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CAPITOLO 1 - Storytelling

Il più incisivo processo di narrativizzazione lo troviamo nel mondo del marketing, perché le marche si sono
smaterializzate e hanno acquisito un valore del tutto indipendente dai prodotti che producono, diventando
vere e proprie istanze narrative, le grandi marche internazionali hanno senz’altro assunto il ruolo di
programmatori narrativi: si prende il consumatore - cioè un Sogetto - e lo si porta a uno stadio successivo di
soddisfacimento grazie al ruolo dell’aiutante, cioè l’azienda stessa che in parte cerca di fornire le competenze
per soddisfare il consumatore, in parte cerca di essere essa stessa questo soddisfacimento.

La nuova frontiera degli studi sulle pratiche narrative: Schema e Script


La teoria dello schema si basa sula convenzione che ogni nostra esperienza venga compresa sulla base di
conoscenze prerequisite, derivato da esperienze simili registrate nella nostra memoria: ogni nuova esperienza
verrebbe dunque valutata in base alla conformità o non conformità rispetto a uno schema pregresso. Questo
schema si riferisce sia a oggetti statici sia a relazioni (cioè le attese relative al modo in cui le esperienze sono
strutturate, classificate in una certa situazione.
Solo tramite la comparazione di ciò che sta accadendo e ciò che è accaduto che un bambino imparerà quella
situazione e riuscirà a immaginare, narrare, simulare altre situazioni.
Uno schema però è solo un’etichetta che noi apponiamo a porzioni dinamiche di esistenza: infatti altrettanto
importante è la capacità di codificare quello che avviene entro questi schermata astratti , ovvero gli scripts.
Essi, si riferiscono a processi dinamici poiché uno schema darà il paradigma da cui partire mentre lo script
costituisce l’articolazione sintattica, sono questi scripts a farci apprendere le regole dell’azione orientata allo
scopo.
Gli scripts si dividono in:
- situazionali che riguardano gli orizzonti d’attesa quotidiani, azioni come andare al ristorante o prendere
l’autobus.
- personali che riguardano i ruoli come l’uomo geloso, il corteggiatore ecc.
- strumentali che riguardano le micro azioni necessarie a pervenire a uno scopo, come
accendere una sigaretta o mettere in moto una macchina.
I cognitivisti hanno anche classificato le componenti essenziali di qualsiasi narrazione:
1. Il setting (ambientazione)
2. Il fattore causale (trasformazione del Setting iniziale)
3. La risposta interna (la motivazione dell’attore nel reagire alla trasformazione del setting)
4. L’obbiettivo (la direzione del desiderio da parte dell’attore di ridefinire il Setting attraverso
un’intenzione)
5. Intenzione (da cui si genera la direzione del desiderio)
6. Azione (consequenziale)
7. Reazione
Homo narrans in quanto la narrativa costituisce uno strumento cognitivo in grado di fornire modelli di
comprensione concettuale delle situazioni e di cooperare alla configurazione spazio-temporale dell’agire
umano.

Forme primarie
Quando si parla di pratiche narrative, ciò che sembra semplice non lo è affatto, per alcuni, l’uomo osserva il
mondo in maniera narrativa cosicché possa assegnare un’ordine e una spiegazione razionale che altrimenti
non avrebbe, quindi non ci sono narrazioni oggettive ma solamente soggettive (pensieri narrativi), poiché
siamo noi destinatari a costruire i testi entro i loro parametri cognitivi esperienziali. Per White i processi di
narrativizzazione consistono nel dare forma narrativa a un resoconto aneddotico o storico in modo tale che si
possa semplificare la comprensione dei fenomeni rappresentati, ogni resoconto, è sempre una storificazione,
cioè letteralmente la trasformazione del materiale storico in forma di racconto.
Genette ha coniato il termine “architesto” per indicare una “categoria-ombrello” sotto la quale potrebbe
essere sussunta quella di genere, di per se confusa ed eterogenea, esso sarebbe “l’insieme delle categorie
generali - tipi di discorso, modi di enunciazione, generi letterali ecc - cui
appartiene ogni singolo testo”. L’architestualità è la relazione del testo con il suo architesto, è in grado di
mettere in relazione segreta un testo con un altro testo.
Quando parliamo di folklore, parliamo dell’insieme delle tradizioni popolari trasmesse oralmente e relative a
un’area geografica o popolazione, la scienza folklorica può essere definita come “una scienza ausiliaria,
necessaria per il recupero delle fasi di crescita e sviluppo della capacità di rappresentazione dell’uomo”.
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Lo storytelling funziona come una sequenza rituale, qualcosa che protegge l’uomo dalle aggressioni
ambientali e insieme gli fornisce uno strumento di autoconsolidamento indennitario: raccontare significa
esistere, esserci malgrado le avversità del contesto sociale o naturale.
Lo storytelling arcaico avrebbe sviluppato alcune forme ricorrenti:
1) Legge dell’apertura e della chiusura: il racconto non comincia mai con un’azione improvvisa
e non si conclude di colpo.

2) Legge della ripetizione: lo storytelling arcaico non prevede descrizioni elaborate o la


formulazioni di nessi casuali logicamente nitidi.

3) La legge dei due personaggi sulla scena: lo storytelling folkolrico può far interagire solo due
personaggi e quando ne compare un terzo ha per lo più il ruolo di ascoltatore silenzioso.

4) Legge della contrapposizione binaria: ogni folktale è contraddistinta da opposizioni quali giovane -
vecchio, piccolo - grande, ecc.

5) Legge dei gemelli: quando i personaggi sono gemelli o hanno lo stesso ruolo sembrano
piccoli e deboli.

6) Legge dell’intreccio monotendenziale: nei folktales la vicenda non si complica mai in episodi
interrotti, bensì procede su un binario unico.

7) Legge della monoattorialità: protagonista e trama sono strettamente collegati.

8) Legge della situazione plastica centrale: lo storytelling arcaico tende a configurare l’intreccio in modo
apicale, agglomerando l’intero racconto intorno a una scena principale ad elevata
densità plastica.

Mentre per Jolles tutto questo non è vero in quanto ritiene che lo storytelling folkloristico si sia sviluppato
spontaneamente, senza alcuna costruzione estetica, tra queste forme semplici egli annovera sia generi
narrativi canonici, sia generi narrativi minori partendo con:
-   Leggenda (legata a dei);
-  La saga o la leggenda profana (legata a famiglie illustri);
-   Il memorabile (resoconto di un fatto saliente attraverso dettagli concreti che ne attestino la
veridicità);
-  Fiaba;
-  Lo scherzo;

Dove tutto ha origine


Il termine “mito” indicava ogni parola che contenesse una realt à fatta propria dalla collettività e della
tradizione orale, connessa con forme religiose; tuttavia se lo si considera con accezione greca (“mythos”) si
presta ad assumere il valore più specifico di “trama o intreccio”. Il mito nasce per dar spiegazioni a fatti che
accadono nel mondo reale infatti c’è chi dice che misto e scienza occupino lo stesso campo di indagine
legato ai fenomeni, ma mentre il mito è legato alla religione, la scienza è legata a processi impersonali e
oggettivi.
La struttura mitica può essere costituita sia dal fatto che A e B creano un’opposizione mediata da C, sia da
un’omologia a quattro termini che collega due coppie di mitemi opposti secondo lo schema A:B=C:D.
I miti di oggi sarebbero una forma di rappresentazione collettiva per trasformare un fatto sociale, culturale
storicamente determinato in un fatto naturale e universale, appunto in soggetto mitico. L’epos nasce in
ambito di culture orali, come caso particolare si prenda l’epica omerica dove si mostrano tutte le
caratteristiche dell’oralità, le tracce di un’originalità in questo campo comprendono l’utilizzo di epiteti
standard, scene o azioni tipiche, versi ricorrenti o temi codificati. L’epica successiva, pur pensata per la
scrittura, ha mantenuto queste caratteristiche peculiari del genere:
- l’invocazione alle muse;
- L’inizio in medias res;

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-  La similitudine (la similitudine omerica è talvolta assai prolungata e può paragonare un guerriero a un
leone o all’esercito alle onde del mare che si infrangono sulla scogliera);
- L’alta incidenza del discorso diretto;
-   I cataloghi (il narratore inserisce un catalogo di contingenti greci e romani);
- L’ekphrasis (le descrizioni dettagliate di oggetti o paesaggi);

Più ancora dell’epos, le radici mitico-rituali dello storytelling sono riconoscibili nel dramma, genere entro il
quale l’autore fa interagire direttamente i personaggi, come se fossero effettivamente davanti gli spettatori.
La tragedia è solitamente caratterizzata da
1) una serie di errori fatali;
2) ostacoli esterni che riflettono l’evoluzione interna dell’eroe;
3) la funzione sociale della catarsi, che purifica gli spettatori dalle emozioni e li incoraggia a evitare tragici
errori;

Mentre la commedia è solitamente caratterizzata dagli elementi opposti


1) le azioni dell’antagonista,
2) la parabola dell’eroe inizia con una serie di difficoltà che nel corso dell’intreccio possono essere risolte
dall’eroe stesso;
3) la sua funzione sociale è di favorire il divertimento, anche se possono veicolare una critica sociale o una
satira politica;

