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Semantica, lessico e

pragmatica
Corso di Linguistica generale M-Z
A.A. 2023-24
Docente prof. Luisa Brucale
Semantica
• Semantica (dal greco semaino “significare”) ➝ livello di analisi della
linguistica che si occupa del piano del significato

• Il significato non è ‘visibile’, ed è il punto di sutura fra la lingua, la


mente e il mondo esterno.

• Lo studio del significato si situa all’incrocio di linguistica, filosofia,


psicologia e scienze cognitive, e ciascuna di queste aree disciplinari
affronta il problema del significato secondo sue impostazioni
peculiari.
Semantica
• La nozione di significato è estremamente difficile e problematica, anche solo dal
mero punto di vista della linguistica in senso stretto
• Due modi fondamentali di concepirlo:
1. concezione referenziale, o concettuale (ideazionale, denotazionale) del
significato: il significato è in questo caso visto come un concetto, un’immagine
mentale, un’idea o operazione creata dalla nostra mente, corrispondente a
qualcosa che esiste al di fuori della lingua
2. concezione operazionale, contestuale, del significato, secondo cui esso è funzione
dell’uso che si fa dei segni, vale a dire ciò che accomuna i contesti d’impiego di un
segno e ne permette l’uso appropriato; o anche, in maniera più descrittiva e
distribuzionalista, la totalità dei contesti in cui esso può comparire.
• Ciascuna delle due concezioni presenta problemi.
Definizione generale del significato
• In un senso molto generico e preliminare, potremmo comunque
accontentarci di definire il significato come ‘l’informazione veicolata da un
segno o elemento linguistico’.
• Questa è una definizione del significato molto ampia e vaga, che può
comprendere, e nascondere, cose assai eterogenee
• È importante stabilire subito alcune distinzioni fra tipi diversi di significato.
• Quali tipi di informazione possono veicolare i segni linguistici?
• Distinzione fra significato ‘denotativo’ (detto anche ‘concettuale’,
‘referenziale’, ecc.) e significato ‘connotativo’ (detto anche, con sfumature
un po’ diverse, ‘associativo’, ‘stilistico’, ‘espressivo’, ecc.)
Significato denotativo e connotativo
• Il significato denotativo (anche ‘denotazione) è quello inteso nel senso oggettivo, di
ciò che il segno descrive e rappresenta; corrisponde cioè al valore di identificazione di
un elemento della realtà esterna, un ‘referente’.
• Il significato connotativo (o ‘connotazione’) è invece il significato per così dire
indotto, soggettivo, connesso alle sensazioni suscitate da un segno e alle associazioni
a cui esso dà luogo e da queste inferibile; non ha valore di identificazione di referenti.
Esempio: gatto ha come significato denotativo “felino domestico di piccole
dimensioni ecc.”; e come significati connotativi “animale grazioso, furbo, pigro,
indipendente, che può graffiare ecc.”, nonché le eventuali sensazioni e valutazioni che
associamo a un gatto.
gatto, micio e felino domestico hanno uguale significato denotativo, ma connotazioni
diverse, essendo micio positivamente connotato in senso affettivo, e felino domestico
connotato come ‘neutro’.
Significato linguistico e sociale
• Il significato linguistico è il significato che un termine ha in quanto elemento di un
sistema linguistico codificante una rappresentazione mentale,
• Il significato sociale è il significato che un segno può avere in relazione ai rapporti
fra i parlanti, ciò che esso rappresenta in termini di dimensione sociale.
Esempio: Buongiorno ha come significato linguistico “(auguro una) buona giornata”
ma ha come significato sociale “riconosco colui, colei o coloro a cui indirizzo il
saluto come persona; instauro un’atmosfera cooperativa di possibile interazione”.
Il significato linguistico di tu e di lei è rispettivamente “pronome di seconda persona
singolare” e “pronome di terza persona singolare femminile”, il significato sociale è
invece rispettivamente di “allocutivo di confidenza e solidarietà, di vicinanza
sociale” e “allocutivo di rispetto e deferenza, di distanza sociale”.
Significato sociale
• Possono avere significato sociale elementi di tutti i livelli di analisi,
suscettibili di funzionare da indici che forniscono informazione di vario
genere sulla collocazione sociale del parlante, sulla sua età, sulla sua
appartenenza di gruppo, ecc.
Esempio: una pronuncia come [ˈkalsa] per calza [ˈkaltsa] rivela per
esempio la provenienza geografica del parlante (Italia del Nord) e la sua
estrazione sociale (ceto basso, non istruito). Indicherà analoga provenienza
sociale una realizzazione della frase relativa (con che generico e pronome
ci di ripresa: (l’uomo) che ci ho detto, per (l’uomo) a cui ho detto.
Inversamente, l’uso di una parola come delucidazione indicherà che chi la
usa è una persona colta che parla in una situazione formale
Significato lessicale e grammaticale
• Hanno significato lessicale (anche ‘referenziale’) i termini che rappresentano
‘oggetti’ concreti o astratti, entità, fatti o concetti del mondo esterno (es.:
gatto, buono, mangiare, lavoro, idea)
• Hanno significato grammaticale (o ‘funzionale’ o ‘strutturale’) i termini che
rappresentano concetti o rapporti interni al sistema linguistico, alle categorie
che questo prevede o alle strutture a cui esso dà luogo (es.: di “relativo
aI/dipendente da”, il “introduttore di un nome definito”, benché
“congiunzione concessiva”, io “prima persona singolare”, anche “aggiunzione
focalizzante”).
• I termini dotati di significato lessicale vengono anche chiamati ‘parole piene’,
quelli di significato grammaticale ‘parole vuote’ o ‘parole grammaticali’ o
