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pragmatica
Corso di Linguistica generale M-Z
A.A. 2023-24
Docente prof. Luisa Brucale
Semantica
• Semantica (dal greco semaino “significare”) ➝ livello di analisi della
linguistica che si occupa del piano del significato
• Creare e usare la parola cane, ad esempio, presuppone la capacità di individuare i gatti come
membri di una certa classe di animali; e chiedersi come si forma il significato ‘cane’ e quali
sono i criteri per cui chiamiamo cani certi animali ha evidentemente a che fare col chiedersi
come si forma la categoria cane e quali sono i criteri con cui decidiamo di assegnare certi
animali a questa categoria.
Categorizzazione
Labov (1977, p. 342), «se una cosa si può dire della linguistica
è che essa è lo studio delle categorie, vale a dire lo studio di
come la lingua traduce significati in suoni attraverso la
categorizzazione della realtà in unità discrete e in insiemi di
unità».
Teoria ‘classica’
• Tre punti principali:
• 1. una categoria è definita da un insieme di proprietà necessarie e
sufficienti che corrispondono alla proprietà essenziali dei suoi
membri, cioè alle proprietà che ne esprimono l’essenza (ad esempio
le proprietà ‘animale’ e ‘bipede’ per l’entità essere umano, in
opposizione a proprietà accidentali come ‘biondo’ o ‘laureato’). Le
proprietà essenziali sono necessarie per definire la categoria in
questione e sono sufficienti a distinguerla da ogni altra; dunque tutte
e solo queste proprietà consentono di stabilire se un’entità appartiene
o meno a quella categoria
Teoria ‘classica’
• 2. le categorie sono discrete, cioè hanno confini netti e ben definiti,
tali per cui si può sempre stabilire con certezza se un’entità
appartiene o meno a una categoria. L’appartenenza categoriale è una
questione sì/no, senza vie di mezzo; ad esempio un animale o è un
cane o non lo è, e non esistono entità che siano “un po’ cani e un po’
no” o “cani in un certo senso”
• 3. le categorie sono internamente non strutturate, nel senso che i loro
membri sono tra loro tutti equivalenti; ad esempio tutti i cani sono
cani in ugual misura, e non esiste un membro della categoria dei cani
che sia “più cane” di un altro.
Contro la teoria classica
Ludwig Wittgenstein Ricerche Filosofiche (1953)
• Non c’è un criterio che fissi una volta per tutte la distinzione tra queste
entità, e l’uso delle parole che le indicano risponde a criteri
probabilistici: identificare un oggetto come tazza non è un fatto
deterministico, ma dipende da variabili come la forma e le dimensioni
dell’oggetto, il materiale di cui è fatto, il contesto d’uso in cui lo
immaginiamo ecc., e le probabilità che un oggetto sia chiamato ‘tazza’
sono tanto maggiori quanto più esso risponde a queste caratteristiche.
Brent Berlin & Paul Kay (1969), Basic Color
Terms: Their Universality and Evolution
• Analizzando i nomi di colore in varie lingue e facendo esperimenti sul loro uso da
parte di parlanti di lingue diverse, Berlin e Kay scoprirono che ogni lingua sceglie i
propri nomi di colore basici, in numero variabile tra 2 e 11, all’interno di un repertorio
ristretto che comprende nero, bianco, rosso, verde, giallo, blu, marrone, viola, rosa,
arancione, grigio
• Osservarono che, se si chiedeva ai parlanti di indicare su un atlante cromatico un
buon esempio di un colore basico, essi davano risposte sorprendentemente simili a
prescindere da quale fosse la loro lingua madre
• Questi risultati smentivano l’ipotesi del relativismo linguistico suggerendo che la
categorizzazione del colore non è un prodotto arbitrario delle lingue, ma è guidata da
fattori extralinguistici universali.
• Suggerivano che le categorie di colore non rispondono alla teoria classica, poiché
certi tipi di colore sono ritenuti dai parlanti esempi migliori di altri di quella categoria.
La teoria dei prototipi di Eleanor Rosch
• La categorizzazione non è arbitraria, ma è guidata dall’esigenza cognitiva di
ottimizzare l’informazione relativa al mondo esterno. Le categorie devono rispondere
a un principio di economia cognitiva che consiste nel fornire il massimo di
informazione con il minimo sforzo, e assolvono al meglio questa funzione se
riuniscono entità che si somigliano molto chiaramente tra loro e si differenziano molto
chiaramente da altre.
