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Università degli Studi di Milano

Facoltà di Lettere e Filosofia


Laurea in Scienze Umanistiche per la Comunicazione

Simone Penati
simone.penati@tiscali.it

Il metodo descrittivo
nelle opere di Howard Phillips Lovecraft

2004

Relatore: Chiar.mo Prof. A. Pinotti


Correlatore: Chiar.ma Prof.sa M. Cavecchi

1
Indice

Introduzione

Capitolo 1: La letteratura del terrore


La letteratura “gotica”
Le origini anglosassoni
Il gotico americano: Edgar Allan Poe

Capitolo 2: Howard P. Lovecraft


La vita e le opere
Stile e tematiche

Capitolo 3: La scrittura come arte del brutto

L’estetica del brutto


Il piacere della paura
Il Laocoonte di Lessing
La descrizione tattile

Capitolo 4: La descrizione aptica in H.P.L.

Il procedere tattile nella letteratura gotica


Il procedere descrittivo aptico in H.P. Lovecraft

Capitolo 5: Lovecraft e l’invisibile


Lo scarto immaginativo nei Miti di Cthulhu

Capitolo 6:La reinterpretazione dei Grandi Antichi

Il mito di H.P.L.
Gli epigoni letterari
Le trasposizioni artistiche dei Miti di Cthulhu

Conclusioni

2
Introduzione

Questo lavoro si ripropone di analizzare l’approccio alla


descrizione tipico delle opere di Howard Phillips Lovecraft,
mettendone in evidenza le particolarità estetiche e i profondi legami
con il dibattito filosofico legato ai problemi della rappresentazione
in ambito letterario.
Il primo capitolo offre una breve storia della letteratura del
terrore, cercando di delineare le caratteristiche e le tappe più
significative all’interno della produzione gotica. Basandosi
essenzialmente sui testi di David Punter, vengono prese in
considerazione le origini anglosassoni di questo filone e i suoi
sviluppi in diacronia e in diatopia.
Nel secondo capitolo viene invece fornito un quadro completo
dell’autore, con numerosi riferimenti alle vicende personali, ai
lavori, allo stile e alle tematiche del Solitario di Providence; a partire
dalle note bibliografiche presenti in diversi volumi dedicati agli
scritti di Lovecraft, e in particolare nel lavoro di Michel
Houellebecq, si è ricostruita la vita travagliata di uno scrittore che ha
sapientemente saputo trasportare poi nelle pagine dei suoi racconti
gli incubi che hanno segnato la sua intera esistenza.
Nella parte successiva, il lavoro prosegue introducendo il
dibattito filosofico sull’estetica del brutto. Tenendo conto in
particolare del pensiero di Dessoir, Burke, Mendelssohn, Condillac e
Berkeley, vengono ripercorse le tappe che hanno portato
all’emancipazione del concetto di brutto nella storia dell’arte, alla

3
sua categorizzazione e alla sua definitiva affermazione come valore
positivo in sé, capace di procurare nel fruitore, secondo gli studi
psicanalitici di Freud, un sentimento misto di piacere e repulsione.
Viene affrontato il problema della rappresentazione del grottesco,
con riferimento al Laocoonte di Lessing e alla divisione delle arti da
esso attuata, per poi introdurre il concetto di visione aptica di Riegl.
Tale concetto viene rapportato nel capitolo successivo ai
simboli più forti e significativi del filone gotico: da Frankenstein al
dottor Jekill, passando per gli strampalati personaggi di Edgar Allan
Poe, si evidenzia la propensione alla descrizione tattile tipica della
letteratura del terrore. Una propensione che si ritrova intatta anche
nei racconti di Lovecraft, come viene sottolineato dai numerosi
esempi riportati all’interno di questo lavoro.
Nel capitolo quinto, però, si pone l’accento su quella che
questo scritto considera come la vera particolarità dello stile di
scrittura dell’autore americano: il brusco accostamento tra l’apoteosi
della descrizione realizzata dal parcellizzarsi della visione e il più
assoluto rifiuto di qualsiasi tentativo di render conto attraverso la
parola letteraria delle mostruosità affrontate nei racconti dei Miti di
Cthulhu. Viene sottolineata l’importanza dello scarto immaginativo
richiesto al fruitore dallo spazio lasciato al non detto, al non
disvelato, anche grazie alle caratteristiche peculiari del medium
scrittura.
Un “invisibile” reso ancora più evidente dal confronto
proposto, nell’ultimo capitolo di questo lavoro, con i tributi resi ai
racconti di Lovecraft attraverso arti e mezzi di comunicazione di
massa diversi dalla letteratura: attraverso l’esposizione di lavori
legati alla scultura, al fumetto e alla cinematografia ispirati ai Miti di
Cthulhu, il presente scritto si propone di sottolineare l’importanza

4
dell’approccio alla descrizione dello stile lovecraftiano per la
perfetta resa del sentimento della paura nella produzione artistica in
generale, e letteraria in particolare.

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Capitolo 1 . La letteratura del terrore

La letteratura “gotica”

La letteratura del terrore viene spesso definita anche con


l’aggettivo “gotica”. Il termine viene utilizzato per la prima volta, in
questa accezione, nel soffietto sul retro di The Spectral Bride, di
Margaret Campbell, messo in vendita da Sphere nel 1973 come un
Queen Size Gothic: all’interno troviamo un guazzabuglio ampolloso
di romanzesco e soprannaturale. Da quel momento l’aggettivo verrà
allargato, all’interno della critica letteraria, a tutte le produzioni
contenenti i medesimi crismi stilistico- narrativi del libro
sopracitato 1 .
In particolare, oggigiorno questa parola viene applicata ad un
gruppo di romanzi scritti nel periodo compreso tra il 1760 e il 1820
e comprende opere in realtà molto diverse tra loro, ma che la storia
letteraria ha preferito raggruppare in un unico ed omogeneo corpus
narrativo. Questo a causa di un insieme di caratteristiche comuni a
tutte le più importanti produzioni dell’epoca: l’enfasi posta nel
descrivere il terrificante, l’insistenza sulle ambientazioni arcaiche,
l’uso cospicuo del soprannaturale, la presenza di personaggi
fortemente stereotipati e l’incessante tentativo di perfezionare le
tecniche di suspense letteraria.

1
D. Punter, Storia della letteratura del terrore, trad.it. di O. Fatica, G. Granato,
Editori Riuniti, Roma 2000, p. 6

6
Il termine si è poi esteso col tempo anche a produzioni moderne
e contemporanee, quali la letteratura del grottesco psichico, ove la
caratteristica principale è rappresentata dalla deformazione degli
scenari causata dalle ossessioni psicologiche dei protagonisti, e la
narrativa dell’orrore.
Pur evolvendosi diacronicamente, il termine subisce in ambito
letterario solo variazioni marginali, mantenendo inalterate le sue
peculiarità: denota sempre un particolare stile di scrittura
particolarmente prolissa, un profondo richiamo all’inconscio, un
forte legame con il primitivo e con il proibito.

Le origini anglosassoni

Lo sfondo in cui va visto l’emergere della narrativa gotica è


complesso: è uno sfondo che include l’apparizione della stessa
forma romanzesca, la concomitante enfasi posta sul realismo, lo
sviluppo degli studi sulla psicologia umana, l’attenzione riservata
alla sfera emozionale nell’arte; è in questo complesso quadro storico
e culturale che Horace Walpole pubblicava, nel 1764, The Castle of
Otranto, convenzionalmente ritenuto come la prima e più importante
manifestazione di questo filone letterario: una combinazione di
fantasia e realismo nel quale l’autore faceva un uso spudorato del
soprannaturale, confidando nel potere che ha il terrore di risvegliare
e mantenere vivo l’interesse. Il libro presenta inoltre una
particolarità che diverrà in seguito una prassi per produzioni di
questo genere: il trucco del manoscritto, utilizzato per evidenti
motivi difensivi e per accrescere la sensazione di verosimiglianza.

7
Col passare del tempo questo tipo di creazioni artistiche prese
sempre più piede, non tanto e non solo nelle masse di lettori
borghesi, che all’epoca andavano ingigantendosi, ma anche e
soprattutto negli animi e nelle menti di celebri scrittori: Blake,
Coleridge, Shelley, Byron e Keats trovarono nel gotico degli
elementi da usare nelle proprie produzioni e, a loro volta, riuscirono
ad esprimere i principali simboli del terrore di un’epoca. Simboli
che, grazie a queste espressioni immaginative, avrebbero avuto
risonanza per tutto il XIX secolo. Uno di questi, il ricercatore di una
conoscenza proibita, si trasformò nel 1818 nel più significativo e
popolare dei moderni simboli della paura con la stesura di
Frankenstein: la durevolezza e l’influsso del libro di Mary Shelley
sono forse l’esempio più lampante del grado di penetrazione del
terrore gotico nell’immaginario popolare.
D’altra parte, per evidenziare e comprendere l’importanza e la
portata di questo filone, basta pensare alle produzioni del “gotico
decadente”, sviluppatosi sul finire del 1800 e capace di generare nel
giro di soli undici anni quattro dei più poderosi miti letterari
moderni: Dr. Jekill and Mr. Hyde (1886) di Stevenson, The Picture
of Dorian Gray (1891) di Wilde, The Island of Dr. Moreau (1896) di
Wells e Dracula (1897) di Stoker. Una vera e propria esplosione di
energia simbolica, caratterizzata dal problema della degenerazione e
quindi della perdita dell’umanità. In particolare, The strange case of
Dr. Jekill and Mr.Hyde, la più famosa storia di “ Doppelgänger”di
tutti i tempi, si presenta come il documento di una personalità scissa,
dilaniata dalla presenza latente nella psiche di un Io appassionato,
incontrollabile e violento; in Dracula questo conflitto tra due
pulsioni è rappresentato nella contrapposizione dei due personaggi
principali: da un lato il vampiro assetato di sangue, spinto

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dall’insaziabile desiderio di soddisfacimento dell’inconscio,
dall’altra Van Helsing, portatore dei valori borghesi e rassicuranti
dell’ordine, del controllo e della sicurezza.

Il gotico americano: Edgar Allan Poe

Il gotico americano si è sviluppato a partire da quello inglese,


ma ne ha modificato alcuni tratti. Al contrario dei colleghi
anglosassoni, gli scrittori del Nuovo Mondo erano costretti ad un
notevole sforzo immaginativo per ricreare i luoghi ove ambientare le
loro meditazioni, per focalizzarsi su di un passato non loro, e questo
giustifica almeno in parte i caratteri distinti della produzione
americana: l’oscurità, la predilezione per le ossessioni, l’interesse
per gli europei potenti e malvagi. Un posto di rilievo tra gli scrittori
del terrore nativi degli Stati Uniti va senza ombra di dubbio ad
Edgar Allan Poe. Il suo contributo al gotico è enorme, ma è dal
punto di vista del tono e della struttura che l’autore lascia i segni più
significativi, grazie al fatto che le sue storie non procedono per
mezzo della semplice narrazione ma attraverso una sorta di
intensificazione a spirale della tensione drammatica. Una tensione
drammatica che trovava nel racconto breve un’intensità fino ad
allora sconosciuta, tanto che dopo Poe molti saranno gli scrittori del
terrore che adotteranno le medesime scelte strutturali e stilistiche.
Tra questi, Howard Phillips Lovecraft.

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Capitolo 2. H.P. Lovecraft

La vita e le opere

Nato il 20 agosto 1890 a Providence, nello stato americano del


Rhode Island, Lovecraft ebbe un’infanzia difficile: nel 1893 il padre,
Winfield, inizia a dare i primi segni di squilibrio mentale; di lì a
poco verrà ricoverato nel Butler Mental Hospital di Providence ed
interdetto. Da quel momento il giovane H.P. diviene vittima dei
comportamenti assurdi di una madre, Sarah, folle ed iperprotettiva,
capace di minare nel profondo la personalità del giovane figlio.
Unica via di fuga da un ambiente familiare perennemente
pervaso da un clima di lutto allucinato ed instabile sembra essere la
letteratura: stimolato dalla presenza di una vasta biblioteca in casa
dei nonni, Lovecraft impara precocemente a leggere e da quel
momento non abbandonerà più questo tipo di attività per tutta la
vita. Già da giovanissimo inizia a produrre brevi racconti: il suo
primo componimento (The little glass bottle) viene realizzato all’età
di sette anni. Col passare del tempo non abbandona questa attività,
anzi la intensifica, ispirandosi soprattutto alla narrativa di Poe,
Verne e Doyle.
Nonostante questa valvola di sfogo, la particolare atmosfera
familiare, segnata ulteriormente dai decessi dei genitori di sua madre
presso i quali si era stabilito a vivere, lo condiziona a livello
emotivo; iniziano in lui i primi sogni spaventosi, popolati da esseri
d’incubo simili a demoni: i Night- Gaunts, i Magri Notturni che, per
anni, perseguiteranno le sue notti. Già a partire dal 1900 è vittima

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dei primi esaurimenti nervosi, che gli impediranno di frequentare
regolarmente le scuole; a causa dei problemi fisici e della salute
cagionevole non riuscirà mai a conseguire il diploma di studi liceali.
Secondo molti biografi, si tratta di conseguenze dell’atteggiamento
asfissiante della madre.
Oltretutto, H.P. deve fare i conti con una situazione finanziaria
sempre più problematica; nel 1911 si assiste ad un vero e proprio
tracollo finanziario della famiglia a causa di alcuni investimenti
sbagliati da parte dello zio Edwin: l’autore non uscirà mai più dalla
povertà.
Per cercare di sopravvivere, inizia ad interessarsi del mondo del
giornalismo dilettante e, nel 1915, inizia quella che sarà la sua unica
attività lavorativa continuativa: la revisione di manoscritti altrui.
Primo cliente sarà il poeta e conferenziere Van Bush, un
ecclesiastico che si servirà della sua opera per oltre dieci anni.
I racconti scritti di suo pugno, invece, rimarranno per lo più
inediti sino alla morte; Lovecraft non ricavò significativi benefici
economici dal suo lavoro letterario: questo divenne un vero e
proprio oggetto di culto solo a partire dalla sua scomparsa.
Nonostante ciò, vi sono delle eccezioni: nel 1917, su invito di
W.P.Cook, curatore di varie riviste dilettantistiche, scrive i racconti
brevi The Tomb e Dagon.
Nel 1919 anche la madre, la cui sanità fisica e mentale subisce
un rapido declino, viene ricoverata nel manicomio di Providence,
dove morirà due anni più tardi. Liberatosi del giogo opprimente
esercitato dalla figura materna, a partire dal 1922 H.P. si apre al
mondo come mai era accaduto prima: viaggia negli stati del New
England, partecipa a conferenze, legge in pubblico alcuni dei suoi
racconti, viene nominato presidente della sua associazione di

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giornalisti dilettanti. Si reca a New York, ospite di Sonia Greene,
vedova russa di sette anni più grande di lui con la quale intreccia una
relazione prima intellettuale e poi sentimentale.
Prosegue intanto l’attività di narratore; tra i vari racconti, scrive
The nameless city, dove per la prima volta cita il nome di Abdul
Alhazred. Una rivista semiprofessionale, “Home Brew”, gli
commissiona una serie di scritti. Nel 1923 arriva la prima
apparizione su una rivista professionale, il mensile dell’orrido
“Weird Tales” che pubblica Dagon nel numero di ottobre. Per due
anni collabora con il giornale; nel 1924 il famoso prestigiatore Harry
Houdini, socio della rivista, gli commissiona un racconto: da questo
lavoro nascerà uno dei lavori più interessanti di Lovecraft, Under
the pyramids, pubblicato col titolo di Imprisoned with the Pharaohs.
Purtroppo, nel 1925 il giornale incappa in un periodo di declino; le
difficoltà finanziarie spingono Sonia ad accettare un lavoro nel
Midwest, mentre Lovecraft decide, l’anno successivo, di tornare
nella sua amata Providence, ponendo fine a un matrimonio che
terminerà ufficialmente con il divorzio nel 1929.
Da allora tornerà a vivere in solitudine, circondato solo
dall’affetto un po’ morboso delle zie, uniche sopravvissute del
nucleo familiare, e dei suoi amici di penna, coi quali intrattenne
rapporti molto stretti fino alla fine. E’ in questo periodo che
compone alcune delle sue opere più importanti; nel 1926 scrive il
suo racconto più famoso, The call of Cthulhu; nel 1927 termina i
suoi primi due romanzi, The dream-quest of the unknown Kadath e
The case of Charles Dexter Ward. Sempre nello stesso anno
“Amazing Stories” pubblica uno dei suoi migliori scritti, The colour
out of space. Risale al 1930 uno dei suoi romanzi brevi più
importanti, The whisperer in darkness, mentre sono del 1931 due

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opere capitali, The shadow over Innsmouth e At the mountains of
madness. L’ultimo racconto col suo nome è datato invece 1935, The
haunter of the dark: da allora usciranno solo collaborazioni o
revisioni.
Nel marzo 1936 viene ricoverato al Jane Brown Memorial
Hospital di Providence, dove gli viene diagnosticato un tumore
all’intestino in fase molto avanzata. Muore il giorno 15, alle sei del
mattino.
A partire da questo momento, tutti i suoi più intimi
corrispondenti epistolari inizieranno quel lavoro di recupero dei suoi
manoscritti che si rivelerà fondamentale per diffondere l’opera di
Howard Phillips Lovecraft nel mondo.
Morto l’uomo, nasce il mito.

