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III CAPITOLO – MORFOLOGIA

3.1 – Parole e morfemi


Adesso prendiamo in considerazione il piano del significante in quanto portatore di significato
(prima articolazione) dopo aver visto la seconda articolazione (analisi della lingua).
Morfologia viene dal greco morphé= forma e logìa= studio e il suo ambito di azione è la struttura
della parola. Definiamo la parola come la minima combinazione di elementi minori dotati di
significato (morfemi). Esistono diversi criteri di definizione della parola:
a. l’ordine dei morfemi all’interno della parola è fisso e inscindibile (essi non possono essere
invertiti o cambiati di posizione);
b. i confini di parola sono punti di pausa potenziale nel discorso;
c. la parola è di solito separata nella scrittura;
d. la pronuncia di una parola non è interrotta foneticamente ed è caratterizzata da un unico
accento primario.
Se proviamo a scomporre parole in pezzi più piccoli a cui sia associato un proprio significato,
avremo i morfemi. Es. dentale -> tre morfemi
1. dent- (organo della masticazione)
2. -al- (relativo a…)
3. -e (singolare, uno solo)
Ciascuno di questi tre morfemi potenzialmente può entrare come componente in altre parole
1. Dent- (dente, dentario, dentatura, dentista, dentiera, dentifricio,…)
2. -al- (stradale, mortale, fatale, globale, internazionale,…)
3. -e (esprime in italiano il numero ed event. Il genere) (verde, gentile, mente, pelle, studente,…)
Procedimento per la scomposizione di una parola in morfemi: data la parola la si confronta con
parole simili, dalla forma vicina. Se prendiamo dentale cominciamo con la parola più simile cioè
dentali. Il confronto ci permette di identificare, per sottrazione della parte uguale, il morfema -e
con valore di singolare e di conseguenza -i con valore di plurale. (PROVA DI COMMUTAZIONE).
Dunque il morfema è l’unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo di significante di
una lingua portatore di significato proprio e di una funzione precisa e riusabile come tale. Il
morfema è la minima associazione di un significante con un significato.
Anche in morfologia vi è la distinzione tra morfema, morfo e allomorfo. (langue-> -ema, unità
astratte; parole-> -o, unità concrete).
Il morfema è la più piccola unità linguistica dotata di significato. (esempio: in amavo vi è am=
morfema lessicale; a= vocale tematica; v= morfema di tempo e modo; o= morfema di persona e
numero). N.b. morfema e parola possono coincidere (es: bar, ieri, che) e si dicono parole
monomorfematiche poiché costituite da un solo morfema. (poi abbiamo le bimorfematiche e le
plurimorfematiche).
Il morfema designa un’unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo.
Il morfo è un morfema inteso come forma, dal punto di vista del significante.
L’allomorfo è la variante formale del morfema, è ciascuna delle forme diverse in cui si può
presentare uno stesso morfema.
Esempio: Il morfema ven- ha quattro allomorfi diversi cioè venn-, veng-, ver-, vien-
Le cause dei fenomeni di allomorfia ???
Affinchè si possa parlare di allomorfia occorre che ci sia una certa affinità fonetica tra i diversi
morfi che realizzano lo stesso morfema ???
Suppletivismo: quando in una serie morfologicamente omogenea troviamo elementi radicali che
intrattengono tra di loro rapporti semantici ma non intrattengono tra di loro rapporti formali.
Lo possiamo vedere nella flessione e nella derivazione.
Esempio: vado, vai va, vanno, andiamo, andate-> appartengono allo stesso paradigma verbale ma
presentano diverse caratteristiche formali.
es. acqua – idrico
fuoco – pirico
cavallo – equestre
maiale – suino

Analisi in morfemi. Vi sono due principi.


