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Scuola di Scenografia
STORYTELLING
PERCORSI NARRATIVI TRA IMMAGINI E TESTO
Sessione Estiva
A. A. 2021/2022
Indice
INTRODUZIONE 1
2
CAPITOLO 4 - DARIO FO
4.1 Biografia 45
CONCLUSIONI 64
BIBLIOGRAFIA 66
SITOGRAFIA 67
RINGRAZIAMENTI 69
3
Introduzione
Alla base di questo studio vi è l’analisi dello Storytelling, attraverso percorsi antro-
pologici, educativi, psicologici, letterari e drammaturgici.
In particolare, si pone l’attenzione sulle differenze tra l’arte di raccontare vista attra-
verso archetipi della narrazione come Il viaggio dell’eroe, l’educazione, la scrittura
autobiografica, il teatro e il museo. Ogni singolo capitolo è collegato da un filo con-
duttore che unisce e rimanda a ogni concetto presentato.
Gli studi condotti al riguardo, come l’analisi svolta da Vladimir Propp sulla Morfolo-
gia della fiaba ma anche da altri autori come Valentina Pisanty, Bruno Bettelheim o
Silvia Pettinicchio hanno rappresentato la base su cui ho fondato la mia ricerca.
L’obiettivo di questa Tesi di laurea è quello di fornire al lettore un’analisi dell’arte di
raccontare storie, del sapersi raccontare e del poter trasmettere ad altri.
Nel primo capitolo viene fornita l’introduzione dello Storytelling, pratica pluridisci-
plinare, attraverso stili diversi, dal discorso fiabesco a quello aziendale.
Nel secondo capitolo sono descritti percorsi di narrazione e educazione.
Nel terzo è contestualizzato il discorso precedente all’interno di luoghi di produzione
e fruizione di cultura pubblica.
Nel quarto e ultimo capitolo lo scritto si sviluppa con la presentazione dei dati raccol-
ti sul drammaturgo scelto che ha determinato l’idea per svolgere l’elaborato pratico,
dal progetto allo sviluppo finale: il videoclip.
1
CAPITOLO 1 : STORYTELLING E VIAGGIO DELL’EROE
1 Definizione di Storytelling
2 Vladimir Jakovlevič Propp è stato un linguista, antropologo russo e studioso di folclore russo.
Nato il 15 aprile 1895 a San Pietroburgo, ha frequentato l'università della sua città natale sino al 1918, laurean-
dosi in filologia russa e tedesca. Dopo la laurea, ha insegnato russo e tedesco e in seguito come professore uni-
versitario di letteratura tedesca.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/vladimir-jakovlevic-propp)
4 Claude Lévi-Strauss è stato un antropologo, sociologo, filosofo francese e teorico dello strutturalismo.
5 Formalismo: con il termine formalismo ci si riferisce a un insieme di innovative ricerche sulla letteratura e la
poesia elaborate in Unione Sovietica nel corso degli anni Venti del Novecento.
Enciclopedia online Treccani:
(https://www.treccani.it/enciclopedia/formalismo_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/)
3
L’autore ha analizzato circa 400 fiabe russe, chiarendo come la funzione all’interno
della vicenda prescinda dal personaggio e come l’azione abbia una collocazione nella
vicenda narrativa. Si possono quindi distinguere gli elementi variabili, come le carat-
teristiche fisiche e psicologiche, e gli invariabili, ovvero la funzione stessa del perso-
naggio in questione.
Gli archetipi, che compaiono nei miti, nelle religioni, nei sogni, sono diversi dagli
stereotipi, sono funzioni, non sono ruoli rigidi, hanno a che fare con l’inconscio col-
lettivo che teorizzava C. G. Jung, orientano l’individuo nel suo percorso di ricerca,
di individuazione, di individuazione interiore; sono modelli di comportamento deri-
vanti dall’esperienza umana e appartenenti a tutte le culture, sono simboli culturali
fissati nell’inconscio collettivo – cioè l’Anima, l’Ombra, il Vecchio Saggio - e sono
proprio le funzioni i soggetti della ricerca di Propp.
• L’antagonista;
• Il mandante;
• L’aiutante dell’eroina/eroe;
• Il premio;
• Il genitore di lei/lui;
• Il donatore;
• La vittima, la/il ricercatrice/ricercatore;
• Il falso eroe.
4
In sintesi lo schema di una fiaba descritto da Propp, è diviso nei seguenti punti:
l’ equilibrio iniziale, la rottura dell’equilibrio, le peripezie dell’eroe e infine lo rista-
bilimento dell’equilibrio.
Vi sono molteplici funzioni, descritte successivamente nel paragrafo del Viaggio del-
l’eroe che possono essere presenti nella storia, non necessariamente in sequenza, tal-
volta ripetute o mancanti a seconda della complessità dell’intreccio del percorso nar-
rativo.
Durante l’applicazione dello schema di Propp, attraverso la progettazione di una
struttura narrativa, è possibile adattare alla situazione che si intende descrivere, ca-
lando i personaggi di qualsiasi epoca storica.
Questa tipologia è stata dimostrata anche da Vogler nell’analisi di alcuni film di ogni
genere, dal thriller alla commedia.
Con i lavori di Propp, Campbell e Vogler, da cui non si prescinde per un accurato
studio e una attenta programmazione, si seguono schemi per avere la certezza di scri-
vere storie restando all’interno della corrente che accompagna l’umanità dalle grandi
epopee storico-religiose fino ai giorni nostri.
5
In un’intervista sul funzionamento e scopo dello Storytelling, la docente e marketer
S. Pettinicchio sostiene che: “già dall’antichità la narrazione orale era il mezzo con
cui venivano trasmesse le nozioni. L’uomo non ha mai smesso di raccontarsi nel
tempo.
Si parla di storytelling anche quando si raccontano storie all’interno della famiglia,
attraverso l’albero genealogico. Ma anche raccontare la nostra storia personale.
Anche dal punto di vista del marketing vi è lo studio dello storytelling per veicolare il
mondo dell’azienda, attraverso un interlocutore che dialoga col pubblico”.
Attraverso una sua riflessione afferma che devono essere presenti quattro
caratteristiche per raccontare una storia attraverso lo storytelling.
Una storia deve:
1) Suscitare interesse: è una fase fondamentale per poter narrare una storia, poiché
essa deve suscitare interesse per l’interlocutore. Avendo in mente però sempre
quale tipologia di pubblico abbiamo di fronte e quale potrebbe essere la sua at-
tenzione in base alla personalità, età, cultura etc.
3) Coinvolgere: un bravo storyteller, alla fine di una storia, deve essere in grado di
avvincere le persone col nostro racconto, per esempio con i sensi che devono es-
sere resi vividi. O la voce che viene modulata in base alla circostanza.
4) Ispirare: spingere la persona a compiere qualcosa. Alla fine della storia la persona
deve essere ispirata e non spinta o costretta a fare quello che interessa a noi.
6
Climax
Tensione Rilascio
50
38
25
Problema
13
Protagonista Ritorno alla
Antagonista0 normalità
“In tutti i classici narrativi e in tutte le storie che ci raccontavano sin da piccoli ci
sono un protagonista, un antagonista e un qualcosa che succede che si presenta
come un problema. All’inizio di un racconto la tensione sale, cominciamo a seguire il
narratore nella narrazione. Ad un certo punto subentra il climax 6 (clima).
Qui esplode la narrazione. Successivamente vi è il rilascio, dove avviene la risolu-
zione del problema passato precedentemente.
Ora abbiamo il ritorno alla normalità. In questo momento noi abbiamo compiuto un
percorso. Durante questo percorso la nostra tensione è massima. Ora ci sentiamo
come affascinati, avvinti dal racconto.
Possiamo usare questo percorso per parlare di marketing e di brand.” 7
6 Clìmax: termine che deriva dal greco “scala”. In narrativa sarebbe il momento culminante, il clou del raccon-
to. Figura retorica, per la quale il discorso aumenta gradatamente di forza con la disposizione dei termini in
ordine crescente di valore. Detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare gradata-
mente da un concetto all’altro, o nel ribadire un concetto unico con vocaboli sinonimi via via più efficaci e
intensi, o nel disporre i termini di una frase in ordine crescente di valore e di forza.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/climax/)
7 Intervista online a S. Pettinicchio, Storytelling: come raccontare storie che portano valore, 2020
(https://www.youtube.com/watch?v=rflYUHsXbys&t=795s)
7
M. Newell, Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey, 2018
Il transcreator riceve un testo scritto nella lingua di partenza e deve decodificarlo per poi adattarlo
nella lingua d’arrivo. Il testo che l’operatore produce deve avere lo stesso impatto dell’originale.