‘parole funzionali’
Significato ed enciclopedia
• Consideriamo la parola toro: la definizione che troviamo in un dizionario
potrebbe essere ‘il maschio adulto dei bovini’; questa definizione esprime
alcune delle proprietà che entrano nella definizione di toro, ma non
esaurisce le nostre conoscenze sui tori, che includono tutto ciò che
sappiamo o crediamo riguardo ai tori – ad esempio, che sono animali
robusti, che diventano aggressivi se vedono rosso (o almeno così abbiamo
sentito dire) ecc.
• Queste informazioni, legate alle nostre conoscenze extralinguistiche, vanno
molto oltre ciò che è espresso dalla definizione del vocabolario: quella
definizione si limita a esprimere alcuni tratti che riteniamo costitutivi del
significato della parola toro, ma non include tutto ciò che riguarda i tori e
che potrebbe rientrare nel concetto di toro.
Significato ed enciclopedia
• Si intende con dizionario l’insieme delle conoscenze linguistiche che costituiscono
il significato delle parole e con enciclopedia l’insieme delle conoscenze
extralinguistiche relative a ciò che esse indicano.
• Secondo questa distinzione, dunque, il dizionario rappresenta il significato
linguistico in senso stretto, mentre l’enciclopedia rappresenta l’insieme delle
conoscenze, opinioni, credenze che un individuo o una collettività hanno riguardo
a certe entità o concetti.
• Tornando all’esempio di toro, diremo che il significato linguistico o dizionariale di
questa parola è dato da informazioni come “bovino”, “maschio”, “adulto”, mentre
informazioni come “è robusto” e “reagisce se vede rosso” farebbero parte della
conoscenza enciclopedica riguardo ai tori.
• La distinzione tra dizionario ed enciclopedia, però, non è sempre facile da tracciare
Significato e senso
• Per ‘senso’ si intende il significato contestuale, cioè la specificazione e
concretizzazione che il contenuto di un termine assume ogni volta che
viene effettivamente usato in una produzione linguistica in un certo
contesto.
Esempio: finestra ha come significato “apertura in una parete”, ma
viene usato, a seconda dei contesti, sia per designare, in un senso, le
aperture verso l’esterno sulle pareti di un edificio per dare luce, sia per
designare, in un altro senso, i riquadri che si aprono sulla ‘parete’
rappresentata da uno schermo di computer.
A un significato possono quindi corrispondere diversi sensi; la
questione è pertanto connessa con quella della polisemia.
Intensione ed estensione
• Intensione è l’insieme delle proprietà che costituiscono il concetto designato da un termine
• Estensione è l’insieme degli individui (oggetti) a cui il termine si può applicare
 Esempio: l’intensione di cane è l’insieme di proprietà che costituiscono la “caninità”,
l’estensione di cane è data da tutti i membri della classe dei cani, cioè dall’insieme di tutti gli
individui a cui è possibile riferirsi adoperando il termine cane.
 Antonio, che designa un essere animato (più precisamente, è un ‘antroponimo’, cioè il nome
proprio di una persona), ammette in verità più referenti, ciascuno dei quali però unico hic et
nunc, nel senso che quando dico Antonio mi riferisco soltanto a un Antonio determinato, e
non a tutti i potenziali essere umani di nome Antonio.
 Discorso analogo vale per il ‘toponimo’ (nome proprio di un luogo) Milano: mentre esistono
moltissimi Antonio, ci sarà sulla terra solo qualche altra località denominata Milano (una è
Milan, nel Tennessee, USA), ma in ogni caso vale, quando lo si usa, come termine che si
riferisce a un’unica determinata città identificata da tale nome.
Rapporti semantici
• Tra le unità del lessico agiscono dei rapporti di tipo paradigmatico e
sintagmatico
• Essi favoriscono la memorizzazione del lessico da parte dell’utente
offrendogli la possibilità di associare le parole tra loro e di ricercarle
quando occorrono;
• Essi attivano, inoltre, nell’utente un complesso sistema di meccanismi
di attesa che servono tanto a produrre quanto a interpretare
enunciati.
RAPPORTI SEMANTICI
PARADIGMATICI
Omonimia e polisemia
• Omonimia ➝ sono omonimi lessemi che abbiano lo stesso significante ma a cui corrispondano significati
diversi, non imparentati fra di loro e non derivabili l’uno dall’altro.
 Es.: riso “l’atto di ridere” e riso “cereale (Oryza sativa)”; pianta “albero” e pianta “mappa”; casco “cado” e
casco “copricapo protettivo”; eccetera.
• Termini omografi (per esempio, pesca “l’atto di pescare” e pesca “frutto” in italiano standard e tosco-
romano, in cui le due parole sono differenziate dalla pronuncia della -e-) e termini omofoni (per esempio
pianta/pianta).
• Polisemia ➝ se i diversi significati associati a uno stesso significante sono imparentati fra loro e derivati (o
derivabili) l’uno dall’altro, abbiamo invece la ‘polisemia’
 Es.: corno “protuberanza del capo di molti animali”/“strumento musicale a fiato”/“cima aguzza di una
montagna”, testa “parte superiore del corpo umano”/“estremità iniziale”/ ecc., linguistico “relativo alla
lingua”/“relativo alla linguistica”.
 In questo caso, non si può più parlare di lessemi formalmente uguali aventi un diverso significato, come
nell’omonimia, ma si tratta di un unico lessema avente più significati (si tratta, appunto, di lessemi
polisemici). Gli omonimi spesso non appartengono alla stessa categoria lessicale (cfr. casco, verbo e nome),
e di solito hanno anche diversa origine etimologica.
Sinonimia
• Sono sinonimi lessemi diversi aventi lo stesso significato, es.: urlare/gridare, pietra/sasso,
iniziare/cominciare, uccidere/ammazzare, testa/capo, cortese/gentile, gatto/micio,
