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La grammatica valenziale

LA GRAMMATICA VALENZIALE: DAL MODELLO TEORICO AL


LABORATORIO IN CLASSE
Il modello valenziale vede nel verbo il centro sintattico della frase! Nasce
nell’ambito dello strutturalismo europeo grazie a Lucien Tesnière, con la
pubblicazione dell’ESS (Elements de syntaxe structurale) postumo nel 1959.
Nell’elaborare il modello, Tesnière sfruttò anche le sue conoscenze
pedagogiche. Egli fa della sintassi il centro del suo modello: la frase non è il
risultato di una combinazione di parole isolate, bensì una struttura, con
un’organizzazione interna, nella quale le parole sono connesse tramite
rapporti di dipendenza reciproca. Tesnière inoltre ipotizza la centralità del
verbo nella struttura della frase, introducendo il concetto di valenza (che
sostituisce la tradizionale reggenza nella grammatica tradizionale), che serve
a definire quali elementi della frase siano retti dal verbo e servano a
saturarne la valenza, formando una frase (distinzione quindi tra elementi
obbligatori e facoltativi all’interno della frase!). La valenza è la capacità del
verbo di entrare in combinazione con un certo numero e tipo di elementi
linguistici e legarli a sé per formare una frase. Il verbo è una sorta di atomo,
legato a un numero più o meno elevato di elementi che gli stanno intorno. La
frase, nella concezione di Tesnière, è quindi una struttura legata da rapporti
di connessione gerarchici, ovvero prefigurano un elemento reggente e uno
subordinato. Il verbo, come elemento centrale, regge gli altri, dando forma al
processo che dà significato alla frase. La capacità del verbo di reggere gli
elementi subordinato è detta appunto valenza: a ogni verbo, corrisponderà un
certo numero e un certo tipo di attanti (= unità strutturali che prendono parte
al processo indicato dal verbo). Tesnière distingue quattro classi di verbi: -
Monovalente: necessitano di un solo attante, ad esempio “cadere” (richiede
solo la persona che cade) - Bivalente: due attanti, ad esempio “picchiare” (chi
picchia e chi è picchiato) - Trivalente: tre attanti, ad esempio “regalare” (chi
regala, cosa e a chi) - Avalenti/zerovalenti: senza attanti, esprimono un
processo che si svolge da sé, ad esempio “piovere”. Gli stemmi di Tesnière
sono schemi che si sviluppano in verticale e riassumono le valenze della
frase, presentando le parole non nell’ordine in cui compaiono, ma a seconda
della posizione che occupano nella gerarchia della frase. L’elemento
dipendente può a sua volta reggere articoli e aggettivi. Lo stesso verbo può
comparire in più classi, visto che può assumere diversi significati; e alcuni
posti possono non essere “saturati” (un bivalente come “cantare” può essere
utilizzato senza il secondo attante). Gli attanti possono aggiungere al
significato della frase altri elementi, detti circostanti: essi danno informazioni
riguardo le circostanze in cui l’azione si svolge, come tempo, luogo, modo,
ecc. Gli attanti possono essere massimo tre (tante quante sono le funzioni
sintattiche fondamentali: soggetto, oggetto diretto, oggetto indiretto), i
circostanti un numero qualsiasi. La funzione di attante è saturata da un nome
o un’espressione equivalente, quella di circostante da avverbi o espressioni
con valore avverbiale. Gli attanti sono necessari, i circostanti no, anche se il
confine non è sempre rigidissimo. Le definizioni di Tesnière non sono,
dunque, nozionali, ma funzionali. Il soggetto non è centrale nella frase, come
appariva nella grammatica tradizionale, ma è un attante alla pari degli altri,
che può anche mancare.

