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PRAGMATICA LINGUISTICA

CAPITOLO 1: DARE UN NOME ALLE COSE


I nomi le espressioni nominali in generale possono avere due tipi di funzioni, quella allocutiva e quella
referenziale. La funzione allocutiva è quella che si usa per richiamare l’attenzione dell’interlocutore,
per instaurare o consolidare il legame discorsivo fra parlante ed interlocutore. Quella referenziale invece
è quella che si usa per evocare nel discorso elementi della realtà. Naturalmente esistono più utilizzi per
quanto riguarda le espressioni nominali, abbiamo infatti anche la funzione attributiva e predicativa
quando l’intento non è attivare un referente testuale, bensì qualificarne uno attribuendogli delle proprietà.
Per quanto riguarda le espressioni referenziali, ne abbiamo a disposizione tre tipi fondamentali:
-Nomi comuni: che fanno riferimento a classi di oggetti accomunati da qualche proprietà, sono detti
anche descrittori, per poterli utilizzare correttamente bisogna conoscerne il significato intensionale ed
estensionale.
-Nomi propri: questi invece evocano direttamente uno specifico individuo, non hanno significato
intensionale, il loro significato coincide semplicemente con il referente.
-Indicali: gli indicali sono coloro che non rimandano a caratteristiche del referente bensì danno
informazioni su di esso, sul tipo denotato (caratteristiche del referente) e su elementi contestuali rispetto
a cui si origina la relazione fra tale elemento ed il referente indicato (ex: oggi, lì, domani). In questo tipo
di espressioni i modi per ricorrere al contesto per l’interpretazione del riferimento si trovano
nell’espressione stessa.

LE COMPETENZE LESSICALI
Abbiamo visto come per poter attribuire un termine generale ad un oggetto si faccia riferimento a due
livelli di conoscenze: intensionale ed estensionale. La nozione di tratto semantico è stata ideata per
isolare le diverse componenti del significato intensionale di un termine poiché purtroppo non descrive
molto bene la competenza lessicale del parlante. Infatti parlanti diversi possono avere competenze
lessicali ben diverse riguardo all’insieme dei tratti semantici, d’altronde, anche l’estensione di un termine
non è stabile in una comunità di parlanti. E ciò può dipendere da una diversa competenza sull’insieme
dei tratti intensionali. Questa diversità si riflette pertanto sull’estensione possibile del termine. Capiamo
facilmente dunque, che le due conoscenze non possono procedere congiuntamente e sarebbe giusto
identificarle come indipendenti che delineano due aspetti della competenza lessicale. Le lingue mettono
disposizione un’ampia gamma di espressioni referenziali. La loro scelta è legata a vari fattori, il primo di
essi è l’accessibilità:
-L’accessibilità può segnalare quanto un referente è identificabile in modo univoco per i parlanti e
quanto è presente all’attenzione dei parlanti in un dato momento del discorso, rispettivamente
identificabilità e attivazione di un referente.
L’accessibilità di un referente dipende inoltre dalle diverse componenti di conoscenza a disposizione
dei parlanti in uno scambio comunicativo.
Le espressioni referenziali possono segnalare il rapporto esistente fra il parlante ed il referente,
attraverso la scelta di un descrittore un parlante sceglie quali tratti connotativi del referente attivare. Il
parlante inoltre può segnalare il rapporto che lo lega al referente anche attraverso il sistema degli
indicali, ad esempio attraverso l’uso del genere o dei pronomi personali per esprimere maggiore o
minore empatia con il referente. Infine il modo di usare le espressioni referenziali nel dialogo può essere
funzionale a segnalare mosse comunicative particolari durante il discorso, per esempio la ripetizione di
un’espressione, da parte del parlante, può segnalare che si sta controllando di aver identificato bene un
referente.

CAPITOLO 2: ORIENTARSI NEL CONTESTO


Per quanto riguarda questo capitolo partiremo col definire la nozione di “deissi”, definiamo deissi il
fenomeno per cui il riferimento di alcune espressioni linguistiche indicali è vincolato dalle coordinate
della situazione in cui avviene l’evento comunicativo. Abbiamo tre tipi di deissi, quella personale,
spaziale e temporale. Ogni espressione deittica ha un sistema di coordinate detto “campo indicale” ed
un centro detto “origo”. La deissi personale indica i referenti in base al loro ruolo nell’evento
comunicativo, ha come origo il mittente del messaggio e si manifesta in sistemi di morfemi liberi come i
possessivi o i pronomi personali. La deissi spaziale organizza lo spazio rispetto alla posizione dei
partecipanti ad un evento comunicativo, nella deissi spaziale l’origo coincide con la posizione occupata
dal parlante mentre proferisce il suo discorso, si manifesta attraverso il sistema dei dimostrativi, gli
avverbi “qui” e “lì” ed alcuni verbi come “venire” ed “andare”. La deissi temporale invece colloca nel
tempo gli eventi rispetto al momento dell’evento comunicativo, l’origo coincide con il momento in cui il
parlante proferisce il suo discorso e si manifesta attraverso alcuni avverbi come “ieri” ed alcune
espressioni avverbiali ed aggettivi.
LA DEISSI SOCIALE
Nel campo delle relazioni deittiche è stata inoltre individuata la deissi sociale che si riferirebbe alla
segnalazione dei rapporti sociali reciproci esistenti fra gli interlocutori, una manifestazione potrebbe
esserne l’alternanza dell’uso del “tu” e de “lei”, un campo in cui sembrano esistere enormi differenze tra
sistemi linguistici diversi.