veloce/rapido, mettere/porre/collocare, padre/babbo/papà, raffreddore/rinite,
dono/regalo, eccetera.
• Avere propriamente lo stesso significato implicherebbe l’essere intercambiabili in tutti i
possibili contesti, il che è un requisito difficile, se non impossibile, da soddisfare
compiutamente, dato che spesso la sostituzione di un termine con un suo sinonimo crea
delle sfumature diverse di significato, aggiungendo valori connotativi (gatto/micio) o
implica una diversa varietà di lingua (babbo/papà), o non è possibile in un dato contesto
(pietra miliare, ma non *sasso miliare).
• Più che di sinonimia sarebbe quindi esatto parlare di ‘quasi sinonimia’. I quasi sinonimi
sono molto numerosi nel lessico, mentre i sinonimi veri (totali e completi) sono assai rari,
e sembrano ridursi a casi di varianti formali come tra/fra, devo/debbo (che sarebbero però
presumibilmente da trattare piuttosto in termini di allomorfia).
Iperonimia/iponimia
• Si tratta di una relazione di inclusione semantica: il significato di un lessema
rientra in un significato più ampio e generico rappresentato da un altro
lessema.
• Si ha iponimia fra due lessemi x e y quando ‘tutti gli x sono y ma non tutti gli
y sono x’. In questo caso, x è l’iponimo di y, il quale è ‘iperonimo’ (o
‘sovraordinato’, o anche ‘arcilessema’) rispetto a x.
• Armadio è iponimo di mobile (che è iperonimo rispetto ad armadio); altri
esempi: gatto/felino, mela/frutto, narciso/fiore, liceale/studente.
• In termini di intensione/estensione l’iponimo ha un’intensione più ampia (il
suo significato contiene più proprietà) ma, proprio per questo, un’estensione
minore (è applicabile a una minor quantità di referenti) che il suo iperonimo.
Meronimia
• Meronimia ➝ relazione semantica basata sul rapporto fra la parte e il
tutto (dal gr. méros “parte”).
• È il rapporto che si ha fra i termini che designano una parte specifica di
un tutto unico e il termine che designa il tutto.
• Braccio, testa, piede, anca, ventre, ecc. sono meronimi di corpo (umano):
un braccio è una parte del corpo; mese è meronimo di anno: un mese è
una parte dell’anno; eccetera.
• I lessemi meronimi di un certo lessema (che ne è l'olonimo) possono
essere visti come iponimi del termine plurilessematico che specifica che
si tratta di “parti di x”: braccio, testa, ecc. sono iponimi di parte del
corpo.
Rapporti di opposizione: antonimia
• Fra i rapporti di incompatibilità semantica va menzionata anzitutto l’‘antonimia’.
• Sono antonimi due lessemi di significato ‘contrario’ nel senso che designano i poli
opposti di una scala, i due estremi di una dimensione graduale.
• Il criterio per stabilire che due termini siano antonimi si può formulare così: ‘x è
antonimo di y se x implica non-y, ma non-y non implica x (o, che è lo stesso, non-x non
implica y)’
Esempi: alto/basso, buono/cattivo, lungo/corto, giovane/vecchio. “Essere alto” implica
“non essere basso”, ma “non essere basso” non implica “essere alto” (come “non
essere alto” non implica “essere basso”.
• Fra gli antonimi esistono sempre gradini intermedi lessicalizzabili: si può essere
“abbastanza alto”, “abbastanza basso”, “poco alto”, “né alto né basso”, ecc.; e gli
antonimi (in quanto indicano una proprietà relativa) sono modificabili con forme
elative: molto alto, molto basso.
Rapporti di opposizione: complementarietà e
inversione
• Sono complementari due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro, in
quanto spartiscono uno stesso spazio semantico in due sezioni opposte;
in questo caso, come criterio distintivo si ha che ‘x implica non-y e non-y
implica x (o, che è lo stesso, non-x implica y)’.
Esempi: vivo/morto, maschio/femmina, parlare/tacere.
• Sono inversi, o ‘simmetrici’, due lessemi di significato relazionale che
esprimono la stessa relazione semantica vista da due direzioni opposte,
secondo la prospettiva dell’una o dell’altra parte;
Esempi: dare/ricevere, comprare/vendere, marito/moglie, sotto/sopra
(‘se x dà y a z, è anche che z riceve y da x’, ‘se x è marito di y, y è moglie
di x’).
RAPPORTI SEMANTICI SINTAGMATICI
Solidarietà semantica
• Compatibilità semantica sull’asse sintagmatico.
• La ‘solidarietà semantica’ (o ‘solidarietà lessicale’) è basata sulla cooccorrenza
obbligatoria, o fortemente preferenziale, di un lessema con un altro, nel senso
che la selezione dell’un termine è dipendente dall’altro, e la possibilità di
essere usato in combinazione con altri lessemi è fortemente ridotta, se non
assente.
• Il significato di un lessema risulta in questo caso predeterminato dall’altro,
dato che il lessema in questione può riferirsi nel discorso solo a questo
secondo significato.
Es.: miagolare/gatto, odorare/naso, raffermo/pane; solo dei gatti si dice che
miagolano, solo con il naso si può odorare, solo del pane si dice che è
raffermo.
Collocazioni
• Rapporti fra lessemi fondati su cooccorrenze regolari nel discorso, ma meno semanticamente
determinate che non nel caso delle solidarietà
• bandire/concorso, porta/scorrevole, ringraziare/caldamente, saluti/cordiali (e non gentili),
rassegnare/dimissioni, avvenimento/tragico, eccetera.
• A differenza del rapporto di solidarietà, che è basato sulle proprietà e restrizioni semantiche
previste dal sistema linguistico, il rapporto di collocazione riflette però piuttosto convenzioni e
idiosincrasie tipiche dell’uso della singola lingua e del ‘costume linguistico’ di una certa comunità
parlante, che dànno luogo ovviamente ad associazioni preferenziali di lessemi ricorrenti in
dipendenza dei diversi scenari rappresentati e degli oggetti e concetti in essi ‘attivi’.
