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Milizia, Le lingue indoeuropee

Glottologia (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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La parola “glottologia” è un calco dal tedesco Sprachwissenschaft, che significa scienza della lingua.
Deriva dal greco: Glossa/GLOTTA = lingua (organo, facoltà del linguaggio, specifico sistema linguistico)
LOGIA = ragione, discorso (facoltà tipica dell’uomo, gli animali sono esseri alogia)
La glottologia è dunque quella disciplina che studia in modo scientifico e razionale il linguaggio, le lingue e le
relazioni che intercorrono fra loro dal punto di vista dell’evoluzione nel tempo.
Il termine fu inizialmente utilizzato in campo medico, ma Graziaddio Isaia Ascoli gli diede la nuova accezione.
Le lingue possono essere studiate in:
• Diacronia: attraverso il tempo
• Sincronia: isolando un momento in particolare e analizzandolo
La glottologia si occupa in particolare della sincronia; si identifica anche con la linguistica storica, banca della
linguistica generale. L’interesse è volto al mutamento linguistico, quotidiano ma non sempre definitivo che
scaturisce dall’errore. La lingua cerca quindi costantemente un equilibrio fra semplificazione e conservazione.
Milanese MINGA = mia, mio > lat. MICA = briciola
Francese PAS (negazione) > lat. PASSUS = passo
Le lingue sono quindi entità storiche e l’obiettivo della disciplina è quello di ricostruire la storia delle lingue
risalendo alle fasi anteriori rispetto a quella presa in analisi e stabilendo le reciproche relazioni genetiche, così
da potere raggruppare in famiglie. Esistono solo alcune lingue isolate, che non possono essere raggruppate in
nessuna famiglia (es. basco).
Il procedimento funziona a sottoinsiemi, la lingua capostipite è l’indoeuropeo.
Le lingue di una stessa famiglia presentano alcune caratteristiche fonetiche e morfologiche, sintattiche e
lessicali in comune. L’antenato di queste lingue, un’ipotetica protolingua, è quasi mai documentata (a
eccezione del latino per quanto riguarda le lingue romanze).
Tra le diverse famiglia, quella indoeuropea è quella geograficamente più estesa (50% lingua madre, 50% a
conoscenza di una di esse), gode di un’ampia documentazione scritta e costituisce perciò l’oggetto privilegiato
della glottologia.
I tratti comuni sono evidenziati dalle isoglosse, cioè linee sulla carta geografica che dividono graficamente le
zone che condividono uno stesso tratto linguistico: Rimini-La Spezia, oltre la quale avviene il fenomeno della
lenizione).
Gli strumenti di cui si serve la glottologia sono:
1. Metodo comparativo, che ha come punto di partenza il confronto tra le forme delle lingue storiche e
come punto di arrivo la formulazione di ipotesi sul patrimonio fonologico, lessicale e morfologico della
fase preistorica, individuando corrispondenze strutturali e sistematiche.
Il primo passaggio è quindi individuare le forme da confrontare. Il caso più semplice è quello in cui il
significante sia affine al significato:
*PATÉR; lat. PATER; gr. PATÉR; ai. PITÁR; ags. FADER; got. FADAR
Sono tutti formalmente simili e hanno lo stesso significato, ma la confrontabilità delle diverse forme storiche è
garantita non dalla generica somiglianza, ma dalla dimostrazione sistematica e regolare della corrispondenza
dei fonemi. Infatti, la corrispondenza P – F è regolare e si riscontra anche in:
lat. PES; gr. POÚS; ai. PAD-; ags. FÖT
Due parole simili non sono quindi confrontabili se il confronto comporta delle corrispondenze fonetiche
irregolari: lat. DEUS ≠ gr. THEÓS (lat. D = gr. D; gr. TH = lat. F).
Al contrario due parole apparentemente dissimili possono essere confrontate se presentano delle
corrispondenze fonetiche regolari: lat. INGUEN e gr. ADEN.
Dietro a ciò sta il principio della regolarità del mutamento fonetico: quando in una lingua un dato suono
linguistico (fono) subisce un mutamento, questo deve verificarsi o in tutte le parole di quella lingua
(mutamento non condizionato) o in tutte le parole in cui quel fono si trova in un determinato contesto fonetico
(mutamento condizionato dalla posizione del fono, dalla sillaba tonica/atona, aperta/chiusa, seguita da altri
suoni o meno).
L’importanza di questi mutamenti fu compresa solamente a partire dagli anni 70 del XIX sec. da un gruppo di
studiosi tedeschi, i Neogrammatici, e tra questi Karl Brugmann.
Questo metodo consente in ultima analisi di porre l’antecedente preistorico alla base delle parole che formano
una data serie lessicale (l’antenato di “padre” sarebbe quindi *Pə tér, dove la got. F è stato l’elemento di
innovazione). La ricostruzione si basa su una teoria scientifica: è tanto migliore quanto minore è il numero di
mutamenti che essa postula.
Confermato da: lat. SUPER; gr. HYPER; ai. UPARI; got. UFAR>*UPER