LA DEISSI TESTUALE
Riportiamo qui di seguito inoltre anche la deissi testuale che, fa ricorso a coordinate di tipo spaziale e
temporale ma si serve di un campo indicale particolare, un testo viene perciò trattato come se fosse un
luogo fisico in cui gli interlocutori possono spostarsi liberamente. Infatti l’origo non è il tempo ed il luogo
del lettore, ma il tempo ed il luogo del testo.
Nel riportare un discorso altrui si può optare per mantenere i campi indicali originari attraverso il discorso
diretto, oppure per un traslazione dei campi indicali attraverso il discorso indiretto. La traslazione di un
campo indicale avviene perché durante una conversazione il centro deittico dei vari campi indicali
cambia continuamente, dato che ognuno adotta come origo sé stesso. Molto importante è anche la
deissi fantasmatica, che si verifica quando i campi indicali evocati non hanno come origo quello in cui
avviene o è effettivamente avvenuto l’evento comunicativo.

ANAFORA
Il fenomeno per cui il riferimento di un’espressione linguistica è vincolato a quello di un’altra espressione
del discorso (antecedente) è detto anafora. Le lingue in genere possiedono diverse classi di espressioni
che in genere vengono utilizzate per il rimando anaforico, aggettivi come “precedente”, “successivo”,
avverbi come “dopo” ed alcuni tempi verbali composti, anche i descrittori possono instaurare relazioni di
tipo anaforico. Nell’anafora spaziale e temporale i rapporti fra antecedente e anafora sono
normalmente di ordine lineare mentre in quella personale l’espressione anaforica si riferisce allo stesso
referente del suo antecedente. Possiamo parlare anche di anafora cosignificante, quando il referente
fa riferimento solo al significato intensionale del suo antecedente, e di anafora referenziale, quando
l’elemento antecedente introduce il quadro di riferimento grazie al quale il referente viene interpretato.
Ex: Imbavagliate Sabine e Birillo. Poi rapitelo (rapite Birillo)
Possiamo inoltre aggiungere come spesso l’interpretazione delle relazioni anaforiche può far leva inoltre
su principi morfosintattici, semantici o pragmatici
Ex: Ho comprato una nuova penna. Se ti serve puoi usarla (la penna).
O dalla conoscenza del significato intensionale dei descrittori
Ex: C’era un leone sul ponte. Dovrebbero catturarlo quell’animale, è pericoloso (animale è iperonimo di
leone).
Infine le relazioni messe in campo da deissi ed anafora possono essere sfruttate anche per segnalare un
atteggiamento emotivo del parlante verso l’ascoltatore, a questi usi si attribuisce il nome di deissi
empatica. Si manifesta ad esempio attraverso le relazioni di vicinanza e di lontananza espresse dai
dimostrativi.

CAPITOLO 3: L’ENUNCIATO COME INFORMAZIONE


Abbiamo detto che le espressioni referenziali hanno come contenuto semantico individui ed oggetti, gli
enunciati invece hanno come contenuto semantico situazioni, eventi o stati di cose validi per certi
referenti e circostanze. Come agli stessi referenti ci si può riferire con espressioni referenziali diverse,
uno stesso stato di cose può essere espresso attraverso enunciati diversi e la forma che assume in un
discorso, struttura informativa, dipende dal modo in cui l’enunciato si inserisce nel modello discorso in
atto.
Ex:
-Ho tanta voglia di fare la rinuncia agli studi
-Tu fai quello che ti pare, io la rinuncia agli studi la faccio

DINAMISMO COMUNICATIVO
Nella forma che un enunciato assume agiscono principi attinenti al modo in cui l’informazione è
organizzata, a questo proposito si parla di dinamismo comunicativo, il minimo dinamismo
comunicativo è dato dagli elementi noti e già condivisi, il massimo dinamismo comunicativo è dato
invece dagli elementi nuovi e non condivisi che costituiscono il vero obiettivo comunicativo. Le lingue
possiedono mezzi diversi per variare la loro struttura informativa in conformità alla variazione del
dinamismo comunicativo, in generale, nel trasmettere un’informazione il parlante procederebbe secondo
un crescendo partendo dai dati condivisi per poi terminare con quelli più controversi e non condivisi.
In quest’ottica la prosodia ha un’importanza non trascurabile, i parlanti tendono infatti a segnalare con
un accento più forte la parte di enunciato con maggior dinamismo comunicativo.