Principio 1: forme che hanno significato uguale e forma fonemica uguale in tutte le loro
occorrenze costituiscono un solo morfema. L’analisi in morfemi deve seguire le seguenti tappe.
1.si confrontano forme e significati
2.isolata una possibile coppia forma/significato, si controlla la sua validità in tutti i dati a
disposizione
3.si cercano altre coppie forma/significato
4.si identificano i possibili residui
5.si assegnano i residui rinvenuti ai morfemi già trovati
Principio 2: Forme che hanno lo stesso significato ma che sono diverse dal punto di vista
fonologico possono essere un morfema unico ammesso che le differenze osservate si possano
spiegare in termini fonologici

3.2 – Tipi di morfemi


Esistono due punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi: la prima è una
classificazione funzionale, in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi recano nel
contribuire al significato delle parole; la seconda è una classificazione posizionale, basata sulla
posizione che i morfemi assumono all’interno della parola.

3.2.1 – Tipi funzionali di morfemi


Nell’esempio di dentale, secondo il primo punto di vista, abbiamo dent- che è un morfema che
reca significato referenziale, concettuale, denotativo: cioè fa riferimento alla realtà esterna
rappresentata nella lingua; si tratta di un morfema lessicale.
Invece -al- ed -e recano un significato o valore interno al sistema della lingua e alla sua struttura (-
al- serve a formare parole derivandole da altre già esistenti: morfema derivazionale) (-e serve ad
attualizzare una delle varie forme in cui una parola può comparire: è un morfema flessionale).
Dunque nella classificazione funzionale, la prima distinzione è quella tra morfemi lessicali
(formano una classe aperta) e morfemi grammaticali; i morfemi grammaticali si dividono a loro
volta in morfemi derivazionali (formano una classe chiusa; derivano parole da altre parole) e
morfemi flessionali (formano una classe chiusa; danno luogo alle diverse forme di una parola).
I morfemi lessicali stanno nel lessico di una lingua e costituiscono una classe aperta,
continuamente arricchibile di nuovi elementi; essi identificano le parole che hanno significato
lessicale, cioè che non dipende dal contesto. Invece i morfemi grammaticali stanno nella
grammatica e costituiscono una classe chiusa (non accolgono nuove entità); essi identificano
parole che esprimono funzioni grammaticali e ricevono significato dal contesto in cui compaiono.
La differenza è che pur ignorando il significato di un morfema lessicale, sappiamo qual è il
contributo di significato che portano i morfemi grammaticali ad esso aggiunti.
Esempio: la parola breco non esiste in italiano e quindi non ha significato, tuttavia sappiamo che
brechi ne sarebbe il plurale, che brecoso vorrebbe dire dotato di breco e così via.
Non sempre però la distinzione tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è chiara: è il caso
delle parole funzionali (o vuote), come gli articoli, i pronomi personali, congiunzioni, preposizioni,
che difficilmente possono considerarsi morfemi grammaticali a pieno titolo.
Una distinzione che si fa di solito è quella tra morfemi liberi (lessicali) e morfemi legati
(grammaticali): i primi possono ricorrere da soli in una frase (es. ieri) i secondi non compaiono mai
soli ma sono accostati ad altri morfemi (es: -ura). Sono liberi tutte le parole, sono legati tutti gli
affissi.
Poi abbiamo i due grandi ambiti della morfologia: la derivazione, che da luogo a parole
regolandone i processi di formazione, e la flessione, che da luogo a forme di una parola
regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi. La derivazione agisce prima della flessione
poiché prima costruiamo parole e poi applichiamo loro le dovute flessioni. Mentre la derivazione
non è obbligatoria, la flessione lo è perché essa si applica invariabilmente a qualunque base
lessicale ad essa soggetta.
L’analisi in costituenti parte dunque dalla frase e la segmenta in unità sempre più piccole.