• Non c’è alcun motivo interno alla lingua e al sistema linguistico perché per es. in italiano si debba
dire spegnere la luce (con lo stesso verbo che si usa per il fuoco), mentre in tedesco si dice das
Licht ausschalten “disinserire la luce”, e invece das Feuer (aus)löschen “spegnere il fuoco”.
• La nozione di collocazione quindi non sembra ben definibile dal punto di vista linguistico.
Spostamenti di significato
• Molti lessemi sono suscettibili di assumere significati (o, più precisamente, sensi, in
quanto innescati da un determinato contesto) traslati, che si allontanano più o
meno dal normale significato primario, non marcato.
• I processi fondamentali su cui si basano tali spostamenti di significato sono la
metafora e la metonimia.
• La metafora è fondata sulla ‘somiglianza’ concettuale (o anche connotativa): per es.
coniglio “persona molto paurosa”: Gianni è un coniglio
• La metonimia è fondata sulla ‘contiguità’ concettuale (bottiglia “liquido contenuto in
una bottiglia”: ho bevuto due bottiglie di Barbera, ecc.).
• Meccanismi semantici del genere, molto evidenti anche nel mutamento diacronico
delle lingue, contribuiscono molto anche alla creazione della polisemia di parecchi
lessemi.
Insiemi lessicali
• Gruppi di lessemi che costituiscono complessi organizzati, in cui ogni
elemento è unito agli altri da rapporti di significato.
Campo semantico
• Un campo semantico è l’insieme dei lessemi che coprono le diverse sezioni di un
determinato spazio semantico, le partizioni codificate di una data sostanza di
significato
• Ogni termine corrisponde a una delle sezioni in cui lo spazio semantico in oggetto è
suddiviso in una data lingua.
• Con maggior precisione tecnica, e in un senso più specifico, si può definire un campo
semantico come l’insieme dei coiponimi diretti di uno stesso sovraordinato, vale a
dire l’insieme dei lessemi che hanno tutti uno stesso iperonimo immediato (il quale
non necessariamente deve essere lessicalizzato, cioè rappresentato nel lessico, da una
parola unica).
• Costituiscono per esempio campi semantici gli aggettivi di età
(giovane, vecchio, anziano, nuovo, antico, recente, ecc.), i termini di colore, i termini
di parentela, i nomi dei felini, i verbi di movimento, eccetera.
Sfera semantica
• Nozione più generica e ampia rispetto a quella di campo semantico
• Designa ogni insieme di lessemi che abbiano in comune il riferimento a un certo ambito
semantico, un’area di oggetti o concetti, un insieme di attività fra loro collegate.
Esempio, l’insieme delle parole della moda, o della musica, o delle parole che si
riferiscono all’abitazione, di quelle che hanno a che fare con l’automobile, o con la
coltivazione dei campi, ecc.;
La sfera semantica dell’agricoltura, per es., comprenderà termini
come campo, aratro, contadino, trattore, semina, frutteto, fieno, fienagione, zappa, vig
na, podere, motocoltivatrice, rastrello, potare, trebbiatura, dissodare, solco, e centinaia
o migliaia di altri (fra cui moltissimi termini tecnici e specialistici).
Le sfere semantiche (per alcuni, anche ‘aree semantiche’) per la loro natura sono in
parziale sovrapposizione fra loro, e contengono sempre numerosissimi termini
(comprendendo anche al loro interno più campi semantici).
Famiglia semantica
• Una famiglia semantica (o ‘lessicale’) è un insieme di lessemi imparentati nel
significato e (/perché) imparentati nel significante.
• Si tratta cioè dell’insieme delle parole derivate da una stessa radice lessicale (e
quindi dalla stessa base etimologica)
Gerarchia semantica
• Una gerarchia semantica è costituita da un insieme in cui ogni termine
è una parte determinata di un termine che nell’insieme lo segue (gli è
superiore) in una certa scala di misura;
per es., i nomi delle unità di misura del tempo: secondo, minuto, ora,
giorno, mese, anno, lustro, secolo.
• Il rapporto semantico che sta alla base di questo tipo di sottosistema
lessicale è quello della meronimia che, nel caso della gerarchia
semantica, è tuttavia più rigorosamente strutturato, mediante criteri
di gerarchizzazione che ordinano i termini in una tassonomia ben
definita, che non nei generici insiemi di meronimi.
Analisi componenziale
• È la procedura più nota per l’analisi semantica a livello di parola.
• Introdotta da Hjelmslev poggia sull’ipotesi secondo cui il significato delle parole può
essere scomposto in elementi di significato più piccoli detti componenti semantici;
• Queste entità sarebbero munite di caratteristiche molto simili a quelle dei tratti
fonologici.
Es. se analizziamo parole come cane, cagna, uomo, donna, bambino, bambina
rileviamo intuitivamente che il primo termine di ogni coppia indica l’individuo
maschio e il secondo l’individuo femmina. Partendo da queste relazioni possiamo
estrarre dalle parole alcuni elementi semantici minori:
Problemi nell’analisi componenziale
1. Non è fondata su una procedura fissa i cui criteri siano stabiliti una
volta per tutte; il metodo di estrazione dei componenti dal significato
delle parole è arbitrario.
2. Non è effettivamente praticabile perché non può essere applicata a
tutto il vocabolario di una lingua.
3. Ai suoi inizi l’analisi componenziale voleva dimostrare il carattere
universale dei componenti: essi sarebbero gli stessi nelle varie lingue e
le differenze tra una lingua e l’altra sarebbero dovute alla diversità di
combinazione dei componenti. Questa speranza è rimasta
insoddisfatta…
Semantica dei prototipi e teoria della
categorizzazione
Categorizzazione
• Processo attraverso il quale si formano le categorie basilari di tutta la nostra
attività cognitiva.
• Attività con cui raggruppiamo le entità in classi o categorie.

