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Linguistica generale 9 CFU

a.a. 2020-21
Prof. Antonio Perri
antonio.perri@docenti.unisob.na.it; perrimessico@gmail.com;
perrimessico@libero.it
Facoltà di Lettere
Corso di Laurea in Lingue e culture moderne
Orari delle lezioni: martedì 10:30-13:30 (in presenza)
venerdì 17:00-18:30
15:30-18:30 (dal 13/11)
Semantica: ragioni del ritardo e scarsa unitarietà del metodo

La semantica è stata perlopiù trascurata dalla ricerca linguistica del XIX secolo, e
tale disinteresse relativo è durato sino alla metà del XX secolo. Per spiegarlo è
necessario citare una serie di motivazioni, di natura metodologica ed
epistemologica:
1. assenza di “materialità” nei fenomeni semantici, e difficile inquadramento nei
termini di una disciplina scientifica “positiva”;
2. assenza di una precisa delimitazione della porzione linguistica del
significato, ed eccessiva polisemia del termine che assume specifiche accezioni
gnoseologiche, filosofiche, psicologiche ecc.
3. carattere intrinsecamente problematico del livello semantico nell’ambito
della struttura linguistica, per la sua (reale o apparente) natura di “interfaccia” tra
linguaggio e realtà extralinguistica.
4. avversione e rifiuto degli approcci “psicologisti” ai fenomeni linguistici, e
conseguente difficoltà nell’affrontare un ambito di studio caratterizzato a lungo
da una impostazione individualistica e/o psicologista.
Che cos’è il significato?

La domanda centrale della semantica, “Che cos’è il significato?” rinvia dunque,


logicamente, a un’altra domanda: “Che cos’è il segno?”
[Ma…] se la definizione di significato implica quella di segno, la definizione di
segno implica, a sua volta, quella di significato. Non sappiamo cos’è il significato
se non sappiamo cos’è il segno; ma non possiamo stabilire che cos’è il segno se
non sappiamo già cos’è il significato.
[…] L’errore che accomuna tutto il pensiero linguistico, con ben poche e isolate
eccezioni, fino alle soglie del Novecento [… consiste] in un eccesso di fiducia […]
nelle virtù semantiche delle forme linguistiche e del linguaggio.
[…] In realtà le forme linguistiche non hanno alcuna intrinseca capacità
semantica: esse sono strumenti, espedienti, più o meno ingegnosi, senza vita e
valore fuori delle mani dell’uomo… In altri termini, l’errore sta nell’affermare e
nel credere che le parole o le frasi significhino qualche cosa: solo gli uomini,
invece, mediante le frasi e le parole significano.
Non nelle forme linguistiche in se stesse, ma nelle società che le adoperano sta la
garanzia del significare e del comunicare.

Tullio De Mauro
Il triangolo di Ogden e Richards

SIGNIFICATO

esprime è la percezione soggettiva di

PAROLA denota o nomina REFERENTE

Rapporti di
Significante
Significato } DESIGNAZIONE
OGGETTO

significazione
Significante
Significato } DESIGNAZIONE
OGGETTO
Significazione e valore (vs designazione)

La significazione è un concetto relazionale. Essa definisce il rapporto tra


espressione e contenuto che forma il segno come unità , ma individua anche le
relazioni pure sul piano del contenuto (i rapporti reciproci e posizionali tra
significati).
La designazione è invece il rapporto tra segni linguistici e “oggetti” della realtà
extralinguistica (che in un’ottica semiotica NON si danno mai come tali, ma
sono il risultato dell’attività formativa della lingua e della semiosi percettiva
che “costruisce” il mondo naturale). Ecco perché l’affermazione “la realtà è
sempre identica” può essere sostanzialmente accolta, ma aggiungendovi un
distinguo: il modo di conoscerla e denominarla varia da lingua a lingua.
Nei testi-discorsi osserviamo immediatamente la denotazione o designazione,
ma essa non è costante, al contrario dei rapporti di significazione che sono un
fatto di langue (o di sistema): possiamo avere denotazioni multiple di una
stessa entità extralinguistica, e anche denotazioni metaforiche. Inoltre, la
designazione va distinta dal concreto atto di riferimento: la prima è di natura
lessicale (si designa una classe concettuale), mentre il secondo fa riferimento
ad oggetti concreti in ogni singola enunciazione contestualizzata.
Denotazione vs connotazione

