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LETTERATURE COMPARATE: UN SAPERE ANTIGERARCHICO

Cos’è la letteratura comparata? Ovvero cosa significa comparare? Mettere a confronto due autori o due
opere che senz’altro sono imparentate tra loro pur appartenendo a tradizioni letterarie differenti (es.
Boccaccio e Chaucher)

STORIA DELLA DISCIPLINA

1) Dalla seconda metà del Settecento alla storia letteraria nazionale si affianca la storia universale della
letteratura: la letteratura che si studia è sempre naturale, tuttavia ci si rende conto che i fenomeni endo-
linguistici non esauriscono la spiegazione di alcuni fenomeni letterari ad es ci si rende conto che ci sono
scrittori influenzati da altri molto lontani (es Chaucer e Boccaccio). Si inizia a parlare di storia universale cioè
si va studiare quei rapporti internazionali tra testi e uomini che hanno fatto la letteratura accertando
l’esistenza di questi contatti. Per fare ciò lo studioso deve essere un erudito che conosce lingue diverse e
testi diversi.

2) Le cose cambiano a inizio Ottocento quando la storia universale assume importanza nello studio delle
fonti, in particolare delle fonti popolari della letteratura, sul modello di Voci di popoli in Canti di Johan
Gottfried Herder (1807). La comparatistica letteraria si apre allo studio di fenomeni popolari, folklore (fiabe
popolari e letteratura di viaggio), letterature di solito non studiate.
Cosa c’entrano questi tipi di testi/racconti con la letteratura? Dipingono un contesto culturale che prevede
differenze e similitudini tra nazioni e nazioni. In questo periodo si sviluppa idea di lett come elaborazione
della coscienza di un popolo, non più quindi un fenomeno staccato dalla società. Anzi è il massimo grado
dello sviluppo della coscienza umana.
Dobbiamo questa concezione a Friedrich Schlegel e Madame de Stael i quali propongono quadri della
letteratura europea come massima espressione delle facoltà spirituali delle diverse comunità d’origine (che
è un po’ l’idea odierna di letteratura)
L’opera più rilevante di questa fase è De la littérature du Midi de l’Europe di Sismonde de Sismondi: primo
caso di comparazione non solo delle letterature romanze, tra loro, ma anche di esse con letterature medio-
orientali (soprattutto araba e persiana)
OSSERVAZIONI: Oggi facciamo finta di sapere cosa sia la letteratura, ma molto spesso in realtà non è banale
rispondere alla domanda “cos’è la letteratura?”
1- è qualcosa di scritto, nonostante esista una lunga tradizione orale
2- contiene in sé un’idea di bello e di arte
In altre lingue e culture non è la stessa cosa, perché non esiste il termine ‘collettaneo’ per esprimere la
letteratura. Nella cultura greca la parola che più si avvicina è ‘poesia’. Nella cultura contemporanea vengono
spesso inclusi nel termine letteratura solo i romanzi (es in libreria) secondo una scelta ideologica e politica,
come un ritaglio (di tutto prendiamo una parte).
L’idea moderna di letteratura nasce in questo periodo: il poeta è colui che crea qualcosa dal nulla.
Ci sono due nemici degli studi letterari: primo è il buonsenso che ci fa accettare passivamente concetti come
‘autore’. Talvolta l’autore non è chi trova il suo nome scritto in copertina perché esistono lavori collettivi

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mediati da un editore. Il concetto di autore è in realtà un preconcetto della nostra mente. Autore come
qualcuno che costruisce e fa qualcosa di nuovo. Idea che si contrappone a idea classica e rinascimentale di
letteratura. L’altro nemico è il blando psicoanalismo che ci fa analizzare le emozioni del poeta. Di un testo
poetico occorre ricostruire ciò che vi è scritto, un piano letterale che va ricostruito per poi poter
reinterpretare con strumenti metodologici adeguati.

3) Nel Novecento nasce l’idea romantica di autodeterminazione dei popoli, che ha un eco in letteratura.
Nascono i nazionalismi.
Parallelamente alla nascita dei nazionalismi, nasce la storia comparata della letteratura o letteratura
comparata come disciplina accademica volta all’esposizione didattica dei rapporti tra due o più letterature. I
capostipiti della disciplina sono Abel-Francois Villemain e Jean-Jaques Ampère: si studiano i rapporti
sincronici intercorsi tra letterature appartenenti alla cultura europea, individuando il particolarizzarsi in un
senso nazionalistico di temi, motivi, miti e forme letterarie. Vi è un forte eurocentrismo.
Sincronico vs diacronico. Le letterature comparate studiano cose che avvengono allo stesso tempo in un
contesto europeo, quindi i rapporti realmente intercorsi tra autori e testi poetici. Oggi invece non studiamo
solo i rapporti reali tra gli scrittori (sono nate così ma è un’idea antica, che esiste ancora ma non è l’unica via
allo studio della disciplina).

4) Irrigidimento dei nazionalismi la letteratura comparata avendo un carattere europeo diventa


ancillare alla letteratura nazionale, ovvero ha una funzione di supporto e di subordinazione alle singole
filologie nazionali e alle storie letterarie nazionali. Importante in questo periodo è la figura di Francesco de
Sanctis, autore di Storia della letteratura italiana, per il quale “la storia della letteratura è la storia della
coscienza collettiva di una nazione” (IMPO X ESAME)
5) anni Trenta e Quaranta del Novecento, Fase canonizzante, ovvero nasce in forma canonica lo studio
comparato delle letterature europee. Vengono pubblicati tre libri che indirizzano la storia delle lett comp
verso un grande successo accademico e culturale
a. Paul Hazard, La crisi della coscienza europea (1934)
b. Ernst Robert Curtius: Letteratura europea e medioevo latino (1948)
c. Erich Auerbach: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946)

a. Hazard descrive il fenomeno che oggi conosciamo come relativismo culturale, ovvero
l’atteggiamento di superiorità degli europei e la cultura europea come caposaldo mai messo in discussione.
Fa un discorso sulla storia delle idee, dicendo che la coscienza europea giustificata dalla Bibbia entra in crisi
nel Seicento (anche se già prima con scoperta America e riforma protestante). Nel Seicento la coscienza
europea entra in contatto con altre realtà estranee, e di ciò deve prendere atto. La necessità di assimilare la
presenza di altre civiltà e altri popoli all’interno della filosofia della storia occidentale provoca la nascita del
relativismo. Relativismo, quindi, come simbolo della crisi.
In tale senso risultano significativi, nell’analisi della crisi, fenomeni quali i racconti di viaggio o il rapporto tra
clima e costumi dei popoli, lo studio degli aspetti mondani della vita europea, la ribellione libertina, la
relativizzazione della visione neutrale della storia.
Si inizia a mettere in discussione il concetto di superiorità europea, dove prima l’idea di mondo coincideva
con l’idea di Europa e la letteratura universale era letteratura europea (Sismonde de Sismonde e Goete come
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unici che si distaccano da questo pto di vista). La nozione di “differenza” supera quella di “superiorità” della
civiltà europea.

b. Curtius: scompone la letteratura europea nelle sue forme letterarie: generi, forme metriche e
storiche, motivi, tradizione retorica, topoi, formule fisse, personaggi. L’innovazione consiste nello studio della
stilistica comparata, si studiano le forme della letteratura laddove prima di allora si studiavano i temi (studi
di natura tematologica). Curtius per primo compara le forme e non i contenuti, studiando ad es le strutture
metriche.
Curtius inoltre presuppone un cambiamento nel paradigma che vedeva il Medioevo come età di mezzo,
isolata, epoca buia. Decide di recuperare lo studio della letteratura latina del primo Medioevo come anello
di congiunzione tra il mondo antico mediterraneo e il mondo moderno occidentale. Esiste una tradizione
medievale latina che dura fino alla modernità. Dante e Petrarca di fatto scrivono in latino in molti casi. Bisogna
studiare tale tradizione perché è l’unico modo di capire le letterature moderne in volgare. In alcune università
nascono insegnamenti di letteratura italiana latina medievale, umanistica, rinascimentale.
Con Curtius vi è inoltre un superamento degli studi filologici nazionali. Di fatto, ad egli non interessano le
letterature nazionali; ciò che conta è il continuum espressivo tra letterature di origine latina.

c. Auerbach: è stato un critico, pensatore e filologo formidabile. Mimesis è uno dei pochi classici della
storia della critica letteraria che si trova ancora in libreria. Due volumi in cui tenta di proporre lo studio del
realismo nella letteratura europea da Omero a Virginia Woolf. Questo comporta un’ampissima competenza
sia diacronica che linguistica.
Realismo: interpretazione della realtà per mezzo della rappresentazione letteraria (definizione
auerbacchiana). Dice che nell’Ottocento francese scrittori come Balzac rompono uno schema sempre esistito:
ovvero l’idea che a un certo tipo di contenuto debba corrispondere un determinato stile. Ad esempio, forme
specifiche e un tipo di linguaggio per argomenti seri come il dramma o la canzone (forme). Esisteva rapporto
biunivoco tra stile e genere che i filologi dell’Ottocento spezzano rendendo importanti le vicende di persone
comuni e insignificanti. Auerbach mette in luce alcuni metodi fondamentali per un comparatista. Studia come
varia il realismo nel tempo.
Secondo Auerbach sono stati i Vangeli a cambiare per sempre la storia del realismo e a sovvertire le logiche
stilistiche, perché la storia dei vangeli, ovvero la storia di Cristo, è in prosa e tratta con “spregiudicata
mescolanza realtà quotidiana e tragedia sublime”. Quello proposto dai vangeli è dunque un anti-canone
classico.
Auerbach chiama “figurale” la concezione della realtà nell’antichità e nel medioevo = idea complicata di
figura, cerchiamo di capirla per cercare di capire come si legge un testo critico.
Auerbach scrive: Un fatto che accade sulla terra, indipendentemente dalla forza che gli deriva dalla sua
concreta realtà, significa non soltanto sé medesimo bensì un altro fatto che preannuncia o, confermandolo,
ripete. E la connessione fra gli avvenimenti non viene considerata come evoluzione temporale o causale ma
come unità dentro il piano divino di cui tutti gli avvenimenti sono membra e immagine riflessa. La loro
immediata connessione terrena è di importanza minore e la loro interpretazione superflua.
Allude al fatto che ci sono degli eventi che rimandano ad altro, ad esempio la morte di Gesù, che è la morte
di una persona ma non significa solo se stessa perché ricade nel disegno divino.
Auerbach inoltre parla di un fenomeno che, successivamente, Hans Robert Jauss (Storia della letteratura
come provocazione) avrebbe definito tertium comparationis. Comparare significa mettere vicino due cose, e
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già dalla seconda metà del Settecento ci si rende conto che questo modo di concepire la letteratura è
imperfetto perché avvicinando due fenomeni se ne crea un terzo = è l’arbitrio del critico, dello studioso,
dell’intellettuale che si occupa di comparazione letteraria. Esso è fondamentale tant’è che Jauss dice che è il
vero motivo di studio delle letterature comparate. Trasforma la disciplina da tipo storiografico a tipo
metodologico, il vero interesse ricade sul perché si studiano determinati testi. Es perché de Sanctis
antologizza la lett ita in un certo modo? La letteratura come frutto di alcune scelte, fatto a cui non pensiamo
mai. La letteratura è qualcosa di eteronomo alla società, ovvero è legata alla società in modi molto complessi.
Il metodo da me adottato introduce immediatamente nell’argomento = egli saggia le sue idee (non
un’elaborazione teoretica perfetta e conclusa) direttamente sui testi, così che il libro sia più leggibile per il
lettore. Questa idea di lettore implicito sempre contenuto in un testo implica che l’interprete ha possibilità
di scelta e può porre l’accento dove vuole. I testi sono testi qualsiasi, non scelti con un fine preciso
[parafrasando ciò che scrive Au]. L’interprete deve misurare le proprie idee nel testo e con il testo, non può
semplicemente descrivere tutto ciò che gli passa per la testa. La lett non è un oggetto a cui possiamo far dire
ciò che vogliamo.
A ciò si aggiunga che il lavoro fu scritto durante la guerra a Costantinopoli dove non esistono biblioteche ben
organizzate, c’è mancanza di periodici (il libro non ha note né citazioni) per cui egli ammette di poter aver
commesso errori data la mancanza di fonti. Tuttavia, è possibile che il libro debba la sua esistenza proprio a
questa assenza. Finale molto commovente. Dice una cosa sorprendente, che nessun docente di letteratura o
filologia dirà mai. Conoscere tutto di ognuno degli autori che Auerbach cita avrebbe impedito di creare
Mimesis. Il fatto che egli espliciti il suo metodo è molto rilevante.
In questo Auerbach si immette in altre letterature scritte durante la guerra o l’esilio (Gramsci, quaderni dal
carcere). Mimesis è pubblicato nel 46, sta finendo la guerra e il dopoguerra si configura come momento di
rivoluzione antropologica totale. La costruzione rapidissima porta a cambiamenti di paradigma intellettuale
sociale e politico enorme.

19/09/18
Ricapitolando: cinque fasi nella storia x Metà Settecento nasce la disciplina (in ambito storiografico) con
funzione di accertamento filologico di alcune letterature nazionali
x Primo Ottocento: alcuni testi di formidabile importanza, con i quali nasce idea moderna di letteratura
diversa da quella precedente (mondo classico e umanistico-rinascimentale), si codifica una certa idea
estetica di letteratura
(vedremo qual è) x Novecento: Nascita istituzionale della disciplina, capostipiti Ampère e Villeman x
Irrigidimento nazionalismi e funzione ancillare delle letterature comparate x Anni Trenta e Quaranta del
Novecento: nasce studio comparato delle letterature europee.

Seconda metà del Novecento = Crisi della storia letteraria e della letteratura comparata di stampo positivista
Tra anni 50 e 60 le letterature europee con l’arrivo dei testi del formalismo russo si aprono al cosiddetto
strutturalismo = ha in mente un tipo di analisi letteraria che si basi su uno studio letterario intrinseco
Come fanno notare due esponenti del New Criticism, Wellek e Warren che pubblicano “Teoria della
letteratura”, le letterature comparate soffrono di un problema atavico, ovvero non studiano la letteratura in
sé: la studiano come documentazione, storiograficamente, mentre andrebbe studiata anche
intrinsecamente.

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In particolare, René Wellek critica l’artificiosità metodologica degli studi di comparatistica letteraria,
contestando la distinzione tra letteratura comparata e letteratura generale; evidenzia inoltre la necessità di
un’analisi estetico-formale del testo accanto allo studio delle relazioni storico-letterarie.
Wellek, insieme ad Austin Warren, teorizza quindi la necessità dello studio intrinseco dell’opera letteraria
(macrostruttura stratificata di segni e significati) accanto allo studio estrinseco (rapporti tra l’opera e la storia
della società)

L’idea è che la letteratura costituisca un sistema di cui è possibile, anzi si devono, studiare le regole interne.
Devono essere studiati i procedimenti formali e tematici rispetto ai quali si definiscono i singoli testi letterati.
Significa anche che si cerca di costruire una scienza degli studi letterari fondata sulla disciplina egemone
all’epoca, ovvero la linguistica.
Da questo la crisi delle lett comp. Da una parte la teoria letteraria fagocita le tendenze metodologiche della
lett comp. Dall’altra lo strutturalismo, la semiotica e altre scienze di analisi del testo combattono
ardentemente contro la vecchia lett comp di stampo ancora positivista.
Come reagiscono le let comp a questa idea di studio intrinseco del testo? Esso di base è un problema perché
l’obbiettivo è quello di fare studi estrinsechi, ovvero studiare i rapporti tra il testo ed altre cose. Tuttavia, si
possono, e si devono, unire entrambi gli aspetti. La reazione delle lett comp è molto lenta, in questo periodo
nascono diverse discipline e scuole diverse:
x Strutturalismo e semiologia
x Sociologia della letteratura (Goldmann, Bourdieu) come risposta culturalista agli studi dello
strutturalismo russo
x Scuola di Costanza: (Jauss, Iseri, Eco) Jauss si rende conto di un aspetto tralasciato dagli studiosi di
letteratura e cioè la ricezione. La storia della lett ha sempre considerato la fortuna di un’opera.
Tuttavia, non è mai stato studiato il rapporto tra testo e lettore, un rapporto complesso allo stesso
modo di quello tra autore e testo.
→ Un concetto importante è quello di orizzonte d’attesa: nessuna lettura è vergine, pura; il lettore, nel tempo
e in ogni epoca, possiede un orizzonte d’attesa ovvero si aspetta alcune cose da un testo. Diverse cose
contribuiscono a creare un orizzonte d’attesa, ad esempio il genere. Quando entriamo in libreria vediamo
insegne che suddividono i testi letterari in generi. Anche la critica letteraria contribuisce a creare questo
orizzonte d’attesa.

