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Accademia delle Belle Arti “Mario Sironi” - Sassari

Scuola di Scenografia

STORYTELLING
PERCORSI NARRATIVI TRA IMMAGINI E TESTO

Relatore Prof.ssa Paola Pintus Candidato: Gabriele Pisano


Correlatore Prof.ssa Monia Mancusa Matricola: 3004

Sessione Estiva
A. A. 2021/2022
Indice

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO 1 : STORYTELLING E VIAGGIO DELL’EROE

1.1 Dalle fiabe alla definizione di Storytelling 2

1.2 La comunicazione attraverso lo Storytelling 8

1.3 Viaggio dell’Eroe: percorso narrativo e cronologico del viaggio 12

CAPITOLO 2: NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA,


RIEVOCAZIONE DEI RICORDI

2.1 Narrazione e educazione; Rievocazione dei ricordi 18

2.2 Scrittura Autobiografica e memoria biografica 29

CAPITOLO 3: DAL MUSEUM THEATRE AL DIGITAL STORYTELLING,


TEATRO AL MUSEO

3.1 Teatro al museo e teatro educativo (drama education) 33

3.2 Storytelling e Digital Storytelling in ambito educativo e museale 40

3.3 Il museo come luogo di mediazione:


percorso attraverso un ruolo educativo e sociale 43

2
CAPITOLO 4 - DARIO FO

4.1 Biografia 45

4.2 Poetica, stile e opere 46

4.3 Mistero Buffo 51

4.4 Morte accidentale di un anarchico 61

4.5 Considerazioni personali 62

ELABORATO PRATICO SCENOGRAFIA 63

CONCLUSIONI 64

BIBLIOGRAFIA 66

SITOGRAFIA 67

RINGRAZIAMENTI 69

3
Introduzione

Alla base di questo studio vi è l’analisi dello Storytelling, attraverso percorsi antro-
pologici, educativi, psicologici, letterari e drammaturgici.
In particolare, si pone l’attenzione sulle differenze tra l’arte di raccontare vista attra-
verso archetipi della narrazione come Il viaggio dell’eroe, l’educazione, la scrittura
autobiografica, il teatro e il museo. Ogni singolo capitolo è collegato da un filo con-
duttore che unisce e rimanda a ogni concetto presentato.
Gli studi condotti al riguardo, come l’analisi svolta da Vladimir Propp sulla Morfolo-
gia della fiaba ma anche da altri autori come Valentina Pisanty, Bruno Bettelheim o
Silvia Pettinicchio hanno rappresentato la base su cui ho fondato la mia ricerca.
L’obiettivo di questa Tesi di laurea è quello di fornire al lettore un’analisi dell’arte di
raccontare storie, del sapersi raccontare e del poter trasmettere ad altri.
Nel primo capitolo viene fornita l’introduzione dello Storytelling, pratica pluridisci-
plinare, attraverso stili diversi, dal discorso fiabesco a quello aziendale.
Nel secondo capitolo sono descritti percorsi di narrazione e educazione.
Nel terzo è contestualizzato il discorso precedente all’interno di luoghi di produzione
e fruizione di cultura pubblica.
Nel quarto e ultimo capitolo lo scritto si sviluppa con la presentazione dei dati raccol-
ti sul drammaturgo scelto che ha determinato l’idea per svolgere l’elaborato pratico,
dal progetto allo sviluppo finale: il videoclip.

1
CAPITOLO 1 : STORYTELLING E VIAGGIO DELL’EROE

1.1 Dalle fiabe alla definizione di Storytelling

G. Armstrong, Piccole donne, 1994

Storytelling, come è indicato nel vocabolario, è l’arte di scrivere o raccontare storie


catturando l’attenzione e l’interesse del pubblico, dall’inglese Storytelling (‘narrazio-
ne di storie’). 1V. Propp 2, tramite la sua opera di maggior rilievo Morfologia della
fiaba (Morfologija skazki 1928) sottopone a un esame critico di schemi di classifica-
zione gli archetipi delle fiabe 3 e individua 31 funzioni narrative dei personaggi che
formano la struttura costante di ogni fiaba. Il suo metodo ha proposto aspetti fonda-
mentali dell’analisi strutturale in Linguistica e in Antropologia.

1 Definizione di Storytelling

Vocabolario online Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/storytelling_%28Neologismi%29/)

2 Vladimir Jakovlevič Propp è stato un linguista, antropologo russo e studioso di folclore russo.

Nato il 15 aprile 1895 a San Pietroburgo, ha frequentato l'università della sua città natale sino al 1918, laurean-
dosi in filologia russa e tedesca. Dopo la laurea, ha insegnato russo e tedesco e in seguito come professore uni-
versitario di letteratura tedesca.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/vladimir-jakovlevic-propp)

3 V. Pisanty, Leggere la fiaba, Bompiani, 1993; Pag. 27


2
Secondo lo studioso in passato si tendeva a classificare le fiabe in base al loro in-
treccio. L’autore propone di ricercare i tipi fiabeschi partendo dagli elementi primari
le cui infinite combinazioni danno luogo all’enorme varietà del repertorio fiabesco.
Si tratta pertanto di individuare il nucleo narrativo che rimane invariato in ogni sin-
gola fiaba.
La teoria e il sistema di Propp è divenuto negli anni ’60 un referente costante e pri-
mario di tutta l’antropologia culturale occidentale, com’è testimoniato dalla polemica
con Lévy-Strauss 4.
Vladimir Propp ha analizzato per intero l’approccio del Formalismo Russo 5 allo stu-
dio della struttura narrativa e adotta questo metodo nell’analisi delle fiabe popolari
russe.
Egli, sezionando un certo numero di racconti popolari, estrae da questi una tipologia
di struttura narrativa descritta attraverso un metodo: lo “Schema di Propp”.

Il Formalismo Russo ha proposto la divisione tra fabula e intreccio, la prima caratte-


rizzata da una disposizione naturale e logica degli elementi, il secondo svolto a di-
screzione dello scrittore, già in precedenza evidenziata. E’ nato così il concetto di
funzione relativa ai personaggi.

4 Claude Lévi-Strauss è stato un antropologo, sociologo, filosofo francese e teorico dello strutturalismo.

Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/claude-levi-strauss/)


Strutturalismo - Il metodo strutturale: Lévi-Strauss assume come guida della sua indagine antropologica il
concetto di struttura, quale "sistema di relazioni latenti nell'oggetto", con la convinzione che questo sistema di
relazioni sia diffuso in ogni civiltà umana, come una sorta di matrice logica inconscia.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/strutturalismo/#:~:text=strutturalismo)

5 Formalismo: con il termine formalismo ci si riferisce a un insieme di innovative ricerche sulla letteratura e la

poesia elaborate in Unione Sovietica nel corso degli anni Venti del Novecento.
Enciclopedia online Treccani:
(https://www.treccani.it/enciclopedia/formalismo_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/)
3
L’autore ha analizzato circa 400 fiabe russe, chiarendo come la funzione all’interno
della vicenda prescinda dal personaggio e come l’azione abbia una collocazione nella
vicenda narrativa. Si possono quindi distinguere gli elementi variabili, come le carat-
teristiche fisiche e psicologiche, e gli invariabili, ovvero la funzione stessa del perso-
naggio in questione.

Gli archetipi, che compaiono nei miti, nelle religioni, nei sogni, sono diversi dagli
stereotipi, sono funzioni, non sono ruoli rigidi, hanno a che fare con l’inconscio col-
lettivo che teorizzava C. G. Jung, orientano l’individuo nel suo percorso di ricerca,
di individuazione, di individuazione interiore; sono modelli di comportamento deri-
vanti dall’esperienza umana e appartenenti a tutte le culture, sono simboli culturali
fissati nell’inconscio collettivo – cioè l’Anima, l’Ombra, il Vecchio Saggio - e sono
proprio le funzioni i soggetti della ricerca di Propp.

Secondo la linea di pensiero dello studioso, sviluppata poi da Campbell e Vogler,


ogni racconto ha degli elementi rintracciabili e modellabili, per cui è possibile trac-
ciare una mappa del viaggio di trasformazione del protagonista. L’eroe/l’eroina, è
una figura vulnerabile, dinamica, che cresce. Fa un percorso da un modo d’essere a
un altro: da questo ne discende che la quasi totalità delle storie moderne si basano in
realtà su modelli di storie.

Nella schematizzazione di Propp vengono sintetizzate otto tipologie di personaggi, la


cui importanza è ciò che il personaggio fa, cioè la sua funzione:

• L’antagonista;
• Il mandante;
• L’aiutante dell’eroina/eroe;
• Il premio;
• Il genitore di lei/lui;
• Il donatore;
• La vittima, la/il ricercatrice/ricercatore;
• Il falso eroe.

4
In sintesi lo schema di una fiaba descritto da Propp, è diviso nei seguenti punti:
l’ equilibrio iniziale, la rottura dell’equilibrio, le peripezie dell’eroe e infine lo rista-
bilimento dell’equilibrio.

Vi sono molteplici funzioni, descritte successivamente nel paragrafo del Viaggio del-
l’eroe che possono essere presenti nella storia, non necessariamente in sequenza, tal-
volta ripetute o mancanti a seconda della complessità dell’intreccio del percorso nar-
rativo.
Durante l’applicazione dello schema di Propp, attraverso la progettazione di una
struttura narrativa, è possibile adattare alla situazione che si intende descrivere, ca-
lando i personaggi di qualsiasi epoca storica.
Questa tipologia è stata dimostrata anche da Vogler nell’analisi di alcuni film di ogni
genere, dal thriller alla commedia.

Con i lavori di Propp, Campbell e Vogler, da cui non si prescinde per un accurato
studio e una attenta programmazione, si seguono schemi per avere la certezza di scri-
vere storie restando all’interno della corrente che accompagna l’umanità dalle grandi
epopee storico-religiose fino ai giorni nostri.

E’ possibile applicare tecnologie di storytelling al mondo della comunicazione in


ambito aziendale ed educativo, fornendo un semplice metodo per creare strutture nar-
rative da adattare alle esigenze del momento. Attingendo direttamente alla struttura
degli archetipi comuni a tutte le persone, vi è la garanzia che si presentino modelli
interpretativi riconoscibili e accettabili da elaborare.

5
In un’intervista sul funzionamento e scopo dello Storytelling, la docente e marketer
S. Pettinicchio sostiene che: “già dall’antichità la narrazione orale era il mezzo con
cui venivano trasmesse le nozioni. L’uomo non ha mai smesso di raccontarsi nel
tempo.
Si parla di storytelling anche quando si raccontano storie all’interno della famiglia,
attraverso l’albero genealogico. Ma anche raccontare la nostra storia personale.
Anche dal punto di vista del marketing vi è lo studio dello storytelling per veicolare il
mondo dell’azienda, attraverso un interlocutore che dialoga col pubblico”.

Attraverso una sua riflessione afferma che devono essere presenti quattro
caratteristiche per raccontare una storia attraverso lo storytelling.
Una storia deve:

1) Suscitare interesse: è una fase fondamentale per poter narrare una storia, poiché
essa deve suscitare interesse per l’interlocutore. Avendo in mente però sempre
quale tipologia di pubblico abbiamo di fronte e quale potrebbe essere la sua at-
tenzione in base alla personalità, età, cultura etc.

2) Istruire: il viaggio della storia che facciamo compiere al nostro interlocutore lo


facciamo perché durante questo lui deve evolvere in qualcosa. Questo passaggio
può istruirlo, può lasciargli un messaggio morale, o un insegnamento.

3) Coinvolgere: un bravo storyteller, alla fine di una storia, deve essere in grado di
avvincere le persone col nostro racconto, per esempio con i sensi che devono es-
sere resi vividi. O la voce che viene modulata in base alla circostanza.

4) Ispirare: spingere la persona a compiere qualcosa. Alla fine della storia la persona
deve essere ispirata e non spinta o costretta a fare quello che interessa a noi.

Le storie che funzionano ti invitano a fare un piccolo cambiamento.

6
Climax

Tensione Rilascio
50

38

25
Problema
13
Protagonista Ritorno alla
Antagonista0 normalità

Curva dello storytelling

La Pettinicchio continua il percorso di analisi attraverso la curva cronologica del


funzionamento dello storytelling per descrivere i passaggi nell’arco della narrazione:

“In tutti i classici narrativi e in tutte le storie che ci raccontavano sin da piccoli ci
sono un protagonista, un antagonista e un qualcosa che succede che si presenta
come un problema. All’inizio di un racconto la tensione sale, cominciamo a seguire il
narratore nella narrazione. Ad un certo punto subentra il climax 6 (clima).
Qui esplode la narrazione. Successivamente vi è il rilascio, dove avviene la risolu-
zione del problema passato precedentemente.
Ora abbiamo il ritorno alla normalità. In questo momento noi abbiamo compiuto un
percorso. Durante questo percorso la nostra tensione è massima. Ora ci sentiamo
come affascinati, avvinti dal racconto.
Possiamo usare questo percorso per parlare di marketing e di brand.” 7

6 Clìmax: termine che deriva dal greco “scala”. In narrativa sarebbe il momento culminante, il clou del raccon-

to. Figura retorica, per la quale il discorso aumenta gradatamente di forza con la disposizione dei termini in
ordine crescente di valore. Detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare gradata-
mente da un concetto all’altro, o nel ribadire un concetto unico con vocaboli sinonimi via via più efficaci e
intensi, o nel disporre i termini di una frase in ordine crescente di valore e di forza.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/climax/)

7 Intervista online a S. Pettinicchio, Storytelling: come raccontare storie che portano valore, 2020

(https://www.youtube.com/watch?v=rflYUHsXbys&t=795s)
7
M. Newell, Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey, 2018

1.2 La comunicazione attraverso lo storytelling

La definizione di storytelling parte dalla necessità di raccontare storie impiegata


come strategia di comunicazione persuasiva.8
Secondo Francesco Nappi, creativo, copywriter e transcreator 9, “il termine significa
saper creare e gestire l’universo narrativo in cui quelle storie sono inserite. Si tratta di
delineare e abitare uno spazio in cui gli elementi, materiali e immateriali, trovano un
loro posto e una loro coerenza.
Che si tratti di un racconto intorno al fuoco o la storia di un prodotto o di un’azienda,
non fa differenza: una buona narrazione può essere determinante per costruire una
comunicazione efficace nella forma, nel contenuto e nell’intensità.