Sito web: (https://www.srtraduzioni.it/transcreation-10-domande-per-chiarirsi-le-idee/)
Transcreation: dall’ingl. E’ la resa di un testo in un’altra lingua mantenendone lo stesso intento, stile, tono e
contesto.La transcreation è una via di mezzo tra la traduzione il copywriting, per cui un testo viene riscritto
mantenendo il messaggio originale. E’ solitamente utilizzata per testi promozionali o pubblicitari
Sito web: (https://www.acmesas.com/la-transcreation-cose-e-a-cosa-serve/)
8
Il primo passo da compiere è conoscere bene il proprio universo narrativo e la storia
che si vuole raccontare, ma bisognerà anche pensare agli interlocutori: trovare una
lingua comune, saper cogliere la loro attenzione e mantenerla, perché questa è la
chiave per permettergli di vivere nuove esperienze ed emozioni.
Per esempio, durante una lezione si parla di argomenti, contenuti e di diverse forme
che può assumere un racconto dai social alle presentazioni, dagli eventi alle perfor-
mance. Non si farà mai soltanto teoria: ci sono esercizi pratici nei quali si ricevono
riscontri su quel che si affronta durante la lezione. Ogni lezione è un’occasione per
migliorarsi, per rispondere alle stesse domande che ogni narratore ha dovuto affron-
tare, bisogna accettare di sbagliare a volte. A volte vale sia per un’azienda che voglia
raccontare meglio i suoi prodotti che per chiunque sia in cerca di idee e ispirazioni
per il suo lavoro, ogni tipologia di storyteller insomma.” 10
Twitter
Con Twitter si nota come lo storytelling sia sempre più importante, l’aggiornamento
che aveva creato scalpore perché lo rendeva simile a Facebook con più spazio alle
immagini, è stato fatto anche per migliorare la possibilità di narrazione. Un esempio
concreto e forte di storytelling di successo è quello di Obama nel momento delle rie-
lezioni. Con una foto e una descrizione di tre semplici parole ha raccontato la fine di
una storia e l’inizio di un’altra.
10
Instagram
Su Instagram è possibile condividere immagini d’effetto o, come ha fatto Starbucks,
creare un video che racconta una storia. Quasi come se stessero raccontando l’inizio
di un romanzo.
Con una frase Seth Godin, imprenditore e marketer, ha affermato come diventare un
buon narratore del suo mestiere: “bisogna raccontare storie che si diffondano, creare
prodotti rimarchevoli, vivere e far vivere il racconto”.11
Documento online:
(http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-)
12
Come sostiene C. Vogler 13, autore e sceneggiatore statunitense: “questo archetipo è
la codificazione del percorso narrativo che troviamo in quasi tutte le sceneggiature
cinematografiche e letterarie.”
L’autore parte da poemi epici, racconti mitici, romanzi, fumetti e dalle letture dell’o-
pera di Campbell 14, saggista e storico delle religioni statunitensi, “L’eroe dai mille
volti”, che sta alla base di una trama-archetipo o monolito. Quest’ultima opera è nata
da ricerche sulle fiabe dei fratelli Grimm 15, da leggende celtiche e opere di Jung.
Vogler capisce di aver trovato la chiave per prodotti e romanzi con alla base l’arche-
tipo tanto ricercato.
Nel 1992 pubblica un memorandum di poche pagine per alcuni prodotti Disney che
diventa poi un libro dal titolo “The Writer’s Journey: Mythic Strutture For Writers”,
pubblicato nella versione italiana come “Il viaggio dell’eroe”.
13 Christopher Vogler è uno sceneggiatore statunitense di Hollywood. Dopo aver letto poemi epici, racconti
mitici, romanzi e fumetti, alla ricerca della «ricetta segreta» per una buona storia, si imbatte nel testo di Joseph
Campbell «L eroe dai mille volti», nato da ricerche sulle fiabe dei fratelli Grimm, le leggende celtiche, le opere
di Jung etc. Alla base di una trama archetipo o monomito, lo studioso capisce di aver trovato la chiave di ac-
cesso alla fortuna di prodotti come Star Wars, Incontri ravvicinati del terzo tipo, e altri. Nel 1992 scrive un
memorandum di sette pagine per alcuni prodotti Disney, che diventa poi un libro dal titolo The Writer's Jour-
ney: Mythic Structure For Writers, pubblicato in italiano come Il viaggio dell’eroe.
Sito web: (http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-eroe.html)
14 Joseph Campbell è stato un Saggista e storico delle religioni statunitense. L’autore è noto soprattutto per i
suoi studi in mitologia e religione comparata e si è distinto per il suo approccio comparativo e simbolico; oltre
che alla psicologia. I lavori più riconosciuti si ricordano The hero with a thousand faces (L’eroe dai mille volti,
1949). Gli studi di C. sulla mitologia hanno suscitato interesse anche nel mondo del cinema, influenzando di-
versi registi.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/joseph-campbell)
15 Jacob e E Wilhelm Grimm furono due studiosi della lingua e della cultura tedesca, professori in prestigiose
università, che pubblicarono grammatiche, dizionari, saghe mitologiche, raccolte di leggi. Due fratelli che fis-
sarono sui libri le antiche fiabe della tradizione orale. Sono state le fiabe a dar loro la fama: le raccolsero dalla
viva voce del popolo, convinti che si trattasse di un bagaglio culturale importante per affermare l'identità di
una nazione che stava cercando di realizzare la propria unità politica.
La raccolta di fiabe dei Grimm è il libro più letto nel mondo dopo la Bibbia, e ne esistono infinite riduzioni e
adattamenti. Gli autori non si limitarono a raccogliere e registrare, ma rielaborarono e svilupparono secondo la
loro sensibilità artistica il materiale folcloristico. Nel 2005 l'UNESCO ha proclamato le fiabe dei Grimm pa-
trimonio dell’umanità.
Enciclopedia online Treccani:
(https://www.treccani.it/enciclopedia/jacob-e-wilhelm-grimm_(Enciclopedia-dei-ragazzi))
13
Con quest’opera l’autore illustra alcuni elementi comuni agli eroi di ogni racconto:
Questa è la strada delle prove. Dopo aver varcato la prima soglia l’eroe si ritrova ad
affrontare nuove sfide creandosi nuovi alleati e nemici e impara a conoscere il mondo
straordinario. Impara a conoscere se stesso, la sua indole, le sue mancanze e il suo
scopo. E’ lo stadio della consapevolezza.
L’aiuto dall’esterno, il varco della soglia del ritorno, o il ritorno nel mondo normale,
la natura e la funzione del dono finale.17
L’eroe varca nuovamente la soglia, ma sta volta passando dal mondo straordinario al
mondo ordinario, da dove era venuto. Ora torna, però, con una diversa consapevolez-
za del suo percorso e di se. Non torna a mani vuote.
Per Campbell, questo step ha più momenti distinti.
Il rifiuto a ritornare: se l’eroe non intende ritornare al Mondo ordinario, è il Mondo
ordinario che bussa alla porta dell’eroe. Mentre esso era occupato nel suo viaggio, i
problemi della realtà si sono ingigantiti e la posta in gioco è aumentata a dismisura.
Campbell identifica, quindi, l’aiuto dell’esterno cioè la realtà che viene a riprendersi
l’eroe.18
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continen-
te, una parte del tutto.” John Donne
Documento online:
(http://docplayer.it/25343431-Media-e-studi-culturali-prof-silvia-leonzi-il-viaggio-dell-eroe.html)
6) Prove, alleati e nemici: l’eroe si troverà ad affrontare nuove sfide, attraverso esse
si creerà nuovi alleati e nuovi nemici;
8) La prova centrale: l’eroe si trova ad affrontare la prova più importante della pro-
pria vita, si trova ad affrontare e a dover superare le sue paure più profonde.
9) La ricompensa, il premio: una volta superata la prova centrale l’eroe può appro-
priarsi della giusta ricompensa. A volte il premio non è un oggetto o una persona, ma
una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé. Il premio quindi può essere la pro-
va della maturazione dell’eroe.
10) La via del ritorno: non è solo considerato un’evento benevolo in quanto ora
l’eroe deve affrontare le conseguenze dell’aver sfidato le forze oscure nella caverna
del mondo straordinario. La via del ritorno consegue pericoli, tentazioni e nuove sfi-
de.
11) La resurrezione: in questa fase le forze oscure sferrano il loro ultimo e disperato
attacco. L’eroe dopo aver affrontato quest’ultimo esame può finalmente tornare al
16
mondo ordinario. Superato questo, l’eroe “rinato” può finalmente tornare alla sua
vita ordinaria, ma nulla sarà più come prima.
12) Il ritorno con l’Elisir: nell’ultima fase l’eroe torna nel suo mondo portando con
sé un “elisir”, ovvero un tesoro, un amuleto o una tecnologia in grado di giovare al-
l’intera comunità.
