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Cavalloro - Leggere storie

didattica della letteratura (Università degli Studi Internazionali di Roma)

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Scaricato da Sara Gioia Carobene (gioianapoletana@hotmail.it)
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Capitolo 2
La trama

Trama ciò che contraddistingue i generi narrativi. Cosa si intende con concetto di trama che
distingue generi narrativi?
Post-modernismo: Trama come narrative turn che indica mutazione culturale seguita dall’esplosione
dei mezzi di comunicazione con la quale le forme narrative si affermarono come strutture universali
di interpretazione del mondo, richiedendo una nuova forma di analisi capace di assumere una
configurazione multidisciplinare.
Approccio ermeneutico (Ricoeur & Brooks) Forma-trama come unica struttura capace di
rispondere alle esigenze narrative come umanizzare il tempo attraverso la sua articolazione narrativa,
configurare gli eventi secondo un ordine che li renda comprensibili e incanalare esperienza umana
nell’intreccio che permetta di unificare il costrutto delle circostanze. La forma-trama genera un
meccanismo di triplice mimesis che si divide in 3 momenti: struttura pre-narrativa dell’esistenza
(bagaglio codici artistici dati dalla cultura); mise en intrigue (dati dell’esperienza in un insieme
coerente capace di dare significato) e ricaduta delle strutture narrative.
Brooks Trame come modello epocale: sono viste come strutture di senso sostitutive che
restituiscono agli uomini una visione complessiva della realtà e di sé. Ha portato all’elaborazione
dell’identità narrativa che sostiene che gli individui costruiscono il sé attraverso il racconto delle
proprie esperienze e che la vita sia una forma narrativa.

2.1.2 Storia e discorso

Trama: Ciò che accade


Storia: Insieme di azioni e situazioni che si susseguono nel tempo e che derivando l’una dall’altra
(causa-effetto) o giustapponendosi compongono la storia.
PLOT & STORY Plot nel senso di trama, ovvero come sequenza di fatti nella forma in cui si trova
nell’opera; Story è la cronologia di base degli eventi a partire dai quali viene costruito qualcosa di più
complesso. (Herman, Jahn, Ryan)
Story (Forster, 1927) è la narrazione di avvenimenti esposti secondo il loro ordine cronologico
permettendo al lettore di sapere cosa succede poi; il plot è una narrazione di avvenimenti ma l’accento
cade sulla causalità. Il compito dell’autore è quello di accantonare la catena cronologica a favore di
quella logica così che il narratore possa portare alla luce tutto ciò che è invisibile al lettore.
Story: Ordine temporale, cronologia > logica.
Plot: Ordine causale, logica > cronologico, sta al narratore ricostruire.

2.1.3 Fabula e intreccio

Fabula e intreccio: due dimensioni parallele della narrazione


Fabula: Insieme di motivi nel logico rapporto causale-temporale. Nella fabula i nessi casuali esistono
ma sono sommersi da un insieme di fattori che dipendono da fattori diversi.
Secondo Eco, la fabula è lo schema fondamentale della narrazione, la logica delle azioni, il corso
degli eventi che è ordinato temporalmente.
Intreccio: Insieme degli stessi motivi nella successione e nel rapporto in cui sono presentati nell’opera.
Secondo Eco, l’intreccio è come la storia viene raccontata, come appare in superficie, con i flashback
e i flash-future, descrizioni, digressioni. Non è solo un’elaborazione ma anche un’interpretazione,
una gerarchizzazione dei contenuti in base ai valori che sembrano esprimere e che è lo scrittore a
individuare.
La vera differenza tra fabula e intreccio è il modo in cui sappiamo che le cose accadono e il modo in
cui ci vengono raccontate.

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Fabula è il modo in cui le cose accadono; l’intreccio è il come viene raccontato (oltre al modo in cui
i fatti vengono raccontati.)

Genette Ordine, durata e frequenza.


Rinnega il teorema dell’estetica e per lui il racconto è una sequenza doppiamente temporale: tempo
del significante e tempo del significato (tempo del racconto e tempo della cosa raccontata)
Tripartizione: Il primo senso di racconto designa la narrazione che assume la relazione di uno o più
avvenimenti, il secondo senso di racconto che designa la successione di avvenimenti, reali o fittizi,
che formano l’oggetto del discorso e le varie relazioni di opposizione o ripetizione, il terzo senso di
racconto che designa un avvenimento consistente nel fatto che qualcuno racconta qualcosa.
Si propone, quindi, di chiamare storia il significato o contenuto narrativo, e racconto il significante,
l’enunciato, e narrazione l’atto narrativo.
Hamburger  Storia: Serie di dati primari, narrazione: un gesto trasformatore, racconto: il
propriamente detto.

Due criticità:
1. Chatman, narrazioni sono sia un risultato di cosa e come ma hanno una distribuzione dei pesi
sbilanciata. Per lui quello che conta è solo la fabula, ovvero quello che c’è dietro le singole opere.
2. La fabula non esiste, quello che conta è l’intreccio e la sua dimensione virtuale. Il lettore crea la
storia. La fabula non è alla base del racconto ma si genera ogni qualvolta che qualcosa viene
raccontato.
2.2. Fenomeni di ordine: analessi.

Operazioni in cui autore trasforma fabula in trama: spostamento e messa a fuoco delle sue parti.
Questo viene realizzato in due modi  Presentare dopo quello che è accaduto prima (analessi) e
presentare prima quello che accadrà dopo (prolessi). L’analessi può essere considerata un flashback
mentre la prolessi un flashforward.

Concetto di ordine (Genette): Studio dei fenomeni di infrazione della serie cronologica naturale.
Permette all’autore di mantenere compatta la propria narrazione (es. Iliade).
Intreccio di rivelazione (Edipo): Modalità di composizione che parte da una situazione critica per
lavorare essenzialmente sullo svelamento degli eventi che l’hanno provocata. (Es. Romanzo giallo)
Fabula indicibile: Racconto in cui i dati forniti dall’intreccio non sono sufficienti a ricostruire la storia
nella sua catena di cause, lasciando il lettore davanti a una serie di eventi di cui non possiede la
spiegazione. Solo con un epilogo si può dare senso alla vicenda e sanare i vuoti lasciati dalla trama.
Agnizione: Momento in cui viene scoperta l’identità di un personaggio.
Tematizzazione dei procedimenti: si realizza quando un autore non si limita a usare un meccanismo
di elaborazione della fabula ma porta questo meccanismo all’attenzione dei personaggi e dei lettori e
ne fa un nuovo contenuto.
2.2.2 Portata e ampiezza delle anacronie

Anacronia: Un’anacronia può andare più o meno lontano dal momento presente (momento in cui il
racconto si è interrotto per fare posto alla storia) questa distanza viene definita portata dell’anacronia.
Può coprire una durata di storia più o meno lunga e si tratta dell’ampiezza dell’anacronia.
L’analessi ha sia la massima portata (prima dell’inizio della vicenda) che la massima ampiezza
(coincide con la storia in tutta la sua interezza), resta fuori solo il segmento della scoperta.
Rappresentano due casi di analessi estrema di cui la letteratura non fa quasi mai uso, salvo il caso in
cui l’autore voglia dare tonalità opprimenti del già accaduto.

Le analessi si dividono in analessi interne (Orgoglio e pregiudizio, J.Austen) e esterne (Edipo Re).
Si definisce analessi interne o parziali quando si recuperano i fatti che sono accaduti dopo l’inizio
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della storia e che per qualche motivo non sono stati raccontati. Si definisce analessi esterna o totale
quando si recuperano i fatti che si sono svolti prima dell’inizio della storia.

2.2.3 Analessi tematizzata: Realizzazione del personaggio.

Questa forma di tematizzazione dell’analessi può essere definita come analessi semplice. Si affermò
come forma tipica dei generi narrativi moderni.
Problemi tecnici uso analessi tematizzata:
1. Necessità di assicurarsi che ci sia coerenza tra contenuto dell’analessi e personaggio che la realizza.
2. Natura drammatica e cioè propria delle situazioni di dialogo ed è credibile solo finché si mantiene
la fiducia che gli eventi della vita appartengono al piano dell’accade pubblico intersoggettivo.
2.3 Prolessi

Prolessi interne: La voce narrante allude a un fatto che verrà narrato solo in seguito. (Lolita,
matrimonio)
Prolessi esterne: L’allusione si riferisce a un fatto che non ci verrà mai narrato perché collocato
dopo il finale. (Lolita, protagonista carcere)

Suspense o mistero Esigenza di comporre racconti dei quali il pubblico non potesse prevedere
conclusione. Suspense indica il modo con cui uno stato di aspettativa può essere suscitato nella mente
del lettore. Lo scopo di questa tecnica è preparare il terreno per un colpo di scena che suscita nei
lettori una reazione più intensa di quella che suscita il semplice resoconto dei fatti e li spinge a
schierarsi nel favore del narratore. La suspense non deriva necessariamente dalla presenza di un
mistero, ma può essere realizzato attraverso degli accorgimenti nella presentazione dei fatti.