8 Articolo web: (http://www.americomunicazione.it/lo-storytelling-per-una-comunicazione-di-successo/)

9 Transcreator. dall’ingl. E’ la figura di competenza tra un copywriter e un traduttore.

Il transcreator riceve un testo scritto nella lingua di partenza e deve decodificarlo per poi adattarlo
nella lingua d’arrivo. Il testo che l’operatore produce deve avere lo stesso impatto dell’originale.
Sito web: (https://www.srtraduzioni.it/transcreation-10-domande-per-chiarirsi-le-idee/)
Transcreation: dall’ingl. E’ la resa di un testo in un’altra lingua mantenendone lo stesso intento, stile, tono e
contesto.La transcreation è una via di mezzo tra la traduzione il copywriting, per cui un testo viene riscritto
mantenendo il messaggio originale. E’ solitamente utilizzata per testi promozionali o pubblicitari
Sito web: (https://www.acmesas.com/la-transcreation-cose-e-a-cosa-serve/)
8
Il primo passo da compiere è conoscere bene il proprio universo narrativo e la storia
che si vuole raccontare, ma bisognerà anche pensare agli interlocutori: trovare una
lingua comune, saper cogliere la loro attenzione e mantenerla, perché questa è la
chiave per permettergli di vivere nuove esperienze ed emozioni.
Per esempio, durante una lezione si parla di argomenti, contenuti e di diverse forme
che può assumere un racconto dai social alle presentazioni, dagli eventi alle perfor-
mance. Non si farà mai soltanto teoria: ci sono esercizi pratici nei quali si ricevono
riscontri su quel che si affronta durante la lezione. Ogni lezione è un’occasione per
migliorarsi, per rispondere alle stesse domande che ogni narratore ha dovuto affron-
tare, bisogna accettare di sbagliare a volte. A volte vale sia per un’azienda che voglia
raccontare meglio i suoi prodotti che per chiunque sia in cerca di idee e ispirazioni
per il suo lavoro, ogni tipologia di storyteller insomma.” 10

Gli elementi di uno storytelling di successo sono: l’autenticità, la semplicità, l’uni-


versalità e l’emozione. Elementi che con lo sviluppo dei social media affermano
sempre di più uno storytelling virtuale.
Gli esperti della comunicazione sostengono che non bisogna prendere i social come
unidirezionale canale di comunicazione tradizionale, ma come un canale di conver-
sazione.
Questo significa poter sfruttare molte piattaforme per fare storytelling, ma la difficol-
tà sta nel declinare in modo preciso il racconto in base agli strumenti che si hanno.

10 F. Nappi, Storytelling e comunicazione, costruire, raccontare e far vivere un universo narrativo,

Scuola Holden Contemporary Humanities, 2022.


Articolo web: (https://scuolaholden.it/storytelling-e-comunicazione-nappi/)
9
I consigli generici per poter fare storytelling sui social sono:
• Raccontare qualcosa sulla nascita del brand: tutte le grandi fiabe iniziano con “C’era
una volta”;
• Mostrare storie quotidiane, di persone reali: bisogna mostrare cos’è successo alla vita
dell’azienda, com’è lavorarci, cosa si fa.
• Condividere valori: le grandi cause spesso fanno parte dei valori aziendali. Che sia la
battaglia contro lo spreco di risorse naturali, la difesa degli animali o dell’ambiente,
il consumatore vuole saperlo.
• Integrare contenuti proveniente dagli utenti: quando si dice all’amico “Non sai cosa
mi è successo ieri sera” è più interessante se questo propone a sua volta un racconto.
Condividere le storie degli utenti è importanti.

Per quanto riguarda le piattaforme social:

Twitter
Con Twitter si nota come lo storytelling sia sempre più importante, l’aggiornamento
che aveva creato scalpore perché lo rendeva simile a Facebook con più spazio alle
immagini, è stato fatto anche per migliorare la possibilità di narrazione. Un esempio
concreto e forte di storytelling di successo è quello di Obama nel momento delle rie-
lezioni. Con una foto e una descrizione di tre semplici parole ha raccontato la fine di
una storia e l’inizio di un’altra.

10
Instagram
Su Instagram è possibile condividere immagini d’effetto o, come ha fatto Starbucks,
creare un video che racconta una storia. Quasi come se stessero raccontando l’inizio
di un romanzo.
Con una frase Seth Godin, imprenditore e marketer, ha affermato come diventare un
buon narratore del suo mestiere: “bisogna raccontare storie che si diffondano, creare
prodotti rimarchevoli, vivere e far vivere il racconto”.11

J. Patrick Lewis, L’ultima spiaggia, illustrazione copertina R. Innocenti, La Margherita, 2011

11 V. Castelli, Storytelling e social media: una comunicazione di successo, 2014

Articolo online: (https://www.ninjamarketing.it/2014/11/12/storytelling-e-social-media-una-comunicazione-di-


successo/)
11
The Problem We All Live With, dipinto di N. Rockwell, 1964

1.3 Viaggio dell’eroe: percorso narrativo e cronologico del viaggio

Come descritto in precedenza a pagina 4 riprendendo il discorso del Viaggio dell’e-


roe entriamo in un’ottica più specifica.

Come sostiene S. Leonzi, professoressa e sociologa:


“Il viaggio dell’eroe è prima di tutto una struttura di riferimento che guida il proces-
so creativo che conduce da un’idea ad una storia. Dal punto di vista narrativo non
esiste l’originalità assoluta, ogni storia costituisce la rielaborazione di altre storie.
Non per questo, una storia ben costruita non può apparire originale. Poiché questa
struttura solitamente prevede sempre un unico protagonista, essendo l’eroe un tassel-
lo narrativo centrale, ciò nonostante una storia può basarsi su un protagonismo co-
rale. Non prevede sempre un eroe maschio, non è vero, basti pensare allo schema de-
finito come viaggio dell’eroina. Tutte le più grandi storia (dalla Bibbia a Shakespea-
re, etc.) si basano sullo schema del viaggio dell’eroe. Quando una storia appare sca-
dente o non è ben ideata o non è ben scritta.” 12

12 S. Leonzi, Il viaggio dell’eroe, Media e studi culturali.

Documento online:
(http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-)
12
Come sostiene C. Vogler 13, autore e sceneggiatore statunitense: “questo archetipo è
la codificazione del percorso narrativo che troviamo in quasi tutte le sceneggiature
cinematografiche e letterarie.”
L’autore parte da poemi epici, racconti mitici, romanzi, fumetti e dalle letture dell’o-
pera di Campbell 14, saggista e storico delle religioni statunitensi, “L’eroe dai mille
volti”, che sta alla base di una trama-archetipo o monolito. Quest’ultima opera è nata
da ricerche sulle fiabe dei fratelli Grimm 15, da leggende celtiche e opere di Jung.
Vogler capisce di aver trovato la chiave per prodotti e romanzi con alla base l’arche-
tipo tanto ricercato.
Nel 1992 pubblica un memorandum di poche pagine per alcuni prodotti Disney che
diventa poi un libro dal titolo “The Writer’s Journey: Mythic Strutture For Writers”,
pubblicato nella versione italiana come “Il viaggio dell’eroe”.

13 Christopher Vogler è uno sceneggiatore statunitense di Hollywood. Dopo aver letto poemi epici, racconti

mitici, romanzi e fumetti, alla ricerca della «ricetta segreta» per una buona storia, si imbatte nel testo di Joseph
Campbell «L eroe dai mille volti», nato da ricerche sulle fiabe dei fratelli Grimm, le leggende celtiche, le opere
di Jung etc. Alla base di una trama archetipo o monomito, lo studioso capisce di aver trovato la chiave di ac-
cesso alla fortuna di prodotti come Star Wars, Incontri ravvicinati del terzo tipo, e altri. Nel 1992 scrive un
memorandum di sette pagine per alcuni prodotti Disney, che diventa poi un libro dal titolo The Writer's Jour-
ney: Mythic Structure For Writers, pubblicato in italiano come Il viaggio dell’eroe.
Sito web: (http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-eroe.html)

14 Joseph Campbell è stato un Saggista e storico delle religioni statunitense. L’autore è noto soprattutto per i

suoi studi in mitologia e religione comparata e si è distinto per il suo approccio comparativo e simbolico; oltre
che alla psicologia. I lavori più riconosciuti si ricordano The hero with a thousand faces (L’eroe dai mille volti,
1949). Gli studi di C. sulla mitologia hanno suscitato interesse anche nel mondo del cinema, influenzando di-
versi registi.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/joseph-campbell)

15 Jacob e E Wilhelm Grimm furono due studiosi della lingua e della cultura tedesca, professori in prestigiose

università, che pubblicarono grammatiche, dizionari, saghe mitologiche, raccolte di leggi. Due fratelli che fis-
sarono sui libri le antiche fiabe della tradizione orale. Sono state le fiabe a dar loro la fama: le raccolsero dalla
viva voce del popolo, convinti che si trattasse di un bagaglio culturale importante per affermare l'identità di
una nazione che stava cercando di realizzare la propria unità politica.
La raccolta di fiabe dei Grimm è il libro più letto nel mondo dopo la Bibbia, e ne esistono infinite riduzioni e
adattamenti. Gli autori non si limitarono a raccogliere e registrare, ma rielaborarono e svilupparono secondo la
loro sensibilità artistica il materiale folcloristico. Nel 2005 l'UNESCO ha proclamato le fiabe dei Grimm pa-
trimonio dell’umanità.
Enciclopedia online Treccani:
(https://www.treccani.it/enciclopedia/jacob-e-wilhelm-grimm_(Enciclopedia-dei-ragazzi))
13
Con quest’opera l’autore illustra alcuni elementi comuni agli eroi di ogni racconto:

• La nascita di un eroe/protagonista è caratterizzata da un alone di mistero e magia;

• Durante l’infanzia, la relazione con i familiari più stretti è complicata oppure vi è la


totale assenza della famiglia;
• L’eroe si sottrae dalla società per un periodo di apprendistato, spesso con una guida
soprannaturale, al fine di acquisire esperienze e competenze nuove;
• L’eroe ritorna nella società rinforzato delle nuove conoscenze acquisite e svolge il
suo compito grazie a strumenti o oggetti magici di cui è l’unico a poter disporre.

Primo Stadio: separazione o partenza

Questo primo stadio è composto da quattro tappe fondamentali che compongono la


separazione e la partenza dell’eroe verso il suo viaggio:
nella prima parte del percorso narrativo la base del viaggio è definita come l’appello,
o gli eventi che accadono all’eroe perché comprenda qual è il suo scopo all’interno
della narrazione.
In seguito il rifiuto del richiamo, o la fuga dal proprio destino in base alla proposta
della prima fase. Questo rifiuto è dato dallo sconvolgimento del mondo ordinario del-
l’eroe.
Spesso c’è la necessità dell’aiuto soprannaturale, dato a chi inizia l’avventura: soli-
tamente rappresentato da una guida protettrice, una figura che simbolizza il destino.
Questa figura può, però, anche non essere totalmente ben voluta dall’eroe che ancora
non si lascia andare all’avventura.
Infine il varco o superamento della prima soglia, il passaggio da un luogo ad un altro.
Attraverso l’aiuto della guida l’eroe giunge all’ingresso delle zone soprannaturali
dove vi è un “guardiano della soglia”. Questi esseri segnano il confine attuale dove si
trovava l’eroe, con l’ignoto, l’aldilà in cui manca la protezione della comunità e del
mondo ordinario del protagonista. 16

16 Il Viaggio dell’eroe: La partenza, GHENESIS respirazione consapevole sistemica.

Articolo online: (http://www.ghenesisrespirazione.com/blog/viaggio-eroe-la-partenza/)


14
Secondo Stadio: prove e vittorie dell’iniziazione

Questa è la strada delle prove. Dopo aver varcato la prima soglia l’eroe si ritrova ad
affrontare nuove sfide creandosi nuovi alleati e nemici e impara a conoscere il mondo
straordinario. Impara a conoscere se stesso, la sua indole, le sue mancanze e il suo
scopo. E’ lo stadio della consapevolezza.

Terzo Stadio: ritorno e reinserimento nella società

L’aiuto dall’esterno, il varco della soglia del ritorno, o il ritorno nel mondo normale,
la natura e la funzione del dono finale.17
L’eroe varca nuovamente la soglia, ma sta volta passando dal mondo straordinario al
mondo ordinario, da dove era venuto. Ora torna, però, con una diversa consapevolez-
za del suo percorso e di se. Non torna a mani vuote.
Per Campbell, questo step ha più momenti distinti.
Il rifiuto a ritornare: se l’eroe non intende ritornare al Mondo ordinario, è il Mondo
ordinario che bussa alla porta dell’eroe. Mentre esso era occupato nel suo viaggio, i
problemi della realtà si sono ingigantiti e la posta in gioco è aumentata a dismisura.
Campbell identifica, quindi, l’aiuto dell’esterno cioè la realtà che viene a riprendersi
l’eroe.18

Caratteristiche e tappe del Viaggio dell’Eroe

“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continen-
te, una parte del tutto.” John Donne

1) Il mondo ordinario: la normalità conosciuta dal protagonista: l’eroe è rappresen-


tato come un signor nessuno nel suo mondo;

17 S. Leonzi, Il viaggio dell’eroe, Media e studi culturali

Documento online:
(http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-eroe.html)

18 G. Chiodi, Il Monomito (o Viaggio dell’Eroe) di Joseph Campbell e Christopher Vogler, 2022

Articolo online: ( https://immersivita.it/monomito-campbell-vogler/)


15
2) La chiamata all’avventura: evento improvviso che accade nella vita dell’eroe:
un problema, un torto da riparare, una sfida inattesa, l’incontro con una persona
speciale, un’avventura che va intrapresa. Evento che costringe l’eroe ad uscire dal-
la sua comfort zone e abbandonare il suo mondo;
3) Il rifiuto del richiamo: non sempre l’eroe accetta completamente la chiamata con
entusiasmo, l’eroe esita ed esprime riluttanza, prova paura. Abbandonare il suo
mondo ordinario non è una scelta facile.
4) L’incontro con il mentore: vecchio saggio, maestro, sorta di autorità paterna pa-
tria auctoritas;

5) Il varco della soglia: è il momento della rinascita ed è rappresentato come un au-


toannientamento dell'eroe mangiato da qualche animale (ventre della balena etc);

6) Prove, alleati e nemici: l’eroe si troverà ad affrontare nuove sfide, attraverso esse
si creerà nuovi alleati e nuovi nemici;

7) L’avvicinamento alla caverna: quando l’eroe entrerà in questo luogo pericoloso e


minaccioso varcherà la seconda soglia, alla ricerca dell’oggetto della sua ricerca. Qui
ci sarà una fase di “avvicinamento”, durante la quale l’eroe dovrà prepararsi e studia-
re della strategie per eludere le minacce che lo ostacoleranno;

8) La prova centrale: l’eroe si trova ad affrontare la prova più importante della pro-
pria vita, si trova ad affrontare e a dover superare le sue paure più profonde.

9) La ricompensa, il premio: una volta superata la prova centrale l’eroe può appro-
priarsi della giusta ricompensa. A volte il premio non è un oggetto o una persona, ma
una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé. Il premio quindi può essere la pro-
va della maturazione dell’eroe.

10) La via del ritorno: non è solo considerato un’evento benevolo in quanto ora
l’eroe deve affrontare le conseguenze dell’aver sfidato le forze oscure nella caverna
del mondo straordinario. La via del ritorno consegue pericoli, tentazioni e nuove sfi-
de.

11) La resurrezione: in questa fase le forze oscure sferrano il loro ultimo e disperato
attacco. L’eroe dopo aver affrontato quest’ultimo esame può finalmente tornare al

16
mondo ordinario. Superato questo, l’eroe “rinato” può finalmente tornare alla sua
vita ordinaria, ma nulla sarà più come prima.

12) Il ritorno con l’Elisir: nell’ultima fase l’eroe torna nel suo mondo portando con
sé un “elisir”, ovvero un tesoro, un amuleto o una tecnologia in grado di giovare al-
l’intera comunità.

