi , l' abbiamo colta con la pi chiara delle nostre sensazioni , in
quanto risplende in modo luminosissimo ( ... ) : solamente la Bellezza ricevette questa
sorte di essere ci che pi manifesto e pi amabile " : le anime migliori hanno un
trasporto di gioia quando vedono nelle cose sensibili l' immagine dell' idea che stanno
cercando ; perci chi cerca l' idea del bello preso dalla passione per gli esseri in cui
scorge la bellezza e il raggiungimento dell' idea del bello non che un approfondimento
di questo amore ; la bellezza una delle tante idee e , a differenza della altre , filtra
facilmente nel mondo sensibile perch coglibile per tutti grazie ad un senso , la vista :
proprio nel Fedro Platone dice che l' amore " la mania per la quale qualcuno , vedendo
la bellezza di quaggi e ricordandosi di quella vera , mette le ali e cos alato arde dal
desiderio di levarsi in volo , ma non riuscendovi , guarda verso l' alto come un uccello
senza curarsi di quanto avviene quaggi e guadagnandosi in tal modo l' accusa di essere
pazzo " ; per Platone chi ama in modo puro arriva addirittura a vedere nella persona
amata un barlume di divino , perch infatti coglie in essa l' idea del bello , una realt
sovrasensibile e divina ed preso dal desiderio di trattare l' amato come un essere
divino : " chi stato iniziato recentemente e chi ha a lungo contemplato le visioni passate
, quando vede un bel volto di aspetto divino , che imita bene la bellezza , o un bel corpo ,
per prima cosa ha un fremito e qualcuno dei timori passati si insinua in lui . Quindi lo
guarda e lo onora come un dio e , se non temesse di apparire completamente folle ,
offrirebbe sacrifici all' amato come a una statua sacra o a un dio " . Poi , come naturale
che avvenga dopo il fremito , alla vista di quello , un cambiamento un sudore e un calore
insolito si impadroniscono di lui . Egli , infatti , ricevuto l' effluvio della bellezza
attraverso gli occhi , si riscalda e cos l' ala viene irrorata . Secondo Platone per gli occhi
degli innamorati intercorre un fluido che scorre fino al punto dove le ali dei cavalli
s'erano spezzate cosi' che si ricreano e si pu tornare alla dimensione primordiale : il
liquido che viene a contatto con l'ala spezzata le d nuovo vigore facendola rispuntare ;
proprio quando essa sta ricrescendo,esattamente come i primi denti che spuntano,fa
soffrire . Quando si vicini alla persona amata , contemplandola scorre nuovo flusso che
fa passare il dolore dell'anima alimentandola . Quando si lontani dalla persona
amata,invece,non arrivando pi il flusso,le ali si inaridiscono e si seccano,accentuando il
dolore e la sofferenza . Quindi l'innamorato far di tutto per vedere il pi spesso
possibile la persona amata e solo in sua presenza star bene . Il concetto di amore
platonico che abbiamo oggi deriva dal medioevo e non completamente corretto in
quanto i Medioevali credevano che per un innalzamento spirituale non ci dovesse essere
amore fisico ; per Platone c' una scala gerarchica dell'amore : nei gradini pi bassi si
trova l'amore fisico,ma per arrivare in cima ad una scala bisogna percorrere tutti i
gradini . Per Platone l'anima ed il corpo hanno caratteristiche opposte : l'una spirituale
e legata all'Iperuranio ( ed immortale ) , alla dimensione delle idee , mentre l'altro

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puramente materiale , affine al mondo sensibile e terreno , e soprattutto mortale .


Mentre il corpo spinge l'uomo a cercare piaceri sensibili e di livello basso , l'anima lo
induce a cercare piaceri sublimi e spirituali . Va senz'altro notato come Platone riprenda
la teoria dei Pitagorici ( e degli Orfici ) secondo la quale il corpo la prigione dell'anima
( si giocava sulla parola greca "soma"che indica il corpo e "sema",che indica invece la
prigione ) . Il contrasto anima-corpo lo si affronta anche da un punto di vista
gnosologico:il corpo talvolta ci aiuta a conoscere , talvolta ci ostacola:se si disegna un
triangolo rettangolo e ci si ragiona,da un lato pu essere un aiuto per passare
all'astrazione e passare all'idea di triangolo,che ben diversa dal triangolo disegnato che
solo un'imitazione mal riuscita,dall'altro pu essere un ostacolo se ci si limita a
ragionare su quel singolo triangolo senza passare al livello di astrazione . Platone
assolutamente convinto dell' immortalit dell' anima ; nel " Fedone " egli dimostrer in
modo approfondito le sue tesi , qui nel Fedro , invece , abbozza qualche argomentazione :
l' anima per definizione movimento allo stato puro ed piuttosto evidente il fatto che
immortale ci che si trova ad essere in continuo moto ; ma non si tratta di un moto
qualunque : anche le cose mortali , infatti , si muovono , in quanto mosse da altro , ma
nel momento stesso in cui il moto si esaurisce esse cessano di vivere . Il moto di un ente
immortale deve essere quindi perenne e l' ente stesso deve esserne la causa ; pi
precisamente , esso deve essere la causa del moto anche per tutte le altre cose che si
muovono ( e che in quanto messe in moto sono destinate a morire ) : ci che immortale
si trova quindi ad essere anche principio ed chiaro che un principio , per essere tale ,
non deve essere generato , bens deve essere " causa sui " , perch se il principio stesso
ci che d la vita ( il moto ) a tutte le altre cose , evidente che se nascesse dovrebbe
nascere da un principio e quindi non sarebbe pi lui il principio . E dato che il principio
ingenerato ne deriva anche che incorruttibile perch se morisse nulla potrebbe pi
nascere ( tutto infatti nasce dal principio ) e neanche lui stesso potrebbe rinascere da
altro , perch tutto nasce dal principio ( che lui ) . Tutto questo discorso del principio
chiaramente va riferito all' anima , che , come per i cristiani , immortale , incorruttibile
, ma a differenza della concezione cristiana , ingenerata . Il corpo , invece , di per s
inanimato e se durante il corso della nostra vita lo possiamo muovere solo grazie all'
anima , la quale appunto puro movimento . Ritornando alla visione platonica dell'
amore , la principale differenza tra l'amore di oggi e quello dei tempi di Platone che al
giorno d'oggi abbiamo in mente un amore " bilanciato " , biunivoco , dove i due amanti
si amano reciprocamente ; ai tempi di Platone era univoco , uno amava e l'altro si faceva
amare ; ecco perch per tutto il Fedro ci si chiede se sia meglio compiacere chi non ama
piuttosto che chi ama , come se non potesse accadere un amore dove ci si ama a vicenda :
nel mondo greco o l'uomo amava la donna o l'uomo amava l'uomo : l'omosessualit era
diffusissima e non suscitava alcun tipo di scalpore . Talvolta ci poteva essere un amore
biunivoco , che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre
tra gli occhi : secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di " specchio " : in realt
l'amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perch vede riflessa la propria bellezza : "
Come un soffio di vento o un' eco rimbalzando da superfici lisce e solide giunge di nuovo
al punto di partenza , cos il flusso della bellezza torna di nuovo all' amato passando
attraverso gli occhi , la via naturale per la quale esso raggiunge l' anima e la colma . Qui
esso irriga i punti di passaggio delle ali , le fa spuntare e riempie d' amore a sua volta
anche l' anima dell' amato " ; una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di
Dante : " amor , ch' a nullo amato amar perdona... " : come se chi amato si
innamorasse del sentimento stesso . Platone ci parla in modo approfondito dell'amore (in
Greco "eros" , che designa l'amore passionale ed irrazionale , diverso da " agap " ,
l'amore puro ) proprio nel "FEDRO" ( oltre che nel " Simposio " ):in realt gli
argomenti trattati sono due :1 ) l'eros ; 2 ) la retorica . In effetti risulta piuttosto strana l'
idea di collocare nello stesso dialogo due tematiche cos diverse , che hanno ben poco in
comune , soprattutto se teniamo in considerazione quanto Platone stesso ci dice nel
Fedro ( 264 c ) a proposito di come deve essere strutturata ogni opera d' arte : " sia
costituita come un essere vivente " , che abbia un corpo dotato di una parte centrale ,
una testa , delle membra , insomma degli elementi solidali gli uni con gli altri e con l'
insieme . E' per evidente che nel Fedro Platone non applichi questa teoria da lui stesso
propugnata . Quella di Platone,oltre ad essere un'epoca di passaggio tra oralit e
scrittura, anche un'epoca in cui emerge un importante quesito:come si fanno ad
educare i cittadini?Vi era chi rispondeva che l'unica via era la filosofia ( tra questi
Platone stesso ) , e chi , come Isocrate,sosteneva che per tale funzione ci fosse la
retorica.Platone,dunque,vuole argomentare in difesa della filosofia:le vicende si svolgono

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nella campagna circostante Atene,in una calda giornata estiva.Protagonista Socrate


,che si potrebbe dire sempre presente nei dialoghi di Platone sebbene man mano che
l'autore matura tenda a sfumare;Socrate in campagna si imbatte in Fedro,un suo
discepolo che ama i bei discorsi a tal punto da trascriverli tutti.I due si siedono al riparo
dal sole sotto un platano , circondati da un paesaggio incantevole , e Fedro mostra a
Socrate un'orazione di Lisia , uno dei pi grandi oratori greci,che si appena trascritto:
un'orazione riguardante l'amore a carattere " sofistico " , si cercano cio di dimostrare
cose paradossali ed assurde:Lisia (va senz'altro notato come Platone ben riproduca lo
stile lisiano ) cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ama:Lisia parte
dal presupposto che l'amore sia una " follia " e che concedersi a chi ama una
stoltezza:si avrebbe un amore troppo "appiccicaticcio" che se mai si rompesse farebbe
soffrire terribilmente l'innamorato-amante ; poi dopo che passato l'ardore iniziale si
torna in s e ci si rimprovera di esseresi comportati cos da "rimbambiti" e si finisce per
soffrire di continuo.Con una persona non amata chiaro che ci si comporterebbe in
tutt'altro modo:pi che altro si penserebbe ad essere felici noi rispetto all'amato non
amato . Socrate ( incitato da Fedro ) a sua volta imposta due discorsi:nel primo conferma
la tesi lisiana,mentre nel secondo sostiene che il suo "demone"(una specie di coscienza
personale-angelo custode che si fa sentire solo quando Socrate sta commettendo un
errore) lo sta ammonendo,facendogli capire che sta clamorosamente sbagliando . Anche
per Socrate l'amore una follia,per,a differenza di Lisia , per lui positiva:vi sono
infatti follie dannose e negative,ma anche positive e benigne . Poi Socrate formula un
nuovo discorso per farsi perdonare per quel che ha detto dal dio dell'amore ("Eros") ,
per evitare che la divinit lo punisca . E' difficile comprendere quale sia il tema centrale (
l'amore ? La retorica ? ) ; fatto sta che due argomenti strettamente connessi tra loro sono
l' amore e la filosofia ( vedi il " Simposio " ) in quanto l'amore (l'eros) stesso una
metafora per indicare la filosofia ( sia l' amore sia il sapere , infatti , sono due cose mai
pianemante conquistabili ) ; la retorica vera poi , per Platone , non altro che la
filosofia , la dialettica , e quindi in questa maniera si pu in qualche modo stabilire un
rapporto amore - retorica . Tuttavia la retorica di cui Lisia si fa portavoce non affatto
quella vera , essenzialmente perch cerca di dimostrare cose paradossali , non
attenendosi minimamente al vero , bens tenendo presente la famosa constatazione
sofistica che " la parola pu tutto " . La vera retorica , ossia la filosofia , per Platone deve
agire nel seguente modo , esposto nel Fedro : " Prima di tutto bisogna conoscere la verit
su ciascuna delle questioni di cui si parla o si scrive ; essere in grado di definire ogni cosa
in se stessa e , dopo averla definita , saperla di nuovo dividere in base alle specie fino
all'indivisibile ; individuare allo stesso modo la natura dell'anima , trovando in genere il
discorso adatto a ciascuna natura ; comporre e organizzare il discorso di conseguenza ,
rivolgendo a a un'anima complessa discorsi complessi e dai molteplici toni , a un'anima
semplice discorsi semplici . A questo punto , e non prima , sar possibile coltivare il
genere retorico con la massima arte consentita dalla sua natura , sia per insegnare , sia
per convincere " : il fulcro del discorso chiaramente la conoscenza della verit : non
serve pronunciare discorsi raffinati ed eleganti che esulino dalla verit : sono molto
migliori i discorsi meno piacevoli e pi " terra a terra " che per si basano sulla verit .

Fedone

A cura di Daniele Lo Giudice


Fedone, uno dei pi giovani amici di Socrate, di passaggio a Fliunte pochi mesi dopo la
morte del maestro. Trovandosi tra persone che avevano conosciuto Socrate ed altri
personaggi interessati a questioni filosofiche, Fedone si incarica innanzitutto di offrire un
racconto del processo, della carcerazione e della morte di Socrate. Fedone rammenta
che, andato in carcere di buon ora, aveva trovato il maestro libero dai ceppi ed in
compagnia della moglie, Xantippe, insieme al pi giovane tra i suoi figli, attorniato da
diversi amici. Dopo la partenza della moglie e del figlioletto, Socrate, che era seduto sul
letto, si stropicci una gamba indolenzita, traendone piacere. E, subito, trasse spunto da
questa sensazione, per avviare un ragionamento: " che strana cosa, amici, par che sia
quello che che la gente chiama piacere, e che meraviglioso rapporto per natura con
quello che sembra il suo contrario, il dolore! E pensare che entrambi insieme non
vogliono mai trovarsi nell'uomo; ma quando qualcuno insegua uno, e lo prenda, costui si
trova in certo modo costretto a prendere sempre anche l'altro, quasi che sebbene siano
due, pure si trovino legati allo stesso capo." Se Esopo, il grande scrittore di favole, ne
avesse avuto sentore, certamente avrebbe composto una nuova. Al che Cebete, uno dei

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presenti, si ramment che il poeta Eueno gli aveva chiesto con quale intento Socrate
avesse cominciato a scrivere versi e comporre musica sulle favole d'Esopo e in onore al
dio Apollo. " E tu digli la verit, Cebete - rispose Socrate - che li ho fatti non certo per
competere con lui e con i suoi poemi - sapendo bene che non era facile - ma solo per
rendermi conto del del significato di taluni miei sogni, e mettere in pace la mia coscienza,
se mai fosse questa appunto la musica a cui spesso questi sogni m'ordinavano di
attendere. Ed ecco quali erano. Spesso nella mia vita passata m'era apparso il medesimo
sogno, ora in una forma, ora in un'altra; ma per ripetermi sempre la stessa cosa:
Socrate - mi diceva - fa e coltiva musica. Ed io allora quello che facevo, questo
precisamente credevo: ch'esso mi esortasse e m'incitasse a fare, come si suole in quelli
che gareggiano nella corsa; e cos il sogno m'incitasse a fare ci che gi facevo: a
coltivare musica, convinto, com'ero, che la filosofia fosse la pi alta musica ed io non
coltivassi che musica. Ora, per, dopo il giudizio, poich la festa del dio ritardava la mia
morte, mi parve che, se dunque il sogno insisteva ancora sull'impormi di fare questa
specie popolare di musica, io non dovessi disobbedirgli, ma farla, e fosse pi sicuro per
me di non andarmene da questo mondo prima d'aver messo a posto la mia coscienza col
comporre dei versi, in obbedienza al sogno." A questo punto Socrate se ne usc con
qualcosa di molto strano e sconcertante, ovvero di mandare a dire a Eueno che non
mancasse di seguirlo al pi presto nell'altro mondo. Lo stranezza colp non poco Simmia,
un altro dei presenti, il quale si disse convinto che Eueno non aveva alcun desiderio di
morire. Al che Socrate chiese se Eueno fosse o meno da considerarsi filosofo. Quando
Simmia rispose affermativamente, egli dichiar che non solo Eueno, ma tutti i filosofi
non avrebbero accolto male il suo consiglio, giacch il vero filosofo desidera di morire,
quantunque nessuno abbia il diritto di suicidarsi. Al che Cebete osserv: - ma se la morte
un bene, perch mai uno non dovrebbe suicidarsi? Socrate ammise che a prima vista il
divieto di procurarsi la morte pare assurdo; eppure non irragionevole. "Quella
massima che a questo riguardo s'ode in certi misteri: che noi uomini siamo qui come in
una prigione, e non ci sia perci lecito di liberarcene da noi stessi e tanto meno
scapparcene, qualcosa di troppo alto ed insieme non chiaro. Ma, a buon conto, ci che a
me almeno, mi pare ben detto, Cebete, questo: che sono dei quelli che hanno cura di
noi, e noi, gli uomini, siamo una delle cose di propriet degli dei. O a te non pare?" "A
me s" - rispose Cebete. "Orbene - riprese Socrate - anche tu, se qualcuno dei tuoi servi
s'uccidesse, senza che tu gli avessi dato segno di volere che morisse, non ti adireresti con
lui e non lo puniresti, se ne avessi il modo?" Cebete ne convenne. Ma questo consenso
evidenziava che c'era una contraddizione nel comportamento di Socrate, ed anche nel
ragionamento. Se siamo propriet degli dei, perch mai un filosofo dovrebbe desiderare
di morire, sottraendosi ai migliori padroni che si possano trovare? Simmia aggiunse che
le parole di Cebete suonavano come un rimprovero allo stesso Socrate. A questo punto il
maestro dovette rispondere. Afferm di credere che non tutto finisse con la vita, che
anche per i morti ci fosse qualcosa, e di meglio per i buoni che per i cattivi. Aveva la
certezza di trovarsi nell'al di l in presenza di divinit non meno buone e nutriva la
speranza di incontrare uomini eccellenti. Simmia lo invit a spiegare le ragioni della sua
fiducia. Ma prima, Socrate disse di voler ascoltare quello che aveva da dire Critone. Ed
qualcosa che rende ancora pi drammatico il dialogo. "E che altro, Socrate - fece
Critone - se non che quest'uomo incaricato di darti il farmaco (cio la cicuta ndr) insiste
da un pezzo perch io ti raccomandi di parlare il meno possibile? Costui dice che chi
parla troppo, si riscalda, e questo non va bene; chi fa cos sar poi costretto a prendere
una doppia o tripla dose." "E tu lascialo dire - rispose Socrate - ... ma a voi, miei giudici,
desidero subito rendere conto delle ragioni per le quali ritengo credibile che un uomo, il
quale abbia realmente speso la vita intera nello studio della filosofia, debba sentirsi di
buon animo dinnanzi alla morte, ed avere fiducia di trovare l, dopo che sia finito, i
maggiori beni. E che sia cos, come lo dico, Simmia e Cebete, prover ad esporlo." "Tutti
quelli che sul serio attendono alla filosofia - prosegu Socrate - corrono il rischio che agli
altri sfugga com'essi non tendano ad altro se non a morire ed ad essere morti. Se dunque
cos, sarebbe davvero assurdo che uno in tutta la vita non pensasse se non a questo, e
poi, proprio quando giunga il momento, s'affliggesse di ci a cui aveva pensato e s'era
preparato da tanto tempo." Simmia disse ridente: "Per Zeus, Socrate, m'hai fatto ridere
senza che ne avessi alcuna voglia. E credo che a sentirti parlare cos dei filosofi la gente
troverebbe che si ha ben ragione dire - e ti farebbero coro i miei compaesani, e con che
gusto! - che realmente quelli che fanno professione di filosofia sono come persone che
aspettano di morire; e del resto essa, quanto a s, ha gi mostrato di non ignorare che i
filosofi sono degni d'una morte siffatta." Che cos' la morte se non la separazione