FOCUS
Si definisce focus la parte di enunciato con maggior grado di dinamismo comunicativo, ed è
normalmente collocato alla fine dell’enunciato e segnalato da un accento più rilevato, è infatti la
porzione fondamentale di un enunciato. Possiamo definire due tipi di focus, quello completivo e quello
contrastivo. Il focus completivo corrisponde ad un’informazione focale nuova,
Ex:
- Hai scritto alla tipa Ale?
-No
Il focus contrastivo invece corrisponde ad un’informazione che non va solamente aggiunta al discorso
ma va anche scelta fra vari candidati evocati nel discorso.
Ex:
Lo dici tu o glielo dico io ad Ale di scrivere alla tipa?
Da un punto di vista informativo dunque un focus completivo aggiunge un’informazione mentre un
focus contrastivo fornisce un’informazione segnalando in che modo una precedente nel discorso vada
modificata. In certi casi si parla anche di focus contropresupposizionale, quando un focus contrastivo
segnala ad un interlocutore che un parlante deve cancellare dal suo modello di discorso una convinzione
implicita nella sua domanda.

TOPIC
Con topic, o tema, si intende l’elemento informativo che il parlante intende come argomento
dell’enunciato, il ruolo di soggetto, ad esempio, è un buon candidato al ruolo topicale.
Candidati al ruolo topicale spesso sono anche gli elementi che vengono posti all’inizio della frase,
Ex: Birillo è un cane molto bello
Ex: A proposito della padrona, quella un po’ meno
Introdotti da “a proposito di”, “per quanto riguarda” … il topic dunque rappresenta ciò di cui vuole
parlare il parlante e rappresenta inoltre il punto di partenza di un enunciato; come tale, l’elemento
topicale ha basso dinamismo comunicativo poiché sia in generale un elemento noto e già attivo nel
discorso. A questo punto individuiamo anche l’antitopic, che ha la funzione di attualizzare o
riattualizzare un topic che il parlante ritiene possa non essere attivo nel momento attuale del modello del
discorso.
Ex: L’hai portata dal meccanico, la tua macchina?
La macchina fa riferimento ad un topic del discorso accessibile ma non attivo in quel momento di
discorso in atto.

TIPI DI FRASE E STRUTTURA INFORMATIVA


Sulla base delle due funzioni di focus e di topic che abbiamo appena descritto si possono individuare
strutture informative fondamentali ricorrenti in lingue diverse:
-Enunciato presentativo, introduce nel discorso un nuovo referente che potrà poi diventare il topic
Ex: Finalmente Gianni si è fatto vivo;
-Enunciato predicativo, da informazioni a proposito di un referente identificabile come topic
Ex: Il micio è ancora di sotto che gioca?
-Enunciato eventivo, informa sull’accadere di un evento introducendolo come nuovo nella sua interezza
Ex: Ho scelto che chitarra mi comprerò (avecce li sordi);
-Enunciato identificativo, vuole identificare il referente appropriato di una relazione predicativa
Ex: Ha rotto lui la tazza?
Ogni lingua ha dunque mezzi specifici per segnalare la struttura informativa degli enunciati, ma non
esiste sempre una corrispondenza biunivoca fra articolazione informativa dell’enunciato e mezzi
espressivi che la segnalano
CAPITOLO 4:
L’ENUNCIATO COME AZIONE: CIO’ CHE SI DICE E CIO’ CHE SI FA
Chiamiamo asserzioni, le domande, le promesse, le richieste e le scommesse atti linguistici, in quanto
attività che il parlante compie con l’intento di produrre nell’interlocutore una reazione. Le teoria degli atti
linguistici ci dice che il linguaggio va analizzato come uno strumento d’azione e lo studio degli enunciati
non può prescindere questo punto di partenza. John Austin a riflettere sul fatto che trasmettere
informazioni non è l’unica azione che si può compiere con un linguaggio. La sua riflessione è partita
osservando alcuni verbi, chiamati verbi performativi.