Perché il viaggio sia completo e abbia ottenuto un significato, ora è l’eroe che impara
a condividere quanto appreso nel suo percorso con gli altri, diventando a sua volta il
loro mentore se necessario.19

5) Il mondo ordinario: l’eroe

- Presentazione e descrizione dell’eroe al pubblico;


- Ciò che manca all’eroe;
- La posta in gioco;
- Antefatto ed esposizione

1.2) Il mondo ordinario, l’ambiente: all’inizio del viaggio, l’eroe, o l’eroina, vivo-
no all’interno della loro quotidianità. La routine ordinaria e banale del mondo de-
scritto costituisce uno scenario rassicurante, che si prepara ad essere sconvolto (Il
mondo ordinario è una rappresentazione statica ma allo stesso tempo instabile).

2) La chiamata all’avventura come scelta: il richiamo può essere descritto come


un’esigenza interiore dell’eroe, un messaggio dato dall’inconscio che annuncia l’ora
di cambiare.

2.1) La chiamata all’avventura come seduzione: con la precedente, qui l’eroe vie-
ne strappato alla vita quotidiana e scaraventato in un nuovo mondo, estraneo, a volte
ostile, sconosciuto. Ora è evidente il valore della posta in gioco e l’obiettivo da rag-
giungere.L’eroe può essere obbligato a rispondere all’appello, non avendo altra scel-
ta, o può decidere liberamente di accettare; in ogni caso, la sua vita non sarà più la
stessa.20

19 A. Giuliodori, Il viaggio dell’eroe,

Articolo online: (https://www.efficacemente.com/piu-autostima/eroe/)

20 Op. cit. pag.. 13


17
2. NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA E RIEVOCAZIONE DEI RICORDI

J. Seonkyeong, Un giardino Sottoterra,


illustrazione per copertina Jaca Book, 2008

2.1 Narrazione e educazione - Rievocazione dei ricordi

Narrare ed educare sono funzioni sociali e mentali apprese con naturalezza conside-
rate anche come arti e tecniche o tecnologie. Citando la metafora introdotta da J.
Bruner:

“Tutti noi in continuazione fabbrichiamo storie. Educare è un termine che conferisce


valore aggiunto alle informazioni o alle istruzioni ricevute o recepite. Veniamo edu-
cati e svolgiamo un compito educativo quando riusciamo a lasciare qualcosa di in-
delebile, di “memorabile”, nella storia di vita di qualcuno o quando siamo capaci
come educatori e narratori, a utilizzare una certa esperienza nella vita di chi intrat-
tiene con noi un rapporto con il quale interagiamo con parole e fatti che per il desti-
natario (il ricevente del racconto) assumono una una certa importanza per quanto
riguarda la sua formazione. ”

18
Si è sempre narrato per educare così come si è educato, in ogni cultura, attraverso
molte modalità di narrazione, come ad esempio col Kamishibai.21
Educare è concetto e parola che aggiunge ad una narrazione, o assegna al narratore,
uno scopo pedagogico. E’ l’intenzione di stimolare apprendimenti cognitivi, affettivi-
tà, l’assunzione di principi e qualità morali, abilità riflessive e così via.
Grazie alla facoltà di coinvolgere, attrarre, istruire, muovere, dimostrare, provocare,
indurre imitazioni.
Viene riconosciuta anche come l’attitudine di coinvolgere, attrarre, istruire, muovere,
dimostrare, provocare e indurre imitazioni.22

Educazione e narrazione hanno presieduto al nostro sviluppo, non cessando anche in


età adulta. Queste ci invogliano a proseguire il cammino della nostra educazione e a
renderci sempre più abili e affascinanti narratori di storie.
L’educazione è ritenuta un’attività volta a trasmettere e tramandare regole, conoscen-
ze, comportamenti. Insegna qualcosa affinché qualcun altro apprenda.
Il racconto è la modalità più antica per insegnare ai bambini a parlare e a sviluppare
processi mentali.

Noi “pensiamo per storie”: la nostra mente necessita di costruire schemi o strutture
cognitive per dar luogo ad un’attività pensante. Il bambino grazie alla fiaba, alle
semplici storie che ascolta in famiglia, ai ricordi dei grandi che lo colpiscono viene
educato, nella vita quotidiana della sua infanzia. Si impara a pensare attraverso questi
costrutti mentali.

21 Il Kamishibai, traducibile come "dramma di carta", (Kami: Carta; Shibai:Teatro/Dramma) è un antico meto-

do giapponese di raccontare storie che ha avuto la sua massima espressione nel periodo del primo dopo guerra,
quindi tra gli anni ’20 e gli anni ’50. Il Kamishibai è un originale ed efficace strumento per l'animazione alla
lettura, è un teatro d’immagini di origine giapponese utilizzato dai cantastorie.
Una valigetta in legno nella quale vengono inserite delle tavole stampate sia davanti che dietro: da una parte il
disegno e dall’altra il testo. Lo spettatore vede l’immagine mentre il narratore legge la storia.
Il Kamishibai invita a raccontare e fare teatro, a scuola, in biblioteca, in ludoteca, a casa.
Articolo online: (https://www.artebambini.it/attivita-editoriale/kamishibai/)

22 D. Demetrio, Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la pratica, scritti di E. Biffi, M. Castiglioni, E. Man-

cino, Mimesis, 2012


19
Restiamo quasi intrappolati in alcune parole: poiché tutte le parole che usiamo ci as-
somigliano, fanno parte di noi, alcune più che altre, connotano indubbiamente la no-
stra identità.

Ci affezioniamo a tal punto al loro senso, quando diventiamo le nostre storie, da non
dover privarcene. Accade che molti termini ci abbandonino spontaneamente: senza
accorgercene, essi vengono eliminati e sostituiti per far spazio a novità lessicali.
Ogni parola detta o scritta non è mai soltanto una parola: è la sintesi di mentalità ri-
cevute in eredità, di scoperte individuali, di luoghi comuni e di raffinate e dotte revi-
sioni.

Educare e narrare sono due tensioni generative di cambiamento e opportunità cono-


scitive, accomunate da una missione comunicativa.
Sono le parole a determinare una relazione educativa. Sia essa in presenza fisica tra
interlocutori ma anche a distanza.
In un tempo/luogo informale di convivenza (in strada, tra amici, in famiglia) un’espe-
rienza ricca a livello dialogico e narrativo accende o instaura possibilità di natura pe-
dagogica.
Educare e narrare non vanno ritenute attività sempre equivalenti e intercambiabili.
L’importanza di linguaggi simbolici, gestuali, figurativi, musicali, prossemici che
producono effetti di grande suggestione, efficacia, rilievo narrativo in ogni campo
della trasmissione del sapere e della comunicazione.
La parola vocale continua ad avere supremazia in riferimento alla narrazione.
L’idea di narrazione, apparsa in ambito filosofico, storico e letterario, si è ampliata
collocandosi a degli studi umanistici, biologici e neurologici. E’ un oggetto scientifi-
co pluridisciplinare.
Per Bruner (psicologo e pedagogista statunitense23, tra i primi studiosi ad aver intro-
dotto la “svolta narrativa” nelle scienze cognitive) la definizione di narrazione è ri-

23 Jerome Seymour Bruner - Psicologo e pedagogista statunitense, professore a Harvard e direttore del Center

of cognitive Studies. Ha studiato sperimentalmente l'elaborazione e l'organizzazione dei dati da parte del sog-
getto nei processi conoscitivi e di apprendimento, applicando i risultati ottenuti alla didattica delle diverse ma-
terie di insegnamento. Il suo pensiero elabora un'alternativa al comportamentismo e alla pedagogia di Dewey.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/jerome-seymour-bruner)
20
conducibile a un processo di neuroni organizzati in memorie, schemi, programmi
che accolgono il bisogno e desiderio di non perdersi, di orientarsi nel caos degli sti-
moli sensoriali, memoriali, emotivi.24
La metafora introdotta da Bruner è che tutti noi in continuazione “fabbrichiamo sto-
rie”.

E’ possibile anche educare al tenere memoria poiché, con le nuove tecnologie digita-
li, ad esempio, non si perde nulla ma tutto si può dimenticare:
Il flusso costante e continuo di informazioni rende nuovo un attimo dopo l’altro.
La memoria è ora un processo creativo importante che riproduce nuovo un ricordo
ogni volta che ricordiamo.
Salvare l’istante dal fluire del tempo non significa ricordare: a partire da quell’istan-
tanea, ricordando creiamo qualcosa di nuovo che ha a che vedere con quanto tempo
in quel momento stiamo attraversando. Ricordare è una competenza cui ci si deve
formare.

L’impulso a raccontare una storia, inventando o attingendo alla realtà, è un istinto po-
tente e primario a sé: si chiama “istinto narrativo”.
Il fascino delle narrazioni è che esse ci raccontano molto di più rispetto a quanto sia-
no in grado di comunicarci. Ogni storia rinvia a un non detto, ha bisogno di essere
arricchita e completata da opinioni del suo lettore o interlocutore.
Narrare è una manifestazione del modo con cui pensiamo. Questo ha una rilevanza
educativa: possiamo scoprire qualcosa di più di noi stessi o degli altri in base alle
modulazioni del loro raccontare o del nostro raccontarci.
Siamo soggetti narranti, conferiamo ai racconti in forma linguistica, iconica, dram-
maturgia, scenografica etc. L’educazione trasforma gli episodi, gli spazi, i momenti
narrativi in opportunità pedagogiche quando coloro che li abbiano direttamente o di
riflesso vissuti non possono più dirsi simili a prima.

24 J. Bruner, La mente a più dimensioni, Economica Laterza, prima edizione 2005.

In questo saggio Bruner affronta la dimensione del narrare come fondamento del pensiero umano. Il pensiero
narrativo permette la costruzione delle categorie del contesto e della dimensione identitaria di ciascun indivi-
duo.
21
Ogni narrazione è intenta a comunicare qualcosa. Ci permette di scoprire, pensare,
scrivere e parlare. Insomma, ci accomuna tutti.
L’educazione interiore consisterà nell’accendere i processi introspettivi e rievocativi
intrinseci alle predisposizioni della mente e del sentimento. Il mostrarsi, in seguito ad
un intervento educativo, più pensosi, più autocritici, più consapevoli dei propri errori,
meno egoisticamente autocentranti. Sono gli effetti di un’educazione capace di mu-
tarsi nel corso del tempo in “autoeducazione”.

Gli strumenti e i cammini entro i quali l’educazione possa venir coniugata nelle di-
verse accezioni:

• La via etica: l’educazione a comportamenti ispirati a discrezione, rispetto di sé e


degli altri;
• La via narrativa: educazione all’avvalersi della parola e dei linguaggi in forme in-
trospettive, tese a restituire all’autore le immagini di sé;
• La via mentale: ciò l’educazione a particolari stili del pensiero, la presa di coscien-
za, l’autoanalisi, la contemplazione);
• La via emotiva: l’educazione attraverso atteggiamenti e sensibilità ispirate alle vir-
tù del silenzio, della solitudine).

Il legame che unisce il sapere pedagogico e la narrazione sta nella pratica dell’inse-
gnare e dell’educare che si situano nell’incontro, nella relazione e nel dialogo. La
dimensione dialogica è presente in qualsiasi esperienza educativa. Laddove vi è edu-
cazione vi è esperienza di scambio, vi sono due narrazioni che si intrecciano e danno
origine a una storia nuova.
La narrazione è la forma attraverso la quale il nostro pensiero organizza e rende con-
divisibile ciò che accade al suo interno. L’abilità narrativa è la caratteristica che si
radica nel nostro essere sociali.

La relazione fra narrazione e pedagogia è composta da due livelli:


• il processo pedagogico è un sapere che si narra, poiché il processo educativo, è volto
ad un approccio narrativo per essere pensato.

22
• Si narra per educare e per insegnare, in quanto si ha il bisogno della narrazione quale
canale di comunicazione, condivisione, modalità di costruzione del sapere e pensiero
stesso.

Una svolta narrativa nel pensiero scientifico che ha palesato l’importanza della nar-
razione e delle storie per studiare, descrivere e raccontare l’umano.
Oralità, scrittura e gesto sono canali espressivi che si vedono intrecciati nelle narra-
zioni dell’educare.
Occuparsi di narrazioni significa occuparsi di storie. Una storia è una narrazione che
ha per oggetto avvenimenti, che siano inerenti l’intero genere umano (la Storia), per
la vita del singolo individuo (le storie di vita).
La storia è l’oggetto di cui si racconta, il racconto è il discorso attraverso cui la storia
viene evocata e la narrazione è l’atto con cui qualcuno racconta qualcosa ad un altro.

L’intervento educativo è rete di molte storie: quella dell’educando, dell’intervento


stesso e della storia dell’educatore.
Il lavoro educativo porta con sé anche la responsabilità di raccontare le vite di coloro
i quali non possono farlo e di aiutar loro a raccontarsi nuovamente.
Occuparsi di educazione significa occuparsi di storie: quando si ha a che fare con i
minori, ma non solo. Occuparsi di educazione significa occuparsi di storie di crescita.
Le storie di crescita sono quei processi di cambiamento di cui, in qualità degli educa-
tori, ci prendiamo cura affinché a partire dal già dato, il passato, l’inizio, l’incontro
sia possibile costruire una storia che ne favorisca lo svolgimento.

La narrazione come risorsa educativa, come spazio di incontro, come occasione di


confronto.
Narrare per aggregare, narrare per sostenere, narrare per tutelare.
I luoghi delle storie di crescita sono i contesti intenzionali dell’accadere educativo.
La dimensione narrativa rimanda una visione più complessa della relazione educativa
come stori raccontabile. L’educazione alla narrazione non segue i tempi dell’impara-
re a scrivere e leggere: il precede, per certi versi, e prosegue ben oltre.

23
Nelle pratiche le storie e le narrazioni sono sempre presenti tre funzioni trasversali
nei servizi educativi: aggregare, sostenere, tutelare:
• Funzione aggregativa: la condivisione è alla base del raccontare e del raccontarsi.
Stare insieme comporta la capacità di riconoscere l’altro, l’esigenza di dare all’altro
rispetto e di mostrarsi aperto all’incontro con una storia diversa della propria. Le pra-
tiche narrative rinforzano questo quando si rivelano occasioni di confronto e di co-
noscenza reciproca e supportate da un atteggiamento di curiosità e di apertura non
giudicante.
• Funzione di sostegno: l’essere consapevoli della propria storia, il riconoscere la forza
del percorso fatto.
• Funzione di tutela: la principale tutela passa attraverso la consapevolezza del valore
della propria storia e del proprio diritto a raccontarla.
La narrazione può diventare una risorsa, strumento di lavoro all’interno del progetto
educativo e lo può fare sopratutto in tre modi: educando al raccontare, educando al
raccontarsi e educando al tenere memoria.
Nel panorama contemporaneo si sta rendendo urgente l’esigenza di un’educazione
alla narrazione capace di rispondere a nuove sfide. Quanto sta accadendo in questa
epoca è l’amplificarsi a dismisura della circolazione narrativa, che rende più incal-
zante la necessità di sostenere i singoli e le comunità nella gestione di una rete narra-
tiva aggrovigliata.
Da un lato la narrazione ci appartiene e ci circonda, dall’altro la narrazione va condi-
visa.
Il nostro è un pensiero narrativo: per pensare costruiamo storie tramite le quali orga-
nizzare l’accadere, che danno spazio al punto di vista del soggetto narrante.
La capacità di raccontare è esercizio del pensiero di cui è necessario prendersi cura.

