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LA TIPOLOGIA LINGUISTICA

CAPITOLO 1
Cap. 1.1
La tipologia linguistica si occupa dello studio della variazione interlinguistica. Le lingue del mondo sono
tutte diverse e la loro variazione non è frutto del caso, ma obbedisce a principi generali. La tipologia vuole
individuare proprio questi principi. L’interesse dello studioso è rivolto essenzialmente all’impianto
strutturale delle lingue che vengono classificate in base ad affinità o divergenze strutturali sistematiche. I
raggruppamenti tra i quali le lingue vengono ripartite prendono il nome di TIPI LINGUISTICI. --> Una
combinazione di proprietà strutturali logicamente indipendenti le une dalle altre, ma reciprocamente
correlate. Come avviene la scelta delle proprietà su cui si fondano i tipi e in base alle quali vengono
classificate le lingue? Risultano pertinenti quelle proprietà la cui combinazione consenta di operare
previsioni attendibili sulla struttura delle lingue indagate. I tipi devono avere valore predittivo, devono cioè
consentire di prevedere la natura degli elementi che vengono collocati in essi. Affermare che una lingua fa
parte di un tipo significa prevedere quali caratteristiche avrà anche senza aver indagato a fondo la sua
grammatica. Dal momento che i tipi sono categorie astratte possiamo preventivare situazioni incerte.: una
lingua potrà esibire segmenti della sua struttura imprevisti rispetto alla natura del tipo cui afferisce.
L’assegnazione di una entità reale ad un tipo avviene infatti in base alla tendenza prevalente, che
difficilmente però è categorica. Un’indagine in chiave tipologica non può prescindere da un’accurata
selezione dei parametri di riferimento, basata essenzialmente sulle correlazioni che è possibile stabilire tra
essi. La tipologia deve farsi carico di esplicitare non solo l’insieme delle proprietà che fanno parte del tipo,
quanto piuttosto il principio soggiacente che le pone in correlazione, la ratio profonda che spiega i rapporti
che intercorrono fra esse. Le lingue sono soggette nel loro divenire storico a molti condizionamenti che
trascendono la pura realtà linguistica e che spesso imprimono, dal punto di vista tipologico, brusche e
imprevedibili deviazioni di percorso. Se cambiano i parametri su cui si fonda il tipo, la medesima realtà
linguistica può assumere, agli occhi del linguista, diverse fisionomie.
Cap. 1.1.2
I passaggi cruciali per un’indagine tipologica:                                                                                                    
1) circoscrivere adeguatamente l’oggetto dell’indagine attraverso l’individuazione dei segmenti del sistema
lingua su cui si intende fondare la ricerca.                                       
2) selezionare i parametri davvero pertinenti, essenzialmente in base alla loro potenzialità predittiva.
3) verificare a quanti e quali tipi possano essere ricondotte le lingue storico-naturali rispetto ai tratti
linguistici dell’oggetto dell’indagine.                                                                                                                  
Al termine dell’indagine si noterà che non tutte le correlazioni logicamente possibili tra i parametri ( i tipi)
hanno la medesima diffusione tra le lingue storico-naturali: alcuni tipi esibiranno un elevato indice di
occorrenza nella realtà linguistica, mentre altri avranno rarissime attestazioni o addirittura saranno del tutto
inesistenti.                         
4) cogliere la ratio profonda del fenomeno.
Dove andrà cercata questa logica? Si sono sviluppate diverse ipotesi, tra esse la più plausibile è quella che
induce a rintracciare la spiegazione profonda delle classificazioni tipologiche in fattori di natura
essenzialmente semantica o pragmatica. Nulla vieta che la ratio profonda possa essere spiegata tenendo conto
la funzione cui la lingua deve assolvere. In questo quadro le singole configurazioni tipologiche sarebbero il
riflesso delle strategie che la lingua predispone per risolvere i problemi legati alla comunicazione. Non
dovremmo imbatterci in tipi concretamente attestati nella realtà delle lingue, ma teoricamente impossibili.     
La tipologia linguistica studia la variazione interlinguistica con l’obbiettivo essenziale di stabilire, ove
possibile, se essa sia soggetta ai limiti e restrizioni e , in caso di riscontro positivo, di capire quale sia la
natura di questi limiti e restrizioni.
Cap. 1.1.3
Come si può tracciare un quadro davvero esauriente e attendibile della variazione interlinguistica quando si è
nell’oggettiva impossibilità di esaminare tutte le lingue del passato e del presente? E’ necessario selezionare
un campione che sia altamente rappresentativo dell’esuberante varietà delle lingue e che, soprattutto, eviti
accuratamente quelle che vengono definite distorsioni. Un campione che rifletta davvero le caratteristiche
dell’insieme, più o meno ampio, di lingue da cui è tratto dovrebbe essere immune da:  
 Distorsioni genetiche: non deve dare eccessiva rappresentazione ad alcune famiglie a scapito di altre
 Distorsioni areali: deve tenere conto del fatto che le lingue non imparentate, ma parlate nel
medesimo contesto geografico, possono sviluppare tratti comuni in virtù dei contatti tra i rispettivi
gruppi di parlanti (vedi le analogie tra neogreco, bulgaro e rumeno)
 Distorsioni tipologiche: non deve apparire sbilanciato a favore di determinate configurazioni
tipologiche a svantaggio di altre. Qualora si volesse scandagliare la morfologia nominale, si
dovrebbe tenere a mente che i tipologi hanno individuato almeno quattro tipi morfologici di
riferimento (isolante, agglutinante, fusivo, polisintetico). Un campione di lingue dovrebbe riprodurre
fedelmente questa varietà.
 Distorsioni legate alla consistenza numerica delle comunità parlanti: il rischio di incappare in
distorsioni di questo tipo è davvero elevato, se si pensa che, delle 6000 lingue in uso oggi sulla terra,
circa 1000 sono parlate da più dell’80 % della popolazione umana. Un campione rappresentativo non
deve riprodurre al suo interno questi rapporti numerici, in quanto i successi e gli insuccessi delle
lingue non dipendono mai da fattori prettamente linguistici, ma sono imputabili solo alle vicende
storiche delle comunità parlanti.
Lo scenario nel quale opera il tipologo oggi è ben diverso da quello nel quale ha operato Greenberg: le
innovazioni tecnologiche e la velocità con cui circola il sapere offrono opportunità che solo pochi decenni or
sono apparivano quasi utopiche. Ne è esempio il World Atlas of Languages Structures. Ambisce a tracciare
un quadro attendibile su vasta scala della variabilità interlinguistica rispetto a molteplici parametri
d’indagine, relativi ai principali livelli di analisi della lingua. In questo caso il campione è composto da cento
lingue.