• Fattori non linguistici hanno un ruolo cruciale nella creazione e nell’organizzazione
delle categorie
• Le categorie sono organizzate intorno a un “centro informativo” costituito dal loro
esempio migliore, che Rosch chiama il prototipo della categoria.
• Queste ipotesi hanno portato la studiosa a rivedere gli assunti tradizionali per quanto
riguarda sia la struttura interna delle categorie sia le relazioni gerarchiche tra
categorie.
Revisione della teoria classica
• 1. non ogni categoria è definita da un insieme chiuso di proprietà necessarie e
sufficienti, poiché spesso i membri di una categoria non condividono un insieme
definito di proprietà essenziali, ma una rete di somiglianze parziali o una correlazione
probabilistica di proprietà tipiche;
• 2. molte categorie hanno confini vaghi e non nettamente definiti, e i loro membri si
distribuiscono lungo un continuum che include casi in cui l’appartenenza categoriale è
sicura e casi in cui l’appartenenza categoriale è confusa; ad esempio esistono oggetti
che non sappiamo se includere o no nella categoria delle tazze;
• 3. le categorie sono internamente strutturate, nel senso che includono membri più
tipici di altri (i prototipi); ad esempio i passeri rappresentano la categoria uccelli meglio
dei pinguini e appaiono, per così dire, “più uccelli” dei pinguini.
Composizionalità del significato
• Nel modo in cui i parlanti costruiscono e intendono il significato effettivo di una frase,
risultano agire principî diversi, che sfruttano in vario modo le proprietà semantiche
contenute nei lessemi.
• J. Pustejovsky (The generative lexicon) ha individuato quattro di questi principî.
• Il primo è il principio di ‘composizione’: il significato della frase è la somma dei significati di
base di ogni singolo elemento (Gianni mangia una mela = “Gianni” + “mangia” + “una” +
“mela”).
• Il secondo principio è la ‘co-composizione’, in base a cui il significato degli argomenti di un
verbo contribuisce a definire il significato del verbo: in Gianni ha cotto la carne e Gianni ha
cotto il pane, cuocere indica rispettivamente un’attività che porta a un cambiamento di
stato e un’attività che porta alla produzione di qualcosa, che prima non esisteva; e tale
valore semantico è conferito al verbo dai caratteri semantici di carne, che è un’entità
esistente in natura, e di pane, che è un oggetto ‘artificiale’, un artefatto specificamente
prodotto dall’uomo
Composizionalità del significato
• Il terzo principio è chiamato ‘coercizione’ (o forzatura, o conversione), e riguarda i
casi in cui è il significato del verbo a condizionare il significato di un suo
argomento; in ho comprato un nuovo libro e ho iniziato un nuovo libro, libro
assume rispettivamente il significato di “oggetto fisico” e di “testo scritto”: i due
verbi ‘forzano’ il nome ad assumere il valore con essi compatibile (iniziare non
può applicarsi a un oggetto fisico, ma deve riferirsi a un’attività o un evento).
• Abbiamo infine il ‘legamento selettivo’, in cui un nome seleziona e determina il
valore di un aggettivo dal significato non specifico: in un treno veloce, veloce
significa “che va velocemente, che si muove in maniera molto rapida”, mentre in
un lavoro veloce l’aggettivo significa “che si esegue rapidamente”.
Elementi di pragmatica
• La pragmatica studia che cosa si fa, con la produzione di un enunciato,
in un determinato contesto situazionale e chiama quindi direttamente
in causa l’intenzionalità del parlante.
• In questa visuale, la lingua è studiata come modo d’agire, e non più
come sistema di comunicazione o come riflessione verbale del
pensiero
• Il criterio di analisi è all’incirca ‘che cosa si fa, che azione si compie
quando si dice qualcosa?’ (Austin 1962, How to do things with words).
• Tematiche di questo genere sono studiate più propriamente dalla
pragmatica linguistica, e più in generale dalla filosofia del linguaggio.
Atti linguistici
• Gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale costituiscono,
da questo punto di vista, degli atti linguistici.
