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   ANALISI NARRATIVA DEL FILM   di Elisabetta Manfucci

INDICE:

DIMENSIONE NARRATIVA
LA NARRAZIONE

GLI ESISTENTI

L'AMBIENTE

IL PERSONAGGIO COME PERSONA


IL PERSONAGGIO COME RUOLO

IL PERSONAGGIO COME ATTANTE

GLI EVENTI

L'AZIONE COME COMPORTAMENTO


L'AZIONE COME FUNZIONE

L'AZIONE COME ATTO

LE TRASFORMAZIONI

LE TRASFORMAZIONI
COME CAMBIAMENTI
LE TRASFORMAZIONI COME PROCESSI

LE TRASFORMAZIONI COME VARIAZIONI


STRUTTURALI
I REGIMI DEL NARRARE

GUARDARE E VEDERE

LE ANALISI DELLO STRUTTURALISMO


IL CINEMA TECNICA DELL'IMMAGINARIO


BIBLIOGRAFIA

DIMENSIONE NARRATIVA
In un testo verbale è facile mettere in evidenza la dimensione narrativa, poiché essa è
determinata dalla sua stessa forma. In un film, invece, per la presenza di immagini e
suoni, mettere in risalto la dimensione narrativa dell'opera è più complesso. Perché?
Anzitutto nel film c'è una difficoltà nel discernere se la dimensione narrativa appartenga
ai contenuti delle immagini o al modo in cui esse sono organizzate e proposte. La
dimensione narrativa di un film riguarda la storia in sé o la forma di presentazione del
racconto? E' quello che, in sintesi, cercheremo di mostrare in queste pagine.

Partiamo allora da cosa significa il termine: “narrazione”, così come ci è stato proposto da
Aristotele ai giorni nostri.

LA NARRAZIONE

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La narrazione è il concatenarsi di situazioni in cui si realizzano eventi e in cui operano
personaggi che si muovono in ambienti ben precisi.

Questa definizione chiama in gioco tre grandi elementi:

•  Succede qualcosa ovvero gli eventi accadono

•  Qualcuno fa succedere qualcosa ovvero accadono eventi che coinvolgono e riguardano


personaggi

•  L'accadere di qualcosa determina una trasformazione ovvero il succedersi degli eventi


implica una trasformazione di fatto rispetto alla situazione di partenza.

Questi tre elementi della narrazione identificano tre categorie di fondo:

•  Gli esistenti

•  Gli eventi

•  Le trasformazioni

Con l'analisi delle tre categorie sopra elencate ha inizio la nostra riflessione sulla
dimensione narrativa del film, sottolineando che il nostro punto di partenza è la
definizione di narrazione come “Storia”, ovvero come Fabula . Ricordiamo che Aristotele
in “ La Poetica ” distingue tra Fabula e Intreccio, intendendo con il primo termine il
contenuto della storia, mentre con il termine Intreccio il modo in cui la storia viene
raccontata.

GLI ESISTENTI
La categoria degli esistenti comprende tutto ciò che è dato e che è presente all'interno
della storia: essere umani, paesaggi, oggetti di vario tipo. Questa categoria si articola in
altre due categorie: “personaggi” e “ambienti”, che non sempre è facile distinguere in
modo così netto. I criteri che consentono di porre gli esistenti nella categoria dei
personaggi o degli ambienti sono i seguenti:

•  il criterio anagrafico

•  il criterio di rilevanza

•  il criterio della focalizzazione

Il criterio anagrafico mette in gioco l'esistenza di un nome, quindi di una identità


definita. E' ciò che a prima vista distingue il protagonista dall'ambiente che lo circonda.

Il criterio di rilevanza chiama in gioco il “peso” che ogni elemento assume nella
narrazione. Tanto maggiore è il peso dell'esistente, tanto più fungerà da personaggio o da
ambiente. La rilevanza può manifestarsi come incidenza e iniziativa nei confronti degli
eventi o come passione e sottomissione. Nel primo caso si ha l'azione declinata nelle sue

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varie forme verbali: dire, guardare, ecc. E' il caso del personaggio come viene costruito nel
cinema classico. Nel secondo caso invece si ha l'azione del “subire”, propria di coloro a cui
“si fa fare”. In questa sfera rientrano quasi tutti i personaggi del cinema moderno.

Il criterio della focalizzazione chiama in gioco l' attenzione riservata ai vari elementi
da parte del processo narrativo. In questo senso il personaggio è tale anche per lo spazio
in primo piano che gli viene dedicato rispetto all'ambiente, di solito relegato sullo sfondo.
Attorno al personaggio a volte si concentrano tutti gli elementi della storia, facendone un
centro di equilibrio che richiama l'attenzione.

Tali criteri non solo distinguono i personaggi dagli ambienti ma creano differenza tra
personaggi e personaggi o, ambienti e ambienti. Due personaggi si distinguono dal nome,
dal peso o, in base all'attenzione di cui godono.

L'AMBIENTE
Per ambiente intendiamo tutti gli elementi che ospitano la vicenda e le fanno da sfondo.
L'ambiente rinvia a due cose: “ all'intorno ” (il décor architettonico) ovvero lo spazio
entro cui il personaggio agisce e, la “ situazione ” entro cui il personaggio opera, ovvero:
le coordinate spazio-temporali. L'ambiente ha dunque due funzioni: arreda la scena e la
situa. In analisi le due funzioni dell'ambiente danno vita a due serie di categorie diverse.