Perché il viaggio sia completo e abbia ottenuto un significato, ora è l’eroe che impara
a condividere quanto appreso nel suo percorso con gli altri, diventando a sua volta il
loro mentore se necessario.19
1.2) Il mondo ordinario, l’ambiente: all’inizio del viaggio, l’eroe, o l’eroina, vivo-
no all’interno della loro quotidianità. La routine ordinaria e banale del mondo de-
scritto costituisce uno scenario rassicurante, che si prepara ad essere sconvolto (Il
mondo ordinario è una rappresentazione statica ma allo stesso tempo instabile).
2.1) La chiamata all’avventura come seduzione: con la precedente, qui l’eroe vie-
ne strappato alla vita quotidiana e scaraventato in un nuovo mondo, estraneo, a volte
ostile, sconosciuto. Ora è evidente il valore della posta in gioco e l’obiettivo da rag-
giungere.L’eroe può essere obbligato a rispondere all’appello, non avendo altra scel-
ta, o può decidere liberamente di accettare; in ogni caso, la sua vita non sarà più la
stessa.20
Narrare ed educare sono funzioni sociali e mentali apprese con naturalezza conside-
rate anche come arti e tecniche o tecnologie. Citando la metafora introdotta da J.
Bruner:
18
Si è sempre narrato per educare così come si è educato, in ogni cultura, attraverso
molte modalità di narrazione, come ad esempio col Kamishibai.21
Educare è concetto e parola che aggiunge ad una narrazione, o assegna al narratore,
uno scopo pedagogico. E’ l’intenzione di stimolare apprendimenti cognitivi, affettivi-
tà, l’assunzione di principi e qualità morali, abilità riflessive e così via.
Grazie alla facoltà di coinvolgere, attrarre, istruire, muovere, dimostrare, provocare,
indurre imitazioni.
Viene riconosciuta anche come l’attitudine di coinvolgere, attrarre, istruire, muovere,
dimostrare, provocare e indurre imitazioni.22
Noi “pensiamo per storie”: la nostra mente necessita di costruire schemi o strutture
cognitive per dar luogo ad un’attività pensante. Il bambino grazie alla fiaba, alle
semplici storie che ascolta in famiglia, ai ricordi dei grandi che lo colpiscono viene
educato, nella vita quotidiana della sua infanzia. Si impara a pensare attraverso questi
costrutti mentali.
21 Il Kamishibai, traducibile come "dramma di carta", (Kami: Carta; Shibai:Teatro/Dramma) è un antico meto-
do giapponese di raccontare storie che ha avuto la sua massima espressione nel periodo del primo dopo guerra,
quindi tra gli anni ’20 e gli anni ’50. Il Kamishibai è un originale ed efficace strumento per l'animazione alla
lettura, è un teatro d’immagini di origine giapponese utilizzato dai cantastorie.
Una valigetta in legno nella quale vengono inserite delle tavole stampate sia davanti che dietro: da una parte il
disegno e dall’altra il testo. Lo spettatore vede l’immagine mentre il narratore legge la storia.
Il Kamishibai invita a raccontare e fare teatro, a scuola, in biblioteca, in ludoteca, a casa.
Articolo online: (https://www.artebambini.it/attivita-editoriale/kamishibai/)
22 D. Demetrio, Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la pratica, scritti di E. Biffi, M. Castiglioni, E. Man-
Ci affezioniamo a tal punto al loro senso, quando diventiamo le nostre storie, da non
dover privarcene. Accade che molti termini ci abbandonino spontaneamente: senza
accorgercene, essi vengono eliminati e sostituiti per far spazio a novità lessicali.
Ogni parola detta o scritta non è mai soltanto una parola: è la sintesi di mentalità ri-
cevute in eredità, di scoperte individuali, di luoghi comuni e di raffinate e dotte revi-
sioni.
23 Jerome Seymour Bruner - Psicologo e pedagogista statunitense, professore a Harvard e direttore del Center
of cognitive Studies. Ha studiato sperimentalmente l'elaborazione e l'organizzazione dei dati da parte del sog-
getto nei processi conoscitivi e di apprendimento, applicando i risultati ottenuti alla didattica delle diverse ma-
terie di insegnamento. Il suo pensiero elabora un'alternativa al comportamentismo e alla pedagogia di Dewey.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/jerome-seymour-bruner)
20
conducibile a un processo di neuroni organizzati in memorie, schemi, programmi
che accolgono il bisogno e desiderio di non perdersi, di orientarsi nel caos degli sti-
moli sensoriali, memoriali, emotivi.24
La metafora introdotta da Bruner è che tutti noi in continuazione “fabbrichiamo sto-
rie”.
E’ possibile anche educare al tenere memoria poiché, con le nuove tecnologie digita-
li, ad esempio, non si perde nulla ma tutto si può dimenticare:
Il flusso costante e continuo di informazioni rende nuovo un attimo dopo l’altro.
La memoria è ora un processo creativo importante che riproduce nuovo un ricordo
ogni volta che ricordiamo.
Salvare l’istante dal fluire del tempo non significa ricordare: a partire da quell’istan-
tanea, ricordando creiamo qualcosa di nuovo che ha a che vedere con quanto tempo
in quel momento stiamo attraversando. Ricordare è una competenza cui ci si deve
formare.
L’impulso a raccontare una storia, inventando o attingendo alla realtà, è un istinto po-
tente e primario a sé: si chiama “istinto narrativo”.
Il fascino delle narrazioni è che esse ci raccontano molto di più rispetto a quanto sia-
no in grado di comunicarci. Ogni storia rinvia a un non detto, ha bisogno di essere
arricchita e completata da opinioni del suo lettore o interlocutore.
Narrare è una manifestazione del modo con cui pensiamo. Questo ha una rilevanza
educativa: possiamo scoprire qualcosa di più di noi stessi o degli altri in base alle
modulazioni del loro raccontare o del nostro raccontarci.
Siamo soggetti narranti, conferiamo ai racconti in forma linguistica, iconica, dram-
maturgia, scenografica etc. L’educazione trasforma gli episodi, gli spazi, i momenti
narrativi in opportunità pedagogiche quando coloro che li abbiano direttamente o di
riflesso vissuti non possono più dirsi simili a prima.
In questo saggio Bruner affronta la dimensione del narrare come fondamento del pensiero umano. Il pensiero
narrativo permette la costruzione delle categorie del contesto e della dimensione identitaria di ciascun indivi-
duo.
21
Ogni narrazione è intenta a comunicare qualcosa. Ci permette di scoprire, pensare,
scrivere e parlare. Insomma, ci accomuna tutti.
L’educazione interiore consisterà nell’accendere i processi introspettivi e rievocativi
intrinseci alle predisposizioni della mente e del sentimento. Il mostrarsi, in seguito ad
un intervento educativo, più pensosi, più autocritici, più consapevoli dei propri errori,
meno egoisticamente autocentranti. Sono gli effetti di un’educazione capace di mu-
tarsi nel corso del tempo in “autoeducazione”.
Gli strumenti e i cammini entro i quali l’educazione possa venir coniugata nelle di-
verse accezioni:
Il legame che unisce il sapere pedagogico e la narrazione sta nella pratica dell’inse-
gnare e dell’educare che si situano nell’incontro, nella relazione e nel dialogo. La
dimensione dialogica è presente in qualsiasi esperienza educativa. Laddove vi è edu-
cazione vi è esperienza di scambio, vi sono due narrazioni che si intrecciano e danno
origine a una storia nuova.
La narrazione è la forma attraverso la quale il nostro pensiero organizza e rende con-
divisibile ciò che accade al suo interno. L’abilità narrativa è la caratteristica che si
radica nel nostro essere sociali.
22
• Si narra per educare e per insegnare, in quanto si ha il bisogno della narrazione quale
canale di comunicazione, condivisione, modalità di costruzione del sapere e pensiero
stesso.
Una svolta narrativa nel pensiero scientifico che ha palesato l’importanza della nar-
razione e delle storie per studiare, descrivere e raccontare l’umano.
Oralità, scrittura e gesto sono canali espressivi che si vedono intrecciati nelle narra-
zioni dell’educare.
Occuparsi di narrazioni significa occuparsi di storie. Una storia è una narrazione che
ha per oggetto avvenimenti, che siano inerenti l’intero genere umano (la Storia), per
la vita del singolo individuo (le storie di vita).
La storia è l’oggetto di cui si racconta, il racconto è il discorso attraverso cui la storia
viene evocata e la narrazione è l’atto con cui qualcuno racconta qualcosa ad un altro.
23
Nelle pratiche le storie e le narrazioni sono sempre presenti tre funzioni trasversali
nei servizi educativi: aggregare, sostenere, tutelare:
• Funzione aggregativa: la condivisione è alla base del raccontare e del raccontarsi.