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dell'anima dal corpo? - prosegu Socrate. Il filosofo disprezza i paiceri del corpo e sa che
i sensi sono fallaci. Sa che non deve e non pu fidarsi se non della sola anima, quando si
proponga di conoscere ed indagare l'essere. Desidera la morte perch spera che soltanto
allora la sua anima, purificata e sciolta da ogni contatto materiale potr godere della
piena conoscenza del vero, che era stata lo scopo di tutta la sua vita. Chi non sorretto
da tale speranza, non filosofo, ma un semplice amante del corpo. Qui abbiamo
l'obiezione di Cebete. Il ragionamento sarebbe giusto a patto che si potesse dimostrare
che l'anima sopravvive al corpo, conservando potere ed intelligenza. Ma questo proprio
ci di cui tanti dubitano e che necessita di dimostrazione. Socrate risponde partendo da
lontano, in particolare dagli insegnamenti di Pitagora. L'antica credenza nella
metempsicosi, ovvero la trasmigrazione delle anime, presuppone l'esistenza precedente
dell'anima nella dimensione ultraterrena. Il principio di questa credenza
universalmente osservabile in natura, dove ogni contrario si genera dal suo contrario:
vita e morte sono contrari; il trapasso dalla prima alla seconda evidente; ora, se la non
vuole essere manchevole da un lato, bisogna anche ammettere il ritorno da morte a vita,
per quanto sfugga ai nostri sensi. E non pu mancare, perch altrimenti la vita finirebbe
per estinguersi del tutto. Se dunque le anime, dopo la morte, si rigenerano in nuovi
esseri, bisogna ammettere che esse continuano ad esistere in qualche luogo. Cebete
sugger allora che la preesistenza dell'anima risultava anche dalla dottrina cara a
Socrate, ovvero che la vera scienza non fosse altro che reminiscenza. Ma Simmia
dichiar di non rammentarsene, e Cebete fu stimolato a darne un riassunto. Poi Socrate
la espose. Muovendo dalla natura della memoria, e ricavandone la conseguenza che, se
dalla osservazione degli oggetti sensibili noi possiamo sollevarci alla cognizione delle
idee, chiaro che queste idee dobbiamo averle conosciute tutte prima di nascere.
Secondo Socrate, dunque, la medesima necessit logica legava la preesistenza delle idee e
quella delle anime. Ma, Simmia e Cebete avanzarono un'obiezione: pur concedendo la
preesistenza dell'anima, non abbiamo alcuna prova che essa non si dissolva con la morte.
Cebete disse che c'era in loro un bambino che aveva tuttora paura della morte. Socrate
risponde che solo ci che composto si pu dissolvere, e l'anima certamente una
sostanza semplice che rimane sempre identica a se stessa. Solo il composto pu divenire.
L'anima come le idee, specie d'essere incorruttibile. Si pu conoscere solo con
l'intelletto e non con i sensi. Come tutti gli immutabili non appartiene all sfera del
visibile e del tangibile ma all'invisibile e all'intangibile. E quanto pi si rifletta sul fatto
che l'anima fatta per comandare ed il corpo per servire, non si pu non credere alla sua
natura eterna in quanto partecipa del divino. Richiamandosi ancora alla dottrina
pitagorica della metempsicosi, Socrate accenna al destino dell'anima. Quelle che avranno
vissuto in temperanza e coltivato le virt civili potrebbero reincarnarsi a livelli
dell'essere pi vicini al divino, quelle possedute dai desideri carnali non potrebbero che
rinascere nei corpi di animali selvaggi e feroci. A queste affermazioni segue il silenzio.
Simmia e Cebete si scambiano commenti a bassa voce. Indovinando che erano ancora in
dubbio, Socrate li invita a vincere qualsiasi scrupolo. Cos Simmia si decide: non potendo
avere il conforto di una divina parola capace di portare la certezza definitiva, bisogna
accontentarsi di un ragionamento umano. Osserva allora che anche l'armonia prodotta
da una lira pu definirsi qualcosa d'incorporeo, mentre la lira che la produce ha statuto
fisico, caduco e visibile. L'armonia non sopravvive al logorio dello strumento. Pertanto,
anche l'anima potrebbe essere il risultato di una miscela degli elementi corporei (dottrine
in qualche modo riconducibili a Democrito e ad Anassagora ndr) e cessare di esistere con
il suo spegnimento. Cebete, dal canto suo, avanza un'obiezione ancora pi profonda e
radicale: nulla vieta di credere che l'anima preesista e sopravviva, ma, ancora nulla vieta
di credere che, dopo molteplici reincarnazioni, l'anima finisca con l'estinguersi.
Evidentemente non crede all'eternit dell'essere. Molti dei presenti sono turbati da
queste osservazioni. Ma non Socrate. Fedone ricorda, innanzitutto, che Socrate ammon
a guardarsi dal perdere la fiducia nei ragionamenti, dopo aver perso quella negli uomini.
Perch si diventa misantropi? Perch si ripone la propria fede nei primi che si
incontrano, e quando ci si avvede che costoro sono tutt'altro da come li abbiamo
immaginati, si finisce per credere che tutto il genere umano cattivo. La stessa cosa
avviene per i ragionamenti. Chi se ne serve con leggerezza, finisce col rigettarli tutti. In
realt, come nel caso del misantropo, anche il misologo generalizza troppo velocemente.
Andando al cuore del problema, Socrate chiede a Simmia e Cebete, se rigettino tutti i
ragionamenti o solo alcuni. Avuta conferma che entrambi continuano ad accettare la
dottrina della reminiscenza, Socrate dice a Simmia che essa non s'accorda per nulla con
la considerazione dell'anima come armonia. Se essa fosse armonia, sarebbe un composto

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di elementi corporei, e non una realt spirituale. Simmia riconosce l'errore. Ma Socrate
non soddisfatto. Se l'anima - continua - fosse armonia, non potrebbe avere natura
diversa dagli elementi che la compongono. Non potrebbe guidarli, ma seguirli. E poi:
visto che innegabile che esistano anime viziose, mentre altre sono virtuose, e
considerato che anche la virt andrebbe considerata come accordo, ed il vizio come
disaccordo, avremmo che chi pensa che l'anima sia armonia, dovrebbe ammettere che
l'anima sia un'armonia che accoglie in se un'altra armonia, e dovremmo anche
ammettere che l'anima viziosa sia un'armonia disarmonica, il che assurdo. Tornando al
concetto iniziale, Socrate conclude che l'anima come armonia non potrebbe contrastare i
desideri del corpo, perch cos si troverebbe in disarmonia con esso. L'esperienza di ogni
giorno, pertanto, smentisce questa dottrina. L'obiezione di Cebete pi grave. Per fare i
conti con essa, Socrate la ricapitola, poi, per far vedere come fosse giunto alle sue
convinzioni, riassume la storia del suo sviluppo intellettuale e spirituale. Da giovane fu
ammiratore della filosofia della natura e come gli ionici confid di trovare in essa la
spiegazione di tutti i fenomeni. Ma, presto vennero anche i dubbi. Dopo la lettura del
libro di Anassagora che poneva il Nous, cio la mente, come sovrano dell'universo, egli
ritrov alcune speranze. Gli sembr ovvio, insomma, che se la mente divina ordinava
tutto nel miglior modo possibile, tutte le cose avrebbero dovuto essere disposte per il
meglio. Per Anassagora, deluse Socrate perch, invece di riportare tutto alla mente,
cercava di spiegare le cause dei fenomeni ricorrendo a principi meccanici e materiali, gli
stessi, grosso modo, dei filosofi ionici. Socrate decise cos di battere un sentiero del tutto
nuovo. Non guardare pi le cose in modo immediato, nel loro aspetto sensibile, ma ad
esse nel modo della vera realt, quella sovrasensibile, nella loro ragione d'essere, quindi
nella loro idea originaria. Cos facendo, pervenne ad alcune acquisizioni: una cosa bella
perch partecipa all'idea del bello. Un'altra grande perch partecipa all'idea del
grande, e cos via. Ma, cos - prosegu Socrate - pu sembrare che in un medesimo
oggetto coesistano idee contrarie. Un uomo pu dirsi sia grande che piccolo, in rapporto
dipendente dalla cosa con la quale lo si confronta. Trattasi, insomma di giudizi relativi,
non assoluti. Questo significa che noi possiamo trovare tracce delle idee nella realt, ma
sar assai difficile poter trovare traccia dell'imperfezione della realt nelle idee. L'idea dice Socrate - non pu accogliere in s il suo contrario. La grandezza non accoglie la
piccolezza, e mai l'accoglier. Al che uno dei presenti - non ricordo bene quale (disse): "
Oh! In nome degli dei, nei nostri discorsi precedenti non s'era ammesso proprio il
contrario di ci che sento ora: che cio dal pi piccolo si genera il pi grande, e dal pi
grande il pi piccolo, e che, insomma, i contrari si generano dai contrari? Ed ora mi si
dice, mi pare, che questo non pu mai avvenire." Socrate, che aveva sporto un po' il
busto per sentire (rispose): " Bravo, hai fatto bene a ricordarlo. Per non rifletti sulla
differenza tra ci che stiamo dicendo ora, e quel che si diceva prima. Allora si diceva che
da cosa contraria si genera cosa contraria; ora, invece, si dice che il contrario in s non
pu mai divenire contrario a s stesso, n quello che in noi, n quello che in natura.
Allora noi parlavamo delle cose che hanno in s i contrari, e le indicavamo col nome di
questi; ora (parliamo) di questi in s..." Cos, non solo il caldo non pu accogliere il
freddo, n il dispari il pari; ma neppure il fuoco, di cui il caldo predicato essenziale,
potr mai accogliere il freddo, n il tre che dispari, diventare pari, rimanendo tre. Da
qui, il dialogo si avvia alla conclusione. Che cosa rende un corpo vivo? Invece di
rispondere la vita, rispondo: l'anima. Poich il predicato essenziale dell'anima l'essere
viva, essa non pu accogliere in s il suo contrario, che la morte. Dunque l'anima
immortale, pertanto indistruttibile. La conclusione accettata da Cebete, ma non da
Simmia, che avanza qualche riserva: "In verit neppure io - disse Simmia - so come
confutare le ragioni addotte.Tuttavia, il problema di cui ci stiamo occupando cos
arduo, e la nostra natura mi ispira cos poca fiducia, che io mi sento di diffidare ancora
delle cose dette." "Non solo - commenta Socrate - giusto quel che hai detto, ma anche le
ipotesi da cui siamo partiti, per sicure che possano sembrare, meritano di essere meglio
esaminate. Allorch le avrete analizzate a fondo, credo che terrete dietro al ragionamento
quanto pi possibile ad un uomo, e se esso vi parr chiaro, non cercherete pi in l."
Nel finale, Socrate, su sollecitazione di Simmia, espone come potrebbero stare le cose
nell'al di l. Nel racconto paiono fondersi persuasioni personali di Socrate e comuni
credenze derivanti da Omero e dalla mitologia greca. Da questo racconto si comprende
come molte delle credenze comuni alle religioni, compresa quella cristiana, derivino da
questa ripresa del pitagorismo. Socrate disegna un purgatorio, un paradiso ed un
inferno. I pi puri vanno in questo paradiso, e i filosofi veri avranno persino dimore pi
belle e soavi. Tuttavia, conclude Socrate, nessun uomo di senno potrebbe giurare che le

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cose stiano davvero cos. Epper meglio incantare s medesimi con queste convinzioni.
TERZO PERIODO :

Parmenide

Secondo alcuni studiosi nella fase della vecchiaia come se Platone effettuasse un'autocritica
della dottrina delle idee:essa,infatti,risolve alcuni problemi per crearne altri;non si
totalmente certi che sia realmente un'autocritica e c' chi sostiene semplicemente che Platone
si faccia portatore di discussioni che si tenevano nell'Accademia,un luogo aperto dal punto di
vista intellettuale:forse vi fu chi non approv la teoria delle idee e la contest.Vi sono anche
indizi che ci inducono a pensare che sia cos:il "Parmenide" rientra in questi dialoghi e vede al
centro la figura di Parmenide perch si affronta il problema del rapporto tra l'uno ed i
molti,molto caro a Parmenide appunto,e quello del rapporto idee-superidea del bene;i temi
centrali sono quelli dei tempi di Parmenide (il dialogo ambientato in quel periodo): come se
Platone riprendesse ci che era stato lasciato in sospeso anni addietro.Protagonisti del dialogo
sono Socrate , Parmenide e Zenone, discepolo di Parmenide ;questo dialogo pu per diversi
aspetti essere accostato al "Sofista",dove il protagonista "lo straniero di Elea",la citt di
Parmenide e di Zenone.Il vero tema centrale del "Parmenide" quello riguardante le idee e le
cose,a cui Platone aveva finora solo accennato senza mai sbilanciarsi troppo : che cosa
intendesse per "compartecipazione",per esempio,non l'aveva ancora detto : arriva a dire che le
idee sono ci in virt di cui le cose empiriche possiedono certe caratteristiche . Nel Parmenide
sono attestate l'una accanto all'altra e con pari legittimit una versione concreta e materiale e
una versione astratta e metaforica della compartecipazione : nella sua versione concreta , la
partecipazione delle cose empiriche ad un'idea implica che l'idea sia effettivamente presente
nelle cose partecipanti : ad esempio , tutte le cose empiriche molteplici si rivelano molteplici
in quanto l'idea della molteplicit presente in esse . Nella sua versione astratta e metaforica ,
invece , la partecipazione consiste nella somiglianza delle cose empiriche ad un'idea . Affronta
questo problema partendo proprio dall'uno ed i molti.Tuttavia , se Platone si distacca dal
maestro Socrate , egli e gli resta fedele ; e resta fedele cio all'ideale , che questi incarna ,
della filosofia come continua ricerca.Pure nel "Sofista" c' il problema uno-molti,ma non
riferito al rapporto tra idee e cose,bens tra idee e basta: una questione tutta interna alle
idee.Va subito rilevato che nel "Parmenide" ed in generale in tutti questi dialoghi della
vecchiaia vi un'attenuazione dell'aspetto dinamico,forse dovuto all'et:la fantasia giovanile
tende a venir meno,cos come la figura di Socrate tende a sfumare; mentre il "Simposio" un
esempio della letteratura greca,il "Parmenide" non lo :testimonia la volont di addentrarsi in
discussioni tecniche e di conseguenza lo stile si fa pi arido.Anche la figura di Socrate tende a
diventare marginale ed a sparire:ci significa che i temi di Platone sono davvero estranei e
distanti da Socrate e non se la sente di metterglieli in bocca; evidente che quando si parla di
virt e di giustizia ci si pu riallacciare a Socrate ,ma i problemi metafisici e ontologici non
erano materie che rientravano negli interessi del maestro di Platone.Nel "Parmenide" la figura
di Socrate addirittura quella di un ragazzino:volendo introdurre Parmenide per questioni
cronologiche costretto a mettere in gioco un Socrate giovane ed un Parmenide vecchio
(Zenone un uomo maturo);fatto sta che Platone deve comunque aver forzato leggermente la
cronologia per immaginare l'incontro.Parmenide nel dialogo sempre accompagnato dagli
aggettivi "venerando" (sia perch anziano sia perch Platone lo ritiene il fondatore della
filosofia astratta) e "terribile" (ragionava in modo cos logico e razionale da mettere in crisi).In
tutti i dialoghi che abbiamo esaminato Socrate sempre stato il protagonista indiscusso in cui
Platone si identificava;ma nel "Parmenide" in chi dei tre si identifica ? Da un certo punto di
vista si identifica in Parmenide ,da un altro in Socrate ;compare come Socrate nella forma
giovanile,come Parmenide in quella senile.Il nucleo del dialogo ruota intorno a Socrate che fa
delle affermazioni e a Parmenide che le corregge,dicendogli che da grande capir.Vi una
interpretazione ingenua e giovanile delle idee ed una pi senile e completa: Parmenide non
che dica cose opposte,si limita a correggere ed a rendere pi complesse e complete le
affermazioni di Socrate .E' Platone anziano che si confronta con Platone giovane,ma pu
anche essere Platone che si confronta con chi nell' Accademia contestava la dottrina delle
idee.Come detto il "Parmenide" affronta due tematiche:l'uno-molti,che viene discusso a livello
astratto,e idee-cose.Cosa significa in concreto che molte cose partecipano a un'idea sola ?
Platone avanza diverse ipotesi e le respinge un p tutte:per esempio ipotizza che il rapporto di
partecipazione sia di presenza:un'unica idea sarebbe quindi presente in pi cose,ma sarebbe
molteplice e non pi unit del molteplice:infatti ce ne sarebbero tantissime.Vi poi la famosa
argomentazione del "terzo uomo",nella quale si evidenzia la difficolt nel rapporto idee-