Nel primo caso l'ambiente è ricco e dettagliato, a volte ingombrante, o povero cioè spoglio
e discreto. Ma esiste anche un ambiente armonico che fonde gli elementi diversi e opposti
o un ambiente disarmonico giocato sul disequilibrio e il contrasto.

Nel secondo caso c'è un ambiente storico costruito su riferimenti precisi, opposto a una
ambiente metastorico in cui i riferimenti si stemperano sulla generalità o addirittura
nell'astrazione. Esiste anche un ambiente caratterizzato dotato di proprietà specifiche,
opposto a un ambiente tipico in cui prevale il riferimento a una situazione canonica.

IL PERSONAGGIO COME PERSONA


Le vicende narrate accadono sempre a qualcuno, ovvero al personaggio.

Definire cosa sia un personaggio è un'operazione non sempre lineare. Esso può essere
considerato come:

•  persona

•  ruolo

•  attante

Il personaggio come persona implica l'esistenza di un individuo dotato di un proprio


profilo reale, sia che si consideri come “unità psicologica” o come “unità d'azione”.

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I personaggi possono essere distinti in base al loro carattere, cioè al loro modo di essere
(unità psicologica) o al loro atteggiamento (unità d'azione). Senza dimenticare la
determinazione fisica del personaggio: uomo, donna, ecc.

IL PERSONAGGIO COME RUOLO


In questo caso mettiamo l'accento sul “tipo” che il personaggio incarna e le “classi di
azioni” che compie. Non ci troviamo più di fronte ad un individuo unico ma il personaggio
diviene una “parte” o meglio assume un “ruolo” nel corso della narrazione. Alcuni tratti
che determinano un ruolo sono i seguenti: attivo o passivo . Attivo è fonte diretta
dell'azione, egli opera in prima persona. Passivo è un personaggio che subisce l'iniziativa
altrui. Personaggio influenzatore e autonomo . All'interno dei personaggi attivi c'è il
personaggio influenzatore che fa fare agli altri o che fa direttamente, ponendosi come
causa e ragione del suo agire.

Personaggio modificatore o personaggio conservatore è colui che opera attivamente nella


narrazione e può fungere da volano o da punto di resistenza . Il volano è un
personaggio che lavora per mutare le situazioni, in positivo o in negativo. Se è un
conservatore si avrà un personaggio la cui funzione è la conservazione dell'equilibrio delle
situazioni o la restaurazione dell'ordine minacciato.

Personaggio protagonista e antagonista, entrambi fonti sia di “far fare” sia di “fare”, ma
secondo logiche contrapposte. Il protagonista sostiene l'orientamento del racconto,
mentre l'antagonista manifesta la possibilità di un orientamento inverso.

Dobbiamo sempre tenere a mente che un personaggio nel corso della narrazione può
assumere più determinazioni. Ogni ruolo nasce infatti da un sovrapporsi dei tratti. Se
prendiamo in esame alcuni dei grandi ruoli codificati del cinema classico americano degli
Anni Trenta e Quaranta, quasi tutte le dinamiche narrative che si sviluppano attorno ai
personaggi sono riconducibili alla dialettica tra due poli: l' official hero e l' outlaw hero .

L'official hero esprime i valori riconosciuti dalla collettività e gli ideali delle vecchie
generazioni. Si incarna in figura come: l'avvocato, l'insegnante, ecc. L'outlaw invece
esprime le aspirazioni dell'individuo e le esigenze della gioventù. Si incarna
nell'avventuriero, nell'esploratore, ecc. Esso sta per quella parte dell'immaginazione
americana che dà valore alla volontà di realizzarsi. Nel cinema americano classico queste
figure creano un contrasto netto e riconoscibile, anche se talvolta c'è un tentativo di
avvicinare i due opposti. A nessuno dei due eroi spetta un primato definitivo, si punta
sempre al raggiungimento dell'equilibrio. Nel corso della storia i due ruoli diventano più
“malleabili”, meno rigidi, ciascuno fa all'altro delle concessioni. Il rifiuto da parte
dell'immaginario americano di scegliere uno dei due eroi a scapito dell'altro si inscrive
nella funzione riconciliatrice di ogni mito.

I “tipi” classici sono riportati a polarità ideali: bene e male. Ma queste figure non sono mai
veramente al centro della narrazione. Di solito chi si muove di fatto è colui che combina
diversi atteggiamenti, al punto di mostrarsi capace di passare da un fronte all'altro. Ecco

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allora le figure di detectives che agiscono al limite della legge o, i sacerdoti sul filo
dell'ortodossia, per fare degli esempi.

IL PERSONAGGIO COME ATTANTE


Un modo di analizzare il personaggio è quello di leggerne l'essere o l'agire a partire da un
punto di vista astratto. Qui si mettono in luce i nessi strutturali e logici che legano il
personaggio ad altre unità. Il personaggio non è più considerato come una persona reale
né un ruolo tipico ma un attante, ovvero un elemento che occupa un posto preciso nella
narrazione e vale proprio per questo.