To be continued: dopo il mito


L’agiografia designa un genere di biografia che racconta la vita di un santo in maniera leggendaria e questa,
richiede al suo pubblico una totale fiducia in ciò che si narra. Questa è una delle prime forme in cui si
manifestano le letterature romanze.
La leggenda sacra si collega al concetto di imitatio: tramite l’imitatio Christi essa si pone come
rappresentazione oggettiva della virtù. Quando nel medioevo con la riforma di Lutero l’imitatio si sposta su
altrove: la saga, si tratta di narrazioni in prosa in lingua nazionale, non più sacre ma storiche o eroiche. Sono
lontane dallo stile erudito e non mostrano alcuna influenza del latino, dal punto di vista contenutistico queste
narrazioni si possono dividere in:
- saghe islandesi (dove i temi trattati sono quelli della colonizzazione dell’Islanda);
- saghe dei re (qui si parla di dinastie reali secondo un’ottica familiare);
- saghe del tempo antico (trattano una tematica antecedente la colonizzazione dell’Islanda);
In tutte le sue manifestazioni la saga è connessa con spostamenti di popoli (oggi grazie alle nuove tecnologie
assistiamo al nascere di nuove leggende come la leggenda metropolitana)
La parabola invece si colloca come un aneddoto che vuole essere metafora di un aspetto della vita morale o
spirituale. Il fatto che la storia faccia riferimento al solo significato letterale rende la parabola simile
all’allegoria e alla favola, benché l’allegoria non sia seguita da nessuna spiegazione separata e le favole si
concludano con una morale breve.
L’annalistica nasce in epoca romana, ed erano liste pure e semplici, mentre nella modernità sono
organizzate attorno ad un argomento singolo ed omogeneo e mirano ad essere esaustivi, oggi la sua vera
utilità risiede nel fatto che mostra le alternative agli intrecci ben strutturati del discorso storico, contribuendo
così a mettere in evidenza l’aspetto finzionale di tale discorso.
La narrazione odeporica è un tipo di narrazione che ha come tema base il tema del viaggio, il quale forma
l’intreccio basilare di tipi di storytelling differenti. Un’antica forma era il travelogue o resoconto di viaggio,
le storie funzionali di viaggi utilizzano mondi lontani e alternativi per fornire uno scenario in cui può essere
sviluppato o rispecchiato simbolicamente un viaggio spirituale, sentimentale o interiore del protagonista. In
questo tipo di narrazioni non rientra il reportage di viaggio. Al tempo stesso questo genere si caratterizza per
una fondamentale realtà o fattualità tale per cui sia diventato studio pure di fonte materiale in Geografia.
Il travelage è un genere più ibrido, poiché richiede sì una struttura narrativa di base, ma fa ampio uso di modi
narrativi di produzioni.
La favola è una narrazione breve, raccontata al fine di fornire un insegnamento morale o trasmettere un
punto di vista etico che può essere condensato in commenti iniziali (promitti) o finali (epimitti). Fondata per
intero su intenzioni etico-didascaliche spesso condensate in un’affermazione proverbiale alla fine della
storia, si potrebbe dire che la favola è endoforica, perché vuole portare il lettore a riflettere sulla realtà
umana, la fiaba è esoforica, perché vuole allontanare l’uomo da se stesso in una prospettiva straniata e

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straniante.
La favola si colloca in un mondo in cui bisogna affrontare situazioni analoghe a quelle esemplificate
allegoricamente, ed è dunque una forma prolettica (volta al futuro) e didascalica
La morale può essere paradigmatica quando enuncia in forma impersonale una regolarità esistenziale,
parentetica se è presente una esortazione al lettore, sarcastica quando critica una categoria di individui.
Però secondo David Lee Rubin esisterebbe una forma di favola che poi si divide in base a delle differenze
strutturali e funzionali a seconda delle modalità di ragionamento
- deduzione (procedendo dal generale al particolare);
- induzione (quando mostra un esempio per una categoria di individui);
- analogia (quando sottolinea la somiglianza nella dissomiglianza nella duplice forma);
- intergenerica (che lega personaggi ad animali);
Nella cultura latina la favola suscita l’interesse di retori come Quintiliano che ne sostengono l’uso scolastico-
pedagogico, il quale sostiene che sia adatta per far apprendere ai bambini le tecniche della parafrasi, della
versificazione, della riduzione e della amplificazione.

CAPITOLO 2 - Il discorso
La voce
L’analisi di un discorso narrativo può essere organizzata sulla base di tre categorie: il tempo, il modo e la
voce. Quest’ultima informa su “chi parla” da non fraintendere con la focalizzazione e dalla prospettiva
perché danno informazione su “chi vede”.
La riflessione riguardo la voce si con il concetto di “eteroglossia” definita come una pluralità di linguaggi di
classe, genere o ideologia che entrano nella romanzo nella forma del dialogismo.
In opposizione all’epos dove prevale un monolitismo in quanto troviamo una sola voce, quella del narratore.
La voce narrante che racconta e trasmette gli eventi è definibile narratore, presente in ogni narrazione; il
narratore che può dividersi in diversi livelli è collegato su un livello extradiegetico (al di fuori della
narrazione) quando i personaggi sono collocati sul livello diegetico. Quando dentro una storia si trova un
racconto da un personaggio all’altro (storyworld di secondo grado), questo avviene a livello intradiegetico
mentre, questo “racconto” narrato si trova su un livello definibile metadiegetico.
“il narratore attendibile è il narratore che parla o agisce, in armonia con le norme dell’opera (cioè con quelle
dell’autore implicito), inattendibile è quello che non lo fa”. In effetti, la presenza di un narratore inaffidabile
porta il lettore in uno stato di incertezza, dandogli l’impressione che il narratore giochi con la sua capacità
metarappresentazionale, perciò il concetto di narratore è assai problematico. C’è chi ritiene un narratore che
è presente solo sul campo della narrazione verbale ma adesso vengono inseriti cinematic narrator. Sono state
aggiunte categorie come quella del “narratore assente” per spiegare la narrazione impersonale perché in
queste storie la narrazione non può essere localizzata in un parlante distinto, questo narratorhood esegue una
1.funzione creativa che consiste nel dare forma alla storia attraverso l’uso di tecniche narrative, 2.la funzione
testimoniale, cioè l’affermazione narratoriale circa la verità della storia nel suo mondo di riferimento.
3. La funzione trasmissiva ovvero il modo di comunicazione del narratore.
Una delle prerogative più importanti del narratore è la funzione di autenticazione, per designare la
trasformazione di entità possibile in un’entità funzionale grazie al suo potere di costruire il mondo. Si
possono distinguere tre tipi di autenticazione:
1)  autenticazione diadica. Questa costituisce la struttura narrativa basilare, combinando il
racconto in terza persona di un narratore anonimo e impersonale con i discorsi diretti delle
persone funzionali.
2)  Autenticazione graduata. Si tratta di un modo narrativo più soggettivo, che per costruire lo
storyworld adotta il discorso delle persone funzionali, in questo contesto rientra la narrazione
in prima persona.
3)  Uso improprio dell’autenticazione. Quella che si può definire “narrativa autocontraddittoria”,
dove l’invalidazione della forza autenticante dipende dall’introduzione di contraddizioni nel mondo
finzionale dove: a)lo stesso evento viene introdotto in diverse versioni conflittuali; b) lo stesso luogo è al
tempo stesso e non, l’ambiente in cui si svolge la storia, c) gli eventi sono organizzati attraverso sequenze
temporali contraddittorie; d) una stessa entità fittizia ricorre in diversi modi di esistenza.
Se nelle narrazioni si ha un utilizzo della prima persona parleremo di omodiegesi (chi narra è un personaggio
degli eventi raccontati), mentre nell’uso della terza parleremo di eterodiegesi (chi narra non fa parte dei fatti
raccontati). Di recente si è posto lo sguardo sulla narrazione di seconda persona (dove il narratario è il

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personaggio principale delle situazioni e degli eventi raccontati). Quando le narrazioni sono in prima o in
seconda persona, il narratore racconta i fatti riferendosi a se stesso o ad altri personaggi, tali narrazioni sono
definibili come omocomunicative, mentre nella narrazioni in terza persona la comunicazione è relativa ad
altri e perciò possono essere definite eterocomunicative.
Nelle narrazioni in prima persona il narratore si incarna in un individuo e la sua visione viene considerata
soggettiva; questa narrazione autodiegetica o omodiegetica si distingue solitamente tra un io narratore e io
narrato (personaggio). In particolare, la distanza che si trova nelle narrazioni retrospettiva, che separa queste
due figure è il punto cruciale della narrazione autobiografica, consentendo all’autore di adottare diversi
atteggiamenti nei confronti del suo io antecedente. Un’altra variante della prima persona è l’io testimoniale
nella quale l’informazione si limita ai pensieri di un narratore che è un personaggio secondario rispetto
l’azione principale. Il testimone è un focalizzatole interno, autorizzato a narrare soltanto ciò che può
plausibilmente scoprire.
La narrazione in seconda persona può essere sia omodiegetica sia eterodiegetica a seconda che il narratore
si rivolga a se stesso (alter-ego, you-narrative) o invece si rivolga a qualcun altro. La narrazione in terza
persona può non solo avere accesso alla mente dei personaggi, ma può anche vagare ed essere presente allo
stesso tempo in luoghi differenti, infine se si tratta di una voce anonima essa può essere eguagliata alla voce
della verità per quando riguarda le informazioni e i giudizi.
Le narrazioni in prima persona plurale occupano una posizione instabile tra le narrazioni in prima e quelle
in seconda/terza. Il parlante è un membro individuale di un gruppo che fa affermazioni, non essendone il
portavoce però egli può solo parlare riguardo ad esso e non al posto di esso.