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All’interno della famiglia germanica, il tedesco rappresenta un’ulteriore novità:


• T > got. S > ted. ß
• D > got. T > ted. Z
ags. FOOT; got. FOTUS; svd. FOT; ted. FUß
ai. DESA; lat. DECEM; gr. DEKA
got. TAIHUN; ing. TEN; svd. TIO; ted. ZEHN

2. Ricostruzione interna, che consiste nel confrontare in sincronia e individuare le forme di uno stesso
sistema linguistico da confrontare:
nom. REX / FRUX / PHLOX
gen. REGIS / FRUGIS / PHLOGIS
Il suono X > KS, che al gen. GIS. Si ipotizza che possa divenire sonore se la K sorda fosse preceduta da vocale
per assimilazione, ma ciò viene smentito:
nom. DUX / LUX / FEROX
gen. DUCIS / LUCIS / FEROCIS
Anche qui X > KS, ma gen. CIS perché influenzato dalla S sorda

Il mutamento fonetico è quello più facilmente formalizzabile ed ecco perché è il più studiato; per far ciò ci si
serve della fonetica, quella disciplina che studia il carattere fisico dei suoni dal punto di vista:
• Produzione articolatoria
• Percezione uditiva
• Propagazione acustica
Il suo linguistico considerato in quanto fenomeno acustico fisico è detto fono.
La fonologia invece si occupa di come le lingue organizzino i suoni in sistemi; queste piccole entità astratte
sono i fonemi, unità minime dotate di valore distintivo e caratterizzante. Le varianti di questi si chiamano
allofoni.
Un sistema di queste entità astratte dà origine a un sistema concreto di linguaggio.
Ferdinande de Saussure utilizza un sistema tecnico che differenzia:
• Parola: molteplice, infinita, concreta e in atto (foni)
• Lingua: una, unica, finita, astratta e in potenza (fonemi)
I cambiamenti della parola (foni) determinano i cambiamenti della lingua (fonemi).

N.B.: 1 fonema = 1 fono


Più foni = 1 fonema

La stessa mutazione all’interno di lingue diverse si può spiegare in diversi modi: August Schleicher nella
prima metà dell’Ottocento formulò la teoria dell’albero genealogico, secondo la quale la disgregazione
dell’indoeuropeo sarebbe avvenuta attraverso una serie di scissioni binarie. Secondo Schleicher il germanico
comune sarebbe nato dalla scissione di balto-slavo-germanico in balto-slavo e germanico, e a ritroso dalla
scissione dell’indoeuropeo in greco-italico-celtico e balto-slavo-germanico.
Questa teoria a oggi è solo parzialmente accettata (sì al ramo indoiranico), perché concepita sin dal principio
in modo erroneo.
Secondo la teoria della contiguità areale se due lingue che presentano un medesimo fenomeno sono state
geograficamente contigue si può immaginare che i parlanti siano venuti a contatto e che si siano quindi
influenzati (T>TS nei dialetti tedeschi meridionali, propagatosi poi verso Nord).
Un principio postulato da Johannes Schmidt legato alla teoria delle onde vede il diffondersi del mutamento
linguistico nello spazio a partire da un determinato punto a quelli circostanti, così come in uno stagno si
diffonde un’onda generata dalla caduta di un sasso.
Per applicare queste teorie, all’interno del territorio non devono esserci conflitti linguistici; quando le parole
superano i confini geografici e si diffondono da una lingua all’altra si parla di imprestito.
Talvolta vi è la sovrapposizione di una lingua su un’altra nel medesimo territorio, e si parla di sostrato
(celtico sul latino volgare in Gallia e in Italia Settentrionale); il fenomeno inverso è detto superstrato
(longobardo sulle parlate italiane).
Oppure ancora si tratta di cambiamenti completamente autonomi:
lat. SEPTEM; gr. HEPTA; av. HAPTA