3.2.2 – Tipi posizionali di morfemi


Dal punto di vista della posizione, i morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a
seconda della collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o radice, che costituisce la
testa della parola e ne fa da perno. Una parola è piena se contiene un morfema lessicale. Invece le
parole funzionali, spesso costituite da un solo morfema, sono parole vuote, cioè prive di significato
lessicale. Quando i morfemi grammaticali sono considerati dal punto di vista posizionale, essi sono
chiamati affissi. Un affisso è ogni morfema che si combini con una radice.
Esistono diversi tipi di affissi. Quelli che stanno nella struttura della parola prima della radice, sono
i prefissi; quelli che stanno dopo la radice si chiamano suffissi (con valore derivazionale e con
valore flessionale). I suffissi con valore flessionale che stanno sempre nell’ultima posizione della
parola dopo la radice, si chiamano desinenze. [n.b. i suffissi e prefissi di origine greca e latina
sono chiamati suffissoidi e prefissoidi]. In italiano i prefissi sono solamente derivazionali.
Esistono anche gli infissi, che sono gli affissi inseriti dentro la radice. In italiano non esistono veri e
propri procedimenti di infissazione. Vi sono i morfemi superflui che sono marche inappropriate
come il presunto femminile in amaramente dove la marca di femminile espressa da a non ha un
significato evidente.
Abbiamo anche i circonfissi, cioè affissi formati da due parti, una che sta prima della radice, e una
che sta dopo la radice.
In alcune lingue esistono perfino i transfissi, cioè affissi che si incastrano alternativamente dentro
la radice.
La trascrizione morfematica viene fatta con i morfemi tra parentesi graffe {}
La differenza con quella fonetica è che qui non si indicano la lunghezza vocalica e gli allomorfi (si
indicano solo i tratti distintivi).
es. dentale
{dent}- {al}- -{e}
dente agg. Sing.

3.2.3 – Altri tipi di morfemi


Esistono alcuni morfemi i cui morfi non sono isolabili segmentalmente e sono di questo genere i
morfemi sostitutivi, così chiamati perché si manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro
fono. Tali morfemi consistono in mutamenti fonici della radice e quindi sono da essa inseparabili
(es. foot/feet; goose/geese; in cui i plurali sono resi con modificazione della vocale della radice).
Esiste anche il caso di morfema zero, cioè quando una distinzione obbligatoriamente marcata
nella grammatica di una certa lingua, non è rappresentata in alcun modo dal significante (es.
sheep/sheep rimane uguale nel significante).
Poi abbiamo i morfemi soprasegmentali (superfissi o sopraffissi) in cui un determinato valore
morfologico si manifesta attraverso un tratto soprasegmentale come la posizione dell’accento o il
tono (récord= registrazione; recòrd= registrare).
La reduplicazione consiste nella ripetizione della radice lessicale.
Morfemi cumulativi: morfemi con cui si viola il principio di biunivocità poiché ad un elemento
formale corrispondono più significati (es: la o di amo può indicare prima persona che singolare).
Amalgama è un particolare caso di morfema cumulativo che è dato dalla fusione di due morfemi
in maniera tale che nel morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi
all’origine della fusione (un esempio in italiano è i, articolo determinativo plurale in cui si trovano
fusi il morfo dell’articolo det. l- e quello del plurale -i).