STRUTTURA DI UN ATTO LINGUISTICO


Quando un parlante preferisce l'enunciato, agisce contemporaneamente a diversi livelli:
• A livello locutorio: nel parlare si produce una sequenza di suoni (esempio: “Mi fa male la gamba” -
produco la sequenza di suoni /mifa’male la’gamba/
• A livello locutivo: nel parlare si esprimono significati, ovvero si fa riferimento a individui, eventi e
situazioni. (Esempio: “Mi fa male la gamba” - “in un intervallo di tempo che comprende il momento
attuale colui che parla prova dolore a uno degli arti inferiori”).
• A livello illocutivo: nel parlare si manifestano intenzioni e si perseguono scopi. L'intenzione di un
parlante nel proferire uno qualunque degli enunciati può essere quella di trasmettere un’informazione.
• A livello perlocutivo: parlando si provocano delle conseguenze, che possono essere di tipo verbale
o meno. Gli effetti di un atto linguistico possono non corrispondere alle intenzioni manifestate a livello
illocutivo.

Una frase è oggetto di studi della semantica e della sintassi. Un enunciato, prodotto da un parlante in un
contesto per determinati scopi, è una conseguenza verbale usata per un atto linguistico. Come tale, è
dotato di significato in quanto dotato di scopi e intenzioni e capace di produrre degli effetti.

TIPI DI ATTO LINGUISTICO


Il modello proposto da Searle individua cinque tipi fondamentali di atto linguistico. Ogni tipo di atto
linguistico è caratterizzato da una specifica forza illocutiva; ovvero da una diversa relazione fra lo stato
di cose oggetto della frase e il tipo di azioni che il parlante intende seguire a proposito di esso:
• Atti assertivi: il parlante si impegna sulla verità di uno stato di cose (dire, concludere, affermare);
• Atti espressivi: il parlante esprime un proprio stato d'animo all’ascoltatore (ringraziare,rammaricarsi,
scusarsi);
• Atti commissivi: il parlante si impegna sulla realizzazione di un futuro stato di cose (offrire,
promettere, minacciare);
• Atti direttivi: il parlante chiede all'ascoltatore di impegnarsi a proposito di uno stato di cose (chiedere,
consigliare, domandare);
• Atti dichiarativi: il parlante conduce un cambiamento della realtà corrispondente al contenuto locutivo
dell'atto stesso (condannare, battezzare, promuovere).
I parlanti hanno a disposizione i mezzi espressivi diversi per segnalare la forza illocutiva di un enunciato.
I mezzi più frequentemente adoperati a questo scopo sono:
-a livello lessicale: verbi performativi e avverbi modali;
-a livello morfologico: la modalità verbale;
-a livello prosodico: l’intonazione.

CONDIZIONE DI FELICITA’
La teoria degli atti linguistici ha fra i propri obiettivi la definizione di una “grammatica” degli atti linguistici,
ovvero la definizione delle condizioni alle quali ciascuno di essi è "e ben costruito", cioè accettabile per il
suo destinatario: tali condizioni di felicità e dipendono dal tipo di atto. Si tratta di atti altamente
convenzionali, che prevedono che siano eseguiti secondo precisi rituali.
Tutti gli atti sono vincolati a regole.

ASSERZIONI
Con un'asserzione un parlante dichiara che un certo stato di cose è vero; con un'asserzione un parlante
si impegna sulla verità di uno stato di cose. Un enunciato dichiarativo è accettabile per il suo destinatario
se la verità dello stato di cose cui fa riferimento è plausibile, cioè se non è smentito dall'informazione in
possesso dal destinatario. In un atto assertivo ci si aspetta che il parlante dica ciò che sia vero.
DOMANDE E RICHIESTE
Con una richiesta un parlante chiama in causa l’interlocutore perché si impegni su un certo stato di
cose. Condizione necessaria per l’esecuzione felice è che l'interlocutore abbia la possibilità di fare ciò
che gli è domandato (“torna subito giovane” è un’esecuzione infelice). Osserviamo che il fatto che un
atto non sia felice non significa che esso non venga mai eseguito nella realtà. Possiamo descrivere i casi
di richiesta di cose impossibili come uso inappropriato del linguaggio da parte di chi richiede.
Diverso dalla richiesta è l'atto della domanda, cioè interrogare l'interlocutore sulla verità di uno stato di
cose. Fra le condizioni di felicità di un atto di domanda sono la non conoscenza da parte del parlante
dell'informazione richiesta e la supposizione da parte sua che l'interlocutore ne sia invece a
conoscenza. L'atto di domanda è frequentemente adottato come mezzo per esprimere indirettamente
una richiesta.

FORZA ILLOCUTIVA E STRUTTURA INFORMATIVA


La forza illocutiva di un enunciato interagisce con la sua struttura informativa, in quanto essa si
applica all'articolazione focale. In un’asserzione, ciò sulla cui verità il parlante si impegna e la validità
della connessione fra il focus e il background, mentre tutto ciò che non è in focus resta escluso da tale
assunzione di impegno.