Il modo
Come concetto letterario, il modo si riferisce ai differenti tipi di discorso o di rappresentazione all ’interno di
un testo narrativo, mentre una sua accezione più specifica indica la regolazione dell ’informazione narrativa,
ossia il tipo e la quantità di informazioni comunicate in un testo (distanza, prospettiva, focalizzazione ecc).
Platone distingue:
- una narrazione semplice, in cui l’autore è portatore di un messaggio proprio;
- una narrazione per mimesis (imitazione), dove il narratore parla attraverso i personaggi, dunque come se
fosse qualcun’altro;
- una forma mista, che unisce le due forme precedenti, dove il modo diegetico della storia
semplice si alterna al dialogo rappresentato mimeticamente.
Questa distinzione viene neutralizzata da Aristotele, che considera mimesis e diegesis come due modi
alternativi di imitazione, questa doppio rapporto equivarrebbe oggi al rapporto tra showing e telling.
Lo showing o mimesi è un modo connotato dalla dettagliata rappresentazione di situazioni ed eventi, e da
una mediazione del narratore ridotta al minimo. Mentre il telling o diegesi è caratterizzato da una maggiore
mediazione del narratore e offre una resa meno dettagliata delle situazioni. Il primo richiede un personaggio-
riflettore che non sia consapevole dell’atto narrativo, mentre il secondo richiede un narratore che sia
consapevole dell’atto che si sta compiendo.
Oltre a mimesi e diegesi oggi si distinguono altri modi:
- modo esterno vs. interno. Nel modo esterno (o testuale) il significato narrativo è codificato in
segni materiali, mentre nel modo interno esso è immagazzinato nella memoria e fatto agire nel
teatro mentale del ricordo, dell’immaginazione del sogno.
- modo autonomo vs. illustrativo. Nel primo il testo porta una storia che è inedita per il ricevente,
mentre nel secondo il testo racconta di nuovo e illustra una storia, completandola facendo
riferimento alla conoscenza del ricevente.
- modo determinato vs. indeterminato. Nel modo determinato un testo specifica una
narrazione ben definita, mentre nel modo indeterminato solo qualche punto è specificato, il
resto deve essere interpretato.
- modo letterale vs. metaforico. La prima soddisfa pienamente la definizione di narrativit à,
mentre la seconda usa solo alcune di queste caratteristiche.
Tra i modi narrativi si colloca anche il commento, il quale designa discorsi formulati dal narratore che vanno
oltre il mero resoconto dei fatti e degli eventi nel modo finzionale.
Il commento può avere una valenza semplicemente ornamentale. Si può avere un commento nella storia
quando un narratore può spiegare un evento, una motivazione di un personaggio. Mentre il commento sul
discorso include riferimenti autocoscienti al processo della narrazione e viene solitamente defi nito
“commento narrativo”.

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Il personaggio
Per personaggio, si intende un partecipante dello storyworld, ovvero ogni individuo che si presenta nella
fiction narrativa. I personaggi vengono prodotti dall ’intreccio e sono partecipanti o attanti più che persone.
Con il termine attante si indica un ruolo fondamentale nella struttura del testo, questi sono ben distinti dagli
attori che compaiono nella struttura superficiale del testo e sono costituiti da personaggi concreti,
testualmente determinati, sono costituiti da un modello di sei: Soggetto, Oggetto, Destinatore,
Destinatario, Aiutante, Oppositore, il nucleo di questo schema consiste nel fatto che esso è centrato
sull’oggetto del desiderio agognato dal soggetto.
A livello di struttura superficiale del testo, la relazione fra attanti ed attori può manifestarsi secondo tre
principali fenomenologie:
1. Isomorfismo: ad un attante corrisponde un solo attore;
2. Demoltiplicazione: ad un attante corrispondono più attori;
3. Sincretismo: un solo attore corrisponde a più attanti;
Recentemente il termine “attante” ha lasciato posto ai termini “partecipante” e “non partecipante”, i quali
termini designano ruoli giocati da entità coinvolte negli eventi, e da entità coinvolte in modo periferico.
I tre più importanti paradigmi attualmente disponibili per lo studio mimetico del personaggio sono quello
semantico, cognitivo e comunicativo.
- modello semantico. In base a questo modello i personaggi sono incompleti sotto certi punti di
vista, in quanto anche i mondi finzionali lo sono. Dietro gli eventi narrati e l ’agire dei personaggi si celano
codici modali che, danno vita all’universo narrativo. Tutti i personaggi infatti vogliono qualche cosa,
ottenere conoscenze riguardo a qualche cosa, o agiscono nel lecito e nell ’illecito sulla base di ciò che
ritengono possibile fare.
- Modello cognitivo. Si distinguono tra flat characters e round characters, dove i primi sono i personaggi
piatti o tipi a due dimensioni, poco approfonditi dal punto di vista morale e psicologico. I round characters
sono invece personaggi a tutto tondo o individui più articolati e caratterizzati, che proprio per la loro
complessità risultano maggiormente credibili.
Per riprodurre le parole dei personaggi, un narratore ha una possibilit à diretta ovvero la citazione (quotation)
e una indiretta, il resoconto (report).
Preliminarmente appare utile formulare una distinzione tra monologo interiore e monologo esteriore, il
primo vede in scena un personaggio che, più che parlare, pensa e riflette da solo su un fatto accaduto relativo
alla storia, mentre il secondo vede in scena un personaggio che parla da solo secondo una scena tipica delle
opere drammatica. L’espressione flusso di coscienza (stream of consciousness) indica qualsiasi
presentazione di pensiero illogico, non grammaticale e prettamente associativo. Anche se i due termini sono
intercambiabili portano delle differenze sotanziali ad esempio mentre il monologo interiore presenta i
pensieri di un personaggio piuttosto che le sue impressioni o percezioni, il flusso di coscienza presenta sia le
impressioni sia i pensieri enunciati in terza persona.

Il lettore/ascoltatore
Il lettore è un individuo reale e concreto che interpreta il testo; non deve essere confuso né con il narratore
(controparte ricettiva del narratore) né con il lettore implicito (l’istanza ricevente cui sono indirizzati i
messaggi dell’autore implicito).
Colui che legge deve di solito decodificare un testo, questa azione può essere fatta tramite un codice che è la
componente essenziale di ogni atto di comunicazione verbale, il movimento del lettore attraverso il testo è
regolato da cinque codici:
- Il codice proairetico che serve per organizzare le azioni descritte.
- Il codice referenziale per connettere lo storyworld con corpora accettati di conoscenza.
- Il codice semiotico è utile per organizzare i suoi personaggi e i loro dettagli caratterizzanti.
- Il codice simbolico per collegare il testo a più ampie strutture di di significazione.
- Il codice ermeneutico per seguire lo sviluppo testuale della suspense narrativa.
È possibile individuare un sesto codice, il metacodice, utile per indicare quale codice sia meglio per un testo
dato.
Il termine narratario designa il destinatario verso il quale il narratore racconta la propria storia; all’interno
di un racconto vi è sempre almeno un narratario che viene messo a livello diegetico del narratore cui si
rivolge, il narratario deve essere distinto tanto dal lettore reale quanto dal lettore implicito; il narratario infatti
costituisce l’uditorio del narratore e in quanto tale è inserito nel testo mentre, il lettore implicito costituisce

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l’uditorio dell’autore implicito è può essere dedotto dall’insieme del testo.
Applicando al narratario le distinzioni nascosto/palese/assente, esso può variare lungo una scala che va dalla
totale assenza di caratterizzazione alla piena caratterizzazione. Anche la categoria di distanza è stata definita
per il narratario dove si sono individuati 5 differenti tipi di relazione: 1) narratore e narratario sono
vicini l’uno all’altro ma lontani dei personaggi; 2) il narratore è lontano mentre narratario e personaggi sono
in stretto contatto; 3) narratore e personaggi sono vicini tra loro ma distanti dal narratario; 4) tutti e tre sono
vicini e prevale un impressione di generale solidariet à; 5) tutti e tre sono lontani.
Gli uomini comprendono le opere letterarie nel contesto del loro mondo e della loro specifica posizione nella
vita, tutto questo prende il nome di orizzonte d’attesa e si può affermare che su ogni testo ogni singolo lettore
ha un proprio orizzonte d’attesa.
La lettura nei secoli è stata in grado di fornire empatia ed emulazione, i primi riferimenti di questo vanno
ritrovati nell’atto della catarsi (purificazione) nozione grazie alla quale Aristotele nella poetica descrive gli
effetti della tragedia sullo spettatore, perciò si potrebbe dire che la tragedia svolga un atto di purificazione
verso la comunità cui si riferisce. Attraverso il concetto di catarsi Aristotele potrebbe aver tentato di spiegare
il fatto “scandaloso” che l’esperienza del terrore e della piet à verso individui finzionali provochi piacere,
mentre la purificazione di questi sentimenti denoterebbe la loro sublimazione estetica. In modo totalmente
opposto alla catarsi, la suspense produce un effetto che risulta dall’immersione temporale del lettore in una
narrazione e descrive il suo desiderio di conoscere i risultati.