3.3 – Derivazione e formazione delle parole


I morfemi derivazionali mutano il significato della base a cui si applicano aggiungendo nuova
informazione rilevante, sfumandone il senso. Esempio: dormitorio viene da dormire a cui viene
aggiunto il significato di luogo in cui si fa la cosa designata nella radice lessicale.
Una famiglia di parole è formata da tutte le parole derivate da una stessa radice lessicale.
Esempio: partiamo da socio e nella famiglia di parole avremo ad esempio associare, sociale,
socializzare, asociale, associazione…
{soci} – {al} – {izz} – {abil} – {ità} – ({0})
socio agg vb agg pot sost astr num
La vocale tematica: questo problema si pone in italiano nella maggioranza delle forme verbali e
deverbali e si tratta della vocale iniziale della desinenza dell’infinito dei verbi (es. mangiare,
vedere, partire). Essa indica l’appartenenza della forma di una determinata classe di forme della
lingua.
I prefissoidi sono morfemi che sono allo stesso tempo morfemi lessicali e morfemi derivazionali.
I suffissoidi sono morfemi con significato lessicale ma che si comportano come suffissi nella
formazione delle parole [es. -logi(-a)]. Prefissoidi e suffissoidi vengono chiamati anche, nel loro
complesso, semiparole. Un caso interessante di prefissoide è auto- : dal greco autos (sé stesso) si
sono formate parole in cui vale come tale (autonomia, autocritica) e fra le altre automobile. Dalla
parola auto associata a macchina sono nate nuove formazioni tipo autostrada, autonoleggio,...
Parole composte: portacenere, apriporta, lavavetro, asciugamano, cassaforte, ecc…
L’italiano segue nella composizione l’ordine modificando-modificatore, cioè la seconda parola
modifica la prima, che funziona da testa sintattica del costrutto.
Esempio: portacenere è qualcosa che porta la cenere, cassaforte è una cassa che è forte.
Non mancano tuttavia parole con ordine inverso come bagnoschiuma che è schiuma per bagno.
Non vanno confuse con le parole composte in senso stretto, le unità lessicali plurilessimatiche o
plurilessicali, costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di significato.
Esempio: gatto selvatico, che non è un comune gatto che sia selvatico, ma è una specie felina a sé,
diversa dal gatto domestico. Le unità lessicali plurilessimatiche costituiscono una categoria molto
ampia fra cui anche i verbi sintagmatici (mettere sotto, buttare giù) o i binomi coordinati (sale e
pepe, anima e corpo, usa e getta).
Esistono poi le unità lessicali bimembri come nave scuola, scuola guida, parola chiave, sedia
elettrica; si tratta di unità lessicali in cui il rapporto tra le due parole costitutive non ha raggiunto il
grado di fusione delle parole composte e i due elementi vengono rappresentati separatamente
nello scritto.
Le sigle (o acronimi) sono formate in genere dalle lettere iniziali delle parole piene che
costituiscono un’unità plurilessimatica, la cui pronuncia è promossa a parola autonoma CGIL ->
cigielle che sta per Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Le parole macedonia sono parole nate dall’unione con accorciamento come cantautore (cantante
più autore), ristobar (ristorante più bar).
Il più importante dei procedimenti di formazione di parola è la suffissazione. Fra i suffissi
derivazionali più comuni ricordiamo -zion- (con i suoi allomorfi -azion-, -izion-, …) e -ment- (con
-iment-, -ument-) che formano nomi di azione o processo; poi vi sono -ier-, -a(r)i- e -tor- che
formano nomi di agente o mestiere; vi è -ità che forma nomi astratti; -abil-, -os-, -an-, -evol-, -es-,
-ic-, -ist- che formano aggettivi; -izz- che forma verbi; -mente che forma avverbi;…
La prefissazione non muta la classe grammaticale di appartenenza della parola; mentre
aggiungendo un suffisso ad un nome esso può diventare un aggettivo, questo non succede nel
caso dei prefissi.
Fra i prefissi più comuni vanno ricordati in- (come in inadatto); s- e dis- con valore di negazione,
ad- con valore di “verso”; con- con valore di “insieme”, a- con valore di “senza”, ri- (con
l’allomorfo re-) con valore di “di nuovo”; anti- con valore di “anteriorità” o “contro”.
Abbiamo poi il processo dell’alterazione. Con i suffissi alterativi si creano parole che aggiungono al
significato della base lessicale un valore generalmente valutativo che può essere diminutivo
(gattino), accrescitivo (librone), peggiorativo (libraccio).
Nell’inventario dei morfemi derivazionali dell’italiano vi sono anche casi di omonimia. Per esempio
in- come prefisso può avere valore di "negazione” (immobile con l’allomorfo im-) o di
avvicinamento (immigrazione); come suffisso -in- può avere valore diminutivo (gattino) o di nome
d’agente (postino).
Altri processi morfologici:
-parasintesi (le formazioni parasintetiche sono quelle formazioni che presentano
contemporaneamente un prefisso e un suffisso e hanno un’altra caratteristica: nella lingua non
esistono né il prefissato né il suffissato da soli)
Es. sfegatato, ingiallire (non esiste il verbo giallire, non esiste ingiallo); sbottonare (non esistono né
bottonare né sbottone)