Soluzione della crisi è molteplice:

x Scuola di Costanza x Uscita dell’eurocentrismo: nascita degli studi postcoloniali (Gaiatri Spivak, Obi
Babak, critici di formazione anglosassone e dunque scissi rispetto a quale sia la loro vera cultura)
x Decostruzionismo e post-strutturalismo: critica alle sicurezze pseudo scientifiche dello strutturalismo,
grazie al celebre discorso di Jaques Derrida in cui critica l’idea statica che lo strutturalismo ha del
testo. Egli costruisce un modo di ragionare che tende a decostruire il pensiero occidentale
logocentrico, fonocentrico e fallocentrico (basato sul predominio del maschile sul femminile)
Secondo Derrida l’idea fonologocentrica, ovvero l’idea di società occidentale fondata sul logos e sul
linguaggio, ovvero un’idea razionale del linguaggio, è costruita secondo tracce fisiche e materiali. È
vero: siamo abituati a distinguere tra parola e immagine, ma in realtà nella modernità le parole che
leggiamo sono immagini.
x Nuova idea di temporalità, non più lineare. Esistono diverse storie contemporaneamente

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x Neo-marxismo: Terry Higelton e Frederich Jameson che tentano di restaurare e innovare alcuni aspetti
del marxismo per renderlo utilizzabile nella contemporaneità. x Nascita degli studi culturali
x Nascita dell’estetica camp e della teoria queer: estetica camp nasce nel mondo omosessuale e
presuppone in sostanza un utilizzo cosciente del brutto nella letteratura, nell’arte e nella vita
quotidiana (non come nel caso del kitch dove l’uso è inconsapevole); teoria queer tende a far saltare
tutte le opposizioni binarie della cultura (maschio-femmina, omo-etero), esistono infinite possibilità
di genere
x Sviluppo degli studi sul femminismo, nascita degli woman studies e del gender studies x Nascita dei
visual studies
x Progressivo confronto della letteratura con l’altro da sé: diritto, antropologia, geografia, ecologia
[Scaffari, letteratura e ecologia], psicoanalisi; non più confinare l’incontro letterario tra due
letterature nazionali ma anche lo studio dei rapporti tra letterature e altre discipline

Oggi i prodotti delle varie nazioni si mescolano con una tale velocità che abbiamo bisogno di nuovi modi per
imparare e per poter reagire. Frase che sembra parlare della Globalizzazione, ma è stata scritta da Goethe
nel 1827. Ciò ci fa capire che tutte le epoche si percepiscono come in crisi. La letteratura è in crisi da sempre.
Inoltre, la letteratura ha sempre avuto una vocazione mondiale: in un senso metaforico essa crea mondi
paralleli, visioni della realtà, utopie. In senso concreto, gli scrittori hanno spesso vissuto in modo ambivalente
e tormentato la propria appartenenza etnica e la propria nazionalità, contrapponendovi di volta in volta
nomadismo, cosmopolitismo, universalismo.
L’espressione Weltliteratur si deve proprio a Goethe che, pur essendo l’autore più canonico della letteratura
tedesca, nonché un classico universalmente conosciuto della cultura europea, poteva esprimere già nella
prima metà dell’Ottocento la sua insoddisfazione verso la definizione di letteratura nazionale, cercando il
confronto con letterature anche molto distanti, come dimostra Il divano occidentale orientale, costruito
come dialogo con il poeta persiano Hãfez. (East-west studies: studiano i rapport tra lett orientale e
occidentale)

Quando leggiamo, sospendiamo la nostra incredulità. Punto di grande rilevanza politica, nonostante sembri
una cosa legata solo al passatempo e al divertimento. Perché ad esempio Bertol Brest fonda la sua idea sulla
condizione che si debba interrompere questa passività che il lettore/spettatore ha nei confronti di ciò che
legge/vede. Alcuni autori del Novecento fondano l’idea di cultura sull’interruzione continua di questa
immedesimazione, per cui le loro opere si basano sull’interruzione del mondo diegetico [Godard]. Essi
vogliono farci capire che è tutto finto, che stiamo guardando un prodotto costruito per il nostro
intrattenimento e in questo vi è un lato politico.

20/09/18

IL CANONE
1994, Harold Bloom, The Western Canon

Canon, canonis → dal greco Kanon = bastone di canna usato per misurare; dunque, in senso figurato: forma,
modello e per estensione regola, prescrizione
Già dall’etymon si capiscono due aspetti, da una parte qualcosa che misura e quindi conta, dall’altra qualcosa
che prescrive e dà una regola. Il canone in effetti è entrambe le cose:

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x insieme delle norme che fondano una tradizione x elenco delle opere che implica un criterio
di selezione e valutazione.

Luperini propone di analizzare il canone secondo due punti di vista diversi:


A parte objecti, dal pto di vista delle opere A parte subjecti, dal pto di vista dei lettori

= insieme delle norme tratte da un’opera o = è la tavola dei valori prevalente che si traduce
gruppo di opere omogenee che fonda una nell’elenco dei libri di cui si prescrive la lettura
tradizione nell’ambito delle istituzioni educative di una
determinata comunità
→ Ogni letteratura arrivata a un certo punto → una tavola che muta al mutare del gusto e delle
dell’esistenza si sente in diritto di darsi delle esigenze culturali
regole, e di porre come modello per altri autori
alcune opere

fondamentali; ad esempio Bembo in Prose della → in questo senso il canone riflette e aggiorna la
volgar lingua afferma che la grande poesia è memoria selettiva di un popolo
quella petrarchesca mentre la prosa è quella di
Boccaccio. → le istituzioni prescindono dalla parte objecti del
canone, essa riguarda solo gli autori.
→ Ciò implica l’elaborazione di una serie di altre
opere secondo ciò che Bloom chiama The → il canone è considerato sincronicamente, in
anxieties of influences (l’ansia dell’influenza); quanto fissa le scelte di gusto e di valore
autori che gareggiano tra loro per creare opere affermatesi in una certa comunità in un
che rispettino i canoni determinato momento.

→ Spesso ciò implica anche la creazione di uno o → Esso implica inoltre conflitti interpretativi,
più anticanoni che si oppongono al primo. La scontro tra scuole interpretative ed egemonie
Commedia è un testo tipicamente anticanonico, culturali.
in quanto maneggia stili differenti ed è un poema, (egemonia = primato).
anzi un romanzo teologico in versi (dice Gramsci),
diversa dalla poesia lirica petrarchesca.

→ è considerato diacronicamente nello sviluppo


della tradizione (continuità e rottura)

Ricordiamo che ci fu una vera lotta per l’egemonia culturale, e di fatto il partito comunista in Italia riuscì ad
essere egemone solo nei contesti culturali (universitario). È un’egemonia ormai finita ma rimane lo scontro
riguardante cosa scrivere, cosa tramandare alle generazioni.

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CANONE LETTERARIO E MEMORIA STORICA

Se il canone nel primo senso è la costruzione estetica e ideologica di ogni letteratura arrivata ad un certo
livello di autocoscienza e di maturità, per cui alcuni critici legislatori sentono il bisogno di esplicitare una serie
di norme (e implicitamente riconoscere gli scarti da essa), il canone nel secondo senso è una costruzione
politica che si esercita sulla memoria culturale in un determinato momento storico.
L’esercizio della memoria è, infatti, sempre un esercizio selettivo e discriminante: occorre scegliere ciò che si
vuole conservare. Alcuni autori, necessariamente, finiscono nell’oblio.

Mario Domenichelli: Il canone fornisce, oltre che modelli di rappresentazione della realtà esterna, anche
modelli di discorso interiore, come si parla con sé e si rappresentano la memoria, emozioni, affetti e fluire
del pensiero. Così il canone definisce, attraverso la mimesi, i diversi modi di rappresentazione, le poetiche
collettive epocali dell’esistenza, l’estetica, l’etica, l’assiologia (studio dei valori)
La tavola dei valori, anche sbagliati, della nostra cultura, sono creati dal canone ovvero da ciò che
culturalmente abbiamo conservato come giusto.
Il canone è dunque anche il depositario dei valori identitari che danno forma alla comunità e ad ogni soggetto
che ne fa parte.

CONVERGENZA DELLE DUE DEFINIZIONI

Storicamente le due definizioni di canone tendono a sovrapporsi, sino all’identificazione, in particolari


momenti storici. In età neoclassica e romantica per esempio la fedeltà a certe regole del canone fonda anche
una certa tipologia di ricezione e dunque anche una gerarchia di opere.

INTERMITTENZA STORICA DELLE DUE DEFINIZIONI

Già in età ellenistica il termine kanonikos indicava il repertorio dei libri degni di essere studiati e trasmessi.
Ha prevalso poi, sino alla seconda metà del Novecento, l’accezione biblica del termine canone: il canone
biblico è, infatti, l’insieme di quei testi che nei primi concili della Chiesa erano stati ritenuti portatori del
messaggio originale di Dio.
In epoca romantica, in corrispondenza, anche, con la nascita di alcuni Stati Nazionali come Italia e Germania,
nonché con un cambio di paradigma relativo alla definizione stessa di letteratura, si assiste alla costruzione
di canoni letterari nazionali dal forte valore pedagogico: la storia della letteratura come storia della coscienza
di una nazione (valore morale dei grandi testi della tradizione). In questo contesto cambiano molti dei modelli
di riferimento e si rivalutano, ad esempio, figure come quelle di Shakespeare e Dante.
CANONE E STORIE LETTERARIE

«La storia della poesia di una nazione è l’Essenza della sua storia, politica, economica, scientifica e religiosa»
Carlyle, 1831
• IRLANDA: a cavallo tra Otto e Novecento si assiste al recupero di una tradizione folklorica
dimenticata, che si unisce a quella della letteratura in lingua irlandese portata avanti negli stessi anni
da scrittori e intellettuali come W. B. Yeats, Lady Gregory e altri. In questo quadro si cerca di

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contendere (competere con) alcuni autori irlandesi in lingua inglese, come Goldsmith e Swift, che
vengono così utilizzati anche per dar forza alla causa di indipendenza della Repubblica d’Irlanda
• ITALIA: in storie letterarie come quella di Francesco De Sanctis il cammino delle lettere è assimilato
hegelianamente al cammino dello spirito verso la costituzione dello Stato. Si tratta, davvero, della
narrazione di una nazione, basata, evidentemente, su inclusioni (Dante, per esempio, rispetto al
canone bembesco), su addomesticamenti, o, infine, su esclusioni (per esempio Storia della mia vita
di Casanova, scritta in francese).
• STATI UNITI: la formazione e l’istituzionalizzazione di un canone letterario si può far risalire alla guerra
di secessione (1861-1865), ma l’introduzione nei programmi universitari di un canone distinto da
quello inglese avviene solo nei primi anni del Novecento. Ancora, nel periodo tra le due guerre, il
canone americano includeva assieme a testi di fiction anche testi patriottici e politici, rivelando tutta
la propria vocazione ideologica.

CANONE E CLASSICI

Che differenza c’è tra un’opera canonica e un classico? Cos’è un classico?


La parola classico presuppone sin dalla sua comparsa (Aulo Gellio, Notti attiche) una certa gerarchia di valori
e una classificazione. A tale classificazione, tradizionalmente, sono ricondotti anche generi e sotto-generi
letterari, sin dalla Poetica di Aristotele. Un poeta che non si fosse confrontato con le forme alte della
tradizione non avrebbe potuto aspirare a divenire un classico (si pensi a Marziale e all’epigramma).
Secondo una definizione calviniana, un classico è un testo che è ancora in grado di parlare. La Divina
Commedia e I Promessi Sposi sono classici, ma non sono canonici. Jauss ne ha parlato a lungo, dicendo che è
importante concentrarsi sulla ricezione.

CANONE E GENERI LETTERARI

Hans Robert Jauss e la scuola di Costanza sostengono che per giudicare il fatto letterario è importante
concentrarsi sugli aspetti relativi alla comunicazione e alla ricezione, in opposizione con il filologismo tedesco
che ne studiava la produzione. In questo senso è fondamentale il concetto di “orizzonte d’attesa”: l’insieme
delle convenzioni, situate nel tempo e nello spazio, che fanno parte dell’esperienza condivisa di lettori e
produzioni di opere letterarie.
Nel 1979 Alastir Fowler invece definisce con “canone” l’intero corpus letterario e con “canone accessibile” il
risultato dello sforzo comune di critica, istituzioni culturali ed editoria. La lettura di Fowler si basa sulla
reputazione dei generi letterari nella storia: i mutamenti del canone si devono intendere come rivalutazione
o svalutazione dei generi letterari rappresentati dalle opere canoniche.
Itamar Even-Zohar (Northrop Frye, Herrstain Smith): studio del cambiamento del gusto letterario attraverso
l’alternanza di generi e modi, canonizzati o non canonizzati, al centro e alla periferia del sistema letterario
(polisistema).
Ancora alla fine dell’Ottocento, nell’opera di critici come Matthew Arnold e Armstrong Richards, il canone
rappresentava una verità universale e principale se non unico strumento capace di portare uguaglianza tra
gli uomini. Tuttavia, questa modellizzazione moralizzante del canone, entra in crisi per differenti ragioni,
proprio con la modernità letteraria.

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MODERNITÀ

Con la Rivoluzione Francese cambia tutto, i letterati smettono di essere funzionari di corte. Sparisce la
committenza principale di artisti e scrittori e la borghesia (i mercanti arricchiti che Dante condannava) sale al
potere. Questo cambiamento segna il passaggio verso la Modernità. Gli artisti guadagnano una grande
libertà, ma perdono i finanziamenti e dunque la stabilità.
Secondo Walter Benjamin il primo ad avvertire le conseguenze di questa mutata situazione culturale e a porsi
come nuovo poeta della modernità fu Charles Baudelaire: egli fu il primo che riconobbe il mercato come
un’istanza oggettiva dell’arte (istanza = aspirazione che ha carattere di necessità). Rendendosi conto di ciò,
ovvero che anche l’arte era diventata parte del mercato e si produceva per vendere a prezzi concorrenziali,
egli riuscì ad avere grande successo. Le opere erano diventate strumenti per superare la concorrenza e
Baudelaire più di tutti riuscì a inserirsi in queste logiche di mercato e vendere i suoi prodotti. Spesso ciò
avvenne anche a discapito degli altri autori, perché come dice Benjamin “Il suo metodo [del mercato]: la
diffamazione, la contrattazione”, ovvero la distruzione sul piano morale dei poeti.
Benjamin afferma inoltre che Baudelaire supera i classicisti come romantici e supera i romantici come
classico. Il suo obbiettivo è togliere l’attenzione dai modelli letterari e spostarla verso il futuro, insegnando
ad una generazione di poeti che in fondo l’artista è una sorta di prostituta: lo scrittore deve praticare la
prostituzione intellettuale se vuole sopravvivere nella società occidentale.

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Durante il romanticismo entra in gioco l’idea di storia e si riconosce il mutamento dei canoni. Ad esso si
aggiunge idea di letteratura in senso moderno, ovvero che un’opera o una serie di opere esteticamente
rilevanti possano dire e descrivere qualcosa di nuovo. Con Baudelaire salta l’idea della parte objecti come
qualcosa di fisso. Nel Novecento inoltre si rafforza l’idea di anti-canone.
Abbiamo letto le parole che Benjamin dedica a Baudelaire. La visione di arte come mercato irrazionale è alla
base del Dadaismo (anni 10 del Novecento). Ricordiamo, ad esempio, la “merda d’artista” di Piero Manzoni
venduta a quasi 300mila euro. Come può un barattolo di escrementi avere un valore artistico? Qual è il senso?
È capire, sfruttare il fatto che il mercato è un’istanza oggettiva dell’arte. Ciò che conta è la firma dell’artista
e il titolo dell’opera.
Chi è in grado di porsi contro questa tendenza sono i movimenti di avanguardia, il cui obbiettivo è cambiare
il mondo attraverso la distruzione del mercato dell’arte, attraverso la costruzione di opere che scandalizzino
il pubblico benpensante borghese. Ad esempio, Marinetti dichiara la sua volontà di essere fischiato perché
sa che è il modo più efficace di inserirsi nel mercato, essere controcorrente e radicale, non canonico,
arrivando al grado zero della letteratura. Il grande assunto marinettiano inoltre vede l’arte come puro
strumento di lotta politica estremista, non più strumento epistemologico per decifrare il mondo.
L’avanguardia riconosce tre caratteristiche fondamentali:
x critica della funzione dell’opera d’arte, non certo dilettare né intrattenere il pubblico borghese;
x critica della funzione dell’artista nella società, un artista non è semplicemente creatore di bellezza ma
un operatore culturale = l’artista non è più il genio che trae dal nulla qualcosa di ispirato, che prima
non esisteva (idea romantica, un po’ nicciana); l’arte è eteronoma e si possono sfruttare gli apporti
altrui per fare opere d’arte; dall’altro lato però l’artista diventa un soggetto della lotta politica
all’interno della società, cioè l’arte esce dai consueti canali dell’intrattenimento estetico e entra (o
almeno aspira ad entrare) nella vita pubblica. La grandezza
di un artista non è il suo prodotto, ma la sua esistenza. Non l’oggetto in sé, ma la sua vita. x critica
della funzione del mercato
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Le avanguardie esistono in funzioni delle grandi ideologie del Novecento (fascismo, comunismo, anarchismo).
La postmodernità invece è un’epoca di pensiero debole e non va d’accordo con le avanguardie. Chi gioca con
le avanguardie sono i dadaisti. Entrambi sfruttano lo scandalo come strumento di pubblicità fondamentale.
Esso è uno strumento comunicativo che vige anche oggi, soprattutto in politica.
Dunque, le avanguardie si distinguono dagli altri movimenti artistici per i motivi suddetti. Le avanguardie si
autodefiniscono, si dichiarano avanguardia (cosa che non avviene con i crepuscolari). Essi presentano inoltre
obbiettivi esterni all’arte e al mondo culturale, ad esempio nel caso di Dada per protestare contro la Prima
guerra mondiale.
Dalle avanguardie in poi c’è una grande differenza tra la grande opera e i classici. Un’opera che risponde
perfettamente ai canoni dei classici non sarà mai una grande opera, al massimo sarà fatta molto bene ma
non aggiungerà niente.
Un’altra figura influente è quella di Thomas Stern Eliot e il modernismo. Secondo Eliot il classico è l’opera
d’arte che esprime il momento di maggior maturità di una cultura e lo esaurisce. Il classico si distingue quindi
dalla grande opera, veramente nuova, che cambia la tradizione e informa il futuro. È una visione, quella di
Eliot, in realtà molto conservatrice, una sorta di classicismo moderno, condivisa anche, ad esempio, da
Ungaretti. Quest’ultimo scrive infatti i frammenti della terra promessa come un cimitero della poesia
classicista.