Il Soggetto è colui che muove verso l'Oggetto per conquistarlo (siamo nella dimensione
del desiderio). Muovendo verso l'oggetto il soggetto agisce sul mondo che lo circonda e
attua una performance, in quanto mette in atto una azione che lo avvicina all'oggetto del
desiderio, facendo un percorso. Il soggetto è dotato di una competenza: egli tende verso
l'oggetto e interviene. Prima ancora di fare il soggetto egli sa, può e vuole fare. Il soggetto
agisce in base a un mandato, nel senso che qualcuno lo ha inviato a muoversi e, a seguito
del suo agire, ottiene una sanzione, intesa come retribuzione o ricompensa, ma può
ottenere anche una punizione.

L' Oggetto è il punto di confluenza dell'azione del Soggetto. E' una meta. Esso può
assumere diverse qualifiche: oggetto strumentale o finale, a seconda che il soggetto tenda
ad esso e operi su di esso in vista di qualche cosa d'altro o, come meta ultima del suo
viaggio. Oggetto neutro o di valore a seconda che sia suscettibile di investimenti
qualunque, o esprima un valore preciso.

In Ombre rosse di Jhon Ford, nella scena finale del duello, Ringo è il Soggetto, l'Oggetto è
la vendetta che egli insegue nei confronti di Luke. La competenza del soggetto nel
raggiungimento dell'oggetto è incompleta. Ringo sa fare, può fare e vuole fare, ma è
impossibilitato ad agire dallo stato di arresto in cui si trova (quindi non può fare). La
performance è in questo caso sospesa. Sarà la buona prova: la difesa della diligenza che
consentirà a Ringo di potere fare e affrontare Luke. La sanzione finale si manifesta al
termine come ricompensa: libertà di amare.

Attorno all'asse Soggetto-Oggetto se ne costruiscono altri, anzitutto:

Destinatore e Destinatario : il primo è punto d'origine dell'oggetto e rappresenta il


suo punto di partenza.

Il Destinatario invece si identifica in chi riceve l'Oggetto e ne trae beneficio. Lo stesso


Soggetto può essere il Destinatario. L'asse Destinatore/Destinatario si collega all'asse
portante Soggetto/Oggetto ponendosi come il canale di comunicazione lungo cui l'oggetto
scorre. In questo senso esso inquadra i movimenti dei due primi attanti fornendo le piste
dei loro movimenti.

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In Ombre rosse il Destinatore è in parte la Legge dell'onore, in quanto da essa deriva
l'obbligo della vendetta e in parte dalla Legge dello stato, incarnata nello sceriffo. Il
Destinatario in quanto beneficiario dell'atto è Ringo e anche la collettività che si vede
liberata dal fuorilegge Luke.

L' Aiutante di contro all' Oppositore (spesso Antisoggetto). L'aiutante soccorre il soggetto
nelle prove che deve superare per conseguire l'oggetto desiderato. Il secondo invece
ostacola il soggetto.

Questo schema astratto d'analisi spiega bene l'organizzazione delle più tipiche strutture
narrative. Basti pensare alla Fiaba. In essa da un lato c'è l'eroe (soggetto) che viene
incaricato dal re o da qualche altra figura (destinatore) di superare determinate prove per
sposare la principessa e conquistare il regno (oggetto). Dall'altro lato abbiamo l'antieroe
(oppositore o antisoggetto) che ostacola il felice compimento delle azioni e che viene vinto
grazie all'intervento di un protettore del soggetto o di un elemento magico di cui si può
servire. Del successo del soggetto e della conquista dell'oggetto ne beneficerà l'intera
comunità (Destinatario).

La struttura di un racconto si suddivide in due percorsi distinti: il percorso dell'Eroe e


quello dell'Antieroe. Di qui la possibilità di raddoppiare come un'immagine speculare la
disposizione degli elementi: eroe e aiutante, antieroe e oppositore. L'oggetto resta invece
sempre la meta sia dell'eroe che dell'antieroe. Basandosi sugli attanti si può sviluppare
uno schema elementare fondato sulla struttura polemica (la lotta) e nelle sue parti
periferiche sulla struttura contrattuale (il patto, l'alleanza, la promessa). Secondo alcuni,
questo schema evidenzia come le manifestazioni narrative sono rappresentazioni figurate
delle diverse forme della comunicazione umana: teatro di scambi, contrasti, accordi e
confronti.

All'interno dello schema narrativo ciascun attante, indipendentemente dalla sua


caratterizzazione di base, può essere:

•  di stato a seconda che il suo legame con gli altri attanti sia di “giunzione” (possesso,
dominio, amore, ecc.) o di trasformazione (contrasto, manipolazione, ecc.)

•  pragmatico o cognitivo a seconda che la sua azione si manifesti come un agire diretto e
concreto sulle cose o, come un agire mentale.

•  Orientante o non orientante a seconda che la prospettiva in cui si colloca il suo agire sia
quella privilegiata dal discorso narrativo, dalla modalità di articolazione ed esposizione,
oppure sia quella opposta.

GLI EVENTI
Nella narrazione qualcosa succede a qualcuno. Questi sono gli accadimenti o eventi che
scandiscono il ritmo della vicenda marcandone l'evoluzione. Gli eventi si possono dividere
in due grandi categorie, sulla base dell'agente che li provoca. Se questi è un agente

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animato si parla di azioni se invece l'agente è un fattore ambientale o è una collettività
anonima si parla di avvenimenti .