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La documentazione indoeuropea riguarda i seguenti sottogruppi: anatolico, greco, indoiranico, frigio*, latino,
osco-umbro*, venetico*, messapico*, celtico*, germanico, armeno, tocario, slavo, baltico, albanese (*lingue di
attestazione frammentaria). Qualora la documentazione diretta fosse scarsa, ci si può servire di quella
indiretta: glosse, antroponimi, teonimi, toponimi, idronimi.
Indoiranico, armeno, greco, latino, celtico, germanico, baltico, slavo e albanese appartengono a quelle lingue
cosiddette vive; in Europa di parla inoltre calmucco, ugrofinnico, turco, basco e maltese (semitica).

Il metodo comparativo permette quindi di proiettare nella preistoria elementi comuni delle lingue storiche e
documentate ricostruendo un inventario di fonemi e un insieme di forme comuni. Tuttavia non possiamo
immaginare un territorio indoeuropeo linguisticamente unitario, in quanto le lingue moderne sono il frutto di
lunghi processi di standardizzazione di epoca in epoca; nella preistoria non vi erano confini territoriali e
probabilmente le istituzioni sociali si limitavano alla famiglia-clan e alle tribù.
Gli studiosi sono piuttosto discordi nell’individuare l’area originaria indoeuropea, nel determinarne
l’estensione e la cronologia.
L’ipotesi più accreditata venne formulata nel 1960 dall’archeologa lituana Marija Gimbutas, la quale associò
gli Indoeuropei ai ritrovamenti appartenenti alla cosiddetta cultura Kurgan, dislocata nelle steppe a nord del
Mar Nero e risalente ai millenni V-IV a.C.

Mutamenti fonologici
Quando si presta attenzione al suono si parla di iperarticolazione, ma di norma il parlato spontaneo è
ipoarticolato, poiché la realizzazione dei movimenti articolatori è meno precisa e quindi a volte incontra delle
difficoltà nel raggiungimento sonoro. Il parlante rende il suo parlato quanto più simile alla resa grafica, pensa
infatti di utilizzare una sequenza di entità foniche discrete (= scrittura) anche nel parlato.

Nel parlato è fondamentale la prosodia, cioè la velocità, l’andamento, il tono, quell’elemento che la scrittura
può riprodurre solo in parte. Essa è infatti limitata rispetto al parlato (eco perché si giunge alla trasmissione).
Il parlato è un continuum, dove il confine delle unità sfuma sia a livello articolatorio che acustico.
Talvolta i suoni si articolano insieme, in un flusso continuo, influenzandosi vicendevolmente. È il fenomeno
della coarticolazione, cioè il disporsi in una determinata configurazione, conservando atteggiamenti delle
precedenti e iniziando a preporsi per quelle successive.
Di conseguenza vengono prodotti degli effetti:
• Sporadici, che nascono e muoiono
• Sistematici, che si ripetono sino a fissarsi nel parlato
Quando l’effetto si fissa si ha il mutamento, che può quindi essere:
• Occasionale se si tratta di un caso singolo
• Regolare se si tratta di una serie di casi che si ripresentano in determinate circostanze
lat. [KT] > it. [TT]
lacte > latte
lectum > letto
tectum > tetto

Lingue centum e satem


Nell’indoeuropeo ricostruito accanto alle velari pure si ipotizzano due serie di occlusive velari articolare con il
dorso della lingua: le velari palatali, caratterizzate da un diaframma più avanzato, e le labiovelari, nelle quali
l’occlusione velare è accompagnata dall’arrotondamento delle labbra. Sul trattamento di queste tre serie è data
la classificazione delle lingue indoeuropee in due gruppi:
• CENTUM: confondono le velari palatali e le velari pure in un’unica serie, mantenendo indistinte le
labiovelari (greco, latino, osco-umbro, celtico, germanico e tocario)
• SATEM: mutano il luogo e il grado diaframmatico delle originarie palatali (più avanzato) e inoltre
confondono le velari pure e le labiovelari in un’unica serie, perdendo il coefficiente labiale (indoiranico,
armeno, baltico, slavo, albanese)
Le lingue satem armeno e albanese non confondono completamente le velari pure e le labiovelari, ma
mantengono un’originaria distinzione. Eccezione il tocario, una lingua geograficamente orientale, ma
appartenente alle centum.