Cap. 1.2.1
Un parametro che ha dato risultati convincenti nella ricerca tipologica è rappresentato dall’ordine in cui gli
elementi della frase dichiarativa o di particolari sintagmi vengono disposti. Secondo l’ipotesi di partenza di
questo approccio, si può supporre che l’organizzazione del materiale linguistico in costrutti diversi avvenga
in base a principi largamente condivisi.
 La posizione del soggetto: analisi della frase indipendente dichiarativa→ Soggetto (S), verbo (V),
oggetto indiretto (O). I parametri su cui fondiamo le basi della tipologia sintattica sono tre: posizione
di S, posizione di V, posizione di O. I tre costituenti assunti a riferimento non sono parte di una
classe del tutto omogenea. Se passiamo con una panoramica a volo d’uccello sulle lingue del mondo,
notiamo che,dalla correlazione dei tre parametri , emerge una netta prevalenza di due tipi SOV e
SVO. 45% il primo tipo, 42% il secondo tipo. Poco meno del 10% adotta l’ordine VSO. In termini
puramente logici, però, esistono altre possibili combinazioni che consentono di identificare 6 tipi
linguistici: VOS, OVS, OSV che trovano riscontro in una manciata di lingue. La scarsa occorrenza
di questi tre tipi consente di ribadire che non tutti i tipi logicamente possibili sono effettivamente
attestati tra le lingue storico naturali. Dunque quasi la totalità delle lingue del mondo antepone il
soggetto all’oggetto nella frase indipendente dichiarativa. Quale può essere la ragione di questa
uniformità? Deve essere considerata come il prodotto dell’azione congiunta di più condizionamenti,
di natura essenzialmente extralinguistica. Il soggetto è di norma l’entità che dà il via all’azione
espressa dal verbo e che esercita su esso un alto grado di controllo. Queste prerogative assegnano al
soggetto una preminenza cognitiva rispetto all’oggetto che, invece, subisce l’azione e non esercita su
di essa alcun controllo. E’ quindi naturale attendersi che anche il livello linguistico riproduca questa
disparità di peso cognitivo ponendo il soggetto prima dell’oggetto.
L’altra ipotesi crede che la disposizione lineare del materiale linguistico è, almeno in parte, legata
all’organizzazione mentale dell’informazione che si intende veicolare. Il soggetto corrisponde nella
maggior parte dei casi a quella che tecnicamente viene definita l’informazione data (tema o topic), il
resto della frase è l’informazione nuova. In un’interazione comunicativa, l’informazione data è
generalmente tale per tutti i partecipanti, fa parte cioè di una sorta di background comune e
conseguentemente la si colloca a inizio frase per chiarire preventivamente di chi o di che cosa si stia
parlando.
 Ordine dei costituenti e sistema di casi: il compito di marcare i ruoli sintattici spetta alla
morfologia flessiva, non all’ordine dei costituenti (cioè alla sintassi), che ha invece altre funzioni. In
latino, quindi, l’ordine dei costituenti è decisamente meno rigido che in italiano e il parametro
analizzato (posizione del soggetto) avrà dunque un banco di prova più attendibile che in latino.
 Ordine naturale e ordine marcato: se si allarga la prospettiva d’indagine si nota che la situazione è
in realtà molto più complessa. Ad esempio nell’ungherese: tutte le sequenze (SOV, OVS, VSO,
VOS, SVO, OSV) sono del tutto accettabili in termini linguistici, ma non condividono il medesimo
statuto in ottica comunicativa. La frase SOV è sostanzialmente neutra in prospettiva pragmatica,
tutte le altre richiedono situazioni particolari e trasmettono sfumature specifiche soprattutto di ordine
pragmatico. Per spiegare questa discrepanza si ricorre alla distinzione tra ordine naturale e ordine
marcato dei costituenti. Sul piano sintattico, l’ordine non marcato o naturale è quello in cui vengono
disposti i costituenti in un contesto comunicativo “pragmaticamente neutro”, quando cioè si intende
trasmettere esclusivamente l’informazione che deriva dalla somma dei significati parziali degli stessi
costituenti (es. Il bimbo mangia una mela/ Una mela, mangia il bimbo). Una struttura sintattica può
essere definita naturale o non marcata se in essa non compaiono marche, se esibisce una sostanziale
neutralità pragmatica e se risulta più frequente nell’uso delle sue possibili varianti. In ottica
tipologica, la tendenza largamente prevalente è quella di privilegiare le strutture non marcate.
 Testa e modificatori: per quanto riguarda la posizione del soggetto, quasi tutte le lingue del mondo
adottano la stessa strategia. Lo spazio per la variazione interlinguistica è quindi davvero limitato. Ci
si può focalizzare, però, sugli altri costituenti della frase dichiarativa: V e O. I tipi paiono molto più
articolati e soprattutto le lingue del mondo esibiscono un più alto grado di differenziazione reciproca.