Gli avvenimenti esplicitano l'intervento della natura e della società. Di fronte a essi il
singolo personaggio è iscritto in un sistema di accadimenti che lo sovrasta. Quando ci
sono gli accadimenti le mosse del personaggio spesso non sono totalmente nelle sue mani.

L'azione si incrocia con l'avvenimento nel più ampio disegno degli eventi e si caratterizza
per la presenza di un agente animato. Ci sono tre prospettive di analisi che possiamo
prendere in considerazione per l'analisi sul personaggio: il livello fenomenologico, il
livello formale, il livello astratto. L'azione va dunque analizzata come: comportamento,
funzione e atto.

L'AZIONE COME COMPORTAMENTO


Il comportamento è la manifestazione dell'attività di qualcuno, la sua risposta ad una
situazione o ad uno stimolo. Si può avere un comportamento volontario o involontario a
seconda che l'azione esprima una chiara intenzionalità o si manifesti come un gesto
automatico; cosciente o incosciente a seconda che l'azione abbia un ritorno sulla mente
del protagonista o meno; individuale o collettivo e ancora singolo o plurimo se l'azione è
isolata o parte da un comportamento generalizzato. Ma ci sono anche molte altre
categorie che si potrebbe chiamare in gioco, soprattutto l'osservazione dell'azione: le sue
forme e le sue manifestazioni concrete.

L'AZIONE COME FUNZIONE


Le funzioni sono delle azioni di tipo standard che, pur nelle sue varianti, i personaggi
compiono e continuano a compiere di racconto in racconto. Poiché è impossibile dare una
lista completa di tutte le funzioni partiamo da quella data a partire dalle fiabe popolari
russe, ricordando comunque di prenderle con “prudenza”. Le grandi classi di azioni
possono essere così sintetizzate:

•  la privazione interviene all'inizio della storia e vede qualcuno o qualcosa sottrarre ad un


personaggio ciò a cui ha diritto, per esempio la libertà, il lavoro, ecc. Questa azione dà
luogo ad una mancanza iniziale il cui rimedio costituirà il motivo attorno a cui ruota tutta
la vicenda.

•  L' allontanamento si tratta di una funzione duplice: da un lato conferma una perdita (il
personaggio è separato dal suo luogo d'origine) mentre dall'altro dà avvio alla ricerca di
una soluzione (il personaggio è messo sulla strada di un possibile rimedio).

•  Il viaggio può concretizzarsi in uno spostamento fisico, in un trasferimento ma anche


in uno spostamento mentale , in un tragitto psicologico . Il personaggio si comincia a
muovere lungo un itinerario punteggiato da una serie di tappe decisive.

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•  Il divieto può essere un rafforzativo della privazione iniziale ma anche una delle tappe
che il personaggio incontra durante il suo viaggio. Si manifesta come affermazione di
precisi limiti che non si possono varcare. Di fronte a questa funzione si ha una doppia
possibilità di risposta: il rispetto al divieto o al contrario l'infrazione .

•  L' obbligo è inverso alla funzione precedente. Il personaggio può essere messo di fronte
a un dovere che può assumere le vesti di un compito da svolgere o di una missione da
portare a termine. Anche qui abbiamo due possibili risposte: l'adempimento di quanto
prescritto o al contrario l'evasione dai doveri.

•  L' inganno si può manifestare come tranello come travestimento , ecc. Anche in questo
caso la risposta è duplice: connivenza o smascheramento .

•  La prova accorpa almeno due tipi di azione. Le prove preliminari volte all'ottenimento
di un qualche mezzo che permetta al personaggio di rafforzarsi e di prepararsi alla sua
battaglia finale (nelle fiabe è la conquista dell'anello magico). Il secondo tipo di azione è
quello delle prove definitive che portano il personaggio ad affrontare di petto la causa
della mancanza iniziale.

•  La rimozione della mancanza il successo che il personaggio ottiene nella prova


definitiva libera lui o chi aveva subito il torto dalla privazione sofferta. Si ha un momento
di restaurazione della situazione iniziale o di reintegrazione degli oggetti perduti.

•  Il ritorno del personaggio al luogo che ha lasciato. Una variazione è l'installazione anche
in un altro luogo che ormai viene sentito come proprio.

•  La celebrazione il personaggio viene riconosciuto come vittorioso.

L'AZIONE COME ATTO


Ora passiamo ad analizzare l'azione da un punto di vista astratto, come già abbiamo fatto
per il personaggio in quanto attante. Le relazioni tra attanti, in particolare tra soggetto e
oggetto, possono essere di due tipi a seconda che mettano in gioco un semplice contatto o
una qualche mutazione che da questo contatto deriva. Da qui derivano le enunciazioni di
due tipi di situazioni di base diverse:

•  gli enunciati di stato indicano una interazione tra Soggetto e Oggetto. L'interazione è
duplice perché prevede la congiunzione o la disgiunzione. Il Soggetto può conquistare
l'oggetto oppure perderlo.

•  Gli enunciati da fare rendono conto del passaggio da uno all'altro attraverso una serie
di operazioni compiute dal soggetto.