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cose:Parmenide ,dopo che Socrate ha esposto la dottrina delle idee, afferma che l'idea quindi
ci che unifica molte cose,che il ragionamento che tante cose insieme presentano una cosa in
comune:gli uomini hanno una cosa in comune:l'idea di uomo.Ma l'idea di uomo,che
rappresenta l'unit,dovr per forza avere qualcosa in comune con gli uomini:gli uomini
sensibili si assomigliano perch imitano l'idea di uomo;ma un rapporto di somiglianza non c'
solo tra gli uomini sensibili,ma anche con l'idea di uomo:se ci sono gli uomini e l'idea di uomo
e sono tra loro simili,ci deve essere per forza essere qualcosa di comune all'idea di uomo e agli
uomini che li rende simili,che li accomuna:ci deve essere un terzo uomo;questa
argomentazione pu andare avanti all'infinito perch ci dovr sempre essere qualcosa in
comune.Vi chiaramente una contraddizione nella dottrina delle idee,che era servita per
semplificare la realt ma che la complica ammettendo la molteplicit:gli enti invece di ridursi
si moltiplicano all'infinito.Vi poi una terza argomentazione: Parmenide chiede a Socrate di
che cosa ammette che ci siano le idee e lui risponde citando le cose astratte quali la giustizia,la
bellezza,gli enti matematici...Dice di non essere certo che esistano idee degli oggetti sensibili
veri e propri:l'idea di albero,di cavallo,di cane...Platone era ricorso a queste idee:per spiegare
l'attivit di un artigiano aveva perfino ammesso che le idee potessero essere create
dall'uomo:Platone si era occupato del problema delle tecniche e aveva ammesso che ci fossero
delle tecniche di produzione e delle tecniche di uso;chi costruisce le briglie per i cavalli mette
in atto la tecnica di produzione ,il cavaliere che cavalca quella di uso.Il cavaliere deve sapere
come le briglie devono essere usate,come funzionano,come devono essere:d le indicazioni
all'artigiano che le fa come vuole il cavaliere.Chi applica la tecnica di uso crea un'idea che
l'artigiano deve imitare:egli guarda ad un'idea creata da chi mette in pratica la tecnica
d'uso.Platone sembra ipotizzare la produzione delle idee:l'idea di tavolo,per esempio, una
sorta di idea che gli uomini si fanno.Chiaramente in una ipotetica scala gerarchica chi usa
pi in alto di chi produce.Socrate dice che certamente non esistono le idee delle cose
spregevoli ed insignificanti:ad esempio,il fango ed il capello che corrispettivo possono avere
nel mondo delle idee,dice Socrate.Ma Parmenide gli dice di pensarci bene e forse un giorno
capir.Socrate stava evidentemente pensando alla valenza assiologica:l'idea il punto cui le
cose sensibili devono mirare, il meglio verso cui tendere.Come si pu tendere all'idea di
fango ? Per Parmenide ,ontologo per eccellenza,dice che se l'idea deve essere l'essenza di
ogni cosa ,anche il fango dovr avere una sua idea.Parmenide fa qui notare che nel concetto di
idea la valenza ontologica contrasta con quella assiologica,cosa che peraltro Platone sapeva
benissimo : proprio per questo possiamo leggere il dibattito Parmenide-Socrate come uno
scontro tra il Platone ontologico e quello assiologico . In effetti se pensiamo al piano
assiologico pare impossibile che esistano idee di cose spregevoli : se per consideriamo quello
ontologico , cos come un cavallo esiste nella misura in cui compartecipa all'idea di cavallo ,
anche il fango o la sporcizia esistono nella misura in cui imitano l'idea di fango e di sporcizia .
Parmenide poi mette definitivamente a tacere Socrate con un'ultima obiezione : comunque
venga concepita , l'ipotesi della compartecipazione pare in contrasto con l'assunto della
separazione delle idee; in effetti se le idee rimangono davvero separate dal mondo sensibile ,
esse saranno in relazione tra loro soltanto ma non con il mondo sensibile degli uomini , come
d'altronde anche le cose empiriche si porranno le une in rapporto alle altre senza alcun genere
di contatto con le idee . Pertanto se vi questa separazione nettissima che Platone (qui
Socrate) aveva sempre predicato tra mondo sensibile e mondo intellegibile , nessuna
partecipazione tra idee e mondo sensibile sar ammessa e cos neppure nessuna conoscenza
delle idee per noi uomini sar possibile . Questa difficolt indicata da Parmenide come "la
pi grande di tutte" ("megiston d tde") : le idee devono per forza rimanere in s e per s ,
radicalmente separate dal mondo sensibile , perch la separazione ne preserva l'assoluta
superiorit ontologica , stabilendo un'incolmabile discontinuit rispetto alle cose empiriche .Va
notato che Platone,in ogni suo dialogo,prende spunto un p da tutti gli altri filosofi e
Parmenide non fa eccezione : l'idea platonica unit e stabilit proprio come l'essere
parmenideo.L'istanza etica di Socrate vuole idee solo positive e guarda alla assiologia , mentre
Parmenide interessato all'essere,al piano ontologico:d'altronde risaputo che Socrate fosse
un antropologo,una persona che si interessava ai valori.Platone si rende conto che Parmenide
ad avere ragione e non Socrate .Nel dialogo Parmenide discute sul rapporto tra l'uno ed i
molti: una discussione a tal punto tecnica e complessa che si arrivati a pensare che si tratti
di una parodia,una presa in giro da parte di Platone di alcune scuole.Nel "Parmenide"
comincia a trasparire una nuova accezione della parola "dialettica",tipica di Socrate e di
Platone : originariamente designava il dialogo socratico , poi passata a designare la tecnica
argomentativa di Platone ed anche divenuta sinonimo di "filosofia";nel "Parmenide" il
significato si sposta da un certo modo di affrontare la conoscenza al rapporto tra le idee:non
esiste solo un dialogo-scontro tra gli uomini (quello che dava vita alla fiamma) che aumenta la

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conoscenza , ma anche tra le idee : lo "scontro" si sposta dal soggetto della conoscenza
all'oggetto.Il concetto dell'uno ed i molti si richiamano a vicenda:non si pu conoscere
pienamente il concetto di uno se non si conosce il concetto di molti e viceversa.Un modo per
sintetizzare la filosofia di Parmenide pu essere l'affermazione "l'uno " ,la negazione della
molteplicit ;Platone dice che quando si predica il concetta di uno lo si moltiplica:se non si
predicasse affatto sarebbe davvero uno ,ma se ne parlo non gi pi uno, gi due:gli si
aggiunge il concetto di essere."L'uno l'essere" :affermo il molteplice perch lo predico : nego
e affermo nello stesso tempo.Le idee non sono una accanto all'altra,ma se le accosto dialogano
e si scontrano.Questo il nuovo significato di dialettica,che non designa pi solo un metodo di
indagine:diventa anche la struttura della realt.Di conseguenza la dialettica lo strumento
migliore di ricerca della realt perch essa stessa la realt:c' uno stretto rapporto tra la realt
soggettiva e quella oggettiva.Questo concetto viene trattato nel "Sofista" ancora di pi che nel
"Parmenide".Un altro problema,molto astratto e legato alla possibilit di ragionare,che Platone
affronta in et avanzata (e anche in giovent) ed in diversi dialoghi quello riguardante il vero
e il falso,in parallelo con l'essere ed il non essere : si torna a problematiche parmenidee e viene
messa da parte la figura di Socrate.La possibilit di poter distinguere il vero dal falso legata
al poter commettere errori ed il tema viene affrontato nel "Sofista" ;gi dal titolo dell'opera si
pu intuire la solita critica platonica dei sofisti,gi avanzata in giovent:qui per trattata con
sfumature pi ontologiche.Che cosa c'entrano i sofisti con il vero-falso e l'errore ? Si pu
sbagliare solo quando si pu porre una differenza tra vero e falso : Gorgia e Protagora ,i due
maggiori esponenti sofisti,erano rispettivamente del parere che tutto fosse falso ( Gorgia ) e
che tutto fosse vero ( Protagora ):per entrambe non vi la distinzione tra vero e falso :o ce n'
uno o l'altro,si basano sul fatto di non poter distinguere il vero dal falso.Per Parmenide dire il
falso vuol dire ammettere il non essere,le cose come non sono (il che impossibile);per
Parmenide si dice e si pensa solo ci che ,ci che esiste.Questo spiega come un dialogo tutto
incentrato sulla filosofia eleatica si leghi al sofismo:le tesi eleatiche e quelle sofiste mirano ad
affermare che l'errore sia impossibile,che non ci sia la distinzione tra vero e falso.Sono
posizioni differenti che portano alle stesse conclusioni,sebbene in modi diversi.Il "Cratilo" ed
il "Teeteto" sono dialoghi dove si cerca di contestare la possibilit di non errare : se non esiste
la possibilit di sbagliare tutti i discorsi saranno o veri o falsi;se tutto vero o falso e non c' la
via di mezzo viene a perdere di significato perch una cosa sensata quando contiene un p di
verit,ma anche un p di falsit,quando si trova in una via di mezzo (ancora una volta Platone
assume posizioni intermedie);se non si ammette l'errore non si pu ammettere la verit,che
ci che non sbagliato.Il "Cratilo" prende il nome da un seguace di Eraclito,che per aveva
radicalizzato le posizioni del maestro e si era molto soffermato sul "panta rei" (tutto scorre):a
suo avviso impossibile dare i nomi alle cose perch cambiano di continuo:noi chiamiamo P
un fiume ma non corretto:non esiste qualcosa che si chiami P perch cambia in continuo (
un esempio evidente perch le acque si rinnovano in continuazione);si fissa artificialmente una
cosa che non fissabile perch in continua mutazione.Cratilo con il "panta rei" arriva a
dimostrazioni sofistiche: impossibile conoscere qualcosa che cambia sempre.Quindi in
teoria ,dal momento che non si possono attribuire nomi,bisognerebbe solo indicare le
cose.Secondo alcuni studiosi Platone stesso sarebbe stato allievo di Cratilo,il che pu
sembrare strano se consideriamo la dottrina delle idee,in cui viene ammesso un essere
fisso,stabile e permanente.Pensandoci bene,per,non poi cos strano:Platone deve aver
constatato che nel mondo sensibile non c' nulla di stabile ed ricorso alle idee.Platone nel
"Cratilo" effettua un'ampia discussione sulla problematica della lingua.Al tempo dei sofisti vi
erano state interessanti considerazioni a riguardo , legate al binomio "nomos"-"fusis"
(convenzione-natura);questo della lingua un problema tipicamente antropologico e di
materia sofistica.Alcuni sofisti erano del parere che si attribuiscano i nomi in maniera
spontanea,secondo natura ("kat fusin"),come se la natura stessa ci suggerisse la nomenclatura
di cui servirsi nei suoi confronti.Altri la pensavano in modo opposto:gli uomini attribuiscono i
nomi in maniera assolutamente artificiale,secondo convenzione ("kat vomon").Questa
diatriba in corso ancora al giorno nostro;Platone,dal canto suo,sostenne che attribuiamo i
nomi un p "kat fusin" e un p "kat nomon".Nella tradizione ebraico-cristiana vi il mito
della torre di Babele;la lingua di Adamo (l'ebraico) sarebbe stata naturale ed i nomi
corrispondevano esattamente all'essenza delle cose e proprio con i nomi si poteva cogliere
l'essenza delle cose.Nella torre di Babele i linguaggi successivi sarebbero stati convenzionali e
non vi era pi piena corrispondenza tra i nomi e le cose.Platone dunque del parere che la
soluzione sia intermedia e noi moderni concordiamo con lui:vi una mescolanza dei
fenomeni.Esiste s una derivazione naturale dei nomi:sono le cose stesse che suggeriscono i
nomi da usare,ma le lingue parlate sono molteplici:una componente di arbitrareit ci deve per
forza essere.Quindi le cose tendono a suggerire il nome con cui chiamarle ma dopo di che

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l'uomo ci lavora sopra correggendo il tutto con la ragione:ancora oggi,comunque,ci sono


parole onomatopeiche,che suggeriscono l'essenza del soggetto cui sono riferite
("zanzara","cornacchia"...).Si tratta di una teoria intermedia che mette insieme il lavoro
razionale a quello naturale.Ma cosa c'entra tutto questo nell'ambito del "Cratilo" e della
discussione del vero-falso ? Pi di quello che potrebbe sembrare : per Platone entrambe le
possibilit per denominare le cose negano la possibilit dell'errore : le parole corrispondono
esattamente alle cose;o sono totalmente artificiali o totalmente naturali:si arriva alla stessa
conclusione.Se mi attengo alla teoria "kat fusin" un libro mi suggerisce la parola con cui
chiamarlo ed solo quella:non c' possibilit di errore.Se mi attengo al "kat nomon" i nomi
sono totalmente artificiali e quindi vanno bene tutti :lo posso chiamare libro,ma anche
tavolo,scarpa...sar in ogni caso corretto e anche qui non c' possibilit di sbagliare:infatti in
assenza di un arbitrio generale tutti i nomi risultano corretti.Il far corrispondere al meglio (con
un misto di lavoro naturale e artificiale) il nome all'essenza delle cose consente di affermare
che l'errore esiste e che la retorica (quella vera ) la filosofia.Platone sposta poi il problema
dalle cose alle idee:cos come si possono dare nomi alle cose che si conoscono,si possono dare
nomi alle idee che si conoscono:c' una dimensione conoscitiva e vi uno sforzo di attribuire
nomi che esprimano l'essenza di ci a cui si riferiscono.Il "Teeteto" un dialogo dedicato alla
matematica:il protagonista , Teeteto, un giovane matematico che in futuro diventer
famoso.E' anche dedicato alla conoscenza sensibile e a quella intellegibile,che quella vera e
propria.Quando si parla della conoscenza sensibile viene citato Protagora,che sosteneva che le
cose sono come mi sembrano e che l'uomo misura di ogni cosa:si tratta del relativismo
assoluto.Platone interessato a ci perch siamo di fronte al rapporto tra vero e falso.Per poter
ragionare,come detto,occorre ammattere l'esistenza del vero e del falso.A supportare le tesi di
Platone un suo allievo, Aristotele ; egli dice che con i sofisti non si pu neppure discutere
perch ,dal momento che sostengono che tutto sia vero o che tutto sia falso , nel momento in
cui un sofista discute smonta le sue stesse tesi perch in un certo senso ammette la distinzione
tra vero e falso,la possibilit dell'errore:se infatti ci fosse solo il vero o il falso che motivo ci
sarebbe di discutere ? C' anche chi vuole che il "Parmenide" sia in realt una confutazione da
parte di Aristotele delle teorie del maestro Platone : dunque Socrate rappresenterebbe
Platone,mentre Parmenide Aristotele.In effetti ci sono numerosi indizi a sostegno di questa
tesi : la stessa argomentazione del terzo uomo la ritroviamo in testi di Aristotele ed quindi
probabile che sia sua a tutti gli effetti.D'altronde Aristotele non condivise mai pienamente le
teorie del maestro e se rimase nell'Accademia fino a oltre trent'anni fu solo per il rispetto che
aveva nei confronti di Platone.