I principali parametri in correlazione con la posizione di O e V sono essenzialmente la presenza di
preposizioni o di posposizioni, la struttura del sintagma nominale, la posizione degli ausiliari, della
negazione e degli avverbi rispetto al verbo, la posizione della congiunzione subordinante rispetto alla
frase subordinata, la collocazione dei pronomi interrogativi e la struttura delle costruzioni
comparative. In base alla loro combinazione si individuano due tipi ideali di riferimento:         
- Tipo VO -Tipo OV . Eppure i tipi teoricamente possibili in base alla combinazione dei
parametri ammontano a svariate decine. Dunque, rispetto all’ordine dei costituenti nei sintagmi
verbale, nominale e adposizionale, la variante interlinguistica è decisamente circoscritta e tutt’altro
che caotica. Questa convergenza non è imputabile al caso: se lo fosse, non dovremmo attenderci uno
scarto così netto tra i tipi attestati e quelli possibili, ma inesistenti. Nel primo tipo l’elemento che
appare dominante è la testa (nel sintagma verbale, nominale e adposizionale) e le seguono i suoi
modificatori (PRINCIPIO TESTA A SINISTRA). Nel secondo tipo invece la testa segue sempre i
suoi modificatori (PRINCIPIO TESTA A DESTRA). A questa teoria sono state fatte alcune
obiezioni (vedi agg e art in italiano), un’ipotesi alternativa è stata quindi proposta dalla Branching
Direction Theory. Essa prevede che la coerenza tipologica nei costrutti che compongono i due tipi
VO e OV sia rigorosamente rispettata solo dai costituenti che, in una rappresentazione ad albero,
esibiscano una ramificazione. Al contrario, i componenti puramente lessicali sarebbero meno
propensi ad occupare rigidamente una posizione. Questa teoria spiega molto bene anche presunte
anomalie nell’italiano. Vi è anche un importante condizionamento extrasistemico: la lingua, anche in
ambito sintattico, rivela una tendenza all’economia, che la porta a puntare alla massima efficacia
comunicativa con uno sforzo possibilmente
contenuto.                                                                                                                                                  
                            
Cap 1.3
La tipologia morfologica vanta una tradizione ormai secolare (già dall’800). Essa presuppone l’azione di   
due parametri: l’indice di sintesi → riguarda il numero di morfemi individuabili all’interno di una parola e
l’indice di fusione → riguarda la segmentabilità della parola stessa, ossia il grado di difficoltà con cui
vengono individuati i confini tra i morfemi. La combinazione dei due indici consente di individuare quattro
tipi di riferimento:
 Lingue isolanti: l’indice di sintesi ha valore minimo, ogni parola tende ad essere monomorfemica,
ogni morfema è invariabile nella forma e in genere esprime un solo significato. Non ha senso parlare
di indice di fusione perchè i morfemi non si combinano mai tra loro quiandi non esistono confini tra
essi. (CINESE MANDARINO e VIETNAMITA). In queste lingue (vedi esempio di “toi” in
vietnamita) le parole restano del tutto invariabili nella forma: una stessa parola può svolgere più
funzioni sintattiche senza alterare la propria configurazione formale. Fenomeni di questo tipo sono
chiamati casi di CONVERSIONE (o derivazione zero): un elemento cambia la propria categoria
sintattica senza l’aggiunta di materiale linguistico. Altro aspetto fondamentale di queste lingue è la
corrispondenza biunivoca tra morfemi e unità semantiche: ogni morfema/ parola esprime uno e un
solo significato, sia grammaticale, sia lessicale (esempio vietnamita “chung” plurale e “toi” io).
 Lingue polisintetiche: l’indice di sintesi assume valore massimo. Esse infatti concentrano all’interno
della stessa unità lessicale un numero piuttosto elevato di morfemi, giungendo a condensare in una
sola parola informazioni che in italiano richiederebbero la costruzione di un’intera frase.
(ESCHIMESE SIBERIANO). Un sottotipo di queste lingue è il sottotipo incorporante, cui vengono
ascritte le lingue che tendono a giustappore in una sola parola numerosi morfemi di natura
essenzialmente lessicale (nelle lingue polisintetiche i morfemi sono sia lessicali che grammaticali)
(CIUKCI).
 Lingue agglutinanti: esibiscono il minor indice di fusione. In esse la parola consta generalmente di
più morfemi e di norma la segmentazione non presenta particolari difficoltà, in quanto vi è una
marcata tendenza a disporre i morfemi in sequenza senza che i rispettivi confini si confondano. Nei
sistemi agglutinanti viene mantenuta una corrispondenza biunivoca tra il livello della forma e quello
del contenuto: ogni morfema adempie a una sola ben definita funzione. (TURCO, NAHUATL).
Ogni forma appare invariabile e portatrice di un solo significato. L’indice di sintesi si attesta su
valori medio alti: le parole tendono a dotarsi di un buon numero di morfemi, in quanto è impossibile
esprimere più categorie semantiche-funzionali con un solo morfema.
 Lingue fusive: il valore dell’indice di fusione è massimo. I confini tra un morfema e l’altro perdono
visibilità e ciò determina una serie di reazioni a catena: la segmentazione diviene particolarmente
ostica, i casi speciali si moltiplicano e l’ideale corrispondenza tra piano della forma e del contenuto
svanisce, in quanto più categorie semantico-funzionali si condensano in un unico morfema. Le
lingue INDOEUROPEE hanno carattere prevalentemente fusivo. (LATINO). In queste lingue la
violazione della corrispondenza biunivoca avviene in entrambe le direzioni possibili: “più forme>
una funzione”, ma anche “una forma> più funzioni. L’indice di sintesi è di norma su valori medio
bassi: la possibilità di far convergere più unità semantiche su un singolo morfema, infatti, consente
di ridurre il numero di morfemi all’interno della parola. Abbiamo, in questa categoria, il sottotipo
introflessivo a cui vengono ascritte le lingue in cui il rapporto tra unità del contenuto e unità
dell’espressione ricalca lo schema delineato, senza però che i morfemi vengano disposti linearmente.
Si tratta delle lingue che prevedono una concatenazione a pettine dei morfemi. (ARABO)
Cap.1.3.2
Una seconda tipologia morfologica riguarda le strategie morfologiche che le lingue storico-naturali adottano
per codificare la relazione di dipendenza. Può essere espressa mediante dispositivi sintattici o morfologici,
gli affissi. Trattiamo il secondo caso. Il tratto in questione ha una triplice articolazione e permette di
prevedere tre tipi di riferimento:
1. Lingue che marcano la relazione di dipendenza sulla testa (ABKAZO)
2. Lingue che marcano la relazione di dipendenza sugli elementi dipendenti (LATINO)
3. Lingue che marcano sia sulla testa sia sugli elementi dipendenti ( TURCO)
A livello interlinguistico 1 e 2 hanno più o meno la medesima diffusione. Il tipo 3, più dispendioso, esibisce
un indice di occorrenza decisamente più basso. La classificazione in esame fornisce correlazioni piuttosto
interessanti con altri due parametri tipologici di rilievo: la natura del sistema di caso :
 E’ stato osservato che le lingue in cui vige il sistema nominativo-accusativo non mostrano alcuna
preferenza per nessuna delle tre strategie: la diffusione della marcatura è paritaria.
 Nelle lingue a sistema ergativo-assolutivo si registra una netta prevalenza della marcatura sulla
dipendenza.
 Nelle lingue a sistema attivo-stativo è prevalente la marcatura sulla testa.
e l’ordine dei costituenti:
 si registra una tendenza ad associare la marcatura sulla testa alla posizione iniziale del verbo.
 la marcatura sulla dipendenza vede il verbo in posizione finale o mediana.
 la marcatura sulla testa sembra la strategia anche delle lingue che non consentono di identificare
alcun ordine basico dei costituenti.