Queste forme elementari di azione definiscono le relazioni tra gli attanti. All'interno della
prospettiva astratta è possibile definire l'atto non solo in base alla sua struttura logica ma
anche in base al suo ambito di estrinsecazione duplice. L'atto possiede due dimensioni: la

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pragmatica e la cognitiva . Nel primo caso si esplica attraverso operazioni effettive sugli
esistenti (si opera), nel secondo caso si esplica attraverso mobilitazioni interiori di
sentimenti, volizioni e impulsi (si elabora).

Nella prospettiva astratta è possibile cogliere l'atto in relazione agli altri atti. Ogni fase
dell'agire presuppone una serie di momenti che lo precedono e implica una serie di
momenti che ne conseguono: ogni performance dipende da certe conseguenze e ne crea
altre. La performance deriva dall'acquisizione di competenze: non si può fare se non si sa
fare. L'azione ha a suo fondamento l'instaurazione di una capacità, di una volontà, di un
obbligo e di una possibilità d'agire. In secondo luogo la performance è in relazione con il
conferimento di un mandato , un far fare che assume le forme dell'incarico, dell'ordine.
Questo mandato può procedere dallo stesso Soggetto agente che si auto investe di un dato
dovere ma può anche venire da un secondo Soggetto un vero e proprio mandante la cui
azione innesca le successive. La performance trova conferma o condanna nella sanzione
che ad essa segue in modo inevitabile.

Le quattro tappe dell'atto sono dunque:

•  la performance: comprende tutte quelle classi di azioni che vedono il Soggetto agire

•  la competenza

•  il mandato

•  la sanzione

LE TRASFORMAZIONI
Quello che gli eventi manifestano è che qualcosa succede e ciò va preso nella sua doppia
accezione, cioè qualcosa accade: prende corpo, si realizza, sia nel senso che qualcosa
consegue a qualcos'altro. L'evento è ciò che muove il racconto. Questa connessione
produce un cambiamento di scenario, una modifica della situazione di fondo: da una
situazione si passa ad un'altra situazione. Prendiamo ora in considerazione tre grandi
prospettive che ci consentono di vedere le trasformazioni come: cambiamenti , processi ,
variazioni strutturali .

LE TRASFORMAZIONI COME CAMBIAMENTI


Partiamo anche stavolta analizzando la forma esteriore, cominciando dalle trasformazioni
come cambiamenti . In quest'ambito la trasformazione può essere analizzata da due punti
di vista: o indagata a partire dal personaggio, che del cambiamento è l'attore
fondamentale o, esaminata a partire dall'azione stessa, che del cambiamento è il motore.

Nel primo caso sono cambiamenti di carattere relativi al modo di essere dei personaggi e
cambiamenti di atteggiamento relativi al modo di fare. Anche in questo caso i
cambiamenti si possono dividere in individuali e collettivi a seconda che coinvolgano un

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singolo personaggio o un sistema di personaggi; in espliciti e impliciti a seconda che
abbiano luogo alla luce del sole oppure “sottopelle”; in uniformi e complessi a seconda
che riguardino un singolo tratto della persona o uno scenario più complesso.

Per quanto riguarda i cambiamenti dal punto di vista delle azioni ci sono una varietà di
possibilità. Si possono avere i cambiamenti lineari o spezzati, i primi uniformi e continui,
i secondi contrastati e interrotti. I cambiamenti effettivi o apparenti a seconda che
incidano realmente sulla situazione o che risultino inconcludenti. Poi si possono
registrare trasformazioni di necessità e di successione . Le prime procedono da un ordine
di concatenazione causale, le seconde procedono da un ordine di concatenazione
temporale e si definiscono come processi evolutivi che trovano nel fluire del tempo la loro
unica origine. In una parola: trasformazioni logiche di contro a trasformazioni
cronologiche . Ci sono dunque racconti legati più ad una forma di racconto che all'altra.
Da un lato c'è il racconto del pensiero concatenato per logica e necessità; dall'altro il
racconto dello sguardo organizzato per successione e accumulo. L'opposizione dei due tipi
di trasformazione risiede spesso più nei modelli interpretativi che nei testi esaminati. La
prevalenza del cronologico ha alla base un'idea di narrazione come “arte del tempo”,
gestione dei ritmi e dei flussi. Mentre la prevalenza del logico ha a fondamento un'idea di
narrazione come “schema di esplicazione del mondo”, indagine e svelamento delle
apparenze, rivela una concezione di narratore come filosofo o scienziato.

LE TRASFORMAZIONI COME PROCESSI


Da un punto di vista più formale le trasformazioni diventano processi , ovvero forme
canoniche di mutamenti, percorsi evolutivi ricorrenti. Quello che è in gioco non è la
singola occorrenza ma la dimensione tipica che essa assume. In questo senso le
trasformazioni sono processi di miglioramento o viceversa di peggioramento . Questa
definizione dipende ovviamente dalla presenza di un personaggio orientante dal cui punto
di vista si osserva tutta la vicenda.

Se osserviamo il racconto con attenzione ci accorgiamo che esso chiama in causa interessi
umani, progetti ora migliorativi ora peggiorativi. Il progetto poi può tendere verso un
miglioramento da ottenere o verso un peggioramento prevedibile.

LE TRASFORMAZIONI COME VARIAZIONI STRUTTURALI


Riprendiamo ora in esame il livello astratto. A questo livello le trasformazioni sono
variazioni strutturali della narrazione ovvero operazioni logiche che sono a fondamento
delle modifiche del racconto. In questo senso sono cinque le operazioni attivate: la
saturazione, l'inversione, la sostituzione, la sospensione e la stasi.