Formattare ciò che si comunica


La narratività è da un lato la qualità di essere narrativo, dall’altro è l’insieme delle peculiarità che rendono un
racconto, per così dire, più o meno narrativo. Nella prima la questione si focalizza sulla domanda se un testo
è narrativo o no, nella seconda la domanda è una questione di grado ovvero la domanda è se ci sono testi più
o meno narrativi di altri.
Ma ciò che importa è che ogni narrazione rappresenta una serie di situazioni ed eventi, dove per eventi si
indica un cambiamento di stato che si manifesta gi à nel discorso attraverso un’enunciato di processo.
Le narrazioni partono da uno stato iniziale di equilibrio passando per una fase di non-equilibrio fino a
giungere a un punto finale dove l’equilibrio è restaurato.
Un testo per essere narrato richiede di essere inserito in un format che lo organizzi, il quale in buona sostanza
è coincidente con il plot, e che questo sarebbe un racconto degli eventi che ne privilegiano la causalità, in
contrapposizione alla story organizzata secondo una cronologia, “il re
morì e poi morì anche la regina è una story” mentre “il re morì e poi la regina morì di dolore” è un plot.
Il plot è l’operazione di trasformazione di una serie di eventi storici in una sequenza dotata di struttura
narrativa, infatti si può intendere il plot come un aggregato di una serie di domini differenti rappresentati nel
testo, di questo ci sono molti tentativi di classificazione dei plot in base alle affinità strutturali o tematiche.
Gli intrecci per esempio possono essere euforici (quando le cose vanno per il meglio) disforici (le cose
mutano in peggio), esterni (basati su eventi ed esperienze esteriori), interni (basati su sentimenti e moti
interiori) e infine semplici (privi di peripezie) epici (episodici) o drammatici (strettamente coesi).
La definizione di plot come prodotto di conflitto tra i vari mondi sia dei personaggi che del reale stato delle
cose porta a una nuova tipologia di plot flaggata a seconda delle dinamiche specifiche del conflitto:
1. Conflitto tra i differenti domini del mondo privato di un personaggio.
2. Conflitto tra il TAW (mondo testuale reale) e il mondo privato di un personaggio che può produrre un plot
di ricerca. 3. Conflitto tra i doveri di un
personaggio e il TAW, che crea una situazione di difficoltà morale.
4. Conflitti e incoerenze tra il sistema di conoscenze dei personaggi e il TAW, che può condurre a deficit di
informazione e generare plot che comportano errori e inganni.
In senso puramente morfologico si possono invece identificare:
1) il contro-plot, ovvero un insieme unificato di azioni dirette a un risultato opposto a quello che guida le
azioni del plot principale.
2) il doppio-plot ossia un intreccio che comporta due situazioni simultanee di uguale importanza. 3) il sub-
plot vale a dire un insieme unificato di azioni coincidente con il plot principale ma ad esso subordinato.
4) la multi-plot narrative, ossia una narrazione che segue i destini paralleli di un’ampia costellazioni di
personaggi, ritagliando una cosiddetta slice of life nella vicenda dello storyworld.

Quantificare ciò che si comunica


Il termine paratesto designa tutti quegli elementi che contornano e prolungano un testo per presentarlo o
meglio per renderlo presente, gli elementi paratestuali sono svariati e se ci concentriamo solamente sul
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romanzo potremmo individuare come elementi il titolo, invertitori (titoli interni), epigrafi, dediche,
prefazioni, postfazioni, note, copertina, frontespizio, quarta di copertina, sopraccoperta, fascetta, ecc.
La funzione del titolo è quella di identificare e designare l’opera e talvolta allude al contenuto fornendo
elementi comunicativi essenziali, altre volte è semanticamente vuoto. O a volte può creare problemi
interpretativi. Altri elementi importanti sono l’eserego, che indica un motto o citazione all’inizio del testo e
la dedica. Mentre l’epigrafe può commentare e chiarire il titolo o l’intero testo e può essere inserita non
perché sia importante in sé, ma in quanto è significativa dell’identità del suo autore.
Una volta definite le soglie del testo, appaiono importanti le funzioni dell’inizio e dell’epilogo, la parole
“incipit” deriva dalla formula latina di inizio dei libri e la sua funzione è quella di designare la soglia
ingressiva di un testo e al tempo stesso presentarlo, questo evidentemente è l’inizio che può essere diviso in
tre categorie:
1. Incipit narrativi, pur essendo una categoria molto vasta all ’interno di questa si possono trovare dei topoi
fissi come la nascita, la partenza e l’arrivo, la scoperta e l’attesa, il risveglio,
l’incontro.
2. Incipit descrittivi, a loro volta classificabili in relazione all’oggetto della descrizione, si possono
trovare ad esempio descrizioni topografiche che procedono dal particolare al generale.
3. Incipit commentativi, all’interno di questi è possibile una sottoclassificazione a seconda del tipo di
discorso presentato: la digressione iniziale può infatti focalizzarsi su ciò che sarà
narrato o sulla narrazione.

L’incipit rappresenta il luogo in cui avviene la presa di contatto tra mittente e destinatario , da ciò si possono
reperire 5 funzioni principali dell’incipit:
1. Funzione codificante, ovvero iniziare il testo situando l’opera nell’intertesto rappresentato dalla
storia del genere romanzesco.
2. Funzione seduttiva, ossia fornire una strategia di orientamento del lettore, nonch é una
strategia di seduzione che mira a mantenere la comunicazione con un effetto di desiderio.
3. Funzione tematica, consiste nel presentare gli argomenti del testo.
4. Funzione informativa, ossia fornire un’informazione che può essere referenziale in quanto
rinvia necessariamente a ciò che è fuori dal testo.
5. Funzione drammatica, ossia mettere in movimento la storia entrando più o meno nell ’azione.
Di modalità di inizio di incipit invece si potrà parlare di categorie quali l’inizio in medias res, oppure
iniziare dalla fine che possono definire l’incipit in base alla sua generale velocità di entrata nello storyworld:
1. Incipit statico, ovvero una forma di apertura informativa, di preparazione alla storia che in genere si
realizza nella modalità descrittiva.

2. Incipit progressivo, che comporta un ingresso diretto nella storia.


3. Incipit dinamico, identificabile con un incipit in medias res.
4. Incipit sospensivo, che si caratterizza come una sospensione assoluta dell ’inizio e della
narrazione stessa, presentando un inizio che non può essere percepito in quanto tale.

In modo simmetricamente opposto, la fine o explicit è il segmento conclusivo di un plot o di un’azione, può
fornire i chiarimenti circa la comprensione degli eventi da cui essa segue e serve anche come principio
riorganizzatore del racconto, insomma la chiusura narrativa coincide con la sensazione che un racconto o una
sequenza narrativa siano giunti alla fine, in modo tale da “creare nel destinatario un’impressione di
completamento appropriato e di compiutezza”.
Per costruire una narrazione ci si può avvalere dell’incastonatura o embedding, intesa come la
combinazione di sequenze narrative tale che una sia pronta all ’interno di un’altra. Essa riguarda
l’orchestrazione dei livelli narrativi. Le narrazioni incastonate si possono dividere in due in base alla loro
estensione:
1. In alcune opere una storia esigua che funge da cornice crea una situazione drammatica entro la quale i
personaggi narrano una serie di storie che costituisce la maggior parte dell ’opera;
2. In altre opere, una prolungata narrazione primaria è interrotta da una storia più corta raccontata da un
personaggio all’altro.
Si possono individuare tre funzioni primarie dell’incastonatura;
1. Drammatica o esplicativa, che spiega o influenza il corso della narrazione di incastonatura;
2. Tematica, che sfrutta le differenze o le analogie tra le due narrazioni;
3. Meccanica o gratuita che implica una relazione poco significativa tra le due narrazioni.
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Effetti speciali
La nozione di effetto di realtà è stata introdotta da Roland Barthes nell’osservare come nei racconti realistici
si trovino dettagli descrittivi che non sembrano avere necessit à logica o estetica, vale a dire particolari che si
presumono menzionati per la sola ragione che costituiscono una parte della realtà rappresentata; eppure la
loro evocazione indica innanzitutto che la descrizione è reale, l ’effetto di realtà permette attraverso l’uso di
descrizioni di dettagli verosimili di suscitare un senso di reale.
Tra quelli che si definiscono “effetti speciali” si annovera senza dubbio qualcosa di totalmente opposto
all’effetto di realtà, ossia la metalessi che consiste nell’intrusione nella dieresi di un ente che proviene da
un’altra dieresi: per esempio si ha metalessi quando un narratore extradiegetico entra inaspettatamente
nell’universo delle situazioni e degli eventi narrati. Si possono distinguere due tipi di metalessi:
1. La metalessi discendente, in cui la realtà scarica sulla finzione le proprie prerogative allo scopo
di farla diventare reale: un esempio è costituito dal naturalismo francese della seconda metà dell’ottocento,
dove i personaggi di pura finzione agiscono in contesti realmente esistenti e descritti.
2. La metalessi ascendente, che si verifica quando la finzione invade la realt à inquinandone l’esistenza
stessa.
Altra forma di metalessi può essere considerata il teatro nel teatro: mediante l ’eliminazione della “parete”
che separa attori e spettatori, Pirandello realizza effetti di straniamento che gli permettono dal vivo di
metariflettervi mandando così in frantumi quel patto tra attori e spettatori.
La metalessi si è manifestata anche nel cinema, basti pensare agli effetti di fondu sonore, quando sulla scena
di un film si cominciano a percepire rumori e suoni che appartengono alla scena successiva.
Il cortocircuito di livelli narrativi su cui si fonda la metalessi è in un certo senso presente nella mise en
abyme, la quale designa la replica miniaturizzata di un testo, inserita nel testo stesso, che raddoppia o
rispecchia gli aspetti del testo nel suo insieme, uno specchio interno che riflette l’insieme del racconto.
Il procedimento letterario della mise en abyme (espediente narratologico che prevede la reduplicazione di
una sequenza di eventi o la collocazione di una sequenza esemplare che condensi in s é il significato) può
essere attuato in un segmento narrativo che, rispetto all ’opera che lo include, è di lunghezza molto variabile,
infatti si va dal brando di estensione limitata fino alla novella e al romanzo nel romanzo. Si possono
individuare tre tipi di duplicazione:
1. Duplicazione semplice, ovvero un frammento che intrattiene con l’opera che lo include un
rapporto di similitudine.
2. Duplicazione all’infinito o ripetuta, vale a dire un frammento che intrattiene con l'opera che lo include un
rapporto di similitudine, che include anch'esso un frammento che...ecc.
3. Duplicazione apoliristica, quando si ha un frammento il quale presumibilmente include l’opera
che lo include.