Il raccontare è fatto di diversi elementi: la descrizione del cosa è accaduto; l’argo-


mentazione delle ragioni e dei significati degli accadimenti; le riflessioni che tutto
ciò ci ha suggerito. 25

25 D. Demetrio, op. cit. pag 18


24
Nella fiaba letteraria di Cappuccetto Rosso, ripresa dalla tradizione orale, rivisitata
da Perrault e poi dai Fratelli Grimm, troviamo le illustrazioni realistiche di G. Dorè
attraverso un racconto molto più intrinseco di narrazione introspettiva dei personag-
gi, sottoponendo la forma e i contenuti ad un criterio ideologico e morale. Si riporta-
no di seguito comparazioni fra immagini realizzate dagli illustratori G. Dorè e E.
Luzzati.

G. Dorè, illustrazione per libro


E. Luzzati,
I racconti delle fate, C. Collodi, Adelphi, 19 illustrazione, serigrafia a colori

Come sostiene P. Delarue:


“ Gli elementi comuni assenti nella versione letteraria sono quelli che avrebbero
scioccato la società dell’epoca .”
Nella versione perraultiana il narratore sostiene che la madre e la nonna stravedono
per la protagonista del racconto e la loro debolezza è parzialmente responsabile per la
sorte della bambina: rendendola più carina grazie al copricapo, attirano su di lei l’in-
teresse del lupo, che è visto come il seduttore.26
Nel genere letterario di narrativa per l’infanzia Luzzati, attraverso un tratto molto più
pastoso e grazie ad una composizione delle illustrazioni di figure e ambientazioni
scenografiche ci attira in una favola molto più accattivante per un pubblico più infan-
tile. Ogni racconto o storia trae le sue origini dall’esigenza a narrare. Un libro, un

26 V. Pisanty, Leggere la fiaba, Bompiani, 1993, pp. 109, 111


25
film, un’autobiografia, un’esperienza narrativa vissuta, nascono in rapporto ad un’e-
sigenza umana, personale o collettiva, di avvalersi di quella narrazione.
Ogni racconto è un “ritratto” molto somigliante a chi l’ha concepito e esposto.
Racconto come manifestazione del nostro essere donne e uomini, in quanto “esseri di
linguaggio” e non di uno soltanto. Racconto come necessità vitale, come bisogno e
diritto umano, civile, politico; come narrazione in corso, autobiografia condivisa.
Discostandoci dal discorso sulla narrazione come mezzo di educazione, c’è da fare
un riferimento a “Le storie che curano” di Hillman27, per un collegamento anche tra
narrazione e psicologia: per Hillman la caratteristica fondamentale della psiche è
quella di produrre immagini. Le percezioni che provengono dall’esterno e quelle che
riguardano lo stato interiore dell’organismo o gli stati affettivi, sono rielaborati attra-
verso immagini.
Un bisogno psichico fondamentale è quello di raccontare e di sentire racconti.
Da un certo punto di vista per l’autore due personaggi e due attori narrano la storia
degli eventi dell’anima, quelli che accadono al paziente dal momento in cui fa la sua
richiesta di aiuto, e quelli che accadono nel terapeuta che lo ascolta.
La mente ha bisogno di ricordare e storicizzare, di dare un ordine temporale sia ai
fatti esterni che a quelli interni; la memorabilità, la memoria, infonde profondità alla
vita.

27 James Hillman è stato uno psicologo statunitense che ha rivisitato le teorie di Jung discostandosene par-

zialmente e proponendo una revisione della psicologia a partire dalla centralità dell'attività "immaginale" del-
l'uomo, rileggendola in quanto indagine e riflessione etico-sociale sulle problematiche dell'uomo contempora-
neo più che come vero e proprio "indirizzo" psicoterapeutico.
Fondatore della cosiddetta psicologia archetipica, lo studioso propone una revisione della psicologia e della
psicopatologia a partire dalla centralità dell'attività "immaginale" universale dell'uomo, intesa come contrappo-
sta alle attività finalizzate e normative dell'Io. Il discorso dell'anima, il cosiddetto "fare anima" di Hillman,
diviene allora elaborazione della base immaginale dei miti, collegamento con l'immediatezza dell'esperienza
sensoriale, attenzione alla molteplicità di intenzioni e prospettive che albergano nella nostra coscienza, in una
continua e feconda decostruzione simbolica di aspetti e vicende della realtà nella quale siamo immersi. La psi-
cologia di Hillman è andata via via ponendosi come indagine e riflessione etico-sociale sulle problematiche
dell'uomo contemporaneo, più che come vero e proprio "indirizzo" psicoterapeutico. H. Si è dedicato unica-
mente all'attività culturale, sospendendo la professione analitica.
26
Il senso di continuità e di coerenza sono supportati dalla costruzione di un ordine nar-
rativo che congiunge il presente al passato. Il ricordo è un atto immaginativo il cui
significato influenza la valutazione he diamo al presente.
La terapia parte dall’attenzione al racconto letterale del paziente. Devono esserci
confini molto precisi tra il racconto di fatti esteriori e storici e la ricerca di una di-
mensione interiore, quindi psicologica. La relazione tra esteriore ed interiore non va
costruita attraverso l’interpretazione: è un’attività immaginava della psiche del tera-
peuta che viene sollecitata dall’immagine che il paziente porta di sé. Riscrivere la
storia clinica come storia dell’anima vuol dire seguire la pista della trama di signifi-
cato attraverso “una collaborazione tra narrazioni”.
Hillman sostiene che non è l’uomo che va curato ma le immagini del suo ricordo
perché il modo in cui ci raccontiamo e immaginiamo la nostra storia, influenza il cor-
so alla nostra vita. La narrazione terapeutica è possibile se il terapista si pone di fron-
te alle manifestazioni psichiche del paziente e alle sue lasciandole come espressione
pura, senza forzarle nel pregiudizio di una teoria.

Dalla concezione di Jung28 sull’archetipo 29, Hillman estrapola la curvatura mitologi-


ca: l’archetipo da forma al mitologema che assumerà le caratteristiche del contesto
storico culturale nel quale si manifesta: nella psiche individuale attraverso conse-
guenze dell’anima e delle sue immagini. I sogni, i sintomi, i ricordi, l’attività della
psiche imprimono alla storia personale il carattere dell’individualità.

28 C. G. Jung, psichiatra, psicologo e storico della cultura svizzero, è il fondatore della psicologia analitica.

29 Nel pensiero dello psichiatra e psicologo svizzero C. G. Jung (1875-1961), immagine primordiale contenuta

nell’inconscio collettivo, la quale riunisce le esperienze della specie umana e della vita animale che la prece-
dette, costituendo gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni
27
La sofferenza scaturisce da un’eccessiva identificazione con le proprie narrazioni
personali, quelle che sono sotto il dominio dell’Io.

Secondo Jung:
“ questo tipo di processo di guarigione per mezzo dell’immagine dipende da un sen-
so narrativo. Si è in attento servizio dentro una realtà immaginativa. La guarigione è
prima di tutto guarigione del nostro senso narrativo, che dona un senso narrativo
anche ai nostri disturbi. Dobbiamo prenderci cura dell’immaginazione, dal momento
che può essere anche fonte del nostro disturbo. La riparazione della propria vita alla
luce delle componenti mitiche che l’anima rivela attraverso l’immaginario, modifica
l’influenza patogenetica del passato. “

Si può dire quindi che per Hillman, la psicoterapia sia un processo di acquisizione di
consapevolezza del proprio mito personale o, come sostiene nel suo operato, di rico-
noscimento del proprio destino.30

30 J. Hillman, Il codice dell’anima, Milano, Adelfi, 1997; Articolo online della Dott.ssa F. Fera,

Le storie che curano (James Hillman), sito web GIANNICOLA DE ANTONIIS, 2008
(https://www.giannicoladeantoniis.com/le-storie-che-curano-james-hillman/)
28
T. Taylor, The Help, 2011

2.2 Scrittura Autobiografica e memoria biografica

L’influsso dei processi cognitivi e mnestici31 che intervengono nel processo di scrit-
tura autobiografica. Uno dei momenti fondamentali sembra essere quello della rievo-
cazione dei ricordi, che precede e sostiene l’intero processo.

Comprendere questi processi mnestici aiuta a capire come il nostro passato continui
ad influenzare in maniera significativa il nostro presente e il nostro futuro, nel mo-
mento in cui tali eventi vengono richiamati alla conoscenza attraverso l’espediente
autobiografico. 32

Si narra e si interloquisce anche con se stessi. Siamo autori, attori e destinatari di rac-
conti autoprodotti. Siamo dotati di mezzi autonarrativi potenti. L’educazione alla nar-
razione non privilegia soltanto la dimensione relazionale e sociale;

31 Processi mnestici: codifica delle informazioni l’immagazzinamento, il consolidamento e il ricordo.

Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/memoria#)

32 A. Maluccio, Processi cognitivi ed evoluzione interiore dei ricordi nell’autobiografia, Piesse, 2015
29
Imparare a raccontare storie e la propria equivale ad accelerare il conseguimento di
competenze e regole utili alle esigenze dalle attività di studio destinate all’apprezza-
mento pubblico, quanto alla propensione a intrecciare la relazione con il nostro pas-
sato, il presente, i progetti per il futuro. Prima ancora di interloquire con gli altri,
siamo in ogni momento della giornata in perenne dialogo con noi stessi.

Cinque possibili prospettive per unire i concetti di educazione e narrazione alla sco-
perta di se stessi:

“ 1) Educare a scrivere le proprie memorie


“ Quando lo scrivere diventa una modalità per raccontarsi in prima persona. Eserci-
tiamo l’umiltà di riconoscere che scriviamo senza pretese; ci mostriamo coerenti con
una situazione da correggere in continuazione (la nostra vita); non badiamo alla
forma, ma all’essenzialità e al senso che assume per noi quel che raccontiamo in
un’autentica libertà del pensiero e del sentire. ”

2) Educare a prendersi cura di se stessi


“ Educare a tener un diario su fogli sparsi o rilegati, trasformando la propria oralità
silente in un appunto visibile, è una possibilità che non coltiviamo mai abbastanza.
La penna cuce ferite senza rimarginarle del tutto, consentendoci di vederle in faccia
con il coraggio di ricominciare senza volerle cancellare.

La scrittura rinchiude e schiude, in un movimento continuo, indizi troppo intimi in


grado di svelare altre immagini di noi; forse per paura di lasciare tracce o scarsa
fiducia nel valore della memoria.
Se questa scrittura, che assume un ruolo personale, è già memoria e non ne facciamo
buon uso, è nei confronti della memoria che ci mostriamo scettici, ostili, più disposti
al disumano. Quest’attività impegnativa esprime un attaccamento alla vita, una ca-
parbia voglia di non dimenticarsi di esistere pur nei momenti peggiori.”

30
3) Educare a pensare e riflettere
“ La scrittura non è solo un genere letterario, talvolta può diventare uno stile di vita,
un’abitudine. A lungo andare diventa, oltre ad un modo di essere, una condotta filo-
sofica, persino una disciplina intellettuale o un “gesto sacro”. Ci accompagna nel
nostro bisogno di segreti e invisibilità, sollecita a connettere immagini ad istanti;
ci impedisce di affogare quando ci stiamo perdendo e ci accompagna nella nostra
solitudine. “

4) Educare a rafforzare il proprio io


“ Le scritture di sé, su di sé e per sé sono fonte di interesse pedagogico. Il rendersi
promotori, formatori di scritture autobiografiche nel mondo infantile, adolescenzia-
le, adulto, nella scuola e così via significa sviluppare un pensiero, delle intelligenze e
delle occasioni di riflessione sulle proprie storie. La finalità è quella di suscitare una
maggiore presa di coscienza del proprio essere nel mondo. La scrittura della propria
storia trascorsa o in divenire nel proprio viaggio, genera disciplina mentale e del
carattere. Ci permette di assegnare ai fatti e alle emozioni un senso, collocandoli
all’interno di modelli e mappe per arrivare all’interpretazione e la spiegazione di
sé.“

5) Educare a superare il proprio egocentrismo


“ La scrittura del proprio io, nasce come ricerca individuale; una volontà di condi-
videre, confrontare la propria storia con quelle degli altri. La scrittura autobiografi-
ca contribuisce ad accrescere l’impegno di chi in essa, analizzando se stesso, va
scoprendo che la propria vicenda assomiglia a quella degli altri. “

Il risultato della rivoluzione tecnologica del XXI secolo è che ad oggi non si è mai
scritto così tanto. La rete è percorsa da scritture personali (post, autobiografie, piccoli
racconti, memorie, etc).
Educare a raccontarsi significa lavorare sul tema del rispetto, di sé e degli altri, del-
l’etica della condivisione e del confronto, della privacy. La necessità di formare i nar-
ratori in crescita alla consapevolezza della scelta, all’etica del silenzio.

31
Nel momento in cui incontriamo una storia, non possiamo fingere di non conoscerla.
“L’altro” (lo scrittore) ci ha scelti, ci sta chiamando dentro ad una relazione, ci sta
catapultando dentro la sua storia. Ogni racconto è una condivisione, l’incontro con la
storia dell’altro. Riconoscere un racconto a prescindere dal contesto, saper estrapola-
re un testo dal pretesto richiede professionalità, attitudine all’ascolto e una buona
base di abitudine al racconto.

All’interno di un ambiente scolastico, vengono utilizzate pratiche autobiografiche,


atte a favorire agli studenti lo scambio delle proprie storie.
Le didattiche narrative richiedono la costruzione di un clima in aula che favorisca la
narrazione di sé, una relazione tra docente e studenti tale per cui la storia del singolo
possa sentirsi accolta. Si tratta di riconoscere che ciascuno di noi ha da condividere,
qualcosa che potrebbe insegnare agli altri. Accogliere la storia che l’altro porta con
sé, e sapere mettere nel proprio ruolo la propria storia.