• Un atto linguistico è l’unità di base dell’analisi pragmatica, e consta di
tre distinti livelli o componenti.
• Produrre un enunciato equivale infatti a fare contemporaneamente
tre cose distinte, a compiere tre ‘atti’ in uno:
1) un atto locutivo
2) un atto illocutivo
3) un atto perlocutivo
Atti linguistici
• L’atto locutivo (o locutorio) consiste nel formare una frase in una data
lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale,
lessicale;
es.: Gianni scappa come struttura SN + SV costituita da due parole fatte di
certi fonemi, e con un suo significato denotativo, ecc.;
• L’atto illocutivo (o illocutorio) consiste nell’intenzione con la quale e per la
quale si produce la frase, nell’azione che si intende convenzionalmente
compiere proferendo quell’enunciato;
es.: Gianni scappa nel suo valore di “dare un’informazione, descrivere, fare
un’affermazione/constatazione”.
• Ogni enunciato ha una sua ‘forza illocutiva’ realizzata dall’atto illocutivo
Atti linguistici
• L’atto perlocutivo (o perlocutorio) consiste nell’effetto che si vuol
provocare nel destinatario del messaggio, nel risultato concreto
effettivamente ottenibile (e ottenuto se l’atto linguistico ha esito felice),
da un enunciato prodotto in una determinata situazione;
es.: Gianni scappa può avere l’effetto di “allarme alla polizia”, “chiamata
di soccorso”, “annuncio di sollievo” per gli amici di Gianni, ecc.;
Chiuderesti la finestra? ha la struttura fonetica e grammaticale di una
frase interrogativa (atto locutivo), il valore di una richiesta o un ordine
(atto illocutivo), l’effetto (se la sua forza illocutiva raggiunge l’obiettivo
voluto) di ottenere che venga chiusa la finestra (atto perlocutivo).
Centralità degli atti illocutivi nell’analisi
linguistica
• L’atto illocutivo definisce la natura e il tipo dell’atto linguistico messo in opera.
• Sono atti illocutivi, e quindi atti linguistici specifici: l’affermazione (o
asserzione), la richiesta, la promessa, la minaccia, l’ordine, l’invito, il rifiuto, la
constatazione, la felicitazione, il divieto, la confessione, ecc.;
• I singoli atti linguistici specifici possono essere ricondotti a un certo numero di
classi o tipi, designati con termini quali ‘direttivi’ (come ordinare, supplicare,
consigliare, ecc.), ‘commissivi’ (come promettere, garantire, rifiutarsi, ecc.).
• Ciascun atto è caratterizzato da una certa serie di condizioni necessarie perché
l’atto valga come tale (perché siano soddisfatte le sue ‘condizioni di felicità’
Verbi performativi
• Verbi come prometto, battezzo, autorizzo, condanno, proibisco, ecc., qualora usati alla
prima persona del presente indicativo, annullano la distinzione fra contenuto
referenziale (facente parte dell’atto locutivo) e atto illocutivo compiuto: tali verbi sono
detti ‘verbi performativi’.
• La realizzazione dell’atto linguistico che essi designano consiste appunto nel proferire
quel verbo alla prima persona del presente: il valore illocutivo di divieto, proibizione,
di fare qualcosa coincide con la realizzazione di (ti) proibisco (di uscire);
• Mentre normalmente i verbi hanno un valore constatativo o descrittivo di un’azione,
non costituiscono essi stessi l’azione designata: compiere l’azione di vedere non
consiste nel dire vedo.
• Usati non alla prima persona o non nel presente, i verbi performativi hanno anch’essi
valore constatativo, descrittivo: Luisa proibì a Gianni di uscire non costituisce un atto di
proibizione, ma descrive la situazione in cui viene compiuto un atto di proibizione.
Varietà di realizzazione di uno stesso atto
illocutivo
• Esistono modi diversi, cioè atti locutivi diversi, per realizzare uno stesso atto illocutivo.
• Nell’esempio, chiuderesti la finestra?, è scelta una forma parzialmente indiretta e
cortese per attuare il valore illocutivo di richiesta/ordine, attraverso una frase di forma
interrogativa (che realizza una domanda) e l’impiego del condizionale (che attenuano
molto la forza dell’atto, implicitando inferenze come “se sei d’accordo”);
• un atto locutivo sinonimico, che realizza lo stesso atto illocutivo, ma in maniera molto più
diretta, è ovviamente chiudi la finestra!; sempre sinonimico, ma con una forma invece
ancora più indiretta e ‘cortese’, risulterebbe potresti (per favore) chiudere la finestra?