Gli elementi della frase possono subire una “traslazione”, ovvero un


cambiamento di natura: da una categoria grammaticale all’altra, come nel
caso dell’aggettivo “caldo” che diventa nome “il caldo”, ma anche un
elemento aggettivale, nominale, ecc che si trasforma in frase. L’opera di
Tesnière rimase a lungo ai margini della linguistica, per il suo impianto
fortemente pedagogico, per il linguaggio ostico e la mole del libro. La
grammatica valenziale arriverà in Italia solo più tardi, negli anni ’70. Intanto, la
teoria della centralità del verbo verrà integrata dal generativismo. Alcune
critiche furono mosse al modello di Tesnière, quali l’importanza del soggetto
superiore agli altri attanti, o una revisione del tipo e del numero degli attanti
obbligatori per saturare la valenza del verbo (come gli attanti avverbiali,
elementi obbligatori ma di forma libera, come le espressioni di luogo che
completano i verbi di stato o di movimento  anche verbi intransitivi rientrano
nelle classi bivalenti e trivalenti!), o addirittura l’esistenza di verbi tetravalenti.
Attanti obbligatori/facoltativi: eliminando i primi si perde la grammaticità della
frase, i secondi possono restare sottintesi. La valenza del verbo sarà distinta
in logica (struttura che prevede un certo numero di attanti retti dal verbo),
semantica (capacità verbo attribuire ruoli agli attanti) e morfosintattica (tipo di
attanti richiesti). In ambito cognitivista, la valenza del verbo fu collegata alla
capacità di quest’ultimo di generare nella mente dell’emittente un certo
scenario, una cornice concettuale, costituita da precisi schemi di
azioni/eventi. Anche lo schema grafico subirà talvolta modifiche negli studi
posteriori. Basandosi sull’ambito di studi italiani riguardo il sistema valenziale,
dobbiamo tener conto di alcune differenze terminologiche: gli attanti di
Tesnière sono definiti anche elementi nucleari o argomenti; Salvi e Vianelli
mantengono il termine attanti per indicare il ruolo semantico della parola (il
significato), mentre impiegano “argomenti” per definire la realizzazione
sintattica (all’interno della specifica frase, quindi soggetto, oggetto, ecc) degli
stessi. Oppure terminologia varia legata ai “circostanti”, gli elementi
extranucleari in Tesnière, che vengono definiti espansioni, aggiunti, ecc.
Differenze e continuità tra modello valenziale e generativista (Chomsky): vari
concetti in comune, come la preminenza accordata alla sintassi, la centralità
del verbo, la distinzione tra elementi facoltativi/obbligatori. Però anche molte
differenze (diversi obiettivi, Tesnière puntava fornire modelli per chi imparava
una lingua straniera, Chomsky descrivere la competenza di un parlante
ideale). Il generativismo, infatti, mantiene inalterato il modello binario
soggetto-predicato, ecc. Il modello valenziale pone la frase come punto di
partenza dell’analisi linguistica. Difficile dare una definizione univoca di frase:
è qualcosa che “dico”, con un’unica emissione di voce, delimitata da pause,
di senso compiuto. Essa possiede un significato (che va elaborato), ma
anche una forma data dalla relazione tra le parole che la compongono. Deve
inoltre rispondere a requisiti di completezza per avere senso. Il verbo di forma
finita è l’elemento che non può mancare per dare senso alla frase: la sua
presenza o assenza genera la distinzione basilare tra frasi e non frasi.
Qualsiasi insieme di parole privo di un verbo è una non frase! Potrebbero
però acquisire senso compiuto in certi contesti: per quanto incomplete,
queste espressioni linguistiche possono comunque veicolare un messaggio e
vengono definite “enunciati” dai linguisti. Enunciato: combinazione di parole di
cui è possibile cogliere il senso complessivo, a patto però di ricorrere al
contesto. È una sorta di rielaborazione della frase a fine comunicativo
concreto (Sveglia!, Sì, certo, Grazie, ecc.). La grammatica valenziale lavora
sulle frasi modello, grammaticalmente complete, ma può accadere che
esse vengano modificate all’interno di un testo, finendo per assumere
significato solo in relazione al contesto: si possono anch’esse
analizzare, a patto però di aver prima compreso i meccanismi di
funzionamento delle frasi canoniche, per ricostruirle dietro ogni
enunciato.

IN SINTESI
PER CHIARIRE I CONCETTI
La grammatica valenziale è un modello che spiega la struttura della frase
come si è formata nel nostro cervello. Il suo modello di lavoro si basa
su esempi che permettono agli alunni di mettersi in gioco ragionando sulla
lingua e nel contempo sui propri processi di apprendimento.
Un esempio di grammatica valenziale

Nell’approccio educativo del modello valenziale si parte dal verbo e si


invitano gli alunni a ragionare attorno ad esso. Ad esempio, si può dire loro di
immaginare una scena teatrale per capire di quanti personaggi ci sia bisogno
per rappresentare ciò che il verbo descrive.

Una consegna molto pratica, dalla quale si passerà successivamente e


gradualmente alla fase di astrazione. A quel punto, i grafici radiali colorati
permetteranno di “vedere” la frase nella sua struttura. O, ancora, potranno
essere dei cartoncini colorati ad aiutare i bambini e i ragazzi a rappresentare
la frase con tutti i suoi elementi. Un lavoro ben diverso dalla memorizzazione
del di a da in con su per tra fra, tipico dell’approccio normativo della
grammatica tradizionale.

In sintesi, nel modello valenziale il percorso di scoperta-apprendimento si


sviluppa a partire dalla competenza dei bambini/ragazzi che vengono invitati
a ragionare sul significato del verbo. Un modello semplice, sintetico, legato
direttamente con l’uso personale dell’alunno, applicabile a molte lingue,
concreto, scientifico, coinvolgente, motivante.

La grammatica valenziale, in altre parole, rappresenta un percorso formativo


di natura più pratica e meno nozionistica di quello alla base della grammatica
tradizionale di stampo normativo, che, non a caso, produce notevoli fallimenti
nell’ambito delle prove Invalsi.

Per quanto ci siamo detti, introdurre in classe la grammatica valenziale


significa fare una scelta di grande valenza pedagogica perché vuol dire
offrire ai ragazzi maggiori opportunità di successo formativo, grazie a un
approccio quasi naturale e istintivo allo studio della lingua, in un certo senso
più democratico, che non condanna gli alunni al fallimento.

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