ATTI LINGUISTICI DIRETTI E INDIRETTI


La corrispondenza tra funzione linguistica e mezzi espressivi non è biunivoca e rigida. Uno
stesso profilo intonativo può essere usato per un'asserzione enfatica e per un ordine, ma
l’interlocutore è in grado di recepire la diversa porse illocutiva dei due enunciati: -Eccoli!
-Smettila!
Un parlante può servirsi di un mezzo espressivo normalmente associato ad una certa forza illocutiva per
esprimere, in modo indiretto, una diversa forza illocutiva.
Esempio: “Scommetto che ti sei dimenticato”:
Il parlante molto probabilmente non intende scommettere, ma piuttosto intende asserire qualcosa come
“sono sicuro che ti sei dimenticato.
Atti linguistici in cui la forza illocutiva è espressa in modo traslato sono detti “atti linguistici indiretti”.
L’uso di atti linguistici indiretti può essere altamente codificato in una lingua.
L'esistenza di atti linguistici indiretti è una manifestazione della flessibilità di uso delle lingue. La
possibilità di esprimere in modo più o meno diretto una determinata forza illocutiva e culturalmente
determinata.

VERBI PERFORMATIVI
Possiamo esplicitare il tipo di azione che un parlante esegue nel proferire un enunciato usando dei verbi
che qualificano l'azione verbale compiuta.
Esempi:
-prometto che farò il bravo;
-scommetto venti euro che domani vinciamo
Con il fatto stesso di dire "prometto" un parlante segue una promessa: l'azione di promettere è di per sé
realizzata per il fatto stesso di aver usato la forma “prometto” (lo stesso con “scommetto”). I verbi come
promettere, informare, chiedere, scommettere che realizzano un'azione linguistica sono detti verbi
performativi. Solo in specifiche forme e circostanze un verbo performativo ha queste proprietà: quanto
detto per la forma “prometto”, non vale per le forme “ho promesso” e “promette”.
La constatazione dell'esistenza di verbi con queste caratteristiche aperto la strada all'idea che parlare è
un mezzo per agire, o più precisamente all'idea che ci sono azioni che si eseguono principalmente
attraverso il linguaggio. Le azioni che si compiono attraverso il linguaggio possono anche essere
eseguite attraverso altri mezzi comunicativi (esempio: posso scusarmi chinando la testa con aria
contrita).
Il linguaggio verbale sembra comunque essere il mezzo più efficiente e versatile per eseguire questi
azioni.

CAPITOLO 5: CIÒ CHE SI DICE E CIÒ CHE SI INTENDE DIRE


LE INFERENZE
Nell’asserire affermano la nostra convinzione sulla verità di particolati fatti e situazioni; le informazioni
che via via si trasmettono attraverso le asserzioni di enunciati vengono connesse fra loro e all’interno di
un modello discorso. La comprensione di un enunciato pu portare gli interlocutori ad assumere per
valide informazioni supplementari; queste informazioni supplementari vengono chiamate inferenze.
Le inferenze sono tutte quelle informazioni che non derivano dall’enunciato linguistico ma stanno alla
base e che vengono interpretate dall’ascoltatore.
La produzione delle inferenze è dunque il risultato dell’attività di comprensione e interpretazione, da
parte dell’ascoltatore, degli indizi presenti nel modello di discorso in atto.
Esse possono scaturire da:
• cotesto;
• conoscenza del linguaggio;
• intonazione;
• espressione facciale;
• conoscenza del mondo.

Alcune inferenze sono trattate come ipotesi, altre inferenze invece scaturiscono necessariamente da un
enunciato, cioè non sono cancellabili: chiamiamo queste inferenze obbligatorie, conseguenze.
Se il fatto di usare una certa parola o espressione in un enunciato produce un’inferenza non cancellabile
evidentemente quell’inferenza è parte del significato dell’espressione stessa. Sono studiate le
conseguenze che si producono a oratore da alcune costruzioni sintattiche, ad esempio le subordinazioni.
L’uso di alcuni verbi produce come conseguenza la validità (verbi fattivi) o non validità (verbi contro
fattivi). Non possono essere cancellate a meno che esse non vengano smentite.
Ma non tutte le inferenze che scaturiscono da un enunciato vengono cancellate della sua smentita. Si
dice presupposizione un’inferenza che resta valida tanto quando un enunciato è asserito tanto quanto
viene smentito. Le presupposizioni costituiscono le informazioni di sfondo sui quali si costruisce
l’informazione asserita. Possono avere diversa origine:
• Dalle espressioni linguistiche;
• Da alcuni verbi (implicativi);
Fra le presupposizioni più studiate ci sono quelle relative all’esistenza dei referenti menzionati negli
enunciati. Si può osservare come il fatto che l’esistenza di un referente menzionato sia data per
presupposta o invece passibile di smentita dipende da vari fattori:
• Un referente definito e dato più facilmente per presupposto di un indefinito;
• La negazione di certi verbi (verbi con obiectum effectum) cancella l'esistenza del referente con il
ruolo di oggetto, mentre con altri verbi (verbi con obiectum affectum) desistenza del referente
oggetto può essere mantenuta.