Stare insieme comporta la capacità di riconoscere l’altro, l’esigenza di dare all’altro
rispetto e di mostrarsi aperto all’incontro con una storia diversa della propria. Le pra-
tiche narrative rinforzano questo quando si rivelano occasioni di confronto e di co-
noscenza reciproca e supportate da un atteggiamento di curiosità e di apertura non
giudicante.
• Funzione di sostegno: l’essere consapevoli della propria storia, il riconoscere la forza
del percorso fatto.
• Funzione di tutela: la principale tutela passa attraverso la consapevolezza del valore
della propria storia e del proprio diritto a raccontarla.
La narrazione può diventare una risorsa, strumento di lavoro all’interno del progetto
educativo e lo può fare sopratutto in tre modi: educando al raccontare, educando al
raccontarsi e educando al tenere memoria.
Nel panorama contemporaneo si sta rendendo urgente l’esigenza di un’educazione
alla narrazione capace di rispondere a nuove sfide. Quanto sta accadendo in questa
epoca è l’amplificarsi a dismisura della circolazione narrativa, che rende più incal-
zante la necessità di sostenere i singoli e le comunità nella gestione di una rete narra-
tiva aggrovigliata.
Da un lato la narrazione ci appartiene e ci circonda, dall’altro la narrazione va condi-
visa.
Il nostro è un pensiero narrativo: per pensare costruiamo storie tramite le quali orga-
nizzare l’accadere, che danno spazio al punto di vista del soggetto narrante.
La capacità di raccontare è esercizio del pensiero di cui è necessario prendersi cura.
27 James Hillman è stato uno psicologo statunitense che ha rivisitato le teorie di Jung discostandosene par-
zialmente e proponendo una revisione della psicologia a partire dalla centralità dell'attività "immaginale" del-
l'uomo, rileggendola in quanto indagine e riflessione etico-sociale sulle problematiche dell'uomo contempora-
neo più che come vero e proprio "indirizzo" psicoterapeutico.
Fondatore della cosiddetta psicologia archetipica, lo studioso propone una revisione della psicologia e della
psicopatologia a partire dalla centralità dell'attività "immaginale" universale dell'uomo, intesa come contrappo-
sta alle attività finalizzate e normative dell'Io. Il discorso dell'anima, il cosiddetto "fare anima" di Hillman,
diviene allora elaborazione della base immaginale dei miti, collegamento con l'immediatezza dell'esperienza
sensoriale, attenzione alla molteplicità di intenzioni e prospettive che albergano nella nostra coscienza, in una
continua e feconda decostruzione simbolica di aspetti e vicende della realtà nella quale siamo immersi. La psi-
cologia di Hillman è andata via via ponendosi come indagine e riflessione etico-sociale sulle problematiche
dell'uomo contemporaneo, più che come vero e proprio "indirizzo" psicoterapeutico. H. Si è dedicato unica-
mente all'attività culturale, sospendendo la professione analitica.
26
Il senso di continuità e di coerenza sono supportati dalla costruzione di un ordine nar-
rativo che congiunge il presente al passato. Il ricordo è un atto immaginativo il cui
significato influenza la valutazione he diamo al presente.
La terapia parte dall’attenzione al racconto letterale del paziente. Devono esserci
confini molto precisi tra il racconto di fatti esteriori e storici e la ricerca di una di-
mensione interiore, quindi psicologica. La relazione tra esteriore ed interiore non va
costruita attraverso l’interpretazione: è un’attività immaginava della psiche del tera-
peuta che viene sollecitata dall’immagine che il paziente porta di sé. Riscrivere la
storia clinica come storia dell’anima vuol dire seguire la pista della trama di signifi-
cato attraverso “una collaborazione tra narrazioni”.
Hillman sostiene che non è l’uomo che va curato ma le immagini del suo ricordo
perché il modo in cui ci raccontiamo e immaginiamo la nostra storia, influenza il cor-
so alla nostra vita. La narrazione terapeutica è possibile se il terapista si pone di fron-
te alle manifestazioni psichiche del paziente e alle sue lasciandole come espressione
pura, senza forzarle nel pregiudizio di una teoria.
28 C. G. Jung, psichiatra, psicologo e storico della cultura svizzero, è il fondatore della psicologia analitica.
29 Nel pensiero dello psichiatra e psicologo svizzero C. G. Jung (1875-1961), immagine primordiale contenuta
nell’inconscio collettivo, la quale riunisce le esperienze della specie umana e della vita animale che la prece-
dette, costituendo gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni
27
La sofferenza scaturisce da un’eccessiva identificazione con le proprie narrazioni
personali, quelle che sono sotto il dominio dell’Io.
Secondo Jung:
“ questo tipo di processo di guarigione per mezzo dell’immagine dipende da un sen-
so narrativo. Si è in attento servizio dentro una realtà immaginativa. La guarigione è
prima di tutto guarigione del nostro senso narrativo, che dona un senso narrativo
anche ai nostri disturbi. Dobbiamo prenderci cura dell’immaginazione, dal momento
che può essere anche fonte del nostro disturbo. La riparazione della propria vita alla
luce delle componenti mitiche che l’anima rivela attraverso l’immaginario, modifica
l’influenza patogenetica del passato. “
Si può dire quindi che per Hillman, la psicoterapia sia un processo di acquisizione di
consapevolezza del proprio mito personale o, come sostiene nel suo operato, di rico-
noscimento del proprio destino.30
30 J. Hillman, Il codice dell’anima, Milano, Adelfi, 1997; Articolo online della Dott.ssa F. Fera,
Le storie che curano (James Hillman), sito web GIANNICOLA DE ANTONIIS, 2008
(https://www.giannicoladeantoniis.com/le-storie-che-curano-james-hillman/)
28
T. Taylor, The Help, 2011
L’influsso dei processi cognitivi e mnestici31 che intervengono nel processo di scrit-
tura autobiografica. Uno dei momenti fondamentali sembra essere quello della rievo-
cazione dei ricordi, che precede e sostiene l’intero processo.
Comprendere questi processi mnestici aiuta a capire come il nostro passato continui
ad influenzare in maniera significativa il nostro presente e il nostro futuro, nel mo-
mento in cui tali eventi vengono richiamati alla conoscenza attraverso l’espediente
autobiografico. 32
Si narra e si interloquisce anche con se stessi. Siamo autori, attori e destinatari di rac-
conti autoprodotti. Siamo dotati di mezzi autonarrativi potenti. L’educazione alla nar-
razione non privilegia soltanto la dimensione relazionale e sociale;
32 A. Maluccio, Processi cognitivi ed evoluzione interiore dei ricordi nell’autobiografia, Piesse, 2015
29
Imparare a raccontare storie e la propria equivale ad accelerare il conseguimento di
competenze e regole utili alle esigenze dalle attività di studio destinate all’apprezza-
mento pubblico, quanto alla propensione a intrecciare la relazione con il nostro pas-
sato, il presente, i progetti per il futuro. Prima ancora di interloquire con gli altri,
siamo in ogni momento della giornata in perenne dialogo con noi stessi.
Cinque possibili prospettive per unire i concetti di educazione e narrazione alla sco-
perta di se stessi:
30
3) Educare a pensare e riflettere
“ La scrittura non è solo un genere letterario, talvolta può diventare uno stile di vita,
un’abitudine. A lungo andare diventa, oltre ad un modo di essere, una condotta filo-
sofica, persino una disciplina intellettuale o un “gesto sacro”. Ci accompagna nel
nostro bisogno di segreti e invisibilità, sollecita a connettere immagini ad istanti;
ci impedisce di affogare quando ci stiamo perdendo e ci accompagna nella nostra
solitudine. “
Il risultato della rivoluzione tecnologica del XXI secolo è che ad oggi non si è mai
scritto così tanto. La rete è percorsa da scritture personali (post, autobiografie, piccoli
racconti, memorie, etc).
Educare a raccontarsi significa lavorare sul tema del rispetto, di sé e degli altri, del-
l’etica della condivisione e del confronto, della privacy. La necessità di formare i nar-
ratori in crescita alla consapevolezza della scelta, all’etica del silenzio.
31
Nel momento in cui incontriamo una storia, non possiamo fingere di non conoscerla.
“L’altro” (lo scrittore) ci ha scelti, ci sta chiamando dentro ad una relazione, ci sta
catapultando dentro la sua storia. Ogni racconto è una condivisione, l’incontro con la
storia dell’altro. Riconoscere un racconto a prescindere dal contesto, saper estrapola-
re un testo dal pretesto richiede professionalità, attitudine all’ascolto e una buona
base di abitudine al racconto.
Come sostiene M. Xanthoudaki 34, vi sono diversi aspetti legati al termine “teatro al
museo”: dalla sua storia e natura, al suo rapporto con la comunicazione e l’educa-
zione museale, la sua reazione con l’esperienza dei visitatori e con il museo con-
temporaneo e il suo ruolo nella società.