Intreccio di risoluzione: una modalità narrativa dove si individua il racconto minimo, ovvero la
sequenza di elementi che costituiscono la forma-base universale dei testi narrativi. Secondo Propp,
alla base di ogni trama c’è una serie di funzioni ricorrenti: sono intrecci di risoluzione anche il
modello attanziale di Greimas secondo cui i racconti sono basati su sei elementi dove l’elemento
imprescindibile è il passaggio da un equilibrio all’altro.
Un racconto ideale inizia con una situazione stabile che una forza turba; uno stato di squilibrio; viene
ristabilito l’equilibrio ma il secondo equilibrio non sarà mai simile al primo. Ciò deriva dalla
concezione aristotelica secondo cui nel racconto in sé si hanno una serie di avvenimenti dove si
compie una peripezia, capovolgimento, che porta a un rivolgimento del destino. Il peso del racconto
viene, quindi, spostato sul risultato, sullo scioglimento totale che porta allo stabilire di una nuova
sorte per i personaggi.
2.3.3. Finale svelato

Si ha uno squilibrio tra analessi e prolessi (Tolstoj) perché mentre nell’analessi tolleriamo che venga
prolungato per capitoli, la prolessi ne tolleriamo solo un uso parco e ragionato. In questo caso, il
finale viene anticipato – che è una forma di prolessi – e il finale è insolito. Gli autori decidono di
dilungarsi sullo stato emotivo dei personaggi oppure di raccontare cosa succede dopo la morte di un
eroe.

2.3.4. Epifania del futuro

Verga, I malavoglia.
Nel romanzo Verga non vuole spettacolizzare l’anticipazione della morte di Luca perché non è
preparato da alcun segnale e non è seguito dal silenzio narrativo per permettere al lettore di assaporare
il picco di intensità. L’epifania del futuro con cui Verga prolunga l’atmosfera luttuosa in avanti
attraverso la visione di quello che un futuro che verrà. È un tipo di anacronia ricca di potenzialità
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espressiva e più difficile da usare, perché per sprigionare il suo effetto deve riguardare un personaggio
in cui abbiamo modo di immedesimarci. Getta una grossa ipotetica sulla riuscita di quei racconti che
si basano sul finale a sorpresa.

2.4. Durata e frequenza

Le categorie di durata e frequenza comprendono fenomeni che riguardano la “messa a fuoco”.


Durata: Studia le asincronie, le variazioni di velocità che derivano dal variare del rapporto fra la
durata della storia misurata in secondi, ore, e una lunghezza misurata in pagine.
Frequenza: Studia la differenziale di ripetizione, i diversi tipi di rapporto che possono stabilirsi tra la
capacità di ripetizione della realtà dove i fatti possono accadere una o infinite volte, e la capacità di
ripetizione della narrazione, dove ogni enunciato può rimanere unico o essere riprodotto ogni volta
che si vuole.
Durata e frequenza sono categorie parenti perché lavorano allo stesso fine, ovvero produrre all’interno
del racconto le varietà di ritmo più adatta a evidenziare con forme esteriori quei punti della storia che
l’autore ha voluto rimarcare.

Il rapporto tra tempo della storia1 e tempo del racconto2 segue un’accelerazione graduale e sfumata
che è possibile identificare in quattro ritmi identificati: pausa, dove TS si ferma e TR prosegue; scena
dove TS e TR scorrono dalla stessa velocità; sommario dove TS è maggiore del TR; ellissi dove una
certa parte del TS non viene raccontata.
Dal punto di vista della frequenza, vi sono quattro tipi di ripetizione: il racconto singolativo, dove
una cosa viene raccontata una sola volta e che è accaduto una sola volta; il racconto anaforico, ripete
la narrazione di un evento tutte le volte che questo evento si ripete; il racconto iterativo, racconta un
solo evento che si è ripetuto più volte; il racconto ripetitivo che racconta più volte un evento accaduto
una sola volta.
Narrabilità: qualità che ogni stagione letteraria calcola in base a quanta importanza ritiene che un
dato momento del racconto abbia rispetto alla totalità della storia.

2.4.2. L’unità aristotelica

Con racconto aristotelico si intende non solo la definizione che Aristotele dà al racconto (come
composizione dei fatti) ma tutta la tradizione di scrittura e critica che è basata sulla Poetica i cui punti
fondamentali sono:
1. Attenzione particolare alla trama, personaggi, sviluppo logico e cronologico di fatti ed eventi
in contrapposizione agli episodi che non hanno un posto obbligato nel racconto;
2. Estetica della forma che diventa un’estetica organicistica;
3. Identificazione psicologica o coinvolgimento emozionale con personaggi e situazioni
dell’opera;
4. Difesa dei concetti di mimesis, rappresentazione, verosimiglianza ecc.;
5. Stabilità e purezza del genere in termini di stile, tema, situazioni, eventi e forma complessiva.
Secondo questa concezione l’aspetto principale della narrazione è il suo dover essere di natura
organica.

Arco drammatico o piramide di Frey Tag che si divide in cinque punti essenziali che costituiscono la
forma-trama:
1. Introduzione o annodamento (episodio iniziale)

1
Il tempo della storia è il tempo reale nel quale si svolge la vicenda che viene raccontata con precisione storica.
2
Il tempo del racconto o della narrazione è la modalità con la quale i fatti narrati si susseguono all'interno di un
racconto.
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2. Rise (complicazioni e azioni trasformanti, il famoso capovolgimento della polarità della


situazione)
3. Spunnung o climax (massima tensione)
4. Fall (progressivo scioglimento difficoltà iniziali)
5. Catastrophe (Scioglimento definitivo e sancisce destino eroe)

Questo si ha perché il canone occidentale, dato dall’impronta della visione aristotelica, ha selezionato
e promosso quelle opere che seguivano una narrazione drammatica e quindi una struttura unitaria e
organica in cui le parti dell’opera costituivano una struttura interna (delimitata da confini di inizio e
fine e articolata in uno svolgimento centrale che portasse da un’estremità all’altra) e una struttura
organica (internamente organizzata rendendo ogni elemento necessario). Il senso di durata entra in
gioco qui perché, secondo Genette, l’opposizione tra una scena particolareggiata e un racconto
sommario rinvia all’opposizione di contenuto fra drammatico e non drammatico dove i tempi forti
erano i più intensi e i tempi deboli sono sunti in poche righe.
Da qui nasce il problema della compresenza di motivi legati (agganciati alla catena logico-
cronologica della fabula e non possono essere né cancellati né spostati altrimenti distruggono il
racconto) e i motivi liberi (segmenti di narrazione che contribuiscono alla trama ma non sono
essenziali.) Questa osservazione poggia sul problema del diritto alla narrazione e le regole che lo
governano.
2.4.3 Il senso della fine

Kermode introduce il concetto di senso della fine definendolo come una necessità per l’uomo di
proiettare davanti a se un punto di arrivo che permetta di racchiudere il tempo in due punti fermi e di
trasformare la sensazione di trovarsi in un punto senza tempo, in una sensazione di trovarsi in un
luogo ben delimitato dotato di direzione e significato. La visualizzazione della fine è ciò che permette
di diversificare il mondo e stabilire cosa è importante e cosa non lo è: stabilire, quindi, cosa è un
evento e cosa non lo è. La presenza di un fenomeno di durata è un segnale che marca l’importanza di
un evento nella storia e avverte il lettore che sono i momenti a cui deve prestare attenzione. È lo stesso
principio che governa i fenomeni di frequenza: il racconto iterativo (un solo evento ripetuto più volte
nel corso della storia) riproduce la logica del sommario che viene riunito in gruppi e sintetizzati, o il
racconto singolativo che riproduce la logica della scena (dedica ampio spazio testuale a un solo evento)
dandoci idea su cosa l’autore ha deciso di isolare e mettere in evidenza e cosa ha ritenuto di poter
riassumere.

2.4.4. Fenomeni di durata: Scena e intreccio episodico.

Struttura episodica: Si basa sulla moltiplicazione delle complicazioni che separano l’annodamento
dallo scioglimento (Introduzione & Catastrophe). Bachtin ha diviso le opere antiche in due punti fissi:
l’inizio e la fine. Cosa succede tra questi due momenti essenziali avviene nel tempo dell’avventura
nei quali gli avvenimenti costruiscono una digressione del corso normale della vita. Il tempo in cui
vivono i protagonisti non viene misurato e non è calcolato e si trattano di giorni, ore, minuti misurati
nell’ambito di una singola avventura.

Intreccio episodico: È composto da elementi simili a quelli del tempo dell’avventura in cui le
situazioni che si susseguono sono sì legate dalla forma complessiva della trama ma non possiedono
legami forti l’una con l’altra. Spesso risultano adattamenti di racconti brevi che vengono rivisitati per
renderli omogenei e inseriti nella storia di un personaggio. Il passaggio da una forma all’altra viene
realizzato attraverso l’applicazione di artifici quali la costruzione a cornice dove i vari episodi
vengono unificati dall’esterno o la schidionata che attribuisce diverse storie auto-concluse a un
personaggio che le tiene insieme.

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Se la storia può essere rappresentata come una linea spezzata, si parla di una trama di tipo polistorico
dove più personaggi agiscono contemporaneamente in situazioni differenti, sviluppando diverse linee
narrative che l’autore intreccia per dare ulteriore rapidità al susseguirsi degli eventi.
L’entrelacement è una pratica che si basa sulla suspense e si realizza mettendo il lettore davanti alla
scena che arriva al suo picco di massima tensione e poi, proprio prima che la tensione si sciolga,
questa viene abbandonata per una scena totalmente diversa.
Il principio di questi intrecci è che le storie che vengono rappresentate sono costruite da azioni
continue e non sono separate da momenti di non azione: non esistono tempi morti da abbreviare o
saltare, non ci sono ellissi e i sommari si riducono a forme di passaggio perché nelle trame episodiche
i personaggi non hanno pace e tutta la loro estensione cronologica è occupata da eventi.

2.4.5. Fenomeni di durata: il sommario

Il sommario indica la concentrazione di un ampio lasso di tempo della storia in poche pagine o righe,
con conseguente accelerazione della velocità del racconto. Il sommario viene, di solito, legato agli
eventi secondari, i fatti quotidiani di cui non si sente la necessità di rappresentare perché si svolgono
così come si svolgerebbero nella realtà che conosciamo. Maupassant, in 1968, fa un uso del sommario
strano perché il lettore si vede scivolare davanti un pezzo della vita del protagonista importantissimo
ritrovandosi, in mezza pagina, dall’altro lato di tutto ciò che è successo e non successo con la
sensazione di aver appena assistito a uno speco di esistenza.