Il processo autobiografico obbliga a rivisitare il proprio processo formativo, a co-


struire un pensiero critico. In questo modo, l’esperienza di narrazione può accompa-
gnare a riconoscere le risorse espresse e quelle da esprimere ancora nella propria sto-
ria.
La possibilità di formarsi in un contesto narrativo è l’elemento principale all’acquisi-
zione delle successive competenze professionali in tale ambito: le storie chiamano
altre storie. 33

33 Hillman, op. cit. pag. 28


32
CAPITOLO 3: DAL MUSEUM THEATRE AL DIGITAL STORYTELLING,
TEATRO AL MUSEO

3.1 Teatro al museo e teatro educativo (drama education)

Come sostiene M. Xanthoudaki 34, vi sono diversi aspetti legati al termine “teatro al
museo”: dalla sua storia e natura, al suo rapporto con la comunicazione e l’educa-
zione museale, la sua reazione con l’esperienza dei visitatori e con il museo con-
temporaneo e il suo ruolo nella società.
All’interno dei musei contemporanei, dove l’esperienza del visitatore è ormai il
centro dell’attenzione, il teatro viene considerato come una potente risorsa per il
coinvolgimento delle persone e per l’arricchimento della loro esperienza educativa.
E’ un linguaggio che consente un approccio dei contenuti sperimentale, creativo e
con un forte impatto emotivo. Per questo il teatro al museo rappresenta e viene uti-
lizzato come strumento educativo.35

34 M. Xanthoudaki: direttrice del Dipartimento educativo e del centro di ricerca in educazione informale

(CREI) presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo Da Vinci” a Milano
Articolo online: (https://www.direfareinsegnare.education/autori/maria-xanthoudaki)

35 L. Cataldo, presentazione di M. Xanthoudaki, Dal Museum Theatre al Digital Storytelling,

Nuove forme della comunicazione museale fra teatro, multimedialità e narrazione. FrancoAngeli, 2011
33
Attraverso un’intervista, l’autrice introduce il metodo educativo di “Future Inven-
tors”:
“ Questo è un metodo che il progetto omonimo propone alla scuola secondaria di
primo grado.
Il museo nazionale “Leonardo da Vinci” ha voluto costruire, assieme a “Fondazio-
ne Europa”, sperimentare e consolidare un approccio per l’insegnamento e l’ap-
prendimento delle STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathe-
matics), che introduce alcuni elementi innovativi e di avanguardia che contribui-
scono ad arricchire il lavoro che si fa a scuola; sia a livello di insegnanti che degli
studenti. Il nostro approccio si basa sul rapporto fra intelletto e cuore, sull’utilizzo
di strumenti della cultura digitale e su tutti i linguaggi che si usano nell’arte. Que-
sto progetto ingaggia gli studenti, partecipanti attivi dell’esperienza, a livello co-
gnitivo, emotivo ed estetico, a lavorare nell’approfondimento dei contenuti tecnico-
scientifici. Infine invita i partecipanti ad utilizzare gli strumenti appresi a proprio
scopo, per una loro idea, per creare un loro progetto.“ 36

Il teatro trova la sua collocazione all’interno dell’approccio educativo che il museo


contemporaneo adotta per lo sviluppo dei processi di esplorazione dei contenuti
che il luogo di cultura mette a disposizione dei visitatori, allo scopo di costruire
un’esperienza personale. Il teatro non dà risposte, ma offre degli stimoli. Crea una
relazione fra gli oggetti e il pubblico, stimola l’immaginazione e grazie al rapporto
fra attori e pubblico attraverso il coinvolgimento emotivo e alla impersonificazione
nella storia e nei personaggi, il teatro riesce a trasmettere i suoi messaggi in modo
indelebile. Il teatro nel museo utilizza diverse modalità: dalla narrazione allo story-
telling, dall’interpretazione interattiva alla rievocazione storica e il teatro di ruolo,
lo science show e la dimostrazione teatralizzata.
Ognuna di queste modalità riesce a rivolgersi a diverse tipologie di pubblico che si
differenziano per l’esperienza pregressa, per la conoscenza posseduta, per gli inte-
ressi e le motivazioni con cui arrivano al museo.

36 Intervista a Maria Xanthoudaki, Rai Scuola, Tecnologia

Sito online: (https://www.raiscuola.rai.it/tecnologia/articoli/2021/12/Maria-Xanthoudaki-)


34
Teatro come modalità educativa

I linguaggi del teatro possono definirsi di per sé interdisciplinari, in quanto conten-


gono in sé il gesto, il movimento, il suono, la parola, l’immagine, il segno.
Il linguaggio teatrale può essere utilizzato come strumento di conoscenza, di speri-
mentazione soggettiva e collettiva poiché è veicolo di esperienza emotiva e creazione
artistica e ha in sé la possibilità di rielaborare il mondo attraverso l’esperienza del-
l’arte.
Come sostiene Sacco: “L’attività creativa teatrale tiene conto delle ragioni e delle
emozioni dei bambini e dei giovani, instaurando una didattica di confronto e di cre-
scita che, attraverso il corpo, le emozioni, il pensiero creativo e fantastico, coinvolge
la globalità psicofisica degli studenti, a prescindere dalla loro età. Il teatro, come
l’educazione, si alimenta di relazioni. In ambito educativo, lo strumenti teatrale non
scrive gli aspetti cognitivi da quelli emotivi ma li mantiene in una visione di insieme,
rendendo l’esperienza di apprendimento completa e stimolante.
E ancora: “Ognuno di noi è un racconto al quale aggiungere ogni giorno qualcosa di
nuovo. Vivere è trovarsi attraversati, accolti respinti dalle storie degli altri; vivere e
andare alla ricerca delle radici e del possibile seguito della propria narrazione. Im-
possibile è astenersi dal narrare e dal narrarsi”.37
Il teatro talvolta assume anche un ruolo educativo (drama education), poiché sia
teatro che educazione sono due realtà che possiedono finalità comuni.
Da un lato la pedagogia pone al centro dell’azione educativa la persona con tutte le
sue potenzialità da sviluppare; dall’altro il teatro segue lo stesso obiettivo, attraver-
so attività che stimolano lo sviluppo della creatività e della comunicazione.
Il teatro ha un forte potere comunicativo, si presta ad essere un ideale mezzo di di-
vulgazione di sapere. L’educazione alla teatralità si pone l’obiettivo di educare tra-
mite il teatro. L’intendo è portare l’esperienza personale a divenire strumento di
formazione per chi si appresta a “fare” teatro in prima persona.

37 P. Sacco, Il teatro come strumento educativo, 2019.

Articolo online: (http://www.teatriincomune.roma.it/events/il-teatro-come-strumento-educativo/)


35
Il teatro ha in sé un potenziale educativo sia per chi lo pratica in quanto attore ma
anche per chi ne fruisce in quanto spettatore.
Il teatro del Novecento ha modificato la concezione classica di “spettatore”.
L’empatia, cioè la capacità di comprendere i sentimenti, gli stati d’animo e le emo-
zioni che un’altra persona sta provando, riveste un ruolo centrale nel processo edu-
cativo mediato attraverso il teatro; il messaggio dell’attore viene compreso in modo
più profondo e immediato dallo spettatore; la relazione empatica precede il proces-
so di apprendimento e fa sì che nel destinatario venga potenziata la capacità di imi-
tazione. Il teatro pedagogico è il metodo ideale per rappresentare un’infinità di temi
e può costruire un ponte tra teatro e museo. Il valore della pedagogia dell’ “arte del
teatro” sta nell’ “intermediazione”. Il drama education comprende discipline affini
e forma d’arte come storytelling, teatro di figura, improvvisazione e altri. L’approc-
cio metodologico applicato al museo insiste sugli effetti del teatro sulla persona:” Il
potere del teatro è la sua abilità di catturare l’attenzione, fornire vie d’accesso al-
l’argomento, divertire, impressionare e sorprendere, aprire i sensi, la mente e il
cuore, provocare gli spettatori a ripensare alle proprie convinzioni. Il teatro quindi
è un “medium interattivo”, comporta il coinvolgimento pluridisciplinare dello spet-
tatore e può essere un “generatore” di esperienza sintetica in quanto consente l’at-
tivazione di percezioni provenienti da sensi diversi.38

Diversi studi contemporanei, dalla filosofia alla pedagogia, hanno focalizzato l’at-
tenzione sulla narrazione come strumento di mediazione educativa.
Secondo il filosofo Roland Barthes i racconti sono categorie della conoscenza che
ci permettono di capire e ordinare il mondo39; mai è esistito popolo senza narrazio-
ne40. Il raccontare è una pratica di origine antichissima, nasce dall’esigenza sociale
e primordiale dell’uomo di relazionarsi con i suoi simili e di trasmettere qualcosa
attraverso il dialogo. Dai poemi omerici ai cantastorie medievali la narrazione è sta-
ta la trama primaria della comunicazione.

38 L. Cataldo, op. cit. pag. 33

39 R. Barthes, traduzione Annette Lavers, Mythologies, Editore Les Lettres nouvelles, 1957

40 R. Barthes, L’ analisi del racconto, Bompiani, 1969


36
Come scrive lo psicologo e accademico italiano Andrea Smorti, la narrazione è un
atto conoscitivo e comunicativo che si svolge in due momenti:

“ Da un lato le storie sono il mezzo attraverso cui avvengono scambi culturali, dal-
l’altro le persone costruiscono le storie per comprendere anche il mondo e se stes-
si. Le nostre storie servono a mettere ordine nella nostra memoria ma in molti casi
vengono costruite quando qualcosa viola le nostre aspettative ed emerge un’incon-
gruenza che deve essere interpretata. Vi è un sapere non ancora cosciente di ciò
che è stato la cui estrazione in superficie ha la struttura di un risveglio. “

Paolo Jedlowski, sociologo e accademico italiano, cita le parole di un saggio di W.


Benjamin, Il Narratore41, per supportare l’idea secondo cui “l’esperienza è la sco-
perta di cose che in fondo erano lì, a portata di mano, senza che noi ce ne accorges-
simo”. In questo senso è un ritorno del soggetto a sè stesso.
Una sorta di estraneità del soggetto al proprio vissuto al momento dei fatti:
“l’uomo non è in grado di capire e interpretare immediatamente le vicende che lo
coinvolgono, ma, in un secondo momento, attraverso il recupero dei fatti che av-
viene tramite la memorie, egli crea dei nessi, attribuisce significati, conferisce sen-
so all’accaduto”.
Secondo Jedlowski il modo più comune in cui si realizza l’esperienza è rappresen-
tato dalla narrazione. Il processo attraverso il quale un individuo dà un ordine alle
informazioni, le inquadra in un sistema, le organizza secondo principi e norme con-
divise, costituisce un mezzo di riappropriazione dell’esperienza.

41 W. Benjamin, Il Narratore, Orient und Occident, 1936.

Per Benjamin: “Per Benjamin il narratore è qualcosa di remoto, che continua ad allontanarsi.
E ciò ci vuole dire che l!arte del narrare volge alla fine; è sempre più raro incontrare qualcuno
che sappia raccontare qualcosa come si deve. […]
L!esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori.
Fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono quelli la cui
scrittura si distingue meno dalla voce dei narratori anonimi.
Sito web: (https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-di-catania/letteratura-italiana-contem-
poranea/)
37
Il passaggio da vissuto personale a “estrazione in superficie” e condivisione, non
avviene in maniera scontata ma si tratta di un processo molto complesso, a comin-
ciare dal genere del racconto autobiografico.

Andrea Smorti sostiene che quando il narratore racconta una storia non compie solo
un atto conoscitivo (attribuisce significati) o comunicativo (trasmette significati),
ma “mette in atto un processo di trasformazione di Sé”. Questo tramite la narrazio-
ne di fatti.

Il primo fondamentale passaggio si realizza attraverso la transizione della memoria


autobiografica alla narrazione autobiografica, quindi dal “linguaggio per Sé” al
“linguaggio per gli altri” (Vygotsky, 1934 42).

42 L. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Laterza, 2008


38
Quando si parla di narrazione autobiografica il racconto assume i caratteri di una sto-
ria. La narrazione non è mera registrazione di fatti, attraverso di essa l’uomo crea
nessi, carica le informazioni di valori emozionali, realizza un atto conoscitivo.

Gli stessi temi sono evocati da Calvino nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ra-
gno:
“[…] Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia del-
l’anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui era-
vamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti,
con una voce, una cadenza, un’espressione mimica. […] Alcuni miei racconti, alcune
pagine di questo romanzo hanno all’origine questa tradizione orale appena nata, nei
fatti, nel linguaggio.“43

I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, illustrazione


copertina di G. De Conno, Mondadori, 2012

43 I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, 2002


39
3.2 Storytelling e digital storytelling in ambito educativo e museale

Col termine “Storytelling”, già definito in precedenza, si intende in questo caso una
metodologia educativa basata sull’utilizzo della tecnica narrativa, sfruttata nelle sue
potenzialità di risorsa cognitiva e di collante sociale. I new media e la loro diffusione
hanno determinato il successo dello Storytelling e del Digital Storytelling.
La figura del Digital Storyteller è chiunque abbia il desiderio di documentare l’espe-
rienza di vita, idee o sentimenti attraverso l’utilizzo di storia e media digitali.

Passando alle tematiche del contesto teatrale, lo storytelling trova un suo specifico
linguistico all’interno del “teatro di narrazione”. Questo si fonda sul racconto di un
performer che assume la funzione di narratore, con la propria identità non sostituita,
cioè senza interpretare un personaggio. Uno dei principali esponenti è il teatro di nar-
razione di Dario Fo.

Il Digital Storytelling, ovvero il narrare in ambiente multimediale, è una pratica che


estende le funzioni dell’oralità performativa e tende ad individuare delle nuove forme
di lezione frontale interattiva grazie al supporto di uno schermo che espande visiva-
mente le parole enunciate.
Il Digital Storytelling mutua il nome da alcune esperienze di narrazione terapeutica,
viene impiegato principalmente in tre ambiti, didattica scolastica, contesto organiz-
zativo e sociale; esso rispetta le dinamiche della narratologia, assumendo l’aspetto di
un video accompagnato da strumenti multimediali.

40
Questo metodo si connota come metodo a sé stante che utilizza alcune tecniche già
note come la narrazione e la sceneggiatura e mezzi come blog, podcasting, unendo
creatività e autenticità. La sua caratteristica è la forma narrativa, personale, dalle forti
connotazioni emotive e sopratutto la necessità, e l’intento di è di condividerlo con
altri in Rete.
Il Digital Storytelling è un processo, che non termina con la sua realizzazione ma si
inserisce e continua a vivere in un tessuto formato da attori sociali, artefatti tecnolo-
gici e culturali, con precisi fini e intenzionalità, il cui focus rimane quello di condivi-
dere significati in un contesto emozionale. 44

L’idea di unire lo Storytelling al museo nasce dal concetto delle narrative museali,
cioè di concepire il museo come insieme di storie, piuttosto che come verità assoluta;
i suoi contenuti sono influenzati dalle idee di chi ha creato le opere, di chi le ha col-
lezionate o selezionate e di chi le ha esposte. E’ importante considerare i messaggi
emanati dal museo come delle storie, come delle narrative, che devono essere lette e
interpretate dai visitatori.
Nei musei lo Storytelling consiste nel “raccontare storie”, prendendo come spunto gli
oggetti di una collezione museale.
Il primo museo ad avvalersi di questo strumento è stato il Metropolitan Museum of
Art di New York nel 1917 che, grazie all’oratrice statunitense Anna Curtis Chandler
45, ampliò il suo programma didattico riadattando storie e racconti su delle diapositi-
ve.