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Labiovelari Kw Gw Gwh SATEM

Pure K G Gh
Palatali K Ĝ Ĝĥ CENTUM

Entrambi i termini derivano dalla parola latina e avestica per il numerale “cento”. *ḱmtom > lat. centum
> av. satə m
Il mutamento è probabilmente avvenuto in area Anatolica, ipotizzando che il mutamento satem si sia diffuso
da una lingua all’altra per contatto areale e per questo le lingue satem risultano le più giovani e innovative.
LATINO GRECO SANSCRITO RUSSO

lat. CRUOR; gr. KRE(W)AS; skr. KRAVIS; rus. KROV’ < *KREU apofonia < *KROU < *KRU (grado di partenza
per latino)
*KRU > KRUOS > KRUOR rotacismo S>R la consonante vocalica si vocalizza poi passa a liquida vibrante
got. *HRAU > o.eng. HREW > RAW
> a.a.de. HRO > ROH
Esistono in latino due radici per definire il sangue: *KRUOR = sangue versato, crudele
*SANGUIS = sangue che scorre nelle vene
La sostituzione di un termine che evoca qualcosa di negativo o troppo eufemistico si chiama taboo
linguistico: la perdita del sangue è la perdita di vita, quindi viene sostituito.
Stessa cosa succede per “mano”, che è lo strumento magico che evoca qualcosa e lo prende presente (motivo
per cui certe religioni non prevedono la conoscenza del nome del proprio Dio).

lat. INCLUTUS; gr. KLUTOS; skr. SRUTAS;


*KLUTOS < KLEU/KLOU/KLU
Nelle satem la L e la R si confondono e molto spesso l’unico esito è una vibrante.
*KLU-TO > gr. HLUDT
> o.eng. HLUD > LAUD
> a.a.de. HLUT > LAUT
*KLEU-OS = parola > gr. KLEOS
> skr. SRAVAS = gloria
*KWO > lat. QUOD; gr. POTEROS; skr. KAS; slavo KTO

L’onomastica, l’antroponomastica, la toponomastica aiutano alla ricostruzione della lingua perché sono fra
quelli che si mantengono maggiormente e riflettono l’ideologia di un popolo. Nelle lingue indoeuropee
esistono tre categorie di nomi:
• Semplici
• Composti
• Ipocoristici (diminutivi)

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Sistema fonematico:
Vocalismo: ā/ă, ē/ĕ, ī/ĭ, ō/ŏ, ū/ŭ + vocale ridotta ə
Sonanti che possono costituire nucleo di sillaba (chiamati quindi “sillabici” e segnati con): ṛ, ḷ, ṃ, ṇ
La sillabicità è determinata dal contesto e quindi tra i due foni non c’è opposizione distintiva: l e ḷ
costituiscono due allofoni (varianti combinatorie) di uno stesso fonema
Fricative: s, h. ?x, ?Ɣ

BILABIALI DENTALI PALATALI VELARI LABIOVELARI

sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora
Occlusive P B T D K Ĝ K G Kw Gw
ph bh th dh kh ĝh kh gh kwh gwh

Morfologia:
• Singolare, plurale, duale
• 8 casi grammaticali (+ strumentale e locativo)
• 3 generi
• Tempo: si conosce l’opposizione presente-passato ma non si è ricostruito il futuro
• Aspetto: distinto il perfettivo (azione già conclusa) e imperfettivo (in corso di svolgimento) e il
risultativo (azione i cui effetti presenti sono dovuti a un’azione conclusa)
• 4 modi: indicativo, imperativo, congiuntivo, ottativo
• Diatesi: non esiste il passivo