La disposizione dell'informazione in focus e background serve a mettere in evidenza quali informazioni


in un enunciato solo asserite e quali sono invece presupposte.
Le informazioni di background costituiscono delle presupposizioni mentre il contenuto informativo vero
e proprio è definita dall'elemento in focus. Dunque la struttura informativa di un enunciato attiva preso
posizioni relative alla validità della porzione in background, mentre la parte vocale è quella che ha
messo in discussione; in altre parole un enunciato verte sulla parte focale, mentre la porzione di
background è presentata come condivisa o condivisibile punto di partenza.

CAPITOLO 6: LA CONVERSIONE COME AGIRE RAZIONALE


In questo capitolo ci occupiamo della teoria sul linguaggio elaborato da Paul Grice, nota come “teoria
del significato non-naturale”.
Grice sviluppa le sue riflessioni con lo scopo di esplorare alcune difficoltà che sorgono nell’analisi delle
lingue naturali e fissa nell’intenzionalità del parlante la chiave di volta della sua teoria. Si concentra
sulle nozioni di convenzione e intenzione come basi per l’interpretazione dei messaggi negli scambi
comunicativi.
Alla base del linguaggio, tradizionalmente, umano è posta la convenzionalità; ma Grice sostituisce a
questa prospettiva la nozione di intenzionalità: la produzione e comprensione dei messaggi è garantita
dalla capacità dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative degli interlocutore a partire dagli
enunciati da loro proferiti.
Il significato degli enunciati scaturisce dall’interpretazione delle intenzioni che il parlante manifesta.
Alla base della comunicazione c’è l’intenzionalità, il “significato dei parlanti”, cioè la capacità di questi
ultimi di esibire le proprie intenzioni comunicative e riconoscere quelle altrui attraverso mezzi diversi.
La comunicazione è un’attività che si svolge tra più persone, ciascuna della quali esibisce intenzioni
comunicative e cerca di interpretare quelle altrui.
Il principio di cooperazione che sta alla base della conversazione nella prospettiva di Grice è da
interpretare come una necessità costitutiva delle conversazioni: si può chiamare conversazione
un’attività dialogica in cui i parlanti cooperano per comunicare.
Dal questo principio Grice fa discendere quattro massime:
• Massima della qualità che riguarda la validità epidemica degli enunciati che vengono proferiti (si basa
sul dire la verità). Ci si aspetta che ogni parlante fornisca un contributo comunicativo nella misura in
cui ritiene che esso sia vero (richiama l’idea delle condizioni della felicità);
• Massima della quantità che consiste nel dire ciò che è necessario senza dilungarsi in informazioni
inutili e risapute. Questa massima non ci consente di definire con precisione e in astratto che cosa va
detta e non detto in uno scambio comunicativo, ma descrive un principio generale secondo cui i
parlanti si regolano nel contesto;
• Massima della relazione secondo cui i parlanti prevedono che in una conversazione si fornisca un
contributo informativo rilevante (esempio: mi sa dire l’ora? Non rispondo si o no, rispondo dicendo l’ora
poiché è un’informazione rilevante); riguarda anche i legami interni al testo.
• Massima del modo secondo cui in conversazione ci si esprime in modo da agevolare la
comprensione del proprio contribuito informativo da parte degli interlocutori (essere il più chiaro e
semplice possibile quando si esprime un’informazione).
L’intero sistema di scelta delle espressioni referenziali può essere letto come un’applicazione
congiunta della massima della quantità e del modo.

Dalle massime scaturiscono delle inferenze che Grice chiama implicazioni conversazionali, cioè
inferenze che non scaturiscono dal significato codificato convenzionalmente nelle espressioni
linguistiche, ma dal comportamento comunicativo e dalle aspettative che si hanno su di esso. Tuttavia le
implicazioni conversazionali sono cancellabili se il contesto porta a una diversa interpretazione del
comportamento del parlante.
Una combinazione di significato convenzionale e implicazioni conversazionali consente di
descrivere l'uso di determinate espressioni linguistiche che risulterebbero altrimenti di difficile
definizione.
Alcune classi di espressioni, specialmente quantificatori e connettivi, sono state studiate
sistematicamente secondo questo metodo, giungendo a generalizzazioni importanti, come quelle di
Horn e Gazdar sulle implicazioni scalari.
Si dice che i quantificatori sono ordinati in una scala informativa.
Le massime possono essere violate.
Questa violazione deve essere pero attribuita a qualche altra motivazione, ad esempio una regola i
cortesia.
Inferenze che scaturiscono dalla ricerca di una giustificazione alla violazione delle massime sono dette
implicazioni conversazionali non standard
Ci che resta valido all’interno di ogni scambio comunicativo è il principio di cooperazione; e le quattro
massime possono essere viste come metaimplicazioni generalizzate che scaturiscono dal principio di
cooperazione e possono come tali cadere in contesti specifici.