Sebbene spesso si pensi alle “associazioni” o “connotazioni” come a componenti


soggettive o affettive del significato, Hjelmslev ha formulato una nozione formale
del termine connotazione che ha un valore normativo sociale poiché comprende
fra l’altro:
• forme stilistiche e valori espressivi
• valori di stile
• mezzi
• registri e idiomi: vernacoli, lingue nazionali, lingue regionali, fisionomie…
Il significato connotativo è frutto di apprezzamenti collettivi (affettivi, sociali o
pragmatici)

E C

connotazione
E C

E [E R C] R C

denotazione
Metafora, metonimia e presupposizione
Ogni lingua prevede potenziali processi di ‘estensione’ del significato di elementi
lessicali che fanno appello a procedimenti retorico-culturali come la metafora (ad
es. leone per ‘individuo coraggioso’) e la metonimia (ad es. mano per ‘giro di carte’
o ‘strato di vernice’).
La semantica interpretativa, che fonda il suo approccio su una concezione
semiologica della lingua come insieme vago e flessibile, registra come parte del
significato contestuale dei termini lessicali anche i c.d. fenomeni di presupposizione,
sia di tipo lessicale (ad es. pulire presuppone che la stanza fosse precedentemente
sporca, come dimostra il test di negazione che non elimina la presupposizione).
Vi sono casi che sembrano resistere al test di negazione: ad es. il verbo farcela in
/Giovanni ce l’ha fatta a prendere il treno/ presuppone che l’abbia preso,
mentre /Giovanni non ce l’ha fatta a prendere il treno/ che NON l’abbia preso. Ma
in questo caso la presupposizione è relativa solo all’intenzione di compiere
qualcosa di difficile (e questa intenzione viene mantenuta, ad esempio, nel caso
della frase /ce l’hai fatta a romperlo!/ rivolta dalla madre al figlio che ha appena
rotto il vetro di una finestra: ponendo la presupposizione dell’intenzionalità ,
quest’espressione ottiene l’effetto pragmatico di colpevolizzare la persona cui è
rivolta). Secondo Eco, così, alla base della felicità pragmatica di un atto linguistico
bisogna porre condizioni di liceità fondate su basi semantiche di natura
enciclopedica e inferenziale.
Teorie del significato: semantica referenziale

In ambito linguistico, filosofico, logico e psicologico sono state elaborate


nel corso dell’ultimo secolo diverse teorie sulla natura del significato
linguistico, nozione come si è visto estremamente complessa e
articolata. Per ciò che attiene al significato delle parole o semantica
lessicale (ma tutte le ipotesi trovano anche un’applicazione al livello
superiore ovvero la semantica di frase) si può individuare anzitutto
una teoria referenziale di impianto logico-filosofico, formulata da alcuni
logici e filosofi quali Carnap, Frege e Wittgenstein (il quale, assieme ad
altri filosofi della c.d. teoria degli atti linguistici, l’avrebbe poi
abbandonata a profitto di una teoria pragmatica non formale). Questa
concezione si basa sul principio del riferimento (nelle modalità della
denotazione e della designazione), e ha un orientamento logico,
verocondizionale ed “esternalista” del tutto inadatto per analizzare in
modo soddisfacente la semantica di una lingua naturale (ovvero non
formalizzata alla luce di postulati di significato).
Teorie del significato: semantica concettuale (o cognitiva)

Secondo la teoria mentalista o concettuale il riferimento è mediato da


immagini mentali o concetti, che non rispecchiano semplicemente la realtà
ma in certo senso la “costruiscono”.
Si spiega così la possibilità di parlare di entità inesistenti, astratte,
ipotetiche ecc., o quella di poter fornire/articolare più espressioni
linguistiche di un medesimo evento. Ma non le parole non sono soltanto
associate a un concetto; per i cognitivisti, infatti:
a) i significati hanno dimensione psicologica;
b) I significati sono il prodotto di esperienze fisico-percettive;
c) è possibile identificare significato e concetto.
I concetti, comunque, vanno in qualche maniera distinti dai significati
propriamente linguistici: si ritiene che i concetti possano essere
semplicemente cognitivi e dunque instabili, labili e disomogenei oppure
lessicali, “ancorati” a un significante pubblico, condiviso socialmente e
dunque più stabili (ma culturalmente relativi).
Teorie del significato: la semantica strutturale