Esistono alcuni criteri di definizione delle parole derivate; bisogna tener conto:
a. del procedimento di derivazione
b. della classe lessicale della base da cui derivano
c. della classe lessicale a cui appartiene il risultato.

La conversione o derivazione zero consiste nella presenza di coppie di parole, un verbo e un nome
o un aggettivo, fra i quali non è possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale la parola
derivata. Esempio: lavoro, lavorare; fiore, fiorire.
-conversione (descriviamo il cambiamento della categoria di una parola senza che si aggiunga un
affisso; senza una modificazione formale)
es. water-> acqua; to water-> innaffiare
es. vecchio->aggettivo; il vecchio-> sostantivo; cantante-> participio presente; il cantante->
sostantivo; coperto-> aggettivo/participio passato; il coperto-> sostantivo

3.4 – Flessione e categorie grammaticali


I morfemi flessionali non modificano il significato della radice lessicale su cui operano: ne
specificano la concretizzazione in un determinato contesto.
I morfemi flessionali intervengono solo nelle parole che possono assumere diverse forme: operano
quindi sulle variabili di parole (nomi, verbi, aggettivi, articoli), suscettibili di accogliere la flessione.
Un determinato morfema che realizza un valore di una determinata categoria grammaticale è la
marca di quel valore.
Le categorie grammaticali flessionali riguardano il livello dei morfemi stessi; in generale si
distinguono le categorie flessionali in due grandi classi: quelle che operano sui nomi e quelle che
operano sui verbi.
In italiano la morfologia nominale ha come categorie fondamentali il genere e il numero. Il genere
si esprime coi due morfemi del maschile e del femminile (in altre lingue può esserci il neutro).
In italiano le categoria del numero è marcata con i due morfemi del singolare e del plurale. Alcuni
nomi hanno solo la forma plurale (nozze).
Un’altra categoria flessionale molto rilevante per i nominali è il caso, che svolge l’importante
funzione di mettere in relazione la forma della parola con la funzione sintattica di cui essa fa parte.
La flessione di caso è presente in latino, russo, tedesco, ecc…
Il numero dei casi varia a seconda della lingua: tedesco 4 casi, latino 6,…
Procedimenti di reggenza
La reggenza è il processo attraverso il quale un verbo assegna il caso al suo complemento.
In Italiano non vi sono meccanismi di reggenza perché non abbiamo la categoria del caso, ma in
latino o tedesco sì.
Accordo e reggenza sono due modalità differenti attraverso le quali le forme flesse vengono ad
acquisire un certo valore di una certa categoria grammaticale contestualmente (indipendenza da
altri elementi del contesto sintattico.
Nell’accordo il controllore presenta lo stesso valore che assegna al suo bersaglio. Nella reggenza,
l’elemento reggente non deve necessariamente presentare lo stesso valore della forma retta.
In molte lingue gli aggettivi possono poi essere marcati per grado: compartivo, superlativo.
L’italiano affida la flessione solo al superlativo (bello-> bellissimo).
Altre lingue marcano poi con morfemi appositi sui nomi la definitezza o il possesso che vanno
considerate anch’esse categorie grammaticali.
La morfologia verbale ha cinque categorie flessionali principali: modo, tempo, aspetto, diatesi,
persona.
-Il modo esprime la modalità, cioè la maniera in cui il parlante si pone ne confronti del contenuto