Lingue anatoliche
(ittita, luvio, licio, palaico, cario, lidio, pisidico, sidetico)
L’anatolico è, insieme al greco, il gruppo di lingue di cui si ha la documentazione più antica, risalente al II
millennio a.C. (Ittito, Luvio e Palaico)
Palaico: pochissimi frammenti, diffuso nell’Anatolia settentrionale già all’epoca delle tavolette che lo
documentano era una lingua morta, usata per formule rituali.
Luvio: parlato nella parte meridionale dell’Anatolia. Sopravvisse alla caduta dell’impero ittita. In
numerosi centri si sono rinvenute iscrizioni monumentali che celebravano i regnanti anatolici (X-VIII sec.
a.C.). Il sistema scrittorio si compone di ideogrammi e sillabogrammi (luvio cuneiforme/ luvio geroglifico)
Licio e lidico (e probabilmente anche cario, sidetico, pisidico): attestati in iscrizioni funerario del V-IV
sec. a.C. (età persiana). Usano sistemi scrittori mutuati dal mono greco, e sono quindi ti tipo alfabetico. Il
primo è meglio documentato e vanta pure una variante dialettale detta “licio B” o “miliaco”
Ittita: lingua amministrativa dell’impero ittita (XVII sec. a.C. – 1200 a.C.), una delle maggiori potenze
dell’Asia Minore. I testi ittiti conservati sono incisi in caratteri cuneiformi (importante è l’archivio di Hattusa,
la capitale, che serba documenti del XVI sec. a.C.) su tavolette di argilla e ritrovati grazie agli scavi
archeologici della capitale dell’impero (1906/1907), assieme agli scritti in palaico e in luvio. Le tavolette più
antiche risalgono al XVI secolo, le più recenti precedono il crollo dell’impero e buona parte di queste tratta
argomenti religiosi, ma esistono anche scritti di carattere storico (decreti e trattati).
Le iscrizioni celebrano i regnanti delle monarchie dell’Anatolia agli inizi del primo millennio. Il sistema
scrittorio utilizzato è il geroglifico anatolico, composto di ideogrammi e sillabogrammi mai inventati prima.

1917 – lo studioso ceco B. Hrozny decifra la lingua che già nel 1902 Knudson, lavorando sugli archivi di Tell-
El-Amarna (capitale del regno egizio sotto Akhenaton), aveva riconosciuto come indoeuropea, pur non
decifrandola, utilizzando un sistema combinatorio.
Il sistema scrittorio cuneiforme giunse agli Ittiti attraverso la mediazione degli Accadi e si compone di
ideogrammi e sillabogrammi. Gli ideogrammi rimandano a un concetto indipendentemente dalla sequenza di
suoni che a essi sono associati. Essendo il cuneiforme di origine sumera nella traslitterazione gli ideogrammi
erano resi attraverso la parola sumera corrispondente al concetto espresso e in maiuscolo.
es nu NINDA-an ezzatemi watar-ma ekuttemi = ora mangiate pane e bevete acqua
In maiuscolo perché viene trascritto con la parola sumera corrispondente, anche se gli ittiti certamente
pronunciavano l’ideogramma con la propria parola, non con quella sumera
NINDA: pane (sumerogramma)
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-AN: desinenza, simile all’accusativo i.e.


-TEMI: desinenza II p.p. i.e.
EZZA-: > lat. EDERE = mangiare
WATAR: acqua
EKU- = bere

Nel 1917 pubblica La lingua degli Ittiti, determinandone l’appartenenza alla famiglia indoeuropea. Tuttavia
l’i.e. era stato ricostruito sulla base del greco e del sanscrito, completamente diverse dall’ittita. Infatti,
quest’ultima è una lingua dalla notevole semplicità nel sistema morfologico, pur essendo una lingua del II
millennio a.C.:
• Nel verbo e nel nome manca il duale
• Si distingue fra cose di genere comune (animate) e neutro (inanimate)
• Non esiste il femminile
• Esistono solo i modi dell’indicativo e dell’imperativo
• Esistono solo i tempi del presente e del preterito
Edgard Sturtevant ipotizzò che il ramo anatolico si fosse distaccato dall’indoeuropeo quando ancora non vi
erano diversificazioni, denominando l’indoittita lingua madre da cui sarebbero nate indoeuropeo e anatolico,
come se l’ittita fosse una lingua sorella dell’i.e.
A oggi questa ipotesi non è più considerata valida e si pensa che l’ittita si sia distaccato dall’i.e. quando ancora
non si erano formate le categorie grammaticali mancanti, o che le abbia perse durante la sua preistoria e che
ne abbia quindi sviluppate di diverse.
L’ittita rientra nelle lingue centum, ma le altre anatoliche sono problematiche riguardo alla categorizzazione.

Sistema fonematico:
Vocalismo: opposizione di quantità vocalica è alterata da fenomeni di abbreviamento delle originarie lunghe in
posizione atona e dall’allungamento delle originarie brevi in posizione tonica.
Consonantismo: l’ittita si comporta come una lingua centum; sono conservate le labiovelari e confuse palatali e
velari. Luvio, palaico e le altre sono invece più difficilmente inquadrabili.
Morfologia: l’ittita conserva tutti i casi dell’i.e. ricostruito, più l’ablativo (moto a luogo).