Teeteto

Il "Teeteto" un dialogo dedicato alla matematica : il protagonista , Teeteto , un


giovane matematico che in futuro diventer famoso . E' anche dedicato al confronto tra
conoscenza sensibile e intellegibile ( quest' ultima quella vera e propria ) .Quando si
parla della conoscenza sensibile viene citato Protagora , che sosteneva che le cose sono
come mi sembrano e che l'uomo misura di ogni cosa:si tratta del relativismo assoluto .
Protagora diceva che tutto vero , nel senso che ci che appare a ciascuno vero per lui :
il sano percepisce dolce il miele e quindi per lui dolce , il malato invece lo percepisce
amaro e quindi per lui amaro . Platone interessato a ci perch siamo di fronte al
rapporto tra vero e falso . La posta in gioco per Platone qui altissima perch se si nega
la possibilit di distinguere tra vero e falso , crolla ogni possibilit di sapere e , quindi , la
filosofia stessa come ricerca del sapere . Per Platone inaccettabile l' impossibilit di
distinguere tra vero e falso ed consapevole che le risposte tradizionalmente date al
problema sono insoddisfacenti . Platone obietta a Protagora che , se tutte le opinioni sono
vere , vera anche l' opinione che sostiene che non tutte le opinioni sono vere e , quindi ,
anche quella che sostiene che la tesi di Protagora falsa . A supportare le tesi di Platone
un suo allievo , Aristotele ; egli dice che con i sofisti non si pu neppure discutere perch ,
dal momento che sostengono che tutto sia vero ( Protagora ) o che tutto sia falso ( Gorgia
) , nel momento in cui un sofista discute smonta le sue stesse tesi perch in un certo senso
ammette la distinzione tra vero e falso , la possibilit dell'errore : se infatti ci fosse solo il
vero o il falso che motivo ci sarebbe di discutere ? Il Teeteto pu in qualche misura essere
accostato al Cratilo perch Platone in questi dialoghi si concentra sulla possibilit di
sbagliare , di dire il falso . Ma pu anche essere accostato al Protagora perch vengono
ancora esaminate le tesi di Protagora e si immagina addirittura un dialogo con questo
sofista . Il Teeteto pu essere definito un dialogo matematico a tutti gli effetti : la scelta di
Platone di sfruttare come interlocutori di Socrate due matematici , Teeteto e Teodoro
( matematico nativo di Cirene , esperto soprattutto in geometria ) , molto opportuna :
ricordiamoci che per Platone la matematica ha un valore propedeutico ( " non entri chi
non sa la geometria " c' era scritto all' ingresso dell' Accademia ) ed i matematici stessi ,

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cos come i filosofi , hanno grande interesse per la definizione del concetto di scienza , cui
ruota attorno buona parte di questo dialogo . Teeteto arriva a definire la scienza come
pura sensazione : Socrate gli fa notare che Protagora sosteneva la stessa tesi . Mentre
soffia uno stesso vento , alcuni hanno freddo , altri caldo ; per chi sente freddo il vento
freddo , per chi sente caldo il vento caldo . Ma se seguissimo Protagora non ci sarebbe
la possibilit di sbagliare : ognuno potrebbe dire la sua e non sarebbe mai sbagliata ! Poi
Teeteto e Socrate passano ad esaminare le teorie di Eraclito e dei suoi seguaci : Teeteto
dice che impossibile discutere con gli eraclitei perch , come se punti da una tarantola ,
sono in continuo e disordinato movimento , proprio come le loro teorie sul divenire
continuo : non riescono a soffermarsi su una domanda e non rispettano i turni per
domandare e per rispondere . Scagliano giochi di parole come frecce e non lasciano
controbattere . Viene spontaneo a Socrate citare gli Eleatici , perenni rivali degli eraclitei
: per loro tutto riconducibile ad un'unit e tutto fermo . Socrate dice che lui e Teeteto
si schiereranno con chi sembra essere dalla parte del giusto . Socrate arriva alla
conclusione che nessuno dei due gruppi ha pienamente torto ma neanche pienamente
ragione : proprio per questo che Platone , a ben pensarci , ha introdotto la dottrina
delle idee : il mondo in cui viviamo il mondo del divenire continuo : gli uomini
nascono , crescono e muoiono , ma il mondo intellegibile delle idee il mondo
dell'immobilit per eccellenza : non vi divenire : l'idea di uomo sempre esistita e
sempre esister senza cambiare . Abbiamo detto che il Teeteto ed il Cratilo sono i
dialoghi dove Platone spiega la possibilit dell'errore : nel Teeteto egli dice che quando in
un dialogo , per esempio , uno degli interlocutori avanza un'opinione sbagliata , questo
dovuto alla mancata corrispondenza tra ricordo e sensazione ; questa tematica verr
ripresa e approfondita anche da Epicuro . Platone ha infatti spiegato nel Menone che il
conoscere legato al ricordare . Poi per si corregge e dice che non cos . Sono
tematiche molto difficili . Socrate arriva a dire che la scienza opinione vera
accompagnata da spiegazione . La scienza , secondo Socrate e Platone si pu fondare solo
sulla dottrina delle idee , e non sul sensibile : " non in queste impressioni sensibili che c'
scienza , bens nel ragionamento su di esse : infatti , in questo che possibile , come
pare , toccare l' essere e la verit ; in quelle invece impossibile " ( 186 d ) . Il dialogo si
conclude , come molti altri , con un nulla di fatto , con l'ammissione da parte di Socrate
che nessuna delle definizioni di scienza date nel corso di tutto il dialogo accettabile . Nel
Teeteto interessante anche l'espressione "omoiosis theo" , che significa ottenere un tale
perfezionamento da diventare tutt'uno con la divinit ; dice testualmente che " non
possibile che i mali scompaiano del tutto perch una necessit che ci sia sempre
qualcosa di contrapposto al bene , n possono avere sede tra gli dei , ma si aggirano nella
natura mortale e in questo nostro mondo qui . E' per questo che bisogna anche sforzarsi
di fuggire di qui a lass al pi presto . E fuga rendersi simili a Dio secondo le proprie
possibilit : e rendersi simili a Dio significa diventare giusti e santi , e insieme sapienti " .

Sofista

Il Sofista rappresenta il vertice della riflessione logica di Platone, il traguardo pi alto


della sua speculazione sul mondo delle idee: destinato a godere di grande fortuna nella
storia dagli Stoici a Hobbes e a Heidegger -, in esso Socrate, indefesso protagonista dei
dialoghi platonici, si ritira e cede il passo allenigmatico Straniero di Elea, che inscena un
avvincente dialogo con il giovane Teeteto, allievo del matematico Teodoro e dunque
equipaggiato di un forte armamentario matematico. In realt pi che di dialogo sarebbe
opportuno parlare di "lezione dialogata", giacch lopera procede con lunghe digressioni
dello Straniero intervallate da brevi incisi di Teeteto. Il Sofista connesso, sotto un certo
profilo, con il Parmenide, dove si tentava di spiegare quale rapporto intercorresse tra le
idee e il mondo sensibile che di esse partecipa (appunto la nozione di "partecipazione",
, creava non pochi problemi) e Platone arrivava ad assumere per bocca del
venerando Parmenide un atteggiamento autocritico verso le proprie posizioni della
giovent. Ora, anche nel Sofista (sebbene qui il tema cardinale sia il rapporto delle idee
fra loro, e non col mondo sensibile) Platone si autocritica, in particolare mette alla
berlina la concezione che delle idee quale era emersa nel Fedone, ove esse venivano intese
come statue fisse, prive di intelligenza e di movimento, a tal punto che il mondo
iperuranico veniva a configurarsi come un mondo statico. Tuttavia, il Sofista
indisgiungibilmente connesso anche con altri due dialoghi - il Teeteto e il Cratilo per
quel che concerne la possibilit dellerrore: di fronte alle tesi protagoree secondo cui per
ciascuno vero ci che a lui pare essere tale (con la conseguenza che impossibile
lerrore), Platone scende in campo nel Teeteto, mostrando lassurdit dellassunto
protagoreo (se infatti tutto vero, allora anche vero che non tutto e vero e che quindi
ci che asserisce Protagora falso), e nel Cratilo, mettendo in luce come i nomi non siano

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interamente frutto n del (come vorrebbe Ermogene) n della (come


vorrebbe Cratilo), bens siano imitazione con la voce della cosa nominata e, in quanto
tali, suscettibili di sbagliare. Il punto di partenza del Sofista si riallaccia esattamente a
questa problematica: Socrate prima di uscire di scena dal dialogo si domanda se
anche per lo Straniero di Elea i termini "sofista", "filosofo" e "politico" designino tre
diverse realt, o piuttosto due o magari una sola: potrebbe infatti essere che quei tre
nomi si riferiscano a realt diverse. Da qui prende le mosse la riflessione, incentrata sulla
definizione del sofista: ma, ancor prima di affaticarsi in tale ricerca, pare opportuno agli
interlocutori definire preventivamente il metodo da impiegare, e, per fare ci, essi
ricorrono ad un esempio banale e triviale, che vada bene per saggiare il metodo scelto. Il
metodo che viene scelto quello diairetico, della , che gi presentato nel
Fedro consiste nel dividere per due spingendosi sempre verso la parte destra: cos, nel
definire la della "pesca con la lenza", si dir che tutte le tecniche si dividono in
"tecniche di produzione" (quando producono qualcosa) o in "tecniche di acquisizione"
(quando acquisiscono qualcosa di gi prodotto). Evidentemente la "pesca con la lenza"
rientra nel novero delle "tecniche di acquisizione": a loro volta, le tecniche di
acquisizione possono essere "per contratto" (quando si acquisisce qualcosa tramite un
contratto) o "per caccia"; evidentemente la pesca con la lenza acquisisce i suoi oggetti
tramite la caccia. Ma la caccia pu essere scoperta oppure occulta. E la pesca con la
lenza occulta, giacch chi pesca non lo fa certamente allo scoperto dinanzi agli oggetti
di cui cerca di impossessarsi. E ancora: si posson cacciare animali terrestri oppure
natanti; e la pesca con la lenza mira a cacciare animali natanti. Procedendo per questa
via si arriva alla definizione conclusiva per cui la pesca con la lenza una tecnica
acquisitiva che acquisisce tramite caccia occulta di notte animali natanti colpendoli dal
basso verso lalto. Dopo aver suffragato la validit del metodo diairetico alla luce di una
definizione banale quale pu essere quella del pescare con la lenza, giunto il momento
di applicare il nuovo metodo nel tentativo di definire il sofista: ed qui che lo Straniero
nota con sorpresa che larte del sofista non poi cos distante da quella del pescatore con
la lenza, giacch anche il sofista un cacciatore, anche se si tratta di un cacciatore sui
generis: la sua infatti una acquisitiva con cui caccia occultamente animali non
natanti (come era per la pesca con la lenza), ma "domestici" (se cos possiamo definire
lessere umano) al fine di guadagnarci denaro. E questa la prima definizione del sofista:
egli un cacciatore di giovani facoltosi. Ma essa non esaurisce lessenza del sofista, di
questo mostro dalle mille teste che si rintana laddove pi difficile stanarlo: diventa
allora necessario ricorrere ad altre definizioni che ne svelino lessenza. Attraverso la
seconda definizione, lo Straniero e Teeteto giungono a definire il sofista come un
commerciante di nozioni inerenti allanima e grazie alla terza definizione precisano
che egli un venditore al minuto di tali nozioni; ne consegue, allora, che il sofista un
venditore del proprio sapere (ed , questa, una cosa che Platone non pu in nessun modo
perdonare alla sofistica). Ma in certo senso il sofista non si limita a cacciare occultamente
le proprie prede: egli si d anche alla caccia aperta, lottando con arte nei discorsi: siamo
dunque giunti alla quarta definizione del sofista. Ben si pu arguire come le quattro
definizioni finora fornite siano alquanto impietose e negative: ed ecco che ora,
inaspettatamente, lo Straniero cambia rotta e rivaluta il sofista, asserendo (quinta
definizione) che egli esplica, mediante il suo martellante confutare, una funzione
catartica, purificando le anime dai falsi concetti. Socrate stesso, con il suo costante
interrogare gli Ateniesi facendo scricchiolare le loro certezze pregiudiziali, pu a pieno
titolo rientrare in questa definizione; in questaccezione, lo Straniero ha qui scoperto
lesistenza di una "nobile sofistica", pur precisando che essa assomiglia alla comune
sofistica come il cane assomiglia al lupo. I problemi si parano dinanzi con la sesta
definizione: il sofista si professa capace di contraddire su qualsiasi argomento, dando ai
suoi interlocutori la parvenza di essere pienamente in possesso di tutto lo scibile umano.
Ma obietta lo Straniero sapere tutto impresa che scavalca le forze umane: sicch il
sofista si dice esperto di ogni cosa senza tuttavia essere realmente tale; per meglio
chiarire questo punto, lo Straniero sostiene che "di colui che promette di essere capace,
con una sola arte, di fare tutte queste cose, noi conosciamo questo, che sar in grado di
compiere imitazioni e omonimi delle cose reali, e mostrando da lontano quel che ha dipinto,
sa trarre in inganno gli sprovveduti fra i ragazzi giovani, che egli in grado di portare a
termine con le opere tutto ci che vuole fare". In questo senso, il sofista si colloca sul piano
della ("parvenza"), e ben si capisce lanalogia instaurata dallo Straniero con le
immagini: come il sofista si dice esperto conoscitore di ogni cosa senza esser tale, cos
limmagine riproduce loggetto di cui immagine senza tuttavia essere quelloggetto.

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Alla stregua del pittore, il sofista un imitatore delle cose, le copia creando immagini di
ci che vede: egli dunque riconducibile al genere della parvenza. Ma e qui gi si
affacciano le prime difficolt larte imitativa si suddivide in "icastica" (nel caso in cui
copi fedelmente la realt) e in "fantastica" (quando invece d adito a parvenze illusorie
che distorcono la realt anzich riprodurla). A quale delle due forme di arte imitativa
appartiene il sofista? E soprattutto in che senso si pu parlare di parvenza come di
un qualcosa che , ma che al contempo non la cosa di cui parvenza? Dicendo che una
stessa realt e non insieme si sta infatti violando la prescrizione parmenidea secondo
cui il non-essere non e non pu essere pronunciato. Prende qui le mosse la tematica
centrale del Sofista: il problema dellessere e del non-essere e, di conseguenza, di come
sia possibile dire il falso (con ripresa delle tematiche trattate aporeticamente nel Cratilo).
Con il caso dellimmagine ci troviamo dinanzi ad uninquietante problematica: ci
troviamo infatti costretti ad ammettere che il non-essere sia, poich altrimenti non
sarebbe ammissibile la possibilit di dire il falso; e, cos facendo, si violano le prescrizioni
di Parmenide, strenuo sostenitore in prosa e in versi dellimpossibilit di ammettere
che il non-essere sia. Per tale via, gi comincia a profilarsi quello che, pi avanti, verr
etichettato come un autentico parricidio di Parmenide: come possibile pronunciare il
non-essere, domanda lo Straniero? E, pronunciandolo, si riferisce a qualcosa che
()? Teeteto si trova in imbarazzo e rinuncia a rispondere, lasciando al pi esperto
Straniero lonere della problematica; questi sostiene che il non- essere non devessere
riferito a qualcuno degli enti, giacch ciascuno di essi e, per ci, non pu non essere; ne
segue, allora, che il non-essere non si riferisce ad alcuna cosa, n si afferma di nulla:
tutto ci che non pu non essere; ma, accanto a questa valenza assoluta del non-essere
(non-essere come non-esistente), occorre ammetterne una relativa, in cui il non-essere
abbia il valore di copula, come quando diciamo che "la penna non il tavolo" (dove
"non " non significa che la penna il non-essere, ma, semplicemente, che la penna
qualcosa di diverso rispetto al tavolo). La soluzione per superare laporia parmenidea
risieder allora nellammettere il non-essere relativo: ma se a ci che possiamo unire
altre cose che sono (la penna blu, la camera grande, ecc), che cosa potremo mai unire
al non-essere? Certamente non qualcosa che sia, come ad esempio il numero: delle cose
che sono posso dire che sono una, due, tre, ecc, ma non posso compiere siffatta
operazione col non-essere e, di conseguenza, diventa impossibile nominarlo. Tutti i nomi
sono o singolari o plurali, e, in forza di ci, parlare di "non-essere" automaticamente
contraddittorio, giacch applicandogli un nome singolare come se si dicesse che il
non-essere uno. Da ci lo Straniero qui in perfetta sintonia con gli ammaestramenti di
Parmenide - trae la conseguenza dellineffabilit del non-essere; ma questo non tutto:
non solo non si pu affermare il non-essere; addirittura non possibile neanche negarlo,
giacch, nel momento in cui dico che il non-essere ineffabile, gi ne sto parlando,
cadendo nella contraddizione test enunciata. Ben si capisce, allora, come il Sofista
giocoliere dellapparenza () si sia andato a rintanare nel non-essere
e come, al fine di stanarlo, sia necessario ammazzare Parmenide, riconoscendo che anche
il non-essere . Dobbiamo in primis capire che cosa sia limmagine di cui il sofista
maestro e, per fare ci, dobbiamo chiarire il rapporto intercorrente tra essere e nonessere, in quanto limmagine si presenta come qualcosa che al contempo e non
(assomiglia al vero senza essere vera). Limmagine infatti, in quanto esistente, : ma, in
quanto copia delloggetto di cui immagine, non la cosa stessa di cui copia, altra
rispetto ad essa. E qui introdotta pienamente la tesi del non-essere come essere altro
rispetto alla cosa: il sofista, assiduo produttore di immagini, ci ha indotti ad asserire che
il non-essere , commettendo il parricidio di Parmenide; cos la falsa opinione sar quella
che opina ci che non . Lo Straniero rileva che, mentre riguardo alla problematica del
non-essere i predecessori non hanno lasciato grandi testimonianze, intorno alla tematica
dellessere essi si sono sbizzarriti in un mare magnum di interpretazioni, tutte
insoddisfacenti perch contraddittorie: inizia a questo punto una digressione
dossografica, in cui lo Straniero esamina e demolisce le posizioni maturate dai filosofi
precedenti, accusati di esser stati troppo sbrigativi nellaffrontare il problema e,
soprattutto, di essere incapaci di rispondere se interrogati; sembrano quasi raccontare
miti di cui non sono in grado di render conto, come se i loro interlocutori fossero bambini
che si accontentano di qualsiasi risposta. C stato chi (Ferecide di Siro?) ha fatto
coincidere lessere con tre enti, chi (Empedocle da Agrigento) lha individuato nelleterno
incontrarsi e scontrarsi di elementi prima amici poi nemici, chi (Anassagora di
Clazomene e il suo discepolo Archelao) lha ricondotto ad una miriade di "semi": tutti
costoro sono ricorsi alle qualit e non alla materia, assumendo peraltro qualit fra loro