Figura 1: Howard Phillips Lovecraft

Stile e tematiche

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La produzione letteraria di Lovecraft si ricollega alla struttura
del gotico tradizionale sotto due aspetti fondamentali: la paura
inassimilabile del passato e l’empia aspirazione ad una conoscenza
proibita, simboleggiata da Lovecraft con la creazione 2 del
famigerato Necronomicon, grimorio dagli arcani e mistici poteri
inventato dal solitario di Providence. Le sue favole di degenerazione
si basano sulla credenza che questo nostro mondo fosse un tempo
abitato da un’altra razza, esiliata ora ai confini del mondo
percepibile, ma pronta a reimpossessarsi del pianeta e a rovesciare il
fragile regno dell’umanità, grazie al potenziale blasfemo dei rituali
magici custoditi nel libro maledetto.
In lui e nei suoi scritti tende a confluire il flusso sanguigno del
gotico americano dopo Edgar Allan Poe. Ma se quest’ultimo
ricollega la paura alla vita interiore, H.P. è, invece, totalmente privo
di interesse psicologico; comincia sin da subito a riconoscere
l’inutilità di qualsiasi psicologia differenziata; i suoi personaggi non
ne hanno alcun bisogno: basta e avanza un equipaggiamento
sensoriale in buone condizioni di funzionamento. Il loro unico
compito, infatti, è quello di percepire. Ogni tratto psicologico troppo
accentuato contribuirebbe a distorcere la loro testimonianza, a
offuscarne la trasparenza; usciremmo dal campo del terrore
materiale per entrare in quello psichico. E l’intento di H.P. è quello
di descrivere realtà ripugnanti, non psicosi. Aggrediti da percezioni
abominevoli, i personaggi agiscono da osservatori muti, immobili,
impotenti, paralizzati. Rimarranno inchiodati lì dove sono, mentre
intorno a loro l’incubo prende forma. Le percezioni visive, uditive,

2
Per saperne di più sulla genesi del Necronomicon, si veda Necronomicon, storia di un libro
che non c’è, a cura di S. Basile, Fanucci, Roma 2002

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olfattive e tattili si moltiplicano e si dispiegano in un crescendo
raccapricciante, in un vero e proprio scatenamento di tutti i sensi.
Ciò a cui l’autore mira, d’altronde, è un terrore obiettivo, privo di
qualsiasi connotazione psicologica. Proprio per questo, egli
introduce nel racconto fantastico il vocabolario e i concetti dei più
disparati ambiti della conoscenza umana, creando un registro
verbale ricco di riferimenti alla scienza, all’anatomia, alla genetica,
alla matematica e alla meccanica quantistica: un universo linguistico
dove i più svariati campi del sapere convergono per creare quel
maelstrom poetico che accompagna la rivelazione di verità proibite.
Le scienze, quindi, nel loro incessante sforzo di descrizione obiettiva
forniranno a H.P.Lovecraft lo strumento di demoltiplicazione
visionaria che gli occorre.
Per la prima volta l’orrore spostava il suo centro di attenzione
dall’uomo (come nel caso di Stevenson, Wilde, Wells, Shelley e
Stoker) al cosmo, propugnando al fruitore un terrore proveniente in
tutto e per tutto da un altrove incomprensibile; una realtà altra,
estranea ed esterna all’uomo, che i protagonisti dei racconti di H.P.
cercano di esplorare e di comprendere per discostare il velo di Maya
che cela la verità agli occhi dei poveri mortali. Per questo motivo,
gli scritti del Solitario di Providence mantengono generalmente una
struttura investigativa, che ricorda per certi versi l’organizzazione a
spirale delle opere di Poe: basterà leggere Dagon, The Outsider o
Cool Air per notare come il finale shockante diventi il culmine
logico di tutte le suggestioni sparse attraverso il racconto, per vedere
come l’ultima frase, spesso scritta in grandi caratteri in stampatello,
riveli un dettaglio capace di fornire la pietra angolare per una
diversa costruzione degli eventi, colma di implicazioni sbalorditive.
I soggetti sono sempre uomini che sanno e vogliono sapere di più,

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esploratori dell’ignoto che non pretendono di ridurre il cosmo a
propria immagine ma che anzi chiedono di modellarsi sulle
misteriose geometrie dell’universo; si può dire che, dal punto di
vista estetico, la narrativa di Lovecraft sia il tentativo di
abbandonare la forma umana per modellarne una diversa, inumana
o, meglio, non umana.
Per poter descrivere qualcosa di tanto alieno e grottesco, H.P.
sfrutta all’estremo le caratteristiche tipiche del medium d a lu i
utilizzato: grazie alla scrittura, infatti, può spingere la fantasia in
luoghi preclusi alle altre arti, indagando zone estetiche pervase da
abomini tanto orripilanti da far vacillare le menti di coloro che li
osservano.
Una presa di posizione precisa e cosciente, che trova piena
giustificazione nell’evoluzione del concetto di “brutto” all’interno
del dibattito estetico.

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Capitolo 3: La scrittura come arte del
brutto.

L’estetica del brutto

Dal punto di vista stilistico e filosofico, la poetica di Howard


Phillips Lovecraft può essere ricondotta alla tradizione dell’estetica
del brutto. Tale riflessione si sviluppa appieno nel secolo XVIII,
quando vengono messe in discussione l’autonomia del concetto di
bello e la sua stessa definizione; è in questo periodo che, per la
prima volta, viene riconosciuto al brutto un “significato estetico
positivo”: un significato che non lo identifica più con la mera
negazione del bello, ma che lo eleva a vera e propria categoria
estetica dalla quale l’arte non può in nessun caso prescindere.
Ne L’estetica e la scienza dell’arte di Dessoir 3 , il bello non è
più unico e indiscusso valore estetico, ma figura accanto al brutto, al
quale viene riconosciuta una pregnanza significativa, irraggiungibile
dal bello convenzionale; dopo il Romanticismo, non solo l’arte non
può più definirsi arte bella, ma soprattutto il brutto non può più
essere equiparato all’inestetico o all’extra-estetico. Il brutto diventa
“una vera struttura del mondo” 4 . Dal momento in cui la bellezza,
intesa come esclusiva determinazione che orienta il fare artistico,
viene messa sotto accusa, la necessità di una teorizzazione del brutto
non può essere ignorata. Si spezza il legame tra la rappresentazione

3
M. Dessoir, L’estetica e la scienza dell’arte, in Estetica, i nomi, i concetti, le correnti, a cura
di M. Mazzocut-Mis, E. Franzini, Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 271

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del bello e il piacere che ne deriva e l’attenzione degli studiosi
viene spostata sul godimento estetico provocato da ciò che è
sgradevole.

Il piacere della paura

Uno degli argomenti più interessanti all’interno del dibattito


settecentesco sul brutto è quello legato alla questione del perché
nell’arte l’imitazione di ciò che ripugna procuri piacere in chi la
contempla.
A questo proposito, giova citare Edmund Burke 5 ; egli, in alcuni
passi della sua Philosofical Inqury into the Origin of our Ideas on
the Sublime and Beautiful (1756), sgombra il brutto da
giustificazioni di ordine metafisico, etico o razionale e afferma che
esso va inteso come un fenomeno specificamente estetico, contrario
al bello, ma conciliabile con il sublime. La particolarità di questa
“nuova” categoria estetica risiede nella sua capacità di provocare nel
fruitore una sorta di piacere negativo, proporzionale al terrore
suscitato dal soggetto rappresentato; un terrore che diletta perché
eccita e sollecita le passioni più violente dell’animo umano. In altri
termini, Burke riconosce come esteticamente valida una serie di
passioni violente non sottoposte ad alcuna addomesticazione da
parte della trasfigurazione artistica. Il brutto non abbisogna, quindi,
di un processo di trasformazione, ma viene considerato positivo di

4
V. Feldman, Estetica francese contemporanea, a cura e trad. it. di D. Formaggio, Minuziano,
Milano 1945, p. 185
5
E. Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime, a cura di G. Sertoli, G. Miglietta, Aesthetica,
Palermo 1985, p. 114

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per se stesso. Allo stesso modo, secondo Mendelssohn 6 il brutto non
è più rieducato dai principi imitativi del bello; al contrario, è proprio
il principio di imitazione che viene messo in discussione: svincolato
dal concetto di perfezione, viene pian piano ad includere tutto ciò
che i sensi sono in grado di rappresentarsi. L’estetica di
Mendelssohn (1757) centra dunque l’attenzione sulla relazione tra
l’oggetto e la sua fruizione e, poiché il brutto è in grado di stimolare
la nostra percezione sensoriale suscitando sentimenti misti di piacere
e ripugnanza, allora l’azione sgradevole, violenta, terrificante può e
deve essere rappresentata.
Oltre a queste giustificazioni di stampo estetico, non bisogna
dimenticare come il diletto derivante dalla sensazione di terrore sia
stato avvalorato anche da studi approfonditi nel campo della
psicologia: in questo ambito bisogna scendere a compromessi con
l’inconscio, incamminandosi sugli inestricabili sentieri della psiche
fino a giungere a quell’emozione conosciuta come paura.
In un articolo del 1919 7 , Freud introduce il concetto di
perturbante, un sentimento imparentato con affetti repellenti e
penosi quali la paura e l’angoscia, che, pur senza coincidere con
nessuno di essi, li suscita con la sua apparizione. Questo senso di
inquietudine appare contraddistinto da una corrente di stati d’animo
contradditori, in cui la repulsione è unita alla fascinazione, la voluttà
al terrore, il disgusto all’attrazione. Il perturbante sembra perciò
circoscrivere un’area ambigua dell’affetto, in cui non vi è solo pena
ma anche godimento. Il padre della psicanalisi sviluppa il suo
discorso sottolineando il legame del perturbante con il desiderio
interdetto. Scontrandosi con la proibizione, il desiderio si tramuta in

6
M. Mendelssohn, I principi fondamentali delle Belle Arti, a cura di M. Cometa, Aesthetica,
1989
7
S. Freud, Das Unheimliche, in Definire il fantastico, a cura di G. Rimondi, Greco & Greco,
Milano 2002

19
terrore, ma l’oggetto del desiderio conserva intatta la sua capacità
d’attrazione e la trasgressione il suo fascino: la “cosa” perturbante è
oggetto e fonte di un inquietante piacere, essendo un rappresentante
fantasmatico del nostro desiderio interdetto. Le figure che popolano
il fantastico non sarebbero che proiezioni di paure e desideri che
l’individuo non riesce a riconoscere in se stesso e che quindi colloca
al di fuori di sé. In altre parole, grazie alla rappresentazione della
paura, riusciamo ad esternare anche le nostre angosce e quindi a
liberarcene: se il terrore è lì, davanti a noi, allora non è dentro di noi.
Probabilmente è a partire da questo semplice presupposto che nei
miti e nelle forme artistiche di ogni civiltà umana troviamo traccia di
elementi atti a suscitare orrore e spavento. Creature mostruose e
soprannaturali, demoni e forze oscure animano l’immaginario delle
più antiche tradizioni popolari, occidentali e non. Un immaginario
che attinge dal fondo dell’animo umano, dalle sue zone d’ombra,
dove giace, mai sopita, un’inquietudine esistenziale per ciò che non
si riesce a dominare: il dolore, l’ignoto, l’irrazionale, la morte.
Questi elementi forniscono la materia prima di una moltitudine di
fiabe, poesie, dipinti, sculture e, ovviamente, racconti. Non c’è da
stupirsi, quindi, se un letterato americano del Rhode Island decise,
agli albori del secolo scorso, di cimentarsi nella narrazione di temi
angosciosi e terrificanti. In fondo fu proprio Howard Phillips
Lovecraft ad affermare: “Il sentimento più antico e profondo
dell’animo umano è la paura” 8 .

8
Tutto Lovecraft, a cura di G. Pilo e S. Fusco, Fanucci, Roma 1987

20
Il Laocoonte di Lessing

All’interno del dibattito che infiammò il panorama culturale del


Settecento in Europa, un ruolo di rilievo va sicuramente assegnato al
trattato sulle arti di Lessing dal titolo Laocoonte ovvero dei confini
della pittura e della poesia (1766) 9 : ad esso si deve il merito di aver
dato inizio alle prime analisi sistematiche del brutto, che diviene qui
protagonista della riflessione sulle dinamiche della fruizione
dell’arte.
Per Lessing vi è differenza tra poesia e pittura poiché esse si
avvalgono di segni o mezzi completamente diversi per le loro
imitazioni: suoni articolati nel tempo da un lato, figure e colori nello
spazio dall’altro, cui corrispondono oggetti che si susseguono o le
cui parti si susseguono nella poesia e oggetti esistenti l’uno accanto
all’altro nella pittura; la poesia ha come oggetto azioni, la pittura
corpi. La pittura può solo imitare le azioni in modo allusivo
dipingendo corpi e la poesia può solo imitare i corpi in modo
allusivo descrivendo azioni. Dal momento che può utilizzare solo un
singolo momento dell’azione, la pittura deve scegliere il più
pregnante, così come la poesia, poiché può usare solo un’unica
qualità dei corpi, deve scegliere quella che suscita l’immagine più
sensibile.
Entrando più nel dettaglio della problematica sul brutto, il
filosofo prosegue affermando che, grazie alla descrizione poetica, la
bruttezza diviene meno ripugnante in quanto apparenza delle
imperfezioni corporee, cessando di essere tale dal punto di vista del
suo effetto. La ragione profonda che Lessing adduce a motivazione

9
G.E. Lessing, Laocoonte, a cura di M. Cometa, G. Spadafora, Aesthetica, Palermo 2000

21
di questa sua tesi è che la bruttezza della forma perde quasi
completamente il suo effetto ripugnante in virtù della trasformazione
delle sue parti da coesistenti a progressive. Nella pittura ciò non
accade, il brutto non subisce alcuna trasformazione ed è costretto a
presentarsi in maniera evidente, non filtrata, come in natura.
Per questi motivi, la bellezza visibile nella sua perfetta
proporzione e regolarità deve essere l’oggetto delle arti figurative,
mentre fulcro della poesia sarà l’espressione, nella quale rientrano a
pieno titolo la bruttezza e l’imperfezione. Con Lessing, quindi, si
radicalizza la divisione tra arti figurative e arti della parola; da un
lato la simultaneità che si evidenzia nello spazio, dall’altro i segni
successivi che si svolgono nel tempo.
Si potrebbe dire che la descrizione poetica, progressiva e
parcellizzata, ricorda il procedere tattile, presentandosi per scansioni
successive. Oppure, in altri termini, che l’aggettivo più adatto per
descrivere la metodologia descrittiva letteraria è: aptica.