Proust ampio uso dell’imperfetto perché riusciva a dare aspetto totalmente diverso a uomini e cose e
che la sua caratteristica più sconvolgente è che questo tempo verbale tipico dell’insignificanza serviva
a descrivere la vita dei personaggi. L’imperfetto è un tempo dello sfondo e cioè un tempo che descrive
ciò che è sempre uguale e che accade senza provocare alcuna conseguenza che si oppone con l’aoristo,
il tempo degli eventi e dei racconti.

2.4.6. Fenomeni di frequenza: racconti che si ripetono

La dinamica scena-sommario è svolta dall’interazione del racconto singolativo e racconto iterativo 3


e questo accade perché in letteratura il diverso è un valore più positivo dell’uguale e la ripresa di punti
di disuguaglianza è più profonda della riproduzione di elementi ordinari omogenei.
Cechov in Uno scherzetto infrange tale principio di non ripetizione dell’uguale e, a meno che non si
sia di fronte a un’opera sperimentale, il racconto anaforico è rarissimo. L’unico fenomeno che in
letteratura è ancora più raro della ripetizione di ciò che si ripete è la ripetizione di ciò che non si ripete,
ovvero la riproposizione di un evento che era già stato narrato (Guerra e pace, Tolstoj).

2.5. L’anomalia dell’intreccio unificato

Se l’intreccio episodico forza l’articolazione del tempo narrativo in una direzione ben precisa e
riconoscibile, esiste un tipo di intreccio per il quale si realizza una manipolazione dei fenomeni di
durata e frequenza che consiste nella trasformazione di tutti i minimi gesti ed eventi che riempiono il
tempo della qualità e che vengono affidati a narrazioni riassuntive o ellittiche. È un tipo di fabula
particolare come l’autobiografia.
Secondo Scholes e Kellogg, le autobiografie letterarie non sono solo il resoconto cronologico della
vita di chi scrive ma sono vere e proprie trame che organizzano il racconto del passato in base a un
percorso che termina con la scoperta della propria vocazione artistica. Sono, insomma, delle strutture
circolari.

3
Racconto singolativo: evento nel suo compiersi.
Racconto iterativo: rappresenta un evento nel suo ripetersi e ne riassume il ripeterne senza riprodurlo.
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Sterne, per esempio, non vuole essere un semplice biografo, ma un biografo totale e quindi raccontare
tutto predisponendo un sistema narrativo in cui il dicibile ha già il suo sito e raccontare tutto non vuol
dire solo informare i lettori sui fatti che compongono la storia, ma dare loro la sensazione che la storia
stessa si svolga in tempo reale, e che l’autore abbia intenzionalmente deposto i suoi strumenti delle
durate cronologiche per aprire una finestra sul susseguirsi degli eventi. 4

Poetica dell’inadempienza: Il narratore promette continuamente al lettore di apprestarsi a raccontare


un fatto sebbene non lo farà quasi mai del tutto perché nel raccontare il tutto si perde in digressioni e
divagazioni e poiché l’autore bandisce il sommario per rappresentare tutto ciò che è accaduto, la sua
storia si allarga su un fronte sempre più ampio e fa pochissimi passi in avanti.
Calvino ha interpretato tale strategia come fuga dalla morte.

Intreccio unificato5: Quarta e ultima tipologia di intreccio in cui il racconto di ciò che accade a un
determinato personaggio nell’arco di un determinato tempo, che inizia in un punto totalmente
arbitrario e finisce quando l’autore si interrompe. Questo modo di organizzare le trame ha confini
molto meno netti e tende a rimanere sfumato nei tratti distintivi: c’è solo il racconto di ciò che accade
a uno o più personaggi nell’arco di un determinato tempo, che inizia in un punto totalmente arbitrario
e finisce quando l’autore si interrompe. Sembrano storie senza fine ma rispondono a un preciso
modello di significato e che fatichiamo a riconoscere perché vi si è totalmente immersi: la misura
biografica.

Tipi di intreccio:
1. Intreccio di rivelazione: modalità di composizione che parte da una situazione critica per
lavorare essenzialmente sullo svelamento degli eventi che l’hanno provocata. (Azione
trasformatrice conclude crisi concreta)
2. Intreccio di risoluzione: una modalità narrativa dove si individua il racconto minimo, ovvero
la sequenza di elementi che costituiscono la forma-base universale dei testi narrativi.
(Personaggi completano un processo di risoluzione)
3. Intreccio episodico: Insieme di singoli episodi che costituiscono la trama e/o la storia di un
singolo personaggio.
4. Intreccio unificato: Questo modo di organizzare le trame ha confini molto meno netti e tende
a rimanere sfumato nei tratti distintivi: c’è solo il racconto di ciò che accade a uno o più
personaggi nell’arco di un determinato tempo, che inizia in un punto totalmente arbitrario e
finisce quando l’autore si interrompe.

2.6. Altre proposte per classificare le trame

- Secondo Ferrucci, le trame sono riconducibili a due prototipi: l’intreccio di assedio la cui
azione si svolge in un luogo chiuso, in uno spazio circoscritto che costituisce proprio ciò che
tiene insieme le vicende narrate; l’intreccio di peregrinazione la cui azione si svolge in
un’estensione di spazio potenzialmente infinita e i cui personaggi si muovono nelle fasi della
loro storia.
- Secondo Prince, la narratologia stessa contempla forme di classificazione diverse più attente
al contenuto che alla formalità, ad esempio la differenza tra plot interno che si concentra sui
sentimenti e sui moti interiori, e il plot esterno che si basa su eventi ed esperienze esteriori.

4
Esempio è il Tristam Shandy di Lawrence Sterne.
5
Guerra e pace, Tolstoj.
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- Secondo Frye, ci sono quattro generi di Generic Plots – commedia, romance, tragedia e satira
– antecedenti allo sviluppo dei generi letterari che conosciamo oggi e che vengono definiti
come modelli universali.
- La classificazione tematica dei racconti è complicata da affrontare perché si basa sul
presupposto che l’argomento di un’opera letteraria è un elemento discreto, stabile e
riconoscibile.
- Secondo Scholes e Kellogg, le opere classiche avevano in sé sia la presenza di significati
letterari (logos) sia uno strato di contenuti etici e filosofici (hyponia) che costituiva l’unico
livello di valore dei testi e che doveva poter essere individuato in modo univoco.
- È stato introdotto, al posto della forma-trama, il concetto di storyworld che include tutto ciò
che fa parte di un racconto e che un destinatario può cogliere attraverso meccanismi di
saturazione e che sostituisce la categoria di plot. È avventato dire che il plot è scomparso
perché si tratta di due categorie diverse e attinenti a due oggetti doversi che designano il loro
ambito di riferimento con maggior accuratezza.

Prospetto secondo capitolo

Analessi: fatti avvenuti in una fase anteriore della storia e che vengono narrati successivamente
(Prima viene narrato dopo)
Prolessi: fatti che verranno in una fase successiva della narrazione e che verranno narrati
anticipatamente (dopo viene narrato prima)

DURATA
Pausa: tempo della storia è nullo rispetto al tempo del racconto
Scena: tempo della storia e tempo del racconto procedono alla stessa velocità
Sommario: tempo della storia è maggiore rispetto al tempo del racconto
Ellissi: tempo del racconto è nullo rispetto al tempo della storia

FREQUENZA
Racconto singolativo: racconta solo una volta ciò che è successo solo una volta
Racconto anaforico: racconta N volte ciò che è accaduto N volte
Racconto iterativo: racconta N volte ciò che è successo una sola volta
Racconto ripetitivo: racconta solo una volta qualcosa che è accaduto N volte

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Capitolo 3
Il personaggio

3.1. Homo Fictus

Personaggio: Soggetto fittizio costruito in modo tale da apparire come proiezione o equivalente del
lettore e da trasformare sequenze di azioni e di eventi in esperienze umane, dotate di significato
esistenziale che possiamo caprie e condividere. I principali problemi che riguardano i personaggi
sono lo statuto ontologico e la caratterizzazione. Le opere narrative basano la loro capacità di
interessarci su un meccanismo illusionistico che consiste nell’evocare la presenza dell’Homo Fictus.
Homo Fictus (Forster) Figura immaginaria ma percepibile come umana. È la realizzazione di
un’operazione cognitiva complessa se non di un salto logico che è tale da fondere due livelli di
esistenza diversi come il piano della storia e della realtà. Per definire l’ontologia del personaggio si
sono raggruppati due campi che puntano sul ruolo testuale e sulla consistenza umana reale.

3.1.2. Personaggi come forme del discorso

Critica formalista Personaggio ente di natura verbale e costituisce prodotto di artificio stilistico e
espressione della funzione di sorreggere la struttura del racconto procurando un soggetto concreto
alle azioni tipiche che costituiscono le trame così che la serie finita di temi universali possa essere
declinata nella serie di racconti particolari.
Formalisti Elemento più importante è la funzione ovvero l’operato di un personaggio determinato
dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda. Carattere personaggio diventa
risultato automatico, effetto collaterale che autore può decidere di elaborare come materiale narrativo
accessorio. La definizione di un personaggio non è altro che la motivazione, un pretesto per legare i
motivi di base della storia in quanto in principio gli eroi non hanno né spessore né identità.
Russell & Searle: Capacità individuazione meccanismo logico semiautomatico grazie al quale si può
risalire dal nome proprio all’intero cluster delle caratteristiche che definiscono una precisa cosa o
persona. Una volta applicato alla letteratura, questa posizione è incappata in un problema teorico
perché nessun vincolo obbliga i personaggi ad attenersi e questo vale anche quando l’autore decide
di violare il patto di coerenza o quando l’eroe subisce un violamento o una mutazione e smette di
coincidere con ciò che sapevamo di lui.