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contrastanti e autoelidentisi. Si tratta di spiegare il divenire universale delle cose, quale


era stato colto da Eraclito di Efeso. Lo Straniero individua come "capostipite della nostra
trib eleatica" Senofane di Colofone: in realt qui Platone ci sta suggerendo una
dipendenza pi concettuale che storica, accostando lunicit del Dio di cui parlava
Senofane allunicit dellessere quale veniva inteso da Parmenide. Dopo di che, lo
Straniero opera un raffronto tra le "muse ioniche" (Eraclito) e le "muse siciliane"
(Empedocle), asserendo che le prime sono pi intonate, mentre le seconde sono pi
rilassate (stoccata al fatto che Empedocle ha cercato, con una posizione compromissoria,
di dire che lessere uno e molteplice, tenuto insieme dallOdio e dallAmore, di contro
alla prospettiva di Eraclito, che ha invece concepito la realt come un arco teso, facendo
di essa unenorme armonia discordante). Lo Straniero, passate in rassegna con una
rapida carrellata le posizioni dei predecessori intorno al problema dellessere, comincia
ad esaminare egli stesso la problematica (sar questa la tipica procedura di cui si servir
Aristotele): lessere "il genere primo di tutte le cose", ci che le cose sono in quanto
sono; sbagliano i dualisti a riconoscere lessere in due princpi (il caldo e il freddo),
poich, cos facendo, come se parlassero di tre princpi (caldo, freddo ed essere) e non
di due; per non cadere in tale contraddizione, i dualisti si trovano costretti ad ammettere
che lessere si identifichi coi due contrari: ma se lessere il caldo, allora non il freddo,
il quale essendo contrario al caldo e, dunque allessere sar non-essere. I dualisti
possonoa ncora cercar riparo nellammisione che lessere sia somma di caldo e freddo,
ma allora lessere ancora una volta ricondotto a unit e non a dualit (a+b=c, ma c
uno!). Dimostrata linconsistenza della posizione dualista, siamo rimandati a quella
unitarista alla Parmenide: "lessere uno", proclamano gli unitaristi, ma la loro
posizione solleva non meno problematiche di quella dualista. Innanzitutto: se lessere
uno, come fa ad avere due nomi (essere e uno)? Pu una cosa avere due nomi? In questo
modo, Platone si sta riallacciando alle tematiche ampiamente discusse nel Cratilo, ove si
sosteneva che il nome non n totalmente diverso dalla cosa nominata n ad essa
identico, altrimenti sarebbe un doppio della cosa stessa. Nel I libro della Metafisica,
Aristotele sar molto pi stringato nellaffrontare la questione degli unitaristi:
ricondurre lessere allunit equivale a non voler spiegare la natura e il divenire
incessante che la caratterizza, facendo ricerche di tuttaltro genere. Quando poi gli
unitaristi asseriscono che lessere un tutto prosegue lo Straniero di Elea -, che cosa
intendono esattamente? Gi Parmenide ricorreva alla sfera come immagine dellessere:
ma essa obietta lo Straniero costituita da parti e, per ci, sar s un uno, ma non
luno. Accanto a questa contesa che per protagonisti vede i dualisti contrapposti agli
unitaristi,
ve
n
unaltra,
molto
pi
aspra,
unautentica
(espressione di cui si ricorder Heidegger in apertura
di Essere e Tempo): questa lotta titanica senza esclusione di colpi viene combattuta tra i
materialisti (sostenitori che lessere la materia) e gli idealisti (per i quali lessere si
identifica col platonico mondo delle idee). I primi "uomini terribili" - vengono
paragonati ai Titani che cercano di salire alle vette dellOlimpo per usurpare il regno agli
dei, trascinando ogni cosa dal cielo alla terra, mentre i secondi paragonati agli dei
combattono dalle invisibili regioni del mondo intelligibile delle idee e son detti
("amici delle idee"); essi cercano di innalzare tutte le cose verso il
cielo, in antitesi alloperare dei materialisti. I primi credono nellesistenza soltanto di ci
che stringono fra le mani, ovvero ci che offre resistenza al contatto; i secondi sostengono
invece che la vera realt data dallincorporeo e dallinvisibile, forme meramente
intelligibili; la realt dei primi massicciamente compatta; quella dei secondi
evanescente. Ora, sarebbe plausibile aspettarsi che Platone dietro la maschera dello
Straniero parteggi per gli idealisti, rispecchianti in buona parte le sue stesse posizioni:
eppure non cos; pur mantenendo una posizione pi aperta verso di essi, egli non si
esime dal criticarli aspramente per una sfilza di motivi che presto prenderemo in esame.
Anche se la discussione coi materialisti si prospetta assai pi difficile, in quanto essi
rivelano una natura a tal punto testarda e avversa al dialogo da far credere che quella
materia che - a loro dire il vero essere, abbia intasato le loro menti; lunica soluzione
per intavolare un dialogo sar allora quella di far finta che essi siano presenti e ben
disposti. Per cercare di farli ragionare, lo Straniero pone loro una domanda: esiste o non
esiste qualcosa che chiamiamo "vivente mortale"? Dopo che essi hanno risposto
affermativamente, lo Straniero incalza: ci dovr allora essere almeno una cosa
incorporea, lanima, che non oppone resistenza; che essa esista provato dal fatto che
tutti quanti ne parliamo. Allo stesso modo, tutti quanti parliamo delle virt (il coraggio,
la giustizia, il valore, ecc), sicch esse esistono: ma potremo forse addivenire alla

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conclusione che la giustizia, in quanto esistente, sia qualcosa di materiale? Da ci segue


che anche lincorporeo deve avere una sua esistenza, alla pari del corporeo (e forse anche
di pi): reale sar allora ci che comunque, piccolo o grande che sia, pu ()
compiere o subire una qualche azione. In questa maniera, lessere ricondotto alla
possibilit (), in quanto esiste tutto ci che ha la di compiere e/o subire
azioni ("gli enti non sono altro che possibilit"). Data questa definizione, si potr con
certezza asserire che esistono anche oltre alle entit materiali in grado di agire entit
immateriali (le idee) che subiscono lazione di essere conosciute. Sul versante opposto a
quello dei materialisti, gli idealisti distinguono e separano ci che corpo da ci che non
lo : se corpo ci che muta senza posa, sottoposto a quel fluire incessante riconosciuto
da Eraclito e da Cratilo (), incorporeo , al contrario, ci che stabilmente se
stesso. Ma che rapporto sussiste, allora, tra il reale e lideale? Tra il corporeo e
lincorporeo? Nel Parmenide la questione rimaneva irrisolta, e anzi non faceva altro che
creare nuove difficolt: noi esseri umani anfibi tra il corporeo e lincorporeo col
corpo partecipiamo del divenire, con lanima dellimmutabile; e, propriamente (concetto
su cui Platone non si stanca mai di insistere nei suoi scritti), si pu avere reale
conoscenza solamente di ci che non soggetto al mutamento, ovvero la vera conoscenza
sar quella delle idee. Esse, nella misura in cui possono subire lazione di essere
conosciute, sono: anche le idee, e non solo i corpi, sono. Ma a questo punto Platone
conduce una severa critica ai danni degli idealisti: pur avendo essi il merito di non
arrestarsi al corporeo, cadono in errore nella misura in cui ritengono che ci che
veramente non possa che essere assolutamente immobile, al pari di venerande statue
immobili e incapaci di agire. E del tutto errato, prosegue Platone, illudersi che le idee
siano immobili e statiche: in questo modo, Platone sta conducendo una critica a se stesso,
in particolare alle posizioni maturate ai tempi del Fedone, quandegli aveva scorto nel
mondo delle idee un mondo assolutamente stabile e immobile e, perci, pienamente
conoscibile. Ora, egli riconosce che le idee il vero essere devono avere vita,
movimento e intelligenza; in particolare, il vero essere deve essere animato ().
Ma gli "amici delle idee" non vogliono accettare la definizione dellessere come ,
giacch essa sostengono pu al massimo riguardare il mondo sensibile: dal canto loro,
le idee sono del tutto sottratte alla possibilit di mutare, cosicch tra il mondo
iperuranico e quello materiale sussiste una dicotomia assoluta, tale per cui non vi
alcuna comunicabilit tra i due: tra il primo, fermamente stabile e immutabile, e il
secondo, costantemente cangiante, non pu esservi alcuna (combinazione),
sicch essi si trovano a essere sganciati tra loro, senza alcun punto di contatto. Ma
Platone, contrariamente a quanto sosteneva ai tempi del Fedone, si propone qui di farli
entrare in contatto, pur conservando la loro indiscussa eterogeneit: col corpo
partecipiamo del sensibile, con l'anima dell'intelligibile; ma come dobbiamo intendere
tale partecipazione? Non forse tale partecipare una forma di agire e di subire? La
conoscenza stessa non si configura forse come un agire/subire, per cui lessere subisce
lazione di venir conosciuto dallanima? Per questa strada gli "amici delle idee" sono
sconfessati: lessere subisce azioni ( conosciuto), e lanima le compie (conosce); ma,
subendo e compiendo azioni, lessere non pu non essere in movimento; e, se in
movimento, allora anche vivo e animato, nonch intelligente. Proprio qui sta la
rivoluzione apportata dal Sofista al sistema platonico: il mondo delle idee, da immutabile
e fisso che era, diventa ora vivace, mobile e intelligente. Ma dove vi moto devesserci
anche quiete, poich senza di essa non potrebbe esserci alcuna forma di moto (come
senza male non potrebbe esservi alcun bene): se ci fosse solo movimento, non si
attuerebbe alcun processo; e, del resto, se vi fosse solo quiete, nulla si muoverebbe n
potrebbe esserci intelligenza. A questo punto, abbiamo identificato tre generi
fondamentali: lessere, il moto e la quiete; ma ecco che ci si para dinanzi una nuova
difficolt: moto e quiete sono tra loro opposti, ma noi abbiam detto che ugualmente sono
(la quiete , il moto ). E, dicendo ci, non asseriamo forse qualcosa di contraddittorio,
essendo essi opposti? O sono equivalenti? Se il moto e la quiete , allora moto e quiete si
identificano? Lunica soluzione risiede nellaffermare che lessere sia un terzo elemento,
diverso sia dalla quiete sia dal moto. E come si pu risolvere, in tal contesto, il problema
della predicazione? Come sono attribuibili molteplici propriet ad un unico soggetto (A
B, C, D, E, ecc)? Predicando, dico che qualcosa che (A), al contempo altre cose
rispetto a s (B, C, D, E, ). Non pu trattarsi di mera identit, senn ci sarebbe una
duplicazione: ma come possiamo allora dire che luomo buono, brutto, grasso, alto,
ecc? Antistene aveva risolto la questione ricorrendo allespediente del "giudizio
identico", in virt del quale ogni cosa ha solo il proprio nome ("uomo uomo", "gatto

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gatto", "bello bello", ecc): ma davvero una soluzione soddisfacente quella di


Antistene? Essa non pu in alcun modo render conto del fatto che il genere del moto
entri in contatto col suo opposto, il genere della quiete. Le alternative possibili per
spiegare la tra i due sono tre: a) tutto si unisce con tutto, ovvero tutti i termini
si combinano indistintamente fra loro; b) niente si combina con niente; c) solo in certi
casi possibile la combinazione. Nel secondo caso "niente si combina con niente" -,
quiete e moto non potrebbero partecipare dellessere: dunque non sono; a livello logico
diventa allora impossibile perfino parlare (giacch parlare equivale a combinare insieme
parole). Nel primo caso "tutto si unisce con tutto" (sostenuto dai mobilisti), moto e
quiete finirebbero per unirsi: il moto starebbe fermo e la quiete si metterebbe a correre.
Escluse le prime due possibilit, non resta che riconoscere la validit della terza: la
combinazione possibile solamente in certi casi. E sapere in quali casi e secondo quali
modalit operare tali combinazioni richiede necessariamente il possesso di una ,
come il dare i nomi nel Cratilo: in particolare, spetta al dialettico la perizia e labilit nel
saper combinare i generi fondamentali. Ma la dialettica qui in questione non pi quella
della Repubblica, incentrata sulla formulazione di ipotesi di spiegazione da sottoporre a
verifica; anche il dialettico del Sofista opera solo su idee, ma secondo modalit assai
differenti rispetto a quello della Repubblica: operando sulle idee, egli opera sul vero
essere (di contro al sofista, che invece lavora sul non-essere, sulla mera apparenza), in
particolare egli sa dividere () per generi, senza scambiare un genere per un
altro. La dialettica sar allora il dividere per generi ideali, sapendo tagliare al pari del
buon macellaio, secondo limmagine del Fedro finch possibile, fermandosi quando si
arrivati al termine del processo. Ma le cose sensibili, in quanto imitanti seppur
opacamente - quelle intelligibili, presentano in certo senso la medesima struttura, su di
esse si riverbera la stessa costituzione, cosicch, conoscendo i generi ideali e le loro
possibili combinazioni, il dialettico conoscer lessenza stessa della realt sensibile: ecco
che Platone ha trovato il punto di incontro tra i due mondi, intelligibile e sensibile. A
partire dai generi ideali, infatti, il dialettico arriva a definire le cose sensibili: ed cos
che posso definire il pescare con la lenza facendolo rientrare nei generi, operando
costantemente rinvii tra reale e ideale. Procedendo nella , si raggiunge
l, ovvero "lidea non ulteriormente divisibile" e, con ci, si giunti alla
definizione della cosa in questione: vista unidea, il dialettico la sa seguire in tutte le sue
articolazioni, scorgendo tutto ci che essa contiene. Ne segue, allora, che lufficio del
filosofo di occuparsi dellessere, mentre il sofista si rintanato nel buio del non-essere:
sia il filosofo sia il sofista risultano per difficili da cogliere, giacch il primo troppo in
luce (nellabbagliante regione dellessere), il secondo al buio completo del non-essere. Il
rapporto dialettico viene cos a configurarsi come un rapporto uno/molti: ora molte idee
si congiungono in unit, ora tale unit si fraziona in un molteplice di idee ricomprese al
proprio interno. E spetta al dialettico ora riunire ci che diviso, ora dividere ci che
unito, stabilendo relazioni di insiemi. E la possibilit di stabilire tali relazioni tra idee
non fa che creare la stessa trama della realt, di cui a fondamento, giacch le idee sono
il principio della realt: sicch la comunione dei generi finora posta fonda la possibilit
di comprendere la realt e di predicarla nei discorsi. Nel Sofista, in realt, non si parla
del rapporto idee/cose, ma si dice che nella misura in cui vi comunione tra generi si pu
spiegare la realt in modo veritiero: proprio la possibilit di stabilire relazioni tra i
generi sommi il punto che divide gli "amici delle idee" da Platone; ammettendo tali
relazioni, infatti, si ammette anche, di conseguenza, il movimento tra le specie ideali,
senza pi considerarle come statue immobili. Finora lo Straniero di Elea ha identificato
tre "generi ideali" (essere, moto e quiete), precisando che lessere non un genere dotato
di statuto privilegiato (pur essendo lidea pi semplice in assoluto). Sia il moto sia la
quiete sono: dunque comunicano con l'essere, pur essendo fra loro opposti. A ci lo
Straniero fa seguire lintroduzione di due altri generi a s stanti: lidentico e il diverso. In
questo modo, Platone scopre quello che Aristotele chiamer "principio di identit", per
cui A A e non non-A. A questo punto, da tre che erano, i generi ideali son passati a
cinque, irriducibili fra loro: ciascun genere identico a se stesso, ma non lidentico;
ciascun genere diverso dagli altri, ma non il diverso. Ecco qua che riaffiora il
problema del non-essere, ridotto ad "essere altro": ciascun genere non nessuno degli
altri quattro, nel senso che da essi diverso. Sicch la penna non il tavolo nel senso che
essa diversa dal tavolo. Cos il moto non quiete, ma al contempo (partecipa
dellessere): insieme e non ; cos il moto non lidentico, ma identico a s; e ancora il
moto non il diverso ma diverso dagli altri quattro generi. Ciascun ente, allora, una
volta (in quanto identico a s) e infinite altre volte non (per tutte le volte che diverso

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da tutti gli altri enti che sono): in questo modo il parricidio del venerando Parmenide
definitivamente consumato, in quanto lessere stesso non (non la quiete, non il moto,
non lidentico, non il diverso). Il non-essere in questione, ovviamente, non pi quello
assoluto, a cui si riferiva Parmenide: invece il non-essere come essere diverso; sicch il
non-essere viene ad essere un genere alla pari dellessere: essere e non-essere sono ora
diventati termini correlativi, per cui possibile pensare a ci che non (si pu pensare e
dire il falso, dunque si pu contraddire). Sbagliano clamorosamente, allora, gli amici
delle idee a sostenere che nulla si combina con nulla; ma sono altrettanto in errore quanti
sostengono che tutto si combina con tutto, poich altrimenti ci si troverebbe costretti ad
ammettere che la quiete il moto. Spetta appunto al dialettico operare le giuste
connessioni: la sua opera fallibile, giacch non potendosi combinare tutto con tutto n
nulla con nulla sempre in agguato lerrore, leventualit di dire il falso. Se nulla
comunicasse con nulla, allora non si potrebbe nemmeno parlare e sarebbe impossibile la
cosa pi preziosa di cui disponiamo: la filosofia. Se invece tutto si connettesse con tutto,
allora tutto sarebbe vero (come credeva Protagora di Abdera) e non si potrebbe mai
commettere alcun errore. Il discorso dallo Straniero definito come "connessione
reciproca tra idee", ovvero come traduzione sul piano linguistico della connessione tra
generi ideali. Ora si deve vedere come funzioni lapplicazione del diverso (il non essere) a
livello linguistico: in prima battuta lo Straniero si domanda se il non-essere si unisca
oppure no a qualche cosa o, in alteri termini, se al livello del discorso alcune cose
comunichino o meno con altre. Se ammettiamo che il non-essere non si unisca con
alcunch, allora ci troviamo costretti a riconoscere con Protagora, con Cratilo e con
Eraclito che tutto vero. Se, al contrario, ammettiamo che il non-essere possa unirsi
con le cose, allora potremo riconoscere la possibilit dellerrore e, in forza di ci,
potremo snidare il sofista cogliendone lessenza reale. In prima battuta, occorre chiarire
in che maniera il non-essere si applichi al discorso e in qual senso si possa parlare di
opinione, illusione, verit. Dopo aver definito il discorso come (intreccio) di
parole, dobbiamo dunque domandarci ora se tutte le parole, unite casualmente, diano un
discorso: combinando fra loro parole a caso, si avr sempre un discorso? E, in altre
parole, sempre e comunque possibile la combinazione delle parole? O lo solamente in
certi casi e secondo determinate modalit? Accanto ai nomi per, evidente, esistono
anche le azioni, espresse dalla combinazione di nomi e verbi (ci era nel Cratilo
rigorosamente dimostrato): appare fin da ora evidente che non si avr di certo un
discorso quando si attuer una di soli verbi ("corre corre") o di soli nomi
("uomo uomo"); viceversa, il discorso prender forma dalla combinazione di nomi e
verbi, formando in tal maniera una proposizione (del tipo "Teeteto seduto"). Il discorso
allora definibile s come , ma non casuale, bens come di nomi e
verbi: ed a questo punto che scatta il principio di non contraddizione, in virt del quale
quanto enunciato nella proposizione pu essere vero o falso, fermo restando che il
discorso sempre e in ogni caso discorso di qualcosa, mai di nulla (ci stato dimostrato
da Platone nel momento in cui egli ha posto il non-essere come essere diverso, cosicch
quandanche si pensa il non-essere si sta pensando qualcosa che ). Cos, quando dico che
"Teeteto seduto" sto enunciando un discorso che evidentemente di qualcosa (nella
fattispecie: di Teeteto), predico cio qualcosa relativamente ad un dato soggetto; eppure
dire "Teeteto seduto" ben differente dal dire "Teeteto vola": nel primo caso dico il
vero, nel secondo il falso. In questo senso, vero e falso possono essere definiti con una
definizione destinata a fare storia, ma rigettata da Heidegger - come la corrispondenza
attuata o mancata ad un reale stato di cose; tale concezione sar compendiata dagli
scolastici con lespressione veritas est adaequatio intellectus et rei. Vero sar il discorso
che asserisce le cose come sono, falso quello che le asserisce come non sono (ovvero
diversamente da come realmente sono). Emerge qui chiaramente come sia possibile dire
il non-essere, inteso naturalmente in senso non gi assoluto (come voleva Parmenide), ma
relativo: a quello assoluto, del resto, abbiamo dato l'addio da un pezzo, rileva lo
Straniero. Cos come possibile dire il falso, parimenti possibile avere pensieri,
opinioni, immagini false. In particolare, se pensiamo qualcosa falsamente, allora
pronunceremo quel qualcosa altrettanto falsamente: il pensiero (), infatti, altro non
se non un discorso () che lanima fa con se stessa senza ricorrere allemissione
della voce. Quando tal pensiero procede attraverso il flusso delle parole pronunciate
dalla bocca, allora si ha il discorso, come gi era stato messo in chiaro da Platone nel
Teeteto. Il discorso ha la caratteristica di affermare o di negare qualcosa: quando ci
avviene nellanima, si ha lopinione, nel senso che lanima stessa a negare o affermare;
nel caso in cui entri in gioco lelemento sensibile non si ha pi lopinione ma limmagine,