La descrizione tattile

La parola aptico indica, nel linguaggio estetico, un particolare


approccio alle opere d’arte che si fonda sulla scansione progressiva
delle stesse da parte del fruitore. In altre parole, questo termine
designa un metodo di conoscenza della forma basato sulla
combinazione tra l’indagine tattile e quella visiva.
Nella storia del dibattito filosofico, il problema della forma ha
radici antiche; quello che preme qui ricordare è che l’opera d’arte è
in primo luogo un “oggetto caratterizzato da una particolare forma e

22
materia concretatosi in uno spazio specifico” 10 . Un corpo situato nel
mondo che esprime tutta una serie di valori soggettivi propri del suo
creatore, ma che per essere definita opera deve rientrare all’interno
di un universo estetico che presuppone un rapporto dinamico con il
fruitore, che necessariamente implica il farsi costitutivo dell’oggetto
e le modalità di conoscenza da parte del soggetto.
Per lungo tempo la supremazia della vista nell’ambito della
conoscenza e dell’indagine del mondo esterno ha regnato
incontrastata. I primi sintomi di un cambiamento si riscontrano nel
corso del XVIII secolo, grazie a studiosi del calibro di Berkeley e
Condillac. Per quanto concerne il primo, nell’opera intitolata An
essay toward a new theory of vision (1732) 11 si interroga
sull’interazione tra il senso del tatto e quello della vista: secondo il
filosofo, poiché vediamo in senso proprio solo ciò che appare, allora
dobbiamo sostenere che vediamo luci e colori, ma non la distanza
che ci separa dagli oggetti né la loro grandezza; esse, quindi, non
sono sensazioni visive. Se, d’altro canto, ci basta guardare un
oggetto per sapere quanto disti e quanto sia grande, si può
concludere che l’esperienza che ne abbiamo è frutto di un giudizio
che nella visione ha le sue premesse, ma non il suo fondamento. Con
la nozione di giudizio si allude qui a quel processo che fa sì che
alcune idee ne richiamino altre alla mente, ponendosi come segni di
quelle. Per questo motivo, ciò che non percepiamo immediatamente
può essere esperito mediatamente. L’opinione di Berkeley è che solo
le esperienze tattili possono accedere alla dimensione dello spazio
profondo che viene così configurandosi, nella sua realtà originaria,
come una dimensione essenzialmente dinamica, legata alla

10
H. Focillon, La vita delle forme, in Estetica, i nomi, i concetti, le correnti, a cura di M.
Mazzocut-Mis, E. Franzini, Bruno Mondadori, Milano 1996, p.189
11
G. Berkeley, Un saggio per una nuova teoria della visione, a cura di P. Spinicci, in Tatto e
passione, a cura di M. Mazzocut-Mis, CUSL, Milano 2001, pp. 94-119

23
molteplicità delle forme nelle quali si concretizza la prassi corporea.
Quindi, se osservando un oggetto sappiamo valutarne la distanza e
la grandezza, ciò accade perché vi sono esperienze visive che si
costituiscono come segni di esperienze tattili. L’esperienza può, in
quest’ottica, essere intesa alla stregua di un linguaggio: si avvale di
segni arbitrari per richiamare alla mente le idee che intende
suggerirci. Se possiamo credere di vedere la distanza e la grandezza,
è perché l’interesse della soggettività non è rivolto principalmente al
segno, ma al designato; ne segue che ciò che è propriamente visto
cede subito il posto all’idea tattile che suggerisce, tanto che la
seconda finisce per sovrapporsi al primo; la nostra mente non si
ferma alle immagini che la vista le porge, ma si spinge
inavvertitamente al di là di esse, verso quelle esperienze tattili che
fanno loro da sfondo e che ne integrano il significato.
Il discorso viene in seguito approfondito anche da Condillac nel
suo Trattato sulle sensazioni 12 ( 1754 ), nel quale afferma che il
riconoscimento dell’esistenza di un mondo esterno e la sua
esplorazione attiva dipendono da una preventiva esplorazione tattile
e in particolare dal concetto di impenetrabilità da essa derivato.
Attenzione, infatti, a non attribuire alla vista quelle idee che solo il
rapporto costante tatto-vista insegna a quest’ultima a fare sue. La
collaborazione tra i sensi è indispensabile all’apprendimento, un
apprendimento che passa prima di tutto attraverso il tatto, poiché
esso, scoprendo l’esistenza di un mondo esterno proprio attraverso il
ruolo che gioca l’impenetrabilità, libera il solipsismo. La vista, senza
l’aiuto del tatto, non fornisce nessuna idea di oggetto esterno: i suoi
oggetti sono solo luce e colori. Inoltre, non basta vedere per farsi
delle idee: bisogna guardare con ordine e con metodo. Bisogna che i

12
E.B. de Condillac, Trattato sulle sensazioni, in Tatto e passione, a cura di M. Mazzocut-Mis,
CUSL, Milano 2001, pp.135-142

24
nostri occhi analizzino, poiché non afferreranno l’insieme della
figura se non ne hanno osservato tutte le parti separatamente, l’una
dopo l’altra e nell’ordine in cui sono tra loro. Sforzandosi di far
derivare dalla pura sensazione la totalità del mondo intellettuale,
Condillac afferma che qualsiasi nostra conoscenza ha origine dai
sensi e, in particolare, dal tatto, grazie alla sua capacità di “istruire
gli altri sensi” 13 .
Come possiamo vedere, nella seconda metà del Settecento si
rompe la preminenza dell’occhio e viene istituita una gerarchia che
vede il tatto al vertice, capace di elaborare un mondo nel quale il
soggetto abbandona il proprio solipsismo aprendosi all’altro da sé.
La mano diviene la guida dell’occhio e riesce a far fissare
“successivamente la vista sulle differenti parti di una figura” 14 .
Insegna a tastare, a indugiare, a palpare. In altre parole, la mano
insegna all’occhio la progressione aptica.

13
Ibid, p.470
14
Ibid., p. 474

25
Capitolo 4: La descrizione aptica in
Howard Phillips Lovecraft.

Il procedere tattile nella letteratura gotica

Quando si pensa al romanzo gotico vengono subito in mente


una serie di caratteristiche legate per lo più alla suspense letteraria,
derivante in particolar modo da due fattori: da un lato, la messa in
scena di tematiche orripilanti legate al primitivo, al barbarico,
all’inconscio e al proibito; dall’altra, la dilatazione del tempo di
lettura necessario alla descrizione di tali soggetti narrativi, attraverso
una rappresentazione centellinata e parcellizzata dei minimi dettagli.
In altre parole, tutta la letteratura del terrore, sin dalle sue origini, si
basa sui concetti descritti nel capitolo precedente: il piacere estetico
derivante dal brutto e la metodologia aptica necessaria alla sua
realizzazione artistica. Oltre ai motivi storico- filosofici elencati nei
capitoli precedenti, preme qui affermare che la visione tattile- visiva
non è un concetto applicabile solo alla fruizione dell’oggetto- opera
da parte dello spettatore, ma anche alla fase attiva di creazione da
parte dell’artista. Per forza di cose, infatti, l’opera difficilmente può
concretarsi istantaneamente nella sua totalità: l’autore deve
procedere per segmenti, affiancandoli l’uno dopo l’altro nel tempo
e/o nello spazio, a seconda del medium da lui utilizzato. La
differenza sostanziale sta nel fatto che, servendosi di arti plastiche, il
pittore, lo scultore e il disegnatore cercheranno di concepire il
risultato finale del loro lavoro come un’unica visione d’insieme,

26
mentre lo scrittore, operando nella dimensione temporale anziché in
quella spaziale, manterrà la sua visione “frammentata”.
Come ci insegna Lessing, questo tipo di approccio stilistico alla
descrizione è intrinseco alla natura stessa dell’arte letteraria. Basta
pensare alle scene dettagliate e alle minuziose ricostruzioni di un
Balzac o di un H. James per comprendere quanto il procedere aptico
sia intimamente legato al medium scrittura. La letteratura gotica, dal
canto suo, porta all’eccesso questa peculiarità: tutti gli autori del
terrore, infatti, presentano una predilezione quasi morbosa nei
confronti degli aggettivi, degli avverbi, delle subordinate. Per
un’opera, caratteristica imprescindibile per poter essere catalogata
come gotica sarà la dilatazione del tempo di lettura atta ad offrire
una visione frammentata dei suoi soggetti attraverso una
significativa abbondanza di descrizioni. Un’abbondanza presente
sin dalle origini di tale filone letterario. Dovendo scegliere
all’interno di un corpus narrativo assai vasto ed eterogeneo, ci
limiteremo qui ad illustrare tale concetto attraverso esempi tratti da
alcuni dei libri più famosi e significativi del terrore cartaceo.
Già in Frankenstein, or the modern Prometheus (1818) di Mary
Shelley possiamo notare la propensione per la rappresentazione
prolissa del macabro; queste sono le parole scelte dalla scrittrice per
raccontare la decomposizione dei cadaveri umani:
“ Per indagare le cause della vita, dobbiamo prima fare
ricorso alla morte. Dovevo studiare il processo della
decomposizione: vidi come la bella forma dell’uomo degenera
e si dissolve, vidi la corruzione della morte prender posto su
guance già fiorenti di vita, vidi come il verme rode le
meraviglie dell’occhio e del cervello” 15 .
Per non parlare delle descrizioni riservate al mostro:

27
“ La sua pelle giallastra nascondeva a malapena il
lavorio sottostante dei muscoli e delle arterie; i suoi capelli
erano folti e di un nero lucido, i suoi denti di un bianco
perlaceo; ma tutti questi particolari non facevano che rendere
più orribile il contrasto con i suoi occhi acquosi, i quali
apparivano quasi dello stesso colore delle orbite, di un pallore
terreo, in cui erano collocati, con la sua pelle grinzosa e le sue
labbra nere e dritte” 16 .
Ancora:
“La statura gigantesca, il suo aspetto deforme, più
spaventoso di quello di qualsiasi essere umano. […]. Iil suo
volto esprimeva angoscia cui si univano sdegno e malignità,
mentre la sua mostruosa laidezza lo rendeva intollerabile a
occhio umano” 17 .
Si può notare qui una ricchezza di particolari e aggettivi
ammassati e ripetuti con il preciso intento di impressionare il
fruitore nel corso della lettura.
Un’abbondanza che caratterizza anche Tha strange case of Dr.
Jekyll and Mr. Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson; ecco come
l’autore introduce il misterioso co- protagonista della vicenda con
gli occhi del signor Utterson:
“Era basso di statura e vestito in modo dimesso e il suo
aspetto, anche a quella distanza, urtò fortemente la sensibilità
dell’osservatore. […]. Il signor Hyde era pallido e pareva un
nano, dava l’impressione della deformità, pur senza mostrare
alcuna effettiva deformazione, aveva un sorriso sconcertante,
crudele miscuglio di timidezza ed arroganza; parlava con voce
rauca, bisbigliante e talora rotta. […]. Non riusciva a
spiegare lo strano disgusto, il disprezzo e la paura che
incuteva. […]. Quell’uomo non sembra una creatura umana!

15
M. Shelley, Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno, trad. it. B. Tasso, Corriere della Sera,
Bergamo 2002
16
Ibid.
17
Ibid.

28
Ha qualcosa del troglodita. […]. Oppure si tratta della
semplice irradiazione di un’anima malvagia che traspare e
trasfigura l’involucro d’argilla? […]. Se mai io vidi il marchio
del diavolo su una faccia, è proprio su quella del signor
Hyde!” 18 .
Si discosta di poco la descrizione fatta dal signor Canyon:
“ Era piccolo, come ho già detto; fui colpito, oltre che
dalla terribile espressione della sua faccia, dalla notevole
mescolanza di grande forza muscolare e di grande debolezza
di costituzione e, cosa non meno notevole, dalla strana e
soggettiva sensazione di disagio che mi provocava la sua
vicinanza. […]. Quell’essere ( che sin dal primo momento del
suo ingresso aveva suscitato in me quello che posso descrivere
solo come una curiosità piena di disgusto) era vestito in
maniera capace di rendere ridicola qualsiasi persona
normale; i suoi abiti, sebbene fossero di fattura elegante e
sobria, erano enormemente ampi per lui in tutti i sensi: i
pantaloni gli pendevano sulle gambe ed erano rimboccati per
non toccare il suolo, la vita della giacca gli arrivava sotto i
fianchi, il colletto gli si allargava sulle spalle. Strano a dirsi,
questo grottesco abbigliamento era ben lontano dal farmi
ridere. Piuttosto, come c’era qualcosa di anormale e deforme
nella natura di quell’essere che mi stava di fronte, così quella
nuova stonatura pareva rinforzarne la singolarità” 19 .
Un insieme di segmenti diversi posti gli uni accanto agli altri,
dispiegati nel tempo per illustrare una visione terrificante attraverso
una somma di particolari.
La stessa cosa avviene nel romanzo decadente di Oscar Wilde
The picture of Dorian Gray, dove minuziose e dettagliate risultano
essere in particolar modo le sezioni dedicate alla presentazione dei

18
R.L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde, trad. it. O. Del Buono,
Corriere della Sera, Bergamo 2002
19
Ibid.

29
parallelismi e delle discrepanze tra il giovane protagonista e la sua
immagine dipinta:
“Un giorno, quando sarete vecchio, grinzoso e brutto,
quando il pensiero vi avrà solcato la fronte colle sue linee e la
passione vi avrà bruciato le labbra col suo fuoco. […]. Il
tempo è geloso di voi e ha mosso guerra alle vostre rose e ai
vostri gigli. Diverrete giallo, colle guance incavate, con
l’occhio smorto. […]. Le membra si infiacchiscono, i sensi si
deteriorano; degeneriamo fino a trasformarci in schifosi
fantocci. […]. Sarebbe venuto il giorni in cui il suo volto
sarebbe diventato rugoso ed avvizzito, i suoi occhi si
sarebbero fatti vaghi e scialbi, la grazia della sua figura
sarebbe stata infranta e deformata; dalle sue labbra sarebbe
scomparso lo scarlatto e dai suoi capelli il bagliore dell’oro.
La vita avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato
orribile, schifoso, goffo. […]. I suoi occhi oscurandosi presero
il colore dell’ametista e vi passò sopra una nebbia di lacrime.
Fu come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore. […].
L’espressione gli appariva diversa; si sarebbe potuto dire che
nella bocca ci fosse una sfumatura di crudeltà; l’espressione
strana che aveva osservato nel volto del ritratto sembrava
esserci tuttora, anzi, essersi ulteriormente intensificata. La
luce vivida e palpitante del sole gli mostrava attorno alla
bocca le linee crudeli, colla stessa chiarezza come se si fosse
guardato allo specchio dopo aver commesso qualcosa di
tremendo. […]. Il pittore vide il viso ripugnante che gli
sogghignava dalla tela. Nell’espressione di questo c’era
qualche cosa che lo riempì di disgusto e di schifo.
Quell’orrore, qualunque esso fosse, non aveva distrutto
interamente quella mirabile bellezza; nei capelli diradati c’era
tuttora un po’ d’oro e sulla bocca sensuale un po’ di scarlatto;
gli occhi deturpati avevano conservato alquanto della dolcezza
del loro azzurro; le nobili curve non erano ancora

30
completamente scomparse da quelle narici cesellate e da quel
collo plastico” 20 .
Descrizioni minuziose, che illustrano il passaggio dal bello al
brutto attraverso una ricostruzione parcellizzata delle diverse parti di
un unico soggetto.
Un altro grande scrittore si avvaleva dell’effetto drammatico e
terrificante derivante dalla trasformazione dei diversi particolari di
un elemento da coesistenti a progressivi: Edgar Allan Poe. L’autore
americano è famoso per l’uso abbondante degli aggettivi applicati
alle situazioni e ai personaggi più bizzarri. Si veda ad esempio King
Pest (1835):
“Di statura era sparuto e alto, e Legs fu stupito di
vedere una figura più scarna della sua. La sua faccia era
gialla come lo zafferano, ma nessun tratto del suo volto,
eccetto uno, era abbastanza accentuato da meritare una
descrizione particolare. Questo unico tratto notevole
consisteva nella fronte così insolitamente ed orrendamente
alta, da avere l’apparenza di un berretto o di una corona di
carne aggiunta sopra la testa naturale. La sua bocca era
increspata e corrugata da un’espressione di affabilità
spettrale, e i suoi occhi avevano una vitrea lucentezza dovuta
ai fumi dell’ubriachezza. Questo signore era ricoperto da capo
a piedi da un drappo di velluto di seta nera fastosamente
ricamata, avvolto negligentemente attorno al suo corpo alla
maniera di un mantello spagnolo. La sua testa era incoronata
di neri pennacchi da carro funebre; nella sua mano destra
teneva un gran femore umano, col quale pareva avesse appena
abbattuto qualche membro della compagnia per via di una
canzone” 21 .