3.1.3. Personaggi come forme della realtà

Carattere di un soggetto narrativo è ciò che permette al lettore di giudicare, amare e odiare un
personaggio. Non è tanto il ruolo di carattere nella determinazione di un personaggio ma il fatto che
rispetto al personaggio possiamo stabilire una serie di rapporti umani. L’identificazione emotiva con
gli eroi della storia cui appare naturale ma è il risultato di una serie di passaggi interiori complessi e
dei quali non ci accorgiamo perché ormai interiorizzati e fanno parte della nostra natura di mimesis
ovvero l’idea che gli enti di invenzione siano sempre la rappresentazione di enti reali.

Secondo Dolezel, si hanno due linee interpretative: la semantica mimetica e la semantica


universalistica. La prima raccoglie l’attività di quei critici che hanno interpretato gli eroi come
imitazioni di individui realmente esistiti; la seconda si basa sull’idea che i personaggi siano una
rappresentazione della realtà ma non dei singoli individui ma quella di condizioni storiche universali.
Dolozel riduce i personaggi a meri simboli di situazioni generali, distruggendo la loro particolarità
individuale. La filosofia leibniziana propone una chiave narrativa la cui caratteristica sarebbe la
capacità di salvaguardare la specificità di questi mondi narrati come possibilità non realizzate del
mondo reale.

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3.1.4. Critica del personaggio: Auerbach

La critica auerbachiana costituisce il caso di rispetto dell’identità dei personaggi pur nel loro
inserimento in schemi di significato ulteriori. Auerbach propone di valutare queste presenze al limite
tra la storia e la simbologia secondo i criteri dell’interpretazione figurale dell’Antico Testamento.
Secondo lui i significati non annullano le singole esigenze, ma coesistono con esse e traggono il loro
grado di verità. Il giudizio di Dolezel è parziale, e la bipartizione tra semantica mimetica e
universalistica compone un quadro incompleto che non dà conto di altre importanti proposte teoriche
basate sulla realtà degli enti d’invenzione. Da non sottovalutare la critica freudiana che ha applicato
ai caratteri letterari gli strumenti della psicoanalisi ricavandone ulteriore materiale per la sua analisi,
oppure quella junghiana con la teoria degli archetipi oppure la teoria di Monika Fludernik secondo
quale i personaggi devono essere considerati come individui veri e propri in quanto dotati di quel
carattere di realtà che è il fatto di vivere un’esperienza embodied.

3.2. La caratterizzazione attraverso le qualità


3.2.1 Prescrizioni aristoteliche

Robbe-Grillet, concetto di caratterizzazione: Procedimento con cui l’autore, mettendo insieme una
certa serie di attributi particolari, costruisce una sorta di ritratto fisico e psicologico del personaggio.
Il ritratto obbedisce a regole variabili e corrisponde a quello che si afferma come principium
individuationis – principio di individuazione – di riferimento che si elegge a fondamento delle
possibilità di percepire un individuo in quanto tale distinguibile dai suoi simili e che è legato da un
lato alla rappresentazione artistica e dall’altro alla speculazione filosofica.

Caratterizzazione aristotelica: Nella Poetica di Aristotele il carattere del personaggio è uno degli
elementi che determinano il carattere di appartenenza di un’opera, gli uomini fanno fatica ad
immedesimarsi in un ruolo ben individuato e riconoscibile nelle opere artistiche. La caratterizzazione
aristotelica non obbedisce a un bisogno di aderenza con la realtà ma viene costruita a partire da un
sistema di regole particolari e specifiche della composizione letteraria. Ci sono quattro aspetti di
riferimento del personaggio che appartengono al piano compositivo:
- Validità
- Convenienza indicano la capacità di farsi riconoscere incarnando tali caratteristiche nella
forma più pura possibile.
- Somiglianza
- Coerenza
Questi non presuppongono l’instaurarsi di un rapporto tra il piano della realtà e il piano della
rappresentazione, ma restano interni a quest’ultimo. L’elemento essenziale in un agente narrativo non
è la sua capacità di riprodurre un carattere esistente, ma la sua unità interna e la sua disponibilità a
integrarsi con l’insieme della storia. I personaggi si intendono somiglianti ma quando risultano
conformi alle forme tramandate dalla tradizione letteraria e possono essere giudicati coerenti in base
alla capacità del poeta di attribuire loro azioni e sentimenti compatibili con le caratteristiche di cui li
ha dotati.
3.2.2. Il Charakter

Quattro punti aristotelici fusi nel concetto di tipo che presuppone due fasi: identificazione forma
generica (astratta) che governa il carattere prescelto, e la raccolta di casi particolari nei quali la forma
generica si traduce in azioni e situazioni.
Il personaggio è charakter e quindi richiama l’area semantica di tutto ciò che è stabilito e definito.
La caratterizzazione di un personaggio è la rivelazione del suo marchio interiore, quello che lascia il
proprio segno indelebile nella sua individualità, predisponendo a un genere di azioni, storie e a un

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preciso destino. Per Scholes e Kellogg, quanto più un personaggio sarebbe tipo, tanto messo esso è
un personaggio e quindi il tipo è una forma di rappresentazione superata.

3.3. La caratterizzazione attraverso i significati


3.3.1. Costruzioni allegoriche

Ciò che accomuna i tipi e ne costituisce la qualità più caratteristica è il loro essere congruenti con le
esigenze del racconto: non esistono come individui ma sono costruzioni allegoriche ovvero
costruiscono storie universalmente valide e che possono essere condivise da tutti i membri di una
comunità. Ogni epoca configura un ventaglio di tipi adeguato ai valori che si intende esprimere anche
se i ruoli tendono a coincidere, le loro rappresentazioni non coincideranno mai del tutto.

3.3.2. Sistemi dei personaggi

Le caratteristiche di fissità, codificazione e congruenza del racconto con il personaggio-tipo ha


permesso di sviluppare la costruzione teorica come il modello attanziale di Greimas che propone di
riportare i personaggi a sei ruoli fondamentali6 creando un sistema dei personaggi ovvero uno schema
di rapporti più o meno stabili tra gli attori che condividono la scena del racconto. Il sistema non è
legato ai tipi ma con l’uso di eroi tipizzati faceva sì che il sistema dei personaggi costituisse un
elemento primario di costruzione dei racconti, che permetteva di legare i significati simbolici
incarnati dai vari eroi in un complesso exemplum. In quest’ottica, il fatto che sia possibile costruire
e leggere i personaggi come esempi è parte di un meccanismo di giustizia poetica, ovvero il principio
che impone di costruire la trama in modo tale che il vizio sia punito e la virtù ricompensata. Un
sistema di personaggi, se costruito da tipi, può diventare il primo elemento strutturale della storia. I
personaggi possono essere considerati anche esempi di valori universali e morali.

3.4. Il declino del personaggio-tipo


3.4.1 Mutamento epocale

Esempio: I promessi sposi Protagonisti come individui sotto ogni punto di vista che dominano il
racconto con i loro pensieri, decisioni e reazioni agli eventi. I personaggi manzoniani non sono più
tipi morali ma tipi sociali.
Esempio Il Don Chisciotte, testimonianza del fatto che i metodi della caratterizzazione stavano
cambiando e mutandosi in un meccanismo involontario con cui le persone individuano i modi da cui
si sentono meglio rappresentate.

3.4.2 L’epoca della prosa

Il tipo sociale è l’ultima declinazione che questa caratterizzazione ha assunto prima di essere sostituita
dalle modalità di individualizzanti degli ultimi secoli.
Il tipo viene caratterizzato dal fatto che in esso convergono tutti i tratti salienti di quella unità dinamica
in cui la vera letteratura rispecchia la vita, le contraddizioni sociali e morali di un’epoca. Nel tipo si
fondano la concretezza e la norma, l’elemento umano eterno e storicamente determinato,
l’individualità e l’universalità sociale. Nella creazione dei tipi, le tendenze più importanti riguardano
le tendenze dell’evoluzione sociale che ricevono un’eventuale espressione artistica. Secondo Hegel,
l’isolazionismo e la guerra permanente sono la causa principale del passaggio tra il modello di
personaggio eroico e tipizzato e il modello dell’individuo che caratterizza il periodo contemporaneo.
Ciò che differenzia gli individui dagli eroi è la progressiva perdita di potere sul mondo circostante: i
personaggi passano a rappresentare individui vincolanti, assoggettati al piano delle decisioni statali e

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Soggetto, oggetto, destinatario, aiutante e oppositore.
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limitati nelle loro possibilità di scelta ed azione. Non riguarda solo il livello esteriore ma anche quello
morale della valutazione di ciò che è giusto e non è giusto; il bene e il male non è più a carico dei
singoli e non rappresenta più un criterio di caratterizzazione. Da ciò la letteratura ricava nuovi attori:
entità che possono solo rappresentare se stessi nella propria vita.
Il primo elemento distintivo di questo cambiamento è il nome: i nomi non hanno intenzione mimetica
ma rimandano un sistema di allusioni che, fin dalla loro menzione, inseriscono i personaggi in uno
schema di precedenti. Sono nomi parlanti quando raccolgono uno o più nuclei di significato
all’interno della stessa storia, ma inviano un preciso segnale di riconoscimento che lo porta a
collegarlo ad altre opere significanti simili. Nome comune diventa parlante già per il fatto che è stato
scelto.