Cap.1.4
Nonostante la componente fonetico fonologica della grammatica sia stata per molto tempo penalizzata dalla
tipologia, vi è un dibattito tra gli studiosi che non si è mai esaurito: quello inerente al tono. E’ una proprietà
che caratterizza i suoni sonori, cioè quelli che prevedono la vibrazione delle corde vocali. Tanto più è elevata
la vibrazione delle corde vocali, tanto più è acuto il tono del suono prodotto. Sono solo la metà delle lingue
parlate oggi sulla terra quelle in cui l’accento è fonologicamente pertinente (ha valore distintivo). Per
esempio in cinese mandarino i toni sono fonologicamente pertinenti: consentono di distinguere i significati
delle parole. Lingue di questo tipo vengono generalmente indicate come lingue tonali. Esse costituiscono un
tipo internamente piuttosto disomogeneo, che può essere scandagliato e riorganizzato in base a diversi
parametri. Tra essi due sono i principali: 
 L’unità a cui è associato il tono: toni associati a vocali e toni associati a sillabe ( è possibile
discriminare i toni associati a una sola sillaba dai toni che arrivano a coprire più sillabe). 
 Funzione che il tono deve assolvere: distinzione fra toni che distinguono morfemi lessicali e quelli
che distinguono toni con valore grammaticale.
Altri tratti tipologicamente salienti dal punto di vista fonologico riguardano la consistenza dell’apparato
consonantico e vocalico. Per quanto riguarda le vocali un parametro spesso citato è quello della
nasalizzazione. Si osservano alcune tendenze abbastanza ricorrenti: vi sono lingue con vocali orali, vocali sia
orali che nasali, ma non paiono esserci lingue con sole vocali nasali. Un altro parametro molto utilizzato
riguarda la struttura della sillaba, a partire dalla sequenza più semplice, CV, diffusa in tutte le lingue del
mondo, mostra livelli diversi di complessità.
Cap.1.5
Gli studi tipologici a base lessicale che hanno prodotto i risultati più convincenti sono quelli che hanno
scandagliato a fondo la terminologia utilizzata per codificare le relazioni di parentela e il lessico dei colori.
Ricerca di Berlin e Kay: mediante un’ampia comparazione interlinguistica hanno individuato undici colori
che sembrano essere riconosciuti e indicati allo stesso modo dai parlanti delle oltre cento lingue prese a
campione. Queste undici classi cromatiche paiono disporsi in una gerarchia organizzata in modo rigidamente
implicazionale.
Cap.1.6
Non è possibile ascrivere in modo inequivoco una lingua a un tipo dal momento che gli artifici che filtrano la
concreta realtà linguistica la semplificano sensibilmente. Quindi, salvo poche eccezioni, le lingue si
caratterizzano come tipologicamente miste. In questo senso l’analisi tipologica dovrà tenere conto, ove
possibile, delle tendenze prevalenti, prevedendo, nei casi estremi, la possibilità di assegnare una stessa lingua
a più tipi o addirittura l’impossibilità di classificare tipologicamente una lingua. Un esempio è l’inglese che
esibisce un ricco campionario di incongruenze e contraddizioni tipologiche→ 
 Si configura come una lingua VO, dunque dovremmo trovare i modificatori e i complementi sempre
a destra della testa. Questa aspettativa viene in parte smentita dai fatti: l’aggettivo precede sempre il
nome, nel possesso (Anne’s book) abbiamo forme che rimandano al tipo OV. Il sintagma nominale
sembra quindi sottoposto a tendenze che agiscono simultaneamente. I sintagmi adposizionali e
verbali si mostrano decisamente più coerenti.
 L’inglese viene spesso ascritto al tipo isolante e, inoltre, impiega copiosamente il processo della
conversione. Tuttavia basta allargare di poco il campo d’indagine per vedere insorgere i primi dubbi
sulla natura isolante di questa lingua. Il plurale dei nomi e il comparativo degli aggettivi vengono
realizzate con strategie di tipo agglutinante. In entrambi i casi i morfemi si combinano senza che il
confine interno venga alterato e, soprattutto, veicolando ciascuno una sola funzione semantica o
grammaticale.
 In inglese sono innegabilmente fusive le forme pronominali di terza persona singolare, le uniche in
cui permangono tracce residuali di un antico sistema di genere tripartito. E’ fusivo anche il morfema
grammaticale -ed che somma il valore di passato semplice a quello di participio passato.
 Se prendiamo sing sang sung ci sembra di essere di fronte al sottotipo introflessivo.
Cap.1.7 
Emerge chiaramente che vi sono alcuni aspetti per i quali l’approccio tipologico e quello genetico al
“problema lingua” procedono di pari passo, intrecciandosi e collaborando proficuamente. Questi due
procedimenti ricorrono di solito al medesimo procedimento di analisi, quello comparativo. Un secondo
aspetto per il quale la tipologia non può prescindere dall’apporto della linguistica storico comparativa ha una
rilevanza teorica maggiore: la tipologia non può prescindere dalla linguistica storica almeno per quanto
concerne la costruzione dei legami di parentela tra le lingue. Lo stesso discorso si ripropone quando, prima di
varare un progetto di ricerca in chiave tipologica, ci si volge alla costruzione del campione rappresentativo.
Anche la tipologia ovviamente può supportare la linguistica storica: i tratti linguistici che si suppone siano
l’effetto di tendenze tipologiche generali non dovrebbero essere utilizzati per ipotizzare legami di parentela.
In secondo luogo la tipologia può avvalorare o smentire le ipotesi ricostruttive formulate dalla linguistica
storico-comparativa.

Cap. 1.8
A differenza degli altri sistemi di classificazione delle lingue, la tipologia può classificare tanto le lingue
storico-naturali quanto singoli segmenti di tali lingue. Nel primo caso le lingue vengono classificate in virtù
di proprietà strutturali condivise; nel secondo caso invece viene proposta una classificazione tipologica di
particolari strategie formali. In entrambi i casi rimane imprescindibile il metodo comparativo: una ragione
tipologica ha la sua ragion d’essere nella comparazione interlinguistica. La tipologia linguistica non può e
non vuole essere una teoria generale del linguaggio, ma evidentemente può contribuire in modo decisivo, e
di fatto contribuisce, alla formulazione di una teoria linguistica generale. Nessuna teoria del linguaggio
umano può prescindere da un apporto tipologico. La storia degli studi tipologici pone di fronte agli occhi il
fallimento di ogni tentativo di elaborare tipologie olistiche, cioè tali da ricondurre ogni articolazione del
sistema a un unico principio organizzativo. Se effettivamente ogni manifestazione della lingua obbedisse a
un principio organizzativo e se quest ultimo fosse condiviso da tutte le lingue storico naturali, allora davvero
la tipologia equivarrebbe a una teoria generale del linguaggio. Ma di fatto una situazione di questo tipo non
trova riscontri.