POSTMODERNITÀ

Il passaggio dalla modernità alla postmodernità è uno dei più complessi da spiegare. Dobbiamo tener conto
di alcune fratture storiche che riguardano la storia in generale.
La prima è la Seconda guerra mondiale, evento traumatico che spazza via alcune ideologie che erano state
dominanti per un ventennio. Non è solo guerra, ma anche una vera e propria decostruzione delle ideologie
che avevano formato i cittadini del tempo.
Culturalmente l’editoria riprende a funzionare intorno al 46-47 in maniera legale. È un momento in cui
bisogna ricostruire i danni terrificanti che la guerra ha provocato. La ricostruzione porta grandi finanziamenti
statunitensi in Italia. Nel mondo della cultura e della critica letteraria glia anni 50 e 60 sono, abbiamo detto,
gli anni dello strutturalismo. Essa trae le sue idee dalla linguistica saussuriana e dal formalismo russo, di molti
anni precedenti ma che arrivano solo in seguito per diversi motivi, tra cui la censura fascista. Nasce la
semiologia, la scienza dello studio dei segni (verbali e non). Il primo limite dello strutturalismo è che tende
eccessivamente alla scientificità, il secondo è un’assenza di storia nel tipo di interpretazione, la quale è
sempre sincronica e piatta. La storia non conta perché si studiano le strutture linguistiche e formali per
l’analisi di un’opera.
POSTMODERNITÀ IN BREVE
1. Decostruzionismo/decostruzionismi (Derrida, de Man, Hillis Miller)
2. Fine della storia (Fukuyama)
3. Fine delle meta-narrazioni della modernità (Lyotard)
4. Cultural studies e ridefinizione del «campo» di studio (Bourdieu)
5. Gender studies, trans-gender studies, queer e camp studies
6. Postcolonial studies (Nation and Narration: Homi Bhabha)

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7. Neomarxismo (Terry Eagleton, Fredric Jameson)
8. Rivolta di Stanford (1987)
9. «Scuola del risentimento» (Harold Bloom)
10. Piacere dell’oggetto letterario (Frank Kermode, Pleasure and change. Aesthetics of Canon)

1. A metà degli anni 60 cambia qualcosa: Derrida critica alcuni aspetti basilari dello strutturalismo (la
scrittura e la differenza) in occasione di una conferenza alla John Hopkins. Egli afferma che lo strutturalismo
tende a posticipare sempre la considerazione del senso, che in realtà è insito alla lingua.
“Non c’è niente fuori dal testo” = Derrida per primo decostruisce alcuni presupposti della nostra società, una
società logocentrica (fondata sul logos). L’idea è che ogni testo si decostruisce da solo. Egli analizza,
ribaltando, il significato del platonismo nella società occidentale. Il senso di un testo non è storicamente dato,
non è sempre quello, il testo è contraddittorio e può essere letto sempre in modo diverso.
Questa idea viene banalizzata e un po’ distrutta da una scuola interpretativa nata a Yale, la scuola del
decostruzionismo americano. I giovani intellettuali che fondano tale scuola sono molto più radicali di Derrida,
considerano la decostruzione come un metodo critico. Siamo abituati a pensare che un testo abbia una
coerenza interna, i decostruzionisti pensano il contrario.

2. Fukuyama sostiene la fine della storia come cammino continuo verso il miglioramento della civiltà
umana. Con la postmodernità, la storia non è più quella universale ma diventa storia di gruppi, di minoranze
di etnia, cultura, sessualità (la storia dei gruppi lgbt, delle élite, del popolo).

3. Dopo il 79 un filosofo francese, Lyotard, che insegna a Berkley (CA), viene incaricato di stillare un
report sulla condizione della cultura in ambito canadese e statunitense. Egli scrive “la condizione
postmoderna” nella quale afferma che le grandi metanarrazioni che hanno retto la modernità si sono
sgretolate. Tra queste vi è ad esempio la Chiesa, cioè il pensiero cristiano, o il socialismo per cui la storia è
una storia di lotta di classe. Vuol dire che nei libri di storia le vicende delle grandi masse non vengono mai
toccate. Le grandi masse, che hanno fatto la storia, non sono nei libri di storia. In primis perché la storia è
scritta dalle classi egemoni vincitrici. [Poesia di Sanguineti: se volti il foglio (di un libro di storia) ci vedi il
denaro]. Secondo Marx la storia segue un cammino teleologico, con un fine inscritto in sé stesso. Per
l’ideologia marxista il fine è l’abolizione della proprietà privata, per la religione cattolica invece è il Giudizio
Universale.
Lyotard dice che nessun centralismo fascista è riuscito a convincere quanto il neocapitalismo ha convinto le
persone. Esso ha cambiato i modi di vita di milioni di persone. C’è stato un cambiamento epocale che ha
riguardato anche i modi di pensare. Il capitalismo ha cambiato ciò che desideriamo, ciò che pensiamo. Ne
tratta Pasolini nelle sue lettere [Passioni e ideologia]. Lyotard descrive lo smottamento di senso di un’epoca.

4/5/6. Nascono allora i Cultural studies, con Bourdieu (sociologo) che afferma che questi studi ridefiniscono
i campi di studio. Nascono i gender studies, i trans-gender studies, i queer e camp studies, post-colonial
studies ecc.

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Cosa ha a che fare tutto questo con il canone, da cui siamo partiti?
8. Nel 1987 all’università di Stanford un gruppo di studenti boicotta l’inizio dell’anno accademico perché
i programmi di studio rispondono ad un’ideologia fatta da uomini bianchi, eterosessuali, filo-imperialisti,
conservatori e protestanti. La fine delle certezze coincide con un’esplosione delle rivendicazioni da parte di
gruppi ignorati fino ad allora nella letteratura accademica. Le femministe pretendono che nei programmi
vengano inserite scrittrici donne, gli afroamericani pretendono l’inserimento di autori di colore e così via.

9. Questo complica il quadro letterario e si perde qualcosa, che secondo Harold Bloom è la vera essenza
della letteratura. Bloom rivendica un’idea di estetica che non ha niente a che vedere con i canoni etici della
letteratura. Non bisogna interessarsi del genere, etnia ecc. dell’autore. Per Bloom Shakespeare diventa il
centro del canone, a prescindere dalla biografia dell’autore. Ciò che conta è la lettura estetica fatta in
solitudine, non c’entra niente la rivendicazione politica.
“Non passa istante senza nuovi precipitarsi di lemmings accademici dalle rocce da cui proclamano le
responsabilità politiche del critico letterario. Ma un giorno tutto questo moraleggiare finirà.”. La grande
letteratura non è fatta con i buoni sentimenti. Gli studi culturali pretendono che siano grandi opere i
documenti politicamente impegnati. Per Bloom invece la letteratura è al di là del bene e del male, non fa di
noi dei buoni cittadini, delle persone eticamente coerenti, non è questa la funzione della letteratura. Non
occorre essere buoni cittadini per essere buoni scrittori.
“Qualsiasi cosa sia il canone occidentale esso non è un documento sociale” = Secondo Bloom tutte le mode
postmoderne che fanno di ogni letteratura un documento sociale (lett. Femminista, visione gender o
neomarxista o neostoricista rispetto ai testi) non rendono conto dell’oggetto letterario. Fanno un discorso
politico su un oggetto che è tale per le proprie caratteristiche estetiche, non politiche né civili.
Conclude dicendo che la difesa del canone occidentale non è la difesa dell’occidente, e che la letteratura è
un incontro di solitudini.
“Nessun io è riconoscibile in noi, chiunque noi siamo”. “Senza il canone cessiamo di pensare” = qual è l’idea
dietro questo ragionamento? Cosa vuol dire in fondo Bloom? Egli ha capito che il rischio insito della cultura
postmoderna è di mettere tutto sullo stesso piano. Quello che lui chiama canone occidentale in realtà non è
un canone, è un’antologia di grandi opere, c’è dentro di tutto (Shakespeare per primo, ma anche Dante,
Freud e altri). Nell’incontro tra la propria solitudine e quella degli autori c’è la coscienza del proprio io, che
tuttavia è anche l’io di tanti studiosi e persone che si sono formati con questo tipo di coscienza. Per Bloom
non si deve sostituire questo canone con una serie infinita di altre storie possibili. Bloom reagisce in maniera
reazionaria, ovvero certa di riportare in auge i valori del passato (vs conservatore cerca di mantenere i vecchi
valori; rivoluzionario cerca di instaurare nuovi valori vs progressista). Bloom chiama gli studiosi del post-
colonial studies ecc. la “scuola del risentimento”: significa usare la critica per riscattare valori politici a
discapito del canone.

Bloom si pone dunque contro critici come Gaiatri Spivak, una delle iniziatrici della critica postcoloniale e
femminista di stampo decostruzionista. Nel saggio “Spostamento e discorso della donna” Spivak scrive che
“la critica del fallocentrismo di Derrida si può riassumere: il patronimico, nonostante i dettagli empirici dello
scarto generazionale (nonostante non sia più padre della tradizione) mantiene identico agli occhi della legge
l’io trascendentale della dinastia. L’importanza irriducibile del nome e della legge in questa situazione
sottolinea come il problema non sia solo di comportamento psicosessuale ma anche di produzione e
consolidamento della referenza e del sesso.” Vuol dire che il nome del padre non lo individua solo il nostro
comportamento sociale nel mondo, ma esso influisce anche sul significato delle cose, per esempio dei testi.

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Per esempio, presumere che tutti i testi abbiano un significato. Questa idea, che il testo abbia un significato
preciso, è lo stesso rapporto che c’è tra un padre e un figlio.
In questo contesto, cosa si deve leggere? Hanno ragione entrambe le parti. Noi, come lettori, dobbiamo
essere in grado di scindere l’autore dall’opera. Prestare attenzione ad un testo non significa condividerne
l’etica. Si può leggere Céline, filonazista, anche se si è di sinistra. Non è detto che l’ideologia della persona sia
l’ideologia dell’opera. L’intenzione dell’autore è solo una delle parti dell’opera (Eco). Gramsci, nonostante sia
fondatore del pc, è il primo a riconoscere la portata del futurismo.

La nostra idea di letteratura è legata ad un mondo moderno sancito dalla nascita della disciplina dell’estetica,
e dalla nascita del concetto di gusto. = la capacità di riconoscere il bello e di goderne, facoltà fondamentale
della società borghese, unita proprio da questo: dal riconoscimento di chi ha un gusto simile al proprio
(mentre la nobiltà è unita tramite legami di sangue)
«Il concetto unitario di letteratura che abbiamo noi non è sempre esistito: nell’antichità, ad esempio, era in
fondo o più ristretto o molto più largo; da un lato i teorici antichi parlavano di poesia, non di letteratura,
circoscrivendo dunque il campo alle opere in versi; dall’altro ritenevano retoriche e letterarie forme di
scrittura che per noi non sono o lo sono solo in parte, come la scienza, la medicina, la filosofia, l’oratoria, la
storiografia» Massimo fusillo

27/09

I GENERI LETTERARI
GENERE deriva dal latino genus, generis che significa “stirpe” o “nascita”
Nella cultura occidentale potremmo definire un genere come una serie, una categoria di oggetti particolari
aventi in comune degli elementi essenziali e allo stesso tempo dei caratteri secondari che li distinguono tra
loro.
In campo letterario si è soliti far risalire alla Poetica di Aristotele la prima distinzione tra generi fondamentali.
LA POETICA DI ARISTOTELE

Aristotele usa il termine eidos, cioè forma. Egli non vuole definire come deve essere fatto un genere, si limita
a descrivere com’è fatta la letteratura del suo tempo, ovvero quella greca attica.
▪ Aristotele quindi non codifica le norme da applicare alla composizione letteraria. Piuttosto legge
criticamente i testi disponibili, osservandone forme e contenuti.
▪ La canonica distinzione le due macro-forme della letteratura, tragedia ed epica, non ha alcuna
ambizione normativa e riprende, con qualche modifica, la distinzione fatta da Platone nella
Repubblica tra modo mimetico-drammatico (che si occupa di mostrare), espositivo-narrativo (che si
occupa di dire) e misto (Repubblica), ovvero il dramma, l’etica (romanzo) e la lirica
È bene ricordare che in tutto questo non c’è ancora l’idea di una narrazione in prosa. Il romanzo moderno
(che nasce nel 1700) è un genere fagocitante che nasce in un momento di sconvolgimenti politici. È un genere
connaturato alla possibilità degli uomini comuni di lasciar traccia. Il romanzo moderno è l’idea che si possa
parlare di personaggi comuni nel modo in cui vogliamo, senza tener conto di differenze di registro e di stile
che sono alla base della divisione in generi tradizionali. (nella tragedia non posso parlare di un eroe con
registro basso)

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Differenza tra romanzo e racconto. Il racconto è qualcosa che nasce per essere ascoltato e riportato, perché
nasce dalla tradizione orale. Il testo doveva essere in grado di diventare patrimonio di chi raccontava ed
essere ri-raccontato. Il romanzo invece si oppone a questa idea, rimane cristallizzato ed è difficile ri-
raccontarlo.

▪ È tuttavia sulla scorta della grande fortuna dell’opera di Aristotele che in epoca alessandrina (II secolo
a.C.) viene elaborata la prima definizione normalizzante di genere.
▪ Sarà poi la cultura rinascimentale a riscoprire la visione aristotelica e intenderla in maniera nomenclativa
e classificatoria, nello stesso periodo in cui nascono i canoni delle letterature europee
▪ Fino al Settecento la funzione nomenclativa di genere avrà una forte valenza normativa, ed è questo un
aspetto che esso condivide con il canone. Tale funzione verrà ripresa anche in epoche successive,
come dimostrato dall’Estetica di Hegel, nella quale, tuttavia, dramma, lirica e epica vengono misurate
nelle fasi che scandiscono, per Hegel, la storia europea: periodo orientale/simbolico, grecoromano
classico, medioevale e moderno
▪ Il romanticismo introduce la dimensione storica nel discorso sui generi letterari, minando
sostanzialmente la visione atemporale di impronta classicista (Art poétique di Boileau, 1674). La
dimensione storica apportata dal romanticismo implica un’idea di evoluzione e di progresso della
letteratura attraverso il dispiegarsi dei generi, che culmina nella visione positivista dei generi come
organismi biologici.
▪ Il Novecento si apre con la figura di Benedetto Croce, il quale critica aspramente il concetto di genere
letterario, definendolo uno pseudoconcetto.
▪ Soltanto a partire dagli anni Cinquanta, grazie a critici e teorici di estrazione ermeneutica o
fenomenologica (Luciano Anceschi, per esempio), il genere letterario torna al centro del dibattitto
letterario («riscatto dell’empirico»).

Per Croce e per tutti gli idealisti la poesia è pura intuizione dello spirito, cioè il soggetto istruito dalla teoria
filosofica sa riconoscere quasi istintivamente ma per tramite della teoria la qualità estetica dell’opera. Questo
significa che guardando al panorama letterario italiano, ci sono opere che contengono poesia ed opere che
non la contengono perché un cervello allenato non ci vede poesia. Il movimento, in questo caso, va
dall’astratto all’empirico (dalla filosofia alla poesia). Per Croce la poesia è qualcosa che non si può inscatolare,
qualcosa che non dipende né dal genere né dai temi. Dipende dal fatto che la poesia concede allo spirito una
pura intuizione, la possibilità di capire il bello attraverso le parole dell’opera. Croce, ad esempio, valorizza la
Commedia perché in essa ci sono momenti lirici così sublimi che quasi superano l’opera petrarchesca,
considerata come canone estetico della poesia per lunghi secoli. Oltreoceano, il New Criticism afferma una
cosa simile, ovvero che nelle opere contano le parole utilizzate.
Per Anceschi, al contrario, il genere letterario è l’unico strumento per capire la letteratura in re, in contesto,
ovvero quella che c’è già, che esiste; capire l’empirico al di là delle sovrastrutture mentali che abbiamo in
teoria. Da qui il termine “riscatto dell’empirico”. Dunque, potremmo dire che
▪ Per comprendere la letteratura in re, occorre studiare la storia delle SITUAZIONI e delle INTENZIONI che
fanno vivere quella letteratura
▪ In tale prospettiva, una storia letteraria non può procedere di autore in autore, ma deve privilegiare
strutture di lunga durata, come appunto i generi, le forme, le poetiche e le istituzioni letterarie: tutti
fattori che trascendono il testo e l’autore.
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TODOROV, I GENERI DEL DISCORSO (1978)

In linea con la visione anceschiana è anche il critico bulgaro naturalizzato francese Tzetan Todorov. Per
Todorov il genere letterario è il luogo di incontro tra le poetiche generali e la storia della letteratura
evenemenziale (lett in re)
In tal senso il genere letterario avrà un carattere dinamico e storico: esso è infatti il frutto di una scelta, di
una trasformazione e di una codificazione di determinati atti linguistici ricorrenti, che una società
istituzionalizza in quanto funzionali alla propria ideologia.
I generi letterari derivano quindi da altri generi. Per Todorov non è vero che i generi non esistono più, solo
non esistono più quelli tradizionali. Essi si modificano sempre.