Es.: compiamo un atto di categorizzazione quando diciamo che un certo


animale è un cane o che un certo oggetto è giallo: nel fare ciò identifichiamo
quell’animale e quel colore come membri rispettivamente delle categorie
‘cane’ e ‘giallo’, in cui rientrano entità in parte diverse (i cani non sono tutti
identici ed esistono vari tipi di giallo) ma che condividono caratteristiche tali
da renderle più simili tra loro di quanto non siano rispetto a entità come,
poniamo, i gatti o gli oggetti verdi.
Categorizzazione
• Il processo con cui segmentiamo il continuum della realtà extralinguistica distinguendo in
esso delle entità che attribuiamo a questa o quella categoria è il fondamento non solo della
possibilità di costruire concetti, ma anche della possibilità di usare un sistema semiotico
come il linguaggio verbale, poiché ciascun segno è esso stesso prodotto ed espressione di
un’attività categorizzante.

• Creare e usare la parola cane, ad esempio, presuppone la capacità di individuare i gatti come
membri di una certa classe di animali; e chiedersi come si forma il significato ‘cane’ e quali
sono i criteri per cui chiamiamo cani certi animali ha evidentemente a che fare col chiedersi
come si forma la categoria cane e quali sono i criteri con cui decidiamo di assegnare certi
animali a questa categoria.
Categorizzazione

Labov (1977, p. 342), «se una cosa si può dire della linguistica
è che essa è lo studio delle categorie, vale a dire lo studio di
come la lingua traduce significati in suoni attraverso la
categorizzazione della realtà in unità discrete e in insiemi di
unità».
Teoria ‘classica’
• Tre punti principali:
• 1. una categoria è definita da un insieme di proprietà necessarie e
sufficienti che corrispondono alla proprietà essenziali dei suoi
membri, cioè alle proprietà che ne esprimono l’essenza (ad esempio
le proprietà ‘animale’ e ‘bipede’ per l’entità essere umano, in
opposizione a proprietà accidentali come ‘biondo’ o ‘laureato’). Le
proprietà essenziali sono necessarie per definire la categoria in
questione e sono sufficienti a distinguerla da ogni altra; dunque tutte
e solo queste proprietà consentono di stabilire se un’entità appartiene
o meno a quella categoria
Teoria ‘classica’
• 2. le categorie sono discrete, cioè hanno confini netti e ben definiti,
tali per cui si può sempre stabilire con certezza se un’entità
appartiene o meno a una categoria. L’appartenenza categoriale è una
questione sì/no, senza vie di mezzo; ad esempio un animale o è un
cane o non lo è, e non esistono entità che siano “un po’ cani e un po’
no” o “cani in un certo senso”
• 3. le categorie sono internamente non strutturate, nel senso che i loro
membri sono tra loro tutti equivalenti; ad esempio tutti i cani sono
cani in ugual misura, e non esiste un membro della categoria dei cani
che sia “più cane” di un altro.
Contro la teoria classica
Ludwig Wittgenstein Ricerche Filosofiche (1953)

• Nozione di somiglianze di famiglia: come i membri di una stessa


famiglia si somigliano per qualche aspetto pur non essendo identici,
così le varie attività che chiamiamo giochi condividono certe proprietà
senza che vi sia un insieme di criteri che definiscono esattamente la
categoria giochi e dunque tutti i possibili sensi della parola gioco,
sicché in alcuni casi potremmo non saper decidere se un’attività – ad
esempio il nascondino o la caccia al cervo – è un gioco o no.
Vaghezza come proprietà fondamentale del
linguaggio

• I significati delle parole hanno confini sfumati, non netti


• L’uso delle parole non è regolato in modo rigido
• La vaghezza non è un difetto delle lingue verbali, ma al contrario è ciò
che più contribuisce a farne gli efficaci sistemi comunicativi che sono.
• Proprio la vaghezza, e dunque l’apertura e la flessibilità costitutive dei
significati linguistici, fa sì che essi possano essere continuamente
“rimaneggiati” per accogliere nuovi sensi in funzione delle esigenze
espressive dei parlanti.
Vaghezza come proprietà fondamentale del
linguaggio
• La vaghezza non va confusa con la genericità o l’imprecisione del
significato,
• Quella di vaghezza è una nozione tecnica che possiamo formulare
come segue: un’espressione è vaga quando è impossibile determinare
in tutti i casi se essa si applica o meno a un referente. In altri termini,
un’espressione è vaga se esistono casi ai quali sicuramente essa si
applica, casi ai quali sicuramente non si applica e casi ai quali non si
può stabilire con certezza se si applica.
• Es.: calvo
mucchio
William Labov (1977 [1973]), Il continuo e il discreto nel linguaggio

• Per studiare il grado di vaghezza semantica, Labov si affida a metodi


quantitativi e sperimentali, basati sulla somministrazione di diversi
test sulla denominazione di figure di oggetti comuni che si trovano in
qualunque cucina. Essi sono: cups (tazze, tazzine), mugs (tradotto in
italiano sempre con il termine ‘tazze’, ma solitamente riferito a oggetti
di misura maggiore rispetto ai primi), bowls (scodelle, ciotole.
• Otto indagini su parlanti di madrelingua inglese. Per ogni indagine
Labov riporta un numero di soggetti campione da 11 a 24 (per la
maggior parte si tratta di studenti delle università della Pennsylvania e
della Columbia)
William Labov (1977 [1973]), Il continuo e il
discreto nel linguaggio