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come quando, vedendo una sagoma in lontananza, si afferma "quello Teeteto!". Nel
caso delle immagini, il falso pi in agguato che mai, giacch la sensazione il regno
dellillusione e dello smarrimento. Ma ci non toglie che sempre (anche a livello di
immaginazione) il vero e il falso dipendano, in ultima analisi, dai generi ideali, in quanto
esso altro non se non il frutto della loro unione, cosicch dire il falso non che attuare
una falsa combinazione di generi ideali. Ed a questo punto, dopo questampia
digressione sui generi ideali e sul non-essere, che Platone si richiama direttamente alla
sesta definizione del sofista, quella che lo definiva come imitatore: come si ricorder,
lintera digressione era per lappunto nata a proposito dellimmagine come qualcosa che
e, insieme, non . Si partiva dallarte anti-logica (il contraddire) e si mostrava come il
sofista fosse abile a contraddire su qualsiasi argomento e ad insegnare ai suoi discepoli
ad agire in tal maniera, di fronte ad un uditorio di incompetenti a cui risultare sapienti
senza esserlo. La figura del sofista si stagliava appunto allorizzonte come figura di un
individuo che non sa ma che d limmagine di sapere: ma larte mimetica si divide in a)
icastica, consistente in una fedele riproduzione della cosa copiata; b) fantastica,
consistente in una mera illusione, pura parvenza. La discussione si era proprio arenata
dinanzi alla domanda: il sofista un imitatore secondo larte icastica o secondo quella
fantastica? Il problema ora ripreso e, finalmente, risolto: per il sofista (pensiamo a
Protagora) tutto vero e, di conseguenza, anche le immagini lo sono. Ma noi abbiamo
test rilevato comesse possano anche essere false, nel caso propongano le cose come non
sono, anche qualora si presentino sotto lapparenza del vero. Impiegando il
procedimento diairetico, possiamo affermare che creare immagini unarte produttiva,
tramite la quale si presenta limmagine come verit. Ma larte produttiva, a propria
volta, si divide in arte produttiva divina e in arte produttiva umana: in particolare,
Platone asserisce (come fa anche nel Timeo e nel X libro delle Leggi) che la produzione
divina la causa del poter essere di cose che prima non erano; e ci vale non solo per le
cose, ma anche per le immagini delle cose. Nel Timeo egli si serve della mitica figura del
Demiurgo per esprimere il nascere delle cose, plasmate da questo fabbro divino che si
ispira alle idee eterne, imitandole; mentre nelle Leggi la forma mitologica cede il passo
ad una pi solida esposizione teoretica. Ora, nel Sofista, egli si domanda sempre per
bocca dello Straniero di Elea se il mondo quale ci appare debba essere inteso come
opera darte partorita dalla mente ingegnosa di una divinit o, piuttosto, come opera
della natura e del caso, quasi come se lordine meraviglioso in cui il cosmo disciplinato
si fosse predisposto spontaneamente, senza finalit alcuna. Teeteto rivela di aver spesso
oscillato tra queste due posizioni antitetiche, ma lo Straniero lo invita a non tentennare:
ritenere una cos perfetta creazione come frutto del caso da stolti. Allinterno del cosmo
generato da Dio, opera a propria volta luomo, producendo attraverso la sua
personale: la tecnica produttiva pu riguardare sia cose sia immagini, e ci vale tanto
per Dio quanto per l'uomo. Come cose Dio produce gli animali, gli alberi, le montagne,
ecc; luomo produce invece le scarpe, le imbarcazioni, i tavoli, ecc; come immagini,
invece, Dio produce le apparizioni oniriche, le ombre sul fuoco, ecc; luomo produce
invece immagini di oggetti (la casa dipinta, luomo scolpito nel marmo, ecc). Ci troviamo
dunque dinanzi non pi ad un bivio, bens ad una croce (immagini divine, immagini
umane, cose divine, cose umane):e il falso rientrer nellarte produttiva icastica o
fantastica? Senzombra di dubbio nella fantastica, la quale produce mere apparenze,
poich nellicastica si copiano le cose secondo verit. In questo senso, la sofistica come
imitazione sar definibile come arte produttiva umana di immagini imitanti in maniera
fantastica. Ma non basta. A sua volta larte fantastica divisibile in due sezioni: a) con
strumenti; b) senza strumenti. Esempio del primo tipo pu essere lo scultore che imita
servendosi di marmo e scalpello; esempio del secondo tipo invece limitatore che usa se
stesso come strumento (il mimo), presentandosi quale non . Nellimitare il sofista non si
avvale di strumento alcuno fuorch di se stesso e del proprio talento oratorio.
Limitazione senza strumenti pu ancora essere divisa in due livelli: a) limitazione di chi
agisce con cognizione di causa (sapendo ci che imita); b) limitazione di chi agisce senza
cognizione di causa (ignorando ci che imita). Diq uesto secondo genere per lappunto
chi si proclama giusto e virtuoso senza realmente esserlo, ovvero chi finge di essere tale
senza tuttavia sapere che cosa siano la giustizia e la virt, riscuotendo peraltro successo
presso chi a sua volta ignorante di che cosa siano la giustizia e la virt. Il sofista
dunque stanato: la sua non unimitazione (con cognizione di causa), bens
unimitazione senza cognizione di causa, unimitazione dossomimetica, ovvero imitante
per opinione (). Il sofista allora dossomimetico, imita per opinione,
senza reale conoscenza, provvisto di un finto sapere che per egli non esita a vendere

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come reale. A questo punto lo Straniero opera unulteriore divisione tra lingenuo e
lironico: chi ha solamente opinione di sapere, ma si illude di essere davvero sapiente,
ingenuo, ovvero convinto di sapere ci di cui ha solo opinione; egli inganna gli altri senza
volerlo (e dunque non condannabile); chi invece dissimula, fingendo di essere sapiente
pur non essendolo e pur sapendo di non esserlo, ma ciononostante spaccia per vere le
proprie opinioni, questo lironico: ma lironico si divide ancora in due sezioni, a
seconda che svolga la propria attivit ingannatrice di fronte alle folle con lunghi discorsi
(in questo caso si ha il demagogo) oppure privatamente, con brevi discorsi capziosi,
dando sfoggio di vuota verbosit roboante con domande e risposte. In questo caso si ha il
sofista, ironico in privato e per soldi. Egli dunque un dossomimetico ironico producente
contraddizioni simulando e opinando, generando in ambito umano immagini illusorie
non corrispondenti al vero. Egli, in quanto imitatore imbroglione e ciarlatano, lesatta
contraffazione del filosofo ed lalter ego del demagogo: anzi, a rigore il sofista pi
pericoloso, giacch esercita la sua azione in maniera capillare, facendo contraddire con
domande e risposte in una dialettica serratissima. Anche lattivit di Socrate, vero, si
svolgeva attraverso la prassi delle domande e delle risposte, ma con la differenza che egli
metteva in gioco anche le proprie convinzioni e agiva in vista del bene: il sofista invece,
lungi dal volere il bene della e di chi vi abita, mira esclusivamente al guadagno
personale, rovesciando con la parola la tavola dei valori.

Politico

Platone voleva scrivere una trilogia : 1) il sofista 2) il politico 3)il filosofo : il primo l'ha
effettivamente ralizzato , il secondo l'ha iniziato ma non l'ha finito ed il terzo non l'ha
mai neppure cominciato.Analizziamo ora il "Politico" : l'opera si intitola il "Politico" e
non "la politica" (come si chiamer invece l'opera di Aristotele ) perch Platone era
convinto che per avere uno stato perfetto occorresse che fosse governato da uomini
politici perfetti.Ma chi il vero uomo politico ? Platone parte dallo scartare la
definizione omerica "il re pastore di uomini" perch implica una superiorit di razza
da parte del politico e ci lo si poteva accettare solo se si torna all'epoca mitica in cui gli
dei governavano gli uomini.Cos come nel "Sofista" (in cui il tema centrale era la
possibilit di dire il falso , il non essere) , anche nel "Politico" la definizione del
personaggio passa in secondo piano e risulta scherzosa.Cos come nel "Sofista" , per
definire si serve della "diairesis" : quella del politico una tecnica analoga a quella del
tessitore che intreccia fibre di carattere diverso:intreccia trama e ordito.Ancora oggi si
suole usare l'espressione "tessuto sociale" per indicare che le funzioni si intrecciano .
Nell'intrecciare i tessuti , ci sono caratteri pi solidi ( coraggiosi, nella politica) ed altri
pi raffinati (intelligenti , nella politica) : il politico deve sapere la misura per mescolare
bene i diversi "strati" sociali.Ben emerge come Platone sia pi rigido e meno sciolto
(soprattutto nello stile) rispetto a quanto lo era in giovent.Egli arriva ad affermare che
nello stato perfetto non ci sarebbe bisogno delle leggi perch esse sono quasi un "male
necessario" che si introducono in assenza dell'uomo politico perfetto.Infatti la legge per
quanto cerchi di cogliere le sfumature non ci riesce mai totalmente e non mai
assolutamente giusta : la legge dice di non rubare e di punire chi ruba con determinate
pene : ma non dice , per esempio , di punire chi ruba due libri ed un quaderno con due
mesi di carcere.Se ci fossero politici perfetti deciderebbero quale pena applicare in ogni
determinato caso.Come il medico riesce a vedere in ogni frangente la cura da
amministrare al paziente , cos il politico , per Platone , deve prendere le decisioni senza
essere vincolato dalle leggi.Ma nella realt , dove impossibile per definizione essere
perfetti ,Platone dice che le leggi sono necessarie : esse sono necessarie perch vero che
danno norme universali e non sempre giuste in tutti i casi , ma comunque in questo
vincolare danno delle regole alle quali attenersi.Seguendole non si otterr un risultato
perfetto (che si otterrebbe invece seguendo il politico perfetto) , ma comunque buono.
Platone crea poi nel "Politico" una nuova gerarchia dei governi : al vertice mette sempre
il suo stato ideale ma subito dopo si trovano i governanti che regnano secondo le
leggi.Negli ultimi posti ci sono i governi in cui si comanda senza leggi.

Filebo

Le ultime riflessioni di Platone sulla vita etica (quella del singolo individuo) e sulla vita
politica (quella dell'intera comunit) le troviamo nel "Filebo" e nel "Politico" : ci
troviamo di fronte ad un Platone pi scettico e che mette in discussione le sue stesse
teorie.Si pensa che questi due dialoghi risalgano all'esperienza siracusana con il
tiranno,ma c' anche chi del parere che questa "sfiducia" nelle sue dottrine sia dovuta
solo all'et ormai avanzata:Platone , ormai vecchio , non pi entusiasta come
quand'era giovane delle sue dottrine che erano nate per risolvere problemi , ma che in
realt ne avevano solo creati di nuovi.Probabilmente sono entrambe questi due fattori

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(l'esperienza con il tiranno e l'et avanzata) che fanno s che Platone sia cos scettico.Il
"Filebo" non un dialogo propriamente politico : viene posto l'interessante quesito : che
cos' la vita buona ? Dunque Platone riprende un tema tipicamente socratico ; si discute
ancora una volta (come gi nel "Gorgia" o nel "Fedone" ) se bene e piacere siano
identificabili : a differenza degli altri dialoghi in cui aveva affrontato questo problema ,
nel "Filebo" Platone assume posizioni pi moderate : anche qui nega l'identificazione ,
ma arriva tuttavia ad individuare diversi tipi di piacere , non necessariamente negativi :
non tutti i piaceri sono per forza accompagnati dal dolore . Ci sono anche piaceri
intellettuali (ad esempio la musica o quelle conoscenze che danno un senso di piacere)che
non sono cos strettamente legati al dolore: sono piaceri a dimensione positiva.In poche
parole quando ci sono sono un piacere , quando non ci sono sono un dolore.Secondo
Platone bisogna privilegiare e coltivare solo certi piaceri.Una vita buona non pu essere
priva di piaceri (cos avevamo anche detto a riguardo dell'anima : le passioni sono
fondamentali).Platone delinea cos la "vita mista" , basandosi sull'idea che la bont
consista in un equilibrio dato dalla mescolanza di elementi diversi che si mescolano
secondo misura : da notare che misura , 1 , numero etc. sono sinonimi per definire il bene
in s. La vita buona , per Platone , mescolanza di intelligenza e piacere : questa
mescolanza non casuale , ma ponderata : bisogna vedere attentamente in che misura
mescolare intelligenza e piacere.Per Platone l'intelligenza superiore al piacere e tender
sempre a prevalere per il semplice fatto che se si deve stabilire in che misura mescolare
piacere ed intelligenza , l'intelligenza stessa che ci indica la misura in cui
mescolare.Quindi ,di per s,l'intelligenza maggiormente presente nella vita buona.Se si
presta attenzione alla filosofia platonica , ci si accorge che ritorna spesso l'idea che la
spiegazione ultima di tutto riconducibile ad un sistema binomio,ad un duplice
principio.Prendiamo , ad esempio, la "Repubblica" e pi precisamente la tripartizione
della societ : le classi in realt sono due perch i difensori sono i futuri governanti . E' la
classe dei governanti che d l'equilibrio alla sua classe e a quella dei
produttori.Spostiamoci ora al "Fedro" e al mito della biga alata , metafora dell'anima :
c' un principio razionale (l'auriga : il fatto che sia uno solo sta a significare che la piena
razionalit nell'unicit) e due irrazionali (il cavallo bianco , che simboleggia la parte
arazionale , e quello nero , che emblema dell'irrazionalit : l'irrazionalit data da due
elementi , che simboleggiano la molteplicit):la ragione ordinata e unica , l'irrazionalit
molteplice : il fatto che sia data da due cavalli implica la possibilit di andare in due
direzioni diverse.Passiamo poi agli "agrafa dogma" (le dottrine non scritte) e al principio
bipolare uno-diade : un polo (quello dominante) l'unitariet , l'altro la
molteplicit.Nel caso della biga alata , emerge il fatto che con la misura si controlla ci
che illimitato : pensiamo ad un termometro ; le temperature sono pressoch infinite (in
realt non lo sono , ma facciamo conto che lo siano) e il termometro rende quindi definito
ci che indefinito. Tornando a concentrarci sul Filebo , in che cosa consister allora
questa felicit per l'uomo? La vita migliore per l'uomo consiste, secondo Platone, in una
miscela proporzionata di intelligenza e di piacere. Insomma, tutto ci che ha proporzione
e bellezza: ecco qual la vita buona per l'uomo. E con l'educazione l'uomo imparer a
distinguere quali sono i veri piaceri e quali sono le cose che danno la vera felicit. Platone
introduce poi , sempre nel Filebo , il concetto di "anima del mondo" : il mondo delle idee
abbiamo detto che movimentato , intelligente, vitale: il mondo sensibile , nella misura
in cui il Demiurgo lo plasma , non pu che essere simile a quello intellegibile : ha un'
anima sua .L'Universo un grande essere vivente permeato interamente da un'
anima.Tutto quindi vitale , sebbene in diverse misure.L'osso vivo perch fa parte di
un essere vivente , ma anche la pietra viva perch fa parte di questo grande essere
vivente (l'Universo).Platone insiste poi particolarmente sul finalismo ( il cavallo nato
per essere veloce , il cane per fare la guardia...) e sulla stretta parentela tra uomo e
animali (gli animali sono il frutto di incarnazioni infelici delle anime nell'aldil :
ricordiamoci del mito di Er ;di tutte le incarnazioni , Platone sostiene che la peggiore ,
dopo quella di donna e di animale , sia quella dei pesci). Platone quando osservava gli
astri in cielo affermava che erano vivi proprio perch fanno parte di quest'enorme anima
universale , e diceva anche che erano intelligenti , perch compiono movimenti troppo
perfetti per avvenire a caso .