CAPITOLO 2
Fino a quando, agli inizi degli anni 80, fu scoperta la lingua dello hixkaryana che us l’ordine OVS, si
pensava che fosse impossibile anteporre l’oggetto al soggetto e che fosse una caratteristica condivisa da tutte
le lingue storico naturali, cioè un universale linguistico. Sia la tipologia, sia la ricerca sugli universali si
collocano sul piano sincronico. Hanno entrambe carattere, almeno inizialmente, descrittivo e non normativo,
nè esplicativo. Nè gli universali, nè le correlazioni tipologiche hanno in sè la ragione della propria esistenza.
E’dunque necessario spingersi oltre l’esistente per trovare giustificazione alle situazioni osservate. Ciò che è
rilevante è che, evidenziando i tratti che si suppongono comuni a tutte le lingue storico- naturali, gli
universali sanciscono che rispetto a quegli stessi tratti l’indice di variazione interlinguistica è zero e, con ciò,
collocano i tratti in questione fuori dall’indagine tipologica.
Cap 2.1
Gli universali assoluti sanciscono la presenza o l’assenza di una particolare proprietà in ogni lingua storico-
naturale, senza fare riferimento ad alcun altro parametro e senza stabilire correlazioni fra tratti differenti. Gli
universali assoluti non lasciano alcuno spazio alla variabilità. La loro rilevanza sta principalmente nel fatto
che essi, stabilendo dei requisiti imprescindibili per ogni lingua, forniscono, seppur indirettamente,
informazioni sulla natura profonda del linguaggio umano. Per comprendere condizionamenti di questa natura
è bene ricordare che nell’interazione comunicativa l’uomo impiega principalmente quella che viene
comunemente definita memoria a breve termini, che rende davvero problematico il recupero di informazioni
legate a strutture sintattiche molto complesse.
Cap. 2.2
Gli universali implicazionali pongono in relazione due o più proprietà, vincolando la presenza di una di esse
alla presenza dell’altra. Per la tipologia il contributo degli universali implicazionali ha un rilievo decisamente
maggiore di quello offerto dagli universali assoluti. Ponendo in relazione due proprietà distinte e
teoricamente indipendenti, un universale implicazionale lascia alle lingue un buon margine di reciproca
differenziazione e, quindi, offre parametri affidabili e attendibili per lo studio della variabilità interlinguistica
Cap. 2.3.
E’ naturale chiedersi che valore abbiano gli universali. Essi, soprattutto se di carattere assoluto, indicano una
serie di requisiti che ogni lingua storico-naturale deve soddisfare e, con ciò, paiono proiettare sulla concreta
realtà linguistica proprietà essenziali del linguaggio, inteso come facoltà mentale e cognitiva comune a tutti i
membri della specie umana. Sembra opportuno collocare le proprietà universali in una prospettiva di questo
tipo, cioè inquadrandole nel contesto delle finalità comunicative cui una lingua deve assolvere. Se il fine
ultimo di ogni lingua storico-naturale è la comunicazione, gli universali possono essere concepiti come
strategie comunicative così efficaci da essere condivise da tutte le lingue. Un approccio di questo tipo viene
generalmente definito funzionale.
Cap.2.3.1
Sono stati identificati vari principi in grado di giustificare la presenza o l’assenza di particolari strutture
linguistiche:
 Economia: la tendenza a snellire il più possibile l’apparato formale di un sistema linguistico per
ottenere il massimo risultato comunicativo con il minimo sforzo del parlante (principio universale
dell’aggettivo che segue il nome).
 Iconicità: tendenza a riprodurre, sul piano della struttura linguistica, le sequenze in base a cui viene
organizzata, a livello mentale, l’informazione da trasmettere (frase condizionale).
 Motivazione comunicativa: se la lingua ha come traguardo essenziale la comunicazione, è logico,
attendersi che essa faccia convergere tutte le proprie risorse su questo obiettivo. Nessuna lingua
dovrebbe porre limiti alle proprie potenzialità comunicative privando determinate categorie di
un’efficace espressione formale. E’ proprio la motivazione comunicativa a offrire una spiegazione
dell’universale secondo cui tutte le lingue hanno categorie nominali implicanti almeno tre persone e
due numeri.
Cap.2.3.2
L’universale 38 (nell’inventario redatto da Greenberg) afferma che in presenza di un sistema di casi, l’unico
caso che può essere espresso mediante un affisso zero è quello che include tra le sue funzioni quella di
soggetto del verbo intransitivo. Lo stesso caso a marca zero può svolgere anche altre funzioni.
 Sistema nominativo-accusativo: il soggetto viene marcato sempre dal nominativo; l’oggetto diretto,
invece, assume il caso accusativo. Dovremmo attenderci l’eventualità che il nominativo sia privo di
desinenze specifiche, il latino ne dà conferma.
 Sistema ergativo-assolutivo: la marcatura del soggetto è vincolata alla valenza verbale. Se il verbo è
transitivo, il soggetto assume il caso ergativo; se il verbo è intransitivo, il soggetto viene
contrassegnato dalla desinenza del caso assolutivo, che contraddistingue anche l’oggetto diretto.
I dati esaminati suggeriscono due generalizzazioni. In primo luogo, il dettato dell’universale pare pienamente
rispettato: il caso che svolge, tra le altre anche la funzione di S trans può apparire privo di desinenza sia nel
sistema nominativo-accusativo che in quello ergativo-assolutivo. In secondo luogo, i due sistemi appena
descritti paiono obbedire a due principi organizzativi diversi: nel sistema nominativo-accusativo si registra
una convergenza tra S trans e S intrans; nel sistema ergativo-assolutivo, invece, la convergenza è tra S
intrans e O dir. E’ l’economia il fattore più influente nella spiegazione dell’universale 38 e della
distribuzione interlinguistica dei sistemi di caso. Un altro universale interessante è il numero 41: se in una
lingua l’ordine non marcato dei costituenti è SOV, tale lingua avrà quasi certamente un sistema di casi.

Cap. 2.4.