CAPITOLO 7:
LA CONVERSAZIONE COME AGIRE SOCIALE: ROUTINE E
RITUALI
La comunicazione linguistica è una fra le più importanti attività sociali umane. Come tale, essa segue
regole e persegue scopi volti alla gestione dei rapporti sociali.
Esistono scopi e regole nella gestione degli scambi comunicativi che non sembrano avere a che fare con
la comunicazione intesa come mezzo per compiere azioni, ma sembrano avere piuttosto una funzione
sociale volta alla salvaguardia delle relazioni fra i partecipanti.
Uno dei primi problemi che si sono posti all’osservazione degli scambi comunicativi reali è la necessità di
individuare delle unità di analisi.
L’unità di base è stata individuata nel turno ossia una sequenza di parole che ogni partecipante
produce in modo continuo prima che intervenga un altro. La gestione dei turni può dar vita a diversi
conflitti come:
• sovrapposizione, che si verifica con certa frequenza soprattutto ad inizio turno quando possono
esserci delle partenze simultanee. Non tutte le sovrapposizioni danno origini a delle situazioni
conflittuali;
• I silenzi.
Le azioni comunicative dei parlanti sono descritte dall’analisi della conversazione in termini di mosse.
La nozione di mossa comunicativa richiama quella di atto linguistico; entrambe mirano a descrivere i
tipi di azione che si possono eseguire con le parole.
La nozione di mossa comunicativa è definita in ambito etnolinguistico a partire dall’osservazione di
molteplici conversazioni concrete.
L’analisi della conversazione mira a individuare specifiche mosse comunicative e a descriverne le regole
di ricorrenza e di concatenazione.
Le mosse comunicative si organizzano in sequenze complementari; sono sequenze completare
quelle saluto-saluto, domanda-risposta, scuse-accettazione, e appello-risposta.
Una mossa comunicativa non coincide necessariamente con un turno o viceversa; inoltre le mosse
fanno parte di sequenze complementari non solo collocate necessariamente in turni adiacenti.

In conversazioni simmetriche per l’avvicinamento dei turni e per la presa di turno i parlanti seguono
regole generali che agiscono in successione:
• Una prima regola prevede che chi parla possa selezionare il parlante successivo. Chi sta parlando
svolge anche il ruolo di regista della conversazione;
• Una seconda regola prevede che qualsiasi partecipante può auto selezionarsi per il turno successivo
se il parlante non seleziona nessun parlante successivo;
• Una terza regola prevede che se chi parla non ha selezionato alcun parlante successivo il primo
parlante può riprendere la parola.
In interazione in cui i ruoli dei partecipanti sono asimmetrici, la gestione dei turni può essere affidati a
una figura di regista.
Solo alcune interazioni prevedono una perfetta simmetria.
Frequenti sono per le interazioni asimmetriche, nelle quali ruoli non sono equivalenti e intercambiabili: i
partecipanti hanno diverso potere interazionale.
Asimmetria può manifestarsi anche a seguito dell'effettiva gestione dell'interazione da parte dei
partecipanti: un singolo partecipante può assumere una posizione dominante. La dominanza può
essere motivata da vari fattori, come una maggior competenza linguistica o comunicativa. Le regole di
gestione dell'interazione e i ruoli sono in parte prevedibili in base alla conoscenza del tipo di interazione
in corso, ma non ne sono determinati necessariamente.

Tra le regole e le strategie di comportamento che i parlanti considerano in una conversazione ne sono
state individuate alcune che regolano il rispetto dell'interlocutore e della sua immagine sociale. A tali
strategie si dà il nome di strategie di cortesia: cortesia e faccia sono quindi due termini tecnici che
hanno un valore solo parzialmente coincidente con quello del linguaggio comune.
Si usa distinguere fra una faccia positiva, che riguarda il bisogno di dare e ricevere approvazione fra
interlocutori, e una negativa, che riguarda la necessità di rispettare libertà d'azione degli interlocutori; le
strategie di cortesia mirano a salvaguardare entrambe.
La nozione di cortesia è alla base della distinzione fra mosse comunicative preferenziali e non
preferenziali.
Sono mosse preferenziali quelle che sono in linea con i principi di cortesia.
I principi individuati dall'analisi della conversazione sono un necessario complemento alla logica della
conversazione disegnata da Grice.
Le nozioni di faccia e cortesia intendono esplorare la logica di uso del linguaggio funzionale e al suo
successo come azione di interazione sociale.
La selezione dei mezzi referenziale rispondi anche a una "logica della cortesia" che prevede che i modi
del riferimento non violino la faccia negativa e positiva dei partecipanti alla conversazione. In molte
lingue una regola di cortesia è quella in cui in una conversazione lo sforzo va indirizzato a valorizzare la
faccia altrui e non la propria.