(con l’impiego anche di un verbo modale ed eventualmente di una formula di cortesia).
• Un modo particolarmente brusco per realizzare lo stesso atto illocutivo sarebbe
costituito da una frase nominale, la finestra!, magari detta con tono di voce alto e secco.
Atti linguistici indiretti
• Quando un certo atto illocutivo è realizzato mediante atti locutivi che solitamente
sono la forma tipica di realizzazione di un altro atto illocutivo, o mediante indicatori
propri di atti illocutivi di altro tipo, si parla di ‘atti linguistici indiretti’.
• È molto importante qui, come si è accennato, la manifestazione della politeness,
‘cortesia linguistica’, basata sul principio generale ‘non t’imporre al tuo interlocutore,
lasciagli aperte alternative’.
• D’altra parte, se l’atto linguistico è formulato con ‘troppa’ cortesia e diventa molto
indiretto, tende ad assumere valori ironici: realizzare l’atto illocutivo sopra
esemplificato in una forma come per es. c’è da pensare che non sarebbe sgradito se si
chiudesse la finestra (con cumulo di dispositivi di cortesia: uso di un verbo di
opinione, formulazione impersonale, uso del condizionale, uso di doppia negazione –
non […] sgradito –, sintassi condizionale con periodo ipotetico) lascia troppo ‘spazio di
fuga’ al destinatario perché sia ancora ragionevole usarlo seriamente come ‘ordine’.
Condizioni di realizzazione degli atti
linguistici
• La teoria degli atti linguistici ha descritto le condizioni, di carattere linguistico e semantico, ma
anche e soprattutto pragmatico e sociale, che devono essere soddisfatte perché un determinato
atto illocutivo rappresenti sia per il parlante che lo produce che per il destinatario che lo riceve la
specifica azione voluta.
• Nel caso di un ordine (atto direttivo), come chiudi la finestra!, una di tali condizioni è per esempio
che (chi enuncia il messaggio sappia che) il destinatario è in grado di compiere l’azione richiesta.
• Si può in tal modo elaborare una specie di ‘grammatica’ degli atti linguistici, analizzando quelle
che vengono chiamate le ‘condizioni di felicità’ di un atto linguistico.
• Un atto linguistico “promessa” (“X promette Z a Y”), realizzato come atto locutivo tipicamente con
l’enunciazione del verbo performativo prometto + un complemento o una proposizione che
rappresenta il contenuto della promessa (Z), è valido come tale se sussistono fra le altre le
seguenti condizioni: a) Z è gradito al destinatario (Y); b) il parlante X è oggettivamente in grado di
compiere Z; c) Z si riferisce a qualcosa nel futuro; d) X nel corso normale delle cose
presumibilmente non farebbe Z; e) X è sinceramente intenzionato, e si impegna, a fare Z.
Significato implicito
• Un’altra nozione importante per la semantica frasale e la pragmatica è quella di
‘significato implicito’, non detto, non esplicitato verbalmente ma fatto assumere o
inferire da quanto vien detto.
• Si tratta quindi di tutto ciò che non fa parte del significato letterale, espresso, degli
enunciati, ma che è ricavato (o ricavabile) da ciò che viene detto e da come lo si dice.
In uno scambio di enunciati come il seguente, per esempio,
A: andiamo al cinema? – B: ho un po’ di mal di testa...
la battuta di B non pare avere alcun nesso con quella di A, ma in realtà questo è vero
solo se guardiamo al significato denotativo letterale esplicitato dall’enunciato, mentre
B vuole implicitare (cioè, dire senza dirlo) che non intende andare al cinema.
Così, l’enunciato non chiedermi il mio parere! ha come implicitazione che “il mio
parere è diverso dal tuo”.
Massime di Grice
• Principi che regolano la conversazione
• Si basano sull’assunzione che fra i partecipanti a un’interazione comunicativa viga un
‘principio di cooperazione’
• Sono riunibili in quattro categorie:
Quantità (‘dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto’, che non rechi
troppa informazione ma nemmeno troppo poca),
Qualità (‘dare un contributo che sia vero’, o il più possibile verificabile),
Relazione (‘essere pertinenti’)
Modo (‘esprimersi chiaramente’, evitando per quanto possibile oscurità, ambiguità,
confusione, prolissità).