All’interno dei musei contemporanei, dove l’esperienza del visitatore è ormai il
centro dell’attenzione, il teatro viene considerato come una potente risorsa per il
coinvolgimento delle persone e per l’arricchimento della loro esperienza educativa.
E’ un linguaggio che consente un approccio dei contenuti sperimentale, creativo e
con un forte impatto emotivo. Per questo il teatro al museo rappresenta e viene uti-
lizzato come strumento educativo.35
34 M. Xanthoudaki: direttrice del Dipartimento educativo e del centro di ricerca in educazione informale
(CREI) presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo Da Vinci” a Milano
Articolo online: (https://www.direfareinsegnare.education/autori/maria-xanthoudaki)
Nuove forme della comunicazione museale fra teatro, multimedialità e narrazione. FrancoAngeli, 2011
33
Attraverso un’intervista, l’autrice introduce il metodo educativo di “Future Inven-
tors”:
“ Questo è un metodo che il progetto omonimo propone alla scuola secondaria di
primo grado.
Il museo nazionale “Leonardo da Vinci” ha voluto costruire, assieme a “Fondazio-
ne Europa”, sperimentare e consolidare un approccio per l’insegnamento e l’ap-
prendimento delle STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathe-
matics), che introduce alcuni elementi innovativi e di avanguardia che contribui-
scono ad arricchire il lavoro che si fa a scuola; sia a livello di insegnanti che degli
studenti. Il nostro approccio si basa sul rapporto fra intelletto e cuore, sull’utilizzo
di strumenti della cultura digitale e su tutti i linguaggi che si usano nell’arte. Que-
sto progetto ingaggia gli studenti, partecipanti attivi dell’esperienza, a livello co-
gnitivo, emotivo ed estetico, a lavorare nell’approfondimento dei contenuti tecnico-
scientifici. Infine invita i partecipanti ad utilizzare gli strumenti appresi a proprio
scopo, per una loro idea, per creare un loro progetto.“ 36
Diversi studi contemporanei, dalla filosofia alla pedagogia, hanno focalizzato l’at-
tenzione sulla narrazione come strumento di mediazione educativa.
Secondo il filosofo Roland Barthes i racconti sono categorie della conoscenza che
ci permettono di capire e ordinare il mondo39; mai è esistito popolo senza narrazio-
ne40. Il raccontare è una pratica di origine antichissima, nasce dall’esigenza sociale
e primordiale dell’uomo di relazionarsi con i suoi simili e di trasmettere qualcosa
attraverso il dialogo. Dai poemi omerici ai cantastorie medievali la narrazione è sta-
ta la trama primaria della comunicazione.
39 R. Barthes, traduzione Annette Lavers, Mythologies, Editore Les Lettres nouvelles, 1957
“ Da un lato le storie sono il mezzo attraverso cui avvengono scambi culturali, dal-
l’altro le persone costruiscono le storie per comprendere anche il mondo e se stes-
si. Le nostre storie servono a mettere ordine nella nostra memoria ma in molti casi
vengono costruite quando qualcosa viola le nostre aspettative ed emerge un’incon-
gruenza che deve essere interpretata. Vi è un sapere non ancora cosciente di ciò
che è stato la cui estrazione in superficie ha la struttura di un risveglio. “
Per Benjamin: “Per Benjamin il narratore è qualcosa di remoto, che continua ad allontanarsi.
E ciò ci vuole dire che l!arte del narrare volge alla fine; è sempre più raro incontrare qualcuno
che sappia raccontare qualcosa come si deve. […]
L!esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori.
Fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono quelli la cui
scrittura si distingue meno dalla voce dei narratori anonimi.
Sito web: (https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-di-catania/letteratura-italiana-contem-
poranea/)
37
Il passaggio da vissuto personale a “estrazione in superficie” e condivisione, non
avviene in maniera scontata ma si tratta di un processo molto complesso, a comin-
ciare dal genere del racconto autobiografico.
Andrea Smorti sostiene che quando il narratore racconta una storia non compie solo
un atto conoscitivo (attribuisce significati) o comunicativo (trasmette significati),
ma “mette in atto un processo di trasformazione di Sé”. Questo tramite la narrazio-
ne di fatti.
Gli stessi temi sono evocati da Calvino nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ra-
gno:
“[…] Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia del-
l’anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui era-
vamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti,
con una voce, una cadenza, un’espressione mimica. […] Alcuni miei racconti, alcune
pagine di questo romanzo hanno all’origine questa tradizione orale appena nata, nei
fatti, nel linguaggio.“43
Col termine “Storytelling”, già definito in precedenza, si intende in questo caso una
metodologia educativa basata sull’utilizzo della tecnica narrativa, sfruttata nelle sue
potenzialità di risorsa cognitiva e di collante sociale. I new media e la loro diffusione
hanno determinato il successo dello Storytelling e del Digital Storytelling.
La figura del Digital Storyteller è chiunque abbia il desiderio di documentare l’espe-
rienza di vita, idee o sentimenti attraverso l’utilizzo di storia e media digitali.
Passando alle tematiche del contesto teatrale, lo storytelling trova un suo specifico
linguistico all’interno del “teatro di narrazione”. Questo si fonda sul racconto di un
performer che assume la funzione di narratore, con la propria identità non sostituita,
cioè senza interpretare un personaggio. Uno dei principali esponenti è il teatro di nar-
razione di Dario Fo.
40
Questo metodo si connota come metodo a sé stante che utilizza alcune tecniche già
note come la narrazione e la sceneggiatura e mezzi come blog, podcasting, unendo
creatività e autenticità. La sua caratteristica è la forma narrativa, personale, dalle forti
connotazioni emotive e sopratutto la necessità, e l’intento di è di condividerlo con
altri in Rete.
Il Digital Storytelling è un processo, che non termina con la sua realizzazione ma si
inserisce e continua a vivere in un tessuto formato da attori sociali, artefatti tecnolo-
gici e culturali, con precisi fini e intenzionalità, il cui focus rimane quello di condivi-
dere significati in un contesto emozionale. 44
L’idea di unire lo Storytelling al museo nasce dal concetto delle narrative museali,
cioè di concepire il museo come insieme di storie, piuttosto che come verità assoluta;
i suoi contenuti sono influenzati dalle idee di chi ha creato le opere, di chi le ha col-
lezionate o selezionate e di chi le ha esposte. E’ importante considerare i messaggi
emanati dal museo come delle storie, come delle narrative, che devono essere lette e
interpretate dai visitatori.
Nei musei lo Storytelling consiste nel “raccontare storie”, prendendo come spunto gli
oggetti di una collezione museale.
Il primo museo ad avvalersi di questo strumento è stato il Metropolitan Museum of
Art di New York nel 1917 che, grazie all’oratrice statunitense Anna Curtis Chandler
45, ampliò il suo programma didattico riadattando storie e racconti su delle diapositi-
ve.
45 Nel 1917 l’oratrice Anna Curtis Chandler iniziò a reinventare ed espandere il programma di narrazione del
Met (Metropolitan Museum od Art, New York), ampliando la sua attività di narrazione attraverso racconti
scritti includendo un pubblico vasto. Vengono create storie radicate nell’impegno ematico di rivoluzionare il
museo. Questo studio implementa l’interpretazione storica dei dati dell’archivio del Met utilizzando un’imma-
ginazione storica motivata.
Articolo online: (https://repositories.lib.utexas.edu/handle/2152/39414)
41
Il pubblico diviene “co-creatore di cultura attiva” in un ambito che l’autore definisce
museo-forum, in cui avviene l’intreccio fra storie personali e storie collettive e viene
fornito “un modo per imparare a esprimere le proprie opinioni, per parlare con la
propria voce”.
Lo storytelling o la narrazione multimediale possono essere strumenti importanti per
il coinvolgimento del visitatore, specie per tutti quei musei in cui gli oggetti rischiano
di rimanere “muti” se non adeguatamente valorizzati, ad esempio i musei tecnici o i
siti archeologici. Nel museo si possono distinguere tre indirizzi della narrazione:
43
Alcune ricerche sul Museum Theatre hanno evidenziato le seguenti prospettive:
• Il potere della narrativa nel sollecitare l’empatia del pubblico;
• L’importanza dell’interattività e la differenza nella volontà di interagire dei bambini
e degli adulti;
• L’interconnessione fra spazio espositivo (mostra, galleria, sito) e performance;
• La varietà di modi in cui i visitatori diventano “pubblici”.