3.4.3 Spazio e tempo: personaggi che si evolvono

Chatman  Distingue due gruppi:


- Entità temporali: riguardano eventi e azioni
- Entità spaziali: ricoprono un ruolo secondario e comprendono la descrizione
dell’ambientazione, i momenti riflessivi e i personaggi.
Gli eroi sono come enti statici e elementi secondari, sono come qualcosa di stridente rispetto alla
nostra sensibilità letteraria attuale. I personaggi sono, in primo luogo, entità vincolate alla dimensione
temporale, che agisce su di loro e modifica sia la loro individualità che le relazioni.
New novel: contrappone il divenire dell’uomo con la sua non integrità, mescolando sia il bene che il
male. Nasce, quindi, il romanzo di formazione che riguarda la crescita e la trasformazione di un
individuo e il protagonista viene mostrato come un diveniente, un mutante educato alla vita.
Il modo di presentare il cambiamento dei personaggi viene chiamato, da Scholes e Kellogg,
caratterizzazione evolutiva che è un percorso calcolato a priori; FFlaubert e Tolstoj metteranno in
scena una caratterizzazione cronologica, ovvero lo scorrere del tempo costituisce il motore unico del
cambiamento e il cambiamento stesso diventa imprevedibile perché rispecchia la condizione degli
uomini di essere vincolati al tempo e all’autore che ci mette di fronte al risultato compiuto.
Cronotopo: Il cronotopo indica l’interconnessione dei rapporti temporali e spaziali dei quali la
letteratura si è impadronita. Ciò che caratterizza la narrativa realistica è il fatto che il legame tra attori
e lo scenario diventa un rapporto di coappartenenza che viene percepito come una necessità.

3.5. La caratterizzazione attraverso il pensiero


3.5.1. Un nuovo principio di individualità

Tra il 18° e il 19° secolo su ha una ristrutturazione del principio di individualità. Secondo Locke, la
percezione dell’identità è l’effetto della continuità della memoria che si prolunga nel tempo e nello
spazio. Questa concezione porta il romanzo a generare nuovi personaggi e una nuova forma di
caratterizzazione. L’identità si basa sull’appartenenza a un contesto spazio temporale che la determina
sulla base di una precisa conformazione psicologica: i caratteri che segnano l’unicità della finzione
narrativa sono la specificità io-qui-ora che sono alla base della soggettività di un individuo che può
essere rappresentata quanto tale.
A questo scopo nascono tre principali forme di presentazione dell’interiorità: psiconarrazione,
monologo citato e monologo narrato.

3.5.2. Gli spazi del pensiero nell’epoca antica

Questo non significa che la cultura classica non considerasse la vita psicologica dei suoi personaggi
ma non era ritenuta all’altezza delle gesta eroiche e della macchinazioni degli dèi. Nell’ottocento non
si poteva ancora parlare di espressione dell’interiorità poiché prevista in due sole situazioni: la prima
è quella del dissidio interiore in cui vi è una lotta segreta tra l’eroe e il suo senso del dovere dove si
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perde la loro unità e si contrappongono l’una all’altra, lasciando il soggetto a sostenere una vera e
propria battaglia tra le possibilità proposte e le loro ragioni. (Esempio, passo del libro IV di Eneide)
Il secondo è il soliloquio dell’innamoramento, un lungo monologo interiore dove il protagonista
commenta con sé la nascita improvvisa di un sentimento d’amore nei confronti di un altro personaggio
e ripercorre il ricordo delle circostanze per cui tale sentimento è sbocciato (esempio è Dante con Vita
Nova).
3.5.3. Il modello agostiniano

Secondo Scholes e Kellogg, la svolta psicologica è sintetizzabile nel passaggio delle forme di
espressione del pensiero basate sulla retorica e che riproponevano nella dimensione della parola
pronunciata pubblicamente, forme che prediligevano la resa dei moti interiori dei personaggi colti
nella loro essenza più intima. Nelle Confessioni si ha il contributo allo sviluppo di una concezione di
psiche che non si trova in altre aree culturali. Vi sono due punti importanti per il discorso sulle forme
di rappresentazione psicologica:
- Il rapporto tra psiche (insieme dei meccanismi di elaborazione dei pensieri e sentimenti) e la
psicologia (insieme delle forme con cui si rappresenta il sistema): è un rapporto ancora
inesplorato e parzialmente incomprensibile nel quale non si è quasi mai in grado di
determinare dove finiscono le strutture culturali e quelle psico-fisiche.
- Cercare di stabilire un collegamento tra forme e precisi modelli storici che sembrano esserne
alla base, quindi bisogna diffidare dai risultati che si ottengono se consideriamo che il campo
di osservazione è comprovati e indubitabile.

Modello agostiniano: Ha valore di catalizzatore di fenomeni profondi che hanno una radice più antica
e trasversale piuttosto che il ruolo di archetipo originari di un modo di pensare.

3.5.4. La psiconarrazione

Si definisce psiconarrazione quando il discorso mentale di un personaggio viene narrativizzato


ovvero trattato come un evento fra tanti e assunto come tale dal narratore stesso. La sua peculiarità è
quella di essere totalmente affidata alla voce del narratore e quindi ne presenta tutte le prerogative
che si presentano su tre fonti: nell’uso di un linguaggio non mimetico e quindi il narratore è libero di
allontanarsi dal linguaggio particolare del personaggio per svolgere le proprie osservazioni su un
registro più accurato. La psiconarrazione garantisce alla voce narrante la libertà di passare dalla
descrizione della psicologia di un essere singolare alla riflessione su problemi universali, e il narratore
può sfruttarla per concentrare l’attenzione del lettore sulla propria identità di intelligenza narrante,
capace di innalzarsi al di sopra degli individui. È una delle forme espressive più pionieristiche perché
qualunque autore può liberamente decidere di rappresentare i pensieri del proprio eroe
accontentandosi delle capacità a disposizione del soggetto.

3.5.5. Il monologo citato

Si definisce monologo citato quando i pensieri, le impressioni e le percezioni dei personaggi vengono
rappresentate in modo dirette e drammatizzate. Fa parte della branca del discorso diretto e rientra
nella mimesis in senso stretto. Solitamente tende a essere innescato all’insorgere di un dilemma o di
una situazione imprevista e problematica che spinge il personaggio a ripiegarsi su sé stesso in un
momento di analisi nel quale ricerca le soluzioni e fa il punto della situazione esistenziale. Oppure si
avvale dell’espediente delle ficelle: un personaggio minore che viene vestito del ruolo di confidente
per poter fornire al personaggio principale l’occasione di sfogarsi in quello che è un lungo monologo
ad alta voce dove l’intervento dell’altro è esaurito in poche battute. I monologhi assumono il valore
di riproduzione mimetica del linguaggio figurale dove il narratore conferisce ai pensieri silenziosi dei
personaggi la stessa autorità delle parole che rivolgono gli uni agli altri. I monologhi interiori sono
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legati dalle regole dell’umanismo psicologico tanto quanto lo sono i dialoghi perché creano l’illusione
che un personaggio stia pensando tra sé e sé. Il dato caratteristico del monologo interiore è che è
soggetto al mutamento del proprio tessuto linguistico percorrendo un campo si oscillazione che
dipende dalla percezione che ogni singola epoca ha dei moti interiori. Nell’ottocento, ad esempio, era
diffuso il flusso del modello melodrammatico mentre nel ’900 si dava spazio al flusso di coscienza
prima con Anna Karenina per poi avere il più grande esempio con il monologo di Molly Bloom in
Ulisse di James Joyce.
Flusso di coscienza: è basato sul fluire del pensiero, che procede con un andamento associativo e
illogico, che viene influenzato e reindirizzato dagli stimoli che colpiscono la soggettività pensante
dall’esterno, senza che questa iterazione riesca a trasformarsi in un costruttivo rapporto con la realtà.

3.5.6. Il monologo narrato

Si definisce come monologo narrato una forma intermedia tra la psiconarrazione e il monologo citato.
Si usa una voce narrante ibrida che tipicamente si presenta nel discorso indiretto libero riproducendo
la lingua e le intonazioni particolari di un singolo personaggio, ricollocandole nella sintassi di un
narratore in terza persona e nel sistema dei tempi tipici del racconto. Dal punto di vista grammaticale
è indistinguibile dalla narrazione generale perché manca di quei segnali visivi che siamo soliti
ignorare ma che dimostrano la loro importanza: i segni diacritici. Il monologo narrato, un frammento
di discorso a carico del personaggio, è legato alla sua prospettiva e la narrazione è un discorso che
dipende dal narratore soprattutto dalla sua affidabilità di figura onnisciente. Il segnale più sicuro per
capire quando viene applicata questa tecnica sono l’incongruenza dei deittici ovvero l’uso di
particelle quali “adesso”, “qui”, “ora” dove non dovrebbero essere usati. Nel monologo narrato il
baricentro si sposta all’interno del personaggio e il racconto assume le sue coordinate e in generale la
sua prospettiva e tutto ciò che rientra nel suo punto di vista.

3.6. L’uomo “tale e quale a noi”

Nelle opere narrative, i personaggi vengono presentati nel momento in cui entrano in scena per la
prima volta e di loro viene fornito un ritratto più o meno dettagliato, un accenno della loro storia
oppure una sommaria descrizione del carattere. Il tutto riunito in una sezione di testo riconoscibile e
che tendiamo a staccare da tutto il resto e a memorizzare come forma di riferimento di un dato
personaggio. La prima forma di catalogazione dei personaggi è la bipartizione tra flat (personaggi
piatti che non vengono mostrati nella loro complessità) e round character (titolari di un insieme molto
articolato di tratti distintivi, possiedono qualità e sfumature utili ad attivare nel lettore un meccanismo
di immedesimazione impossibile con nessun altro eroe e nessun tipo e che deriva dalla perfetta
aderenza alla natura umana e alla loro imprevedibile complessità.