ALTRI CONTRIBUTI FONDAMENTALI ALLO STUDIO DEI GENERI

Questo punto verrà ripreso da Gérard Genette, il quale in Introduction à l’architeste (1979) critica la presunta
«naturalità» del genere. Il genere letterario non esiste nella realtà, così come nessuna opera corrisponde
esattamente ad un genere. Soltanto le variazioni nel genere sono significative letterariamente. I generi, cioè,
mutano continuamente e addirittura non è possibile postularne nemmeno la coincidenza con i singoli testi.
Tuttavia, il nostro sforzo è quello di far rientrare le caratteristiche generali di un’opera all’interno di una
categoria perché è l’unico modo per studiarla.

Il genere letterario diviene fondamentale per la Scuola di Costanza e per la teoria della ricezione: la ricezione
è infatti condizionata da convenzioni ben determinate e caratterizzanti l’orizzonte d’attesa del fruitore. Il
genere letterario è, come si capisce, una di queste convenzioni.

Domanda: perché le letterature comparate studiano i generi letterari?


x Per creare delle distinzioni transnazionali, tra gruppi di opere
x Perché sono degli strumenti che i comparatisti usano per raggruppare opere in grandi categorie mentali

TEORIA CLASSICA E TEORICA MODERNA DEI GENERI

Si potrebbe distinguere, a questo punto, come fa Austin Warren, tra:


o una teoria classica, che è normativa e prescrittiva (tende cioè alla definizione di un canone di
regole da seguire nella composizione dell’opera letteraria nei limiti di questo o di quel genere)
e per la quale i generi sono puri e non mescolabili tra loro
o Una teoria moderna, di natura descrittiva, che prevede la trasformazione e l’ibridazione dei
diversi generi nella storia.

LETTURA IN CLASSE:
Northrop Frye, Anatomia della critica dei modi, dei simboli, dei miti e dei generi letterari

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Introduzione polemica: è una difesa strenua della funzione della critica letteraria in una società che cerca di
mettere in dubbio la funzione del critico in tutti i campi e considera questa figura come un parassita o
sciacallo.
La critica ha diritto ad esistere, ed ha una funzione sociale, in primis perché ci fa capire che la qualità di
un’opera non dipende dal suo successo. La nostra società ci dice l’opposto: c’è una qualità insita nel fatto di
avere successo.
Frye passa ad analizzare i contenuti della Poetica di Aristotele. In essa, dice, c’è una caratterizzazione molto
rigida che dipende dalle qualità dei personaggi rispetto agli esseri umani. Nel mito, ad esempio, il
protagonista è un essere vivente di grado superiore al nostro che può fare cose per noi impossibili. Il romance
invece presenta dei personaggi tipicamente eroici, non riportabili all’esperienza, i quali però sono comunque
inferiore rispetto a divinità. C’è poi la novel, quello che noi chiamiamo romanzo moderno, con personaggi
semplici, non eccezionali, insomma simili a noi.
Frye parla inoltre dei modi, una categoria più fluida rispetto a quella dei generi. I modi assumono importanza
straordinaria quando vengono meno i generi tradizionali. Es. Il Partigiano Johnny, a livello stilistico, adotta
alcuni modi epici.

RIASSUMENDO

Da Aristotele fino all’era alessandrina c’è una visione descrittiva del genere, senza intenzioni normative. Dopo
c’è una lunghissima fase con alternanze di posizioni ma sostanzialmente normativa: se gli scrittori vogliono
entrare nella tradizione letteraria devono rispettare i generi (concezione statica). Ciò viene superato dal
romanticismo quando nasce l’idea che i generi cambino nel tempo (Hegel tra i primi che vede nei generi
aristotelici una ripartizione storica). Infine, nel Novecento, dopo essere stato criticato nella prima metà del
secolo, il genere riscuote grande successo.

TEMI E MITI LETTERARI


Si deve distinguere (benché la comunità scientifica non sia concorde, in tal proposito) tra
x la tematologia, che si occupa dello studio comparato dei temi e dei miti letterari, dunque uno stesso
tema o mito in tanti autori, in un lungo periodo di tempo e in un vasto spazio geografico. x la critica
tematica (o studio tematico) che indica generalmente una metodologia applicabile anche all’analisi di un
singolo testo o di un solo autore.
Come abbiamo già visto nelle lezioni sulla storia della disciplina, l’indirizzo di ricerca tematologico di tipo
storico-genetico (ricostruzione documentaria della trasmissione dei materiali tematici attraverso la
tradizione europea), è uno dei principali indirizzi della letteratura comparata Ottocentesca.
→ La tematologia, sebbene sia stata una dei primi modi adottati dalle letterature comparate, ha come limite
l’impossibilità di approfondire. Si creano degli enormi cataloghi che rintracciano il tema ma rimangono in
superficie.
→ L’utilità è invece quella di studiare la variazione nel tempo o l’immutabilità di un tema in letteratura.
→ La critica tematica invece permette di rintracciare alcuni temi che ritornano continuamente, metafore
ossessive che ricorrono negli autori e che dunque ci possono dire molto della loro psicologia. Ad esempio, il
tema del doppio in Dostoevskij ritorna spesso
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STOFFGESCHICHTE

L’indirizzo tematologico è imparentato con gli studi sul folklore e sulla letteratura popolare (=
Stoffgeschichte). René Wellek fa risalire la nascita della Stoffgeschichte all’attività di ricerca dei fratelli Grimm
che nei primi decenni del XIX secolo si dedicarono allo studio della migrazione delle favole, delle leggende e
delle saghe.
Gli studi tematologici, nella loro forma originaria e in pieno ambito positivista, vennero identificati proprio
con il termine Stoffgeschichte. Naturalmente, tali studi, furono fortemente avversati da tutti gli studiosi
attenti alle forme letterarie e ai testi, poiché si risolvevano sovente in grandi cataloghi eruditi. Tra i massimi
oppositori merita ricordare Benedetto Croce, René Wellek e Austin Warren e Werner Sollors.

TEMATOLOGIA

Il primo studioso ad utilizzare il termine tematologia (thématologie) fu il belga Paul Van Tieghem. Con questo
termine il critico definiva la branca di studi comparatistici che si occupa dell’indagine dei temi e dei miti
letterari, e concludeva che tale branca restava comunque di interesse assai limitato da un punto di vista
critico, limitandosi a lavori di tipo catalografico e di schedatura.
Fino agli anni Sessanta, insomma, la tematologia resta confinata entro una sfera marginale ed erudita,
nonostante le pubblicazioni di capolavori critici che presentano più di un punto di tangenza con tale ambito
di studi, come quelli di Mario Praz (La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 1930) e di
Gaston Bachelard.

MA COS’È UN TEMA?

Potremmo definire un tema come un soggetto di preoccupazione o interesse generale per l’uomo che si
deposita in un orizzonte storico-letterario e si trasmette in prospettive di breve, media o lunga durata (tipi
sociali, professionali, morali; luoghi comuni; spazi e ambienti ricorrenti; situazioni umane ricorrenti; problemi
fondamentali della condotta umana, etc.).
Il tema è quindi un’entità mobile, flessibile, metamorfica, composta, secondo alcuni studiosi, di parti minime
invariabili chiamate motivi. I motivi, combinandosi tra loro creano nessi tematici: un tema è una
combinazione o una aggregazione di motivi.
La combinazione stabilizzata di motivi è un topos. (Sul concetto di topos, non tutti i critici concordano: Cesare
Segre e Mario Domenichelli, per esempio, considerano i topoi come i luoghi della memoria collettiva, dove
di depositano, nel tempo, schemi di azioni, situazioni, invenzioni).
Che differenza c’è tra un luogo comune e un tema? Il secondo varia in base alle combinazioni sempre diverse
di motivi. Se l’incastro invece è sempre uguale abbiamo un luogo comune. La struttura di un giallo, ad
esempio, crea nessi tematici che pur variando nella loro evoluzione sono cristallizzati, prevedono sempre le
stesse fasi.
Non tutti i critici concordano sull’utilità della nozione di motivo. Per esempio Mario Domenichelli considera
poco fruttuoso l’uso di tale concetto. In ogni caso tema e motivo, considerandone ricorrenza e ricorsività
nella storia, costituiscono il segnale più evidente di una sorta di memoria collettiva. Lo studio tematologico è
quindi uno studio che attraverso la letteratura può condurci ad una indagine culturale complessiva. Tuttavia
l’esistenza stessa di un tema letterario è legata alla sua mobilità e polisemia.

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LA SVOLTA TEMATOLOGICA DEGLI ANNI SESSANTA

Dagli anni Sessanta, grazie agli apporti di Raymond Trousson ed Henry Levin, la tematologia si dota di armi
critiche in grado di scalfire la superficie interpretativa che non veniva toccata negli anni precedenti.
TROUSSON

Trousson, in particolare, col suo lavoro sul mito di Prometeo e con la sua riflessione teorica, invitò i critici a
riflettere sulle modalità e le cause della continua palingenesi (=rinnovamento, rinascita) che investe i temi
letterari, andando oltre l’accumulo documentaristico: «l’odissea di un tema assume il suo significato soltanto
nel contesto della storia, nel senso più largo del termine – storia politica, sociale, letteraria, estetica».
Lo scopo dello studio tematologico è per Trousson quello di interpretare le variazioni e le metamorfosi di un
tema letterario nel tempo, alla luce delle relazioni che esso intrattiene con i contestuali orientamenti storici,
ideologici e intellettuali.
Per Trousson bisogna studiare lunghi periodi di tempo (impossibile fare tagli cronologici) e distinguere
- Temi degli eroi, ovvero legati a figura mitica (es. Prometeo, Orfeo)
- Temi di situazione: dipendono dal plot, da come la vicenda si organizza
Inoltre per Trousson NON è definibile la differenza tra tema e mito. La definizione di tema utilizzata finora
sembrerebbe escludere figure mitiche. Per Trousson la narrazione mitica si studia nello stesso modo dei
grandi temi dell’umanità, cioè ne si studia la variazione nel tempo.

LEVIN

Levin riabilita la critica tematologica rispondendo alle accuse di superficialità ad essa rivolte, all’accusa di aver
peccato nei confronti della qualità estetica, non considerando la forma. Egli sostiene infatti che gli elementi
tematici non rappresentano soltanto l’intrusione semplicemente contenutistica di materiali estrinseci
rispetto al testo. Per Levin infatti il contenuto si metamorfizza nella forma e la selezione e la disposizione dei
temi diventa una parte organica del processo artistico. Levin dice che in realtà i temi non costituiscono solo
l’aspetto contenutistico di un testo, ma la rappresentazione di un tema dà forma alla forma del testo. La
strutturazione di un tema in un’opera non è una questione di blando contenuto, ma modifica la forma di
un’opera
Levin inoltre individua nella polisemia connaturata al concetto di tema letterario la fonte delle grandi
potenzialità critiche dello studio tematico.

NOUVELLE CRITIQUE

Per molti esponenti della nouvelle critique ginevrina e francese il tema letterario diventa strumento
fondamentale di indagine critica. La prospettiva di questi studiosi di ambito strutturalista riguarda tuttavia lo
studio del singolo autore o della singola opera, in una prospettiva di close reading.
Il tema è per critici come Weber, Poulet, Richard e Starobinski la funzione chiave del processo interpretativo
di un’opera letteraria.

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- Weber teorizza il monotematismo: l’intero atto creativo di un autore può essere interpretato come
la reiterata modulazione di un unico tema ricorrente, una immagine ossessiva.
- Georges Poulet interpreta le modulazioni individuali e soggettive di quei temi letterari che si
configurano come profonde e centrali categorie del pensiero (lo spazio, il tempo)
- Jean-Pierre Richard individua per ogni autore che studia dei nuclei tematici e genetici (oggetti,
immagini, sentimenti), legati a strutture profonde della sensibilità dell’autore
- Jean Starobinski ricostruisce attraverso l’indagine di temi, idee e immagini simboliche vere e proprie
storie dell’immaginario letterario.
- Sempre in area francese, ma su ispirazione psicoanalistica opera anche Charles Mouron, fondatore
della psicocritica. La sua ricerca si fonda sullo studio delle metafore ossessive, prevalentemente
involontarie, che si nascondono nel testo, indagando in questo modo l’inconscio dello scrittore.
Tramite l’aggregazione di queste metafore Mouron credeva possibile risalire ad una sorta di «mito
personale» dello scrittore.

PIERRE BRUNEL E LA MITOCRITICA

Tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta, la grande fioritura di studi su temi e miti letterari, sia per
quanto riguarda la critica tematica che la critica tematologica, favorirà la nascita della cosiddetta
«mitocritica».
Si tratta di una branca di studi che ha avuto in Pierre Brunel il suo massimo esponente e che si basa sullo
studio tematologico del mito: da Dafne a Elettra, da Napoleone a Faust, da Edipo a Don Giovanni, tali studi
trovano esito anche nel fondamentale Dizionario dei miti letterari diretto negli anni Ottanta dallo stesso
Brunel.

CHE COS’È IL MITO?

Il problema terminologico è ancora oggi molto dibattuto dalla critica. Il termine greco Mythos indica il
racconto in accezione favolosa, qualcosa che si contrappone al Logos, al discorso razionale, e fa riferimento
a una realtà che eccede i limiti della ragione.
In senso etno-religioso il mito racconta una storia sacra: un avvenimento che è avvenuto in un tempo
primordiale e favoloso. È quindi il racconto di una creazione: narra come qualcosa ha iniziato ad essere,
ovvero narra l’origine del mondo, degli animali, delle piante, dell’uomo, e di tutto quegli eventi primordiali
che hanno portato l’uomo ad essere ciò che è oggi.
→ Il mito in senso etno-religioso è anonimo e collettivo, e assomma tre funzioni essenziali:
■ FUNZIONE NARRATIVA attraverso la quale si configura uno scenario mitico in cui un sistema dinamico
di simboli e archetipi diventa racconto a partire da uno schema;
■ FUNZIONE ESPLICATIVA per cui un mito è un racconto autoritario e eziologico, e si costituisce come
riferimento culturale permanente;
■ FUNZIONE DI RIVELAZIONE per cui il mito si radica nella sfera del sacro, poiché descrive l’irruzione del
sovrannaturale nel mondo.

20
Secondo Greimas il racconto mitico si differenzia da altri racconti anche per la sua «ridondanza»: il mito infatti
tende a reiterare certe formule e certe sequenze, e possiede il potere di generare altri racconti, attraverso la
ripresa di alcuni suoi elementi costitutivi e invarianti.

DAL MITO ETNO-RELIGIOSO AL MITO LETTERARIO

Ma che c’entra la letteratura con questo? Che questi racconti nascono in un contesto non letterario ma
religioso, ed il punto è che in un certo momento dello sviluppo di una cultura, i miti vengono riportati in opere
letterarie, cioè trapassano da una dimensione collettiva anonima e di rivelazione, ad una dimensione
opposta: non più anonima perché l’autore ne fissa una struttura, non più collettiva perché non tutte le
persone si riconoscono in quel mito, non più di rivelazione perché non racconta l’origine delle cose.
Ma in che modo un mito etno-religioso diventa un mito letterario? Cosa succede al valore di verità espresso
dal mito in questo passaggio? Secondo l’antropologo Claude LéviStrauss la trasformazione di un mito in mito
letterario equivale alla sua desacralizzazione: la storia letteraria di un mito è la storia della de-valorizzazione
di un modello di comportamento o di condotta morale e sociale. La letteratura è qualcosa che rende profano
il contenuto del mito.
Per Pierre Brunel, invece, le arti e la letteratura giocano un ruolo fondamentale nella conservazione di un
mito, che quindi può sopravvivere al tempo, come narrazione significativa, solo accettando trasformazioni e
metamorfosi. La letteratura ha quindi svolto funzione fondamentale di congiunzione tra mondo classico e
moderno
In realtà il mito letterario non è una semplice trasposizione di un mito etno-religioso in letteratura: rispetto
al mito etno-religioso infatti esso
- perde le caratteristiche di anonimato e il carattere fondativo e veridico
- conservando d’altra parte lo scenario ricorrente, la strutturazione rigorosa, la caratterizzazione
simbolica e, talvolta, l’irruzione del sacro.

Il mito letterario è un racconto esemplare capace di agire sulla coscienza collettiva: a contatto con la storia
culturale il mito viene riscritto e rifunzionalizzato determinando ciò che Piero Boitani definisce «campo
figurale».
Boitani, uno dei massimi studiosi italiani viventi, ha scritto a proposito del mito di Ulisse. Egli definisce campo
figurale il rapporto che si crea tra la narrazione mitica e la storia culturale che la descrive. Es. il mito di Edipo
nella classicità ha un certo significato, ma dopo Freud esso assume significato differente perché subisce una
riscrittura da parte della cultura ebraico-tedesca. La nostra idea di storia lineare non funziona, perché la storia
è dialettica nella nostra percezione. La modifica ha un carattere retroattivo, nel senso che ogni volta che
abbiamo una nuova idea su qualcosa la riproiettiamo all’indietro. L’idea che abbiamo oggi di Dante, Sofocle,
ecc., non è la stessa che avevano i loro contemporanei. Ciò che proiettiamo è la nostra idea contemporanea
di un elemento del passato.

TIPOLOGIE DI MITO LETTERARIO

Il mito letterario nella letteratura occidentale risponde essenzialmente a 4 tipologie:


■ rielaborazione di racconti di origine mitica provenienti dal mondo greco e romano o contenuti nelle
Sacre Scritture

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■ racconto di origine già letteraria (Faust, Tristano e Isotta, Amleto, etc.)
■ miti politico-eroici, nati attorno a figure storiche di particolare carisma (Alessandro Magno, Cesare,
Napoleone, etc.)
■ miti parabolici, nati da minime indicazioni presenti nelle Sacre Scritture e poi germinati in narrazioni
autonome.