La ricerca sugli universali ha radici piuttosto profonde. Dalla pubblicazione dei primi lavori di Greenberg
sull’argomento sono trascorsi circa cinquant’ anni, nei quali lo scenario in cui opera la tipologia è
notevolmente mutato. C’è un aspetto decisamente cruciale, su cui gli studi degli ultimi anni hanno
sensibilmente modificato le posizioni assunte da Greenberg: quello relativo proprio alla supposta universalità
di alcuni costrutti e di alcune correlazioni. L’allargamento del campione di lingue ha fatto affiorare una
copiosa messe di eccezioni e controesempi a molte delle generalizzazioni ipotizzate. Quale atteggiamento
bisogna assumere di fronte alle eccezioni? L’ipotesi che tutte le lingue del mondo collochino sempre il
soggetto prima dell’oggetto è definitivamente tramontata quando sono apparse le prime descrizioni
grammaticali dello hixkaryana che adotta come ordine naturale dei costituenti OVS. In seguito sono state
scoperte lingue con ordine OS. In termini statistici, comunque si suppone che le lingue con ordine OS non
superino il 2% delle lingue parlate sulla Terra. Dunque la presenza di eccezioni si mantiene entro limiti
contenuti e non sembra contraddire il valore di fondo dell’universale. Per questo motivo è stata introdotta la
distinzione tra universali e tendenze universali. In sostanza, i primi indicano quelle proprietà che senza
alcuna eccezione ricorrono in ogni lingua. Le seconde, invece, designano le proprietà, le correlazioni o le
strutture linguistiche che sono attestate in una porzione statisticamente rilevante delle lingue storico-naturali.
Il valore delle tendenze, intese come descrizione di situazioni statisticamente significative, sta nel fatto che
esse dimostrano inequivocabilmente che la distribuzione dei tratti linguistici e delle correlazioni tra essi non
è casuale, ma obbedisce a una ratio rigorosa.

CAPITOLO 3
Machiavelli: “le lingue non possono essere semplici, ma convien che siano miste con l’altre lingue.”
L’interferenza interlinguistica può manifestarsi a più livelli:
 attraverso semplici prestiti lessicali
 mediante l’assimilazione di regole morfologiche
 tramite l’adozione di costrutti più complessi a livello micro sintattico
L’interferenza è uno di quei fenomeni che può essere ricondotto al fatto che non esistono tipi puri. E’
importante capire quale sia il rapporto tra la tipologia e l’interferenza.
Cap. 3.1 
Se è vero che il contatto interlinguistico è un fenomeno a cui nessuna lingua può sottrarsi, è del tutto
plausibile che se il popolamento di una determinata regione si è storicamente concretizzato mediante una
fitta rete di relazioni, scambi e conflitti tra diversi gruppi umani, le abitudini linguistiche di queste genti
possano favorire la propagazione e la successiva sedimentazione dei tratti linguistici dovuti al contatto.
L’analisi delle somiglianze tra le lingue parlate in una stessa area geografica, dovute proprio alla vicinanza
fisica e al conseguente contatto reciproco di diversi gruppi di parlanti, costituisce l’oggetto di studio della
cosiddetta tipologia areale. Una volta osservata la correlazione è necessario procedere all’esplicitazione del
principio organizzativo soggiacente. Ovviamente per poter asserire che le somiglianze in questione hanno
una motivazione di natura areale è indispensabile escludere che siano dovute a tendenze tipologiche generali
o a familiarità genetica. Le regioni in cui le lingue sviluppano tratti comuni per il fatto di essere fisicamente
contigue, vengono definite aree linguistiche. Un’area linguistica o Sprachbund deve caratterizzarsi per la
presenza di più lingue parlate nel medesimo contesto geografico, ma non immediatamente imparentate e di
tratti linguistici da esse condivise.

Cap. 3.1.1
Per poter essere tale, un’area linguistica deve aver assistito, nel corso della propria storia, a movimenti di
popoli di vaste proporzioni e alla conseguente creazione di aree bilingui o addirittura plurilingui, che di fatto
costituiscono l’humus per la propagazione, tramite il contatto, di tratti linguistici. Solo la storia, dunque, può
avvalorare o smentire l’esistenza di uno Sprachbund. Non si può prevedere la formazione di un’area
linguistica contro l’evidenza della storia, in nessun caso. Un’area linguistica deve quindi essere prima
un’area culturale e storica. Ma non è detto che un’area storico-culturale si trasformi automaticamente in
un’area linguistica.
Cap. 3.2.1
Il primo esempio di contesto areale teatro di intricati fenomeni di convergenza interlinguistica sono i
Balcani. Essi presentano una stratificazione etnica senza pari in Europa. La complessità delle vicende
storiche e sociali ha un riscontro anche sul piano linguistico. L’area balcanica è il territorio europeo in cui si
concentra il maggior numero di lingue appartenenti a gruppi linguistici diversi. Tra i tratti essenziali del tipo
areale balcanico, solitamente indicati come balcanismi, abbiamo i seguenti: 
 sistema vocalico neogreco
 sincretismo tra i casi genitivo e dativo
 formazione di un futuro perifrastico
 formazione dei numerali da 11 a 19
 perdita dell’infinito
 postposizione dell’articolo definito
Quale può essere il principio soggiacente alla correlazione di questi tratti? Le ipotesi di maggior successo
sono essenzialmente due: la prima vede in quei tratti l’effetto dell’azione delle antiche lingue di sostrato
attestate nell’area balcanica; la seconda attribuisce la complessa convergenza interlinguistica in ambito
balcanico essenzialmente all’azione del greco (bizantino e medievale). In realtà essi non sarebbero da
intendersi come prodotto di un unico centro di irradiazione ma, piuttosto, come il risultato dell’azione
simultanea di più spinte propulsive. 