• Non c’è un criterio che fissi una volta per tutte la distinzione tra queste
entità, e l’uso delle parole che le indicano risponde a criteri
probabilistici: identificare un oggetto come tazza non è un fatto
deterministico, ma dipende da variabili come la forma e le dimensioni
dell’oggetto, il materiale di cui è fatto, il contesto d’uso in cui lo
immaginiamo ecc., e le probabilità che un oggetto sia chiamato ‘tazza’
sono tanto maggiori quanto più esso risponde a queste caratteristiche.
Brent Berlin & Paul Kay (1969), Basic Color
Terms: Their Universality and Evolution
• Analizzando i nomi di colore in varie lingue e facendo esperimenti sul loro uso da
parte di parlanti di lingue diverse, Berlin e Kay scoprirono che ogni lingua sceglie i
propri nomi di colore basici, in numero variabile tra 2 e 11, all’interno di un repertorio
ristretto che comprende nero, bianco, rosso, verde, giallo, blu, marrone, viola, rosa,
arancione, grigio
• Osservarono che, se si chiedeva ai parlanti di indicare su un atlante cromatico un
buon esempio di un colore basico, essi davano risposte sorprendentemente simili a
prescindere da quale fosse la loro lingua madre
• Questi risultati smentivano l’ipotesi del relativismo linguistico suggerendo che la
categorizzazione del colore non è un prodotto arbitrario delle lingue, ma è guidata da
fattori extralinguistici universali.
• Suggerivano che le categorie di colore non rispondono alla teoria classica, poiché
certi tipi di colore sono ritenuti dai parlanti esempi migliori di altri di quella categoria.
La teoria dei prototipi di Eleanor Rosch
• La categorizzazione non è arbitraria, ma è guidata dall’esigenza cognitiva di
ottimizzare l’informazione relativa al mondo esterno. Le categorie devono rispondere
a un principio di economia cognitiva che consiste nel fornire il massimo di
informazione con il minimo sforzo, e assolvono al meglio questa funzione se
riuniscono entità che si somigliano molto chiaramente tra loro e si differenziano molto
chiaramente da altre.
• Fattori non linguistici hanno un ruolo cruciale nella creazione e nell’organizzazione
delle categorie
• Le categorie sono organizzate intorno a un “centro informativo” costituito dal loro
esempio migliore, che Rosch chiama il prototipo della categoria.
• Queste ipotesi hanno portato la studiosa a rivedere gli assunti tradizionali per quanto
riguarda sia la struttura interna delle categorie sia le relazioni gerarchiche tra
categorie.
Revisione della teoria classica
• 1. non ogni categoria è definita da un insieme chiuso di proprietà necessarie e
sufficienti, poiché spesso i membri di una categoria non condividono un insieme
definito di proprietà essenziali, ma una rete di somiglianze parziali o una correlazione
probabilistica di proprietà tipiche;

• 2. molte categorie hanno confini vaghi e non nettamente definiti, e i loro membri si
distribuiscono lungo un continuum che include casi in cui l’appartenenza categoriale è
sicura e casi in cui l’appartenenza categoriale è confusa; ad esempio esistono oggetti
che non sappiamo se includere o no nella categoria delle tazze;