TEMA E TEMATIZZAZIONE

Potremmo dire che un tema eccede e continuamente pone in discussione i concetti forgiati per contenerlo.
Per studiarlo compiutamente occorre quindi mettere in evidenza e precisare i molteplici significati di cui esso
è portatore, isolare i suoi elementi costitutivi, in modo da far risaltare la sua polivalenza.
Finora abbiamo detto che il tema è qualcosa di interno al testo, ma dobbiamo stare attenti a questo. Dando
per scontato che ci sono dei temi strutturanti perdiamo altri temi. È l’attività dell’interprete, del lettore, a
riconoscere nel testo un tema, attuando quella che si chiama tematizzazione: in effetti ogni tema si
costituisce a partire da due aspetti
- forza autotematizzante del testo
- l’interrogazione ermeneutica di chi lo decifra. Gli orientamenti epistemologici e socioculturali del
lettore divengono una chiave d’accesso critico fondamentale, per cui si parla anche di tematologia
reader oriented.
→ L’unione dei due aspetti, della forza auto-tematizzante e del lavoro tematizzante dell’interprete, è ciò che
forma la critica tematica.
→ Da tale presupposto nascono gli approcci tematologici degli studi di genere, postcoloniali e neostoricisti.

IMAGOLOGIA
Scienza che fa parte degli studi comparati e che studia la rappresentazione dello STRANIERO in letteratura.
«Immaginare altri paesi, formulare giudizi sui loro abitanti, confrontare sé e i propri connazionali con gli
altri, «gli stranieri»: incontri con turisti e immigrati, impressioni lasciate da immagini televisive e filmiche,
notizie lette e ascoltate». Paolo Froietti
Anche la letteratura contribuisce nella formazione di questo «immaginario». Essa ha infatti sempre
contribuito a disegnare la figura dello straniero. Se consideriamo lo straniero come tema letterario, vediamo
che si tratta di un tema complesso che stabilisce delle coordinate politiche, sociali, ideologiche, importanti
per una cultura.
La letteratura è una fonte di «informazione» suggestionante che esercita una certa influenza sul nostro
pensiero: ci trasmette infatti pensieri e giudizi espressi in tutti i tempi e in tutte le culture. (anche se oggi
molto meno, sono altri i media che ci influenzano)
Con «imagologia» si intende quindi lo studio delle immagini, dei pregiudizi, dei cliché, degli stereotipi e in
generale delle opinioni su altri popoli e culture che la letteratura trasmette.
Queste images [imàj], secondo gli imagologi, vanno al di là del puro valore letterario, dello studio delle idee
e dell’immaginazione artistica di un singolo autore. Le images non sono idiosincratiche, ovvero non sono

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deformazioni del singolo, sono qualcosa di collettivo che eccede i limiti di ciò che ognuno di noi pensa e
pervade l’immaginario collettivo.
Nella Bibbia, per definire gli stranieri ci sono tre parole diverse. La nostra distinzione è invece tra straniero e
clandestino, legata a questioni legali, ma non c’è nessuna indicazione del rapporto che lega lo straniero con
l’indigeno. Ciò rivela una spia della società. In effetti da sempre l’identità etnica di una nazione si definisce in
relazione all’altro. Già da bambini percepiamo la distinzione tra sé stessi e gli altri (fase dello specchio). Ma
la relazione tra noi e l’altro non è mai univoca. Pensiamo alla cultura greca che definisce barbari tuti coloro
che non parlano greco senza fare distinzioni tra una cultura e un’altra.
L’imagologia cerca di risalire al valore ideologico e politico che certi aspetti di un’opera letteraria possono
avere proprio in quanto in essi si condensano per lo più le idee che un autore condivide con l’ambiente sociale
e culturale in cui vive.
Ogni image si costituisce attraverso un continuo confronto che muove dall’identità all’alterità: parlare degli
altri presuppone sempre un noi. La nostra identità è sempre da negoziare con l’alterità. Pensare che ci sia
qualcosa di invariabile nella nostra identità è ideologia pura, perché l’identità è una variazione continua che
dipende anche dal rapporto tra la nostra comunità e le altre. Attraverso l’imagologia potremmo risalire
all’impianto ideologico che costruisce la nostra identità, alle radici delle ideologie utilizzando strumenti
letterari. Per questo non si può fare imagologia da posizioni di neutralità ideologica.

Un testo contenente una o più images è detto imagotipico. I testi canonicamente imagotipici, ovvero i
racconti di viaggio (esempio fondamentale è il Viaggio in Italia di Goethe), possono alimentare images
idealizzanti oppure images negative o visioni distorte dell’altro, dette miraggi (mirages). L’imagologia studia
quindi images, mirages e gli sviluppi diacronici delle stesse.

TRADIZIONE POSITIVISTA (scuola di Acquisgrana e scuola francese)


L’imagologia tradizionale, sviluppatasi nell’Ottocento, era di impianto decisamente positivista: concezione
deterministica dei caratteri nazionali.
Studio delle ricezioni letterarie: come l’immagine di un’altra nazione potesse influire sulla fortuna di un
autore da quella proveniente.

HUGO DYSERINCK

è il primo critico ad avviare una profonda revisione della ricerca imagologica:


Spostamento dell’attenzione dalla sociologia agli studi sulle traduzioni letterarie.
Studio di images and mirages nella critica e nella teoria letteraria
Analisi della manualistica scolastica
Perché da studioso di imagologia dovrei studiare i testi di critica letteraria? Perché da essi emerge una visione
che dovrebbe essere colta e non popolare. Se un’image passa dalla critica vuol dire che socialmente è così
interiorizzata da riguardare tutte le fasce della popolazione. Significa anche intercettare in che modo la
società trasmette images e mirages alle generazioni successive.
Con Dyserinck l’imagologia allarga il campo di studio e si allontana un po’ da quello letterario, aprendosi a
settori quali antropolologia, psicologia, storia delle idee ecc.

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JOEP LEERSEN

Revisione del concetto di «imagotipia»:


Negli studi di imagologia non ha importanza il contenuto di verità di una data image, ma il suo
valore di riconoscimento (recognition value). Fondamentale è la capacità del lettore di
riconoscere una certa images: se ciò avviene, il testo è imagotipico.
Differenza tra enunciati empirico-referenziali, che possono essere valutati con le categorie di
vero e falso e rappresentazioni imagotipiche, che invece manipolano i primi operando delle
selezioni e simulando una referenzialità. = posso citare una statistica in cui dicono [esempio
falso] che i pigmei sono responsabili del 12% dei furti di fiori nei giardini, esso è un enunciato
empirico referenziale. Se però utilizzo questo enunciato, manipolandolo ideologicamente,
dicendo ad esempio che i pigmei vanno cacciati per il motivo sopra detto, io sto creando una
falsa referenza. In questo caso sto creando una falsa referenzialità che non può più essere
giudicata con le categorie di vero e falso ma che risulta sempre vera. Fare questo in
letteratura è molto complicato: discernere correttamente tra enunciati imagotipici
(ideologicamente manipolati) ed enunciati empicoreferenziali è molto difficile, [Non lo chiede
all’esame]
L’imagologo deve concentrarsi sugli effetti che la pretesa referenzialità di una rappresentazione
imagotipica comporta.
[Remo Ceserani, Lo straniero, collana Alfabeto letterario laterza; Giulia Cristeva, Stranieri a noi stessi]

DANIEL-HENRI PAGEAUX

Studio della natura e delle funzioni del discorso critico sulle letterature straniere, nonché delle pratiche
culturali che si sostanziano delle immagini di un paese straniero.
La saggistica sulle letterature straniere va quindi studiata nel proprio carattere di rappresentazione, ovvero
mettendo in risalto il fatto che essa è soggetta ai meccanismi di condizionamento propri della cultura di
appartenenza.
L’analisi imagologica deve includere la paraletteratura.
Tre modalità di rappresentazione dell’«altro»:

MANIA: sopravvalutazione della cultura straniera (es America anni 50)


FOBIA: disprezzo indifferenziato della cultura straniera
FILIA: considerazione paritaria della cultura straniera
Qualsiasi contatto tra una cultura egemone ed una subalterna provoca in entrambi le parti questi tre
comportamenti. I primi due sono chiaramente ideologici: ad esempio, attribuire allo straniero la causa dei
nostri problemi è una forma di fobia in quanto attribuiamo loro un potere che non hanno. Pensare che i
tedeschi risolvono i problemi in maniera migliore è mania. Per Pageaux anche la filia ha carattere ideologico,
perché sempre in un contesto di subalternità chi da altro non vuole diventare noi al massimo potrà essere
tollerato. Nel rapporto tra cultura egemone e subalterna si crea un meccanismo complesso, per cui la cultura
egemone tende ad attrarre a sé quella subalterna e si creano tante situazioni: un’integrazione che può

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significare perdita di tratti fondamentali da parte della cultura subalterna e in tal caso essere negativa, oppure
che sia una commistione tra elementi culturali.

Lo studio imagologico si risolve quindi in un’analisi culturale che, a partire dal testo letterario, individua come
proprio oggetto l’imagerie sull’altro. Lo studio deve contenere questi tre gradi di analisi
analisi semiotica: esame delle ricorrenze di determinate parole chiave ed espressioni costituenti il
materiale lessicale delle images. Rintracciare nel testo fisicamente le images
analisi semantico-strutturale: messa in luce dei meccanismi attraverso i quali lo scrittore ha attuato
determinate scelte linguistiche (differenziazione dall’altro o assimilazione).
analisi del sistema di qualificazione differenziale: image come «scenario» strutturante le principali
opposizioni che compongono il testo e le principali unità tematiche (spazio-tempo, simbolizzazione,
mitizzazione, personaggi). Vuol dire che nei testi imagotipici l’image o una o più images struttura le
opposizioni all’interno del testo.

LETTERATURA E ARTI VISIVE


Si tratta di un rapporto antico, che esiste fin dalle origini della letteratura.
Ut pictura poësis = La pittura è come la poesia / la poesia è come la pittura. Orazio, Ars poetica.
La letteratura e le altre arti hanno una lunga storia in comune: in particolare tra la letteratura e le arti visive,
tradizionalmente, vi è un rapporto di familiarità, che ha dato luogo alla definizione di ARTI SORELLE
La pittura è poesia muta, la poesia è pittura parlante, Simonide di Ceo (riportato da Plutarco)
Nella classicità pittura, scultura e architettura rappresentano un terreno limitrofo con il quale la letteratura
si misura, dando vita ad una vivace dinamica di prestiti, confronti e rispecchiamenti. Poesia e pittura
rappresentano un continuum espressivo.

Ekphrasis: la descrizione verbale particolarmente vivida ed accurata di un oggetto visivo in letteratura; è


un’interruzione della narrazione, nonché una sorta di traduzione di un’opera visiva in parole, trasferisce
normalmente ciò che si dovrebbe poter vedere.
Ekphrasis nozionale: la descrizione vivida di oggetto che non esiste, nozionale perché crea l’oggetto che sta
descrivendo, ad esempio nel caso della descrizione dello scudo di Achille
Ekphrasis mimetica (John Hollander): la descrizione riguarda un oggetto esistente (es. Gioconda), trasformare
un oggetto esistente in qualcosa di verbale.
“L’ékphrasis è un discorso descrittivo che porta ciò che viene descritto vividamente (enargôs) davanti
agli occhi. «Vividamente» è aggiunto perché così la si distingue massimamente dalla narrazione […]
Essa differisce dalla narrazione nel fatto che quest’ultima esamina le cose come un tutto, la prima
solo come una parte.” Nicolao di Myra riportato da molti commentatori moderni
NON basta descrivere in maniera rapida un oggetto per fare l’ekphrasis; essa infatti è talmente potente da
interrompere la narrazione.

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Il Rinascimento è il primo momento in cui il rapporto di complicità tra le arti si spezza. Il documento che segna
questa trasformazione è probabilmente il Trattato della pittura di Leonardo, quello che i comparatisti
chiamano talento multiplo.
La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il suo fattore l’ha
generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in
questo caso il poeta, che manda le medesime cose al comun senso per la via dell’udito, minor senso,
non dà all’occhio altro piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza è
dall’udir raccontare una cosa che dia piacere all’occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella
prestezza che si vedono le cose naturali. Ed ancorché le cose de’ poeti sieno con lungo intervallo di
tempo lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e bisogna farvi sopra diversi comenti, ne’
quali rarissime volte tali comentatori intendono qual fosse la mente del poeta; e molte volte i lettori
non leggono se non piccola parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l’opera del pittore
immediate è compresa da’ suoi risguardatori.
Qui Leonardo attua una distinzione tra vista e udito, riconoscendo che la prima permette una ricezione
immediata. Infatti, mentre il pittore lavora con materiali naturali come gli strumenti, i colori e le linee, il poeta
usa qualcosa di artificiale, concordato con la comunità, ovvero la lingua. Dunque, la pittura è una forma d’arte
superiore alla poesia perché può essere intesa immediatamente e in maniera univoca da tutti.
Si tratta di una trasformazione radicale nel modo di intendere la fisionomia umana. Aristotele per primo
afferma che, dato che l’uomo talvolta può usare i cinque sensi contemporaneamente, deve esisterne per
forza un sesto che li connetta tutti prima che essi arrivino all’intelletto. Questo sesto senso per Aristotele si
trova vicino al cuore e talvolta è chiamato spirito, talvolta è chiamato pneuma.
Leonardo, come espressione di nuova civiltà, afferma che il sesto senso esiste ma non si trova vicino al cuore:
esso è in mezzo alla fronte, vicino al cervello e agli occhi. La vista è il senso che più velocemente degli altri
manda le sue sensazioni al senso comune, è più immediato rispetto agli altri. Egli è il primo a sottolineare una
sproporzione tra la poesia e la pittura. La pittura è superiore perché utilizza direttamente gli elementi della
natura per formarsi.

PROSPETTIVA CLASSICA

x Le arti figurative possono essere l’oggetto della letteratura (p.e. L’après midi d’un faune di Mallarmè,
ispirato a un quadro di Boucher conservato alla National
Gallery di Londra) x La letteratura può essere oggetto dell’arte (p.e. le innumerevoli rappresentazioni
pittoriche di soggetti letterari)
x Tematizzazione (p.e. la figura dell’artista finzionalizzata nella letteratura) x Studio dell’Ekphrasis
x Studio dei talenti multipli

GOTTHOLD LESSING

Nel Settecento la distinzione tra poesia e pittura si inasprisce, le due sorelle cominciano ad essere in conflitto
tra loro. L’esasperazione di questa dispersione la troviamo convenzionalmente nell’opera di Lessing, con un
ribaltamento di prospettive rispetto a ciò che pensava Leonardo.
1766: Lessing, Laocoonte ovvero dei confini della pittura e della poesia = La relazione tra la letteratura e le
altre arti è posta in termini di rivalità e di una precisa delimitazione di campo x La POESIA è arte del TEMPO:
si occupa delle azioni
x La PITTURA è arte dello SPAZIO: si limita alla rappresentazione di corpi

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Lessing dimostra tutto questo analizzando il Laocoonte, un complesso scultoreo del I secolo della scuola di
rodi. Gli scultori che hanno realizzato l’opera hanno dovuto rappresentare un solo istante dell’intero
episodio, che invece è nella sua interezza nell’Eneide. In questa distinzione Lessing sta dicendo che la poesia
è superiore alla pittura, perché capace di rappresentare grandi vicende. Lessing spezza dunque l’assioma
oraziano.
Nel Laocoonte, Lessing mette in evidenza la differenza tra pittura e poesia. I corpi e le loro qualità visibili sono
gli oggetti propri della pittura, mentre le azioni sono gli oggetti propri della poesia. In altre parole, la prima
non può rappresentare che i corpi, la seconda le azioni. La poesia si serve delle azioni anche per rendere i
corpi da cui le azioni scaturiscono; la pittura quando si trova alle prese con un'azione, cerca di coglierne il
momento supremo.
La poesia utilizza segni semantici arbitrari, cioè suoni verbali condizionati non dalla natura ma dal
convenzionale sistema linguistico, i quali sono articolati in successione temporale ed esprimono azioni. La
pittura opera invece con segni imitativi naturali (figure e colori) che hanno una collocazione contigua nello
spazio e possono rappresentare soltanto le proprietà sensibili dei corpi. Certo, una rappresentazione di azioni
è possibile anche in pittura, ma l’arte figurativa può utilizzare solo un unico momento dell’azione, il più
pregnante; mentre i segni verbali consentono al poeta di rappresentarcene il divenire.
Tutto questo diventa imbarazzante per i difensori della letteratura quando nasce il cinema: esso infatti
racconta un divenire e allo stesso tempo rappresenta i corpi.

ABY WARBURG,

Mnemosyne: rovesciamento della prospettiva di Lessing. Atlante di miti, figure, simboli in cui si condensa la
memoria culturale e corale dell’Occidente e di cui resta traccia nelle immagini
«L’immagine è dotata di una sua temporalità complessa, poliritmica, fatta di sopravvivenze inconsce e di
ritorni improvvisi» Didi-Huberman [Immagine insepolta]
Il tempo dell’immagine è diverso da quello della parola in quanto necessita di un’analisi complessa, antica e
globale. La creazione di atlanti di immagini è il modo per vedere il tempo delle immagini, la repulsività storica
delle immagini.