La metalessi e la mise en abyme hanno come effetto di minare la verosimiglianza, creando u n’atmosfera di
straniamento e inquietudine. Lo stracciamento indica il procedimento di rendere estraneo ciò che è
familiare, ostacolando la percezione abituale automatica delle cose.
La defamiliarizzazione ha come effetto una visione conscia dell’oggetto rappresentato, nonché la
stimolazione di un senso per la percezione stessa, che rende il soggetto consapevole del fatto di percepire.
Tale procedimento può focalizzarsi su istituzioni sociali, la cui vera natura è oscurata da rappresentazioni e
ricezioni convenzionali, ma in quanto strategia comunicativa che punta all’oggettivazione di se stessi e
all’immedesimazione di qualcuno che sia lontano o diverso attraverso il cambiamento di punto di vista, lo
straniamento è altrettanto ricorrente nell’ambito della pubblicità.

3. Il punto di vista, il tempo e lo spazio


L’osservatore
Una delle categorie più discusse della pratiche narrative è quella del punto di vista, relativa cioè alla
posizione fisica, psicologica e ideologica rispetto alla quale vengono rappresentati gli eventi narrati. Il punto
di vista può essere situato all’interno della narrazione oppure all’esterno di essa: nel primo caso promana da
un personaggio mentre nel secondo caso il punto di vista proviene da un narratore più o meno onnisciente. In
entrambi i casi il punto di vista è ipotetico piuttosto che reale, svelando ciò che potrebbe essere percepito da
una certa prospettiva.
Il punto di vista può essere essere percettivo quando si ha una percezione fisica attraverso la quale si

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apprende una situazione o un evento, mentre il punto di vista concettuale è la visione del mondo in base alla
quale una situazione o un evento viene preso in considerazione; punto di vista dell’interesse vale a dire la
considerazione delle situazioni e degli eventi narrati in rapporto ai target che maggiormente riguardano un
personaggio. E punto di vista inteso come voce narrativa, che al contrario si riferisce al discorso o agli altri
mezzi espliciti tramite i quali eventi ed esistenti vengono comunicati al pubblico.
I principali punti di vista cinematografici sono tre:

1. La visuale oggettiva, consente allo spettatore di accedere all ’immagine senza che sia filtrata
dal punto di vista di un personaggio;

2. La visuale soggettiva, si ha quando il regista decide di identificare la visione dello spettatore


con quella del personaggio, ponendo la macchina da presa dietro di lui, egli assume quindi un
ruolo simile a quello di un personaggio riflettore o focalizzatore nella narrativa verbale;

3. La visuale semi-soggettiva, si ha quando non vediamo esattamente attraverso gli occhi del
personaggio ma gli siamo molto vicini.

Una delle più grandi rivoluzioni introdotte dai “new media” è quella di consentire all’utente di variare il
punto di vista, la realtà virtuale infatti ci permette di occupare posizione e punto di vista di persone e creature
diverse da noi. Questa forse è la più estrema libertà che la nostra società sia in grado di offrire.

Come osservare
La percezione visiva comporta l’adozione di una determinata prospettiva, la quale è un codice semiotico, che
nello specifico si attua attraverso la logica dell ’immediatezza trasparente, in cui lo
scopo ultimo del medium è rendersi trasparente. Mentre le accezioni più filosofiche propongono una teoria
della prospettiva secondo cui la nostra conoscenza del mondo sarebbe inevitabilmente parziale e limitata al
punto di vista individuale attraverso cui è percepito, mentre nell’ambito della teoria narrativa “prospettiva”
tende a indicare una visione del mondo soggettiva, propria del narratore e dei suoi personaggi e i fattori che
la determinano sono la sua conoscenza e la sua disposizione psicologica.
La somma delle relazioni prospettiche di un testo costituisce la “sua struttura di prospettiva”, è possibile
individuare una “struttura di prospettiva chiusa” quando si distinguono un messaggio chiaro e una visione
unificata, oppure una “struttura a prospettiva aperta” laddove i pari punti di vista sono inconciliabili e
semplicemente sussistono l’uno accanto all’altro. In questo conteso si rivela una pluralità di visioni etico-
valoriali in conflitto. In un’accezione più ristretta la prospettiva è, insieme alla distanza, una delle modalit à
principali di regolazione dell’azione narrativa.
Comunque va ricordato che al termine prospettiva si preferisce utilizzare quello di “focalizzazione” che
denota la restrizione delle informazioni narrative relativamente alla percezione, immaginazione e conoscenza
di qualcuno.
Nelle narrazioni vengono classificati tre modi di visione: vision avec (dall’interno della mente del
personaggio) vision par derrière (dal punto di vista del narratore onniscente) vision du dehors (simile a
quella di una telecamera). Poi c’è un’altro tipo di visione legata al narratore che si distingue in: narratore che
ne sa più del personaggio N>P, narratore che sa quanto il personaggio N=P, e narratore che ne sa meno del
personaggio N<P.
Ma a Genette si deve la creazione di una nuova tipologia con tre principali focalizzazioni:
- focalizzazione zero o racconto non focalizzato: si verifica tipicamente nel racconto “classico” o
“tradizionale”, quando vi è un narratore onnisciente che conosce tutto della storia e sa più dei
personaggi che descrive.
- focalizzazione interna: in questo caso il punto di vista è quello di un personaggio, per cui il
narratore dice solo quello che vede e sa il personaggio, il quale funziona come il focalizzatore della storia. Si
tratta forse della focalizzazione più importante nel quale si può caratterizzare un tipo di scrittura mind-style
per indicare uno stile di scrittura in cui si suggerisce un tipo di pensare che si rivela quando i loro processi
mentali vengono rappresentati nel testo.
A questa Genette ha indicato tre sotto-categorie:
1. La focalizzazione interna fissa adotta il punto di vista di un personaggio solamente per tutta la
durata della narrazione;

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2. La focalizzazione interna variabile la quale si trova nelle narrazioni che impiegano più di un
riflettore;

3. La focalizzazione interna multipla si verifica quando lo stesso evento viene narrato più volte,
ma attraverso un riflettore diverso;

- focalizzazione esterna: il punto di vista è quello di un narratore esterno nascosto che ne sa


meno dei personaggi, i quali agiscono dinanzi a noi senza che siamo mai ammessi a conoscerne pensieri e
sentimenti. La focalizzazione esterna è caratterizzata non tanto dalla prospettiva quanto dalla quantit à di
informazioni fornite.
- focalizzazione ipotetica: consiste nell’assegnare la costruzione di mondi possibili a un ipotetico
osservatore e si manifesta in forme diverse, tra cui la più conosciuta è la tecnica dell ’osservatore virtuale, si
può distinguere tra focalizzazione ipotetica diretta, che comporta un esplicito riferimento a un testimone, e
focalizzazione ipotetica indiretta, costituita implicitamente come nel caso dei condizionali contrattuali.

La focalizzazione può subire delle variazioni dipendenti dalla paralissi e dal suo esito contrario, la paralisi:
La paralissi è etimologicamente un omissione laterale, che consiste nell’omettere una informazione relativa
a fatti accaduti nel periodo di tempo teoricamente coperto dal racconto.
Al contrario, la paralisi consiste nel dare un’informazione maggiore di quella che ci si aspetterebbe in base
al codice di focalizzazione del racconto. Essa può presentarsi in due modi, nella prima l ’eccesso di
informazioni consiste in un’incursione nella coscienza di un personaggio durante un racconto generalmente
condotto in focalizzazione esterna.
La seconda l’eccesso di informazioni si ha quando in un racconto a focalizzazione interna, si d à
un’informazione accidentale sui pensieri di un personaggio diverso dal personaggio focale, o su un evento
che costui non può vedere.

Tempo e narrazione
La temporalità narrativa riguarda innanzitutto la complessa interrelazione tra i differenti tipi di temporalit à
testuale: così, a livello della storia la temporalità è concettualizzata in un modo “oggettivo” e univoco,
mentre a livello di discorso è instituito un ordine cognitivo di temporalità, che non si basa su procedimenti
sequenziali o su una cronologia, bensì su strutture olimpiche di comprensione narrativa che vincolano il
racconto a un disegno teleologico. Il rapporto tra narrativa e temporalità è una delle più importanti aree di
ricerca anche perché, in una narrazione nulla resta immune dal tempo, tutto accade sempre prima di, o
abitualmente, o per la prima volta o una volta sola.
Si può fare una distinzione tra tempo del discorso e tempo della storia dove il primo è misurato in parole e
pagine di testo e nelle ore impiegate dalla lettura della storia, mentre il “tempo della storia” è un’astrazione
ed esso non può essere analizzato a prescindere dalla sua relazione rispetto al racconto, dalla relazione tra il
narratore e gli eventi raccontati, dalla prospettiva e dal punto di vista che il narratore adotta raccontando la
storia.
Solitamente il tempo della storia è disposto secondo un ordine cronologico, mentre a livello del discorso si
trovano rimescolamenti dell’ordine temporale che producono le cosiddette anacronie, ovvero discordanze
tra l’ordine della storia narrata (successio della fabula o story) e l’ordine del discorso che narra.
Va ricordato come la tradizione letteraria occidentale si prefigura con un effetto di anaconda, poiché l’inizio
in medias res costringe l’autore a ricostruire retrospettivamente l ’incipit (Omero, Iliade). Questo stile è
divenuto poi uno dei topoi formali del genere epico e romanzesco. L’anacronia può avere una funzione
completiva, se si tratta di colmare una lacuna anteriore o posteriore del racconto, oppure una funzione
ripetitiva, se il racconto torna apertamente su suoi passi.
Le anacronie possono manifestarsi nella forma di anaconda omodiegetica quando essa è fondata sulla
medesima linea d’azione del racconto principale, oppure può essere eterodiegetica quando si basa su un
racconto narrativo diverso da quello principale.
Le sue due principali forme sono:
1. L’analessi (detta anche flashback) che consiste nell’evocazione di uno o più fatti accaduti