La saturazione è quel tipo di variazione strutturale in cui la situazione di arrivo


rappresenta la conclusione logica delle premesse. Si arriva ad una conclusione perché era
già insita nelle premesse. E' quanto avviene nella commedia sofisticata americana in cui
l'avvio del racconto già presuppone la fine.

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L' inversione la situazione iniziale si rovescia all'arrivo nel suo opposto. E' il caso delle
narrazioni con finale a sorpresa.

La sostituzione in cui lo stato d'arrivo sembra non avere legami con quello di partenza. C'è
una totale variazione della situazione in gioco.

La sospensione la situazione di avvio non trova risoluzione in uno stato d'arrivo compiuto
ma resta tronca.

La stasi è una non variazione ed è caratterizzata dalla permanenza insistente dei dati
iniziali seppure con alcune variazioni.

Consideriamo l'inizio e la fine che sono le porte d'ingresso del film e del testo e, come tali
conducono elementi importanti per l'analisi. Possiamo considerare l'inizio come
disequilibrio o come equilibrio minacciato e la fine come la reintroduzione o la
restaurazione di questo equilibrio. In questo senso la narrazione è vista come il luogo di
un ordine. Si può vedere l'inizio come l'apertura di una matrice di elementi, come una
messa in gioco di numerose variabili le cui relazioni sono tutte da intrecciarsi. La fine
come conclusione delle combinazioni possibili.

I REGIMI DEL NARRARE


E' possibile delineare delle coordinate di fondo del narrare senza creare per questo schemi
troppo rigidi. Da un lato la narrazione forte, la narrazione debole e l'anti narrazione.

Nel regime della narrazione forte l'enfasi è posta su un insieme di situazioni ben disegnate
e concatenate tra loro. In ogni fase del racconto tutti gli elementi narrativi sono in gioco.
Tra essi ha un ruolo fondamentale l'azione: sia come forma di risposta di un personaggio
all'ambiente sia come tentativo di modificare le cose. L'azione serve da collante tra gli
elementi della situazione e da mezzo di transizione tra le diverse situazioni. Da ciò deriva:

•  l'ambiente (fisico o sociale) in cui agisce il soggetto;

•  la presenza di fronti precisi. I valori espressi da ciascun personaggio sono iscritti in uno
schema assiologico duale che si organizza per opposti. La struttura duale è ricorrente:
tutto si organizza per contrapposizioni e confronti. I due estremi duali giungono sempre a
un momento risolutore in cui l'incontro/scontro è inevitabile.

•  Tra la situazione di avvio e quella a cui si vuole arrivare c'è uno scarto. L'eroe diventa
poco per volta capace di agire e il percorso del film segue questa trasformazione.

•  L'annullamento di questo scarto mette in luce una situazione di arrivo che funge o da
completamento prevedibile o da ribaltamento speculare della situazione di partenza.
Dominano la saturazione e l'inversione a volte si alternano a volte si sovrappongono.

La narrazione debole vede un leggero ma significativo spostarsi degli equilibri precedenti.


Le situazioni narrative sembrano sbilanciate. In esse non c'è equilibrio tra gli elementi. I
personaggi senza un'azione che ne esprima le reazioni e gli ambienti senza un'azione che

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reagisce ad essi, diventano enigmatici e perdono di consistenza. Ciò porta le situazioni a
concatenarsi in modo provvisorio e incompleto: senza azioni le trasformazioni non si
esplicano del tutto. Siamo nel territorio del dramma psicologico. In primo piano vengono
i personaggi e gli ambienti. Soffermiamoci su alcuni tratti.

•  l'ambiente naturale e sociale non appare più come inglobante ma persuasivo.


L'ambiente non circoscrive né stimola delle azioni;

•  i valori fanno riferimento ad assiologie pronte, è tipico il coesistere di punti di vista, in


vai e vieni che dissolve il senso di un fronte netto.

•  Tendono a scomparire gli scarti radicali tra situazioni diverse. In questo clima la grande
azione dell'eroe perde di senso.

Il regime dell' antinarrazione porta alle estreme conseguenze la crisi del modello forte
radicalizzando alcune tendenze. Il nesso ambiente personaggio perde ogni tipo di
equilibrio e l'azione perde ogni ruolo rilevante: il disegno perde ogni sua valenza
dinamica.

La situazione narrativa appare frammentaria e dispersa. I personaggi calati sono


molteplici. I valori si eclissano e il mondo diventa neutro. Entra in crisi il filo che lega gli
avvenimenti.