20
O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, trad. it. E. Grazzi, De Agostini, Novara 1991
21
E.A. Poe, Re Peste, in Racconti, trad. it. M. Battaglia, F. Della Pergola, R. Ferrari, De
Agostini, Novara 1985

31
Altrettanto esemplificativo il brano seguente, tratto da The fall
of the house of Usher (1839):
“ Con difficoltà potei giungere ad ammettere l’identità
dell’essere esangue che mi stava di fronte. Una carnagione
cadaverica; un occhio grande, liquido e luminoso di là da ogni
confronto; labbra alquanto sottili e pallidissime, ma di una
curva incomparabilmente bella; un naso d’un delicato modello
ebraico, ma con un’ampiezza di narici insolita in simili
conformazioni; un mento squisitamente modellato che tradiva
nella sua mancanza di prominenza, scarsezza di energia
morale; capelli più soffici e tenui di una ragnatela; questi
lineamenti, a cui si aggiungeva una smodata espansione della
parte superiore delle tempie, gli davano un aspetto che non si
poteva facilmente dimenticare. Il pallore ora spettrale della
pelle, la lucentezza ora prodigiosa degli occhi mi colpirono
più do ogni altra cosa e perfino mi spaventarono. I serici
capelli, inoltre, erano stati lasciati crescere liberamente, e
siccome, nel loro strano aereo intreccio, più che scendere
fluttuavano intorno alla sua faccia, io non potevo, nemmeno
con uno sforzo, connettere la sua espressione rabescata con
una qualunque idea di semplice umanità” 22 .
Poe fa un uso abbondante degli aggettivi per descrivere
minuziosamente sensazioni e protagonisti fastidiosi, angoscianti ed
aberranti. Si ritrova anche in lui, quindi, una tendenza che possiamo
ormai definire intrinseca alla letteratura in generale, ma che si erge a
vero e proprio simbolo del filone gotico: prendendo spunto da questi
esempi tratti da alcuni dei libri- simbolo della letteratura del terrore,
si può affermare che la produzione gotica è da sempre stata
caratterizzata da un ritmo narrativo particolarmente lento, ricco di
subordinate, barocco nell’uso dei sinonimi e delle ripetizioni. Uno
stile particolare, identificativo di tutta una serie di tematiche legate

32
alla tradizione del terrore, sviluppatosi in diacronia con uno scopo
specifico: la rappresentazione del brutto, del deforme, del diverso. O
dell’Altrove, per dirlo con le parole di Lovecraft 23 .

Il procedere descrittivo aptico in Lovecraft.

Volendo individuare le tecniche narrative utilizzate da H.P.L.,


verrebbe naturale indirizzarsi verso un testo in particolare:
Supernatural Horror in Literature (1925-1926), saggio di
centocinquanta pagine che il Solitario di Providence consacrò allo
studio e all’analisi della letteratura fantastica. Ma, a rileggerlo, il
testo delude un po’, poiché si ha come l’impressione che risulti
leggermente datato. Il motivo di quest’impressione è semplicissimo:
l’opera non tiene conto del contributo dato dallo stesso Lovecraft a
questo filone letterario; l’autore non sembra aver preso pienamente
coscienza del notevole impatto dei suoi scritti nel campo della paura
cartacea. Il saggio rivela molto sulla portata della sua cultura e sui
suoi gusti; sancisce la sua ammirazione per Poe, Dunsany 24 ,
Blackwood 25 ; ma nelle sue pagine non vi è nulla che faccia
presagire ciò che Lovecraft sta per scrivere. Alla ricerca delle
tecniche compositive di H.P. potremmo altresì esser tentati di
cercare indicazioni nelle lettere 26 , nei commenti, nei consigli che lo
scrittore indirizzava ai suoi giovani corrispondenti. Ma anche qui il

22
E.A. Poe, Il crollo della casa Usher, in Racconti, trad. it. M. Battaglia, F. Della Pergola, R.
Ferrari, De Agostini, Novara 1985
23
H.P. Lovecraft, Dall’Altrove, in Racconti, a cura di G. Pilo, Mondadori, Milano 1989
24
Edward John Moreton Drax Plunkett, 18^ Conte di Dunsany, scrisse più di settanta libri, tra i
quali The Gods of Pegana, Patches of Sunlight e While the Sirens Slept.
25
Algernon Blackwood, scrittore inglese di Ghost Stories, famoso soprattutto per la pervasività
dell’orrore soprannaturale contenuto nel romanzo "The Willows”.

33
risultato è sconcertante e fuorviante: l’autore non fa altro che
formulare raccomandazioni precise e puntuali che lui per primo non
seguirà mai: arriverà persino a consigliare di non abusare di
aggettivi tipo “mostruoso”, “innominabile”, “indicibile”…Il che, a
leggere poi le sue opere, è a dir poco sorprendente.
Per cercare di saperne di più sulle tecniche narrative utilizzate
dal Solitario del Rhode Island non c’è che un modo, peraltro il più
logico: immergersi nei suoi testi narrativi. Scopriremo allora un uso
abbondante degli aggettivi, delle subordinate, delle iterazioni,
centellinate e diluite all’interno del tempo della narrazione per
descrivere con dovizia di particolari le sue immagini visionarie. Un
classico esempio è la descrizione dei Grandi Antichi in At the
mountains of madness (1931):
“Dagli angoli interni della testa si dipartono cinque tubi
rossastri che terminano in protuberanze dello stesso colore;
queste ultime, se premute, si aprono su altrettanti orifizi a
forma di campana muniti di sporgenze bianche simili a denti
aguzzi, probabilmente facenti funzione di bocche. Nella parte
bassa del torso, troviamo la controparte rudimentale della
testa e delle sue appendici: pseudo- collo bulboso sprovvisto di
orecchie ma con un dispositivo verdastro a cinque punte.
Braccia muscolose e dure, lunghe quattro piedi: sette pollici di
diametro alla base due pollici all’estremità. A ogni estremità è
attaccata una membrana triangolare di otto pollici di
lunghezza. Trattasi di quella sorta di pinne che hanno lasciato
le impronte su una roccia vecchia all’incirca mille milioni di
anni. Dagli angoli interni del dispositivo verdastro a cinque
punte emergono tubi rossastri lunghi due piedi, con un
diametro di tre pollici alla base e di un pollice all’estremità,
terminanti con un piccolo orifizio. Suddette parti risultano
dure come il cuoio ma molto flessibili. Le braccia munite di

26
H.P. Lovecraft, Selected Letters volumi I, II, III, IV, V,, a cura di S.T. Joshi, Arkham House

34
pinne venivano sicuramente usate per gli spostamenti su terra
e in acqua. Si trovano diverse appendici nella parte bassa del
torso ripiegate esattamente come quelle della testa” 27 .
Anche dove il raciozinio scientifico cede il passo all’orrore
sensoriale puro e semplice, la descrizione si mantiene precisa ed
estremamente dettagliata, come in The horror in the museum (1932):
“ Si vedeva un torso quasi sferico dal quale uscivano
sette arti lunghi e sinuosi che terminavano a chela.
Dall’estremità superiore sporgeva un globo sussidiario a
forma di bolla con tre occhi da pesce disposti a triangolo. Era
munito di proboscide flessibile lunga una trentina di
centimetri, nonché di bargigli laterali spiegati che facevano
pensare a branchie; probabilmente, quella era la testa. Quasi
tutto il corpo era coperto da una specie di pelliccia che, ad
una osservazione più attenta, si rivelava un denso groviglio di
tentacoli scuri e sottili come filamenti, ognuno dei quali
terminava con una bocca che dava l’idea di un aspide. Sulla
testa e sotto la proboscide, i tentacoli tendevano ad essere più
lunghi e più spessi, e recavano anche delle strisce
spiraleggianti che facevano pensare ai mitici capelli della
Medusa. […]. Scalpicciando verso di lui, nell’oscurità, stava
arrivando la massa gigantesca e blasfema di una cosa nera
non completamente scimmia e non completamente insetto.
Aveva la pelle molliccia, e quella sua specie di testa rugosa
dondolava da parte a parte come quella di un ubriaco. Le
zampe anteriori erano stese con gli artigli spiegati, e dal suo
corpo emanava malvagità anche se la sua faccia era
assolutamente inespressiva. […]. Alto tre metri e mezzo
nonostante la posizione accucciata che esprimeva un’infinita
malvagità cosmica, apparve un mostro di un orrore
incredibile, seduto su un gigantesco trono d’avorio ricoperto
di grottesche sculture. Nella coppia centrale delle sue sei
zampe stringeva una creatura maciullata, contorta ed esangue,

27
H.P. Lovecraft, Le montagne della follia, trad. it. G. Pilo, Newton, Roma 1994
35
massacrata da un milione di punture, bruciata in diversi punti
da una specie di potente acido. Solo la testa stritolata della
vittima, che penzolava da una parte, rivelava che stava a
rappresentare quello che una volta era stato un essere
umano” 28 .
Spesso, all’interno dei suoi racconti, Howard Phillips Lovecraft
mostra sublimi esempi di enfatica ampollosità; numerosi sono i
momenti in cui l’autore perde ogni freno stilistico e aggettivi e
avverbi si accumulano fino all’esasperazione, arrivando a creare
esclamazioni di puro delirio, come, ad esempio, in Nyarlathotep
(1920):
“ Io non sono ormai altro che l’ombra di uno spettro,
che si contorce in mani che non sono mani, e rotea ciecamente
oltre le notti d’incubo d’un creato putrescente, oltre i cadaveri
di mondi morti sfigurati da piaghe che un tempo furono città,
tra venti d’ossario che sfiorano le pallide stelle e appannano il
loro splendore. Oltre i mondi, vaghi fantasmi di cose
mostruose; colonne appena intraviste di templi profani che
poggiano su rocce senza nome al di sotto dello spazio e si
allungano nel vuoto vertiginoso al di sopra delle sfere di luce e
di buio. E in quel rivoltante cimitero dell’universo risuona un
rullare soffocato, ossessivo, di tamburi, e un flebile, monotono
gemito di flauti blasfemi proveniente da cavità tenebrose e
inconcepibili al di là del Tempo” 29 .
I deliri verbali, d’altro canto, erano una componente intrinseca
della personalità dello scrittore americano, tanto che certi arabeschi
linguistici caratterizzano non solo le sue produzioni artistiche, ma
anche la sua corrispondenza privata. Ecco come descrisse il Lower
East Side di New York all’amico Belknap Long:
“Le cose organiche che infestano questa cloaca non si
potrebbe definirle umane nemmeno torturandosi

28
H.P. Lovecraft, L’orrore nel museo, trad. it. G. Pilo, Newton, Roma 1994

36
l’immaginazione. Erano mostruosi e nebulosi abbozzi di
pitecantropo e ameba, vagamente plasmati in qualche limo
fetido e viscoso prodotto dalla corruzione della terra, che
strisciavano e trasudavano sulle e dalle strade lerce, che
entravano e uscivano da finestre e porte con movenze da vermi
o da vergogne sortite dalle profondità del mare. La sostanza
degenerata in fermentazione gelatinosa di cui queste cose
erano composte sembrava essudare, filtrare e colare
attraverso le crepe purulente di quelle case orribili, la cui
vista mi faceva pensare a schiere di vasche ciclopiche e
malsane, piene fino al colmo di ignominie cancrenose pronte a
traboccare per soffocare l’intero mondo in un cataclisma
lebbroso di putrescenze semiliquide” 30 .
Possiamo vedere, dunque, come lo stile narrativo del Solitario
di Providence si inserisca all’interno di una tradizione letteraria
specifica, quella del terrore e del grottesco. I suoi scritti presentano
una delle caratteristiche tipiche dell’estetica del brutto: la
presentazione parcellizzata e progressiva degli eventi e dei
personaggi, atta a creare e mantenere uno stato di inquietudine
nell’animo del fruitore. Descrive gli abomini visionari prodotti dalla
sua fantasia distorta nel miglior modo possibile: attraverso la
descrizione aptica.
Eppure questo non basta per spiegare il suo enorme successo
postumo. La sua naturale inclinazione all’iperbole verbale e il
desiderio maniacale di precisione scientifica, uniti all’attrazione
quasi morbosa per le tematiche deliranti dei Grandi Antichi, fecero
di Howard Phillips Lovecraft uno dei più influenti maestri nel
campo della letteratura dell’orrore. Apprezzatissime dai suoi
corrispondenti, le su e opere ebbero un impatto enorme

29
H.P. Lovecraft, Nyarlatotep, in Tutti i racconti, a cura di G. Lippi, Mondadori, Milano 1989
30
Si vede M. Houellebecq, H.P. Lovecraft, contro il mondo, contro la vita, trad. it. Di S.C.
Perroni, Bompiani, Milano 2001

37
sull’immaginario di massa legato alla concezione della paura, tanto
da arrivare ad influenzare un’intera generazione di nuovi autori.
Numerosissimi sono, infatti, i suoi epigoni, non solo nel campo della
letteratura, ma anche in quelli della pittura, della scultura, del
fumetto e della cinematografia. Le sue visioni, i suoi mostri e le sue
paure hanno ispirato le creazioni di un numero impressionante di
artisti. L’abilità nel parcellizare e centellinare la presentazione delle
sue empie creature non è sufficiente a spiegare l’incredibile eco dei
suoi scritti. Per farlo, bisogna comprendere che la sua più grande
peculiarità risiede nel fatto di stimolare la fantasia del lettore.
Leggendo le sue opere, ci si accorge che viene richiesta la
partecipazione attiva del fruitore, spinto a sfruttare la sua capacità
immaginativa per completare la visione dei mostri lovecraftiani. Le
minuziose e particolareggiate descrizioni di H.P., infatti, terminano
sempre in maniera improvvisa per l’impossibilità di rendere conto
verbalmente degli abomini incontrati dai protagonisti dei suoi
racconti. Il bisogno e la volontà di razionalizzare, e quindi
verbalizzare, le orripilanti realtà disvelate nel corso della narrazione
vengono inesorabilmente annichilite dinanzi al caos assoluto, che si
pone allo scrittore, e di conseguenza al lettore, come qualcosa di
irrapresentabile.

38
Capitolo 5:Lovecraft e l’invisibile

Lo scarto immaginativo dei Miti di Cthulhu

La caratteristica fondamentale dei racconti di Lovecraft è


quella di affiancare bruscamente l’amore per la descrizione aptica
con la sua più violenta negazione. Nelle opere scritte da H.P., infatti,
inizialmente le visioni terrificanti si scoprono progressivamente,
attraverso una scansione progressiva e parcellizzata, per poi
terminare in maniera violenta ed assoluta. Questo tipo di
rappresentazione corrisponde ad una precisa e ben delineata scelta
estetica da parte dell’autore; egli, infatti, propone i suoi orrori
mediati attraverso questo filtro stilistico per due motivi: per quanto
riguarda il primo, possiamo affermare che sia un limite intrinseco al
medium da lui utilizzato, poiché la scrittura, in quanto arte del
tempo e non dello spazio, non può presentare simultaneamente tutte
le parti di un oggetto, ma deve limitarsi a presentarle come segni che
si susseguono gli uni accanto agli altri; per quanto riguarda il
secondo motivo, possiamo dire che Lovecraft non solo non può, ma
non vuole darci una visione d’insieme delle terrificanti creature
incontrate dai protagonisti dei suoi racconti. Difatti, alle sezioni
dedicate allo stile descrittivo aptico seguono sempre dei rifiuti
assoluti della rappresentazione:
“Nessuno sarebbe in grado di descrivere la Cosa- non
esistono parole per esprimere quell’abisso di follia e caos,

39
quella raccapricciante contraddizione di ogni legge della
materia, dell’energia e dell’ordine cosmico” 31 .
Le entità che Lovecraft mette in scena sono e rimangono
oscure. La loro esatta natura sfugge a qualsiasi concetto umano. I
testi blasfemi che li glorificano e che ne celebrano il culto lo fanno
in termini confusi e contraddittori. Esse rimangono,
fondamentalmente, indicibili; noi riusciamo a percepire solo dei
fugaci sprazzi della loro orripilante potenza e gli umani che cercano
di saperne di più ci rimettono inevitabilmente il senno e la ragione,
finendo spesso per suicidarsi pur di sfuggire alle orribili visioni che
li accompagnano in ogni momento della loro maledetta esistenza.
“Dopo circa due ore dal calar della notte, Heaton era
tornato vacillando al paese, mettendosi a farfugliare cose
assurde in un monologo sconnesso. Urlava di mostri ed
orrendi abissi, di statue e di oggetti in legno spaventosi, di
catturatori inumani e di torture grottesche e di altre
allucinanti aberrazioni troppo complicate e fantasiose per
ricordale tutte” 32 . “Scrivo in uno stato di tensione
insostenibile. Fra poco sarà l’alba e io non esisterò più. Privo
d’ogni mezzo, privo della droga che, sola, mi ha consentito
fino ad oggi di sopravvivere ai miei incubi, non mi rimane
altro modo per sottrarmi al tormento: mi getterò dall’alta
soffitta, nella squallida strada sottostante.
finestra di questa soffitt
Tuttavia, io non sono un debole. Sono schiavo della morfina,
ma non sono un degenerato. Quando avrete finito di leggere
quello che, tra i brividi della febbre, sto scrivendo, forse
riuscirete a comprendere le mie ragioni” 33 .
La lettura delle descrizioni in Lovecraft dapprima stimola e poi
scoraggia ogni tentativo di adattamento visivo (pittorico o
cinematografico che sia):