3.7. Individui e trame.

Una delle leggi della narrativa è il principio di ascrivibilità: sistema di regole con cui viene stabilito
il diritto di un ente d’invenzione ad abitare una storia o detto altrimenti il suo diritto di vedere la
propria esperienza individuale trasformata in narrazione. Questo significa che il mondo non prevede
più storie eroiche, sublimi o tragiche, o capaci di rivestire le vite degli individui. Il problema maggiore
della narrativa dell’epoca della prosa, fatta di individui e di biografie, è costretta a confrontarsi con
la necessità di narrare la normalità, la quotidianità banale delle persone comuni e che agiscono solo
perché forze che li trascendono le hanno programmate per farlo. Per storie come Anna Karenina il
principio di ascrivibilità non ha più valore perché il reciproco tradimento dei personaggi è venuto alla
luce.

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Capitolo 4
Il narratore

4.1 Narratore, autore

Il narratore è l’elemento originario che rende possibile l’esistenza della storia. Quando leggiamo un
testo narrativo tendiamo a delineare una figura virtuale che sembra trasparire dalla forma complessiva
dell’opera. Dall’impressione si ricava una serie di meccanismi mentali automatici che ci porta a
ritagliare una figura ipotetica generatrice che non coincide con l’autore in carne e ossa, ma
corrisponde al testo e ai segnali che sembra contenere.

Ambiguità del narratore La natura del narratore è ambigua e rende il discorso analitico che lo
riguarda complesso: il suo problema principale è insondabilità del suo statuto ontologico ovvero noi
riconosciamo nella sua presenza sia una parte dell’opera che ci sta di fronte, che una parte esterna da
cui l’opera ha avuto origine. Anche quando questa relazione viene esplicitata, ci troviamo di fronte a
una sovrapposizione di livelli incongruenti dei quali non possiamo terminare i confini.
L’ambiguità del narratore, dal punto di vista lessicale, è di tipo terminologica che è evidente quando
si fa uso di un sinonimo improprio come autore, soprattutto quando viene declinato come autore
implicito7.

Autore implicito: con autore implicito si intende sia un ente soggettivo che oggettivo perché esso è
dato nel testo in quanto insieme di sintomi, dall’altro la sua configurazione dipende dai soggettivi
gesti attualizzanti della lettura, della comprensione e dell’interpretazione. Se la narrazione, nel suo
essere soggetto autonomo, contiene una serie di dati reali, l’entità immaginaria che viene dedotta può
variare da persona a persona.
Secondo Calvino, la persona che scrive deve dapprima inventare una figura che è quella dell’autore
dell’opera: chi scrive sarà solo una proiezione di se stesso che l’autore mette in gioco nella scrittura.
Secondo Meneghelli, il narratore vero e proprio è una figura diversa e la sua definizione più consona
è quella di postura enunciativa attorno alla quale si aggregano una serie di fenomeni.

Mediazione: la mediazione è la caratteristica generale che contraddistingue la narrazione; il motivo


per cui il narratore è in grado di effettuare questa narrazione è dato dal suo statuto ontologico che è
doppio: chi narra è dentro e fuori dal racconto. Questo permette al narratore di muoversi nello spazio
tra il mondo dei personaggi e il mondo del pubblico e i suoi confini si fondono con l’autore stesso:
dall’autore implicito (così come emerge dal testo) all’autore reale (colui che si rende responsabile
dell’esistenza dell’opera).
4.2 Modo e voce

Genette parte dal modo e dalla voce: con modo si intende la distanza ovvero il confronto tra mimesis
e digesis. Lubbock solleva la differenza tra telling e showing e sottolineando come, in un confronto
tra due opere, la differenza di metodo sta in ciò che Genette ha chiamato distanza e, soprattutto, nel
grado di opacità con cui la distanza può essere riempita. Un autore “che rappresenta” fa uso di un
narratore che fa riferimento alla storia come se fosse stato preso nell’azione e stesse ricordando come
si erano svolti i dettagli. Un autore “che racconta” fa uso di un narratore che domina il racconto e che
nella sua storia ha bisogno del narratore, ed è proprio lui che raccoglie e riordina la cronaca
mettendola fuori dalla sua esistenza. L’autore diventa un’entità personale su cui si può iniziare a porre
le domande. Non si limita solo a definire il livello di complicità che il narratore ha rispetto alla storia,
ma determina il suo grado di solidarietà con il pubblico e diventa uno strumento fondamentale per

7
Inaugurato da Vinogradov che propose di distinguere autore reale (persona che ha prodotto l’opera) e immagine
dell’autore (vista come l’essenza dell’opera ed è il centro ideologico-stilistico dell’intero lavoro, il punto focale)
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manipolare la responsabilità della voce narrante nei confronti di ciò che racconta. L’autore sfrutta la
frattura tra narratore, pubblico e personaggi per:
- Salvaguardare la propria identità dalle possibili ricadute della sua storia
- Ironizzare sul mondo al quale appartiene e alle cui strutture finge di essere allineato.
Altro modo in cui la distanza può acquisire diverse sfumature qualitative e scindersi in diverse
distanze relative che allontano o avvicinano il narratore si divide in:
- Temporali: quando un personaggio racconta la propria storia anni dopo lo svolgimento,
facendo scontrare due facce diverse di sé;
- Intellettuali: il narratore filtra la storia attraverso la capacità di espressione e di pensiero che
è visibilmente superiore a quella dei personaggi narrati;
- Emozionali: il narratore rifiuta di partecipare emotivamente alle vicende narrate e parla degli
eventi umanamente toccanti senza rivelare il coinvolgimento;
- Morali: non condividere le scelte dei protagonisti, per esempio.
4.2.2 Il modo narrativo: la prospettiva
Prospettiva: riguarda la questione della focalizzazione e del punto di vista. Stanzel ha proposto di
distinguere le narrazioni sulla prospettiva dividendole in interna quando prevale il punto di vista dove
il mondo narrato è percepito all’interno del protagonista; esterna quando il punto di vista è percepito
al di fuori del protagonista. Si possono individuare tre situazioni narrative: la situazione narrativa in
prima persona, la situazione narrativa autoriale, la situazione narrativa figurale vista come una
forma ibrida delle due precedenti composta dall’interazione tra la prospettiva interna della prima
persona e il narratore in terza persona.
Genette distingue e affronta le due “doti” che rendono possibile l’attività del narratore: la vista
(dominio di fatti che riguardano lo sguardo, la forma di accesso di chi narra l’informazione narrativa)
e la parola (dominio dei fatti che riguardano l’espressione verbale di tale informazione). La
prospettiva deriva da due parametri: punto di vista che è definita come la collocazione fisica dello
sguardo del narratore; l’autore è libero di rapportarsi alla scelta del punto di vista mantenendolo fisso
se resta uguale per tutto il racconto; variabile se lo alterna in diverse posizioni man mano che
accadono i fatti; multiplo se è interessato a conoscere l’effetto che i loro rispettivi modi e capacità di
vedere e comprendere può avere sulla rappresentazione del fatto stesso.
Il secondo elemento è la focalizzazione che definisce l’ampiezza e la profondità con cui il narratore
condivide il spere dell’autore e si divide in: focalizzazione zero (non focalizzato, esempio: I Promessi
sposi, Manzoni) che coincide con il narratore onnisciente (sa quello che sa l’autore); focalizzazione
interna (esempio: romanzi di Italo Svevo) in cui il narratore sa tutto quello che sa il personaggio;
focalizzazione esterna (esempio: alcuni romanzi di Hemingway) in cui il narratore viene escluso
totalmente da ogni forma di conoscenza sulla storia ed è capace di narrare solo ciò che accade nel
campo visibile e non può accedere ad altre informazioni. La focalizzazione ipotetica, invece, è
l’effetto che si ha quando la narrazione rimanda a un atto percettivo che viene descritto in termini
controfattuali e il narratore sottolinea la particolarità della situazione e del suo privilegiato accesso,
segnalato da frasi come “se solo qualcuno potesse vedere”.
La prospettiva può manifestare una doppia funzione: è una funzione del discorso nella misura in cui
avvolge la storia da fuori e la filtra da una lente esterna alla narrazione, ed è una funzione della storia
perché l’effetto che produce sui fatti è tematizzato e trasformato in nuovo contenuto.
4.2.3 La voce
Per voce si intende la categoria di quei fenomeni dell’enunciazione narrativa che dipendono dalla
posizione della narrazione rispetto alla storia: posizione temporale ma soprattutto diegetica. Dal
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punto di vista della collocazione nel tempo, basta individuare il punto cronologico dal quale il
narratore guarda la storia e può essere: ulteriore ovvero che la storia si trova in un passato più o meno
specificato, anteriore quando il narratore è predittivo rispetto alla storia, simultaneo dove si ha la
sensazione che storia e narrazione si svolgono contemporaneamente e intercalato dove più posizioni
temporali si alternano o si sovrappongono.
Per Genette si hanno quattro posizioni narrative: omodiegetico o eterodiegetico a seconda che la sua
identità coincida con quella di uno dei personaggi che prendono parte alla narrazione; intradiegetico
o extradiegetico a seconda della sua esistenza sia o meno illuminata dalla narrazione. Le coppie
omodiegesi-intradiegesi (narratore in prima persona ed è un personaggio di cui sappiamo qualcosa)
e exradiegesi-eterodiegesi (narratore in terza persona, estraneo alla storia e non caratterizzato)
oscillano tra i casi riconoscibili di narratore-agente che racconta e compie una serie di azioni
importanti per la storia e narratore assente che adotta un registro e una postura linguistica impersonali
così da non permettere al lettore di sentirsi parte degli eventi.
Soggettività linguistica L’autore utilizza un linguaggio personale che comprende commenti, scelte
lessicali, linguistiche e molteplici forme di trasmissione dialogizzata della parola altrui attraverso
cui il discorso delinea un mondo ideologico, designando il profilo dell’istanza narrativa. Quello che
siamo abituati a chiamare stile non è altro che la realizzazione verbale dell’identità del narratore.
Svolta formale (es. Gadda): La forma non si presenta come identica al contenuto ma mostra se stessa,
si rivela artificiosa e interpone uno schema tra la storia e il lettore. Così facendo il narratore vuole
attirare l’attenzione su di sé senza dover entrare in prima persona, esasperando la potenzialità
dialogica ovvero la capacità di accogliere e inglobare infinite voci diverse.
4.3. Narratori interni
4.3.1 Lo sdoppiamento biografico
Narratore omodiegetico: usato molto nel racconto autobiografico dove l’identità del narratore
coincide con quella del protagonista della storia ma tra i due esiste uno scarto temporale che permette
al primo di guardare al secondo come un personaggio diverso da lui. Il narratore omodiegetico
influisce sulla:
- Distanza: il passare del tempo e la maturazione morale e intellettuale allontanano il sé-
narratore dal sé-personaggio ma l’effetto della memoria avvicinano le due parti e le rendono
più empatiche di un narratore esterno;
- Prospettiva: la maggiore capacità di visione di chi parla fa sì che nella storia siano sovrapposte
due prospettive diverse a concentriche e che creano un effetto ironico o tragico;
- Voce: narratore deve doppiare, con la propria voce presente, la propria voce passata e può
decidere se lasciare le differenze oppure inglobarle prendendo su di sé l’autorità di articolare
in forma di linguaggio le esperienze interiori ed esteriori che può trasformare la vicenda in
esperienza. Ha anche l’effetto di metterci di fronte a due versioni del protagonista e di
sommare e confrontare la conoscenza dell’eroe che ci viene data dalle sue azioni piuttosto che
ascoltare i commenti su se stesso.
L’insieme di tutte queste forma la funzione testimoniale o di attestazione che informa sulla parte presa
del narratore e, quindi, sul rapporto tra lui e la storia. Si può manifestare in diverse declinazioni e che
coinvolge le basi del patto narrativo sottoponendo al lettore il dilemma di districare possibili
menzogne.