Lingue indoiraniche
(lingue indoarie + lingue iraniche)
❖ Le lingue indoarie sono quelle lingue indoeuropee parlate in India da popolazioni dravidiche
probabilmente sin dal II millennio a.C. Questa fu invasa da Nord-Ovest (a Sud sono ancora diffuse le
lingue dravidiche) da popolazioni che si chiamavano arya, “signori”, termine che poi divenne
autodesignazione di popolo. A queste appartengono i dinasti del regno dei Mitanni, a nord della
Mesopotamia.
• Alla fine del II millennio risalgono i testi Veda, scritti in vedico, raccolte di inni di tipo religioso,
magico e filosofico; in particolare i Rig Veda, cioè i Veda dei canti, tramandati oralmente e messi per
iscritto intorno al 700 a.C. La lingua dei Veda presenta alcuni tratti propri, ma anche tratti di dialetti
nord-occidentali.
• Differente dalla fase del vedico è quella del sanscrito (SANS= insieme; KRTA= part. perfetto di “fare”
– lingua perfetta). La sua grammatica fu codificata da Pāṇini nel V/IV sec. a.C. sulla base di un dialetto
centrale. Esso era la lingua della cultura, delle coorti e della letteratura, ricchissima per numero di testi e numero
di generi sperimentati. A queste prima due varietà viene data la denominazione di antico indiano.
• Con le iscrizioni del re Ashoka, risalenti al III secolo a.C., vengono documentate le lingue diverse dal sanscrito,
dette in contrapposizione pracriti (lingue naturali). Il loro uso letterario si limitava alla religione buddhista
(pali) e giainista (nei drammi scritti in sanscrito i personaggi di passo rango utilizzano i pracriti). Tra le lingue
pracriti moderne ci sono: l’hindi (lingua nazionale), panjabi e marathi, l’Urdu (nel Pakistan – hindi scritto in
sistema arabo-persiano per motivi culturali), il bengali in Bangladesh, il nepali in Nepal, il singalese in Sri
Lanka e nelle Maldive.
Il sistema scrittorio utilizzato è semialfabetico e di origine semitica, il brahmi, in cui le vocali diverse da “A” sono
rappresentate da segni diacritici, mentre un segno base privo di diacritici indica una consonante seguita da “A”; la più
importante scrittura è la devanagari “scrittura urbana sacra”, una scrittura alfasillabica dove i segni sono ordinati per
tipo di articolazione (sintomo di una tradizione grammaticale raffinata. I nessi consonantici sono resi attraverso le
legature:
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(n) + (va) = (nva)

Sistema fonematico:
Vocalismo: *ā/ă, ē/ĕ, ō/ŏ > skr. ā/ă
ī/ĭ, ū/ŭ
*ṷ > skr. v
*i฀ > skr. y
*ə > skr. i; *pə ter > skr. pităr
(suono vocalico molto breve e di timbro indistinto che in lingue diverse origina suoni diversi)
> può fondersi con la vocale che lo precede per dare la lingua corrispondente

*ai Monottonga e
*ei ai
Dittonghi: *oi Mantiene la semivocalica ai฀
*au Monottonga o
*eu au
*ou Mantiene la semivocalica av
*DEIGH- / DAIGH > gr. TEIKHAS (muro città)/ TAIKHAS (muro casa)
• Sonore aspirate > sorde aspirate
• Legge di Grassmann: la seconda si deaspira
• Dittonghi si mantengono
> skr. DAHI (terrapieno, muro)
• Legge di Grassmann
• *ei/*ai > E
• Trattamento particolare palatali
*GEN > lat. GENUS
> gr. GWNOS
> skr. YANAS
*SEGH > skr. SAHATI
> ved. SAHATE
Consonantismo: l’indiano riproduce fedelmente la situazione originaria i.e., presentando quattro serie di
occlusive (sorde, sorde aspirate, sonore, sonore aspirate). Le sorde aspirate, già presenti nell’indoiranico
comune, sarebbero per alcuni studiosi innovazioni proprie.
Legge di Collitz-Schmidt-Saussure: l’originaria velare o labiovelare si palatalizza per mezzo
della vocale palatale che segue:
*P > P *T > T *K/ KW > K/ C K>Ś
*B > B *D > D W
*G/ G > G/ J Ĝ > J (seguita da vocale anteriore < G/ Gw)
*Bh > Bh *Dh > D *Gh/ GWh > Gh/ Jh Ĝĥ > H(seguita da vocale anteriore < Gh/ Gwh)