Cap. 3.2.2
In Europa, dal punto di vista geografico, sono assenti barriere davvero invalicabili. Dal punto di vista storico,
poi, vi sono tante attestazioni dei rapporti continui tra i popoli che si sono alternati sul territorio. A partire
dall’espansione di Roma e passando per le conquiste di Carlo Magno, non sono mancati in Europa, i
propositi di internazionalizzazione delle dinamiche culturali, anche attraverso tentativi di uniformazione
linguistica. In Europa si registra la presenza di oltre cento lingue diverse, non tutte immediatamente
imparentate, ma caratterizzate da una serie di tratti comuni e condivisi. L’analisi accurata e rigorosa di questi
tratti è stata la centro dell’ambizioso progetto EUROTYP. I risultati hanno permesso di individuare, con
buona attendibilità, alcuni tratti che paiono caratterizzare in modo quasi esclusivo alcune lingue d’Europa e il
cui insieme, che costituisce il tipo linguistico europeo, è noto come Standard Average European. Alcuni
tratti:
 somiglianze lessicali
 ordine dei costituenti maggiori della frase indipendente assertiva relativamente rigido e di tipo SVO
 presenza di preposizioni e i genitivi post nominali
 uso di”avere” ed “essere” come ausiliari nella formazione di alcuni tempi verbali complessi
 presenza simultanea di articoli definiti e indefiniti
 carattere non pro drop
 agente e soggetto possono divergere
 la forma passiva consente l’espressione dell’agente
 accordo delle forme finite del verbo con il soggetto
 paradigmi di caso fortemente semplificati e di tipo nominativo-accusativo
La combinazione dei dieci tratti contraddistingue in modo peculiare le lingue localizzate sul suolo europeo e
rappresenta perciò il nucleo centrale del SAE. Non sono i singoli tratti a caratterizzare peculiarmente le
lingue d’Europa, ma è la loro correlazione a esibire un carattere tipologicamente inusuale. La loro diffusione
in ambito europeo è tutt’altro che omogenea. In effetti un’area linguistica non copre uno spazio omogeneo; al
suo interno possono essere individuate almeno tre sotto aree: un centro di irradiazione, una zona di
transizione, una zona “relitto”. La consonanza tra l’area interessata dalla diffusione dei tratti del SAE e i
possedimenti di Carlo Magno è dunque davvero sorprendente e conferma come i fatti linguistici siano spesso
il riflesso di situazioni sedimentate dalla storia.
Cap 3.3
Non è affatto scontato che in situazioni propizie un’area storico-culturale si trasformi in un’area linguistica.
Il progetto MEDTYP e il progetto Language Typology around the Baltic Sea hanno ribadito con forza questo
assunto. Il loro obiettivo era quello di individuare eventuali fenomeni specifici di queste aree, la cui
evoluzione potesse essere stata determinata dal contatto tra le lingue coinvolte. Le conclusioni raggiunte da
entrambi i progetti mostrano analogie sorprendenti: nè il Mediterraneo nè il Baltico possono essere
considerati aree linguistiche; eppure in entrambi i casi le condizioni di partenza erano davvero promettenti.
Tanto nel Mediterraneo quanto nel Baltico emerge una costellazione di micro processi di convergenza, ma
mancano tratti condivisi globalmente. E per poter sancire l’esistenza di un’area linguistica quest’ultima
condizione pare imprescindibile. 
CAPITOLO 4
Cap. 4.1.
La tipologia cerca di capire se e in quale misura i tipi siano coinvolti nel cambiamento. La storia ci pone d
fronte a mutamenti sia marginali sia radicali di una lingua. Nel secondo caso è logico attendersi che anche la
configurazione tipologica di una lingua venga travolta dagli eventi e dunque patisca gli effetti del mutamento
in atto. Nella storia di una lingua, pare logico supporre, anche i tipi possono cambiare. Nessuna
configurazione tipologica può essere considerata come un’acquisizione definitiva. Il profilo tipologico di una
lingua non è altro se non l’effetto dei mutamenti di ieri e la base per i mutamenti di domani. E’ vantaggioso
inquadrare ogni singolo mutamento linguistico nell’ambito di una più ampia transizione, progressiva e
graduale all’interno di un sistema in lenta, ma continua trasformazione. Un approccio di questo tipo viene
chiamato dinamicizzazione della tipologia. Osservando il mutamento dagli occhi della tipologia dovremmo
attenderci che:
 i tipi più coerenti superino la selezione della storia e si affermino più stabilmente, a scapito di quelli
meno coerenti (chiaramente smentito da lingue come l’inglese)
 una lingua passi sempre da uno stadio tipologicamente meno coerente a uno più coerente (si prevede
una fase di passaggio da una lingua x a una y in cui manca la coerenza tipologica)
 che le proprietà e le correlazioni universali siano più forti degli eventi e che dunque resistano a ogni
pressione, sopravvivendo al mutamento         
Cap. 4.2
Vi sono tipi diffusissimi e altri assolutamente rari, vi sono tipi molto vulnerabili e altri molto duraturi
(resistono alla storia), vi sono tipi diffusi su tutta la Terra e tipi che caratterizzano solo lingue concentrate in
regioni limitate e circoscritte del pianeta. Quali sono i fattori in grado di determinare e quindi giustificare la
distribuzione dei tipi linguistici? Il paradigma dinamico ha individuato due fattori: la stabilità e la frequenza,
logicamente indipendenti l’una dall’altra, la cui azione congiunta consente di spiegare in modo piuttosto
convincente la distribuzione disomogenea dei tipi linguistici.
 Stabilità: la probabilità che un determinato tipo venga abbandonato o mantenuto dalle lingue ad esso
ascritte.
 Frequenza: la probabilità che un determinato tipo venga assunto dalle lingue storico- naturali. 
Di soliti i tipi stabili esibiscono distribuzione omogenea all’interno delle famiglie. I tipi frequenti invece,
mostrano una diffusione più uniforme in termini areali, ma non necessariamente coincidenti con le scansioni
individuate in base a parametri genealogici. (frequente non è da intendersi come sinonimo di diffuso, le aree
in cui questi tipi sono attestati possono essere anche molto circoscritte).
 Tipi stabili e frequenti: diffusi geneticamente, cioè nell’ambito delle famiglie linguistiche, e
geograficamente
 Tipi stabili e infrequenti: diffusi in singole famiglie linguistiche, ma non geograficamente
 Tipi instabili e frequenti: diffusi geograficamente, ma in modo disomogeneo e sporadico nelle varie
famiglie linguistiche
 Tipi instabili e infrequenti: rari sia nelle famiglie linguistiche, sia arealmente
Cap. 4.2.1
Stabilità e frequenza possono rivelarsi utili per prevedere quali strategie entrino in gioco nei singoli
mutamenti linguistici. Il massimo grado di stabilità coincide di fatto con l’universalità: un tipo caratterizza
tutte le lingue di tutte le famiglie linguistiche. Sembra plausibile supporre che un tipo molto stabile abbia
seguito, nella propria evoluzione, sempre le stesse tappe. Al contrario nei tipi più frequenti, l’azione di
tendenze fortemente connotate in chiave areale sembra più probabile. (Analisi della distribuzione sincronica
ed evoluzione dei diminutivi). Lo stato di cose (trasmissione diminutivi) induce a descrivere questo
fenomeno come contraddistinto da alta stabilità e frequenza e gli accrescitivi come un fenomeno instabile,
ma frequente. I dati sembrano confermare le due ipotesi per cui 1) i diminutivi si sono formati seguendo
sempre il medesimo percorso evolutivo 2) gli accrescitivi hanno seguito processi di formazione diversi in
rapporto ai singoli contesti areali nei quali si sono affermati. Quindi i diminutivi stabili e frequenti si
sviluppano diacronicamente secondo una matrice tipologica piuttosto generale e interlinguisticamente
diffusa. Gli accrescitivi, frequenti, ma instabili, non seguono, nella loro evoluzione, un copione predefinito,
ma ricorrono a clichè diversi e fortemente connotati in senso areale. In questo caso è l’interferenza con i
sistemi geograficamente adiacenti a indirizzare il processo evolutivo.