I tre regimi sono tipi ideali e servono a individuare altrettanti modelli generali verso cui
ciascun film può tendere. Nel corso della storia del cinema questi tre regimi hanno
marcato tre epoche diverse. Il cinema hollywoodiano ha conosciuto una narrazione forte: i
personaggi erano ciò che facevano più che il contrario e, ciò che facevano portava avanti la
storia. La trasformazione aveva un ruolo essenziale. La sovrapposizione portava all'idea
che bisognava andare avanti se si voleva tornare laddove si era partiti, secondo
l'insegnamento biblico per cui bisogna affrontare l'esodo se si vuole riconquistare l'Eden.
Il cinema della nouvelle vague conosce invece una narrazione debole. Il privilegio passa al
personaggio. La loro azione si fa più incerta. Il cinema contemporaneo è pervaso
dall'antinarrazione. Assistiamo a uno svuotamento progressivo delle categorie. Le
trasformazioni non trasformano. Si perde il discrimine tra il personaggio e l'ambiente. Si
perde il senso della loro interazione. Si accumulano tappe su tappe che non portano da
nessuna parte, semmai serve solo a una cosa: riassorbire l'individuo nell'ambiente.
L'inutilità dei movimenti è in primo piano. Ciò che è in gioco è il raccontare il proprio
raccontare, ovvero esibire la propria azione di narratore, manifestare il testo in quanto
tale. Ci sono film che raccontano il proprio raccontare a volte tra le righe a volte in modo
esplicito. Questa modalità è il metaracconto che ci porta verso il testo come oggetto e
soprattutto come terreno di comunicazione.

Guardare un film e analizzarlo dal punto di vista della narrazione è un'operazione non
sempre facile e lineare. L'analisi presuppone il “vedere” e quest'atto non vuol dire capire.
Esso implica un'infinità di processi più o meno consapevoli che lo spettatore mette in atto.

GUARDARE E VEDERE
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Cariddi : Tu guardi e non vedi.

Ulisse : Tra guardare e vedere quale differenza c'è?

Cariddi : Che guardare la beltà è guardare. E vedere il pericolo è vedere.

Scrive Sandro Bernardi in Introduzione alla retorica del cinema che Guardare e Vedere
sono due modi di rapportarsi all'oggetto. Il primo non implica finalità pratiche ma non
esclude che possano essere scoperti aspetti inconsueti; il secondo implica l'utilità. Sono
due atteggiamenti complementari poiché guardare non basta ma vedere non soddisfa e
come aggiunge Ulisse: “oltre a vedere bisogna anche sapere guardare”.

Christian Metz autore del testo: “Cinema e psicanalisi” sostiene che l'atto di vedere un
film mostra un complicato gioco di incastri, a volte difficili da districare, tra il reale e il
simbolico. L'autore fa riferimento a Freud quando paragona il vedere un film all'atto
sessuale. Entrambi infatti mettono in gioco un gran numero di funzioni psichiche,
distinte, ma che lavorano assieme e che devono essere tutte intatte perché sia possibile
un'esecuzione considerata normale.

Secondo Metz per capire un film di finzione lo spettatore deve scambiarsi per il
personaggio (è questo possibile tramite un procedimento immaginario) ma allo stesso
tempo non deve confondersi con il personaggio (quindi deve ritornare al reale). E' questo
il procedimento del “sembra-reale”. Affinché lo spettatore comprenda un film è necessario
che percepisca l'oggetto fotografato come assente, la sua fotografia come presente e la
presenza di quell'assenza come significante. “L'immaginario del cinema presuppone il
simbolico” in quanto lo spettatore deve avere conosciuto lo specchio primordiale. Lo
specchio dello schermo si basa sul riflesso dell'oggetto reale e sulla sua mancanza, ma esso
non è un fantasma, ovvero un luogo puramente simbolico e immaginario. Sullo schermo i
codici di questa assenza sono prodotti realmente grazie al proiettore e all'apparecchiatura.

Il cinema non è un fantasma ma un corpo, come lo definiscono i semiologi: “un feticcio


che si può amare”.

LE ANALISI DELLO STRUTTURALISMO


Se è possibile analizzare un film come fosse un testo ciò è anche grazie al fondamentale
contributo dello Strutturalismo.

Claude Lévi Strauss studiò vasti insiemi di racconti mitici allo scopo di esporre la teoria
secondo la quale sotto la diversità del significante si cela una stessa struttura (le strutture
profonde dei miti). L'analisi strutturale si applica a tutte le produzioni di significanti
importanti: dal mito all'inconscio. Lévi Strauss scrive nel suo libro: “Il pensiero
selvaggio”, che esiste un cifrario da utilizzare per la comprensione di un testo. Questo
cifrario è la struttura del testo. Nel flusso si devono cogliere le differenze. Il cifrario è il
sistema di scarti, le differenze. E' un'operazione molto simile alla linguistica: nel flusso
verbale vengono ritagliate le parole. E' la differenza che Ferdinand de Saussurre fa tra

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langue e parole. Cosi anche Jacques Lacan afferma che l'inconscio è strutturato come un
linguaggio. Per questo ripetiamo che l'analisi strutturale si applica a tutte le produzioni
significanti importanti: dal mito all'inconscio.

L'analisi testuale del film deriva dall'analisi strutturale in generale.

L'analisi di film più apertamente “lévi-straussiana” è l'opera di Jean Paul Dumont e Jean
Monod dedicata a 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick. L'analisi di questo film è
stata realizzata a partire da una trascrizione su tre colonne di: suono, immagine, parola.
Ciò che conta al termine di questa analisi è “la negazione di un senso ultimo”.

Contributi fondamentali all'analisi testuale sono stati quelli di Umberto Eco, Roland
Barthes e Christian Metz. Metz in Linguaggio e cinema insiste sulla nozione di codice, che
permette di descrivere la molteplicità dei livelli di significazione nel linguaggio
cinematografico.