31
H.P.Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, in I Miti di Cthulhu, trad. It. E a cura di G. Pilo e S.
Fusco, Newton, Roma 1995
32
H.P.Lovecraft, L’orrore sotto il tumulo, trad. it. G. Pilo, Newton, Roma 1994

40
“Titanica e repellente, la mostruosa creatura si lanciò
verso il monolite, poi lo cinse con le sue gigantesche braccia
coperte di squame, curvando la testa orribile ed emettendo
urla ritmate. Il suo aspetto grottesco e le sue dimensioni
bizzarre non oso descriverli…” 34 “Da quell’oscurità arrivò
zoppicando ritmicamente un’orda di creature ibride e alate,
addomesticate e addestrate, che nessun occhio sano avrebbe
mai potuto vedere interamente, e nessun cervello sano avrebbe
mai potuto ricordare interamente” 35 . “La cosa era
parzialmente umana, con delle mani e una testa affatto
antropomorfe, e il volto caprino, dal mento sfuggente, portava
impresso chiaramente il marchi dei Whateley. Ma il torso e le
parti inferiori del corpo erano una mostruosità teratolgica,
tanto che solo un abbondante abbigliamento poteva averle
permesso di camminare sulla faccia della terra senza venire
fermata ed eliminata. Sarebbe banale e non del tutto esatto
dire che nessuna penna umana potrebbe descriverla, però si
può dire correttamente che non potrebbe essere visualizzata in
modo tropo vivido da nessuno le cui idee relative all’aspetto e
alla figura siano troppo legate alle comuni forme di vita di
questo pianeta e delle tre dimensioni conosciute” 36 .
Cercando di figurasi le entità lovecraftiane, possiamo dire che
dalla coscienza affiorano alcune immagini, ma nessuna sembra
abbastanza smisurata: nessuna arriva all’altezza del sogno. O
dell’incubo.
Lovecraft era pienamete cosciente di trattare tematiche
aberranti e sconvolgenti, che risultavano essere inesprimibili e
inafferrabili nella loro oggettività così aliena al nostro comune modo
di pensare. I suoi racconti trattavano di argomenti che sembrano

33
H.P.Lovecraft, Dagon, in Tutti i racconti, a cura di G. Lippi, Mondadori, Milano 1989
34
Ibid.
35
H.P.Lovecraft, Il festival, in I Miti di Cthulhu, trad. It. E a cura di G. Pilo e S. Fusco, Newton,
Roma 1995
36
H.P.Lovecraft, L’orrore di Dunwich, in I Miti di Cthulhu, trad. It. E a cura di G. Pilo e S.
Fusco, Newton, Roma 1995

41
rifiutare una rappresentazione: in virtù di tale mancanza, l’evidenza
di questi contenuti non ha la possibilità di essere
intersoggettivamente tematizzata: q u in d i, le su e tematiche
“irrapresentabili” sono sempre sulla soglia di un solipsismo formale,
cioè di un piano dimostrativo che vieta un’espressività
comunicativa. Una dimensione non dialettica, dove l’irrapresentabile
respinge una rappresentazione intersoggettiva ed espressiva. Siamo
qui nel campo di ciò che non può essere comunicato: il contenuto
affettivo è così radicato nella soggettività individuale, così
profondamente costitutivo della psicologia invisibile del soggetto,
che non riesce a trovare le immagini che lo esibiscano, rendendolo
espressivo e intersoggettivamente fruibile.
Gli ammiratori che hanno cercato di dare “corpo”, attraverso
media comunicativi “plastici”, alle fantasie di Lovecraft hanno usato
la propria interiorità per trasportare il nucleo simbolico di quelle
visioni nella rappresentazione artistica, ma in tali genesi formative,
spesso il centro focale della rappresentazione stessa risultava non
comunicabile all’altro. Quegli epigoni del Solitario di Providence
non si sono resi conto che vi sono piani di evidenza che non possono
e non debbono essere rappresentati, per motivi intrinseci alla natura
stessa dei contenuti irrappresentabili. Quel che rende grandi ed
inimitabili gli scritti di H.P. è lo spazio riservato al “non detto”, al
“non disvelato”: il quid che eleva i miti di Cthulhu a vera pietra
miliare della letteratura del terrore, e che contemporaneamente ne
vieta la riproducibilità attraverso mezzi artistici diversi dalla
scrittura, è lo scarto immaginativo che viene riservato alla
ricostruzione fantasiosa del fruitore.
Per questo possiamo affermare che il vero nucleo delle
tematiche dei racconti di Howard Phillips Lovecraft fosse

42
l’invisibile. In fondo, è stato proprio lui ad affermare che la paura
più grande che l’animo umano possa conoscere sia quella
dell’ignoto 37 .

37
Tutto Lovecraft, a cura di G. Pilo e S. Fusco, Fanucci, Roma 1987
43
Capitolo 6: La reinterpretazione dei
Grandi Antichi

Il mito di H.P.L.

La cosa curiosa che capitò a Lovecraft fu lo sviluppo di un vero


e proprio culto legato alla sua persona e ai suoi scritti: un
riconoscimento della sua capacità letteraria e visionaria che ebbe
inizio solo in seguito alla sua dipartita, ma che lo consegnò nelle
braccia dell’immortalità, elevandolo a pietra di paragone per
chiunque dopo di lui avesse voluto cimentarsi nella creazione di
grottesche opere d’arte. E’ solo dopo la sua morte, infatti, che lo si
comincia ad avvicinare al posto che merita: scrittore assolutamente
unico, vero iniziatore di un universo altro, situato al di là
dell’esperienza umana e quindi di impatto emozionale terribilmente
efficace.
L’idolatria postuma riservata allo scrittore di Providence è
probabilmente riconducibile, oltre che alle sue doti letterarie, anche
al legame con la tradizione gotica: H.P., infatti, portò ad un punto
estremo l’insistenza sulla verifica, tipica di così tanti dei primi
scrittori del terrore, da Mary Shelley a Maturin, passando per Hogg
e tanti altri ancora. Non solo egli sottolineava continuamente
l’attendibilità dei suoi manoscritti narrativi originali, ma inventò un
libro, il famigerato Necronomicon, grimorio occulto dai mistici
poteri, e addirittura una città e un’università in cui sono
costantemente ambientate le sue storie. Coloro che si sono adoperati

44
a pubblicarne l’opera dopo la morte lo hanno fatto fondando una
casa editrice che portava il nome della sua città immaginaria,
Arkham, ottenendo il risultato di gettare il dubbio sull’effettiva
esistenza dell’autore stesso e sulla finzione della sua cosmogonia.
Questa ambiguità ontologica che sin dall’inizio caratterizzò la figura
di Lovecraft e la sua produzione scritta contribuì senza dubbio alla
fusione tra realtà e leggenda, arrivando a creare quell’alone di
mistero che circonda un personaggio divenuto ormai Mito per la
folta schiera di appassionati fanatici.

Gli epigoni letterari

Prendendo in considerazione le varie manifestazioni di tributo


riservate ai Miti di Cthulhu, sembra logico partire dalla filiazione
più diretta, quella letteraria. Dopo che le opere di Lovecraft
cominciarono a girare all’interno del circuito librario, conoscendo
una diffusione di massa, moltissimi furono gli amanti dell’orrore che
rimasero impressionati dalla capacità onirica del Solitario di
Providence. Per tutto il corso della sua esistenza l’inventore del
Necronomicon mantenne contatti epistolari con una folta schiera di
giovani scrittori tra i quali è d’obbligo ricordare August Derleth 38 :
egli consacrerà il resto della propria vita a raccogliere, ordinare e
pubblicare i frammenti postumi dell’amico scomparso. Non è
sbagliato affermare che fu proprio grazie a questo lavoro di recupero
che l’opera di Lovecraft venne al mondo.

38
August William Derleth, scrittore americano amico di HP, fu l’inventore del termine “Miti di
Cthulhu” riferito alla mitologia cosmica di Lovecraft

45
La devozione di quegli artisti, che avevano avuto la fortuna di
godere delle simpatie di H.P. quando questi era in vita e di ammirare
in anteprima le sue creazioni visionarie, sono una lampante
dimostrazione del notevole impatto emotivo ed artistico insito negli
scritti di Cthulhu. Un impatto che si propagherà a macchia d’olio
all’interno del mondo letterario, interessando non solo i fruitori, ma
gli stessi scrittori del terrore; il discepolo Derleth sarà uno dei primi
a formulare dei racconti situati all’interno della cosmogonia dei
Grandi Antichi, portando avanti un’ideale prosecuzione delle
tematiche di Lovecraft. Ma, insieme a lui, è possibile annoverare un
elevato numero di autori nel computo dei suoi epigoni, autori che
hanno consacrato tutta o buona parte della propria opera a sviluppare
ed arricchire i miti creati da H.P.L.: si pensi ad esempio a Frank
Belknap Long 39 , Robert Bloch 40 , Lin Carter 41 , Fred Chappell 42 ,
Donald Wandrei 43 … Una filiazione non furtiva, ma assolutamente
dichiarata, sistematicamente rinforzata dall’uso delle stesse parole,
degli stessi nomi, degli stessi riferimenti geografici, che vengono
così ad assumere un valore incantatorio ( le colline selvaggie a ovest
di Arkham, la Miskatonic University, la città di Irem dalle mille
colonne, R’lyeh, Sarnath, Dagon, Nyarlathotep e, soprattutto,
l’innominabile, l’empio Necronomicon, il cui nome può essere
pronunciato solo a voce bassa). In un’era che stima l’originalità
come valore supremo nelle arti, questo fenomeno ha qualcosa di

39
Frank Belknap Long, prolifico scrittore, poeta, editore. Iniziò la sua carriera nel 1923 con
“The Desert Lynch”, sua prima pubblicazione apparsa sulle pagine del magazine pulp “Weird
Tales”.
40
Robert Bloch, autore di più di duecento racconti e di ben ventidue romanzi, lavorò anche per
le produzioni cinematografiche Hollywoodiane: tra le sue opere ricordiamo il libro “Psycho”,
che divenne la base per la sceneggiatura dell’omonimo film di Hitchcock.
41
Linwood Vrooman Carter. Autore di grandissimo successo nel campo della letteratura del
fantastico. Tra le sue opere, ricordiamo la “Saga di Thongor”, la “Saga di Callisto”,o, ancora, i
romanzi “Beyond the gates of dream” e “The city outside the world”.
42
Fred Chappell, vincitore di numerosi premi per le sue produzioni poetiche, è autore anche di
opere come “Weird Tales “ e “Dagon”.

46
sbalorditivo. Occorre umilmente riconoscere che ci troviamo di
fronte a ciò che si usa definire un mito fondatore. Questa è la vera
grandezza del Solitario di Providence: essere un’immensa fonte di
ispirazione per i sogni, o meglio, gli incubi, di una moltitudine di
persone: una folta schiera di ammiratori nella quale, accanto ai
semplici lettori comuni, si possono trovare anche personalità di
spicco del mondo artistico, che con i loro tributi testimoniano
l’evidente eco degli scritti originali di Howard Phillips Lovecraft.

Le trasposizioni artistiche dei miti di Cthulhu

Il solco tracciato dagli incubi del Solitario di Providence


nell’immaginario estetico del ‘900 fu così profondo da influenzare il
genio creativo di artisti provenienti dai più svariati campi; se, per
quanto riguarda gli scrittori, si può affermare che portarono avanti
un pedissequo e forzato proseguimento stilistico e tematico delle
produzioni originali di Lovecraft, il discorso risulta essere diverso
quando ci si ritrova ad analizzare l’applicazione alle visioni
lovecraftiane di un medium artistico- comunicativo diverso dalla
scrittura.
La differenza principale tra i racconti di Lovecraft e le
trasposizioni delle tematiche a lui care nelle arti plastiche della
scultura e del fumetto, oltre che nella pellicola cinematografica,

43
Donald Wandrei, autore della raccolta “Mysteries of Time and Spirit: The Letters of H.P.
Lovecraft and Donald Wandrei” e di racconti come “Dream-Horror”.

47
consiste nella presentazione di una visione d’insieme che risulta
totalmente assente nei manoscritti del Solitario di Providence.
Partiamo ad esempio dalla scultura. Per analizzare le differenze
tra quest’arte plastica e i racconti scritti dell’autore americano,
possiamo fare riferimento alle opere di un artista italiano, famoso
presso gli appassionati lovecraftiani di tutto il globo per la sua
dedizione ai Miti di Cthulhu: Andrea Bonazzi. Sin dal 1988 questo
scultore genovese ha dedicato le sue doti e le sue abilità alla
creazione di statue ed oggetti di varia natura direttamente ispirati
alle tematiche deliranti del Solitario di Providence. . Per Nuova
Metropolis ha illustrato il volume di saggi "H.P. Lovecraft: Sculptus
in Tenebris" (2001), mentre alcune elaborazioni fotografiche
illustrano il libro di Sebastiano Fusco “H.P. Lovecraft: storia e
Cronologia del Necronomicon” (I Libri di Mystero – Profondo
Rosso, 2002). Numerose sono state le sue partecipazioni ai meetings
internazionali organizzati per rendere omaggio alla memoria di H.P.:
possiamo ricordare la mostra “Paura” sul terrore tra cinema e
letteratura, tenutasi a Verona nel 1998, l’esposizione alla recente
European Game Industry Expo di Genova o, ancora, l’International
Lovecraft Film Festival tenutosi a Portland nel 2003. Le sue
riproduzioni hanno saputo convincere e interessare il difficile
pubblico dei fanatici adoratori di Cthulhu, senza riuscire però ad
eguagliare, nonostante l’elevato livello qualitativo, l’impatto
emotivo insito negli scritti di Lovecarft.
Osservando le immagini delle sue produzioni, i lettori di H.P.
non faranno fatica a ritrovare, in quei volumi così particolari, alcuni
squarci delle descrizioni visionarie del loro autore di culto: le masse
non definite, i tentacoli, le forme ibride di quelle creature d’incubo
sembrano essere appena uscite dalle pagine del Necronomicon,

48
dando corpo e consistenza tridimensionale ai mostri alieni ideati
dallo scrittore del Rhode Island. Le sculture che si possono
osservare nelle pagine seguenti, facenti parte dalla collezione
completa dello scultore italiano, riescono senza dubbio a riportare
alla mente ricordi inerenti le terrificanti creature provenienti dal
mondo contorto degli scritti originali. Nonostante questo,
l’impressione che si ha dinanzi a tali opere è quella di una piacevole
sorpresa, mista però ad una sgradevole sensazione di delusione.
Siamo contenti di poter vedere che le cose da noi sempre solo
pensate hanno preso finalmente corpo, ma è come se, pur riuscendo
a riconoscere dei particolari, identificabili con le parole di Lovecraft,
non riuscissimo ad accettare nella loro totalità le ricostruzioni fatte
dallo scultore. Sembra esserci qualcosa di non perfettamente
combaciante con quella che era la nostra idea di Cthulhu, con la
nostra personale immagine degli Shoggoth.
Il punto debole delle statue di Bonazzi sembra risiedere non
tanto in una lacuna artistica dello scultore, né in una sua mancanza
creativa, quanto nel medium da lui scelto per rappresentare i Miti di
Lovecraft. La visione dei mostri percepiti istantaneamente
dall’occhio nella loro integrità non sembra essere in grado di reggere
il confronto con le fantasie che gli orrori cartacei dei racconti
suggerivano alla mente del fruitore.

49
Figura 2: “Creatura a sei zampe”, Andrea Bonazzi, In Tenebris Sculptus.

Figura 3: “Flautista”, Andrea Bonazzi, In Tenebris Sculptus.