REAZIONE AL PENSIERO SETTECENTESCO: L’OTTOCENTO E L’UTOPIA SINESTETICA

Col Romanticismo la relazione tra le arti è caratterizzata dalla «contaminazione» = ibridazione tra le arti, in
una ricerca di utopia sinestetica, ovvero l’idea di poter andare oltre le barriere disciplinari che storicamente
separano le arti. È un percorso che passa da Baudelaire (Costantin Guys) a Wagner (arte totale), da Skrjabin
(Poema dell’estasi) al simbolismo, dal decadentismo alla nascita delle avanguardie.
→ Lungo percorso verso la restituzione della temporalità complessa propria anche dell’immagine, oltre che
della letteratura.
Nella poesia Voyelles, ad esempio, Rimbaud insegue l’utopia sinestetica mediante un percorso verbale, fa
delle associazioni personali di immagini che suggeriscono il senso. Capisce che si può spezzare la referenza
con la realtà, perché l’arte è di per sé reale e non ha bisogno di giustificarsi rappresentante qualcosa
C’è poi Apollinaire che nei Calligrammi dispone le parole nello spazio della pagina creando dei disegni, delle
immagini. Questo metodo ha origine antica, è una tradizione che proviene dalla Grecia antica del III secolo

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(non una cosa d’avanguardia), con l’esempio dell’ascia di Simia di rodi. Negli anni 60 Polara e Caruso curano
un volume in cui raccolgono il lavoro di poeti latini che facevano la stessa cosa di Apollinaire
Altro metodo era creare immagini che facessero da cornici al testo (Baldassarre Bonifacio)
D’avanguardia invece sono le tavole parolibere futuriste. Marinetti, in più rispetto alla tradizione
calligrammatica, inserisce l’aspetto sonoro. È qualcosa che nella poesia lineare non esiste, l’intensità sonora
è decisa da chi legge. Nelle tavole parolibere è data dalla grandezza delle lettere/sillabe. Inserisce inoltre
dinamismo e movimento delle parole.
Dada poi fa largo uso del collage di parole.
“Ceci n’est pas une pipe”, memorabili gli studi di Foucault su questa immagine, che più di tutti mette in
relazione immagini e parole. La frase è vera, perché quella che vediamo non è una pipa, è la rappresentazione
di una pipa. Ma nessuno prima di quest’opera aveva pensato che si potesse pensare la rappresentazione
artistica come qualcosa di diverso dalla realtà. Quest’opera dice anche che c’è un rapporto disgiuntivo tra
significato dell’immagine e significato del testo.
Nel dopoguerra riprendono forza e vigore alcune correnti
d’avanguardia, tra cui quello della poesia concreta,
movimento di diffusione mondiale in quanto presente non
solo in Europa ma anche in Giappone, in Brasile, negli Stati
Uniti. La prima opera è quella di Carlo Belloli, futurista. Nelle
prime parole cambiano i fonemi, elementi linguistici, nelle
altre il carattere. Vuole suggerire che lo scarto tipografico ha
lo stesso valore che ha lo scarto semantico. Ovvero esiste una
differenza semantica anche tra le stesse parole se esse sono
tipograficamente diverse.
Questo concetto è utile nella grafica pubblicitaria odierna. Il
logo della Fedex, ad esempio assume valore semantico solo
con la disposizione grafica del testo (freccia tra la E e la X). La
disposizione del testo ha valore semantico, non solamente
estetico.
In questo senso la pubblicità si è appropriata di elementi letterari, di forma e contenuti. I letterati iniziano
guerriglia semiologica, cercano di riprendere alla pubblicità gli elementi che funzionano meglio per riportarli
alla letteratura.
Eugenio Miccini fu quasi arrestato perché diede vita a piano eversivo per conquistare con una guerriglia la
città di Firenze, in maniera ironica, ma non fu capito.
PROSPETTIVA CONTEMPORANEA VISUAL STUDIES

x Nelson Goodman, I linguaggi dell’arte (1968): studio delle convenzioni e dei codici che sottendono i
sistemi simbolici non linguistici e non assumono il linguaggio come paradigma del significato. Egli dice
che finora le immagini sono state lette, erroneamente, come fossero testi. Ciò è un errore perché, a
differenza del testo, l’immagine non può essere letta in maniera predicativa. Essa ha una struttura e
una sintassi che non centrano nulla con la lettura verbale. La scrittura, nonostante abbia una
componente ottica, rimane un medium verbale.
x Jacques Derrida, La grammatologia (1967): decentramento del modello fonocentrico del linguaggio,
spostamento dell’attenzione sulle tracce visibili e materiali della scrittura

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x Scuola di Francoforte: analisi sulla cultura di massa, sui media visuali e sugli aspetti ideologici della
visione
x Michel Foucault: storia e teoria del potere/conoscenza che rivela il divario tra il discorsivo e il visibile
come frattura cruciale nei «regimi scopici» della modernità
Il rapporto tra linguaggio e pittura è un rapporto infinito. Non che la parola sia imperfetta e,
di fronte al visibile, in una carenza che si sforzerebbe invano di colmare. Essi sono irriducibili
l’uno all’altra: vanamente si cercherà di dire ciò che si vede; ciò che si vede non sta mai in ciò
che si dice; altrettanto vanamente si cercherà di far vedere, a mezzo di immagini, metafore,
paragoni, ciò che si sta dicendo: il luogo in cui queste figure splendono non è quello dispiegato
dagli occhi, ma è quello definito dalle successioni della sintassi. Les Mots et les Choses, 1966
x Regime scopico: nuovo oggetto di studio della cultura visuale, quale risulta dallo studio, ad un tempo,
di immagini, sguardi e dispositivi della visione.
x In Linguistic turn (1967) Richard Rorty aveva inteso ricondurre ogni questione gnoseologica a un
problema di linguaggio risolvibile con gli strumenti di una linguistica e di una semiotica su di essa
fondata. Tutti i problemi della realtà, per Rorty, possono essere risolti attraverso l’indagine
linguistica.
Le immagini non sono parole, non si comportano come parole, non sono strutturate (né
semanticamente, né sintatticamente) come il linguaggio.
Parola e immagine sono due modalità diverse di dare forma al reale: se io pronuncio la parola
«verde», io opero una sintesi di una infinita molteplicità di impressioni cromatiche nelle loro
innumerevoli sfumature. Al contempo depotenzio la mia esperienza, perché nella parola «verde»
trascuro ciò che per così dire fa di questo verde questo verde. L’artista visivo, al contrario, è
interessato a portare a chiara conoscenza proprio ciò che fa di questo verde questo verde.
CULTURA VISUALE

Con cultura visuale si intende un campo di studi transdisciplinare che nasce come reazione ad una serie di
trasformazioni che si sono verificate a partire dall’inizio degli anni Novanta nell’ambito dell’iconosfera = la
sfera costituita dall’insieme delle immagini che circolano in un determinato contesto culturale, dalle
tecnologie con cui esse vengono prodotte, elaborate, trasmesse e archiviate e dagli usi sociali di cui queste
stesse immagini sono oggetto. Il nuovo oggetto di studio della cultura visuale è il regime scopico (vedi su)

LA SVOLTA VISUALE

La svolta visuale proseguì negli anni ’80 e ’90 in tre diversi contesti culturali
- Stati Uniti
- Francia
- Germania NEGLI STATI UNITI
William J. T. Mitchell:

- Iconology. Image, text, ideology (1986)


- Picture theory (1994)
- What do Pictures Want (2004)

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Mitchell fu fondatore del cosiddetto Pictorial turn, come reazione al Linguistic turn. Egli dice che l’immagine
è in realtà composta da due elementi diversi
- Image: l’idea di immagine, un’immagine immateriale, non incarnata
- Picture: immagine che esiste concretamente su supporti, media e dispositivi
Con supporto intendiamo i materiali di varia natura che rendono possibile la visualizzazione di un’immagine
concreta (dalla parete di roccia, al muro della chiesa, dalla pala d’altare alla tela, dalle tessere di un mosaico
al marmo, alla creta, al bronzo ecc.) Un supporto particolarmente importante è lo schermo
Con medium intendiamo un insieme costituito dai supporti materiali e dalle tecniche che possono essere
esercitate su tali supporti. Nel corso del XX secolo il medium è stato interpretato con le categorie di normativo
o prescrittivo. Con intermedialità intendiamo la fusione sinestetica di media diversi. Con transmedialità
intendiamo i processi di trasposizione o migrazione da un medium ad un altro.
Con dispositivo intendiamo tutto ciò che concorre a disporre nello spazio l’immagine e a organizzare il suo
rapporto con lo spettatore, configurandone lo spazio. Ad es: la cornice, la sala cinematografica, il panopticon.
Il dispositivo è allo stesso tempo materiale, spaziale e mentale. Chiamiamo dispositivo della visione tutto ciò
che concorre ad organizzare il punto di vista dell’osservatore.

Mitchell afferma che ogni medium (letteratura, radio, tv, pittura e scultura) è un misto, non esistono medium
perfettamente puri. È una grande illusione distinguere media della visione da media dell’ascolto e così via,
perché tutti, in ogni caso, evocano delle immagini. Altro esempio della commistione tra immagine e scrittura
è dato dal fatto che ogni opera ha un titolo, comprese quelle senza titolo le quali si chiamano, appunto, senza
titolo. Nel caso delle avanguardie, è addirittura il titolo a dare valore e significato all’intera opera.

Mitchell dunque propone un punto di vista differente riguardo il rapporto testoimmagine (Image/Text):
Imagetext (utopia della fusione) o image-text (relazione dialettica).
Secondo Mitchell immagine e testo stanno sempre in uno struggle for territory, un combattimento per
conquistare l’egemonia. Questo li spinge a rapportarsi o tramite opposizione oppure fusione (- vs /). Tutti i
testi implicano rapporto dialettico con le immagini e viceversa. Primo perché tutti i testi scritti sono immagini,
secondo perché tutte le immagini hanno titoli.
In realtà la subordinazione delle immagini ai testi è dimostrata in diversi casi: una pubblicità senza slogan è
difficile da pensare, così come un’opera senza titolo (anche il “senza titolo” è un titolo).
Importante nello studio di questo rapporto è testo Cosa vogliono le immagini, il cui titolo riprende quelli di
Cosa vogliono le donne (Freud) e Cosa vogliono gli uomini di colore. Con questo espediente Mitchell paragona
la condizione dell’immagine, che rappresenta il femminile, a quella dei gruppi minoritari della storia,
sottolineandone la subalternità rispetto al testo, che rappresenta il maschile dominante. Il rapporto
image/text è dunque sempre una relazione tra un soggetto subalterno ed uno dominante. Noi, in quanto
soggetti egemoni, attribuiamo all’immagine un potere che in realtà essa non ha, così come facciamo nel caso
di donne, omosessuali, immigrati ecc.
I bisogni delle immagini sono espressione non di oggetti inerti sempre disponibili al nostro sguardo, ma di
soggetti animati, dotati di personalità. La sfera del desiderio, tradizionalmente intesa come appannaggio o
dei produttori delle immagini o dei loro fruitori, viene così riassegnata alle immagini stesse.

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Questa personificazione restituisce secondo Mitchell un «sintomo incurabile» dell’uomo: l’inclinazione
antropomorfica nei confronti degli oggetti animati rappresenta una strutturale disposizione dell’umano. Una
convinzione su cui si fonda il rinnovato interesse per idolatria, animismi e totemismo.
L’essere umano ha la tendenza ad essere dominati dagli oggetti e dalle immagini, perché attribuiamo agli
oggetti un valore, ovvero un potere che in realtà non hanno. Siamo convinti che una pubblicità ci spinga a
scegliere un prodotto invece di un altro, o che ci convinca ad andare in guerra, come nel caso dell’immagine
di Uncle Sam che ci dice “I Want You”. Così come attribuiamo potere a tutte le categorie subalterne della
società occidentale.
Secondo Mitchell, nella cultura occidentale si assiste, da Platone in poi, alla prevaricazione del verbale
(maschile) sul visuale (femminile). Come il colonizzato, il proletario, le donne, l’immagine è ciò che non ha
parola, il non-risolto e il nonassimilato: sono gli altri che dicono al suo posto. È il verbale che gli dà significato,
ma l’immagine vorrebbe altro [confronto fra tre immagini manifesto]. Se interpretiamo la volontà
dell’immagine e non il significato che gli viene attribuito, essa dice molto meno di quanto pensiamo possa
voler dire.
La volontà dell’immagine è qualcosa che non è ancorabile ad un significato certo. Il significato dell’immagine
è ancorato ad un testo.

“Invece della rigida opposizione di Lessing tra letteratura e arti visive come espressione pura di
temporalità e spazialità, noi dobbiamo guardare alla letteratura e al linguaggio come al terreno di
incontro di queste due modalità, l’arena in cui ritmo, forma e articolazione convergono balbettando
canto e discorso e schizzando scrittura e disegno” Mitchell, Picture Theory
La letteratura e le arti visive non sono campi segnici opposti ma sono i luoghi in cui si mette in scena la
battaglia tra visuale e verbale. In particolare è l’ékphrasis il terreno su cui si gioca tale battaglia.
Non vi è alcuna differenza essenziale tra testi e immagini e dunque nessun divario da colmare tra
questi due media in virtù di speciali strategie ecfrastiche […] La narrazione, l’argomentazione, la
descrizione, l’esposizione e gli altri cosiddetti atti linguistici non sono specifici di alcun medium, non
sono propri di nessun medium
La via di uscita dall’impossibile dialettica tra parola e immagine è, secondo Mitchell, il riconoscimento di una
totale equivalenza a livello comunicativo e sociale delle due semiotiche.

La linea interpretativa di Mitchell dà il via ad una corrente di studi chiamata VISUAL STUDIES, il cui oggetto di
studio è il regime scopico. Ma come si inserisce la letteratura in questo nuovo ambito di studi? Con Mitchell
l’ekphrasis diventa elemento fondamentale, insieme allo studio dei regimi scopici all’interno del testo. La
letteratura è un bacino immenso di storicità del vedere, perché i personaggi guardano e vedono. Diventa
dunque oggetto determinante per studiare lo sguardo nella storia in assenza di immagini.

Il termine “regime scopico” fu usato per la prima volta da Michel Foucault, il quale nel 1966 cercava di
distinguere i medium verbali da quelli visivi. Foucault mette in relazione l’idea di visione a quella di possibilità,
che sempre risponde alle logiche di potere.
Il termine regime scopico fu introdotto dallo studioso di cinema Christian Metz per caratterizzare il
«voyeurismo allo stato puro» del cinema in quanto sguardo desiderante che pone l’oggetto del desiderio
come costitutivamente inaccessibile

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Sarà Martin Jay che negli anni Ottanta riprenderà il termine come strumento categoriale volto a de-
naturalizzare la visione, in modo da mostrare lo statuto sempre culturalizzato e storicizzato della visione. Fu
Jay che diede al termine l’accezione che intendiamo oggi = l’unione tra immagini, sguardi e dispositivi della
visione.
Egli dice che nella storia della cultura occidentale esistono fasi dei regimi scopici legati alle filosofie dominanti
del periodo. Esiste ad esempio un rapporto stretto tra idea di prospettiva e Neoplatonismo (Rinascimento).
Immagine nel senso che abbiamo descritto prima con Mitchell, rapporto tra image e picture. Dice che lo
sguardo è culturalmente e storicamente determinato (già Strauss aveva dimostrato questo, ad esempio nella
visione del colore verde)
Cosa intendiamo normalmente con cultura? È un termine che va sezionato. E dobbiamo utilizzare la
definizione usata dai cultural studies. Con cultura possiamo intendere il rapporto complesso che si crea tra
le istituzioni, che regolamentano e organizzano il funzionamento e la circolazione di oggetti culturali, e le
rappresentazioni, la modalità in cui l’uomo rappresenta le cose e se stesso, in particolare le rappresentazioni
dei corpi.

IN GERMANIA

Contemporaneamente alla svolta angloamericana, anche in Germania si ha un cultural turn grazie agli apporti
di Gottfried Boehm e Horst Bredekamp. Essi sono studiosi che vengono dagli studi sull’arte, dunque hanno
background diverso da Mitchell (comparatista)
E di fatto chiamano la svolta visuale ICONIC TURN = studiano il ruolo epistemologico delle immagini, cercando
di comprenderne la logica. Esprimono inoltre la necessità di studiare la dimensione mediale dell’immagine.
Differenza principale è che questi studiosi sono più attenti all’unicità, specificità dell’immagine. L’atto iconico
è il fatto che l’immagine contiene una propria volontà non solo in rapporto alla sua produzione, ovvero non
solo in rapporto a ciò che l’autore vuol far dire a quell’immagine, ma anche dal lato della ricezione, cioè
interroga il soggetto cercando di imporgli una certa volontà. Questo avviene solo con immagine e non con
altri oggetti.