Cap. 4.3
Ogni tipo corrisponde a uno spaccato della storia linguistica che, prima o dopo, verrà abbandonato. Dal
momento però che il cambiamento linguistico non avviene bruscamente, ma si diffonde nel sistema a
macchia d’olio, è naturale prevedere l’esistenza di fasi intermedie in cui le forme o le strutture in regresso
convivono con le forme o le strutture in via d’affermazione, dando origine a configurazioni tipologicamente
stravaganti. Da una prospettiva sincronica, i sistemi di questo tipo costituiscono un’eccezione scomoda alle
generalizzazioni tipologiche. Dal punto di vista diacronico, invece, le lingue dalla fisionomia problematica
trovano la loro ragion d’essere e una piena legittimazione come espressione della sintomatologia di un più o
meno complesso mutamento in atto. (esempio del latino lingua morta: il panorama che si presenta al tipologo
è davvero variegato, in riferimento soprattutto all’ordine dei costituenti. Nella frase indipendente
dichiarativa, si registra una lieve prevalenza della sequenza SOV con 54 occorrenze e subito dopo, cpn 32
occorrenze la sequenza SVO. Gli unici fenomeni che si lasciano classificare in modo inequivocabile sono la
collocazione post nominale della relativa e l’assoluta prevalenza delle preposizioni.
Cap. 4.4
Secondo la teoria degli universali implicazionali, non dovremmo mai trovare nella lingua fasi in cui
un’assenza di Y corrispondesse a una presenza d X (X implica Y). Il tipo che la correlazione etichetta come
una fase preclusa al mutamento o, in altri termini, come uno stadio intermedio di uno slittamento tipologico
attraverso cui le lingue non possono passare.
Cap. 4.5
Il paradigma dinamico offre strumenti efficaci per operare sull’evoluzione linguistica, ma sempre in una
chiave puramente probabilistica. Comunque rimane innegabile l’esistenza di mutamenti più naturali di altri e,
una volta individuate le premesse tipologiche pertinenti, dovrebbe essere possibile stabilire almeno le
direzioni precluse al cambiamento in atto. Poste queste premesse nulla garantisce che il mutamento giunga in
effetti al suo compimento. La storia mostra come ogni lingua possa passare da da qualsiasi tipo linguistico a
qualsiasi altro. Si pensi al cinese. Anche la storia della lingua è governata da agenti esterni, cioè dai successi
e dagli insuccessi delle comunità umane, che possono in qualunque momento intervenire sulla deriva della
lingua, imponendole deviazioni di percorso, arrestandone l’azione o dirottandola verso mete inizialmente
impreviste.
CAPITOLO 5
Cap 5.1
La lingua cambia anche nello spazio. La differenza più evidente è quella che viene comunemente chiamata
accento: in luoghi posti anche a breve distanza si parla con una cadenza diversa e l’occhio coglie
immediatamente la differenza. Ma le discrepanze più profonde si insinuano a ogni livello del sistema, questa
variazione nello spazio geofisico viene definita: variante dialettale. Dal punto di vista linguistico la
differenza tra lingua e dialetto è davvero labile e talvolta fuorviante. I dialetti costituiscono una miniera
inesauribile di dati e, proprio per il fatto di essere per la quasi totalità inesplorati, inducono a prevedere
importanti sviluppi anche in chiave tipologica. Se ci fosse la possibilità di scandagliare a fondo le varietà
dialettali delle lingue storico naturali, molte delle più note generalizzazioni tipologiche andrebbero riviste.
Un esempio relativo alla struttura della frase negativa, è sufficiente a chiarire la portata potenziale della
questione. Rispetto alla collocazione del verbo e della negazione, possono essere identificati almeno tre tipi:
 la negazione precede il verbo
 la negazione segue il verbo
 la negazione precede e segue il verbo
Si osserva che la negazione discontinua e quella postverbale si osservano soprattutto nell’Europa centrale ed
esibiscono un elevato indice di diffusione anche nell’Italia settentrionale, seppur in usi linguistici “non
ufficiali”. Questa zona coincide con il SAE.
Cap. 5.2
Conoscere e parlare una lingua significa adeguare la propria produzione linguistica alle diverse situazioni
comunicative. Anche il rapporto tra gli interlocutori influisce sulle scelte linguistiche del parlante. La lingua
subisce variazioni diacroniche, diatopiche, diafisiche, diastratiche e diamesiche. La variazione può produrre
scarti anche notevoli tra le strutture linguistiche che condividono la medesima lettura semantica. Molto
spesso l’approccio tipologico tende ad astrarre la lingua dal contesto sociale da cui essa invece trae linfa
vitale. La lingua è un organismo dinamico e articolato non solo sul piano formale, ma anche a livello sociale.
Cap. 5.3
Nel processo di apprendimento vi sono fasi intermedie ricorrenti e talvolta universali. Le interlingue sono
sistemi linguistici naturali, autonomi e internamente coerenti. Se si suppone che una correlazione tra due o
più proprietà sia universale, essa dovrebbe trovare riscontro anche nella varietà di apprendimento. Non solo:
se gli universali implicazionali indicano, seppur entro certi limiti, la direzione di alcuni mutamenti,
individuando procedimenti più o meno marcati, allo stesso modo possiamo ragionevolmente supporre che i
medesimi universali indichino percorsi di apprendimento più o meno naturali, individuando sequenze
acquisizionali improbabili e sequenze altamente probabili.
Cap. 5.2.3
Le prime produzioni di parlato spontaneo di un apprendente sono invariabili e hanno un valore
essenzialmente lessicale e non grammaticale. La padronanza sul piano formale non può prescindere dalla
piena padronanza delle categorie cognitive corrispondenti.  
                                                                                                                                                    

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