50
Figura 4: “Urlo”, Andrea Bonazzi, In Tenebris Sculptus.

Le opere del Solitario di Providence hanno solleticato


l’immaginazione di molti personaggi sensibili alle tematiche del
terrore, che hanno spesso reso omaggio allo scrittore americano nei
modi più disparati. Tra i mezzi artistici che più hanno reso tributi al
lavoro di Lovecraft vi è senza ombra di dubbio il fumetto. Per
continuare il nostro discorso, faremo qui riferimento in particolare a
due autori: Alan Moore ed Enrique Breccia.
Il primo è conosciuto ormai come uno dei più abili
sceneggiatori di storie a vignette di tutti i tempi. Nel 1982 e nel 1983
vinse l’Eagle Award come miglior scrittore grazie a V for Vendetta,
in seguito ricevette numerosi altri prestigiosi riconoscimenti per le
serie Swamp Thing, fino ad arrivare al Premio Kirby nel 1987 con
Watchmen. Da sempre affascinato dalle componenti mistiche e
visionarie dei racconti di H.P., Moore si è recentemente dedicato
alla realizzazione di una serie di brevi storie a fumetti ispirate alle
tematiche del Necronomicon. La collana prende il nome di Yuggoth

51
Cultures 44 e raccoglie alle matite il lavoro di numerosi artisti, tra i
quali Jacen Burrows e Juan Josè Ryp. L’approccio di questi due
disegnatori presenta una stupefacente serie di diversità. Osservando
le figure 5 e 6, possiamo notare come l’effetto di tali
rappresentazioni per il fruitore sia simile a quello suscitato dalle
sculture di Bonazzi: la figura del mostro metà uomo e metà capra,
protagonista di racconti come The Dunwich Horror, non riesce a
scuoterci nel profondo dell’animo come avviene invece per le
descrizioni di Lovecraft. La sua vista non riesce a inquietare il
lettore: l’essere descritto con tanta angoscia nelle produzioni
letterarie sembra perdere la sua capacità di suscitare terrore nel
momento in cui ce lo troviamo davanti. Spesso H.P. nei suoi
racconti afferma che certi orrori sono tali proprio perché
completamenti alieni ed estranei al nostro comune modo di pensare
e percepire le forme e i volumi: per questo i protagonisti, dopo
inutili tentativi di descrizione minuziosa e particolareggiata,
desistono dall’intento di fornirci una visione d’insieme delle creature
che incontrano. Nelle bozze di Burrows, invece, veniamo messi di
fronte ad immagini che si articolano in modo chiaro e diretto
attraverso forme di interpretazione “comuni”, mimetiche della realtà
ottico- retinica. Non troviamo, in esse, alcunché di fastidioso o di
angosciante. Tutto ci viene svelato dinanzi agli occhi nella sua
totalità, senza lasciare spazio ad alcuna mediazione immaginativa e
il risultato è una notevole e significativa perdita di fascino.
Mostrando ciò che Lovecraft non poteva né voleva mostrare,
l’incantesimo si spezza.

44
A. Moore, Yuggoth Cultures and other growths Necrocomicon , Avatar, 2003

52
Figura 5: “Recognition”, Burrows, Yuggoth Cultures

53
Figura 6: “Recognition”, Burrows, Yuggoth Cultures

Diverso appare lo stile di Ryp. Nelle tavole realizzate da questo


disegnatore, infatti, ci troviamo davanti ad una rappresentazione sì
realistica, ma così ricca di particolari che il nostro occhio, pur
ricevendo un impatto visivo d’insieme, non riesce a cogliere con
54
esattezza la raffigurazione che si trova a fruire. L’elevato numero di
dettagli che contraddistingue l’operato di Ryp, quindi, ci obbliga a
far scorrere il nostro sguardo su ogni singolo aspetto della figura,
costringendoci ad una scansione dell’immagine che, per certi versi,
ricorda la progressione parcellizzata delle descrizioni aptiche di
Lovecraft. In questo modo, la nostra mente, per arrivare a formulare
un’idea del soggetto che le si offre, deve ricostruirla a livello
immaginativo e cognitivo assemblando le diverse parti che
compongono la tavolozza. Seppur in maniera minore, a causa delle
caratteristiche intrinseche al medium fumetto, ritroviamo qui lo
scarto immaginativo che tanto peso ha nei racconti del Solitario di
Providence; dovendo compiere un sforzo attivo con la nostra
fantasia per arrivare a figurarci gli orrori descritti nella narrazione,
l’effetto che otteniamo è sicuramente più disorientante rispetto ai
disegni di Burrows e alle statue di Bonazzi. Le creature risultano qui
più fastidiose e terrificanti, avvicinandosi con maggior successo agli
effetti angoscianti degli scritti di Lovecraft.

55
Figura 7: “Cover”, Juan Josè Ryp, Yuggoth Cultures

56
Figura 8: “Cover”, Juan Josè Ryp, Yuggoth Cultures

Esemplificativo, a questo proposito, l’approccio di Enrique


Braccia alla traspozione del terrore lovecraftiano nel medium
fumetto. Autore affermato a livello mondiale, divenuto famoso
57
grazie a serie come Batman Black and White e Legion Worlds per la
Dc Comics, o ancora grazie alle vignette e alle illustrazioni con cui
diede vita a L’Eternauta, ha reso omaggio in più occasioni al
Solitario del Rhode Island. Il lavoro più significativo in questo senso
è il volume intitolato I Miti di Cthulhu 45 , vero e proprio adattamento
a vignette del più famoso ciclo di racconti dell’orrore targato
Lovecraft. Il punto focale del suo particolare stile risiede
nell’elaborazione di un insieme di elementi formali che formano un
linguaggio plastico capace di riprodurre il più fedelmente possibile
l’orrore suggerito, alimentato e mai propriamente svelato dei
racconti di H.P., la presenza inquietante di mondi e creature
invisibili ma sensibili, l’immanenza di un universo parallelo, origine
e negazione al tempo stesso della realtà quale la conosciamo. In
questo modo l’angoscia del lettore che cerca con difficoltà e sovente
invano di dare un senso alle masse appena delineate, ai dettagli
appena accennati, alla materia aliena, diviene vivida e pulsante.
Quasi come negli scritti originali di H.P., il lettore interiorizza
questa apprensione, questo strisciante terrore tentando di
razionalizzare queste forme cangianti e sfuggenti. D’altronde, questo
era l’intento dichiarato del disegnatore: “ Mi sono presto reso conto
che l’approccio tradizionale al fumetto non bastava a rappresentare
l’universo di Lovecraft. Ho pensato allora di creare mostri senza
forma, perché non volevo limitarmi a darne un’interpretazione
personale; volevo che ogni lettore vi aggiungesse del suo, che
potesse utilizzare questa base informe che gli ho fornito per
sovrapporci i propri timori, la propria paura” 46 . Il risultato è
stupefacente: se si considerano le diversità imprescindibili dei due
diversi mezzi artistici usati, si può tranquillamente affermare che,

45
Breccia-Lovecraft, I Miti di Cthulhu”, Comma 22, Milano 2003
46
Ibid.

58
grazie allo scarto immaginativo appositamente lasciato aperto dal
disegnatore, il mondo opprimente dello scrittore di Providence, le
sue allucinanti atmosfere, si riproducono intatte nell’opera di
Breccia.

Figura 9:”The Dunwich horror”, Breccia, Miti di Cthulhu

59
Figura 10: “The call of Cthulhu”, Breccia, I Miti di Cthulhu

Gli abomini cartacei delle deliranti visioni di Lovecraft hanno


trovato seguaci ed ammiratori anche nel campo cinematografico. La

60
cosa non stupisce: il cinema è sempre stato attratto, sin dalle sue
origini, dalla messa in scena di tematiche legate al terrore e alla
paura, tanto da essersi posto agli occhi del pubblico di massa come il
principale fautore della fortuna del genere horror. La maggior parte
delle pellicole dichiaratamente dedicate alla trasposizione su grande
schermo dei Miti di Cthulhu non ha incontrato il favore del pubblico
né della critica, finendo per essere catalogata sotto il filone dei B-
movies, suscitando soltanto l’interesse, tra l’altro piuttosto limitato,
dei fanatici del genere. Per fortuna esistono delle eccezioni, prodotti
di qualità o veri e propri film d’autore capaci di rendere giustizia
agli scritti di H.P.; numerosi registi di caratura internazionale hanno
a più riprese affermato di essersi ispirati alle opere del Solitario di
Providence per la realizzazione dei loro film: Ridley Scott e H.G.
Giger, autori della pluripremiata serie di Alien, hanno un grande
debito nei confronti delle tematiche e dell’estetica lovecraftiane; la
famosa saga de La Casa prende spunto dai poteri arcani contenuti
nel Necronomicon, sottolineando il r u o lo di portale
interdimensionale svolto dal mistico grimorio, non senza un pizzico
di ironia ed umorismo, come in Army of Darkness (la Casa 3), del
director Sam Raimi, tornato recentemente alla ribalta grazie
all’adattamento cinematografico di Spider Man.
Ma i lavori che più di tutti gli altri riescono a ricreare sul
grande schermo le atmosfere angoscianti e disorientanti delle opere
dello scrittore americano sono senza dubbio le pellicole di John
Carpenter. Regista acclamato dal pubblico amante dell’horror
cinematografico, ha saputo mantenere integra l’essenza della paura
lovecraftiana nei suoi lavori. Egli stesso dichiara, nell’introduzione a
Lovecraft, graphic novel dedicata ad H.P. pubblicata nel 2003 dalla
Dc Comics-Vertigo: “Molte persone, guardando i miei film,

61
riconosceranno tracce degli scritti di Lovecraft. Dai riferimenti a
Innsmouth in The Fog 47 , alle premesse generali di In the Mouth of
Madness 48 , ho voluto usare i mezzi cinematografici per dare il mio
contributo ai Miti lovecraftiani 49 ”. Il mezzo di produzione artistica
scelto da Carpenter è dunque quello filmico: un mezzo di
comunicazione che fa della rappresentazione del movimento e della
visione ottico- retinica il suo punto forte. Eppure il regista è abile nel
mantenere pressoché intatta l’essenza della concezione del terrore
propria dello scrittore del Rhode Island. Per non rovinare la
suspense derivante dalla mancata rivelazione dell’orrore nella sua
totalità, egli adotta degli éscamotage. Partiamo dal primo dei due
esempi citati dal regista. In The Fog il trucco è indicato dal titolo
stesso della pellicola: l’onnipresente nebbia ci impedirà per tutto il
corso della vicenda di farci un’idea chiara, precisa e definita delle
orripilanti e pericolose creature che si nascondono alla vista dei
protagonisti, enfatizzando il senso di angoscia proprio grazie al
mistero sull’esatta natura della minaccia. Come nei racconti di H.P,
non riusciamo a conoscere i mostri che ci perseguitano nella loro
totalità: ciò che più ci spaventa è proprio ciò che non vediamo, ciò
che riusciamo solo ad intuire. Il medesimo effetto lo si ritrova nel
secondo film citato da Carpenter: ne Il Seme della Follia (traduzione
italiana del titolo originale) per buona parte della narrazione gli unici
contatti che abbiamo con gli Antichi provenienti dall’Altrove sono
mediati dalle descrizioni allucinate contenute nei libri di uno
scrittore ritenuto pazzo. Ma il vero tributo a Lovecraft avviene nel
momento in cui le entità aliene “bucano” letteralmente le pareti
cartacee che narrano delle loro gesta per riversarsi nel nostro mondo.

47
J. Carpenter, The Fog, USA 1980
48
J. Carpenter, In the mouth of madness, USA 1995
49
H. Rodionoff, E. Breccia, K. Giffen, Lovecraft, Vertigo, NY 2003

62
A questo punto la riproduzione mimetica della realtà ottico- retinica,
che fino a quel momento ci aveva accompagnato per tutta la
pellicola, lascia spazio ad un susseguirsi sincopato di fotogrammi,
che mostrano nel dettaglio diverse parti dei corpi immondi delle
creature, senza però fornirci una visione d’insieme. Come il
Solitario di Providence fa nei suoi scritti, così qui Carpenter sembra
suggerirci che nessuna immagine potrebbe rendere l’idea della
diversità delle forme di queste empie mostruosità. La riuscita dei
film di questo regista dell’orrore, soprattutto nel momento in cui si
confronta con la capacità letteraria di Lovecraft, sta nell’essere
riuscito a trovare un modo per riproporre nel linguaggio
cinematografico l’angoscia suscitata dalle descrizioni aptiche dei
Miti di Cthulhu.

Figura 11: Locandina di "The Fog", Carpenter

63
Figura 12: "The Fog", Carpenter

Figura 13: "The Fog", Carpenter

64
Figura 14: "The Fog", Carpenter

Figura 15: Locandina di "In the mouth of madness", Carpenter

65
Figura 16: "In the mouth of madness", Carpenter

Figura 17: "In the mouth of madness", Carpenter

66
Conclusioni

Howard Phillips Lovecraft è stato un grande scrittore del


terrore. Le sue opere, perfettamente ascrivibili alla tradizione della
letteratura gotica, sono divenute, in seguito alla sua morte e alla
diffusione postuma avvenuta grazie ai suoi amici e corrispondenti,
un vero e proprio oggetto di culto tra gli appassionati del genere
horror.
Chi ama gli scritti di Cthulhu lo fa in maniera viscerale, con un
misto di fanatismo e reverenza; tale dedizione ha due motivi
principali: da un lato, il dubbio e il mistero relativi all’effettiva
esistenza delle pietre angolari dei suoi racconti. Sono in molti a
credere all’effettiva esistenza del Necronomicon, a prenotare viaggi
con destinazione Arkham o Innsmouth, a chiedere un posto di lavoro
alla Miskatonyc University. L’approccio scientifico e/o giornalistico
del Solitario di Providence, unito alla ripetuta presenza delle
medesime costanti narrative all’interno della sua produzione, hanno
contribuito a formare un autentico mito intorno a questo affascinante
mondo visionario. In fondo l’uomo è sempre pronto a lasciarsi
trascinare nel mondo del fantastico.
Il secondo motivo, strettamente correlato al primo, è legato
all’approccio di Lovecraft alla descrizione. Come si è cercato di
mostrare in questo lavoro, la peculiarità stilistica dei Miti di Cthulhu
risiede nell’opposizione brusca tra il procedere tattile-visivo della
rappresentazione aptica, apogeo della descrizione letteraria, e il suo
più assoluto rifiuto. Narrazioni particolareggiate, capaci di indagare
gli abomini incontrati nei più piccoli dettagli, procedendo per

67
sezioni, affiancandole le une alle altre in una simulazione del
processo conoscitivo tattile, per poi ammutolirsi improvvisamente,
senza preavviso e in modo definitivo. Con il risultato di sconcertare
il lettore, di disorientarlo, di provocare in lui un senso di curiosità
morbosa misto però ad un senso di angoscia e di timore. Proprio
come i protagonisti dei suoi libri, cercatori allucinati di una
conoscenza proibita che li condurrà sull’orlo del nichilismo. Questo
accostamento violento tra il disvelato e l’invisibile ha portato alla
creazione di una tecnica letteraria di notevole fervore, capace di
coinvolgere il lettore nella ricostruzione attiva delle immagini
evocate da Lovecraft: uno scarto immaginativo che viene alimentato
dagli squarci visionari concessi dallo scrittore nelle lunghe sezioni
descrittive, guidato quasi per mano dai suoi accenni, dalla sua
progressione parcellizzata, dal suo palpare esplorativo, ma mai
soffocato; anzi, stimolato. In questo modo, ogni singolo lettore potrà
aggiungere alle masse non definite, mai rivelate nella loro totalità, i
propri timori, i propri incubi personali. Questo particolare rapporto
con il fruitore è ciò che rende gli scritti del Solitario di Providence
indimenticabili. Difficilmente, dopo aver letto il suo ciclo di
racconti, ci si dimentica dei suoi orrori. Perché sono costituiti, in
parte, anche dalle nostre paure.
Quegli artisti che sono stati in grado di comprendere questo
particolare aspetto della poetica lovecraftiana, indipendentemente
dal medium artistico utilizzato, hanno cercato di mantenere
inalterata l’essenza dei Miti di Cthulhu proprio riproponendo la
compresenza tra ciò che è percepito e ciò che deve essere lasciato
alla ricostruzione immaginativa del fruitore. Un approccio che, se
anche può essere riproposto con successo all’interno di diversi
media comunicativi, sembra essere facilitato dall’utilizzo della

68
scrittura, che si propone come il miglior medium per comunicare
qualcosa di incomunicabile, poiché, a differenza di altre arti, lascia
spazio all’ invisibile.
Se poi questo mezzo di comunicazione artistica viene affidato
nelle mani di un incredibile sognatore come Howard Phillips
Lovecraft, allora il risultato non potrà che essere la creazione di una
vera e propria cosmogonia, capace, attraverso l’immaginazione
contorta del Solitario di Providence, di creare suggestioni di sublime
potere.