44 L. Cataldo, op. cit. pag. 33

45 Nel 1917 l’oratrice Anna Curtis Chandler iniziò a reinventare ed espandere il programma di narrazione del

Met (Metropolitan Museum od Art, New York), ampliando la sua attività di narrazione attraverso racconti
scritti includendo un pubblico vasto. Vengono create storie radicate nell’impegno ematico di rivoluzionare il
museo. Questo studio implementa l’interpretazione storica dei dati dell’archivio del Met utilizzando un’imma-
ginazione storica motivata.
Articolo online: (https://repositories.lib.utexas.edu/handle/2152/39414)
41
Il pubblico diviene “co-creatore di cultura attiva” in un ambito che l’autore definisce
museo-forum, in cui avviene l’intreccio fra storie personali e storie collettive e viene
fornito “un modo per imparare a esprimere le proprie opinioni, per parlare con la
propria voce”.
Lo storytelling o la narrazione multimediale possono essere strumenti importanti per
il coinvolgimento del visitatore, specie per tutti quei musei in cui gli oggetti rischiano
di rimanere “muti” se non adeguatamente valorizzati, ad esempio i musei tecnici o i
siti archeologici. Nel museo si possono distinguere tre indirizzi della narrazione:

• Storytelling come narrazione teatrale tradizionale: qui confluiscono tutte le esperien-


ze in cui un attore si cala nei panni di un personaggio, oppure rimane nei suoi e rac-
conta una storia al pubblico dei visitatori del museo.
• Storytelling come “lettura ad alta voce”: è un modo per concepire la narrazione che
parte dalla lettura animata di un libro o di una storia. Il narratore-lettore mutua tutte
le tecniche teatrali, dall’impostazione della voce all’atteggiamento postulare e mimi-
co, per attrarre l’attenzione del suo pubblico. Il fondamento di ognuna di queste mo-
dalità è che siano dal vivo, consentendo l’esperienza emozionale.
• Storytelling con il supporto dell’animazione multimediale (Digital Storytelling). Par-
tendo dal Digital Storytelling esso mutua il nome da alcune esperienze di narrazione
terapeutica. Esso si avvale di un interprete e di un supporto multimediale, ad esem-
pio uno schermo, con cui l’attore interagisce ponendosi da mediatore verso il pubbli-
co.46

46 L. Cataldo, op. cit. pag. 33


42
3.3 Il museo come luogo di mediazione: percorso attraverso un ruolo educati-
vo e sociale

Il museo contemporaneo ha dovuto interrogarsi su cosa sta insegnando ai visitatori


e come lo sta facendo.
L’educazione museale si è arricchita di molti significati: ciò che si impara nel mu-
seo e come lo si impara è diventato molto più di una curiosità intellettuale.
L’analisi delle modalità di apprendimento nel museo è diventato fondamentale per
la vita del museo stesso.
Una maggiore importanza del ruolo dell’educazione museale. La mission è il prin-
cipio ispiratore, la vocazione che sta dietro al museo; in essa sono definiti gli obiet-
tivi che il museo vuole raggiungere in quanto istituzione presente e attiva nella so-
cietà contemporanea. Il museo si pone come elemento fondamentale per la produ-
zione di cultura e per la sua trasmissione.

L’importanza dell’educazione museale comporta un’accentuazione del ruolo di re-


sponsabilità sociale del museo, in cui sono coinvolti direttori, curatori, insegnanti e
altri.
Il ruolo educativo del museo è diventato parte dell’immaginazione del museo e più
in generale della politica culturale.
Il rapido sviluppo del significato di educazione museale ha dovuto tener conto delle
teorie dell’apprendimento.
I musei rendono accessibili idee e contenuti, facilitando le connessioni intellettuali
e mettendo insieme fatti, idee e sensazioni. I musei incoraggiano l’interesse e la cu-
riosità del visitatore, ispirano consapevolezza di sé e motivazioni per futuri appren-
dimenti e scelte di vita. Essi hanno un effetto su come i visitatori pensano e sulla
visione del loro mondo.

43
Alcune ricerche sul Museum Theatre hanno evidenziato le seguenti prospettive:
• Il potere della narrativa nel sollecitare l’empatia del pubblico;
• L’importanza dell’interattività e la differenza nella volontà di interagire dei bambini
e degli adulti;
• L’interconnessione fra spazio espositivo (mostra, galleria, sito) e performance;
• La varietà di modi in cui i visitatori diventano “pubblici”.

La narrazione rappresenta, oltre che un mezzo, anche un modo di concepire il museo:


si possono considerare i messaggi emanati dal museo e dai suoi contenuti come delle
“storie”, che devono essere “lette” e interpretate dai visitatori.
La storia, nel senso di narrazione, con molteplici significati può essere usata come
modello per insegnare e imparare.
La comunicazione teatrale ha luogo in particolare nei musei scientifici, con lo scopo
di educare alla scienza. L’educazione teatrale suscita curiosità, attira l’attenzione su
ciò che si vuole mostrare, instaurando un rapporto di scambio e fungendo da media-
tore o interprete.
Le modalità teatrali adottate sono di vario tipo, dalla performance realizzata da un
singolo attore, che ad esempio veste i panni di un grande scienziato o di un grande
artista del passato nelle sale del museo e così via.47

47 L. Cataldo, op. cit. pag. 33


44
CAPITOLO 4 - DARIO FO

4.1 Biografia

Dario Fo è l’ultimo erede dei più grandi attori del XX secolo. Come i precedenti non
ha avuto bisogno di compagni di scena, ha sempre offerto il meglio di se come attore
solista, ne è di forte esempio il suo capolavoro assoluto Il Mistero Buffo (1969). 48

48 Nato nel 1926 a Sangiano, in provincia di Varese in Lombardia. A Milano frequenta l’Accademia di Belle

Arti di Brera, dove studia scenografia e architettura. Successivamente si dedicò al teatro. Ha lavorato per il
cinema e la televisione; ha dipinto e scritto arte. Nel 1950 incontra Franco Parenti (attore, regista e autore
televisivo italiano). Fo, grazie a Parenti, partecipando alla rivista estiva Sette giorni a Milano cono-
sce Franca Rame. Nel 1953-54 Fo, Parenti e Giustino Durano (un’altro attore italiano) diedero vita al
gruppo I dritti.
Nacque allora la rivista Il dito nell’occhio con la regia a cura di Parenti, le scene e i costumi di Fo e la direzio-
ne mimica affidata ad un altro grande attore teatrale, nonché mimo e pedagogo francese Jacques Lecoq.
Fo scrive le sue rappresentazioni teatrali facendo uso di stili comici propri della commedia dell’arte
italiana. Dario Fo è famoso per i suoi testi teatrali di satira politica e sociale realizzati anche in compagnia
della moglie Franca Rame (drammaturga, attrice teatrale e politica italiana), con la quale fu uno tra gli espo-
nenti del Soccorso Rosso Militare.
Nel 1957 si forma la compagnia Fo-Rame che scrive e mette in scena una serie di farse.
Le commedie surreali degli anni ’60: presentate dalla compagnia teatrale nascono e vengono presentate dagli
anni ’59 al ’67 ca. Sono una serie di spettacoli di gusto ”carnevalesco”.
Il periodo che va dal ’63 al ’67 è l’ultimo periodo di Fo “giullare della borghesia”

P. Puppa, FO, Dario, Dizionario Biografico degli Italiani, 2018


Treccani Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/enciclopedia/dario-fo_%28Dizionario-Biografico%29/)
45
4.2 Poetica e Stile

Una differenza che distingue le rappresentazioni di Fo dagli spettacoli narrativi è il


diverso uso del corpo e delle potenzialità sceniche dell’attore.
Per anni il drammaturgo ha condotto ricerche sulla cultura popolare ricercando su
testi in lingua volgare in latino e in lingue neolatine.
Li ha tradotti, riscritti e riadattati in chiave teatrale, sotto forma di giullarate.
Fo si ispira alla figura Medioevale del giullare. Personaggi che recitavano nei nei
mercati, nelle piazze, nei cortili e qualche volta addirittura dentro le chiese. 49

49 Dario Fo e Franca Rame, La nostra storia, RaiPlay, Documentario online (https://www.raiplay.it/program-

mi/dariofoefrancarame-lanostrastoria)

46
Fo riprende la comicità carnevalesca espressa da Bachtin (filosofo russo del 900):

“ Nel periodo medioevale rinascimentale si imita il carnevalesco. Durante il carne-


vale si aveva il ruolo di rovesciare le gerarchie. Mondo alla rovescia, comicità alle-
gra che distruggeva e che poi tendeva a ricostruire. “

Per Bachtin l’uomo medievale viveva due vite:

1. Una ufficiale, seria, sottomessa ad un ordine gerarchico, fatta di devozione e pie-


tà;
2. Un’altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso, di sacrilegi, profanazioni,
degradazioni e oscenità.
Entrambe queste vite erano legalizzate ma divise da rigorosi confini temporali.

Mistero Buffo, lo spettacolo più famoso di Dario Fo, è composto e si fonda sul con-
cetto di giullarate. Sulle radici del teatro popolare, quello dei giullari, della comme-
dia dell’arte e dei misteri. Con Dario Fo nasce una nuova dimensione del teatro che
nasce dalle tavole del palcoscenico, cioè dalla fusione dei tre ruoli di autore, regista e
attore.
E’ importante il passaggio dalla compagnia Fo-Rame all’associazione Nuova Scena.

47
Questo cambiamento muta quasi completamente lo stile, come sostiene il dinamico
Fo: “Voglio passare da essere giullare della borghesia, al rutto liberatorio della bor-
ghesia, in modo da avvicinare le classi subalterne”.

Il teatro degli anni ’70 di Fo mostra alcune debolezze poiché molto militante e legato
alla denuncia per cui soffoca il lato artistico: ridimensiona il sistema del ruolo recita-
tivo lasciando spazio al codice verbale piuttosto che quello gestuale.
La scenografia con questo artista è quasi azzerata. E’ costituita al massimo da pochi
oggetti che hanno perso quel dinamismo e permutabilità che avevano prima.

In questi anni abbiamo un rifiuto del testo, poiché Fo considera di rifiutare il testo
scritto e valorizza l’evento scenico. Questo atteggiamento porta ad instaurare un
nuovo rapporto. Il primo scopo del drammaturgo è l’abbattimento della quarta parete,
instaura un colloquio con il pubblico e poi mostra, attraverso lo sguardo la storia:

Fo è molto concreto. Riprende una storia dal passato ricollocandola alla cronaca del
presente. Afferma di aver imparato a conoscere le mimiche essenziali teatrali dai co-
siddetti fabulatori50.

Gente semplice, che fa mestieri manuali, che costituiscono un serbatoio per Fo e per
la sua riduzione. Egli ricostruisce a posteriori gli elementi della sua infanzia. Nel ’77
realizza una serie televisiva in cui vengono trasmessi i suoi spettacoli riadattati.
Secondo Beckson la comicità implica un coinvolgimento collettivo: “Il riso è conta-
gioso”; “Riso che passa per il cervello, si colloca nel momento in cui tacciono i sen-
timenti e subentra la ragione”.

50 Affabulatóre [der. di affabulare] : Persona che narra in maniera affascinante e abile o che racconta storie

affascinanti ma poco fondate o totalmente infondate.


Treccani Enciclopedia online (https://www.treccani.it/vocabolario/affabulatore)
48
Per questo Fo usa più il comico che il drammatico. Il discorso Pirandelliano, il suo
umorismo tragico, per Fo ed Eduardo de Filippo si ha l’elevamento del riso, mecca-
nismo diverso e di una valutazione diversa dal punto di vista poetico. Anche se alla
risata del comico, dev’esserci l’elemento tragico.
Fo utilizza una polivalenza di segni classici del repertorio comico. Usa il surreale at-
traverso il teatro dell’assurdo.

La forma comica
Si va dalla commedia latina plautina, alla commedia dell’arte, fino allo schema del-
l’inchiesta. L’attore riprende da Pirandello, poiché c’è spesso una struttura a gialle e
si svolgono inchieste in cui alla fine in genere non abbiamo la soluzione del proble-
ma.
Vi emerge il gusto del surreale e dell’assurdo, specie in rapporto alla relazione sani/
matti.

Rapporto con il teatro dell’assurdo


Attraverso questi nuovi testi drammaturgici assistiamo ad una specie di destruttura-
zione del testo drammatico tradizionale.
Alla fine il messaggio è pessimistico. Nel teatro di Fo, gli stessi meccanismi o alcuni
di essi in realtà poi vengono orientati in una direzione rinnovativa, distrugge il vec-
chio per mostrare il nuovo.

Da una prospettiva diversa, ad esempio, l’incomunicabilità (tipica della letteratura e


del teatro), il linguaggio viene ridotto ad una cosa banale, non contiene messaggi.
L’elemento in comune che si ha è il non voler trasmettere informazioni. Non si co-
munica un messaggio che rispetta una realtà oggettiva, ma solo l’interiorità dell’atto-
re. Il linguaggio varia da autore ad autore.
Il teatro di Fo tende alla formazione di un teatro nuovo, tende a dare un teatro vivo.
Vuole mostrare anche l’incomunicabilità ma tede a dare una comunicazione diretta al
pubblico.

49
In questa volontà di comunicazione diretta col pubblico si ha il comico come stru-
mento essenziale di comunicazione. Le sue opere, anche quelle più idealizzate, non
rinunciano mai al divertimento. Il suo è un teatro coi testi, in modo da condensare
l’esperienza spettacolare.

Quindi le indicazioni mimiche dei gesti che caratterizzano la drammaturgia di Fo.


Non si tratta mai di opere chiuse ma un copione da registrare e modificare nella pra-
tica della scena.

La cornice del testo è costituita dall’inizio e dalla fine. La cornice di un’opera, di Fo


è costituita dall’interazione dell’aspetto verbale con le didascalie. Lo spazio scenico
si allarga a tutta la platea. Anche il prologo, il momento in cui Fo si svolge agli spet-
tatori, è da considerare con lo spettacolo. Il suo testo è mobile, perché viene pubbli-
cato e poi integrato dalle diverse lettere, come una specie di microrganismi che cre-
scono e cambiano.

50
4.3 Mistero buffo

Questo spettacolo fu rappresentato per la prima volta come “Giullarata Popolare”.


E’ un insieme di monologhi che descrivono alcuni brani dei vangeli apocrifi e rac-
conti popolari sulla vita di Gesù. Raccoglie riferimenti lirici e drammatici della tradi-
zione popolare in un linguaggio che mescola dialetti padano-veneti, che tende a di-
ventare anche onomatopeico e semi-fantastico, ovvero il grammelot51.
Questa è un’invenzione di Fo. La parola grommelere, che in francese significa bor-
bottare, è ciò per cui l’autore riprende questo linguaggio pre-verbale creando una lin-
gua a sé stante. Fo, attraverso questo spettacolo, intercala ad avvenimenti della cro-
naca del momento, dalle nuove invenzioni drammaturgiche e sceniche e da un rap-
porto provocatorio e complice del pubblico.
A differenza delle commedie, al di là della mobilità dello spettacolo, vi è anche la
mobilità del testo, tanto è vero che cambiano sempre le edizioni drammaturgiche dei
brani. Ebbe così tanto successo che venne replicato migliaia di volte. Mistero buffo
fu un’opera che influenzò molti autori e attori, e viene considerato un modello per il
genere del teatro di narrazione, sviluppato in seguito da attori, narratori come Baliani
(drammaturgo, regista teatrale e scrittore italiano). O come Paolini (drammaturgo,
regista, scrittore e produttore cinematografico italiano). 52
Il termine Mistero è usato già nel II° III° secolo d.C. per indicare una rappresentazio-
ne che nasce dal popolo, un mezzo di espressione popolare ma anche di provocazione
e di agitazione delle idee.

51 Grammelot: [tratta dal fr. grommeler «borbottare, mormorare fra i denti»].

E’ un linguaggio scenico che non si fonda sull’articolazione in parole, ma riproduce alcune proprietà del siste-
ma fonetico di una determinata lingua o varietà, come l’intonazione, il ritmo, le sonorità,
le cadenze, la presenza di particolari foni, e le ricompone in un flusso continuo, che assomiglia a un discorso
e invece consiste in una rapida e arbitraria sequenza di suoni.
Treccani, Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/enciclopedia/grammelot_)

52 D. Fo, Pagine scelte dalle commedie del Premio Nobel per la Letteratura, Panorama Editore, 1997
51
Nel Mistero buffo ogni suono, verso, parola o canto, uniti alla complessa gestualità
utilizzata formano un insieme semantico inscindibile, di cui il racconto degli eventi è
solo un capolavoro. Ad esempio sono previsti:

Codici spettacolari
Si arricchiscono di stimoli visivi in una utilizzazione paritaria dei mezzi usati, quindi
parola e azione. Attraverso gesti e movimenti Fo evoca la scenografia, ma non si li-
mita a mimare. Da un lato prosciuga la drammaturgia, dall’altro cerca di colmare la
mancanza con i gesti e i movimenti, riempiendo ciò che manca.