IN FRANCIA

La svolta visuale in area francofona avviene grazie a diversi apporti: Michel Foucault, Roland Barthes, Jean
Baudrillard, Gilles Deleuze, Jacques Rancière, Georges DidiHuberman

Riflessione su iperrealtà, simulacri, simulazione e studio della temporalità delle immagini e sul rapporto tra
visibilità e storia
PRESUPPOSTI TEORICI
x Studio di ogni tipo di immagine
x Evidenziazione della dimensione culturale della visione: la visione è sempre tecnicamente, socialmente
e storicamente situata (storicità, studio dei dispositivi, costruzione visiva del sociale e costruzione
sociale del visivo)
x Studio dei rapporti tra testo e immagine secondo una nuova prospettiva (W.J.T.
Mitchell, Michele Cometa)

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x Gli studi di cultura visuale non sono definiti dalla scelta dei propri oggetti di studio ma dall’attenzione
rivolta alle pratiche del vedere
x SHOWING SEEING: esporre e analizzare l’atto stesso del vedere nelle sue diverse declinazioni estetiche
ed epistemiche, culturali e sociali

LA TRADUZIONE
Come tutte le branche anche questa nasce da una definizione nota ma difficile da dare in maniera precisa.
«Le traduzioni hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle letterature nazionali,
creando nuovi modelli, influenzando generi e producendo mutamenti nella cultura dei paesi» Bertazzoli, La
traduzione teorie e metodi
Tradurre è un’operazione di interscambio, dove vengono messi in gioco lingue, sistemi simbolici, immaginari
diversi. Uno scambio con l’altro come ricchezza espressiva e comunicativa tra lingue e sistemi culturali diversi,
che fa della mediazione il paradigma della propria conoscenza
Tradurre è anche accettare e mostrare la differenza attraverso un’operazione di rilievo conoscitivo: la
letteratura e la cultura in genere sono forme fluide, sottoposte a continua trasformazione

Definizione ufficiale dell’European Translation Platform (1998): «LA TRASPOSIZIONE DI UN MESSAGGIO


SCRITTO IN UNA LINGUA DI PARTENZA IN UN MESSAGGIO SCRITTO NELLA LINGUA D’ARRIVO»

Sono i tentativi dell’UE di dare una definizione all’idea di traduzione, ma perché? Esistevano problemi
concreti, perché l’UE ha necessità di tradurre spesso messaggi, pratiche politiche ecc. Definizione in realtà
insignificante e insufficiente perché la traduzione è molto più di un semplice passaggio linguistico, e mette in
ballo concetti profondi di cultura.

La traduzione è quindi quel processo che trasforma un testo, detto PROTOTESTO in un altro testo, detto
METATESTO, generalmente
- mediante l’uso di una lingua diversa da quella in cui il testo originale è stato scritto
- per interagire in una cultura diversa da quella in cui è stato prodotto. C’è quindi una traslazione sia
linguistica che culturale.
Di traduzione, però, si parla anche per un testo che venga riscritto nello stesso codice linguistico del testo di
partenza. Succede spesso.

BREVE STORIA DELLA TRADUZIONE

La traduzione è sempre esistita nella storia umana. Infatti la figura dell’interprete (che traduceva oralmente)
e del traduttore (che agiva sulla lingua scritta) è presente sin nelle civiltà arcaiche.
Nell’antica Grecia il ruolo del traduttore non era tenuto in gran conto poiché il rapporto dei greci con le altre
culture era puramente strumentale: si imparavano le lingue soltanto per fini commerciali o pratici, non con
funzioni estetiche e letterarie. Dal punto di vista culturale i greci si disinteressavano dei popoli che non
parlavano greco (barbari).

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L’Impero Romano ebbe invece ben differente atteggiamento: l’opera di conquista e di colonizzazione di Roma
favoriva la conoscenza della lingua e della cultura dei popoli sottomessi politicamente.
I romani si considerarono gli ideali eredi dei greci, per cui il mondo romano assunse forme letterarie e
linguistiche già codificate:
• contaminatio: riproposizione in latino di opere greche attraverso rimaneggiamenti
• imitatio e aemulatio: traduzioni creative di opere greche in latino
→ In questo contesto la traduzione assume importanza fondamentale
La letteratura greca rappresenta un bacino complessivo per la letteratura da cui i romani devono pescare e
le traduzioni non sono mai vere e proprie traduzioni, piuttosto sono adattamenti, trasposizioni culturali
spesso molto libere in cui non si dichiara il prototesto, perché tutti lo conoscono tra i letterati. Siamo di fronte
ad un’idea di letteratura diversa da come l’abbiamo oggi, non esisteva il diritto d’autore (solo dopo il 1800).
I primi autori latini – da Ennio a Nevio, da Plauto a Terenzio – si formarono effettivamente in centri di cultura
greca, ovvero in un contesto bilingue, greco-romano. Non a caso si parla di innesto della cultura romana su
quella greca. Nella cultura romana si crea presto la necessità di definire l’attività del traduttore, e in effetti il
primo teorico della traduzione nasce in contesto romano: si tratta di Cicerone.

CICERONE - DE OPTIMO GENERE ORATORUM (46 A.C.)

Cicerone è forse il primo intellettuale a trattare la traduzione da un punto di vista teorico: «ho tradotto da
oratore (=da letterato), non già da interprete (=traduttore) di un testo, con le espressioni stesse del pensiero,
con gli stessi modi di rendere questo, con un lessico appropriato all’indole della nostra lingua. In essi non ho
creduto di rendere parola con parola, ma ho mantenuto ogni carattere e ogni efficacia delle parole stesse».
Fa quindi una sorta di interpretazione del testo, convinto che non si possa cerare una traduzione traducendo
puramente parola per parola
Cicerone distingue quindi la traduzione dell’INTERPRES, che oggi chiameremmo traduzione letterale, eseguita
parola per parola, dalla traduzione dell’ORATOR, dell’oratore/scrittore, che invece è fedele al senso e non
alla lettera e che potremmo chiamare traduzione d’autore.

ATTENZIONE ALLA TERMINOLOGIA

Cicerone utilizza i termini interpres, che comunemente indicava l’interprete nel senso di traduttore della
lingua orale, e il verbo converto (composto di verto: appunto giro, muto, trasformo). In età imperiale
converto sarà affiancato da termini come muto o il più usato transfero (Quintiliano). Il verbo tradurre – che
oggi utilizziamo in tutte le lingue romanze – deriva invece dall’Umanesimo ed in particolare dalla grande
fortuna del trattato DE INTERPRETATIONE RECTA (1420 ca.) di Leonardo Bruni, nel quale l’autore utilizza
trans+duco: «portare al di là», propriamente per indicare la traduzione dal greco al latino, nel senso di
«portare da una lingua ad un’altra».

SAN GEROLAMO E LA TRADUZIONE DELLA BIBBIA

Altro ambito dove le teorie della traduzione hanno avuto ruolo enorme è quello dei testi sacri.
Importantissimo traduttore e teorico della traduzione è San Gerolamo (347420), il quale non soltanto
revisiona le antiche versioni latine del Vecchio e del Nuovo Testamento sulla versione greca dei Settanta, ma
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porta anche a termine, nel 406, la traduzione del Vecchio Testamento dall’ebraico al latino: la cosiddetta
Vulgata.
È molto interessante l’approccio metodologico di Gerolamo: «io per me non solo confesso, ma dichiaro a
gran voce che nelle mie traduzioni dal greco al latino, eccezion fatta per le Sacre Scritture, dove anche l’ordine
delle parole racchiude un mistero, non miro a rendere parola per parola, ma a riprodurre integralmente il
senso dell’originale».
Dice insomma di adottare due metodi diversi a seconda del materiale da tradurre: quando traduce dal greco
opere non sacre usa la metodologia ciceroniana, ovvero non traduce parola per parola perché vuole rendere
il significato complessivo del prototesto. Questo però non si può fare nelle sacre scritture perché anche
l’ordine delle parole contiene un mistero di fede. La parola di Dio deve rimanere tale.

MODELLI DEL TRADURRE NEL MEDIOEVO

Cicerone e Gerolamo costituiranno i due principali modelli della traduzione medioevale.


Ciò delinea quella distinzione tra traduzione letteraria come operazione artistica e traduzione sacra come
riproduzione fedele dell’originale.
Questa distinzione tra «bella e infedele» e «brutta e fedele» (linguaggio sessista) si ritrova nel dibattito sulla
traduzione fino alla modernità e alla nascita dei cosiddetti translation studies e della traduttologia, che
superano tale polarizzazione

L’UMANESIMO E IL DE INTERPRETATIONE RECTA

Con la riscoperta dei classici greci, la traduzione gode di un rinnovato interesse (si pensi a umanisti-traduttori
come Coluccio Salutati, Lorenzo Valla, Guarino Guarini, Marsilio Ficino). Si configura in questo periodo l’idea
di una traduzione che deve assimilarsi all’originale, attenendosi allo stile del suo autore, ma
contemporaneamente si inizia una profonda attività di volgarizzamento dei classici.
In tale contesto Leonardo Bruni scrive il primo trattato moderno sul tradurre, appunto il De interpretatione
recta. È il primo trattato di natura prescrittiva, mentre prima si trattava solo di descrivere il proprio modo di
tradurre. Bruni invece fa operazione diversa, spiega come si deve tradurre. In particolare Bruni indica la
necessità della perfetta conoscenza sia della lingua di partenza che di quella di arrivo, oltre che della
assimilazione del metatesto al prototesto.
L’umanesimo in questo si pone in contrasto con quello che succederà nella seconda metà del Novecento.

IMPLICAZIONI POLITICHE DELLA TRADUZIONE: LA BIBBIA

Nel 1384 John Wycliffe traduce in inglese la Bibbia, e ne assume il testo come unico fondamento di fede,
condannando la ricchezza e la corruzione del clero.
Dopo di lui John Purvey, William Tyndale, John Roger curano altre edizioni dei testi sacri con l’obiettivo di
rendere comprensibile a tutti la parola di Dio.
Si arriverà così al primo esempio di inglese moderno con la celebre Bibbia di re Giacomo (1611).
Tra il 1521 e il 1534 Lutero compie la prima traduzione completa della Bibbia in tedesco: la traduzione, negli
obiettivi di Lutero, sarebbe dovuta risultare il più vicino possibile alla lingua parlata.
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I libri di storia ci insegnano la vicenda di Lutero in maniera molto parziale e spesso sbaglia. Bisogna sapere
che in realtà Lutero non condanna la Chiesa, si limita a dire che essa fonda la confessione su un passaggio
tradotto liberamente: quando Gesù dice di fare penitenza, non vuol dire tanto andare a confessarsi quanto
“mettersi sempre in crisi”. Ma se Gesù non ha mai istituito il sacramento della confessione allora la Chiesa
non può rimettere i peccati, per questo la vendita delle indulgenze è immorale, perché non legata a nessun
sacramento.
Questo è molto di più che un attacco alla morale della chiesa, è teologico il punto toccato da Lutero. I libri di
storia ci dicono che nel 1517 appose le tesi e nel 1521 fu scomunicato. Ma perché passano quattro anni? E
perché Lutero affigge quelle cose? La sua è un’operazione di routine che i teologi compivano spesso, ma
Lutero per primo tocca un punto mai canonizzato dalla storia della chiesa. Il concilio di Nicea non tocca questo
punto, dà per scontato che fare penitenza voglia dire confessarsi. I dottori della chiesa capiscono che è vero
che quel punto non è mai stato canonizzato dunque non si può scomunicare Lutero per eresia, perché egli
semplicemente propone una sua versione. Egli viene scomunicato per scandalo, perché ha tirato su un
polverone.
Ciò che ci interessa in questa storia è proprio la traduzione della Bibbia nelle lingue moderne. La Chiesa non
ha nemmeno il diritto di nominare persone che interpretino le sacre scritture. Le autorità ecclesiastiche
dunque vengono minacciate dalla riforma protestante, perché secondo essa il popolo dovrebbe poter leggere
le sacre scritture con i propri occhi. Ma siccome quasi nessuno sapeva il latino, Lutero decide di tradurre la
Bibbia in tedesco (primo esempio di tedesco moderno).

LA SVOLTA ROMANTICA

L’epoca romantica si apre sulla base del concetto di intraducibilità dell’opera letteraria
La grande spinta innovativa del dibattito dei romantici tedeschi sulla traduzione parte dalla tesi idealistica
(poi ripresa da Croce) dell’impossibilità della traduzione delle opere letterarie: a lingue diverse corrispondono
infatti diverse percezioni della realtà non completamente trasmissibili attraverso l’espressione linguistica.
(Croce dirà successivamente che la traduzione si può fare, ma facendola si perde la poesia). È vero, nella
traduzione ad esempio si perdono gli aspetti fonosimbolici. (esperimento di Montale, fece tradurre una sua
poesia in giro per il mondo è la trovò completamente differente)
Questa prospettiva ha diversi limiti: infatti se l’arte non potesse essere tradotta, noi non potremmo leggere
altre letterature nella nostra lingua (per i comparatisti sarebbe la fine). Gli scrittori russi ad esempio non
avrebbero il successo mondiale che hanno avuto. Questa concezione ignora inoltre l’apporto culturale della
traduzione.
Inoltre, proprio perché l’opera è intraducibile, la traduzione è funzionale ad un arricchimento della lingua e
della cultura in cui si traduce, ed è capace di dare nuova energia alle opere originali. Tale prospettiva si
inserisce in ciò che Goethe ha chiamato Weltliteratur – Letteratura universale
«il traduttore non lavora solo per la sua nazione, ma anche per quelle della lingua da cui ha tradotto
l’opera. Infatti, più spesso di quanto non si creda, si dà il caso che una nazione assorba la linfa e la forza
di un’opera, ne assuma tutta la vita interiore, al punto di non poter più gioire di quest’opera né trarne
ulteriormente alimento. Ciò riguarda prima di tutto i Tedeschi, che elaborano troppo in fretta quel che
viene loro offerto e, nella misura in cui lo trasformano con ogni genere di limitazione, in un certo modo
lo annientano. Per questo è salutare che la loro opera originale appaia loro come nuovamente rivivificata
tramite una buona traduzione» Goethe

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Dice che il potenziale un’opera letteraria in un certo contesto tende ad esaurirsi in un certo momento, ma
grazie ad una buona traduzione in altre lingue quell’opera può rivitalizzarsi anche nel contesto di partenza,
non solo in quello d’arrivo.
Esemplare il caso di Paulo Coelho, le cui opere furono tradotte, soprattutto in Italia, da traduttori molto più
bravi dell’autore stesso e dunque circolarono in versioni assai migliori che rivitalizzarono la figura dell’autore.

DIBATTITO NOVECENTESCO

• Idealismo crociano, ovvero intraducibilità dell’opera letteraria o meglio traducibilità a discapito del
lato poetico.
• Formalismo russo e strutturalismo: la traduzione come atto linguistico
• Jakobson: «equivalenza nella differenza»

• Anni Settanta e Ottanta: superamento della prospettiva scientificoprescrittiva degli studi di


traduttologia.
• Berman: la traduttologia è la riflessione della traduzione su se stessa a partire dalla sua natura di
esperienza
Roman Jacobson è stato il più importante teorico della traduzione di ambito strutturalista e ha cambiato
molto la nostra percezione. Jacobson allarga il concetto di traduzione: non più semplicemente passaggio da
proto a metatesto, ma un modo di interpretare il segno linguistico.
Nel 1959 ha proposto di distinguere tre modi di interpretazione del segno linguistico secondo che lo si traduca
in altri segni della stessa lingua, in un’altra lingua o in un sistema di simboli non linguistici:
• TRADUZIONE ENDOLINGUISTICA O RIFORMULAZIONE = parafrasare tale opera, ad esempio quando
leggiamo poesia. Oppure quando Baricco riscrive il Decameron, o quando Calvino ci racconta
l’Orlando Furioso.
• TRADUZIONE INTERLINGUISTICA O PROPRIAMENTE DETTA

• TRADUZIONE INTERSEMIOTICA O TRASMUTAZIONE (ADATTAMENTO) = ad esempio nel caso


dell’adattamento cinematografico, la traduzione di un prototesto verbale in un metatesto filmico
→ ci hanno provato con John Reed per ben due volte da due registi diversi. Ancora più difficile il caso di
Capote: o si decide di rendere il testo, e allora l’autore non c’è, o si segue la sua vita e dunque l’operazione
finzionale che egli fa.
Romanelli diceva che tutte le traduzioni sono intersemiotiche, perché due lingue sono due sistemi semiotici
diversi (posizione estremamente radicale). Per lui l’opera tradotta è un’altra opera legata all’originale solo
mediante un rapporto temporale, di anteriorità cronologica rispetto alla copia tradotta.

TRADUZIONE / ALTRE FORME DI SCRITTURA

• VERSIONE

• IMITAZIONE

• RISCRITTURA
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• ADATTAMENTO

• TRASPOSIZIONE

LA DOMINANTE

Si deve ancora alla scuola strutturalista di Jacobson e al formalismo russo l’introduzione del concetto
fondamentale di dominante: accantonata la pretesa di una equivalenza assoluta tra testi, Jacobson propone
di scegliere, tra i molti, quell’elemento che è considerato più importante, rispetto al testo da tradurre, cioè
quell’aspetto peculiare intorno al quale si costruisce l’identificazione dell’intero testo. È la dominante che
determina se l’originale è interpretato e tradotto adeguatamente. Nel testo letterario la dominante si
distingue per avere una funzione estetica.
Per tutto lo strutturalismo e per Jacobson tradurre è trovare l’equivalenza nella differenza, ma presto si rende
conto che ciò non è possibile su tutti i piani della poesia contemporaneamente. Nella traduzione di una poesia
cosa bisogna rendere, l’aspetto ritmico o la trama? Non possiamo renderle entrambe (secondo Jacobson e
secondo il buonsenso). Si deve scegliere cosa è più importante da rendere in questa trasformazione.
Importante è che si tenga a mente che la dominante dev’essere qualcosa che ha a che fare con un messaggio
estetico, ossia che mantenga gli aspetti dominanti dell’opera d’arte che non sono per Jacobson quelli della
mera informazione ma sono soprattutto legati alla dimensione del bello.