La teoria strutturale del significato si basa sulla natura relazione del


valore linguistico, dunque sulla struttura e articolazione interna di
ciascun determinato campo semantico o lessicale e sulla possibilità di
analizzare il significato di ogni parola in tratti semantici di numero
finito, gerarchicamente ordinati entro ciascuna unità lessicale.
Essa ha teso a costruire la semantica come una disciplina
tendenzialmente autonoma dalla psicologia e dalla teoria del
riferimento, anche se ha palesato difficoltà notevoli nello spiegare il
modo in cui la struttura linguistica diviene interfaccia con il mondo
naturale e ne viene influenzata.
L’analisi si è concentrata sulle strutture paradigmatiche, o meglio
sull’organizzazione del lessico entro il sistema della lingua,
individuando principi di relazione specifici che caratterizzano
l’articolazione dei rapporti fra parole.
Teorie del significato: la semantica dei prototipi

Uno sviluppo promettente (ma controverso) della teoria mentalista o


concettuale è la teoria basata sulla nozione di prototipo.
I concetti o categorie prototipiche, infatti, sono molto più flessibili di quelli
riconducibili alle categorie concettuali tradizionali e danno ragione della
polisemia delle parole:
1) una categoria non è definita da un insieme chiuso di proprietà necessarie
e sufficienti ma da un insieme di tratti variabili e di valore continuo, che
non si identificano con la logica binaria “presenza/assenza” dei modelli
classici;
2) le categorie hanno confini vaghi (in inglese si parla di fuzzy concepts e fuzzy
logic, ossia ‘logica dei concetti sfumati’);i membri si collocano entro un
continuum, con casi in cui l’appartenenza alla categoria è chiara (un passero è
un uccello; un’ape non lo è) ma con zone “di frontiera” in cui l’appartenenza
categoriale è confusa (i pinguini sono uccelli, ma ‘un po’ meno uccelli’ di altri
membri più prototipici della categoria);
3) le categorie hanno una struttura interna, poiché contengono appunto
membri più tipici e ‘focali’ di altri
Cfr. ad es. il significato di parole come sedia o camminare, difficilmente
riducibili a una ‘stringa’ di tratti semantici necessari e sufficienti.
Teorie del significato: la semantica distribuzionale

La teoria semantica distribuzionale, fondata sulle intuizioni del


distribuzionalismo degli anni ’50, recupera l’idea che l’insieme di
contesti di occorrenza di una parola ne caratterizzi il significato (in
modo simile alla procedura strutturale-relazionale, ma con
un’esclusività quasi totale attribuita ai rapporti sintagmatici).
Oggi, con i corpora di parlato, è possibile calcolare i contesti
distribuzionali automaticamente e costruire un word-space model: in
base a una metafora spaziale, il significato di una parola è un luogo in
uno spazio concettuale, e la somiglianza tra parole si “misura” in base
alla vicinanza nello spazio rappresentato. I contesti (= co-testi, per lo
più ) sono codificati come vettori a n dimensioni, e da un punto di
vista relazionale i vettori di parole con distribuzioni simili
tenderanno a coincidere (chiarendo così su basi formali il concetto
intuitivo di “somiglianza semantica”).
Principio di composizionalità e teorie dinamiche
della significazione

Il principio di composizionalità, elaborato in ambito logico-linguistico


da Frege, è stato a lungo invocato per spiegare come a partire dalle
parole si formi il significato delle frasi a seguito di una sorta di
“calcolo” (in realtà alquanto difficile, posto che la contestualità, la
vaghezza e la polisemia intrinseci alle unità del lessico rendono non
interamente calcolabile il significato stesso).
Le teorie che tentano di porre rimedio all’inadeguatezza del principio si fondano
su due modi diversi di costruire sintagmaticamente il significato:
1) le teorie basate sulle enumerazioni dei sensi (e delle restrizioni alla
combinazione, adottate dalle semantiche strutturali e dalle teorie
semantiche nate nell’ambito del generativismo);
2) le teorie che si fondano su una concezione dinamica del significato
(formulate in ambito linguistico e semiotico) secondo cui le parole sono
entità plastiche, permeabili e “interattive” il cui senso si costruisce o
“genera” in base alla combinazione sintagmatica con altre parole
(covariabilità semantica).

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