69
Bibliografia primaria

LA FIASCHETTA DI VETRO (The Little Glass Bottle)


1. 1897
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Raccontino infantile scritto su un quaderno di scuola

LA CAVERNA SEGRETA (The Secret Cave or John Less Adventure)


1. 1898
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Raccontino infantile scritto su un quaderno di scuola

IL MISTERO DEL CIMITERO (The Mystery of the Grave-yard)


1. 1898
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Raccontino infantile scritto su un quaderno di scuola

LA NAVE MISTERIOSA (The Mysterious Ship)


1. 1902
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. "Scaletta" per un racconto progettato ma mai scritto, o perduto

LA BESTIA NELLA CAVERNA (The Beast in the Cave)


1. 21 aprile 1905
2. The Vagrant, giugno 1918
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Racconto giovanile salvato dalla distruzione massiccia della sua prima
produzione narrativa effettuata da Lovecraft nel 1908

L'ALCHIMISTA (The Alchemist)


1. 1908
2. The United Amateur, novembre 1916
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Racconto giovanile salvato dalla distruzione massiccia della sua prima
produzione narrativa effettuata da Lovecraft nel 1908

UN RICORDO DEL DOTTOR SAMUEL JOHNSON (A Reminiscence of


Dr.Samuel Johnson)
1. 1917
2. The United Amateur, novembre 1917
4. Parodia scherzosa scritta in linguaggio settecentesco e pubblicata con lo
pseudonimo "Humphrey Littlewit, Esq."

LA TOMBA (The Tomb)


1. Giugno 1917
2. The Vagrant, marzo 1922
3. Weird Tales, gennaio 1926

DAGON (Dagon)
70
1. Luglio 1917
2. The Vagrant, novembre 1922
3. Weird Tales, ottobre 1923

POLARIS (Polaris)
1. Maggio 1918
2. The Philosopher, dicembre 1920
3. Weird Tales, dicembre 1937

IL PRATO VERDE (The Green Meadow)


1. 1918-1919
2. The Vagrant, primavera 1927
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Scritto sulla base di alcuni sogni suoi e della poetessa dilettante Winifred
V.Jackson, apparve su The Vagrant con il doppio pseudonimo "Elizabeth
Neville Berkeley e Lewis Theobald, jr."

OLTRE LE MURA DEL SONNO (Beyond the Walls of Sleep)


1. 1919
2. Pine Cones, ottobre 1919
3. Weird Tales, marzo 1938

IL RICORDO (Memory)
1. 1919
2. The United Co-operative, giugno 1919
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Racconto "ripudiato" dall'autore

SACCO DI PULCI (Old Bugs)


1. 1919
3. Nel volume The Shuttered Room and Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Incluso in una lettera ad Alfred Galpin e scritto a suo beneficio, quale
ammonimento contro l'abuso dei liquori

LA TRANSIZIONE DI JUAN ROMERO (The Transition of Juan Romero)


1. 16 settembre 1919
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Racconto "ripudiato" dall'Autore

LA NAVE BIANCA (The White Ship)


1. Novembre 1919
2. The United Amateur, novembre 1919
3. Weird Tales, marzo 1927

IL FATO CHE COLPI' SARNATH (The Doom That Came to Sarnath)


1. 3 dicembre 1919
2. Scot, giugno 1920
3. Weird Tales, giugno 1938

LA DEPOSIZIONE DI RANDOPLH CARTER (The Statement of Randolph


Carter)

71
1. Dicembre 1919
2. The Vagrant, maggio 1920
3. Weird Tales, febbraio 1925

DOLCE ERMENGARDE (Sweet Ermengarde)


1. 1920 (?)
3. Nel volume Beyond the Wall of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Parodia dei romanzi "perbenisti" americani di fine Ottocento

IL VECCHIO TERRIBILE (The Terrible Old Man)


1. 28 gennaio 1920
2. The Tryout, luglio 1921
3. Weird Tales, agosto 1926

L'ALBERO (The Tree)


1. 1920
2. The Tryout, ottobre 1921
3. Weird Tales, agosto 1938

IL TEMPIO (The Temple)


1. 1920
3. Weird Tales, settembre 1925

LE VICENDE RIGUARDANTI LO SCOMPARSO ARTHUR JERMYN E LA


SUA FAMIGLIA (Facts Concerning the late Arthur Jermyn and his Family)
1. 1920
2. The Wolverine, marzo e giugno 1921
3. Weird Tales, aprile 1924
4. Su Weird Tales apparve con il titolo The White Ape; nelle edizioni
successive in volume con il titolo di cui sopra

I GATTI DI ULTHAR (The Cats of Ulthar)


1. 15 giugno 1920
2. The Tryout, ottobre 1921
3. Weird Tales, febbraio 1926

LA STRADA (The Street)


1. 1920 (?)
2. The Wolverine, dicembre 1920
3. Nel volume The Shuttered Room abd Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Racconto "ripudiato" dall'autore

LA POESIA E GLI DÈI (Poetry and the Gods)


1. 1920
2. The United Amateur, settembre 1920
3. Nel volume The Shuttered Room abd Other Pieces (Arkham House, 1959)
4. Racconto scritto con la poetessa Anna Helen Crofts (che ha fornito i "versi
sciolti" inclusi nel testo), e apparso su The United Amateur con la doppia firma
"Anna Helen Crofts e Henry Paget-Love"

DA ALTROVE (From Beyond)

72
1. 16 novembre 1920
2. The Fantasy Fan, giugno 1934
3. Weird Tales, febbraio 1938

CELEPHAÏS (Celephaïs)
1. Novembre 1920
2. The Rainbow, maggio 1922
3. Weird Tales, giugno-luglio 1939

L'IMMAGINE NELLA CASA (The Picture in the House)


1. 12 dicembre 1920
2. The National Amateur, datato luglio 1919, ma uscito con un ritardo di un
anno e mezzo rispetto alla data di copertina
3. Weird Tales, gennaio 1924

NYARLATHOTEP (Nyarlathotep)
1. Dicembre 1920
2. The United Amateur, datato novembre 1920 ma uscito in ritardo
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Racconto "ripudiato" dall'autore

IL CAOS STRISCIANTE (The Crawling Chaos)


1. 1920-1921
2. The Vagrant, 1923
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Scritto sulla base di alcuni sogni suoi e della poetessa dilettante Winifred
V.Jackson, apparve su The Vagrant con il doppio pseudonimo "Elizabeth
Neville Berkeley e Lewis Theobald, jr."

EX OBLIVIONE (Ex Oblivione)


1. 1921
2. The United Amateur, marzo 1921
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Racconto "ripudiato" dall'autore. Apparso su The United Amateur con lo
pseudonimo "Ward Phillips"

L'ESTRANEO (The Outsider)


1. 1921
3. Weird Tales, aprile 1926

LA CITTA' SENZA NOME (The Nameless City)


1. Gennaio 1921
2. The Wolverine, novembre 1921
3. Weird Tales, novembre 1938

LA RICERCA DI IRANON (The Quest of Iranon)


1. 28 febbraio 1921
2. The Galleon, luglio-agosto 1925
3. Weird Tales, ottobre 1938

LA PALUDE DELLA LUNA (The Moon-Bog)

73
1. Marzo 1921
3. Weird Tales, giugno 1926

GLI ALTRI DÈI (The Other Gods)


1. 14 agosto 1921
2. The Fantasy Fan, novembre 1933
3. Weird Tales, marzo 1938

LA MUSICA DI ERICH ZANN (The Music of Erich Zann)


1. Dicembre 1921
2. The National Amateur, marzo 1922
3. Weird Tales, maggio 1925

HERBERT WEST, RIANIMATORE (Herbert West-Reanimator)


1. Settembre 1921- maggio 1922
2. Home Brew, in sei parti dal febbraio al luglio 1922, sotto l'intestazione
generale Grewsome Tales
3. Weird Tales, in sei parti datate marzo, luglio, settembre e novembre 1942;
settembre e novembre 1943

HYPNOS (Hypnos)
1. 1 maggio 1922
2. The National Amateur, maggio 1923
3. Weird Tales, maggio-giugno-luglio 1924 (numero unico)

QUEL CHE PORTA LA LUNA (What the Moon Brings)


1. 5 giugno 1922
2. The National Amateur, maggio 1923
3. Nel volume Beyond the Walls of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Racconto "ripudiato" dall'autore

AZATHOTH (Azathoth)
1. Giugno 1922
2. Leaves II, 1938
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Frammento incompiuto; doveva essere l'inizio di un romanzo, mai scritto

L'ORRORE DI MARTIN'S BEACH (The Horror at Martin's Beach)


1. Giugno 1922
3. Weird Tales, novembre 1923
4. Revisione per conto di Sonia H.Greene. Apparso su Weird Tales a firma di
quest'ultima e col titolo "The invisible Monster" (impiegato anche in successive
edizioni in volume)

IL CANE (The Hound)


1. Settembre 1922
3. Weird Tales, febbraio 1924

LA PAURA IN AGGUATO (The Lurking Fear)


1. Novembre 1922

74
2. Home Brew, in quattro parti dal gennaio all'aprile 1923
3. Weird Tales, giugno 1928
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------Lippi, G.(a cura di), H.P.Lovecraft. Tutti i
Racconti. 1897-1922,Mondatori, Milano 1997
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------

I RATTI NEI MURI (The Rats in the Walls)


1. Agosto-settembre 1923
3. Weird Tales, marzo 1924

L'INNOMINABILE (The Unnamable)


1. Settembre 1923
3. Weird Tales, luglio 1925

ALLE QUATTRO DEL MATTINO (Four O'Clock)


1. 1923
3. Incluso nel volume Something about Cats (Arkham House, 1949)
4. Revisione per conto di Sonia H.Greene

CENERI (Ashes)
1. 1923
3. Weird Tales, marzo 1924
4. Revisione per conto di Clifford M.Eddy jr. Apparso su Weird Tales a firma
di quest'ultimo

IL DIVORATORE DI SPETTRI (The Ghost-Eater)


1. 1923
3. Weird Tales, aprile 1924
4. Revisione per conto di Clifford M.Eddy jr. Apparso su Weird Tales a firma
di quest'ultimo

I CARI ESTINTI (The Loved Dead)


1. 1923
3. Weird Tales, maggio-giugno-luglio 1924 (numero unico)
4. Revisione per conto di Clifford M.Eddy jr. Apparso su Weird Tales a firma
di quest'ultimo

IL FESTIVAL (The Festival)


1. 1923
3. Weird Tales, gennaio 1925

CIECO, SORDO E MUTO (Deaf, Dumb and Blind)


1. 1924 (?)
3. Weird Tales, aprile 1925
4. Revisione per conto di Clifford M.Eddy jr. Apparso su Weird Tales a firma
di quest'ultimo

IL CERVELLO ROSSO (The Red Brain)


75
1. 1924
3. Weird Tales, ottobre 1927
4. Collaborazione. Lovecraft corresse lessico, punteggiatura e diverse frasi,
includendo parecchi pezzi in un racconto di Donald Wandrei, col cui nome la
storia venne pubblicata

IL LUPO MANNARO DI PONKERT (The Werewolf of Ponkert)


1. 1924
3. Weird Tales, luglio 1925
4. Collaborazione. Lovecraft scrisse la prima parte e corresse il lessico,
punteggiatura e diverse frasi di un racconto di Donald Warner Munn, col cui
nome la storia venne poi pubblicata

SOTTO LE PIRAMIDI (Under the Pyramids)


1. Febbraio-marzo 1924
3. Weird Tales, maggio-giugno-luglio 1924 (numero unico)
4. Racconto scritto su commissione per Herry S.Houdini. Apparso su Weird
Tales a firma di quest'ultimo e col titolo "Imprisoned with the Pharaohs",
ripreso anche in successive edizioni in volume

L'ORRORE A RED HOOK (The Horror at Red Hook)


1. 1-2 agosto 1925
3. Weird Tales, gennaio 1927

LUI (He)
1. 11 agosto 1925
3. Weird Tales, settembre 1926

NELLA CRIPTA (In the Vault)


1. 18 settembre 1925
2. The Tryout, novembre 1925
3. Weird Tales, aprile 1932

IL SUCCESSORE (The Descendant)


1. 1926 (?)
2. Leaves II, 1938
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Frammento incompiuto

LA CHIAVE D'ARGENTO (The Silver Key)


1. 1926
3. Weird Tales, gennaio 1929

ARIA FREDDA (Cool Air)


1. Marzo 1926
2. Tales of Magic and Mystery, marzo 1928
3. Weird Tales, settembre 1939

IL RICHIAMO DI CTHULHU (The Call of Cthulhu)


1. Giugno 1926
3. Weird Tales, febbraio 1928

76
DUE BOTTIGLIE NERE (The Black Bottles)
1. Luglio-ottobre 1926
3. Weird Tales, agosto 1927
4. Revisione per conto di Wilfred Blanch Talman. Apparso su Weird Tales a
firma di quest'ultimo

IL MODELLO DI PICKMAN (Pickman's Model)


1. 1926
3. Weird Tales, ottobre 1927

LA STRANA CASA NELLA NEBBIA (The Strange House in the Myst)


1. 9 novembre 1926
3. Weird Tales, ottobre 1931
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------Lippi, G.(a cura di), H.P.Lovecraft. Tutti i
Racconti. 1923-1926,Mondatori, Milano 1997
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------

LA RICERCA ONIRICA DELLO SCONOSCIUTO KADATH (The Dream-


quest of the Unknown Kadath)
1. Autunno 1926-22 gennaio 1927
3. The Arkham Sampler, nn. 1/4, 1948
4. Romanzo "ripudiato" dall'autore

IL CASO DI CHARLES DEXTER WARD (The Case of Charles Dexter Ward)


1. Gennaio 1927-1 marzo 1927
3. Weird Tales, in due puntate, maggio e giugno 1941

IL COLORE VENUTO DALLO SPAZIO (The Colour Out of Space)


1. Marzo 1927
3. Amazing Stories, settembre 1927

L'ULTIMO ESPERIMENTO DI CLARENDON (Clarendon's Last Test)


1. 1927
3. Weird Tales, novembre 1928
4. Revisione per conto di Adolphe de Castro (pseud. di Gustav Adolf
Danziger). Apparso su Weird Tales con il titolo "The Last Test" (impiegato
anche in successive edizioni in volume) e a firma Adolphe de Castro

LA RAZZA ANTICHISSIMA (The Very Old Folk)


1. 2 novembre 1927
2. Scienti-Snaps, vol. II, n. 3. Estate 1940
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Pubblicato su Scienti-Snaps come racconto, in realtà è la trascrizione di un
sogno riportata in una lettera a Donald Wandrei del 2 novembre 1927

LA COSA ILLUMINATA DALLA LUNA (The Thing in the Moonlight)


1. 24 novembre 1927
77
2. Bizarre, gennaio 1941
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Pubblicato su Bizarre come racconto, in realtà è la trascrizione di un sogno
riportata in una lettera a Donald Wandrei del 24 novembre 1927. A questo testo
sono state aggiunte alcune frasi all'inizio e alla fine: è improbabile che a
compiere questa operazione sia stato Lovecraft

IBID (Ibid)
1. 1928 (?)
3. Nel volume Beyond the Wall of Sleep (Arkham House, 1943)
4. Raccontino umoristico

L'ORRORE DI DUNWICH (The Dunwich Horror)


1. Luglio 1928
3. Weird Tales, aprile 1929

LA MALEDIZIONE DI YIG (The Curse of Yig)


1. 1928
3. Weird Tales, novembre 1929
4. Revisione per conto di Zealia Brown (Reed) Bishop. Apparso a firma di
quest'ultima

IL BOIA ELETTRICO (The Electrical Executioner)


1. 1929 (?)
3. Weird Tales, agosto 1930
4. Revisione per conto di Adolphe de Castro (pseud. di Gustav Adolf
Danziger). Apparso su Weird Tales con il titolo "The Electric Executioner"
(impiegato anche in successive edizioni in volume) e a firma Adolphe de Castro

QUALCOSA DALL'ALTO (Something from Above)


1. 1929
3. Weird Tales, dicembre 1930
4. Collaborazione. Lovecraft scrisse dei pezzi e corresse lessico, punteggiatura
e qualche frase di un racconto di Donald Wandrei, col cui nome la storia venne
pubblicata

IL TUMULO (The Mound)


1. Dicembre 1929-gennaio 1930
3. Weird Tales, novembre 1940
4. Revisione per conto di Zealia Brown (Reed) Bishop. Apparso a firma di
quest'ultima