Stile
Lo stile è irriverente e portato all’eccesso, richiama le rappresentazioni medioevali e
seguite da giullari e da cantastorie.

Punto centrale dell’opera


E’ costituito dalla presa di coscienza dell’esigenza di una cultura popolare, cardine
della storia del teatro. Tramite l’esposizione di drammi religiosi, moralità e parabole
in chiave satirico-grottesca ed anticlericale, rovescia il punto vista dello spettatore
ponendo l’accento sulla mistificazione degli avvenimenti storici e letterari nel corso
dei secoli.

Per questo motivo l’opera prende il nome di Mistero buffo, in riferimento ai misteri
riflessi in chiave buffonesca. A livello tematico quest’opera è una rivistaiole storico-
sociale di un mondo di sfruttati, emarginati, oppressi, diversi, di cui Fo sottolinea la
continuità del passato nel presente. Dal punto di vista drammaturgico, Mistero buffo
rimanda a procedimenti e sensi del teatro popolare, specialmente medioevale.

- La “piazza” assunta democraticamente come spazio scenico e come simbolo del-


l’università popolare. Fo è in grado di mimare la piazza anche quando questa è as-
sente;

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- La “permutabilità” degli oggetti che non sono fisicamente presenti sulla scena ma
vengono evocati e trasformati attraverso i gesti e la mimica dell’autore;

- Il “rapporto di complicità” che si instaura tra agenti dello spettacolo e pubblico e


tende ad abolire ogni distanza e far entrare in vigore la particolare categoria carne-
valesca del libero contatto familiare tra gli uomini.

Struttura del Mistero buffo:


Abbiamo prima l’anti-prologo, dove l’attore familiarizza con il pubblico, racconta le
vicende che saranno oggetto delle sue trattazioni.

Poi c’è il prologo che si concentra sul riassunto della vicenda che poi ci sarà e in cui
in un certo senso ne mostra anche i fondi: riporta a due leggende popolari: l’orgia di
Bonifacio e l’inchiodamento della lingua di alcuni frati in seguito ad una punizione.

Composizione
Lo spettacolo è composto da numerose giullarate: "Le nozze di Cana”;
“la resurrezione di Lazzaro”; "Dedalo e Icaro”; “Caino e Abele”; “La grammelot
di Scampino”; "Il grammelot dell’avvocato inglese”; “La fame dello Zanni”; “Boni-
facio VIII”; “La nascita del villano”; “Il cieco e lo storpio”; “Il matto e la morte”;
“Rosa fresca aulentissima”; “La strage degli innocenti”; “Il primo miracolo di Gesù
bambino”; “Maria alla croce” e altre.

Linguaggio
La lingua con cui vengono recitate le giullarate è un particolare insieme di dialetti
delle regioni settentrionali e centrali dell’Italia, una lingua sempre perfettamente
comprensibile grazie alla forza della gestualità che accompagna la narrazione.
Si tratta di un monologo senza scenario, senza musica, senza costumi, che sollecita
l’immaginazione e la partecipazione degli spettatori al punto da rendere quasi visibi-
le, sulla scena, una molteplicità di personaggi, di oggetti e luoghi.

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Alcuni episodi tratti dal “Mistero buffo”

1) “ La fame dello Zanni ”

prima dell’inizio dello spettacolo, c’è un anti-prologo in cui Fo ci dà un’idea della


situazione storica in cui gli Zanni - barboni, poveri, disperati - sono nati;
poi con un prologo in cui spiega ciò che andrà a fare. Fino all’inizio della recitazione,
Fo continua a camminare, gesticola moltissimo per includere anche il pubblico nella
storia, nel pensiero del prologo.
La mimica facciale è scarsa, tranne in un paio di punti: la voce attira, cerca di mante-
nere l’attenzione del pubblico su di sé, benché il tono di voce sia colloquiale.

Lo Zanni è una figura all’origine della commedia dell’arte. Qui abbiamo uno Zanni
affamato e in preda alla disperazione che arriva al punto di immaginare di mangiare
se stesso e addirittura si rivolge, non ancora sazio, verso il pubblico, minaccioso e
verso Dio. Si addormenta e sogna un pranzo ricco con anche un pentolone e un me-
stolo. Quando si sveglia piange e impreca perché è stato solo un sogno e il suo pianto
si trasforma piano e vocalmente in un ronzio di una mosca, che lui mangia lentamen-
te, pezzo per pezzo.

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Nonostante Fo dica che il pezzo sia in grammelot, il suo linguaggio non è del tutto
inventato, per lo più è in dialetto stretto e le parole sono dette molto velocemente.
Nella prima parte, per mimare che vorrebbe mangiarsi, l’attore finge di staccare varie
parti del corpo e poi se le mangia, le indica, le toglie e poi se le ingoia.
Nella seconda parte, per mimare il pranzo, crea tre momenti scenici: il pentolone col
fuoco (sempre mimato); si sposta e c’è la cucina dove taglia il pane, riempie il pollo
e così via.

Fo usa anche i suoi espressivi occhi tondi e infossati come strumento, con mimica
discreta, per interpretare bene lo Zanni in questa seconda parte.

Infine, la terza parte, la più drammatica, inizia con un cambio di espressione facciale.

Lo Zanni si rende conto che era tutto un sogno, la disperazione ha il sopravvento su


di lui.
Qui si hanno dei gesti anche di carattere espressivo, non solo comunicativo, cioè che
indicano lo stato d’animo del personaggio.

A Fo non interessa la psicologia del personaggio ma per comunicare la disperazione


dell’uomo usa una serie di gesti espressivi. Anche la voce cambia. Per dare un piano
al viso e alla sua espressione, Fo immobilizza il corpo in modo impercettibile e fa in
modo di muovere solo le mani, braccia e viso. La mimica qui è fondamentale perché
la mosca qui si posa sul naso. In questo momento la voce cambia di nuovo ed è me-
ravigliata, gioiosa, soddisfatta per la sua faccia ben riuscita, ha preso la mosca. La
scena si conclude con la battuta dello Zanni: “che mangiata!”.

"Lo Zanni con e senza la maschera”

Da una delle lezioni sul teatro Fo spiega come il recitare con o senza la maschera
cambi il tipo di recitazione, perché la maschera, anche la mezza maschera, porta una
gestualità e movimenti del corpo diversi in quanto non possono cogliere quelli che
sono gli aspetti espressivi della mimica dell’attore.

55
Quindi bisogna allargare i gesti, amplificarli, e muovere di più la parte restante del
corpo, che deve diventare dinamico.

Bisogna stare attenti a non toccarsi il viso, cosa che si fa quando si recita senza ma-
schera, anzitutto perché toccarla farebbe perdere al viso il significato che ha nel suo
insieme. I gesti devono incorniciare la testa, il viso dell’attore, proprio per quello Fo
ha scelto di mostrare la prima parte con la maschera e l’ultima senza.

Questo perché senza maschera valorizza la disperazione del momento in cui lo Zanni
si sveglia dal sogno del pranzo. La prima parte è più violenta e fisica, la seconda è
più estiva e le espressioni sono quasi indispensabili.

Nell“ ’Arlecchino servitore di due padroni“ gli attori usavano la mezza maschera no-
nostante facciano anche loro la scena della mosca. Si deve semplicemente dare alla
scena una caratteristica un po’ diversa da quella datale se non si ha la maschera.

2) “ Resurrezione di Lazzaro ”

Nel primo episodio dello Zanni la scenografia è costruita da Fo solo con i gesti, qui si
ha una moltiplicazione di personaggi. Fo riesce a impersonare nello spazio una molti-
tudine di personaggi diversi. La fonte è una sinopia, conservata nel camposanto di
Pisa, che ritrae una folla di personaggi attoniti che assistono all’evento. Fo riesce ad
evocare un’intera folla che accorre a vedere il miracolo che diventa uno spettacolo
per cui si vedono perfino i biglietti.

L’atto di amore di Cristo per l’amico che non aveva potuto salutare prima della morte
diventa solo pura materialità.
C’è una recitazione corale che è comandata dal personaggio iniziale, quello che arri-
va mentre Gesù fa il miracolo. E’ lui che smista le informazioni. Oltre a lui c’è il
guardiano che vende i biglietti. Sono piccoli cenni, piccoli spostamenti che sintetiz-
zano la presenza o il gesto di un altro personaggio, del cambio tra una persona e
un’altra.

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Il primo visitatore si colloca davanti alla tromba e quello è il limite che viene segna-
lato dalla postura del corpo del personaggio, quando parla Fo si rivolge al pubblico,
che probabilmente usa come metafora della folla. Si alternano i personaggi tornando
però sempre al primo visitatore , che è il “giullare” della scena.
Ad un certo punto arriva il corteo degli apostoli, che lui colloca in lontananza, davan-
ti a sé, al di là della fossa, dove c’è il pubblico (nel teatro).

Il primo visitatore vede l’arrivo degli apostoli in lontananza e si da delle arie, salu-
tandoli come se li conoscesse. Fo oscilla il busto per far capire che è sull’orlo della
fossa di Lazzaro, e grida contro un ipotetico pubblico dietro di se.

Fo gioca sulla risata del pubblico, in realtà è come se prevedesse due ondate di riso:
Una pre-ondata provocata dalla prima battuta, che già fa ridere da sola, poi cambia
espressione, si volta, diventa serio e dice un’altra contro battuta che fa ridere di nuo-
vo. Cristo: Questa figura appare attraverso due visioni contrastanti che Fo realizza da
solo. Prima abbiamo il viso di Cristo, a cui fa la descrizione minuziosamente, piccino
e con gli occhi azzurri, poi però si volta verso destra e dice come se lo immaginava,
ovvero grande, imponente con i capelli gonfi e le mani che mandavano miracoli
ovunque.

Quando abbiamo il miracolo c’è un altro sdoppiamento di personaggi:


Fo riesce a fare sia la parte dell’uomo che crede nel miracolo che quello che non ci
crede e li fa così litigare.

Il dialogo tra i due finisce con una scommessa che coinvolge tutta la folla.
Poi abbiamo il miracolo, con il corpo di Lazzaro che viene mimato come se lui stesso
fosse Lazzaro.

Il finale è doppio perché c’è la voce solenne del personaggio che dice in modo ispira-
to, con intonazione particolarmente intensa, che il Cristo ha compiuto il miracolo e
quasi si inginocchia, ma poi si rialza, alza la mano e dice “ho vinto io”.
Il personaggio però si rende conto del fatto che gli hanno rubato la borsa e corre per
recuperare il ladro.

57
3) “ Bonifacio VIII ”
E’ una giullarata. Il prologo è piuttosto lungo, ed è un’occasione per Fo per descrive-
re la situazione della chiesa e colpire l’ipocrisia e la prepotenza dei chierici e del po-
tere ecclesiastico.
Si parla di Bonifacio raccontando le cose malvagie che ha fatto, parlando del modo
in cui ha tolto Celestino dal posto di papa, di come ha incarcerato Jacopone da Todi e
cose del genere. Sono cose che a scuola di solito non si insegnano.

Lo spettacolo inizia con la vestizione del papa (Fo) che si prepara per una cerimonia.
L’attore si pone di profilo rispetto al pubblico, per dare profondità al passo quando
inciampa col manto, anche in modo da mettere i guanti sembra reale ma anche comi-
co, il tutto succederà durante il canto gregoriano, canto extra liturgico catalano antico
che Bonifacio intona e cerca di costringere i propri chierici a intonare a loro volta.
C’è tutta una serie di gag comiche, come il tormentone di minacciare con l’inchio-
damento della lingua il prete stonato. Il pubblico ha già memorizzato la prima se-
quenza e quindi riesce a riportare alla mente durante la seconda. Qui si apre un mec-
canismo di base: la ripetizione. Un meccanismo che porta all’effetto comico. Sul gio-
co comico si possono introdurre delle varianti, date dalle sintesi.

La mimica è deistica, vi è una forte valenza espressiva: Nel senso che la mimica in-
dica lo stato d’animo del personaggio.
Il papa poi, si avvia verso la cerimonia e incontra Cristo, che va a farsi crocifiggere,
che però non lo riconosce nonostante lui si presenti. La presenza di Gesù è evocata
dalle battute di Bonifacio, non si vede mai.
Nella scena del Gesù cristo sul golgota, l’attore si ferma a metà palcoscenico e qui fa
la battuta comica: “Chi è Jesus?”.

Fo sottolinea il fatto che Cristo non lo riconosce, per questo voltandosi da una parte
all’altra fa intendere che è visto come uno smemorato, una derisione di questa inge-
nuità del Cristo.

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A questo punto abbiamo la spoliazione: Bonifacio cerca di farsi riconoscere spo-
gliandosi dell’oro che ha addosso (tentando anche di espiare una colpa verso Gesù),
ma alla fine si offende e inveisce contro Cristo, che lo prende a calci in culo.

Il momento in cui si capisce che Cristo lo accusa di aver fatto appendere questi frati
per la lingua, abbiamo tutto un passaggio vocale e sonoro dal punto di vista della
mimica: Bonifacio passa dalla volontà di scolpirsi dall’aver inchiodato la lingua a
quella dell’individuare chi abbia fatto la spia. Egli passa da una parte all’altra del pal-
co in modo da interpretare due volti di Bonifacio. Quando il corpo di Fo si curva,
come se creasse contrappeso, da questo incurvarsi scatta la pedata, per questo va a
finire dalla parte opposta del palco. Allora riemerge il Bonifacio prepotente, quello
che rivendica la propria superiorità, che organizza un’orgia, si mette tutti gli anelli,
gira per il palco dando l’impressione di una specie di Trionfo finale. La vicenda ter-
mina quindi con il trionfo di Bonifacio, che nonostante sia un personaggio negativo,
fa simpatia, forse è per questo punto che vince. Questo discorso si fa all’essenza stes-
sa del teatro. Finisce con il trionfo del potere. Fo la da sempre vinta per una questio-
ne di realismo.

4) “Le nozze di Cana” :

L’episodio evangelico è curioso: ci sono due personaggi, un ubriaco e un angelo, che


litigano per raccontare l’episodio. Usano lingue diverse: l’angelo usa un veneto ele-
gante e forbito, l’ubriaco invece trasforma Cristo in una sorta di Dioniso che incita la
gente a bere e mangiare. La versione carnevalesca dell’ubriaco ha la meglio ed è lui
che finisce di raccontare e addirittura il paradiso è descritto come il paese della cuc-
cagna, pieno di cibo e bevande. Sia l’angelo che l’ubriaco sono recitati da Fo. Nono-
stante in tutti gli episodi il Cristo e la Madonna siano sempre disegnati come positivi,
all’epoca quest’opera fece scalpore e alzò un sacco di critiche. Ci sono parti narrati-
ve. Si tratta di una giullarata. 53

53 A cura di G. Turi, Il meglio di Dario Fo. La discoperta dell’America di Johan Padan e altri brani teatrali

dell’artista premio Nobel, I LIBRI DI AVVENIMENTI, LIBERA INFORMAZIONE EDITRICE S.p.A AV-
VENIMENTI, SETTIMANALE DELL’ALTRA ITALIA, 1997

59
4.4 Morte accidentale di un anarchico (1970)

E’ considerato un capolavoro all’interno delle commedie di Fo. E’ una rivisitazione


italiana di un fatto realmente accaduto a New York nel 1921:
Un emigrato italiano anarchico si suicida buttandosi dalla finestra. Dopo inchieste e
perizie si scopre che aveva subito un puro interrogatorio. Fo maschera il presente con
un passato non remotissimo agendo su due piani: La contemporaneità e la storia. Il
richiamo è alla vicenda di Pinelli, un anarchico che pochi giorni dopo la strage di
Piazza Fontana subì la stessa sorte dell’anarchico del 1921. Pinelli, infatti, morì ca-
dendo da una finestra della questura di Milano. Pinelli fu riconosciuto innocente.