UMBERTO ECO: “DIRE QUASI LA STESSA COSA”

Per chiarire questa posizione leggiamo la prima pagine dell’introduzione che Eco fa del suo libro sulla teoria
della traduzione “Dire quasi la stessa cosa” (dal titolo capiamo che si accosta all’idea di Jacobson dandone
un’interpretazione un po’ più moderna)
Che cosa vuole dire tradurre? La prima e consolante risposta vorrebbe essere: dire la stessa cosa in
un’altra lingua. Se non fosse che, in primo luogo, noi abbiamo molti problemi a stabilire che cosa
significhi «dire la stessa cosa»: e non lo sappiamo bene per tutte quelle operazioni che chiamiamo
parafrasi, definizione, spiegazione, riformulazione, per non parlare delle pretese sostituzioni
sinonimiche. In secondo luogo perché, davanti a un testo da tradurre, non sappiamo quale sia la cosa.
Infine, in certi casi, è persino dubbio che cosa voglia dire dire . […]
Supponiamo che in un romanzo inglese un personaggio dica it’s raining cats and dogs. Sciocco
sarebbe quel traduttore che, pensando di dire la stessa cosa, traducesse letteralmente piove cani e
gatti. Si tradurrà piove a catinelle o piove come Dio la manda.
Ma se il romanzo fosse di fantascienza, scritto da un adepto di scienze dette «fortiane», e raccontasse
che davvero piovono cani e gatti? Si tradurrebbe letteralmente, d’accordo.
Ma se il personaggio stesse andando dal dottor Freud per raccontargli che soffre di una curiosa
ossessione verso cani e gatti, da cui si sente minacciato persino quando piove? Si tradurrebbe ancora
letteralmente, ma si sarebbe perduta la sfumatura che quell’Uomo dei Gatti è ossessionato anche
dalle frasi idiomatiche.
(…)
Ed ecco che a questo punto ciò che fa problema non è più tanto l’idea della stessa cosa, né quella
della stessa cosa, bensì l’idea di quel quasi. Quanto deve essere elastico quel quasi?

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Dipende dal punto di vista: la Terra è quasi come Marte, in quanto entrambi ruotano intorno al sole
e hanno forma sferica, ma può essere quasi come un qualsiasi altro pianeta ruotante in un altro
sistema solare, ed è quasi come il sole, poiché entrambi sono corpi celesti, è quasi come la sfera di
cristallo di un indovino, o quasi come un pallone, o quasi come un’arancia. Stabilire la flessibilità,
l’estensione del quasi dipende da alcuni criteri che vanno negoziati preliminarmente. Dire quasi la
stessa cosa è un procedimento che si pone, come vedremo, all’insegna della negoziazione. […]
Il senso che si vuole trasmettere è qualcosa che non ha struttura rigida e ferrea, sempre uguale a se stessa:
la stessa opera nel tempo può prevedere dominanti diverse. Pensiamo alle varie traduzioni di Baudelaire, c’è
chi addirittura le traduce in prosa. Per Eco dobbiamo quindi negoziare la dominante.

Qual è il limite delle posizioni di Jakobson ed Eco? È un limite difficile da individuare. Per Jakobson soprattutto
la traduzione è una questione linguistica, cioè questa negoziazione si deve cercare da un pto di vista
linguistico. Questa posizione, che sembra di buon senso, in realtà è assai ottimistica in quanto prevede la
possibilità di dire quasi la stessa cosa sempre, ma non tiene conto di sfumature che la lingua rappresenta ma
che sono culturali e talvolta inconciliabili. Ci sono dunque alcuni aspetti della cultura che si perdono. Il fatto
che il termine “luna” sia maschile in tedesco ha un significato culturale, ma non si traduce. Per alcune parole
dobbiamo usare perifrasi lunghe ma non ci avviciniamo al significato culturale che queste parole hanno nel
contesto di partenza. È il modo dominante nella cultura moderna: molti traduttori traducono per soldi e
cercano di dire quasi la stessa cosa, ma altri preferiscono altre strade e considerano traduzione una forma
espressiva, non solo lavoro di manovalanza.

PROSPETTIVE ATTUALI

Colloquio di Lovanio, 1976: nascono ufficialmente i TRANSLATION STUDIES: campo di studi di carattere
analitico-descrittivo il cui obiettivo è quello di descrivere i fenomeni della traduzione come si manifestano
nella prassi (Lefevere, Holmes, Lambert)
I translation studies hanno funzione essenzialmente descrittivo del fenomeno traduttorio, non prescrivono
ma prendono atto del lavoro del traduttore. Si basa sullo studio di tutte le traduzioni fatte di un’opera per
vedere come nel tempo e nello spazio in una certa cultura sia stata tradotta un’opera. Dopo aver letto tutte
le traduzioni possiamo leggere l’originale. Solo così siamo liberi di tradurre, non scegliendo bene la
dominante ma conoscendo bene la storia della traduzione di un’opera. Sono state le traduzioni, più che
l’originale, ad aver creato l’idea di quell’opera in una cultura.

A partire dal 1980, i lavori di Bassnett-Mcguire (Translation Studies) e di Theo Hermans (The Manipulation of
Literature) iniziano a considerare la traduzione come un «genere letterario primario» e fondamentale
nell’evoluzione dei sistemi culturali
Alla fine degli anni Ottanta nasce la Manipulation School, che pone l’accento sulle implicazioni ideologiche
della traduzione, definendo il processo traduttivo non più come linguistic transcoding ma come cultural
transfer

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11/10
Leggiamo la posizione di Walter Benjamin in un intervento molto discusso chiamato Il compito del traduttore,
in cui ci offre la sua versione di cos’è una traduzione. Nonostante il testo sia degli anni Trenta contiene una
modernità veramente fuori dal tempo per l’epoca.
“Mai, di fronte ad un opera d’arte o forma artistica, si rivela fecondo per la sua conoscenza il riguardo a chi
la riceve” = idea opposta a quella della Scuola di Costanza per cui la ricezione è importantissima
“Anche il concetto di ricettore ideale è nocivo in tutte le indagini estetiche, perché queste sono
semplicemente tenute a presupporre l’esistenza e la natura dell’uomo in generale” = sono nocive perché per
avere idea di ricettore ideale dobbiamo presupporre che esista un’idea complessiva di uomo, ma non è detto
che questa idea esista o sia coerente
“anche l’arte si limita a presupporre la natura fisica dell’uomo, ma (...) nessuna poesia è rivolta al lettore,
nessun quadro allo spettatore e nessuna melodia all’ascoltatore” = forse noi siamo abituati ad un’idea
immediata e pratica del successo personale, viviamo in una società in cui il narcisismo è talmente idealizzato
che lo vediamo come fosse naturale. L’idea che il valore di qualsiasi espressione artistica sia determinato dal
successo è ormai interiorizzata ma era assolutamente incomprensibile per le società precedenti.
“l’opera d’arte comunica assai poco a chi la comprende, l’essenziale in essa non è la comunicazione, la
testimonianza” ma comunicazione e testimonianza sono i mezzi con i quali l’arte si manifesta e diffonde.
Secondo Benjamin la traduzione è una forma e in quanto tale presuppone un qualche grado di traducibilità
dell’opera = da un lato traducibilità significa che tra tutti i lettori, è l’opera che deve trovare il traduttore più
affine; dall’altro lato si intende la possibilità di essere tradotta (essenza dell’opera). Quando l’opera troverà
il traduttore ideale sarà tradotta e traducibile.
“non significa che la loro traduzione sia essenziale per le opere stesse, ma vuol dire che un determinato
significato, inerente alle originali, si manifesta solo nella loro traducibilità” = esistono alcuni significati
dell’originale che emergono solo quando l’opera è tradotta. È una posizione assai originale per l’epoca.
“se nelle traduzioni deve inverarsi l’affinità delle lingue …” qui Benjamin ci spiazza, perché siamo abituati a
ragionare con un’idea dell’originale altissima, per cui a traduzione deve solo assomigliare all’originale per
essere fatta bene. Quando dice la cosa sui significati vuole dire che le traduzioni non si devono sovrapporre
all’originale, stare al suo posto. Possono però mettersi accanto all’originale, e in tal modo contribuiranno a
determinare il significato dell’originale, che non si conclude in sé.
Questa secondo B è una caratteristica delle lingue, perché tutte le lingue derivano da prima della lingua,
quando questa non aveva semantica e tutti si intendevano senza problemi. È una condizione edenica e ideale
che non ha valore storico, ma se ci pensiamo l’abbiamo vissuta nei nove mesi di gestazione, quando i nostri
bisogni venivano soddisfatti senza che li esternassimo. Se l’uomo nascesse già parlante il nostro mondo
sarebbe diverso.
Così come l’uomo, anche le lingue funzionano allo stesso modo: la lingua pre-babelica è una lingua perfetta
in cui non vi è bisogno di esprimere bisogni e mancanze poiché tutto è già esaudito. È la separazione delle
lingue che crea bisogni e mancanze. La traduzione è allora un tentativo di ricostruire la condizione di
completezza della lingua prebabelica.
“Non sarebbe possibile pensare alla traduzione se la traduzione mirasse ad assomigliare all’originale” = la
sopravvivenza è mutamento e trasformazione, sempre. Per questo anche il testo deve mutare, non tanto
nelle parole, ma nel rapporto con chi legge. L’opera muta perché il nostro modo di intenderla cambia
continuamente, il suo significato non rimane sempre uguale a sé stesso, altrimenti l’opera morirebbe.

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“poiché, come il tono e il significato delle opere poetiche cambiano radicalmente nei secoli, così cambia
anche la lingua materna del traduttore”. = abbiamo un’idea statica della nostra lingua materna, ma se
studiamo vediamo che non è così (se leggiamo Dante ad esempio notiamo che l’italiano è diverso da quello
che parliamo noi).
La traduzione è una forma d’arte che invecchia: noi non leggiamo più le grandi traduzioni dell’Ottocento. La
traduzione è destinata ad essere assorbita dallo sviluppo della lingua.
L’affinità di una lingua e di un’altra si misura nel fatto che ci sono delle cose che in una lingua non possono
essere colte considerando quest’ultima singolarmente; si colgono solo quando mettiamo quella lingua in
parallelo, in comparazione, con le altre. Ogni traduzione è un modo pur sempre provvisorio di far fronte alle
estraneità delle lingue.
Metafora straordinaria: “come la traduzione è una forma propria, così anche il compito del traduttore va
inteso come un compito nettamente distinto da quello del poeta. Esso consiste nel trovare
quell’atteggiamento verso la lingua in cui si traduce che possa ridestare in essa l’eco dell’originale. La
traduzione non si trova come l’opera poetica, per così dire all’interno della foresta del linguaggio, ma
dirimpetto ad essa, vi fa entrare l’originale, e ciò in quel solo punto in cui l’eco della lingua può rispondere
all’eco della lingua straniera”
Sono le opere poetiche che creano quelle innovazioni linguistiche che permettono agli uomini di continuare
a parlare tra loro. Con poeti intendendo coloro che usando la lingua la modificano, se non ci fossero loro la
lingua morirebbe. Ma la traduzione non fa parte di questa modificazione, sta fuori. Dove la traduzione riesce
a rendere l’eco della lingua originale, allora lì permette all’opera di entrare nella foresta e modificare il
linguaggio, permettendo agli uomini di continuare a parlare tra loro.
“come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre, devono susseguirsi nei minimi dettagli ma
non perciò somigliarsi, così la traduzione deve (…) amorosamente e fin nei minimi dettagli ricreare nella
propria lingua il suo modo di intendere, così da fare …” = la traduzione NON deve assomigliare all’originale,
ma come se fossero frammenti dello stesso vaso, originale e traduzione devono essere complementari.
Proprio per questo non possono essere uguali, nessun frammento è uguale all’altro, ma tutte insieme
ricostruiscono il vaso. Cosi traduzione e originale insieme ricostruiscono una lingua pura, che non comunica
niente. Alla traduzione non si deve chiedere alcun tipo di comunicazione perché l’ha già fatto l’opera
originale. Benjamin va quindi contro l’idea di traduzione come copia imperfetta dell’originale e la prospettiva
teorica contemporanea si basa proprio su questo.

Bassnett-Mcguire: raccolta di saggi in cui gli studiosi affermano che la traduzione non è semplice
trasposizione linguistica ma è un atto politico in cui il traduttore riflette la propria ideologia non meno di
quanto l’autore faccia nell’originale. L’idea è che ogni traduzione contenga sempre un valore ideologico
Con il volume Translation, History and Culture, Bassnett-McGuire e Lefevere connettono i translation studies
ai cultural studies: si inizia a considerare il valore ideologico non più solo dell’originale, ma della stessa
traduzione, all’interno di un determinato contesto culturale: «ogni scrittore di una particolare cultura e di
una specifica epoca e le sue opere riflettono fattori quali la razza, il genere, l’età, la classe».
Lo studio della traduzione necessita di una pluralità di voci e di soggetti, così come lo studio della cultura
richiede sempre un esame di codificazione e decodificazione che comprendono la traduzione.
Secondo Lawrence Venuti la traduzione è un atto culturale e politico autonomo: occorre perciò riaffermare,
specie nei contesti culturalmente colonizzati, l’alterità del testo straniero secondo un’etica della traduzione.
Le traduzioni si dividono in due macrocategorie:

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• Le traduzioni basate sulla domesticazione (domesticating) del testo straniero sono etnocentriche,
conservatrici e portatrici della cultura dominante = la mediazione del traduttore tende a rendere
comprensibile il testo alla cultura d’arrivo
• Al contrario le traduzioni che si basano sulla stranierificazione (foreignizing) mantengono la distanza
culturale per permettere l’incontro con l’altro, all’insegna della differenza
Esempio molto banale è una cosa che conosciamo tutti: la traduzione dei Simpson, chiaro esperimento di
traduzione addomesticante. I traduttori trasferiscono le sfumature linguistiche dell’inglese trasferendolo in
un contesto italiano utilizzando i dialetti. Venuti avrebbe fatto diversamente.

Nel 1980 il teorico della traduzione israeliano Gideon Toury ha proposto una distinzione in ambito di
traduzione tra:
• Principio di accettabilità: quando il testo originale deve subire una trasformazione che tende a
omologarlo ai canoni della cultura ricevente. In questo senso il testo prodotto risponde al criterio di
massima leggibilità e il prototesto viene avvicinato al lettore. Il testo accettabile tende a passare per
originale, celando la propria identità di testo tradotto = il testo viene costruito come se fosse
l’originale
• Principio di adeguatezza: il metatesto si adatta al prototesto come elemento della cultura altrui. Il
metatesto, dipendente al massimo grado dal prototesto, denuncia apertamente la propria natura di
testo tradotto e la propria dipendenza dall’originale

I traslation studies si prefiggono di passare da una traduzione source-oriented ad una traduzione target-
oriented
• Le traduzioni source-oriented si prefiggono come obiettivo dominante la traduzione dei testi letterari
con l’accento posto sulla parola traduzioni e non su quella di testo: le esigenze filologiche
dell’originale comprometteranno la realizzazione di un testo vero e proprio, coeso e coerente
• Le traduzioni target-oriented hanno come obiettivo dominante la creazione di metatesti letterari, che
saranno coesi e coerenti, ma inevitabilmente distanti dai rispettivi originali

Le prospettive contemporanee dei translation studies propongono un superamento del Leitmotiv


dell’intraducibilità dei testi letterari. Bisogna superare il concetto di intraducibilità del testo
Finché si intende la traduzione come sistema di equivalenze semantiche e formali (=finché consideriamo la
traduzione come una trasposizione dell’originale in un’altra lingua) è chiaro che l’atto del tradurre sarà
sempre inteso come misreading. Quando però s’intende la traduzione come attività linguistica che presiede
qualsiasi tipo di scambio comunicativo (come sostiene Susan Bassnett-McGuire), allora originale e traduzione
saranno due testi legati da un rapporto di mera anteriorità cronologica e non di superiorità e inferiorità
epistemologiche.
In questo senso è bypassato il problema stesso dell’intraducibilità: come ha scritto Antoine Berman, anzi,
l’intraducibilità è la caratteristica fondamentale del testo letterario, ed è anche il motivo per cui merita
tradurlo.

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ITAMAR EVEN-ZOHAR (anch’egli israeliano)
Concetto di «polisistema»: evoluzione del concetto di semiosfera introdotto da Juri Lotman (formalismo
russo), secondo cui «la cultura è un fascio di sistemi semiotici (lingue) formatisi storicamente […] La
traduzione dei medesimi testi in altri sistemi semiotici, l’assimilazione di testi diversi, lo spostamento dei
confini fra i testi che appartengono alla cultura e quelli che si trovano oltre i suoi limiti costituiscono il
meccanismo d’appropriazione culturale della realtà. Solo ciò che è stato tradotto in un sistema di segni può
diventare patrimonio della realtà».
Quando un sistema traduce in un sistema di segni qualcosa, allora quel qualcosa solo in quel momento
diventa parte della realtà. Capacità tipicamente umana è quella di dare un nome alle cose, traducendole in
un sistema di segni. La realtà è dunque una costruzione ideologica, ci sono oggetti che non sono reali solo
perché non li stiamo nominando. In Zohar questa idea emerge
Il polistema letterario è quindi l’intero universo semiotico nel quale la letteratura tradotta costituisce un
sottoinsieme a sé stante, definito dal fatto che è la cultura ricevente a decidere quali testi debbano entrare
a far parte del proprio sistema mediante traduzione. Ci sono scrittori che per noi non esistono perché non li
abbiamo mai tradotti.
In questo scambio tra contesto periferico e contesto centrale, la necessità di tradurre è maggiormente
presente nel primo (periferico).
Ciò significa che all’interno del sistema della cultura ricevente i metatesti hanno una vita del tutto autonoma
rispetto al prototesto.
I rapporti di influenza reciproca tra singoli sistemi dipendono dalla loro individuale staticità o dinamicità e
dalla loro posizione centrale o periferica: più un sistema culturale è periferico rispetto al «centro», meno è
autosufficiente, e più è ricettivo alle istanze nuove e innovativo (dinamico). Più un sistema culturale è centrale
e assestato, meno si manifesta la ricerca del nuovo all’esterno e meno forte è la spinta dinamica al
rinnovamento (statico).

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