Timeo

Nell'ambito dei dialoghi composti in et avanzata troviamo il "Timeo" , che ha in


comune con tutti gli altri dialoghi della vecchiaia il fatto che si facciano vedere le idee in
una dimensione pi dinamica e si evidenzino i rapporti che intercorrono tra le idee stesse
(il "Sofista" ) e tra idee e cose (il "Parmenide" ) , per rispetto alle altre opere platoniche

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si differenzia nettamente perch , dopo il prologo dialogato , il grosso dello scritto risulta
essere un discorso dottrinario messo in bocca a Timeo ( che d il nome all' opera ) . Nel
"Timeo" si parla in modo particolare del rapporto idee-cose e Platone si occupa del
mondo fisico a tal punto che non sbagliato definire il "Timeo" libro fisico (da "fusis",
natura). Infatti Platone non si era ancora praticamente occupato del mondo sensibile se
non per affermare che una pallida copia del mondo delle idee e per evidenziare la sua
inferiorit rispetto al mondo intellegibile . Dato che era un argomento meno importante
e che il "filosofo" si muove tra le idee , Platone dedic solo un' opera al mondo sensibile,
che ci viene presentato come "il mondo in cui si muove l'uomo".Il "Timeo" ci viene da
Platone presentato come continuazione della "Repubblica" : come se dopo aver parlato
dello stato ideale , Platone si cimentasse a descrivesse il mondo fisico in cui lo stato deve
operare.Va poi ricordato che il "Timeo" e il "Crizia" sono i dialoghi del mito di
Atlantide , citt nemica della Atene preistorica che era vista come realizzazione dello
stato ideale:chiaramente Atene collocata in un tempo senza tempo, vista come citt
mitica.Questo mito tutto platonico serve a far conoscere qualcosa che non pienamente
coglibile con il raziocinio (le idee sono l'essere pieno e quindi effettivamente conoscibili
con la ragione : il mondo sensibile in continua mutazione e di conseguenza non un
essere pieno e non pu essere conosciuto con la ragione;cos era anche per il mito della
caverna in cui si parlava del bene in s,che era al di sopra delle idee e quindi non era
pienamente conoscibile con la ragione).Questo mito verosimile viene presentato in un
contesto pitagorico (il protagonista,Timeo, di Locri , nell'attuale Calabria;non si sa per
se codesto Timeo sia realmente esistito o sia un' invenzione platonica come molti
sofisti;fatto sta che Timeo rappresenta il "pitagorico" )e presenta una cosmogonia (come
nato il mondo) e una cosmologia (come fatto il mondo) ; tuttavia egli non il solo
protagonista del dialogo : accanto a lui infatti troviamo Socrate , Crizia ed
Ermocrate . .Descrivendo la nascita del mondo Platone si serve di una metafora
(ricordiamoci che stiamo parlando di una "opinione vera") biologica : il mondo in cui
viviamo ha un padre e una madre : il padre il mondo delle idee mentre la madre la
materia (notare che la parola materia deriva dal latino "mater" = madre).Secondo
Platone il padre fornisce la forma mentre la madre la materia ( a quei tempi si dava per
scontato che l'aspetto pi nobile della riproduzione fosse paterno,mentre l'aspetto
materno era ritenuto inferiore sebbene essenziale).Dunque ci sono questi due elementi , il
padre (ricordiamoci che la forma del mondo sensibile deriva,nella misura in cui ne
compartecipa, da quella del mondo intellegibile) e la madre (Platone per definirla non
usa la parola materia,in greco "ule",che verr poi introdotta da Aristotele ,ma
"concausa",per il fatto che la madre ha un ruolo secondario rispetto al padre,o "causa
necessaria", per il fatto che la materia la condizione per la realizzazione di qualcosa:c'
s il cavallo ideale , ma senza materia con cui plasmare non si pu fare nulla).Tuttavia
chiama la madre anche "ricettacolo delle forme" per il fatto che la materia il luogo in
cui vengono ricevute le forme , e "spazio" (in greco "kora" = regione , ma con valore
astratto = spazio ) : la parola "kora" d proprio l'idea dell'estensione pura,senza alcuna
forma (il che comporta il fatto che pu assumerle tutte).Sappiamo che le idee sono fuori
dal tempo e dallo spazio : quando un'idea compartecipata dal mondo sensibile si cala
nello spazio.Tutto il "Timeo" incentrato sulla necessit di spiegare il mondo fisico e la
sua compartecipazione alle idee:le idee sono perfette , le cose no:da un lato si predica il
bene (le cose tendono alla perfezione ideale)dall'altro il male (non riescono ad imitare
perfettamente): si crea cos una sorta di ambiguit;si pu accettare la frase non platonica
"viviamo nel migliore dei mondi possibili" in quanto il nostro mondo si avvicina pi che
pu a quello intellegibile.Finora per quel che riguarda l'imperfezione del mondo
sensibile ce l'eravamo cavata dicendo che un'imitazione , per definizione , non mai
perfetta:ma perch il mondo non sar mai perfetto ? Qual l'ostacolo ? Platone era del
parere che il nostro fosse un mondo buono,ma tuttavia era consapevole della sua
imperfezione . Alla domanda che ci siamo appena posti Platone rispose cos : per lui ci
che impedisce al mondo sensibile di essere perfetto la materia;perch il mondo
empirico si realizzi e si plasmi occorre che si realizzi in qualcosa privo di forma : come
un metallo che deve essere lavorato : se avesse gi una sua forma immutabile non lo si
potrebbe lavorare.Quindi la caratteristica della materia non avere
caratteristiche.Platone dice che il ragionamento che ci porta a conoscere la materia
"bastardo",impuro , scorretto perch se ad esempio guardiamo un cavallo , in realt
conosciamo l'idea : la materia la conosco come ci che non idea:si arriva alla
conclusione in modo negativo perch il ragionamento coglie solo una caratteristica : la
materia non ha forma.Non potrebbe essere "ricettacolo delle forme" se avesse una forma

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definita ( come la cera sulla quale si deve attaccare un sigillo:deve essere molle e senza
forma per poter cos prendere quella del sigillo).Se affermiamo che la materia per
ricevere le forme non deve avere forme cogliamo simultaneamente un aspetto positivo e
uno negativo : di fondamentale importanza ma soffrir sempre di una
deficienza.Consente alla materia di avere forme,ma le ricever sempre imperfettamente
perch priva di forme , disordinata : le si dar una forma , ma manterr sempre una
componente priva di forma: proprio questa componente a rendere il mondo sensibile
imperfetto.Quindi la materia contemporaneamente un aiuto perch fa calare le idee nel
mondo sensibile ed un ostacolo perch , per inclinazione naturale , mantiene una
componente di disordine . Tra gli "agrafa dogmata" (le dottrine non scritte) di Platone
troviamo la diade indefinita , alla quale abbiamo gi accennato . Platone all'ultima fase
della sua riflessione e risulta particolarmente influenzato dai pitagorici ;al vertice della
realt si trova il principio bipolare,in cui vi sono due poli come in un magnete:e come un
magnete esiste solo quando ci sono un polo negativo e uno positivo che risultano essere
indivisibili.L'uno il vertice unitario , il due quello molteplice , diade indeterminata del
piccolo e del grande.Platone ha spiegato che in fondo il mondo uno , di parvenza
molteplice:non una dispersione di cose.Ma perch , pur essendo uno , pare essere
molteplice ? Come mai l'uno si moltiplica ? Vi sono due risposte : a) c' di mezzo la
materia , che genera scompiglio ed indeterminatezza , b) c' la diade , che genera
indeterminazione : se si ha della materia alla quale dare una forma , la forma stessa
determina che essa sia nei suoi limiti , n pi grande n pi piccola di ci che : piccolo e
grande sono una coppia di concetti simmetrici e polari , entrambe indeterminati (c'
sempre qualcosa di pi grande e qualcosa di pi piccolo) : ricorda molto il gioco del
limite e dell'illimitato dei pitagorici.La parziale differenza che pi che essere due
principi , sono un principio solo bipolare , altrimenti se il mondo si moltiplicasse
significherebbe che i due principi (uno-diade) devono essere impliciti nella realt.Nel
principio che genera il mondo (l'uno) ci deve anche essere la diade : l'uno non rimane
uno (come invece era per Parmenide) , ma presentando aspetti molteplici scende di
livello : parte dal bene in s,passa alle idee e poi si cala al mondo sensibile.se vogliamo,la
materia rappresenta il male in quanto elemento di disordine della realt.Pare quindi
che il male stesso sia parte del principio ; in verit c' il principio da cui si origina il male
, ma il male di per s all'inizio non c' : la diade indeterminata sta a significare che l'uno
(il bene in s) non rimane unitario , ma si cala nelle idee (che sono tante) prima e nel
mondo sensibile poi.E' come se la potenziale negativit della materia si manifestasse
gradualmente : quando nell'uno non la si vede neppure , ben inserita e quasi
identificabile con lo stesso uno.Nel mondo delle idee , invece , non si ancora manifestata
come male, ma solo come molteplicit (le idee sono tante , ma ordinate ).Nel mondo
sensibile le cose sono molteplici (e si sono moltiplicate in modo indefinito : mentre l'idea
di cavallo una , i cavalli sono tantissimi , un numero quasi infinito)e disordinate:la
componente di imperfezione presente in tutti i livelli , ma man mano che si scende
come se si "inspessisse" sempre di pi.Comunque tutto questo discorso rimane avvolto
da un' alone di mistero un p perch non sta scritto da nessuna parte ( nel " Timeo "
viene fatta qualche vaga allusione , ad esempio , quando si dice che la spiegazione della
generazione delle cose verr trattata con un discorso " non usuale " , che esula dalla
filosofia scritta e che di solito viene solo trattato oralmente ) , un p perch non
pienamente coglibile con la ragione . Dunque il mondo fisico deriva da un padre (il
mondo delle idee) e da una madre (la materia , che la condizione per l'esistenza del
mondo fisico stesso ma che mantiene comunque una componente di indeterminazione) :
ma cos' che fa da madiatore tra il mondo delle idee e la materia ? Cos' che fa s che le
idee si calino nel mondo sensibile ? Platone mette a questo punto in gioco la figura del
Demiurgo (dal Greco "demos" ,popolo, + "ergon" , opera, = artigiano).Il Demiurgo un
divino artigiano : colui che contemplando le idee plasma la materia sul modello delle
idee stesse.Platone introduce quindi una divinit a tutti gli effetti (fino ad adesso non ne
avevamo mai realmente incontrata una).Il concetto che l'artigiano guardi ad un modello
tipicamente platonico (e aristotelico): mentre gli artigiani umani guardano ad un
modello che hanno nella loro testa , il Demiurgo guarda ad un qualcosa che fuori da
lui:dato che le idee sono il bene per la loro categoria , anche il mondo sensibile dev'essere
per forza buono , sebbene indeterminato.Che rapporto intercorre tra le idee , la materia
ed il Demiurgo ? Tutti e tre sono coeterni , sono sempre esistiti.A differenza della divinit
cristiana , che crea il mondo, quella platonica si limita a plasmarlo e non onnipotente :
ha infatti due limiti : la materia , che gli impedisce di costruire un mondo perfetto , e le
idee , che sono il modello a cui deve per forza attenersi.Il Demiurgo guarda s al meglio ,

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ma il suo comportamento dato da qualcosa da lui esterno ed indipendente.Nel


Medioevo vi fu un grande dibattito teologico : le cose sono sante perch piacciono alla
divinit o piacciono alla divinit perch sono sante ? In altre parole : la divinit colei
che riconosce le cose buone e le sceglie , o colei che fa le cose buone ? Per Platone le
cose sono buone intrinsecamente e non perch c' chi decide che lo siano : il bene in s
il criterio per giudicare tutte le cose che possono essere buone; buono ci che partecipa
alla super-idea di bene , come bello ci che partecipa all'idea di bellezza.Le idee sono il
modello per gli uomini e per la divinit.Chiaramente la divinit vale di pi rispetto
all'uomo : essa riconosce facilmente il bene , mentre gli uomini hanno delle difficolt e
non sempre ci riescono.Vi fu chi arriv a dire che ci che giusto giusto perch l'ha
deciso la divinit.Chiaramente se Platone avesse avuto modo di prendere parte al
dibattito teologico medioevale , avrebbe affermato che le cose buone piacciono alla
divinit perch sono buone e non avrebbe potuto accettare l'idea che le cose sono buone
perch piacciono alla divinit. E' corretto affermare che la divinit per Platone il
Demiurgo solo entro certi limiti : se la divinit per definizione il principio supremo ,
allora la divinit platonica dovrebbe essere il bene in s.Se la divinit principio della
realt , evidente che non deve dipendere da nulla : ma il Demiurgo dipende dalla superidea del bene e dalle altre idee che costretto ad imitare : ne consegue che non
indipendente ma al contrario limitato.Il bene in s ,invece,abbiamo visto che illimitato
ed lui stesso il principio (bipolare) della realt.Il concetto di divinit nella tradizione
ebraico-cristiana attinge un p dal Demiurgo e un p dalla super-idea del bene.Non a
caso nel Medioevo il "Timeo" (che appunto il dialogo dove compare il Demiurgo) ,a
differenza degli altri dialoghi platonici, continu ad essere letto e non cadde in
disuso.Questo perch il "Timeo" l'opera platonica pi vicina al Cristianesimo : c'
l'idea della plasmazione , piuttosto vicina a quella della creazione : inoltre la divinit in
un certo momento crea il mondo (la divinit di Aristotele invece fa ben poco).Va poi
ricordato che il Demiurgo un dio-persona come quello dei Cristiani.Dietro a questo
amore cristiano per il "Timeo" , probabilmente c' un fraintendimento : le
interpretazioni del "Timeo" sono due e i Cristiani scelsero probabilmente quella
sbagliata.Se si legge il "Timeo" alla lettere si incontra questo "plasmatore" divino :
sembra che il mondo prima non ci sia e che ci sia solo la materia : si ha l'impressione che
ci sia un tempo prima e un tempo dopo . Ma Platone credeva in ci che diceva ? Se si
legge accuratamente il "Timeo" ci si accorge che Platone ad un certo punto si pone un
quesito : che cos' il tempo ? Il Demiurgo tra le varie cose plasma anche gli astri , il cui
movimento regolare si identifica con il tempo , anzi , si pu dire che per Platone gli astri
non sono altro che strumenti del tempo . Il tempo viene definito " immagine mobile
dell'eternit ": come il mondo sensibile imitazione di quello intellegibile (il primo
mutevole , il secondo eterno) , cos il tempo imitazione dell'eternit .Non a caso il tempo
viene identificato con il movimento circolare : se si vuole rappresentare l'eternit con
qualcosa di movimentato , senz'altro ci che meglio la rappresenta il cerchio , il
movimento circolare in cui si compie un giro per poi tornare al punto di partenza:infatti
il tempo caratterizzato dal non essere eternit ma tornare sempre su se stesso.La cosa
pi simile a ci che non si muove mai quella che torna sempre su stessa , cos come la
cosa pi simile che l'uomo possa fare per eternarsi il riprodursi ciclicamente.Dunque il
tempo la plasmazione dell'eternit ideale da parte del Demiurgo.La conseguenza che
non c' un tempo prima del mondo perch solo con la nascita del mondo sensibile che il
Demiurgo ha calato nella realt sensibile l'imitazione di eternit.Questa una visione
ben diversa da quella cristiana nella quale la divinit in un certo momento decise di
creare il mondo.Va poi ricordato che Platone stesso all'inizio del "Timeo" dice che si
tratta di un mito : di conseguenza i Cristiani hanno preso per vero qualcosa che Platone
stesso dice non essere vero , ma solo un'immagine che rappresenta la relazione tra
mondo intellegibile e materia.Quindi Platone non credeva assolutamente nella figura del
Demiurgo ed il suo vero dio resta il bene in s . Oltre ad esprimere la relazione tra idee e
materia , il mito del Demiurgo esprime anche il finalismo : Kant direbbe " come se" il
mondo fosse stato elaborato da un artigiano.Il mondo sensibile da sempre e per sempre
un' immagine temporale del mondo delle idee . Abbiamo citato gli astri : Platone quando
volgeva gli occhi al cielo non poteva che restare sbalordito dalla bellezza del cielo e dei
suoi astri , tant' che era arrivato alla conclusione che gli astri fossero non solo viventi ,
ma anche intelligenti , perch il loro moto era ai suoi occhi troppo preciso e ordinato per
essere frutto del caso . Platone nel " Timeo " si allontana un p dalla concezione dell' "
Iperuranio " presente nel " Fedro " e sostiene che gli astri siano le abitazioni delle anime
, le quali , una volta morto il corpo nel quale erano imprigionate , tornano a vivere