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4.3.2. Il problema dell’attendibilità


La narrazione in prima persona abolisce i confini tra opere d’invenzione e opere documentarie,
facendo appello all’effetto di accreditamento: sembra che la prima persona prende su di sé la
responsabilità di quello che afferma. La voce in prima persona diventa una sorta di garanzia
dell’autenticità dei contenuti, soprattutto quando questi riguardano un valore storico e collettivo (es.
Se questo è un uomo di Primo Levi)
4.3.3. Il racconto tendenzioso
Uno degli aspetti più interessanti del narratore in prima persona è il sospetto di tendenziosità. L’idea
di tendenziosità viene spesso legata alla rappresentazione mistificata del sé. Un esempio è dato
dall’opera di Hasek dove si genera una situazione limite che vede il narratore coincidere sia con il
protagonista che con l’autore reale, componendo queste 3 istanze disgiunte in un raro allineamento
perfetto. Tutto questo provoca da un lato un narratore-autore che testimonia una realtà storica
documentata e, dall’altro, un narratore-personaggio che con inattendibilità manipola il racconto delle
sue gesta rendendoci impossibile distinguere i pochi dettagli veri dalla menzogna.
Narratore inaffidabile: Si intende con narratore inaffidabile, un narratore che racconta la storia in
prima persona, dal proprio punto di vista, e lo fa in genere omettendo qualcosa oppure mentendo al
lettore riguardo alla storia o a piccoli dettagli fondamentali. È un’istanza che non opera in conformità
alle norme dell’autore implicito e che diverge dalla sfera di senso che il testo sembra suggerire.
Esempio principe di questa forma di narrazione è Nick Carraway de “Il grande Gatsby” che
sembrerebbe un caso di narratore interno assolutamente credibile: non è il protagonista, ma solo un
comprimario relativamente estraneo all’azione. Tuttavia, se si legge con attenzione il romanzo si nota
che il racconto è ricco di microscopici commenti che lavorano per portare il lettore ad applicare a Jay
Gatbsy e alla sua storia lo stesso giudizio che solo Carraway, con la sua educazione, potrebbe
esprimere. Fitzgerald ha fatto sì che il lettore non si rendesse conto che il filtro, apparentemente
neutrale del narratore, era una lente che distorce lentamente la storia, spingendoci a schierarci dalla
sua parte, mantenendo comunque una distanza significativa dal protagonista e da ogni possibile
immedesimazione con gli eventi che lo coinvolgono.
La coscienza di Zeno è la forma più autentica di racconto tendenzioso: una certa strategia di velamenti,
reticenze e minime manipolazioni, a volte solo di punto di vista, nell’insieme riescono a influenzare
profondamente la percezione degli eventi, trasformando la “vera” storia, in una storia parzialmente o
completamente diversa e che porta il lettore a costruire un intero sistema di giudizi e convinzioni solo
per rivelargli che, alla base di questo sistema era falsa, e metterlo di fronte a un repentino
rimescolamento di tutte le informazioni che fino a quel momento aveva dato per certe.
4.3.4 La prospettiva ristretta
Viene definito parallessi, quel fenomeno che consiste nell’attuare una regolazione dell’informazione
narrativa che risulta incoerente per eccesso rispetto alla prospettiva prescelta.
Prospettiva ristretta: si tratta di privilegiare un tipo di racconto in cui il narratore, esterno, rappresenta
gli eventi dal punto di vista di qualcuno coinvolto negli eventi stessi, per ottenere un'elevata intensità;
in tal modo il flusso di informazioni che vanno dal testo al lettore imitano la dinamica delle esperienze
reali, nel loro svolgersi e senza spiegazioni. Si ha l’integrazione documentaria quando la prospettiva
ristretta del narratore in prima persona viene estesa al di là delle sue possibilità. È tipico delle
narrazioni in cui la storia si appoggia, almeno parzialmente, a un’autorità esterna ed è capace di