o della realtà o evento rappresentato nella frase;
-Il tempo colloca nel tempo assoluto e relativo quanto viene detto;
-L’aspetto riguarda la maniera in cui vengono osservati e presentati l’azione o l’evento espressi dal
verbo;
-La diatesi o voce esprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto ai
partecipanti e rispetto al soggetto;
-La persona indica chi compie l’azione e si manifesta con morfemi deittici.
Categorie grammaticali a livello di parola sono le parti del discorso. Nella grammatica tradizionale
le parti del discorso sono 9:
-nome o sostantivo
-aggettivo
-verbo
-pronome
-articolo
-preposizione
-congiunzione
-avverbio
-interiezione
Categorie grammaticali paradigmatiche (identificabili considerando le parole in isolamento) e
categorie grammaticali sintagmatiche (si individuano considerando le parole nel loro rapporto
con le altre parole all’interno di un determinato messaggio).
Le funzioni sintattiche sono le nozioni definite dall’analisi logica (soggetto, predicato,…); a tali
funzioni corrispondono i casi.
Abbiamo poi la distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale.
La flessione inerente riguarda la marcature a cui viene assoggettata una parola in isolamento.
La flessione contestuale è quella che dipende dal contesto: specifica una forma e seleziona i
relativi morfemi flessionali in relazione al contesto in cui la parola viene usata, dipendendo quindi
dai rapporti gerarchici che si instaurano fra le parole all’interno della frase.
Marcatura di accordo: meccanismo che prevede che tutti gli elementi suscettibili di flessione
all’interno di un certo costrutto prendano le marche delle categorie flessionali per le quali è
marcato l’elemento a cui si riferiscono. Come abbiamo visto in italiano è obbligatorio l’accordo tra
verbo e soggetto e fra i diversi componenti del sintagma nominale.
Distinzione tra accordo e concordanza: la prima riguarda i genomi di accordo tra gli elementi del
sintagma nominale e il secondo riguarda l’accordo delle forme verbali con elementi nominali, in
particolare col soggetto.
Forma di citazione: si intende la forma di una parola che è normalmente usata nei dizionari e nelle
grammatiche di quella lingua. In italiano la forma di citazione del nome è il singolare, la forma di
citazione dell’aggettivo è il maschile singolare, la forma di citazione del verbo è l’infinito presente
(forma di citazione chiamata anche lemma).
Essa è una scelta convenzionale ed è diversa nelle differenti tradizioni lessicografiche o
grammaticali.
Parola come parola astratta
Una parola ha due realtà: una astratta per cui diciamo che è una forma di citazione e una concreta,
realizzata nelle frasi, per cui diciamo che è la forma infinitivale di quel verbo.

Composizione
Essa è per molti aspetti diversa dalla derivazione: innanzitutto la derivazione è concatenazione di
una forma libera e di una forma legata, mentre la composizione è concatenazione di due forme
libere. La differenza è anche evidente nei rapporti con fonologia e sintassi. Infatti, una parola
derivata è una sola parola fonologica, mentre per quel che riguarda i composti, essi si comportano
come se fossero costituite da due parole fonologiche.
Tipi di composti.
- composti Verbo + Nome: in uscita è sempre un nome ed il costituente N non può essere la testa
del composto.
Composizione e derivazione
Composizione e flessione