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ciascuna nell' astro a lei pi affine ; nel caso per abbia condotto una vita ingiusta sar
condannata a reincarnarsi in un corpo e questo processo andr avanti finch l' anima
non riuscir finalmente a vivere una vita giusta . A questo punto Platone coglie l'
occasione per illustrare minuziosamente la struttura del corpo umano e le sue funzioni
( vedendo il tutto , chiaramente , in una concezione finalistica ) : abbiamo le orecchie per
sentire , la voce per comunicare e la vista per vedere ; quest' ultima , poi , secondo
Platone , causa per l' uomo della pi grande utilit perch proprio grazie alla vista
che a suo avviso si pu ragionare : il ragionamento , infatti , incomincia sempre a partire
dall' osservazione di qualche fenomeno ( inoltre proprio grazie alla vista , come diceva
nelle opere della giovinezza , che cogliamo l' idea del bello , stimolo per sforzarsi a
scoprire l' intero mondo delle idee ) . Tornando al Demiurgo : egli comincia a plasmare
nella materia (che Platone chiama anche "spazio")e arriva a generare tutta la realt .
Platone dice che la prima cosa che si crea nello spazio sono 4 solidi geometrici
fondamentali : si tratta dei 4 solidi regolari (costituiti da facce uguali tra di loro).Platone
convinto che si possano ottenere tutti e 4 partendo da un triangolo rettangolo
isoscele:ricombinandolo si possono ottenere vari tipi di figure ( se ne creerebbero 5 , ma
Platone una la scarta).Essi sono il cubo , l'ottaedro , il tetraedro , l'icosaedro (quello che
scarta il dodecaedro). Questi 4 solidi stanno a rappresentare i 4 elementi fondamentali
di Empedocle (terra , acqua , aria , fuoco , che verranno poi anche ripresi da
Aristotele ) : ognuno dei 4 elementi di Platone costituito da parti minime (non
ulteriormente divisibili) e ciascuno caratterizzato da una forma : per Platone la terra
il cubo , che suggerisce l'idea di regolarit , materialit , stabilit e compattezza . Il fuoco
, per esempio, invece rappresentato dal tetraedro perch , dal momento che brucia ,
deve essere particolarmente spigoloso (il tetraedro il pi spigoloso) e la forma stessa
della fiamma simile a quella del tetraedro.Platone ancora una volta prende spunto
dalla filosofia dei suoi precedenti mescolando in questo caso Empedocle a Democrito (che
tra le varie cose riteneva che a stimolare i nostri sensi fossero le determinate forme degli
atomi)e ai Pitagorici (Timeo pitagorico e le forme degli elementi sono geometriche).Tra
l'altro ci possiamo anche riallacciare alla gerarchia dei livelli della realt : abbiamo detto
(con l'aiuto del grafico) che i numeri erano a met strada tra mondo sensibile e mondo
intellegibile ; qui vengono utilizzati come collegamento tra mondo ideale e materiale.Il
Demiurgo plasma quindi l' Universo ed il Sistema (non molto chiara la struttura
astronomica che attribuisce al Sistema : pare che Platone abbia superato la teoria
geocentrica ; non ammette il movimento di rivoluzione , ma sembra ammettere quello di
rotazione: la Terra che gira) . Quindi , ricapitolando , la causa dell' origine del mondo
per Platone il Bene e la bont del Demiurgo ( che plasma le cose per via della sua
benevolenza , senza costrizioni ) : il Demiurgo buono e da ci che buono non pu
nascere nulla che non sia buono ; il disordine che vi era in un primo tempo , quindi , il
Demiurgo lo trasform in ordine ( che appunto sinonimo di bene ) : Platone dice
testualmente : " Dio , volendo che tutte le cose fossero buone , e che nulla , nella misura
del possibile , fosse cattivo , prendendo quanto era visibile e che non stava in quiete , ma
si muoveva confusamente e disordinatamente , lo port dal disordine all' ordine ,
giudicando questo assolutamente migliore di quello " . Il Demiurgo , poi , diede
intelligenza a tutte le cose , perch tutto ci che dotato di intelligenza superiore a ci
che non lo : tuttavia impossibile che l' intelligenza si trovi in cose senz' anima ( le
pietre , per esempio ) , e cos il Demiurgo diede all' intero universo un' anima e non
quindi sbagliato dire che le pietre sono animate , in quanto facenti parte di questo
grande organismo vivente che chiamiamo " mondo " , che per Platone l' unico . Platone
introduce quindi il concetto di " anima del mondo " : il mondo delle idee abbiamo detto
che movimentato , intelligente, vitale: il mondo sensibile , nella misura in cui il
Demiurgo lo plasma , non pu che essere simile a quello intellegibile : ha un' anima
sua .L'Universo un grande essere vivente permeato interamente da un' anima.Tutto
quindi vitale , sebbene in diverse misure.L'osso vivo perch fa parte di un essere
vivente , ma anche la pietra viva perch fa parte di questo grande essere vivente
(l'Universo).Platone insiste poi particolarmente sul finalismo ( il cavallo nato per essere
veloce , il cane per fare la guardia...) e sulla stretta parentela tra uomo e animali (gli
animali sono il frutto di incarnazioni infelici delle anime nell'aldil : ricordiamoci del
mito di Er ; di tutte le incarnazioni , Platone sostiene che la peggiore , dopo quella di
donna e di animale , sia quella dei pesci ) . Da notare , per , che non che il Demiurgo
prima abbia creato l' universo e solo in un secondo tempo la sua anima : l' esatto
opposto . Prima di tutto ha creato l' anima , che essendo cos pi anziana pu facilmente
dominare il corpo del mondo perch evidente che chi anziano pu facilmente avere la

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meglio per virt ed esperienza su chi giovane ; Platone cerca anche di illustrare la
struttura di questa maxi-anima , sostenendo che essa composta da tre parti , l'
Identico , il Diverso e l' Essere : ogni cosa del mondo , infatti , ( esiste ) , identica a se
stessa , ma diversa da tutte le altre .

Crizia

Crizia era uno dei Trenta tiranni e per di pi parente di Platone ( era suo zio materno ) .
Egli esordisce dicendo che gli argomenti che sta per trattare sono pi complessi rispetto
a quelli trattati da Timeo , che aveva parlato del Demiurgo , il divino artigiano : infatti
pi facile parlare di divinit agli uomini ( come ha fatto Timeo ) che non di uomini agli
uomini ( come sta per fare Crizia ) : gli dei non sono mai stati visti cos non possibile
capire se uno sta dicendo il vero o il falso mentre parla di loro . E' come nella scultura :
di fronte al busto di un uomo tutti diventiamo critici severi per via della conoscenza
abituale che abbiamo degli uomini , se per si tratta di soggetti non umani , bens divini
pi difficile muovere critiche e si pi liberi nella rappresentazione . Crizia introduce
quindi il suo argomento : egli parler di due grandi citt che entrarono in conflitto tra
loro : Atene , l'attuae capitale della Grecia , e Atlantide , citt che per via di cataclismi si
inabiss e spar dalla faccia della Terra e diede il nome al Mar Atlantico . L'Atene
descritta da Crizia un' Atene fuori dal tempo , quasi mitologica . Gli dei patroni di
Atene , spiega Crizia , erano Efesto , il fabbro degli dei , e Atena , la dea della sapienza ,
che diede il nome alla citt . Gli dei pur abitando sulle vette del monte Olimpo , si
spartivano le terre tra di loro con un sorteggio effettuato da Giustizia ( la greca Dike ) .
Nelle terre che venivano loro assegnate svolgevano sugli uomini le stesse mansioni che i
pastori svolgono sulle greggi . Fatto sta che ad Atena e ad Efesto , forse perch erano
fratelli , forse perch nutrivano interessi affini ( il sapere , l'arte ) tocc la stessa terra .
In Atene vi erano diverse classi di cittadini , ciascuna delle quali svolgeva determinate
funzioni . Vi erano i guerrieri , i produttori , i governatori . La propriet privata non
esisteva : sembra quasi che Platone si ricolleghi a quanto dice nella Repubblica .Crizia si
sofferma sull'assetto urbanistico della citt di Atene , ed in particolare sul suo splendido
acropoli , diverso da quello dei suoi tempi , per poi passare alla descrizione di Atlantide .
Quest'isola con il sorteggio tocc a Poseidone , il dio del mare . Era un'isola molto ricca :
basti pensare che dal mare fino al centro dell'isola era tutta una pianura fertilissima . Vi
era poi nel mezzo un monte non altissimo , sulle cui vette abitava un uomo , di nome
Euenore , con la moglie Leucippe , dalla quale aveva avuto una figlia , Clito , che per
rimase orfana proprio quando era in et da marito . Poseidone , preso da compassione ,
giacque con lei . Quindi scav tutt'intorno all'altura sulla quale dimorava Clito
formando come dei cerchi concentrici , alternativamente di terra e di mare , ora pi
larghi , ora pi stretti . Cos il monte risultava inaccessibile agli uomini e Clito poteva
vivere tranquilla . Si era venuta a creare una vera e propria isola irraggiungibile ( dal
momento che allora non c'erano le navi e la tecnica della navigazione era sconosciuta ) .
Poseidone rese prosperosissima quella terra facendovi zampillare fonti e facendovi
crescere frutti di ogni qualit . Poi allev 5 coppie di gemelli e suddivise l'isola di
Atlantide in 10 parti , ciascuna delle quali venne affidata ad uno dei 10 figli . Il vero capo
era per il pi anziano dei fratelli , a cui Poseidone mise il nome dell'isola e lo chiam "
Atlante " . Il secondo lo chiam Gadiro . La progenie di Atlante fu numerosa e gloriosa
ed i successivi sovrani accumularono tantissime ricchezze ; l'isola di Atlantide era del
tutto autosufficiente , ma tuttavia non rinunciava alle importazioni . Abbondava di
metalli ed in particolare di oricalco , che era il secondo metallo pi prezioso dopo l'oro .
Poi costruirono dei ponti che mettevano in contatto l'isola con l'isolotto costruito da
Poseidone , che era divenuto sede dei sovrani . I dieci sovrani gareggiavano tra di loro in
magnificienza e sontuosit . Come ogni citt degna di rispetto c'era anche l'acropoli , al
centro del quale era situato il tempio sacro a Poseidone e a Clito , recintato da un muro
in oro . L'isola abbondava pure di fonti , sia fredde sia calde , pronte all'uso : gli abitanti
vi disposero attorno edifici , giardini e vi riempirono grandi e magnifiche vasche .
L'acqua defluiva poi verso il bosco sacro a Poseidone , che faceva crescere piante
rigogliose ed una natura lussurreggiante . Nelle cerchia pi esterne della citt c'era il
grande ippodromo , attorniato da edifici destinati all'alloggiamento del contingente dei
lancieri . Crizia parla poi del porto , un vero e proprio via vai di imbarcazioni e di genti
che venivano da ogni parte per commerciare . Numerosi erano i canali di irrigazione che
sorgevano nella pianura che andava dal mare fino al centro dell'isola e che la rendevano
fertilissima . L'isola di Atlantide aveva anche un suo esercito , formato dalle genti di tutta
l'isola . Dei diec re ciascuno disponeva a suo piacimento delle genti su cui regnava ; tra i

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vari sovrani c'era un patto di alleanza regolato dallo statuto di Poseidone . Proprio nel
tempio di Poseidone , sull'acropoli , si radunavano i 10 sovrani ogni 5 - 6 mesi per
prendere decisioni di interesse comune e per processare coloro che si erano mal
comportati . I processi venivano svolti dopo la celebrazione di un rito in cui
fondamentale era la presenza del toro . Tra le varie leggi senz'altro la pi importante era
quella che proibiva assolutamente ai sovrani di farsi guerra tra di loro : vi doveva essere
massima armonia e concordia e dovevano essere alleati e combattere insieme contro il
nemico comune . Sembrava un vero e proprio paradiso terrestre , ma improvvisamente
vi fu una degenerazione . Il che non piacque a Zeus , il padre degli dei , che volle punire
l'isola . In Crizia, dialogo mutilo, si narra il mito del misterioso continente Atlantide,
brevemente accennato nel Timeo e raccontato a Solone, avo di Crizia, dai sacerdoti
egiziani. Un'isola posta di fronte alle Colonne d'Ercole, collegata con numerose altre
isole, dava accesso a un grande continente, dove si sarebbe formata una grande potenza,
che fece guerra a tutti i popoli situati al di qua delle Colonne sotto la guida di Atena: la
guerra ebbe luogo "novemila anni or sono", e trascorsi numerosi secoli uno spaventoso
cataclisma distrusse l'isola, che fu inghiottita dal mare. In quest'isola si pu scorgere la
citt ideale della politia (repubblica) proiettata sulla nostra terra.

Leggi

Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo
ateniese e costituiscono la fase finale della sua lunga riflessione politica sullo stato.
impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita, ha sviluppato intorno
al problema della cronologia e dell'autenticit dell'opera, sicch in questa sede ci
limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale. Innanzitutto la data del 353
a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata
nel libro 1 (638b), appare come il termine di riferimento cronologico pi sicuro per
datare la composizione del dialogo. In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha
messo in luce alcune imperfezioni contenutistiche e stilistiche (frequenti ripetizioni e
omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare ad un'opera non pienamente compiuta,
ma forse ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione. Si pu allora concludere
che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche
anno dopo la composizione delle Leggi -, spett al segretario del maestro, Filippo di
Opunte, provvedere ad una sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonch
all'attuale divisione in dodici libri. Le Leggi dunque, come si appena detto,
rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma stato anche osservato
che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come
una specie di trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo. Ed
forse proprio in questa storicit delle Leggi che si scorge un elemento di rottura
rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato e delle
costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato
che sarebbe peraltro esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca
della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene coincidevano con le fondamenta dello
stato ideale), mentre l'intento delle Leggi quello di tradurre nella realt storica,
mediante l'attivit del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in
precedenza. Si spiegano cos l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle
costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche sui fallimenti dell'impero
persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese
(determinati da un eccesso di libert), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto
positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente l'intento "pratico" del dialogo al
termine del libro terzo, ricorrendo ad un semplice espediente: Clinia, uno dei personaggi
del dialogo, stato incaricato dalla citt di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene
migliori per una colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge
un appello ai suoi due interlocutori, ovvero quello di fondare "con la parola", il nuovo
stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovr ogni volta
adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese. I primi tre libri costituiscono
dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre con
la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda
giornata estiva. Tre vecchi prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin
dall'antichit con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano Megillo. L'Ateniese
propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da
Cnosso conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro
frescura permetteranno loro di sfuggire alla canicola estiva. La discussione entra subito
nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le consuetudini (l'uso dei

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pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della


conformazione geografica del luogo che aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore
dovrebbe legiferare soltanto in vista della guerra, dal momento che la condizione umana
si trova in uno stato di guerra permanente. Ma l'Ateniese non d'accordo con le
posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso
delle relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore
non deve legiferare solo in vista della guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le
virt della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza. Di qui sorge la critica verso
l'eccessiva severit delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti perch
legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si
caratterizzano anche per la loro eccessiva severit di costumi. L'Ateniese dimostra ad
esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un
fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei
simposi, cos come accade ad Atene, essa non affatto da respingere, ma, anzi, si rivela
utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente impudenti,
contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza
la virt del pudore. Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verr ripreso nel 7
L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica che ad essi connessa.
A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in genere non
possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perch fondano la loro arte sulla mimesi, e
quindi il loro giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata
soltanto in base al piacere che essa procura, ma anche in base ai fini educativi che in
grado di realizzare. Tenendo conto di questi princpi, il legislatore ordiner tre tipi di
cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello
degli uomini fra i trenta e i sessant'anni. Il terzo coro quello dei cantori che cantano in
onore di Dioniso: seguono cos alcune pagine in cui Platone si abbandona ad una
appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da
persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale. Nel
libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che
potremo definire storica: Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi
albori, quando un diluvio universale ciclicamente annientava uomini e cose. Ogni volta si
salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi pi alti, i quali per, come in una
sorta di et dell'oro, non avevano bisogno n di leggi n di legislatori, perch vivevano
nella concordia reciproca. In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e
presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per delimitare e separare una propriet
dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Segu la fase delle costituzioni delle
citt che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una
prima parentesi sull'analisi dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene:
l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere moderato hanno causato la rovina
di quegli stati. Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in esame i
mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto
Ciro, il giusto mezzo fra servit e libert, lo stato prosperava e dominava sugli altri
popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita all'accentuato dispotismo di
sovrani come Cambise, segn il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla
costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione
nel campo artistico che ben presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato
determinando la nascita dell'illegalit e della licenza. Conclusa dunque la lunga
introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verr
discussa dal libro 4 all'8. Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del
nuovo stato deve possedere: oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere
abbondanza di porti, bench convenga in ogni caso limitare il pi possibile i rapporti
commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran
quantit d'oro e d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della
costituzione, le varie forme di costituzioni storicamente esistenti (democrazia, oligarchia,
aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che difficilmente si
combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinit che
indicher i criteri di giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle
leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine dedicate all'esposizione del metodo con cui
verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto minacciose,
ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che
introduce alla legge vera e propria. All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal
carattere squisitamente etico: dopo gli di si deve onorare l'anima, e dopo l'anima il

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corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio,


e deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi
nel vivo della costituzione del nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione
delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno di diritto a questa
distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione
dello stato viene ripartita in dodici trib. La materia trattata nel libro 6 meramente
tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto vengono istituiti i
custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato.
Quindi si procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani.
Seguono le magistrature degli astinomi (per gli affari interni alla citt), degli agoranomi
(per quel che accade sull'agor), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per la custodia e
la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione,
uno per la musica ed un altro per la ginnastica. Ed proprio il libro 7 che riprende e
sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si
affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai
sei anni. Dodici donne, una per trib, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si
ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La questione si
sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria
tanto per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i
componimenti dei poeti. Fra le altre discipline che si devono apprendere vi sono la
matematica, la geometria, e l'astronomia. Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte
finale delle Leggi. Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e
proprio codice di leggi che siano in grado di rispondere alle esigenze pi diverse che
sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festivit del nuovo stato, e le varie
esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune
pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone
condanna esplicitamente l'omosessualit, pratica assai diffusa nel suo tempo, e fissa una
legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa in
rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attivit degli artigiani. Nel libro 9, dopo
l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del
male che si genera all'interno di una societ umana: viene ribadito in questo caso il
vecchio principio socratico secondo il quale nessuno compie il male volontariamente, ma
per ignoranza del bene. Ed proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira ed al piacere,
che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie
di omicidi - essi possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i
moventi possono essere l'ira, o la passione, o ancora la legittima difesa -, e analogamente
i casi di ferimenti e di violenze. Il libro 10 una lunga riflessione filosofica sull'ateismo
che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi: Platone condanna
fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli di non esistono, o esistono
ma non si prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano
corrompere con doni votivi. A questo proposito non soltanto si pu adeguatamente
dimostrare l'esistenza degli di attraverso l'esistenza dell'anima, ma si pu anche
affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati
commessi per empiet e per ateismo. Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in
gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini stipulano fra loro. La
materia assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i
liberti a quella che regola il commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei
testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi pi significativi. L'esposizione
del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste
leggi possiamo ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei
magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le normative sulle mallevadorie. Il dialogo
giunge cos alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese,
avverte l'esigenza di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga
esposizione, vale a dire quello di realizzare il complesso delle virt nello stato.
Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovr quindi essere in
grado di cogliere la ragion d'essere di ogni legge, e come la testa a capo del corpo, cos
un consiglio n otturno, supremo organo politico composto dai dieci pi anziani custodi
delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la
dialettica - dovr sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.

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