• 3. le categorie sono internamente strutturate, nel senso che includono membri più
tipici di altri (i prototipi); ad esempio i passeri rappresentano la categoria uccelli meglio
dei pinguini e appaiono, per così dire, “più uccelli” dei pinguini.
Composizionalità del significato
• Nel modo in cui i parlanti costruiscono e intendono il significato effettivo di una frase,
risultano agire principî diversi, che sfruttano in vario modo le proprietà semantiche
contenute nei lessemi.
• J. Pustejovsky (The generative lexicon) ha individuato quattro di questi principî.
• Il primo è il principio di ‘composizione’: il significato della frase è la somma dei significati di
base di ogni singolo elemento (Gianni mangia una mela = “Gianni” + “mangia” + “una” +
“mela”).
• Il secondo principio è la ‘co-composizione’, in base a cui il significato degli argomenti di un
verbo contribuisce a definire il significato del verbo: in Gianni ha cotto la carne e Gianni ha
cotto il pane, cuocere indica rispettivamente un’attività che porta a un cambiamento di
stato e un’attività che porta alla produzione di qualcosa, che prima non esisteva; e tale
valore semantico è conferito al verbo dai caratteri semantici di carne, che è un’entità
esistente in natura, e di pane, che è un oggetto ‘artificiale’, un artefatto specificamente
prodotto dall’uomo
Composizionalità del significato
• Il terzo principio è chiamato ‘coercizione’ (o forzatura, o conversione), e riguarda i
casi in cui è il significato del verbo a condizionare il significato di un suo
argomento; in ho comprato un nuovo libro e ho iniziato un nuovo libro, libro
assume rispettivamente il significato di “oggetto fisico” e di “testo scritto”: i due
verbi ‘forzano’ il nome ad assumere il valore con essi compatibile (iniziare non
può applicarsi a un oggetto fisico, ma deve riferirsi a un’attività o un evento).
• Abbiamo infine il ‘legamento selettivo’, in cui un nome seleziona e determina il
valore di un aggettivo dal significato non specifico: in un treno veloce, veloce
significa “che va velocemente, che si muove in maniera molto rapida”, mentre in
un lavoro veloce l’aggettivo significa “che si esegue rapidamente”.
Elementi di pragmatica
• La pragmatica studia che cosa si fa, con la produzione di un enunciato,
in un determinato contesto situazionale e chiama quindi direttamente
in causa l’intenzionalità del parlante.
• In questa visuale, la lingua è studiata come modo d’agire, e non più
come sistema di comunicazione o come riflessione verbale del
pensiero
• Il criterio di analisi è all’incirca ‘che cosa si fa, che azione si compie
quando si dice qualcosa?’ (Austin 1962, How to do things with words).
• Tematiche di questo genere sono studiate più propriamente dalla
pragmatica linguistica, e più in generale dalla filosofia del linguaggio.
Atti linguistici
• Gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale costituiscono,
da questo punto di vista, degli atti linguistici.
• Un atto linguistico è l’unità di base dell’analisi pragmatica, e consta di
tre distinti livelli o componenti.
• Produrre un enunciato equivale infatti a fare contemporaneamente
tre cose distinte, a compiere tre ‘atti’ in uno:
1) un atto locutivo
2) un atto illocutivo
3) un atto perlocutivo
Atti linguistici
• L’atto locutivo (o locutorio) consiste nel formare una frase in una data
lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale,
lessicale;
es.: Gianni scappa come struttura SN + SV costituita da due parole fatte di
certi fonemi, e con un suo significato denotativo, ecc.;
• L’atto illocutivo (o illocutorio) consiste nell’intenzione con la quale e per la
quale si produce la frase, nell’azione che si intende convenzionalmente
compiere proferendo quell’enunciato;
es.: Gianni scappa nel suo valore di “dare un’informazione, descrivere, fare
un’affermazione/constatazione”.
• Ogni enunciato ha una sua ‘forza illocutiva’ realizzata dall’atto illocutivo
Atti linguistici
• L’atto perlocutivo (o perlocutorio) consiste nell’effetto che si vuol
provocare nel destinatario del messaggio, nel risultato concreto
effettivamente ottenibile (e ottenuto se l’atto linguistico ha esito felice),
da un enunciato prodotto in una determinata situazione;
es.: Gianni scappa può avere l’effetto di “allarme alla polizia”, “chiamata
di soccorso”, “annuncio di sollievo” per gli amici di Gianni, ecc.;
Chiuderesti la finestra? ha la struttura fonetica e grammaticale di una
frase interrogativa (atto locutivo), il valore di una richiesta o un ordine
(atto illocutivo), l’effetto (se la sua forza illocutiva raggiunge l’obiettivo
voluto) di ottenere che venga chiusa la finestra (atto perlocutivo).
Centralità degli atti illocutivi nell’analisi
linguistica
• L’atto illocutivo definisce la natura e il tipo dell’atto linguistico messo in opera.
• Sono atti illocutivi, e quindi atti linguistici specifici: l’affermazione (o
asserzione), la richiesta, la promessa, la minaccia, l’ordine, l’invito, il rifiuto, la
constatazione, la felicitazione, il divieto, la confessione, ecc.;
• I singoli atti linguistici specifici possono essere ricondotti a un certo numero di
classi o tipi, designati con termini quali ‘direttivi’ (come ordinare, supplicare,
consigliare, ecc.), ‘commissivi’ (come promettere, garantire, rifiutarsi, ecc.).
• Ciascun atto è caratterizzato da una certa serie di condizioni necessarie perché
l’atto valga come tale (perché siano soddisfatte le sue ‘condizioni di felicità’
Verbi performativi
• Verbi come prometto, battezzo, autorizzo, condanno, proibisco, ecc., qualora usati alla
prima persona del presente indicativo, annullano la distinzione fra contenuto
referenziale (facente parte dell’atto locutivo) e atto illocutivo compiuto: tali verbi sono
detti ‘verbi performativi’.
• La realizzazione dell’atto linguistico che essi designano consiste appunto nel proferire
quel verbo alla prima persona del presente: il valore illocutivo di divieto, proibizione,
di fare qualcosa coincide con la realizzazione di (ti) proibisco (di uscire);
• Mentre normalmente i verbi hanno un valore constatativo o descrittivo di un’azione,
non costituiscono essi stessi l’azione designata: compiere l’azione di vedere non
consiste nel dire vedo.
• Usati non alla prima persona o non nel presente, i verbi performativi hanno anch’essi
valore constatativo, descrittivo: Luisa proibì a Gianni di uscire non costituisce un atto di
proibizione, ma descrive la situazione in cui viene compiuto un atto di proibizione.
Varietà di realizzazione di uno stesso atto
illocutivo
• Esistono modi diversi, cioè atti locutivi diversi, per realizzare uno stesso atto illocutivo.
• Nell’esempio, chiuderesti la finestra?, è scelta una forma parzialmente indiretta e
cortese per attuare il valore illocutivo di richiesta/ordine, attraverso una frase di forma
interrogativa (che realizza una domanda) e l’impiego del condizionale (che attenuano
molto la forza dell’atto, implicitando inferenze come “se sei d’accordo”);
• un atto locutivo sinonimico, che realizza lo stesso atto illocutivo, ma in maniera molto più
diretta, è ovviamente chiudi la finestra!; sempre sinonimico, ma con una forma invece
ancora più indiretta e ‘cortese’, risulterebbe potresti (per favore) chiudere la finestra?
(con l’impiego anche di un verbo modale ed eventualmente di una formula di cortesia).
• Un modo particolarmente brusco per realizzare lo stesso atto illocutivo sarebbe
costituito da una frase nominale, la finestra!, magari detta con tono di voce alto e secco.
Atti linguistici indiretti