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prima del “momento presente”, essa pertanto si verifica quando eventi che dovrebbero essere narrati secondo
lo schema ABC vengono narrati secondo lo schema BAC o BCA, in base alla sua portata si possono
distinguere:
- analessi interna, quando il punto di portata e il punto di ampiezza dell’anacronia sono entrambi posteriori
all’inizio del racconto primo e la sua ampiezza è completamente inclusa nell ’ampiezza del racconto stesso.
- analessi esterna quando il punto di portata e il punto di ampiezza sono entrambi anteriori al punto d ’inizio
del racconto primo e la sua ampiezza globale non interseca quella del racconto primo.
- analessi mista, quando l’anaconda ha un punto di portata anteriore e un punto di ampiezza posteriore al
punto d’inizio del racconto primo e la sua ampiezza interseca in parte quella del racconto primo.
- 2. La prolessi (detta acne flashforward) è la forma contraria dell’analessi e consiste nell’anticipazione di
fatti che accadranno dopo il “momento presente”. Essa pertanto si verifica quando gli aventi che dovrebbero
essere narrati secondo lo schema ABC vengono narrati secondo lo schema ACB o CAB. analogamente
all’analessi potremmo parlare di prolessi interna esterna o mista. La prolessi di solito è finalizzata ad
alimentare le cosiddette “passioni d’attesa” e quindi anche la suspense.
Accanto alle due più frequenti forme di anaconda è possibile individuarne un terzo tipo, definibile sillessi,
ovvero il raggruppamento di situazioni ed eventi governato da una parentela tematica, spaziale o d ’altro
genere.
Quando invece in una narrazione non troviamo connessione temporale parleremo di acronia.
La nozione di durata che indica quanto tempo l’autore impiega per raccontare un fatto (più breve sarà, meno
importante sarà), può essere assai problematica in particolare nel racconto scritto dove il tempo della storia
può essere specificato mentre quello del discorso è impossibile da misurare. Infatti al concetto di durata si
sostituisce quello di velocità, con la quale si intende l’insieme di narrazioni fra la durata del narrato e la
lunghezza del racconto.
Se troveremo un racconto dove la durata di una situazione e la durata della sua rappresentazione sono uguali
allora si parlerà di isocronia, benché si può affermare che il racconto isocrono è praticamente inesistente.
L’anisocronia si definisce come la varietà di velocità narrativa, accelerazione o rallentamento che sia,
secondo cinque modalità:

1. L’ellissi, (mancanza) costituisce una tecnica già utilizzata da tempo dove si fa fede al lettore
nell’ipotizzare ciò che manca, mentre l’ellissi temporale è una tecnica narrativa consistente nel tacere i fatti
avvenuti in un determinato arco cronologico, tale per cui il tempo del racconto è nullo o inferiore al tempo
della storia. Essa può presentarsi come una forma di ellissi esplicita (che procede tramite indicazione del
tempo eliso) ed ellissi implicita (la cui presenza non è dichiarata nel testo).

2. Il sommario (o panorama, o riassunto) si ha quando un testo narrativo relativamente breve corrisponde a


un tempo narrato relativamente lungo, il sommario colma il divario di velocit à tra ellissi e scena.

3. Si ha una scena quando vi è qualche equivalenza tra un segmento del racconto e il narrato che esso
rappresenta, come nel dialogo: la scena appartiene dunque allo showing, mentre il sommario al telling.

4. Quando il tempo del racconto è più lungo del tempo della storia si verifica l’estensione tecnica che viene
resa tramite lo slow motion, le parole possono essere ripetute o parafrasate, e gli accadimenti verbali
possono essere verbalizzati diverse volte.

5. Si ha una pausa, quando una certa parte del tempo narrativo o un certo tempo del discorso corrisponde a
un arresto del tempo della storia, e si può dire che il racconto si ferma.

La frequenza narrativa riguarda le relazioni di ripetizione tra il numero di volte che un evento accade nello
story e il numero di volte in cui essi sono narrati, con la possibilità di distinguere tra: - racconto singolativo,
ovvero raccontare una volta sola quanto è avvenuto una volta sola;
- racconto singolativo-multiplo, vale a dire raccontare tot. volte ciò che è accaduto tot. volte;
- racconto ripetitivo ossia raccontare tot. volte ciò che è accaduto una volta sola;
- racconto iterativo ovvero raccontare una sola volta quanto è avvenuto tot. volte;
La distinzione tempo della storia vs. tempo del racconto conduce a connettere lo studio dei livelli temporali
con l’analisi del tempo grammaticale nella narrazione, la narrativa funzionale spesso presenta un tempo
definito come “preterito epico”: si tratta di un passato la cui funzione è quella di mettere in primo piano la

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finzionalità del testo e non la sua collocazione storica, anziché indicare un tempo reale esso indica un passato
solo per gli individui reali, mentre gli eventi della fiction sono senza tempo e accadono solo nel presente
immaginario dei personaggi.
Oltre a tempo della storia e tempo del discorso, si può individuare un terzo livello costituito dai testi
narrativi: il tempo della narrazione, ossia della produzione del racconto e delle sue strategie comunicative
per cui il livello del discorso è suddivisibile ulteriormente in “narrazione” e “testo”. In base alla posizione
del narratore nei confronti della storia si possono distinguere quattro tipi di narrazione: ulteriore, anteriore,
simultanea, intercalata.
Per quanto riguarda il tempo di lettura, esso abbraccia non solo il numero di ore spese leggendo un libro ma
il fattore della suspense, le aspettative e le mosse interpretative del lettore.

Cronotipi
La parola cronotipo alla lettera significa spazio-tempo e indica l’interconnessione dei rapporti spaziali-
temporali, per Batchin cronotipo significa “inscindibilità dello spazio e del tempo”, vale a dire il loro
condizionamento reciproco nelle opere letterarie, poich é solo grazie alla materializzazione del tempo gli
eventi narrativi diventano rappresentabili. La nozione di cronotipo si estende alle reazioni emotive suscitate
dal testo ed è inoltre una figura di pensiero che agisce a livello concettuale ed ideologico. I cronotipi sono
modelli narrativi distinti, in grado di differenziare tra loro i generi letterari. Questa categoria è stata
spodestata dallo storyworld perché può essere definito come una classe di modelli mentali usati per dare
senso a una narrazione poiché da questo non si costruisce solo ciò che è accaduti ma anche il contesto che
racchiude gli enti dell’universo narrativo.
La funzione narrativa del racconto come luogo in cui il tempo diviene umano è diviso in due modi distinti:
configurazione, ossia le operazioni narrative all’interno del linguaggio nella forma di ricostruzione
dell’intreccio e dei personaggi; la rifigurazione, ovvero la trasformazione dell’esperienza visiva del tempo
mediante il racconto.

Formattare lo spazio
Lo spazio può essere definito come il luogo o i luoghi nel quali sono ambientati gli eventi rappresentati, si
può parlare oltre che di relazioni di tempo, anche di relazioni di luogo. Vi sono tre principali tipi di
organizzazione spaziali all’interno dei mondi narrativi:
1. Testi che contengono spazi contigui, dove i personaggi si muovono liberamente da un luogo a
quello successivo.
2. Testi con spazi discontinui, ontologicamente distinti, che consentono una comunicazione solo
in alcune circostanti eccezionali.
3. Testi con spazi ontologicamente distinti che non consentono comunicazione, se non tramite
metalessi.
Il tempo e lo spazio costituiscono un complesso inseparabile di parametri ed il tempo rappresenta la quarta
dimensione dello spazio.
lo spazio vissuto è lo spazio dieteticamente orientato così come viene percepito nella vita quotidiana, e il
termine stesso indica che le concezioni umane di spazio includono sempre un soggetto influenzato dallo
spazio, ebbene è proprio in questo quadro di interrelazioni centrate sul soggetto che le descrizioni spaziali
acquisiscono quei significati complessi che hanno sia nella vita reale che nei testi narrativi.
Nello stesso modo in cui la distinzione storia vs. Discorso fornisce il fondamento dei concetti di tempo della
storia e tempo del discorso, è possibile distinguere tra spazio della storia e spazio del discorso: lo spazio
della storia si riferisce all’ambiente spaziale immediato che contiene un’azione, mentre lo spazio del discorso
si riferisce a tutti quegli ambienti che inquadrano le attivit à del narratore, incluso l’atto stesso dello scrivere e
di configurazione dello storytelling.
Nella narrativa verbale lo spazio è più astratto in quanto viene “visto” nell’immaginazione e trasformato da
parole in proiezioni mentali. La lettura richiede la costruzione di una mappa cognitiva, cioè un modello
mentale di relazioni non solo temporali ma spaziali.

Descrivere gli spazi


Dal punto di vista retorico, la descrizione è una figura di pensiero per aggiunzione che in origine indica
genericamente un procedimento descrittivo. Sin dall’antichità la descrizione è vista come una sorta di
iperbole dell’ornatus.
Dal punto di vista narrativo, la descrizione appare come una modalit à di sospensione del racconto della storia
principale per fare spazio a una digressione, che in effetti può essere narrativa, riflessiva o descrittiva.
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Se la descrizione è tradizionalmente distinta dalla rappresentazione dialogica, essa risulta quasi sempre dalla
congiunzione di un personaggio con un paesaggio, che funge da tema introduttore e dà luogo all’apparizione
di una nomenclatura le cui unità costitutive sono in relazione metonimia con il tema principale.
La descrizione fa infatti appello alla competenza lessicale del lettore, alla sua capacit à di attingere alla
propria memoria linguistica e alla propria enciclopedia mentale, mentre un testo narrativo stimola la sua
competenza logica, la sua capacità di collegare i contenuti in un sistema di relazioni dialettiche.
Tali funzioni possono essere così elencate: demarcativa se sottolinea le articolazioni della narrazione,
dilatatoria se ritarda l’apparizione di una sequenza logicamente attesa , decorativa se svolge una funzione di
integrazione in un sistema estetico-retorico, indiziaria se connota per via indiretta la psicologia o il destino
dei personaggi, tassonomica se assicura la concatenazione logica, la leggibilit à e prevedibilità del racconto.