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conferire al racconto credibilità e di supplire alle mancanze della voce narrante senza violare il
realismo.
Con integrazione documentaria si intende l’estensione della prospettiva ristretta del narratore in
prima persona al di là delle sue possibilità naturali. Questa forma è tipica delle narrazioni in cui la
storia si appoggia, almeno parzialmente, a un’autorità esterna che conferisce credibilità al racconto e
di supplire alle mancanze della voce narrante.
Altro espediente è quello che Scholes e Kellogg hanno definito come compromesso conradiano, una
forma di narrazione in cui il testimone oculare parla di un protagonista e cerca di comprenderlo
attraverso una partecipazione di carattere fantastico della sua esperienza. È detto anche
partecipazione fantastica e si basa sul fatto che chi racconta è autorizzato ad applicare un filtro della
propria interpretazione, valutazione, comprensione. Un filtro che, molto spesso, è un racconto di
secondo livello, nel quale impressioni e illazioni personali diventano una realtà importante dei fatti e
delle parole.
4.4. Narratori esterni
4.4.1 Il problema dell’autorità
Manoscritto ritrovato il narratore-autore non si presenta più come la fonte primaria di una storia,
ma finge di essere un copista, un trascrittore di opere altrui. Il narratore primario non è, così,
responsabile della storia e poiché questa storia si presenta come dotata di autorevolezza che le deriva
o dall’essere stata composta in epoche antiche, o dall’essere presentata come un’opera perduta di uno
dei scrittori dell’epoca; perciò lo scrittore è autorizzato a riportare le stranezze e le violazioni di codice
che contiene. Grazie a questo espediente, gli autori riuscivano a contrabbandare forme e contenuti
irregolari, senza essere esposti al rischio che la rottura della consuetudine artistica fosse amputabile
a loro.
Autorità: viene attribuita al narratore esterno. Il narratore esterno è un narratore eterodiegetico e
onnisciente, indistinguibile dalla persona dell’autore e quindi deve seguire le regole della realtà
effettiva nella quale l’autore vive. L’autorità può venire dall’interno, ossia dal narratore stesso, oppure
può risalire a un’autorità ulteriore, riconosciuta da chi parla e ascolta. Chi scrive, oggi, non è più
un’auctoritas (non crea opere che si inseriscono nelle forme del canone, e quindi imitabili) ma è una
voce che parla del mondo con la propria soggettività, confidando nel fatto che quello che risulta sarà
poi importante e significativo per qualcuno.
4.4.2. Il controllo del senso: le prefazioni
Il controllo dei sensi è maggiormente utilizzato con il narratore in terza persona perché la voce
narrante possiede tutte le facoltà dell’autore (Stanzel). Vi sono tre modalità di controllo: l’opposizione
di una prefazione autoriale (a parlare è lo scrittore reale con tutti i suoi doveri sociali e morali) e
nella quale i narratori affidavano la giustificazione del proprio lavoro a interventi esplicativi, diretti e
circostanziali. È la forma più semplice, diretta ed è estremamente malleabile e incisivo, usata per
promuovere catene di significato.
4.4.3. Il controllo del senso: intrusioni d’autore
Con intrusione d’autore si intende l’intervento del narratore in forma di commento alle situazioni o
agli eventi presentati, alla loro presentazione o al loro contesto. Funzionano come delle interferenze:
il racconto viene invaso da una voce diversa – narratore che cambia tono – e che sembra provenire
dall’esterno della narrazione e che dà una nuova prospettiva e una nuova scala di valori alla storia.
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Con histor si intende che chi parla si impone come colui che è dotato di autorità e che può commentare,
tenere discorsi morali, trarre conclusioni, suggerendo così al lettore ciò che deve pensare e cosa
dovrebbe fare.
Con romanzo saggio, invece, si intende una forma narrativa di natura ibrida che coniuga il resoconto
di eventi particolari con la digressione riflessiva che crea opere capaci di integrare la rappresentazione
della singolarità irripetibile delle vite umane con i significati che la trascendono.
4.4.4. Il controllo del senso: dissonanze
La terza modalità è quella che Bachtin definisce come intonazione: contenuti impliciti a metà tra il
verbale e il non verbale e che influenzano le forme del discorso perché organizzano atti e azioni e non
richiedono particolari funzionamenti verbali. Tutta la struttura formale della parola dipende dalle
relazioni tra enunciazione e al gruppo sociale cui la parola è destinata.
Si parla di straniamento, invece, quando il racconto tende ad adottare il punto di vista dei protagonisti,
facendo affidamento sulla voce del narratore onnisciente per correggere la possibile manipolazione
che può derivare dal nostro adattamento alla prospettiva dei personaggi coinvolti.
Secondo Sklovskij, la forma primaria dell’arte è rappresentare la realtà in modo da dissipare la cortina
di ciò che sappiamo per metterci davanti a ciò che vediamo. Si capisce che il modo più semplice è
quello di usare un narratore interno che sia diverso dallo scrittore medio: ne risulta una forma di
straniamento in cui la sfera di senso comune risulta priva di autorità narrativa e colpisce l’attenzione
di chi parla. Si può dare straniamento anche quando un individuo del tutto intrinseco a una certa forma
di significato si ritrova in una situazione tale da perdere la sua capacità di interpretare la realtà.
Per dissonanza si intende la capacità di riuscire a realizzare una precisa tattica di controllo di senso:
una conseguenza che deriva dal fatto che la voce del narratore non può mai essere impersonale, ma
veicola sempre tracce della posizione dell’autore e del suo implicito giudizio su quanto viene narrato.
4.4.5 L’inaffidabilità inverificabile
L’inaffidabilità inverificabile è una condizione narrativa in cui la manipolazione della realtà avviene
senza alcun segnale di menzogna e in cui la presentazione dei fatti e chi li racconta simula
l’andamento di una normale narrazione affidabile che il lettore resta spiazzato da questo tradimento
ben camuffato. Solo alla fine della lettura sarà in grado di ritornare indietro e ritrovare quelle
incongruenze che non implicano necessariamente una menzogna ma che si rivelano sintomi di un
inganno in corso d’opera.
Secondo Chatman, il narratore inattendibile è in disaccordo con l’autore implicito poiché la sua
inattendibilità non potrebbe emergere. Weinreich individua, quindi, i segnali di menzogna: piccoli
indizi che portano sospetti sul fatto che chi parli stia mentendo e che si manifestano in modo tale che
l’uomo è in grado di riconoscerli. Quando un autore imposta la propria narrazione su un narratore
inattendibile predispone una certa quantità di segnali di menzogna che mettano il lettore nella
condizione di compiere investimenti intellettivi volti a sanare la dissonanza tra narratore e realtà dei
fatti.
Questa è una posizione intermedia tra narratore interno ed esterno che Stanzel ha definito come
modalità in cui il narratore onnisciente rinuncia alle proprie prerogative per vincolarsi a un punto di
vista interno, e alla sua parzialità un centro d’orientamento fisso che prende il nome di riflettore.
Cerchio tipologico di Stanzel: incrocio parametri quali di persona (narratore è o meno parte dei
personaggi?); prospettiva (lo sguardo di chi narra è interno o esterno?) e modo (la voce di chi narra è
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udibile o tende ad annullarsi?). Questo determinano le tre situazioni narrative e i rispettivi punti di
passaggio e, anche se raffigura le forme ideali di narrazione, risultano inservibili all’atto pratico.
Personaggio focalizzante o focalizzato: focalizzato può essere applicato solo al racconto in sé,
focalizzazione può esserlo solo a chi focalizza il racconto, il narratore.
4.4.6. Lo skaz e il narratore “tra noi”
Lo skaz consiste in un’alterazione della voce narrante tale per cui il narratore sta dalla nostra parte al
punto tale da abbandonare il suo ruolo e trasformarsi in un individuo a metà tra il cantastorie, il
vecchio saggio e l’aneddotista che si rivolge al lettore come se fosse di fronte a lui anche grazie
all’utilizzo di un linguaggio e sintassi tipico del parlato. È legata alla presenza di un’istanza narrativa
in prima persona in cui la contrapposizione esplicita e quasi aggressiva allo stile tradizionale della
bella scrittura crea un effetto umoristico e una sensazione di veridicità. Non è un fenomeno legato al
narratore interno ma a una strategia compositiva che dipende dalla postura narrativa assunta da colui
che racconta e che presuppone una condivisione di un medesimo contesto sociale e culturale sia da
chi parla che da chi ascolta.
4.5. Narratori multipli
4.5.1 I curatori convenzionali
Metadiegesi: indica una narrazione di secondo grado – solitamente prima persona – che viene
incorniciata da una narrazione in primo grado – solitamente terza persona – e intrattiene tre possibili
rapporti:
1. Esplicativo: quando la narrazione incastonata serve a integrare una serie di eventi non ancora
presentati e necessari a spiegare in che modo si è arrivati alla situazione presente (analisi
tematizzata);
2. Tematico: quando la narrazione incastonata è la riproduzione in scala della storia principale e
che riecheggia e sottolinea i significati principali. Solitamente ha una funzione di
acceleramento o punto di svolta della trama (favola-metafora);
3. Strutturale: quando la narrazione incastonata non ha alcun rapporto con la storia e il loro
legame serve solo come compresenza dei due racconti (Mille e una notte).
La relazione strutturale risulta ricca di implicazioni perché questa dualità permette all’autore di
adottare un doppio atteggiamento: mentre nella cornice esterna si distacca dai contenuti del racconto;
la narrazione incassata gli permette di affrontare qualunque argomento con relativa libertà. Il
narratore che interviene nella cornice è ontologicamente diverso da quelli a cui cede parola, creando
un rapporto dialogico disomogeneo.
Commento del curatore: tipica del romanzo epistolare, mette a confronto la voce diretta e intima di
chi scrive le lettere con il responsabile della pubblicazione. La particolarità del commento del curatore
sta nel rapporto cronologico che si stabilisce tra i due narratori: il narratore della cornice non ha
posizione cronologica rispetto alle novelle che racconta; il curatore dell’epistolario è qualcuno che ha
conosciuto il protagonista ed è capace di offrire al lettore indizi e integrazioni che provengono dalla
disparità cognitiva.

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4.5.3. Polifonia e zona dei personaggi8


Polifonia: Si ha quando un’opera presenta una narrazione a più voci ed è capace di inglobare più
discorsi. L’autore è capace di raffigurare l’idea altrui conservandone il significato, come idea, ma al
tempo stesso conservandone la distanza, senza né affermare né confondere questa idea con la propria
ideologia. In un romanzo polifonico, la parola del personaggio creata dall’autore in modo che essa
possa dispiegare la sua logica e autonomia come parola altrui e come parola del personaggio stesso.
(Es. Cuori di cane, Bulgakov)
Zone dei personaggi: concetto di Bachtin secondo cui il testo narrativo di un romanzo polifonico può
essere immaginato come uno spazio geografico diviso in regioni, territori linguistici, formato da semi-
discorsi forme di trasmissione nascosta dalla parola altrui nel discorso dell’autore. Il concetto di zone
dei personaggi può essere applicato anche a testi che non corrispondono alla definizione di romanzo
polifonico ma che affidano una parte della loro enunciazione ai personaggi rappresentati: o
sostituendo il loro punto di vista interno con la figura onnisciente del narratore, o adottando alcuni
dei loro valori e giudizi senza filtrarli, o accettando che i loro linguaggi personali contamino la parola
autoriale che è diverso da ciò che domina il racconto.
4.6. Parlare con il pubblico
Speculare alla definizione di autore abbiamo quella di lettore che si dividono in lettore reale, lettore
implicito e narratario. Il lettore reale è una persona o un gruppo di persone storicamente esistenti che
leggono il testo dell’opera; il lettore implicito è immaginato da chi scrive e che deriva dalla sua
percezione del pubblico dell’epoca. Il narratario corrisponde alla voce dell’autore solo nella misura
in cui essa si incarna in una forma interna al testo e corrisponde, inoltre, all’immaginato sguardo del
pubblico solo nella forma in cui viene nominato.
4.7. Narratori a confronto: valori e disvalori.
Tra il 19esimo secolo e il 20esimo secolo il narratore esterno subì un grande processo collettivo per tre
ragioni: la prima ragione era data da una maggiore necessità di realismo e gli autori aspiravano a
imitare non solo la realtà così com’è ma anche il modo delle persone di percepire questa realtà e
rigettavano ogni strumento che pregiudicavano la realtà e l’illusione della narrazione; la seconda
riguardava il rifiuto radicale di tutte le tecniche precedenti – ritenute obsolete – e la terza vi era
l’affermazione di un senso di sfiducia nell’univocità e nella dicibilità del mondo che provocò il
disconoscimento dei metodi narrativi classici che si basavano su un ingiustificato ottimismo
conoscitivo della realtà. Fautore di questo cambiamento fu Henry James che ha insistito sul rifiuto
del narratore onnisciente e sullo spostamento del punto di vista narrante all’interno dei sensi e della
coscienza di un personaggio. Ad oggi il punto di riferimento ideale non esiste in quanto uno scrittore
nel momento in cui deve scegliere le possibilità che la lingua gli offre compie un gesto di
caratterizzazione.

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Il paragrafo 4.5.2. non aveva nulla di utile al suo interno e si è deciso di saltarlo.
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