• La violazione di una o più massime genera, sulla base di un principio di implicazione,
‘implicature conversazionali’ che trasmettono comunque il significato voluto.
Deissi
• Col termine di ‘deissi’(dal greco deîxis, da deîknymi “indicare”) si designa la proprietà
di una parte dei segni linguistici di indicare, o far riferimento a, cose o elementi
presenti nella situazione extralinguistica e in particolare nello spazio o nel tempo in
cui essa si situa, in maniera tale che l’interpretazione specifica di ciò a cui il segno si
riferisce dipende interamente dalla situazione di enunciazione.
Non posso identificare, per esempio, chi sia tu o a che giorno specifico si riferisca ieri
o quale luogo indichi là, se non facendo riferimento ad uno specifico contesto
situazionale in cui tali parole vengono utilizzate.
Ieri può essere il 12 marzo 1996, il 23 febbraio 1865, il 5 luglio 1539, il 7 settembre
2010, o qualunque altro giorno: dipende da quando dico ieri; ieri vuol infatti dire “il
giorno prima di questo (in cui parlo, o scrivo)”.
• Vi sono tre tipi principali di deissi: deissi personale, deissi spaziale, e deissi temporale.
Deissi
• La deissi personale codifica il riferimento al parlante, all’interlocutore e alle terze persone
e che ha come centro il parlante stesso, chi dice io in una determinata situazione;
Esprimono deissi personale i pronomi personali (io, tu, lui, lei, noi, voi, loro, ecc.), le
persone verbali, i possessivi (mio, tuo, suo, ecc.).
• La deissi spaziale codifica le posizioni delle entità chiamate in causa rispetto al luogo in cui
si trovano i partecipanti all’interazione
Esprimono deissi spaziale i dimostrativi (questo, quello, ecc.), avverbi di luogo (qui, qua, là,
ecc.), verbi come venire, ed espressioni come a destra, a sinistra, in alto, dal lato opposto,
eccetera.
• Fra i deittici spaziali si possono distinguere le due sottoclassi dei deittici prossimali, che
indicano prossimità, vicinanza, rispetto all’origine del riferimento spaziale, cioè chi sta
parlando (questo, qui, ecc.); e dei deittici distali, che indicano invece distanza, lontananza
(quello, là, ecc.).
Deissi
• La deissi temporale codifica e specifica la localizzazione degli eventi nel tempo rispetto
al momento dell’enunciazione;
• È espressa da avverbi come oggi, ieri, domani, adesso, subito, ecc., dai tempi verbali e
da sintagmi come dieci anni/due mesi fa, fra tre settimane/cinque anni, eccetera.
• Molte delle espressioni deittiche, in particolare temporali, possono essere ‘tradotte’ in
una corrispondente espressione non deittica, e viceversa: ieri = il giorno prima, dieci
anni fa = dieci anni prima.
• Si parla per estensione anche di deissi sociale, per designare gli elementi allocutivi,
usati per codificare le relazioni sociali dei partecipanti all’interazione, come in italiano i
pronomi tu e Lei, in francese tu e vous, in tedesco du “tu” e Sie “loro”, ecc., e in altre
lingue anche i fenomeni della cortesia.
• La deissi àncora quindi nel complesso i messaggi prodotti alla situazione di
enunciazione, ed è particolarmente rilevante nella lingua parlata.
Segnali discorsivi
• I segnali discorsivi (o marcatori pragmatici/del discorso) sono
elementi estranei alla strutturazione sintattica della frase che
svolgono il compito di esplicitare l’articolazione interna del discorso,
come allora, senti, guardi, così, no?, insomma, cioè, sai, infine, anzitut
to, basta, in primo luogo, scusa, diciamo, eccetera.
• Meccanismi anaforici e segnali discorsivi contribuiscono, assieme ad
altri dispositivi a cui qui non accenniamo, a conferire ‘coesione’ al
testo, istituendovi una rete di collegamenti al di là dei confini delle
singole frasi.
Tabella dei segnali discorsivi (Bazzanella)