DERIVAZIONE e COMPOSIZIONE
Sono due modalità che consentono la formazione di parole nuove a partire da materiale
endogeno.
Differenza: derivato un solo morfema lessicale, composizione due morfemi lessicali.
Produttività (in morfologia): statistiche quantitative (?); se ci sono pochi o molti composti.
Normalmente in composizione sono ammissibili le stesse combinazioni di elementi che sono
possibili nei sintagmi.
Il criterio che determina le possibilità combinatorie degli elementi per formare dei composti sono
ragioni strutturali proprie della sintassi della lingue: quegli elementi che sono combinabili in
sintassi sono combinabili in composizione.
Il criterio generale è dunque rispettare le regole della sintassi. Alcuni studiosi definiscono la
composizione come un punto a metà strada tra morfologia e sintassi, ed hanno parlato di
“microsintassi”.
La testa di un composto.
camposanto (è un tipo di campo, non un tipo di santo)
capostazione (è un tipo di capo, non un tipo di stazione)
Iperònimo: termine indicante un’unità lessicale di significato più generico ed esteso rispetto ad
una o più altre unità lessicali che sono in essa incluse (per es., fiore è iperonimo, ossia
«superordinato», rispetto a rosa, viola, garofano)
Ipònimo: il contrario
Ci deve essere una coincidenza tra le categorie morfologiche dell’intero composto e quelle della
testa (TEST MORFOLOGICO).
Test semantico ??
camposanto: nell’intero è un nome maschile
capostazione: tutto insieme è un nome maschile
Posizione della testa (le lingue hanno una strana tendenza ad avere una posizione fissa della testa)
In italiano in genere la testa è a sinistra (pescecane -> la testa è il primo costituente); mentre in
inglese di solito la testa è a destra (black-board -> la testa è il secondo costituente). In entrambe
le lingue vi sono delle eccezioni, in cui è invertito l’ordine consueto dei costituenti del composto.

Composti endocentrici e composti esocentrici.


I primi sono i composti che hanno una testa. Ci sono addirittura composti che hanno due teste,
cioè entrambi i costituenti costituiscono una testa. Tra i due nomi ci deve essere un rapporto di
coordinazione (caffelatte; cassapanca)
I secondi sono quei composti nei quali nessuno dei due costituenti può essere la testa.
In italiano ci sono tre tipi di composti esocentrici.
-Il primo tipo non è particolarmente produttivo: composti formati tra due verbi che combinati tra
loro danno vita ad un nome (dormiveglia ->verbo + verbo= nome; nessuno dei due costituisce la
testa)
-Il secondo tipo è una categoria molto produttiva in italiano e in tutte le lingue romanze: quei
composti in cui il primo elemento è un verbo e il secondo è un nome (portalettere -> verbo + nome=
nome; nessuno dei due costituisce la testa; in questo caso la testa è esterna)
-Il terzo tipo riguarda i composti possessivi: fanno riferimento a qualcosa che possiede dei
determinati elementi determinati dal composto; designano il possesso di qualche cosa
(purosangue ->aggettivo + nome= aggettivo; cavallo che possiede il sangue puro).
[dvandva: a due a due]

Tra i composti esocentrici dell’italiano abbiamo i composti verbo + nome (cavatappi, portalettere,
battiscopa) (categoria abbondante)
Altri criteri di classificazione dei composti.
Distinzione tra:
-composti di coordinazione (es. caffelatte, agrodolce, cassapanca ->rapporto paritetico)
-composti di subordinazione
Altra distinzione:
-composti larghi: abbiamo un confine di parola forte, ben sentito tra i due costituenti
(es.dolceamaro -> la “e” di dolce e la a di amaro rimangono, i due elementi non perdono pezzi)
-composti stretti: (es. quintessenza -> la “a” di quinta viene cancellata; pomodoro -> le due parole
si sono fuse talmente tanto che esse hanno perso il proprio significato semantico)
Ultimo tipo di comporti:
-Composti con elementi neoclassici

[tangentopoli: città delle tangenti]

Delimitazione dei composti:


-composti e prefissati (sottocommissione; sottoscala) Test di costituenza -> scala è femminile
singolare, sottoscala è maschile singolare, nessuno dei due elementi funziona come testa
sottocommissione (parola prefissata) è un tipo specifico di commissione
dopocena-> composto, il dopocena non è un tipo di cena ma spazio di tempo dopo la cena
preallarme-> prefissato, è un tipo specifico di allarme
-composti ed espressioni polirematiche
la principale caratteristica delle espressioni polirematiche è di natura semantica poiché esse
presentano un’alta opacità semantica (es. pollice verde, luna di miele); espressioni in cui c’é più di
un morfema lessicale; esse possono appartenere a differenti categorie grammaticali (a differenza
dei composti) (es. carta carbone, acqua e sapone, alla buona). Si tratta di sequenze di parole fisse
che non vanno mai intese in senso letterale. Polirematiche verbali: dare buca, essere fritto.
Polirematiche avverbiali: così così, a suo tempo. Polirematiche interiettive: mamma mia, apriti
cielo. [distinguerle dai vari composti]

Flessione inerente e flessione contestuale


Un lessema può presentare un certo valore di una certa categoria inerentemente (senza che
questo valore sia condizionato da un qualcosa di esterno al lessema oppure senza che sia
condizionato dalla forma del lessema).
Es. forchetta è inerentemente femminile
Il numero nella categoria del nome non è inerente (non presente un valore assegnato
automaticamente al lessema).
L’aggettivo (nel numero e nel genere) è inerente.
Le categorie inerenti sono quelle categorie in cui il valore è fisso per ciascun lessema.
Le categorie contestuali sono le categorie che vengono assegnate a ciascun lessema in base al
contesto.
Es. Le sedie rosse (sedie impone l’accordo sia all’aggettivo che all’articolo)
Articolo e aggettivo non hanno né un numero né un genere inerente, ma viene imposto dal nome.
Vi è un controllore dell’accordo (elemento che impone determinate categorie) e vi è un bersaglio
(o target) dell’accordo (elementi a cui sono imposte determinate categorie), e vi è il dominio
(l’ambito entro il quale si verifica il meccanismo dell’accordo, relativamente a determinate
categorie.
sedie: controllore
Le; rosse: bersagli
Le sedie rosse: sintagma nominale per intero

I bambini attraversano la strada: dominio


Bambini: controllore
attraversano: bersaglio

MORFOLOGIA
Processi di derivazione o affissazione.
In italiano sono tre:
-prefissazione
-infissazione
-suffissazione (fiore, fiorista -> si mantiene la categoria d’entrata)
La differenza tra i tre dipende dalla differente posizione del morfema. Statisticamente la
suffissazione è più frequente, poi abbiamo la prefissazione e infine, la meno rara, l’infissazione.
La suffissazione è un processo dinamico che consente il cambiamento della categoria d’entrata
dell’elemento in confronto alla categoria d’uscita.
indubitabilmente
V>A>A>Avv
[[in[[dubita]v+bile]a]a +mente]avv
Questa modalità delle parentesi etichettate (modalità per descrivere??) possiamo utilizzarla anche
per i composti
Es. N+N> N
[[capo]n[stazione]n]>[capostazione]n
Prefissazione: in italiano non cambia la categoria d’entrata con quella di uscita
Suffissazione: non vi è la stessa rigida regola della prefissazione
Altri processi morfologici

Tipi di parole
-parole semplici e parole complesse
-parole suffissate
-parole prefissate
-parole composte

Per formare nomi a partire da verbi ->suffissi nominalizzatori (-zione, -ata, -ura, -mento)
(camminata, andatura, portamento,…)

-aio (giornalaio-> indicano una persona) (pollaio, granaio, formicaio ->indicano un luogo pieno di…)
-ista (fiorista)
-tore (colonizzatore)
-
Prefissi che si possono combinare con nomi, aggettivi e verbi sono per esempio:
ante- (anteguerra; antelucano, che deriva da luce; anteporre)
retro- (retrobottega; retroattivo; retrodatare)
Invece ci sono dei prefissi che si combino solo con una classe specifica:
es. avan- si combina solo con nomi (avanguardia)
de- si combina solo con verbi (deumidificare)
vice- si combina solo con nomi (viceré)

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