• Quando un certo atto illocutivo è realizzato mediante atti locutivi che solitamente
sono la forma tipica di realizzazione di un altro atto illocutivo, o mediante indicatori
propri di atti illocutivi di altro tipo, si parla di ‘atti linguistici indiretti’.
• È molto importante qui, come si è accennato, la manifestazione della politeness,
‘cortesia linguistica’, basata sul principio generale ‘non t’imporre al tuo interlocutore,
lasciagli aperte alternative’.
• D’altra parte, se l’atto linguistico è formulato con ‘troppa’ cortesia e diventa molto
indiretto, tende ad assumere valori ironici: realizzare l’atto illocutivo sopra
esemplificato in una forma come per es. c’è da pensare che non sarebbe sgradito se si
chiudesse la finestra (con cumulo di dispositivi di cortesia: uso di un verbo di
opinione, formulazione impersonale, uso del condizionale, uso di doppia negazione –
non […] sgradito –, sintassi condizionale con periodo ipotetico) lascia troppo ‘spazio di
fuga’ al destinatario perché sia ancora ragionevole usarlo seriamente come ‘ordine’.
Condizioni di realizzazione degli atti
linguistici
• La teoria degli atti linguistici ha descritto le condizioni, di carattere linguistico e semantico, ma
anche e soprattutto pragmatico e sociale, che devono essere soddisfatte perché un determinato
atto illocutivo rappresenti sia per il parlante che lo produce che per il destinatario che lo riceve la
specifica azione voluta.
• Nel caso di un ordine (atto direttivo), come chiudi la finestra!, una di tali condizioni è per esempio
che (chi enuncia il messaggio sappia che) il destinatario è in grado di compiere l’azione richiesta.
• Si può in tal modo elaborare una specie di ‘grammatica’ degli atti linguistici, analizzando quelle
che vengono chiamate le ‘condizioni di felicità’ di un atto linguistico.
• Un atto linguistico “promessa” (“X promette Z a Y”), realizzato come atto locutivo tipicamente con
l’enunciazione del verbo performativo prometto + un complemento o una proposizione che
rappresenta il contenuto della promessa (Z), è valido come tale se sussistono fra le altre le
seguenti condizioni: a) Z è gradito al destinatario (Y); b) il parlante X è oggettivamente in grado di
compiere Z; c) Z si riferisce a qualcosa nel futuro; d) X nel corso normale delle cose
presumibilmente non farebbe Z; e) X è sinceramente intenzionato, e si impegna, a fare Z.
Significato implicito
• Un’altra nozione importante per la semantica frasale e la pragmatica è quella di
‘significato implicito’, non detto, non esplicitato verbalmente ma fatto assumere o
inferire da quanto vien detto.
• Si tratta quindi di tutto ciò che non fa parte del significato letterale, espresso, degli
enunciati, ma che è ricavato (o ricavabile) da ciò che viene detto e da come lo si dice.
In uno scambio di enunciati come il seguente, per esempio,
A: andiamo al cinema? – B: ho un po’ di mal di testa...
la battuta di B non pare avere alcun nesso con quella di A, ma in realtà questo è vero
solo se guardiamo al significato denotativo letterale esplicitato dall’enunciato, mentre
B vuole implicitare (cioè, dire senza dirlo) che non intende andare al cinema.
Così, l’enunciato non chiedermi il mio parere! ha come implicitazione che “il mio
parere è diverso dal tuo”.
Massime di Grice
• Principi che regolano la conversazione
• Si basano sull’assunzione che fra i partecipanti a un’interazione comunicativa viga un
‘principio di cooperazione’
• Sono riunibili in quattro categorie:
Quantità (‘dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto’, che non rechi
troppa informazione ma nemmeno troppo poca),
Qualità (‘dare un contributo che sia vero’, o il più possibile verificabile),
Relazione (‘essere pertinenti’)
Modo (‘esprimersi chiaramente’, evitando per quanto possibile oscurità, ambiguità,
confusione, prolissità).
• La violazione di una o più massime genera, sulla base di un principio di implicazione,
‘implicature conversazionali’ che trasmettono comunque il significato voluto.
Deissi
• Col termine di ‘deissi’(dal greco deîxis, da deîknymi “indicare”) si designa la proprietà
di una parte dei segni linguistici di indicare, o far riferimento a, cose o elementi
presenti nella situazione extralinguistica e in particolare nello spazio o nel tempo in
cui essa si situa, in maniera tale che l’interpretazione specifica di ciò a cui il segno si
riferisce dipende interamente dalla situazione di enunciazione.
Non posso identificare, per esempio, chi sia tu o a che giorno specifico si riferisca ieri
o quale luogo indichi là, se non facendo riferimento ad uno specifico contesto
situazionale in cui tali parole vengono utilizzate.
Ieri può essere il 12 marzo 1996, il 23 febbraio 1865, il 5 luglio 1539, il 7 settembre
2010, o qualunque altro giorno: dipende da quando dico ieri; ieri vuol infatti dire “il
giorno prima di questo (in cui parlo, o scrivo)”.
• Vi sono tre tipi principali di deissi: deissi personale, deissi spaziale, e deissi temporale.
Deissi
• La deissi personale codifica il riferimento al parlante, all’interlocutore e alle terze persone
e che ha come centro il parlante stesso, chi dice io in una determinata situazione;
Esprimono deissi personale i pronomi personali (io, tu, lui, lei, noi, voi, loro, ecc.), le
persone verbali, i possessivi (mio, tuo, suo, ecc.).
• La deissi spaziale codifica le posizioni delle entità chiamate in causa rispetto al luogo in cui
si trovano i partecipanti all’interazione
Esprimono deissi spaziale i dimostrativi (questo, quello, ecc.), avverbi di luogo (qui, qua, là,
ecc.), verbi come venire, ed espressioni come a destra, a sinistra, in alto, dal lato opposto,
eccetera.
• Fra i deittici spaziali si possono distinguere le due sottoclassi dei deittici prossimali, che
indicano prossimità, vicinanza, rispetto all’origine del riferimento spaziale, cioè chi sta
parlando (questo, qui, ecc.); e dei deittici distali, che indicano invece distanza, lontananza
(quello, là, ecc.).
Deissi
• La deissi temporale codifica e specifica la localizzazione degli eventi nel tempo rispetto
al momento dell’enunciazione;
• È espressa da avverbi come oggi, ieri, domani, adesso, subito, ecc., dai tempi verbali e
da sintagmi come dieci anni/due mesi fa, fra tre settimane/cinque anni, eccetera.
• Molte delle espressioni deittiche, in particolare temporali, possono essere ‘tradotte’ in
una corrispondente espressione non deittica, e viceversa: ieri = il giorno prima, dieci
anni fa = dieci anni prima.
• Si parla per estensione anche di deissi sociale, per designare gli elementi allocutivi,
usati per codificare le relazioni sociali dei partecipanti all’interazione, come in italiano i
pronomi tu e Lei, in francese tu e vous, in tedesco du “tu” e Sie “loro”, ecc., e in altre
lingue anche i fenomeni della cortesia.
• La deissi àncora quindi nel complesso i messaggi prodotti alla situazione di
enunciazione, ed è particolarmente rilevante nella lingua parlata.
Segnali discorsivi
• I segnali discorsivi (o marcatori pragmatici/del discorso) sono
elementi estranei alla strutturazione sintattica della frase che
svolgono il compito di esplicitare l’articolazione interna del discorso,
come allora, senti, guardi, così, no?, insomma, cioè, sai, infine, anzitut
to, basta, in primo luogo, scusa, diciamo, eccetera.
• Meccanismi anaforici e segnali discorsivi contribuiscono, assieme ad
altri dispositivi a cui qui non accenniamo, a conferire ‘coesione’ al
testo, istituendovi una rete di collegamenti al di là dei confini delle
singole frasi.
Tabella dei segnali discorsivi (Bazzanella)

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