L’opera fu messa in scena alla fine degli anni 70, aveva una funzione di denuncia e
veniva aggiornata mano mano che le indagini andavano avanti. L’opera si pone tra
tragico e comico, per questo è un capolavoro. Fo inventa un personaggio, un pazzo,
che arriva in questura e comincia a impersonare diversi personaggi creando confu-
sione.

60
La struttura

E’ risultata una messa in scena teatrale esplosiva, carica di un pubblico vasto. Grazie
all’esigenza sociale di una scrittura più rapida Fo inventa una tragicommedia per lo
più comica. Il personaggio irrompe con queste, con queste due facce e smonta pezzo
per pezzo tutta la vicenda applicando alla lettera tutte le argomentazioni dell’accusa.
Ridicolizza la polizia come se fosse costretto a rimangiarsi pezzo per pezzo gli in-
granaggi e alla fine canta il coro degli anarchici. E’ un meccanismo sia comico sia
che lascia in dubbio su verità e funzione. Si usano delle metafore per nascondere
qualcosa. Vi sono dei meccanismi messi in opera in questo spettacolo: l’azione e il
riso carnevalesco. Con quest’opera abbiamo la rottura della quarta parete, il pubblico
si attiva. I congegni della farsa popolare ma anche del teatro del grottesco e dell’ispe-
zione, le formule Pirandelliane e l’esplicità Brechtiana perché i personaggi non hanno
un profilo psicologico e c’è lo straniamento, la sintassi della non comunicazione di
Beckett. Uso degli oggetti e degli abiti alla rovescia, i travestimenti, teatralità colta e
non colta che comprende le scelte per contrasto e per somiglianza delle figure accop-
piate. Abbiamo come una serie di specchi deformati del potere ma non della realtà,
perché Fo non arriva mai a negare il valore della realtà. C’è sempre alla fine una ve-
rità e la vuole raggiungere. Ci sono innumerevoli contraddizioni, ma queste stanno
nel modo di gestire il potere, non nella realtà (concezione brechtiana).
Nel 1973 abbiamo “la guerra del popolo in Cile”: si tratta di uno spettacolo- com-
mento perché alterna parti recitate e testimonianze autentiche più inserimenti grotte-
schi. Gli ultimi spettacoli di Fo ricordati sono “il Diavolo con le zinne” (1997), “Ma-
rino libero! Marino innocente” (1998), “Lu santo Jullare Francesco “ (1999), “Ubu
Bas” (2002) e “L’anomalo bicefalo” (2004).

61
4.5 Considerazioni personali

Analizzando Fo, mi sono imbattuto in un drammaturgo che ha riciclato le menti dei


personaggi del passato ricollocandole nel presente e trasportato le menti del pubblico
contemporaneo nel passato. Ha scosso e rivoluzionato il pensiero collettivo dei suoi
anni, trattando eventi tragici e reali e talvolta surreali col suo sarcasmo. Ha fatto crol-
lare gli schemi di un sistema conservatore che da anni flagellava qualsiasi compor-
tamento artistico e culturale rivoluzionario. Ha rimarcato il territorio della sacralità e
della religione in maniera cruda dando vita ad un teatro aperto a tutti. Un teatro gui-
dato da un oratore che si improvvisa un giullare ma che è teatrante di conoscenza e di
vita. Dario Fo, attraverso l’utilizzo dei movimenti del copro, riempie il palco miman-
do scenografie ed elementi del suo immaginario. Riesce a catturare e trasportare lo
spettatore con una performance rivisitata in chiave contemporanea.

Dario Fo cita Molière:

“Molière diceva: la più grande gioia che ha un uomo è l’accorgersi che ha un cer-
vello che può esprimere momenti di fantasia e immaginazione e il teatro, aggiunge-
va, è il momento di più grande immaginazione.”54

54 D. Fo, Mistero Buffo, 1976:

“ Il capolavoro ideato, scritto e recitato dal grandissimo Dario Fo. Collage divertente e satirico di misteri e
giullarate medioevali e rinascimentali, volto ad insegnare a grandi e piccoli che il potere può facilmente esse-
re annientato con grosse risate.” Antonio de Angelis
Video spettacolo online: (https://www.youtube.com/watch?v=9EdIFECzTVE&t=3535s)

62
Elaborato pratico:
Videoclip Bonifacio VIII Dario Fo

Il videoclip è realizzato attraverso la tecnica


del time-lapse con una fotocamera che ripren-
de i movimenti in sequenza degli schizzi cari-
caturali fatti a matita su foglio.
Attraverso i movimenti delle mani e della ma-
tita ho creato delle illustrazioni in riferimento
al racconto di Bonifacio VIII recitato in
“grammelot” da Dario Fo.

Composto da quattro scene, il video è compo-


sto dall’introduzione e descrizione storica re-
citata da Fo dei papi da Celestino sino a Boni-
facio VIII.

La scena centrale del video è composta da


un’immagine grafica dei tre movimenti e mi-
miche di Fo e la scena finale del viso dell’at-
tore che, giullare del popolo, indossa il capo
papale.

63
Conclusioni

In questa tesi in primis emergono gli approfondimenti sullo studio dello Storytelling
analizzato secondo una prospettiva multidisciplinare.

In secondo luogo abbiamo visto come pensieri scientifici, narrativi, percorsi tra pa-
role e immagini e il senso psicologico del raccontare storie, anche attraverso l’educa-
zione e la narrazione, vengono inseriti in un percorso di estrema importanza nella
vita di tutti i giorni in luoghi educativi e non solo, che col terzo capitolo, dopo i primi
due sul le definizioni, caratteristiche dello studio scritto finora sono concretizzati, per
arrivare a luoghi di cultura e fruizione pubblica, come teatri e musei, attraverso un
filo conduttore che scorre dal passato al contemporaneo.

Infine arriviamo al dulcis in fundo, con il drammaturgo scelto, attraverso una descri-
zione accompagnata da immagini e storia della sua biografia, dello stile e della vita,
fino all’operato e alle recite di fondamento del suo linguaggio.
In conclusione con l’opera da me catturata grazie ad un progetto e degli schizzi pre-
paratori, utilizzando l’arte dello raccontare storie per trasmettere attraverso una co-
municazione persuasiva, che cattura lo spettatore e che necessita di impressioni e
feedback di ritorno, ho concluso la mia tesi.
E’ stata condotta anche un’indagine nei settori della didattica dell’arte attraverso un
corso frequentato con studiosi e docenti in occasione della manifestazione “Monu-
menti Aperti“, a Cagliari, che mi ha permesso di raccogliere molti dati sulla funzione
narrativa e sulla funzione di diversi metodi di apprendimento per qualsiasi tipologia
di età e in qualsiasi contesto didattico, che sia un museo, un’aula scolastica, al teatro
o al cinema.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questo tema sono l’interesse nei
confronti della trasmissione di concetti attraverso l’empatia e la comprensione trami-
te un percorso giocoso, veritiero, fatto di educazione alla portata di tutti, sino al lin-
guaggio del racconto della fiaba, storie tramandate nei secoli riportate oggi su libri di
carta.

64
Infine, avendo trovato delle risposte al tema dello Storytelling, concludo affermando
che:
esso è un’azione che compiamo abitualmente ogni giorno, raccontando la giornata a
qualcuno, facciamo Storytelling, ci “auto-raccontiamo”, “auto-definendoci” qualco-
sa, mettiamo in atto un’ autoanalisi;
Esponendo un concetto a qualcuno, educhiamo spiegando, domandando, incuriosen-
do e suscitando qualcosa al fruitore;
Pensiamo o ricordiamo dei fatti nella nostra mente, impersonando e descrivendo at-
traverso lo sguardo, l’espressione facciale e la gestualità del corpo un’emozione sca-
turita.

L’arte di raccontare non ha ne tempo e ne spazio, perché l’essere umano ha bisogno


di raccontarsi per la sua stessa sopravvivenza, soprattuto da un punto di vista sociale
e psicologico.

Fin dall’antichità l’umanità ha avuto la necessità di tramandare la tradizione orale,


conservando testimonianze, fatti e storie del passato per tutelare le vite di oggi.

Citando Hillman:

“ questa storia, questa finzione, l’ho chiamata base poetica della mente. Immagino
che la mente sia fondata […] su quelle storie supreme, gli Dei, che costruiscono
i modelli fondamentali del nostro agire, credere, conoscere, sentire e soffrire
[…] E’ soltanto nelle storie che questi Dei si mostrano ancora. La mente è
fondata nella sua stessa attività narrativa, nel suo fare fantasia. Questo fare è
poiesis 55. ” 56

55 Lo studioso intende pòiesis nel senso del fare fine a se stesso, come espressione dell’immaginario.

Riferimento pag. 26
Il nome ποίησις (poiesis) che significa propriamente il fare dal nulla appare la prima volta in Erodoto
col senso di "creazione poetica”.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/poiesis)

56 J. Hillman, Le storie che curano, Raffaello Cortina Editore, 1983

Articolo online: (https://www.identitaingabbia.it/2016/02/narrazioni-curanti-lo-storytelling-in-psicologia/)


65
Bibliografia

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• Dallari Marco, Guardare intorno, un approccio pedagogico alla cultura visuale e


audiovisiva, La Nuova Italia, 1987

• Demetrio Duccio, scritti di E. Biffi, M. Castiglioni, E. Mancino, Educare è narrare.


Le teorie, le pratiche, la pratica, 2012

• Pisanty Valentina, introduzione di U. Eco, Leggere la fiaba, Bompiani, 1993

• Maluccio Angela, Processi cognitivi ed evoluzione interiore dei ricordi nell’autobio-


grafia, Piesse, 2015

• Fo Dario, Pagine scelte dalle commedie del Premio Nobel per la Letteratura, Pano-
rama Editore, 1997

• A cura di Turi Gianandrea, Il meglio di Dario Fo. La discoperta dell’America di Jo-


han Padan e altri brani teatrali dell’artista premio Nobel, I LIBRI DI AVVENI-
MENTI, LIBERA INFORMAZIONE EDITRICE S.p.A AVVENIMENTI, SETTI-
MANALE DELL’ALTRA ITALIA, 1997

• Barthes Roland, traduzione A. Lavers, Mythologies, Editore Les Lettres nouvelles,


1957

• Barthes Roland, L’ analisi del racconto, Bompiani, 1969

• Benjamin Walter, Il Narratore, Orient und Occident, 1936

• Vygotskij Lev Semënovič, Pensiero e linguaggio, Laterza, 2008

• Calvino Italo, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, 2002

• Cataldo Lucia, presentazione di Xanthoudaki Maria, Dal Museum Theatre al Digital


Storytelling, Nuove forme della comunicazione museale fra teatro, multimedialità e
narrazione, FrancoAngeli, 2011

• Hillman James, Le storie che curano, Raffaello Cortina Editore, 1983


66
Sitografia

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jakovlevic-propp)

• Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/strutturalismo/


#:~:text=strutturalismo)

• Enciclopedia online Treccani:


(https://www.treccani.it/enciclopedia/formalismo_%28Enciclopedia-del-
Cinema%29/)

• Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/climax/)

• Intervista online: (https://www.youtube.com/watch?v=rflYUHsXbys&t=795s)

• Treccani, Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/vocabolario/storytelling_)

• Articolo web: (http://www.americomunicazione.it/lo-storytelling-per-una-comunica-


zione-di-successo/)

• Sito web:
(https://www.srtraduzioni.it/transcreation-10-domande-per-chiarirsi-le-idee/)

• Sito web: (https://www.acmesas.com/la-transcreation-cose-e-a-cosa-serve/)

• Articolo web (https://scuolaholden.it/storytelling-e-comunicazione-nappi/)

• Articolo online: (https://www.ninjamarketing.it/2014/11/12/storytelling-e-social-me-


dia-una-comunicazione-di-successo/)

• Documento online: (http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-


leonzi-il-viaggio-dell- )

67
• Articolo online:
(http://www.ghenesisrespirazione.com/blog/viaggio-eroe-la-partenza/)

• Articolo online: (https://www.efficacemente.com/piu-autostima/eroe/)

• Enciclopedia online Treccani:


(https://www.treccani.it/enciclopedia/jerome-seymour-bruner)

• Articolo online: (https://www.direfareinsegnare.education/autori/maria-xanthoudaki)

• Sito online: (https://www.raiscuola.rai.it/tecnologia/articoli/2021/12/Maria-Xanthou-


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• Articolo online: (http://www.teatriincomune.roma.it/events/il-teatro-come-strumen-


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• Sito web: (https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-di-catania/


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• Articolo online: (https://repositories.lib.utexas.edu/handle/2152/39414)

• Treccani Enciclopedia online:


(https://www.treccani.it/enciclopedia/dario-fo_%28Dizionario-Biografico%29/)

• Documentario online: (https://www.raiplay.it/programmi/dariofoefrancarame-lano-


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• Treccani Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/vocabolario/affabulatore)

• Treccani, Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/enciclopedia/grammelot_)

• Video spettacolo online:


(https://www.youtube.com/watch?v=9EdIFECzTVE&t=3535s)

68
Ringraziamenti

Desidero ringraziare innanzitutto il Relatore di questa Tesi, la Prof.ssa Paola Pintus,


per essere stata grande motivatrice, per l’attenzione, la disponibilità dimostrate du-
rante tutto questo periodo, oltre che per il coinvolgimento e il piacere provati durante
le lezioni e le chiacchierate.

Ringrazio poi tutta la mia famiglia per il sostegno dato in ogni momento.
Ringrazio Marta, sorella e àncora e sostegno indispensabile.

Ringrazio le mie colleghe di corso: Lucia e Giovanna per avermi dimostrato che an-
che se si è lontani si può essere tanto vicini sostenendosi e ascoltandosi.
Ringrazio Franzisca che ascoltandomi ha creduto in me con ogni mio cambiamento,
tristezza e gioia consigliandomi sempre il meglio.
Ringrazio Stefania, Anna e Antonella, coinquiline e amiche/sorelle sin dal primo
giorno a Sassari, per avermi fatto sentire a casa e strappandomi sorrisi in ogni mo-
mento durante questi anni universitari.
Grazie a Roberto, che entrando nella mia vita ha compreso ogni parte di me soste-
nendomi in ogni momento.
Concludo ringraziando Alice, Caterina e Elisa, che siete sempre lì nel momento del
bisogno, qualsiasi luogo e qualsiasi ora sia, ricordandomi sempre quanto sia impor-
tante e bella la nostra amicizia.

Grazie a tutti voi questa tesi è stata scritta non solo con passione e parsimonia, ma
con buona volontà, fiducia e gioia in quello che si fa e che si è.

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