5. Forme contemporanee
Il predominio dell’intertestualità
Ogni testo è circondato da altri testi e da sempre rinnovati contesti: è questa la funzione generale
dell’intertestualità. Per Genette l’intertestualità è solo una delle cinque tipologie che può assumere la
transtestualità, ossia la relazione manifesta o segreta di un testo con altri testi, egli definisce:
- intertestualità la presenza effettiva di un testo in un altro testo;
- paratestualità tutti gli elementi esterni al testo che lo completano (per esempio la quarta di copertina);
- metatestualità la relazione critica in base alla quale un testo diventa oggetto di commento o
interpretazione da parte di un secondo testo detto metatesto;

- ipertestualità la relazione che unisce un testo anteriore, detto ipotesto, a un testo posteriore,
detto ipertesto, secondo la duplice modalità della trasformazione semplice o diretta e della
trasformazione indiretta o imitazione;

- architestualità la relazione che un testo intrattiene con le diverse tipologie di generi discorsivi,
retorici e stilistici, relazione mediata soprattutto dalla nozione di genere letterario.
Le relazioni intertestuali possono essere colte anche in rapporto ai generi letterari diversi, non solo tra
scrittori, e in tal caso vanno distinte in:
- relazioni intergeneriche, ossia ogni forma di semplice riproduzione di un modello generico in
diversi testi.
- relazioni intrageneriche, vale a dire ogni rapporto di variazione e trasformazione tra un modello
generico e i testi.
- relazioni extrageneriche, ovvero ogni rapporto dialettico tra generi letterari e singoli testi che
sia il risultato dell’interazione con il più ampio contesto culturale.
La letteratura, il cinema, la televisione e i new media sembrano essersi messi da ormai vent’anni al servizio
dell’intertestualità, intesa sia come procedimento retorico discrorsivo alimentato da citazioni, cliché ecc sia
come procedimento competitivo più esteso o totalizzante in forma di parodia, pastiche, riscrittura, plagio,
trasposizione ecc.
La citazione è la forma più semplice di intertestualit à, in quanto ripete frammenti di discorsi. L’allusione è
una figura retorica e più precisamente una figura di pensiero per sostituzione che consiste nel riferirsi a
qualcosa senza tuttavia nominarlo esplicitamente, lasciando al destinatario il compito di decodificare ciò che
viene indicato in modo ellittico o indiretto.
La parodia designa una pratica ipertestuale per trasformazione, ovvero la ricontestualizzazione ludica di un
ipotesto da parte di un ipertesto. Si usa distinguere la stilizzazione dalla parodia, dove la prima è quella
classica, secondo cui la parodia è improntata a una funzione prevalentemente satirico burlesca. La seconda è
quella moderna legata all’ironia, che tende a innescare una sorta di confronto dialettico fra i testi coinvolti a
svolgere una funzione costruttiva o sintetica tra il modello testuale parodiato e il modello testuale parodiante.
Il pastiche satirico è una forma di imitazione stilistica basata sulla ripetizione puntuale delle caratteristiche
formali della scrittura di un autore, con intenti critici e dissacratori, tanto da prevedere lo scontro tra lo stile
imitato e un modello stilistico ideale per la chiarezza ed essenzialit à.
Nel pastiche ludico invece l’imitatore si appropria di uno stile di ricerca secondo lo stile di un altro autore,
senza alcuna intenzione ironica o satirica, ma al solo scopo ludico di proporre una forma di esercizio
letterario.

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Nella riscrittura postmoderna, i narratori postmoderni hanno eletto le strategie intertestuali a bene primario
innanzitutto nella convinzione che tutto sia stato già detto e che si possa oramai solo riscrivere, modificare,
permutare secondo combinazioni differenti, facendo entrare in gioco un atto intenzionale di re-
narrativizzazione che differisce dall’imitazione o replica tradizionale in quanto va al di là del semplice
rimaneggiamento del suo modello.
La riscrittura può innanzitutto assumere la forma della trasposizione, se conserva l’impianto e la storia
principale del protomondo collocandoli tuttavia in una diversa ambientazione temporale/ spaziale.
L’espansione estende invece la portata del protomondo, colmandone le lacune e costruendo una pre o post-
istoria: i due mondi in questo caso sono complementari.
Forma ancora più estrema di riscrittura è invece la dislocazione, che costruisce una versione sostanzialmente
diversa del protomondo ridelineandone la struttura e reinventandone la storia. Queste riscritture più radicali
creano antimondi polemici in grado di minare la legittimità del protomondo canonico.
La metafinzionalità indica la capacità dello storytelling di riflettere su se stesso, il termine “metafiction” si
riferisce a narrazioni costruite sul principio di un’opposizione fondamentale e prolungata tra l’illusione
finzionale e la sua messa a nudo, in modo tale che il minimo comune denominatore è simultaneamente creare
una fiction e fare asserzioni riguardo alla creazione di questa fiction.
La transfinzionalità si trova quando due o più testi condividono personaggi, ambientazioni e mondi
funzionali. Si possono considerare le le versioni transfinzionali come controparti, cioè mondi possibili
differenti che intrattengono una relazione stretta con il loro originale.
La narrazione contrattuale modifica in via ipotetica un racconto del passato, modificandone lo scenario
narrativo: vi si ricorre in ambito politico e storiografico e nel genere funzionale della storia alternativa.

Intermedialità, sempre e comunque


L’incidenza crescente dell’intermedialità nella fiction è solo uno degli aspetti di ciò che potrebbe essere
chiamata “la svolta intermediale”.
L’intermedialità, che non deve essere confusa con l’intertestualità, comporta l’attraversamento dei confini
tra i singoli media, e pertanto riguarda le relazioni “etero-mediali” tra i complessi semiotici differenti di un
complesso semiotico. I media infatti non vanno pensati come semplicemente indipendenti o contrapposti,
bensì come operanti su presupposizioni reciproche e “linkati” sino a creare un flusso illimitato di
adattamenti, il quale non è tuttavia una semplice imitazione, ma il tutto viene ricontestualizzato in un nuovo
scenario mediale.
Un serio problema è costituito dall’estensione del termine intermedialità, che alcuni studiosi riservano ai
fenomeni intracompositivi, ossia documentabili all’interno di un opera in termini di partecipazione diretta o
indiretta da parte di più di un medium, mentre altri vi includono forme extracompositivie risultanti o dalle
relazioni o confronto tra entità semiotiche differenti dal punto di vista mediale.
L’intermedialità intracompositiva ha un’incidenza profonda sull’organizzazione del testo, questo in una
duplice forma; la prima è la multimedialità dove due o più media son apertamente presenti in una data entit à
semiotica e si creano degli ibridi mediali, come il balletto.
Mentre meno comune è il cosiddetto riferimento intermediale, poiché implica l’incorporazione di un altro
medium solo in maniera indiretta e nascosta, e il medium di base mantiene il carattere di complesso
semiotico omo-mediale.
Riferimenti impliciti ad altri media possono darsi sotto tre varianti:
1) la citazione o riproduzione parziale, come quando un romanzo cita il testo di una canzone
sconosciuta, richiamando l’intera partitura musicale alla memoria del lettore ;

2) l’evocazione, quando si imitano gli effetti di un altro medium tramite mezzi monomediali senza
implicare la citazione, al modo di un romanzo che evoca una pittura nella mente del lettore attraverso la
descrizione o una composizione musicale specificando i suoi effetti su determinati personaggi;

3) l’imitazione intermediario-formale, la cui caratteristica saliente consiste nel tentativo di dare una forma
al materiale semiotico in modo tale da fargli acquisire una somiglianza formale con le strutture o la
morfologia tipiche di un altro medium: ne sono un esempio la “musicalizzazione” delle opere di kandiskij.

Tutto ciò potrebbe entrare a far parte nel territorio della remediation termine con cui si indica il
rimodernamento di un media da parte di un altro ancora. Questo idea sviluppata da McLuhan,
secondo cui il “contenuto di un medium è sempre un altro medium” quindi il contenuto della scrittura è il
discorso, così come la parola scritta è il contenuto della stampa, e la stampa quello del telegrafo.
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Secondo Bolter e Grusin non vi è una sostanziale differenza fra i media digitali e quelli antecedenti, poich é
questi vengono rimodellati e allo stesso tempo i vecchi media devono riproporsi in forme nuove per tenere il
passo e rispondere alla sfida delle forme emergenti.
La remediation avviene secondo due modalità distinte:
- l’immediatezza trasparente, in cui l’obiettivo del medium è cancellare o eliminare i segni della
remediazione rendendo trasparente il dispositivo di interfacciamento;
- l’ipermediazione, nella quale un medium moltiplica e rende espliciti i segni di mediazione,
come mostra lo stile televisivo dei DVD, del desktop e del PC o di I nternet;
Anche se tutte e due le modalità obbediscono a imperativi contraddittori, esse sono collegate alla stessa
doppia logica che vuole allo stesso tempo moltiplicare i propri media ed eliminare ogni traccia di
mediazione: idealmente, vorrebbe cancellare i propri media nello stesso momento in cui li moltiplica.
Infine Bolter e Grusin sostengono che quando siamo difronte a media che usano la logica dell ’immediatezza
trasparente, vediamo noi stessi come un Sé immerso in uno spazio visuale e siamo liberi di alterare la nostra
identità, cambiando il punto di vista ed entrando in empatia con altri tramite l ’assunzione del loro punto di
vista. La logica dell’ipermediaznione invece esprime un Sé la cui caratteristica principale non è quella di
essere immerso, bensì interrelato e connesso.
La remediation alimenta oggi l’industria del entertaiment soprattutto nella forma del repurposing, una
pratica che consiste nell’adattare una narrazione per target differenti.
In tutti questi casi l’intersemiosi sembra generarsi dai nuovi orientamenti di economia della cultura, poiché
negli ultimi vent’anni gli editori globalizzati hanno tutto l’interesse a produrre insieme libri, programmi
televisivi, CD, videogame ecc, perseguendo simultaneamente un’integrazione orizzontale e soprattutto
transmediale.