4.1 Biografia
Dario Fo è l’ultimo erede dei più grandi attori del XX secolo. Come i precedenti non
ha avuto bisogno di compagni di scena, ha sempre offerto il meglio di se come attore
solista, ne è di forte esempio il suo capolavoro assoluto Il Mistero Buffo (1969). 48
48 Nato nel 1926 a Sangiano, in provincia di Varese in Lombardia. A Milano frequenta l’Accademia di Belle
Arti di Brera, dove studia scenografia e architettura. Successivamente si dedicò al teatro. Ha lavorato per il
cinema e la televisione; ha dipinto e scritto arte. Nel 1950 incontra Franco Parenti (attore, regista e autore
televisivo italiano). Fo, grazie a Parenti, partecipando alla rivista estiva Sette giorni a Milano cono-
sce Franca Rame. Nel 1953-54 Fo, Parenti e Giustino Durano (un’altro attore italiano) diedero vita al
gruppo I dritti.
Nacque allora la rivista Il dito nell’occhio con la regia a cura di Parenti, le scene e i costumi di Fo e la direzio-
ne mimica affidata ad un altro grande attore teatrale, nonché mimo e pedagogo francese Jacques Lecoq.
Fo scrive le sue rappresentazioni teatrali facendo uso di stili comici propri della commedia dell’arte
italiana. Dario Fo è famoso per i suoi testi teatrali di satira politica e sociale realizzati anche in compagnia
della moglie Franca Rame (drammaturga, attrice teatrale e politica italiana), con la quale fu uno tra gli espo-
nenti del Soccorso Rosso Militare.
Nel 1957 si forma la compagnia Fo-Rame che scrive e mette in scena una serie di farse.
Le commedie surreali degli anni ’60: presentate dalla compagnia teatrale nascono e vengono presentate dagli
anni ’59 al ’67 ca. Sono una serie di spettacoli di gusto ”carnevalesco”.
Il periodo che va dal ’63 al ’67 è l’ultimo periodo di Fo “giullare della borghesia”
mi/dariofoefrancarame-lanostrastoria)
46
Fo riprende la comicità carnevalesca espressa da Bachtin (filosofo russo del 900):
Mistero Buffo, lo spettacolo più famoso di Dario Fo, è composto e si fonda sul con-
cetto di giullarate. Sulle radici del teatro popolare, quello dei giullari, della comme-
dia dell’arte e dei misteri. Con Dario Fo nasce una nuova dimensione del teatro che
nasce dalle tavole del palcoscenico, cioè dalla fusione dei tre ruoli di autore, regista e
attore.
E’ importante il passaggio dalla compagnia Fo-Rame all’associazione Nuova Scena.
47
Questo cambiamento muta quasi completamente lo stile, come sostiene il dinamico
Fo: “Voglio passare da essere giullare della borghesia, al rutto liberatorio della bor-
ghesia, in modo da avvicinare le classi subalterne”.
Il teatro degli anni ’70 di Fo mostra alcune debolezze poiché molto militante e legato
alla denuncia per cui soffoca il lato artistico: ridimensiona il sistema del ruolo recita-
tivo lasciando spazio al codice verbale piuttosto che quello gestuale.
La scenografia con questo artista è quasi azzerata. E’ costituita al massimo da pochi
oggetti che hanno perso quel dinamismo e permutabilità che avevano prima.
In questi anni abbiamo un rifiuto del testo, poiché Fo considera di rifiutare il testo
scritto e valorizza l’evento scenico. Questo atteggiamento porta ad instaurare un
nuovo rapporto. Il primo scopo del drammaturgo è l’abbattimento della quarta parete,
instaura un colloquio con il pubblico e poi mostra, attraverso lo sguardo la storia:
Fo è molto concreto. Riprende una storia dal passato ricollocandola alla cronaca del
presente. Afferma di aver imparato a conoscere le mimiche essenziali teatrali dai co-
siddetti fabulatori50.
Gente semplice, che fa mestieri manuali, che costituiscono un serbatoio per Fo e per
la sua riduzione. Egli ricostruisce a posteriori gli elementi della sua infanzia. Nel ’77
realizza una serie televisiva in cui vengono trasmessi i suoi spettacoli riadattati.
Secondo Beckson la comicità implica un coinvolgimento collettivo: “Il riso è conta-
gioso”; “Riso che passa per il cervello, si colloca nel momento in cui tacciono i sen-
timenti e subentra la ragione”.
50 Affabulatóre [der. di affabulare] : Persona che narra in maniera affascinante e abile o che racconta storie
La forma comica
Si va dalla commedia latina plautina, alla commedia dell’arte, fino allo schema del-
l’inchiesta. L’attore riprende da Pirandello, poiché c’è spesso una struttura a gialle e
si svolgono inchieste in cui alla fine in genere non abbiamo la soluzione del proble-
ma.
Vi emerge il gusto del surreale e dell’assurdo, specie in rapporto alla relazione sani/
matti.
49
In questa volontà di comunicazione diretta col pubblico si ha il comico come stru-
mento essenziale di comunicazione. Le sue opere, anche quelle più idealizzate, non
rinunciano mai al divertimento. Il suo è un teatro coi testi, in modo da condensare
l’esperienza spettacolare.
50
4.3 Mistero buffo
E’ un linguaggio scenico che non si fonda sull’articolazione in parole, ma riproduce alcune proprietà del siste-
ma fonetico di una determinata lingua o varietà, come l’intonazione, il ritmo, le sonorità,
le cadenze, la presenza di particolari foni, e le ricompone in un flusso continuo, che assomiglia a un discorso
e invece consiste in una rapida e arbitraria sequenza di suoni.
Treccani, Enciclopedia online: (https://www.treccani.it/enciclopedia/grammelot_)
52 D. Fo, Pagine scelte dalle commedie del Premio Nobel per la Letteratura, Panorama Editore, 1997
51
Nel Mistero buffo ogni suono, verso, parola o canto, uniti alla complessa gestualità
utilizzata formano un insieme semantico inscindibile, di cui il racconto degli eventi è
solo un capolavoro. Ad esempio sono previsti:
Codici spettacolari
Si arricchiscono di stimoli visivi in una utilizzazione paritaria dei mezzi usati, quindi
parola e azione. Attraverso gesti e movimenti Fo evoca la scenografia, ma non si li-
mita a mimare. Da un lato prosciuga la drammaturgia, dall’altro cerca di colmare la
mancanza con i gesti e i movimenti, riempiendo ciò che manca.
Stile
Lo stile è irriverente e portato all’eccesso, richiama le rappresentazioni medioevali e
seguite da giullari e da cantastorie.
Per questo motivo l’opera prende il nome di Mistero buffo, in riferimento ai misteri
riflessi in chiave buffonesca. A livello tematico quest’opera è una rivistaiole storico-
sociale di un mondo di sfruttati, emarginati, oppressi, diversi, di cui Fo sottolinea la
continuità del passato nel presente. Dal punto di vista drammaturgico, Mistero buffo
rimanda a procedimenti e sensi del teatro popolare, specialmente medioevale.
52
- La “permutabilità” degli oggetti che non sono fisicamente presenti sulla scena ma
vengono evocati e trasformati attraverso i gesti e la mimica dell’autore;
Poi c’è il prologo che si concentra sul riassunto della vicenda che poi ci sarà e in cui
in un certo senso ne mostra anche i fondi: riporta a due leggende popolari: l’orgia di
Bonifacio e l’inchiodamento della lingua di alcuni frati in seguito ad una punizione.
Composizione
Lo spettacolo è composto da numerose giullarate: "Le nozze di Cana”;
“la resurrezione di Lazzaro”; "Dedalo e Icaro”; “Caino e Abele”; “La grammelot
di Scampino”; "Il grammelot dell’avvocato inglese”; “La fame dello Zanni”; “Boni-
facio VIII”; “La nascita del villano”; “Il cieco e lo storpio”; “Il matto e la morte”;
“Rosa fresca aulentissima”; “La strage degli innocenti”; “Il primo miracolo di Gesù
bambino”; “Maria alla croce” e altre.
Linguaggio
La lingua con cui vengono recitate le giullarate è un particolare insieme di dialetti
delle regioni settentrionali e centrali dell’Italia, una lingua sempre perfettamente
comprensibile grazie alla forza della gestualità che accompagna la narrazione.
Si tratta di un monologo senza scenario, senza musica, senza costumi, che sollecita
l’immaginazione e la partecipazione degli spettatori al punto da rendere quasi visibi-
le, sulla scena, una molteplicità di personaggi, di oggetti e luoghi.
53
Alcuni episodi tratti dal “Mistero buffo”
Lo Zanni è una figura all’origine della commedia dell’arte. Qui abbiamo uno Zanni
affamato e in preda alla disperazione che arriva al punto di immaginare di mangiare
se stesso e addirittura si rivolge, non ancora sazio, verso il pubblico, minaccioso e
verso Dio. Si addormenta e sogna un pranzo ricco con anche un pentolone e un me-
stolo. Quando si sveglia piange e impreca perché è stato solo un sogno e il suo pianto
si trasforma piano e vocalmente in un ronzio di una mosca, che lui mangia lentamen-
te, pezzo per pezzo.