Analisi dei film attinge dalla semiologia e dallo strutturalismo tre concetti:

•  il testo filmico è il film come unità di discorso come messa in opera di una
combinazione di codici del linguaggio cinematografico.

•  Il sistema testuale filmico proprio di ogni testo designa un modello. Il sistema


corrispondente a un testo è un oggetto ideale costruito dall'analista.

•  Il codice è un sistema generale che può funzionare in diversi testi.

Verso la fine degli Anni Sessanta Julia Kristeva sulla rivista “Tel Quel” scrive che il testo
non è un'opera ma uno spazio: quello della scrittura stessa. Il testo così diventa qualcosa
che produce senso e in potenza spazio di lettura infinita. Roland Barthes analizza una
novella di Balzac: “Sarrasine” con questo metodo. Egli evita di chiudere il testo in
un'interpretazione ultima e lo analizza passo passo in effetto ralenti. La seduzione
dell'analisi di Barthes sta nel fatto che egli non costruisce un sistema fisso ma “aperto”,
che rinuncia a bloccare l'analisi su un significato finale. Su questo tipo di analisi si pone
anche Thierry Kuntzel quando analizza M, il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang. Egli
scompone il testo in lessie (lessia è la nozione di Barthes che indica un frammento di testo
di lunghezza variabile). Il film viene scomposto in: titoli di testa, la prima inquadratura
diegetica del film (i bambini che cantano la filastrocca dell'uomo nero e la donna con la
cesta di biancheria), tutto il resto della sequenza. Ogni lessia è definita da un certo
funzionamento. Ciò che colpisce è la grande libertà che l'analista rivendica nella
definizione di codici. Ci sono senza dubbio ancora i codici che Barthes aveva usato in
Sarrasine, ma anche categorie diverse. Se ne conclude che non esiste una lista di codici già
pronta ma il modello spinge l'analista a innestare su ciascuno degli elementi che egli
rivela come significanti il “possibile punto di partenza di un codice”.

Per analizzare un film si usava anche dividerlo per segmenti. E' la applicazione della
grande sintagmatica, che si deve a Christian Metz nell'analisi del film Desideri nel sole di
Jacques Rozier. Metz rivela delle difficoltà, la prima è quella di distinguere tra scena e

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sequenza. A parte le conclusioni a cui giunge Metz si può affermare che la sintagmatica
appartiene a uno stato storico del linguaggio.

L'analisi esaustiva di un testo è sempre stata considerata come un'utopia, qualcosa che si
può immaginare ma difficile da raggiungere nella realtà. Il desiderio di analizzare un film
in modo esaustivo ha portato all'analisi di frammenti di film. La decisione di analizzare un
singolo frammento è legata anche alla precisione per il dettaglio. Il frammento diventava
l'oggetto ideale agevole da controllare. Molti critici considerarono il frammento come una
sorta di campione, un po' come in chimica, a partire dal quale è possibile analizzare le
caratteristiche della totalità da cui esso è prelevato. Ma quale frammenti scegliere di un
film? Spesso si scelse l'inizio del film come se esso fosse matrice del film intero. Uno degli
esempi più illuminanti è l'analisi di Roger Odin dell'entrata dello spettatore nella finzione
per il film La scampagnata di Jean Renoir. Odin mostra e analizza non tanto il film in
particolare quanto la trasformazione “dello spettatore di cinema in spettatore di film di
finzione”.

In fondo il modello testuale non è mai stato applicato alla lettera. Tutte le analisi testuali
di un certo valore hanno lasciato un effetto di “apertura”, in quanto ogni analisi
presuppone anche un simbolico da dieci anni a questa parte si sono aperte anche altri tipi
di analisi, come la psicoanalitica.

IL CINEMA TECNICA DELL'IMMAGINARIO


Per concludere il nostro discorso sull'analisi della narrazione dobbiamo per lo meno fare
un piccolo accenno a Christian Metz, il quale, in “Cinema e psicanalisi” afferma: “il
cinema è tecnica dell'immaginario” e in due sensi. In un significato letterale come afferma
tutta una critica che raggiunge il suo apice con Edgar Morin, in quanto la maggior parte
dei film è costituita da racconti di finzione e, in senso lacaniano per cui l'immaginario
opposto al simbolico, ma in continuo rapporto e incastro con esso, indica l'illusione
fondamentale dell'Io, “il marchio duraturo dello specchio che aliena l'uomo al riflesso di
se stesso e ne fa il doppio del suo doppio”. In senso psicoanalitico la persistenza
sotterranea del rapporto esclusivo con la madre, mancanza e inseguimento senza fine. Ciò
è riattivato con lo specchio del cinema: protesi delle nostre membra disgiunte. Quindi per
analizzare un film da un punto di vista narrativo non possiamo dimenticare
l'immaginario, anzi esso è imprescindibile da ogni tipo di analisi sul film.

BIBLIOGRAFIA
“Il viaggio dell'eroe” Chris Vogler

“L'analisi dei film” Jacques Aumont e Michel Marie

“Analisi del film” Francesco Casetti e Federico di Chio

“Semiologia del cinem” Christian Metz

“Cinema e psicanalisi” Christian Metz

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“Story” Robert McKee

Testo di Elisabetta Manfucci


corso in “Cine Formatore Tv 2”

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