Narrazioni visive
Il connubio che la parola ha stretto con l’immagine è certamente uno dei fattori cruciali dello storytelling
attuale. È stato per esempio notato come il tempo della narrazione per la letteratura sia abbastanza variabile
in quanto ogni lettore legge in modo differente, lo stesso vale per il cinema dove durata esatta e ritmo
narrativo mantengono una certa flessibilità. Mentre la televisione ha al contrario specifiche limitazioni,
poiché il programma deve adattarsi a blocchi temporali definiti e l’emittente richiede break commerciali
regolari che segmentano la produzione. Gli schemata cognitivi raccolgono dunque informazioni presentate in
una narrazione visiva che deve essere ricostruita in un mondo narrativo apparentemente realistico, in un lento
processo in cui i fruitori acquisiscono nuovi schemata grazie all’atto ripetitivo di vedere prodotti mediali e
diventare spettatori sempre più competenti.
Le caratteristiche basilari della narrazione filmica si ispirano alla letteratura e al dramma, infatti il film può
agevolmente presentare narrazioni che comprendono molteplici spazi e mutamenti di tempo e ambientazione,
da ciò Gaudreault ha distinto i due concetti di mestruazione e narrazione, per dimostrare come rispetto al
momento teatrale e al racconto letterario, il racconto filmico sia la rappresentazione continua di entrambi i
livelli della mestruazione e della narrazione, infatti sembrerebbe che il cinema costituisca il medium già
vicino e isomorfo alla nostra percezione sensibile del mondo.
Per determinare le morfologie narrative del cinema la nozione più importante è quella sintattica di
montaggio, definibile come una tecnica mediante la quale il significato di una data serie di situazioni e di
eventi risulta dalla loro giustapposizione piuttosto che dai loro tratti costitutivi, e che ne consente sia di
manipolare lo spazio, sia il tempo.
Se è vero che il cinema ha subito una forte influenza da parte della letteratura, quest ’ultima ha finito per
ricevere a sua volta notevoli condizionamenti sul piano dell ’immaginario, delle tecniche narrative, del
repertorio di vicende e personaggi.
Si possono individuare sostanzialmente tre tipi di adattamento:
1. L’adattamento che segue il più fedelmente possibile l ’opera di partenza, va comunque sottolineato come
un adattamento che riduca al minimo i travisamenti sia assai difficile da realizzare.
2. L’adattamento che si struttura in relazione alle scene chiave del testo letterario : tale prassi è perfettamente
esemplata dal cinema di Luchino Visconti.
3. L’adattamento che elabora una sceneggiatura sostanzialmente originale a partire da alcuni elementi del
testo ispiratore.

Invece le possibili strategie di adattamento sono identificabili nell ’addizione, sottrazione, espansione,
condensazione, variazione, spostamento, ricorso o meno alla voce narrante o voice over. Quest’ultima in
particolare costituisce un testo orale che accompagna un testo audiovisivo, provenendo da uno spazio diverso
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della diegesi e quindi distinguibile dalla voice-off in quanto, si colloca a livello del discorso, non della storia,
per cui udibile dagli spettatori e non dai personaggi. Letteratura e cinema divergono anche per quanto
riguarda gli intrecci narrativi. Se il tipico film di cassetta a una doppia linea di plot e le violazioni temporali
sono residuali, nei film “d’autore” le narrazioni sono spesso non convenzionali, può essere impossibile
distinguere fabula e intreccio. Oggi si mantiene una distinzione tra cinema diegetico e cinema spettacolare e
d’avanguardia.
A) il cinema diegetico è quello dove predomina l’impressione di realtà e la narrazione pare
svolgersi da sé sotto gli occhi di uno spettatore passivo che non deve ricostruire il testo.
B) il cinema spettacolare è quella forma dove prevale una narrazione riflessiva caratterizzata
dalla destrutturazione del tempo e dalla tessitura di un racconto non più trasparente: il ruolo di questo cinema
è interrompere l’incanto della immedesimazione, mettere fine evidenza l ’autonomia dell’immagine rispetto
al flusso narrativo, indurre lo spettatore a interrogarsi sul significato e produrre in lui in breakdown
narrativo, cioè l’interruzione dei consueti schemi cognitivi e percettivi.
Ancora più interessante può essere la trattazione della televisione, poich é essa è una sequenza o un flusso che
non consiste solo di programmi di vario genere ma anche di break commerciali, annunci e trailer che li
intersecano, disponibili in un’unica dimensione e in un unico atto. Per accondiscese alla sua natura “liquida”,
il medium televisivo ha adottato i modi della serializzazione.
Oltre a premiare le capacità previsionali dello spettatore, la servilità si afferma soprattutto in seguito
all’avvento delle televisioni commerciali, volte alla cooptazione ed al mantenimento dell ’audience, con un
pubblico “fidelizzato” attraverso la collocazione nel palinsesto di appuntamenti costanti e ricorrenti quali
sono appunto i prodotti seriali.
In seguito le serie televisive si sono andate configurando entro un perimetro che va dal’ ipernarrazione,
quando le fiction presentano molteplici linee narrative, alla iponarrazione, quando ci si attiene a una
maggiore semplicità nell’andamento narrativo della serie.
Lo storytelling televisivo può essere classificato nei quattro modi della fiction, caratterizzata dalla presenza
del racconto vero e proprio, dell’intrattenimento legato al target ludico, dell’informazione che mette in
rapporto diretto pubblico e realtà extratelevisiva, infine della cultura-educazione, che mira a diffondere
nozioni relative a determinati settori del sapere, poi abbiamo l’ibridazione ovvero il fenomeno narrativo
oggi più rimarchevole, in grado di riservare al mercato sempre formule nuove:
-  il docu-dramma in cui i due generi di partenza si fondano in modo da rendere impossibile
l’identificazione di un genere dominante.
- la docu-soap che tenta di inquadrare il quotidiano con espedienti narrativi.
- la docu-ficition che ha come riferimento sia la fiction sia il documentario: il successo di questa
forma si inserisce nell’alveo della cosiddetta “televisione della memoria”, che sta sempre più
prendendo piede in reazione ai reality.
- l’infotainment caratterizzato dalla commistione tra informazione e intrattenimento.
L’odierno storytelling televisivo sta comunque realizzando una perfetta ibridazione tra fiction e reality tv, il
cui risultato può essere battezzato come real fiction, come attesta anche un prodotto televisivo di grande
successo, quale Mai dire gol.
Vediamo la differenza tra serial esoforici ed endoforici:
Il serial esoforico (Game of Thrones) si riferisce generalmente alla segmentazione della narrazione in
puntate che vengono fatte uscire in sequenza, a differenza del serial endoforico (CSI) dove ogni puntata è in
sé compiuta e gli intrecci non continuano attraverso gli episodi , ogni puntata di un serial esoforico è parte di
una narrazione che continua, cioè che non si conclude fino alla fine della serie. Diversamente dal serial
esoforico, quello endoforico consiste in differenti racconti aventi al centro lo stesso o gli stessi personaggi,
secondo il modello narrativo delle avventure di Sherlock Holmes. Le differenze che contraddistinguono i due
modelli di seriali sono sintetizzabili in sei elementi:
1. La temporalità: in entrambi i casi siamo di fronte a una temporalità chiusa, piegata alla
necessità del racconto stesso, però nel caso del serial endoforico si hanno una temporalit à ricorsiva, in cui il
tempo sembra non scorrere fuori dalla ciclicit à degli episodi, mentre in quello esoforico si ha invece una
temporalità vettoriale, dove il tempo va avanti puntata dopo puntata.
2. L’ attore o personaggio: nel serial endoforico l’attore è una pura funzione delle azioni e trasformazioni
del narrato, mentre in quello esoforico l’attore racchiude in sé quella condizione semiotica che fa sì che si
verifichino un suo sviluppo e una trasformazione potenzialmente infiniti.
3. L’elasticità: in generale tutti e due i serial devono essere elastici, devono costituire cioè una sorta di
condensato mondo espandibile a piacimento nel tempo.
4. La riconoscibilità: le forme seriali necessitano di una sorta di prevedibilità che le renda riconoscibili al
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pubblico, il serial endoforico è “chiuso”, a essere in tensione è la prevedibilità dell’andamento complessivo
della serie. Nel serial esoforico “aperto” il prevedibile è invece dato dalla mancanza di chiusura della storia e
il piacere consiste nel vedere in che modo essa non si chiude.
5. La dialettica tra verticale e orizzontale: nel serial endoforico per lo più prevale la cosiddetta linea
“verticale”, rappresentata dal plot del singolo episodio, mentre nel serial esoforico prevale la linea
“orizzontale”, in quanto si crea un dinamismo interno alle strutture narrative che determina trasformazioni
nei personaggi episodio dopo episodio.
6. Le passioni: la passione del protagonista nel serial endoforico è una funzione narrativa della serie stessa.
Al contrario, la passione dell’eroe nel serial esoforico è mutevole e, in questo caso, più che una definizione
passionale univoca, ciò che resta invariato nel personaggio è proprio la sua predisposizione passionale che
fungerà da punto di riferimento per tutte le evoluzioni successive.

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