CAPITOLO 8: CULTURA E LINGUAGGIO


(Dagli appunti): Teoria della competenza comunicativa (Hymes)
Con competenza comunicativa si intende usare un repertorio di atti linguistici (di enunciati complessivi
creati) e comprendere come gli altri li intendono.
Prendere parte ad eventi linguistici vuol dire riuscire ad inserirsi in una conversazione. Questa
competenza si integra con attitudini, valori e motivazioni che riguardano la lingua, le
caratteristiche, i suoi usi, fondendosi con la competenza che i parlanti hanno nell’integrare la
lingua ad altri codici comunicativi (la prosodia per esempio)
La Competenza comunicativa è molto più ampia di quella linguistica.

(Libro): Hymes con la nozione di competenza comunicativa intende ampliare quella di competenza
linguistica; con competenza comunicativa si intende infatti “la capacità di usare un repertorio di atti
linguistici, prendere parte dei venti linguistici, comprendere come gli altri li valutano. Questa competenza
inoltre si integra con attitudini, valori e motivazioni che riguardano la lingua”
Lo studio della competenza comunicativa non considera come unità di analisi sufficiente l’enunciato, ma
sostituisce ad essa la nozione di evento linguistico, definito come "attività direttamente governata da
regole o norme per l'uso del parlato”.
I parametri descrittivi significativi per un evento linguistico sono riassunti dall’acronimo
SPEAKING:
• “S” è la situazione, intesa come le concrete coordinate e scansioni spaziotemporali in cui avviene
l'evento quanto come “scena”. Sono pertinenti le scansioni interne, sia spaziali, sia temporali. La
prossemica è anch'essa di solito culturalmente codificata dalla situazione. Anche la direzione dello
sguardo ha una rilevanza per l'evento;
• “P” sono i partecipanti dell'evento linguistico. Vengono distinti i ruoli di emittente e destinatario, che
possono o meno coincidere con i ruoli di parlante e ascoltatore. Destinatario è detto un partecipante
cui il parlante non si rivolge direttamente, ma a cui l'evento nel suo complesso è comunque rivolto ed
effettivamente destinato; mentre l'emittente
è un partecipante che non esegue materialmente l'azione di parlare, ma viene considerato dagli altri
partecipanti e segnalato dal parlante come origine del messaggio di cui egli non è che il materiale
portavoce ;
• “E” sono gli scopi dei partecipanti all'evento linguistico, nozioni che è oggetto centrale della nozione di
atto linguistico e forza illocutiva.
• “A” sono gli atti di linguaggio che vengono sequenzialmente prodotti. Le modalità di esecuzione di
un'azione linguistica possono variare da cultura a cultura, prevedendo rituali diversi. Oltre alle modalità
di esecuzione degli atti, anche la loro stessa esistenza pu essere culturalmente determinata;
• “K” è la chiave secondo cui l'evento linguistico va interpretato;
• “I” sono i mezzi di cui i parlanti si servono, ovvero i canali e i codici linguistici. Non corrispondono
solamente all'uso del codice linguistico, ma anche di diversi codici paralinguistici e non linguistici.
Spesso l'interpretazione della chiave è affidata a segnali
(strumenti) paralinguistici (come la prosodia), e non verbali (come la mimica o la gestualità);

• “N” sono le norme che regolano lo svolgimento di un certo evento linguistico e il comportamento dei
suoi partecipanti. Sono norme le condizioni di felicità degli atti linguistici, le massime della
conversazione, le regole che vincolano la cortesia. È importante discutere le modalità di variazione
dell'inventario e della gerarchia reciproca delle norme valide in una specifica cultura. La mancata
conoscenza dei sistemi di norme proprie di una diversa cultura possono portare alla produzione di
inferenze errate;
• “G” È il genere o tipologia di discorso che viene adottato un evento linguistico.

Lo scopo del modello è quello di fornire una griglia che consenta di tenere insieme le riflessioni svolte
dalla pragmatica sull'importanza del "contesto" e sulle diverse componenti della situazione comunicativa
nell'interpretazione degli eventi linguistici.

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