54
Nonostante Fo dica che il pezzo sia in grammelot, il suo linguaggio non è del tutto
inventato, per lo più è in dialetto stretto e le parole sono dette molto velocemente.
Nella prima parte, per mimare che vorrebbe mangiarsi, l’attore finge di staccare varie
parti del corpo e poi se le mangia, le indica, le toglie e poi se le ingoia.
Nella seconda parte, per mimare il pranzo, crea tre momenti scenici: il pentolone col
fuoco (sempre mimato); si sposta e c’è la cucina dove taglia il pane, riempie il pollo
e così via.
Fo usa anche i suoi espressivi occhi tondi e infossati come strumento, con mimica
discreta, per interpretare bene lo Zanni in questa seconda parte.
Infine, la terza parte, la più drammatica, inizia con un cambio di espressione facciale.
Da una delle lezioni sul teatro Fo spiega come il recitare con o senza la maschera
cambi il tipo di recitazione, perché la maschera, anche la mezza maschera, porta una
gestualità e movimenti del corpo diversi in quanto non possono cogliere quelli che
sono gli aspetti espressivi della mimica dell’attore.
55
Quindi bisogna allargare i gesti, amplificarli, e muovere di più la parte restante del
corpo, che deve diventare dinamico.
Bisogna stare attenti a non toccarsi il viso, cosa che si fa quando si recita senza ma-
schera, anzitutto perché toccarla farebbe perdere al viso il significato che ha nel suo
insieme. I gesti devono incorniciare la testa, il viso dell’attore, proprio per quello Fo
ha scelto di mostrare la prima parte con la maschera e l’ultima senza.
Questo perché senza maschera valorizza la disperazione del momento in cui lo Zanni
si sveglia dal sogno del pranzo. La prima parte è più violenta e fisica, la seconda è
più estiva e le espressioni sono quasi indispensabili.
Nell“ ’Arlecchino servitore di due padroni“ gli attori usavano la mezza maschera no-
nostante facciano anche loro la scena della mosca. Si deve semplicemente dare alla
scena una caratteristica un po’ diversa da quella datale se non si ha la maschera.
2) “ Resurrezione di Lazzaro ”
Nel primo episodio dello Zanni la scenografia è costruita da Fo solo con i gesti, qui si
ha una moltiplicazione di personaggi. Fo riesce a impersonare nello spazio una molti-
tudine di personaggi diversi. La fonte è una sinopia, conservata nel camposanto di
Pisa, che ritrae una folla di personaggi attoniti che assistono all’evento. Fo riesce ad
evocare un’intera folla che accorre a vedere il miracolo che diventa uno spettacolo
per cui si vedono perfino i biglietti.
L’atto di amore di Cristo per l’amico che non aveva potuto salutare prima della morte
diventa solo pura materialità.
C’è una recitazione corale che è comandata dal personaggio iniziale, quello che arri-
va mentre Gesù fa il miracolo. E’ lui che smista le informazioni. Oltre a lui c’è il
guardiano che vende i biglietti. Sono piccoli cenni, piccoli spostamenti che sintetiz-
zano la presenza o il gesto di un altro personaggio, del cambio tra una persona e
un’altra.
56
Il primo visitatore si colloca davanti alla tromba e quello è il limite che viene segna-
lato dalla postura del corpo del personaggio, quando parla Fo si rivolge al pubblico,
che probabilmente usa come metafora della folla. Si alternano i personaggi tornando
però sempre al primo visitatore , che è il “giullare” della scena.
Ad un certo punto arriva il corteo degli apostoli, che lui colloca in lontananza, davan-
ti a sé, al di là della fossa, dove c’è il pubblico (nel teatro).
Il primo visitatore vede l’arrivo degli apostoli in lontananza e si da delle arie, salu-
tandoli come se li conoscesse. Fo oscilla il busto per far capire che è sull’orlo della
fossa di Lazzaro, e grida contro un ipotetico pubblico dietro di se.
Fo gioca sulla risata del pubblico, in realtà è come se prevedesse due ondate di riso:
Una pre-ondata provocata dalla prima battuta, che già fa ridere da sola, poi cambia
espressione, si volta, diventa serio e dice un’altra contro battuta che fa ridere di nuo-
vo. Cristo: Questa figura appare attraverso due visioni contrastanti che Fo realizza da
solo. Prima abbiamo il viso di Cristo, a cui fa la descrizione minuziosamente, piccino
e con gli occhi azzurri, poi però si volta verso destra e dice come se lo immaginava,
ovvero grande, imponente con i capelli gonfi e le mani che mandavano miracoli
ovunque.
Il dialogo tra i due finisce con una scommessa che coinvolge tutta la folla.
Poi abbiamo il miracolo, con il corpo di Lazzaro che viene mimato come se lui stesso
fosse Lazzaro.
Il finale è doppio perché c’è la voce solenne del personaggio che dice in modo ispira-
to, con intonazione particolarmente intensa, che il Cristo ha compiuto il miracolo e
quasi si inginocchia, ma poi si rialza, alza la mano e dice “ho vinto io”.
Il personaggio però si rende conto del fatto che gli hanno rubato la borsa e corre per
recuperare il ladro.
57
3) “ Bonifacio VIII ”
E’ una giullarata. Il prologo è piuttosto lungo, ed è un’occasione per Fo per descrive-
re la situazione della chiesa e colpire l’ipocrisia e la prepotenza dei chierici e del po-
tere ecclesiastico.
Si parla di Bonifacio raccontando le cose malvagie che ha fatto, parlando del modo
in cui ha tolto Celestino dal posto di papa, di come ha incarcerato Jacopone da Todi e
cose del genere. Sono cose che a scuola di solito non si insegnano.
Lo spettacolo inizia con la vestizione del papa (Fo) che si prepara per una cerimonia.
L’attore si pone di profilo rispetto al pubblico, per dare profondità al passo quando
inciampa col manto, anche in modo da mettere i guanti sembra reale ma anche comi-
co, il tutto succederà durante il canto gregoriano, canto extra liturgico catalano antico
che Bonifacio intona e cerca di costringere i propri chierici a intonare a loro volta.
C’è tutta una serie di gag comiche, come il tormentone di minacciare con l’inchio-
damento della lingua il prete stonato. Il pubblico ha già memorizzato la prima se-
quenza e quindi riesce a riportare alla mente durante la seconda. Qui si apre un mec-
canismo di base: la ripetizione. Un meccanismo che porta all’effetto comico. Sul gio-
co comico si possono introdurre delle varianti, date dalle sintesi.
La mimica è deistica, vi è una forte valenza espressiva: Nel senso che la mimica in-
dica lo stato d’animo del personaggio.
Il papa poi, si avvia verso la cerimonia e incontra Cristo, che va a farsi crocifiggere,
che però non lo riconosce nonostante lui si presenti. La presenza di Gesù è evocata
dalle battute di Bonifacio, non si vede mai.
Nella scena del Gesù cristo sul golgota, l’attore si ferma a metà palcoscenico e qui fa
la battuta comica: “Chi è Jesus?”.
Fo sottolinea il fatto che Cristo non lo riconosce, per questo voltandosi da una parte
all’altra fa intendere che è visto come uno smemorato, una derisione di questa inge-
nuità del Cristo.
58
A questo punto abbiamo la spoliazione: Bonifacio cerca di farsi riconoscere spo-
gliandosi dell’oro che ha addosso (tentando anche di espiare una colpa verso Gesù),
ma alla fine si offende e inveisce contro Cristo, che lo prende a calci in culo.
Il momento in cui si capisce che Cristo lo accusa di aver fatto appendere questi frati
per la lingua, abbiamo tutto un passaggio vocale e sonoro dal punto di vista della
mimica: Bonifacio passa dalla volontà di scolpirsi dall’aver inchiodato la lingua a
quella dell’individuare chi abbia fatto la spia. Egli passa da una parte all’altra del pal-
co in modo da interpretare due volti di Bonifacio. Quando il corpo di Fo si curva,
come se creasse contrappeso, da questo incurvarsi scatta la pedata, per questo va a
finire dalla parte opposta del palco. Allora riemerge il Bonifacio prepotente, quello
che rivendica la propria superiorità, che organizza un’orgia, si mette tutti gli anelli,
gira per il palco dando l’impressione di una specie di Trionfo finale. La vicenda ter-
mina quindi con il trionfo di Bonifacio, che nonostante sia un personaggio negativo,
fa simpatia, forse è per questo punto che vince. Questo discorso si fa all’essenza stes-
sa del teatro. Finisce con il trionfo del potere. Fo la da sempre vinta per una questio-
ne di realismo.