COLUI CHE SUSSURRAVA NELLE TENEBRE (The Whisperer in Darkness)


1. 24 febbario 1930-26 settembre 1930
3. Weird Tales, agosto 1931

MEDUSA (Medusa's Coil)


1. Maggio 1930
3. Weird Tales, gennaio 1939
4. Revisione per conto di Zealia Brown (Reed) Bishop. Apparso a firma di
quest'ultima

78
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------Lippi, G.(a cura di), H.P.Lovecraft. Tutti i
Racconti. 1927-1930,Mondatori, Milano 1997
------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------

LA TRAPPOLA (The Trap)


1. 1931
3. Weird Tales, ?
4. Collaborazione con Henry S.Whitehead, che scrisse la parte iniziale del
racconto

ALLE MONTAGNE DELLA FOLLIA (At the Mountains of Madness)


1. Febbraio-marzo 1931
3. Astounding Stories, febbraio-marzo-aprile 1936

L'OMBRA SU INNSMOUTH (The Shadow Over Innsmouth)


1. Novembre-dicembre 1931
2. Edizione in volume, curata dall'appassionato William Crawford
3. Weird Tales, gennaio 1942

I SOGNI NELLA CASA STREGATA (The Dreams in the Witch-House)


1. Gennaio-febbraio 1932
3. Weird Tales, luglio 1933

L'UOMO DI PIETRA (The Man of Stone)


1. 1932
3. Wonder Stories, ottobre 1932
4. Collaborazione marginale. Lovecraft si limitò a correggere e integrare un
testo fornitogli da Hazel Heald, col cui nome la storia venne pubblicata

L'ORRORE NEL MUSEO (The Horror in the Museum)


1. Ottobre 1932
3. Weird Tales, luglio 1933
4. Revisione per conto di Hazel Heald. Lovecraft elaborò narrativamente una
trama fornitagli dalla scrittrice, sotto il cui nome il racconto venne pubblicato

ATTRAVERSO I CANCELLI DELLA CHIAVE D'ARGENTO (Through the


Gates of the Silver Key)
1. Ottobre 1932-aprile 1933
3. Weird Tales, luglio 1934
4. Collaborazione con H.Hoffmann Price. Lovecraft riscrisse interamente e
raddoppiò in lunghezza una prima versione del racconto elaborata da Price.
Pubblicato da Weird Tales con la doppia firma "H.P.Lovecraft e H.Hoffman
Price"

DAI MILLENNI (Out of Eons)


1. 1933
3. Weird Tales, aprile 1935
4. Revisione per conto di Hazel Heald. Lovecraft elaborò narrativamente una
79
trama fornitagli dalla scrittrice, sotto il cui nome il racconto venne pubblicato

LA COSA SULLA SOGLIA (The Thing of the Doorstep)


1. 21-24 agosto 1933
3. Weird Tales, gennaio 1937

LA MORTE ALATA (Winged Death)


1. 1933
3. Weird Tales, marzo 1934
4. Revisione per conto di Hazel Heald. Apparso a firma di quest'ultima, è
tuttavia interamente opera di Lovecraft

IL TERRORE DEI RAMPICANTI (Vine Terror)


1. 1933
3. Weird Tales, settembre 1934
4. Collaborazione. Lovecraft scrisse diversi pezzi e corresse lessico,
punteggiatura e parecchie frasi di un racconto di Howard Wandrei (fratello di
Donald Wandrei), col cui nome la storia venne poi pubblicata

IL LIBRO (The Book)


1. 1933 (?)
2. Leaves II, 1938
3. Nel volume Marginalia (Arkham House, 1944)
4. Frammento incompiuto

IL SACERDOTE MALVAGIO (The Evil Clergyman)


1. Ottobre 1933
3. Weird Tales, aprile 1939
4. Pubblicato da Weird Tales come racconto, in realtà è la trascrizione di un
sogno riportata in una lettera a Bernard Austin Dwyer dell'ottobre 1933

IL LOTO NERO (The Black Lotus)


1. 1934
2. Unusual Stories, vol. 1, n. 2, 1935
3. Nel volume The Fantastic Swordsmen (Pyramid Books, 1967)
4. Collaborazione. Lovecraft intervenne parecchio sul lessico, la punteggiatura
e diverse frasi di un racconto di Robert Bloch, col cui nome la storia venne
pubblicata

IL SOPRAVVISSUTO (The Survivor)


1. 1934
3. Nel volumetto Some Notes on H.P.Lovecraft (Arkham House, 1959)
4. "Scaletta" di un racconto progettato ma mai scritto

L'ALBERO SULLA COLLINA (The Tree on the Hill)


1. Maggio 1934
2. Polaris, settembre 1940
3. Nel volume The Horror in the Museum and Other Revisions, III ed. (Arkham
House, 1989)
4. Revisione per conto di Duane W.Rimel. Apparso su Polaris a firma di
quest'ultimo, è quasi tutto opera di Lovecraft

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IL COMBATTIMENTO CHE CONCLUSE IL SECOLO (The Battle that
Ended the Century-Ms Found in a Time Machine)
1. Giugno 1934
2. Fascicolo ciclostilato di due pagine, giugno 1934
3. Nel volume Something About Cats and Other Pieces (Arkham House, 1949)
4. Collaborazione. Lovecraft corresse lessico e punteggiatura di un racconto
parodistico di Robert H.Barlow, che in seguito lo ciclostilò. Si devono a lui tutti
i buffi nomi su cui è fondata la storia

L'OMBRA VENUTA DAL TEMPO (The Shadow Out of Time)


1. Novembre 1934-marzo 1935
3. Astounding, giugno 1936

L'ORRORE NEL CIMITERO (The Horror in the Burying Ground)


1. 1935 (?)
3. Weird Tales, maggio 1936
4. Revisione per conto di Hazel Heald. Apparso su Weird Tales a firma di
quest'ultima, è tuttavia interamente opera di Lovecraft

LA TORRE CIRCOLARE (The Round Tower)


1. 1935 (?)
3. Nel volumetto Some Notes on H.P.Lovecraft (Arkham House, 1959)
4. Frammento incompiuto. Venne inserito, con qualche variante, da August
Derleth nel romazo The Lurker at the Threshold (Arkham House, 1945)

LA MAGIONE DI EDWARD ORNE (The House of Edward Orne)


1. 1935 (?)
4. Frammento incompiuto. Venne incluso, con qualche variante, da August
Derleth nel romanzo, anch'esso incompiuto, The Watchers out of Time (nel
volume omonimo, Arkham House, 1974)

FINCHE' TUTTI I MARI... ("Till A' the Seas...")


1. Gennaio 1935
2. The Californian, estate 1935
3. Nel volume The Horror in the Museum and Other Revisions, I ed. (Arkham
House, 1970)
4. Revisione per conto di Robert H.Barlow. Apparso su The Californian a firma
di quest'ultimo, venne in gran parte riscritto da Lovecraft

UNIVERSI IN SFACELO (Collapsing Cosmoses)


1. Giugno 1935
2. Leaves II, 1938
4. Frammento incompiuto. Collaborazione con Robert H.Barlow: storia
umoristica della quale ognuno dei due autori scrisse un paragrafo,
alternativamente

SFIDA DALL'INFINITO (The Challenge from Beyond)


1. Agosto 1935
2. Fantasy Magazine, settembre 1935
3. Nel volume Beyond the Wall of Sleep (Arkham House, 1943)

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4. Storia scritta a più mani, nella quale ogni capitolo è di un autore diverso. La
successione degli autori è la seguente: Catherine L.Moore, Abraham Merritt,
H.P.Lovecraft, Robert E.Howard, Frank Belknap Long

IL DIARIO DI ALONZO TYPER (The Diary of Alonzo Typer)


1. Ottobre 1935
3. Weird Tales, febbario 1938
4. Revisione per conto di William Lumley. Lovecraft rielaborò interamente un
abbozzo narrativo del suo gioavne corrispondente, sotto il cui nome la storia
venne pubblicata

L'ABITATORE DEL BUIO (The Haunter of the Dark)


1. Novembre 1935
3. Weird Tales, dicembre 1936

I SERVI DI SATANA (Satan's Servants)


1. 1935
3. Nel volume Something About Cats and Other Pieces (Arkham House, 1949)
4. Collaborazione. Lovecraft corresse parecchio il lessico, la punteggiatura e
diverse frasi di un racconto di Robert Bloch. La storia venne pubblicata nel
volume Something About Cats a firma del solo Bloch, insieme con le
annotazioni di Lovecraft

TRA LE MURA DI ERYX (In the Walls of Eryx)


1. Gennaio 1936
3. Weird Tales, ottobre 1939
4. Collaborazione con Kenneth W.Sterling. La storia venne pubblicata a firma
di entrambi gli autori

L'ORRORE DI SALEM (The Salem Horror)


1. 1936
3. Weird Tales, maggio 1937
4. Collaborazione. Lovecraft scrisse tutta la prima parte, ed intervenne
parecchio sul lessico, la punteggiatura e diversi periodi di un racconto di Henry
Kuttner, col cui nome la storia venne pubblicata

L'ESUMAZIONE (The Disinterment)


1. 1936
3. Weird Tales, gennaio 1937
4. Revisione per conto di Duane W.Rimel. Apparso su Weird Tales a firma di
quest'ultimo, è stato scritto interamente da Lovecraft

L'OCEANO DELLA NOTTE (The Night Ocean)


1. 1936
2. The Californian, inverno 1936
3. Nel volume Sfida all'infinito (Fanucci, 1976), in trad. italiana. Poi nel
volume The Horror in the Museum and Other Revisions, III ed. (Arkham
House, 1989)
4. Revisione per conto di Robert H.Barlow. Apparso su The Californian a firma
di quest'ultimo, è tuttavia interamente opera di Lovecraft

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------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------Lippi, G.(a cura di), H.P.Lovecraft. Tutti i
Racconti. 1931-1936,Mondatori, Milano 1997
------------------------------------------------------------------------------------------------
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-Bibliografia secondaria

• Basile, S.( a cura di), Necronomicon.Il libro proibito di Howard Phillips


Lovecraft, Fanucci
Editore, Roma 2001
• Basile, S.( a cura di), Necronomicon. Storia di un libro che non c’è, Fanucci
Editore, Roma 2002
• Berkeley, G., <<Un saggio per una nuova teoria della visione>>, a cura di P.
Spinicci, in Tatto e passione, a cura di M. Mazzocut-Mis, CUSL, Milano 2001
• Burke, E., Inchiesta sul Bello e il Sublime, a cura di G. Sertoli, G. Miglietta,
Aesthetica, Palermo 1985
• Condillac, <<Trattato sulle sensazioni>>, in Tatto e passione, a cura di M.
Mazzocut-Mis, CUSL, Milano 2001
• Dessoir, M., <<L’estetica e la scienza dell’arte>>, in Estetica, i nomi, i concetti,
le correnti, a cura di M. Mazzocut-Mis, E. Franzini, Bruno Mondadori, Milano
1996
• Feldman, V., Estetica francese contemporanea, a cura e trad. it. di D.
Formaggio, Minuziano, Milano 1945
• Franzini, E., Fenomenologia dell’invisibile. Al di là dell’immagine, Cortina
Editore, Milano 2001
• Franzini, E. e Mazzocut-Mis, M., Estetica. I nomi, i concetti, le correnti,
Mondatori, Milano 1996
• Focillon, H., <<La vita delle forme>>, in Estetica, i nomi, i concetti, le
correnti, a cura di M. Mazzocut-Mis, E. Franzini, Bruno Mondadori, Milano
1996
• Freud, S., <<Das Unheimliche>>, in Definire il fantastico, a cura di G.
Rimondi, Greco & Greco, Milano 2002
• Houellebecq, M., H.P.Lovecraft. Contre le monde, contre la vie, Editions du
Rocher, s.l. 1999 ( trad. it. di Perroni, S.C., H.P.Lovecraft. Contro il mondo,
contro la vita, Bompiani, Milano 2001)
• Mazzocut-Mis,M.( a cura di), Tatto e passione. Percorso antologico-critico,
Cusl, Milano 2001
• Mazzocut-Mis, M.( a cura di), Dal brutto al kitsch. Percorso antologico-critico,
Cuem, Milano 2003
• Mendelssohn, M., I principi fondamentali delle Belle Arti, a cura di M. Cometa,
Aesthetica

83
• Lessing, G. E., Laocoonte, a cura di M. Cometa, G. Spadafora, Aesthetica,
Palermo 2000
• Lippi, G., << La solitudine del visionario>>, in Il meglio dei racconti di
Lovecraft, Mondadori, Milano 1997
• Lovecraft, H. P., Tutti i racconti, a cura di G. Pilo, Mondadori, Milano 1989
• Lovecraft, H. P., The horror in the museum, ( trad. it.di G. Pilo, L’orrore nel
museo, Newton, Roma 1994)
• Lovecraft, H. P., The Mountains of madness, (trad. it. G. Pilo, Alle Montagne
della Follia, Newton, Roma 1994
• Lovecraft, H. P., I Miti di Cthulhu, trad. It. E a cura di G. Pilo e S. Fusco,
Newton, Roma 1995
• Pilo, G. e Fusco, S. (a cura di), Tutto Lovecraft, , Fanucci, Roma 1987
• Pilo, G. e Fusco, S., << Di Grandi Antichi e di altre cose>>, in Lovecraft. I miti
di Cthulhu, Newton, Roma 1995
• Poe, E. A., Racconti, trad. it. M. Battaglia, F. Della Pergola, R. Ferrari, De
Agostini, Novara 1985
• Punter, D., The literature of terror. A history of gothic fictions from 1765 to the
present day,
Longman, s.l. 1996(trad. it. di Fatica, O. e Granato, G., Storia della letteratura
del terrore. Il
gotico dal settecento a oggi. Nuova edizione ampliata, Editori Riuniti, Roma
2000
• . Shelley, M., Frankenstein, or the modern Prometheus,( trad. it. B. Tasso,
Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, Corriere della Sera, Bergamo 2002)
• Stevenson, R. L., The strange case of doctor Jekill and mister Hyde, ( trad. it. di
O. Del Buono, Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde, Corriere della
Sera, Bergamo 2002
• Wilde, O., The picture of Dorian Gray, ( trad. it. E. Grazzi, Il ritratto di Dorian
Gray, De Agostini, Novara 1991)

-Bibliografia on-line
• Baroni, C., L’eccentrico di Providence, www.lovecraft.it
• Baroni, C., Stile e tematiche in Lovecraft, www.lovecraft.it
• Baroni, C., Il culto della paura, www.lovecraft.it
• Baroni, C., Gli Dei dell’altrove, www.lovecraft.it
• Bloch, R., Poe and Lovecraft, www.utopiaplanitia.com
• Cosco, G.,Lovecraft e le porte dell’abisso, www.cosco-giuseppe.tripod.com
• Cazzato, L., Dalla fantascienza reale alla fantascienza virtuale,
www.futureshock.it
• Price, R.M., Ligeia, between Poe and Lovecraft, www.utopiaplanitia.com

84
• Marcon, F.C., Guida alla lettura di Howard Phillips Lovecraft,
www.kultunderground.org
• Marcon, F.C., Perché dedicarsi alla lettura di H.P.Lovecraft,
www.kultunderground.org
• Necronomicon (nickname), Chi era H.P.Lovecraft?, www.avalonline.org
• Pagetti, C., Da Welles a Clarke.Modelli ideologici e formule narrative,
www.intercom.publinet.it
• Senza autore, La storia dei mostri: dal mito alla letteratura,
www.linguaggioglobale.com
• Senza autore, H.P.Lovecraft: la fantasia fa paura, www.merraigan.it
• Senza autore, Biografie degli scrittori dell’orrore, www.creative.net
• Senza autore, Sculptus in tenebris,www.webtiscali.it/sculptus
• Tortora, A., Conoscenza ed infelicità nel romanzo popolare,
www.lospecchiodellemuse.com

-Trasposizioni

• Breccia, E. e Lovecraft, H. P., I Miti di Cthulhu, Comma 22, Milano 2003


• Moore, A., Yuggoth Cultures and other growths, Avatar, 2003
• Rodionoff, H., Breccia, E., Giffen, K., Lovecraft, Dc-Vertigo, 2003
• Bonazzi, A., Sculptus in Tenebris, collezione privata e opere in vendita
• Carpenter, J., The Fog, USA, 1980
• Carpenter, J., In the mouth of madness, USA, 1995

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