Palatalizzazione secondaria

*ṃ e *ṇ in apice > ā/ă


*ṛ/ e *ĭ si conservano
*ṝ/ *ị > ai., ar., av., īr/ ūr
i.e. SEPTṂ > ai. SAPTA
> av. HAPTA

*KwOTI > lat. QUOT


*KwE > lat. QUE
> gr. TE
> skr. CA  si palatalizza

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*PENKwE > lat. QUINQUE


> gr. PENTA
> skr. PAÑCA
Le lingue indoarie hanno innovato: prima si pensava che il sanscrito fosse l’originale e le altre lingue avessero
introdotto “E” e “O”, invece è il contrario.
Morfologia: il vedico è molto conservativo, la flessione nominale è simile a protoindoeuropeo:
• 3 generi (maschile, femminile, neutro)
• 3 numeri (singolare, duale, plurale)
• 8 casi
• Conserva tutte le alternanze apofoniche
• Conserva tutti i tempi i.e.
• 3 temi (presente, aoristo, perfetto)
• Forma parole con prefissi e suffissi

❖ Le lingue iraniche invece erano parlate in Iran e Mesopotamia e nelle steppe della Russia meridionale.
L’avestico e l’antico persiano rappresentano di queste la fase più antica (II millennio – 300 a.C. circa)
L’avestico (< APA – STAK = stare presso. Concezione spaziale della conoscenza), orientale, è la lingua
dell’Avesta, le scritture dello zoroastrismo; tra queste le Gathas sono antiche quanto i testi Veda indiani e si
collocano intorno al 1000 a.C. e scritte in avestico gatico, simile al rigveda, che si contrappone all’avestico
recente, confrontabile con l’antico persiano.
Solo con l’impero Sasanide furono messi per iscritto; fu creato appositamente un sistema scrittorio, l’alfabeto
pazand, che riproduceva le varie sfumature di pronuncia caratteristiche della lingua orale.
L’antico persiano (occidentale) è la lingua dell’antico impero persiano achemenide, che è giunta a noi grazie a
una serie di iscrizioni trilingue del VI-IV sec. a.C., la più importante delle quali è quella di Behistun, un testo
politico in cui Dario I rivendica la legittimità del proprio territorio.
La scrittura utilizzata è di tipo cuneiforme e deriva dalle scritture mesopotamiche, anche se l’organizzazione
dei segni è di tipo originale, decifrati per la prima volta da Grotefend.

Il periodo medio iranico (227 – VII d.C.) fu caratterizzato dalla reggenza del regno di Parti degli Arsacidi, fino
alla conquista del potere da parte dei Sasanidi nel 227. Sono diverse le lingue attestate: a Occidente il partico e
il medio persiano, a Oriente il choresmiano, il sogdiano, il battriano (alfabeto greco), il khotanese e il sacio.
Le lingue occidentali semplificano molto la flessione verbale e nominale, talvolta si tratta della caduta delle
sillabe finali che comporta la perdita delle desinenze.
Numerose sono le lingue iraniche moderne (VII d.C. – oggi): persiano moderno, curdo, baluci e dialetti caspici,
farsi a occidente e pashto, ossetico (alfabeto cirillico) e yaghnobi a oriente.
Aperta è la questione riguardo alle lingue parlate nelle zone dell’Hindu-Kush (sottogruppo indoiranico?)

Sistema fonematico:
Vocalismo: A
E A
O
Consonantismo: Eliminano l’opposizione tra consonanti e consonanti aspirate: due serie (sorde e sonore)
Mutamento *L > R
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*LEWK- = luce > lat. LUX


> gr. LEUCOS
> skr. ROCATE
Mutamento Ruki (acronimo per i suoni che, precedenti a un altro suono, ne causano il mutamento): quando
R, I, U o una articolazione velare precedono una fricativa (S) questa passa a fricativa palato-alveolare (Š) (in
sanscrito diventa una retroflessa):
*EUSO = bruciore > lat. UROR
> gr. EUO
> skr. OSATI