53 A cura di G. Turi, Il meglio di Dario Fo. La discoperta dell’America di Johan Padan e altri brani teatrali
dell’artista premio Nobel, I LIBRI DI AVVENIMENTI, LIBERA INFORMAZIONE EDITRICE S.p.A AV-
VENIMENTI, SETTIMANALE DELL’ALTRA ITALIA, 1997
59
4.4 Morte accidentale di un anarchico (1970)
L’opera fu messa in scena alla fine degli anni 70, aveva una funzione di denuncia e
veniva aggiornata mano mano che le indagini andavano avanti. L’opera si pone tra
tragico e comico, per questo è un capolavoro. Fo inventa un personaggio, un pazzo,
che arriva in questura e comincia a impersonare diversi personaggi creando confu-
sione.
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La struttura
E’ risultata una messa in scena teatrale esplosiva, carica di un pubblico vasto. Grazie
all’esigenza sociale di una scrittura più rapida Fo inventa una tragicommedia per lo
più comica. Il personaggio irrompe con queste, con queste due facce e smonta pezzo
per pezzo tutta la vicenda applicando alla lettera tutte le argomentazioni dell’accusa.
Ridicolizza la polizia come se fosse costretto a rimangiarsi pezzo per pezzo gli in-
granaggi e alla fine canta il coro degli anarchici. E’ un meccanismo sia comico sia
che lascia in dubbio su verità e funzione. Si usano delle metafore per nascondere
qualcosa. Vi sono dei meccanismi messi in opera in questo spettacolo: l’azione e il
riso carnevalesco. Con quest’opera abbiamo la rottura della quarta parete, il pubblico
si attiva. I congegni della farsa popolare ma anche del teatro del grottesco e dell’ispe-
zione, le formule Pirandelliane e l’esplicità Brechtiana perché i personaggi non hanno
un profilo psicologico e c’è lo straniamento, la sintassi della non comunicazione di
Beckett. Uso degli oggetti e degli abiti alla rovescia, i travestimenti, teatralità colta e
non colta che comprende le scelte per contrasto e per somiglianza delle figure accop-
piate. Abbiamo come una serie di specchi deformati del potere ma non della realtà,
perché Fo non arriva mai a negare il valore della realtà. C’è sempre alla fine una ve-
rità e la vuole raggiungere. Ci sono innumerevoli contraddizioni, ma queste stanno
nel modo di gestire il potere, non nella realtà (concezione brechtiana).
Nel 1973 abbiamo “la guerra del popolo in Cile”: si tratta di uno spettacolo- com-
mento perché alterna parti recitate e testimonianze autentiche più inserimenti grotte-
schi. Gli ultimi spettacoli di Fo ricordati sono “il Diavolo con le zinne” (1997), “Ma-
rino libero! Marino innocente” (1998), “Lu santo Jullare Francesco “ (1999), “Ubu
Bas” (2002) e “L’anomalo bicefalo” (2004).
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4.5 Considerazioni personali
“Molière diceva: la più grande gioia che ha un uomo è l’accorgersi che ha un cer-
vello che può esprimere momenti di fantasia e immaginazione e il teatro, aggiunge-
va, è il momento di più grande immaginazione.”54
“ Il capolavoro ideato, scritto e recitato dal grandissimo Dario Fo. Collage divertente e satirico di misteri e
giullarate medioevali e rinascimentali, volto ad insegnare a grandi e piccoli che il potere può facilmente esse-
re annientato con grosse risate.” Antonio de Angelis
Video spettacolo online: (https://www.youtube.com/watch?v=9EdIFECzTVE&t=3535s)
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Elaborato pratico:
Videoclip Bonifacio VIII Dario Fo
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Conclusioni
In questa tesi in primis emergono gli approfondimenti sullo studio dello Storytelling
analizzato secondo una prospettiva multidisciplinare.
In secondo luogo abbiamo visto come pensieri scientifici, narrativi, percorsi tra pa-
role e immagini e il senso psicologico del raccontare storie, anche attraverso l’educa-
zione e la narrazione, vengono inseriti in un percorso di estrema importanza nella
vita di tutti i giorni in luoghi educativi e non solo, che col terzo capitolo, dopo i primi
due sul le definizioni, caratteristiche dello studio scritto finora sono concretizzati, per
arrivare a luoghi di cultura e fruizione pubblica, come teatri e musei, attraverso un
filo conduttore che scorre dal passato al contemporaneo.
Infine arriviamo al dulcis in fundo, con il drammaturgo scelto, attraverso una descri-
zione accompagnata da immagini e storia della sua biografia, dello stile e della vita,
fino all’operato e alle recite di fondamento del suo linguaggio.
In conclusione con l’opera da me catturata grazie ad un progetto e degli schizzi pre-
paratori, utilizzando l’arte dello raccontare storie per trasmettere attraverso una co-
municazione persuasiva, che cattura lo spettatore e che necessita di impressioni e
feedback di ritorno, ho concluso la mia tesi.
E’ stata condotta anche un’indagine nei settori della didattica dell’arte attraverso un
corso frequentato con studiosi e docenti in occasione della manifestazione “Monu-
menti Aperti“, a Cagliari, che mi ha permesso di raccogliere molti dati sulla funzione
narrativa e sulla funzione di diversi metodi di apprendimento per qualsiasi tipologia
di età e in qualsiasi contesto didattico, che sia un museo, un’aula scolastica, al teatro
o al cinema.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questo tema sono l’interesse nei
confronti della trasmissione di concetti attraverso l’empatia e la comprensione trami-
te un percorso giocoso, veritiero, fatto di educazione alla portata di tutti, sino al lin-
guaggio del racconto della fiaba, storie tramandate nei secoli riportate oggi su libri di
carta.
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Infine, avendo trovato delle risposte al tema dello Storytelling, concludo affermando
che:
esso è un’azione che compiamo abitualmente ogni giorno, raccontando la giornata a
qualcuno, facciamo Storytelling, ci “auto-raccontiamo”, “auto-definendoci” qualco-
sa, mettiamo in atto un’ autoanalisi;
Esponendo un concetto a qualcuno, educhiamo spiegando, domandando, incuriosen-
do e suscitando qualcosa al fruitore;
Pensiamo o ricordiamo dei fatti nella nostra mente, impersonando e descrivendo at-
traverso lo sguardo, l’espressione facciale e la gestualità del corpo un’emozione sca-
turita.
Citando Hillman:
“ questa storia, questa finzione, l’ho chiamata base poetica della mente. Immagino
che la mente sia fondata […] su quelle storie supreme, gli Dei, che costruiscono
i modelli fondamentali del nostro agire, credere, conoscere, sentire e soffrire
[…] E’ soltanto nelle storie che questi Dei si mostrano ancora. La mente è
fondata nella sua stessa attività narrativa, nel suo fare fantasia. Questo fare è
poiesis 55. ” 56
55 Lo studioso intende pòiesis nel senso del fare fine a se stesso, come espressione dell’immaginario.
Riferimento pag. 26
Il nome ποίησις (poiesis) che significa propriamente il fare dal nulla appare la prima volta in Erodoto
col senso di "creazione poetica”.
Enciclopedia online Treccani: (https://www.treccani.it/enciclopedia/poiesis)
• Fo Dario, Pagine scelte dalle commedie del Premio Nobel per la Letteratura, Pano-
rama Editore, 1997
• Sito web:
(https://www.srtraduzioni.it/transcreation-10-domande-per-chiarirsi-le-idee/)
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• Articolo online:
(http://www.ghenesisrespirazione.com/blog/viaggio-eroe-la-partenza/)
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Ringraziamenti
Ringrazio poi tutta la mia famiglia per il sostegno dato in ogni momento.
Ringrazio Marta, sorella e àncora e sostegno indispensabile.
Ringrazio le mie colleghe di corso: Lucia e Giovanna per avermi dimostrato che an-
che se si è lontani si può essere tanto vicini sostenendosi e ascoltandosi.
Ringrazio Franzisca che ascoltandomi ha creduto in me con ogni mio cambiamento,
tristezza e gioia consigliandomi sempre il meglio.
Ringrazio Stefania, Anna e Antonella, coinquiline e amiche/sorelle sin dal primo
giorno a Sassari, per avermi fatto sentire a casa e strappandomi sorrisi in ogni mo-
mento durante questi anni universitari.
Grazie a Roberto, che entrando nella mia vita ha compreso ogni parte di me soste-
nendomi in ogni momento.
Concludo ringraziando Alice, Caterina e Elisa, che siete sempre lì nel momento del
bisogno, qualsiasi luogo e qualsiasi ora sia, ricordandomi sempre quanto sia impor-
tante e bella la nostra amicizia.
Grazie a tutti voi questa tesi è stata scritta non solo con passione e parsimonia, ma
con buona volontà, fiducia e gioia in quello che si fa e che si è.
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