Tocario
Il tocario riunisce in sé due varietà: il tocario A e il tocario B, parlate nel corso della seconda metà del I
millennio a.C. in località vicine al fiume Tarim, nell’attuale Sinkiang o Turkestan cinese; scoperto fra l’800 e il
“900 con l’importante ruolo di Aurel Stein.
Il nome “tocario” deriva dall’ipotesi che fra i parlanti della lingua di fossero i “tokharoi” di cui parlavano
Strabone e Tolomeo, ma si tratta di un’identificazione per lo più errata.
La documentazione risale ai sec. VI-VIII d.C. e solo per il B è presente anche una serie di graffiti e iscrizioni.
La maggior parte dei documenti erano conservati in monasteri e si trattava di traduzioni a stampo religioso,
soprattutto buddhista, accompagnato dall’originale indiano. Infatti il sistema scrittorio era simile: una
versione adattata del brahami.

Per quanto riguarda il tocario A, la maggior parte dei manoscritti è stata trovata presso le città di Turfane
Qarasahr, detta anticamente Agni, da cui “tocario agneo” o orientale.
Quello occidentale, il tocario B, fu detto “cuceo”, dalla città di Kuca. In questa varietà furono scritti anche
numerosi documenti amministrativi, non solo testi religiosi.
L’insediamento dei parlanti tocario fu sicuramente precedente l’espansione del buddhismo e fu presto
soppiantato dalle lingue turche.

1908 Sieg e Siegling pubblicano un primo abbozzo di grammatica del tocario, approfittando del fatto che i
testi fossero scritti in Brahmi e avessero l’originale accanto e dimostrarono che esso presenta tratti
indoeuropei, ma anche peculiarità che lo rendono un ramo a sé.

Il tocario sorprendentemente non appartiene alle lingue iraniche (satem), ma è una lingua di tipo centum, affine
alle lingue indoeuropee del ramo occidentale. È caratterizzata dalla trasformazione delle antiche palato-velari
in velari (*k, *g, *gh), fenomeno generalmente associato alle lingue europee occidentali (celtico, germanico,
greco antico e lingue italiche). La scoperta del tocario contribuì al dibattito tra gli studiosi sulla divisione delle
lingue indoeuropee in un ramo occidentale ed in uno orientale.
Vocalismo: perde l’opposizione quantitativa vocalica (rimangono solo cinque vocali)
Consonantismo: 3 serie originarie di occlusive si riducono alle sole occlusive sorde, con tracce di labiovelari
(velari seguite da labiali).
Le lingue tocarie sono un'importante eccezione geografica all'usuale schema delle ramificazioni dell'indo-
europeo, essendo le uniche diffusesi verso est direttamente dal teorico punto di partenza indoeuropeo nella
steppa pontica e a non aver subito l'innovazione del trattamento delle dorsali tipico delle lingue dell'est
(satem). Alla fine del XIX secolo si dava molta importanza al fatto che le lingue indoeuropee dislocate ad
oriente erano tutte di tipo satem, e si dedusse che in epoca molto antica l'indoeuropeo si divise in una ramo
occidentale (centum) e in uno orientale (satem). Fu quindi una sorpresa scoprire che la parola «cento» (i.e.
*ḱm฀tom) suona in tocario A känt e in tocario B kante, con esito k dell'i.e. *ḱ. Fu quindi ipotizzato che
l'innovazione satem si fosse originata in un'epoca piuttosto recente, in un'area centrale rispetto al territorio
occupato da tutte le lingue indoeuropee e da lì propagata nei territori occupati dalle lingue satem (indoiraniche
ecc.). Ne deriva che le lingue centum (quindi le lingue occidentali e il tocario) sono lingue che non sono state
raggiunte dall'innovazione satem. Attualmente alcuni studiosi ipotizzano che il tocario sia nato in zone
occidentali, emigrato poi verso le sedi storiche in epoche più recenti.

Sistema fonematico:
Vocalismo: perde l’opposizione quantitativa vocalica
Consonantismo: tre serie di originarie occlusive > occlusive sorde
*P
B P
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Bh

Lingue baltoslave
La presenza di una serie di isoglosse comuni ha fatto ipotizzare l’appartenenza alla stessa famiglia. Nel 1900
Antoine Meillet spiegava questi fenomeni come causati da contatto e contiguità areale.
La sede originarie di questi popoli non è quella attuale: nel corso del I millennio i balti occupavano una vasta
area dell’Europa nord-orientale (Lituania, Lettonia, Polonia settentrionale, Bielorussia, Russia e Ucraina – cfr.
idronomastica), ma le invasioni dei germani e degli slavi lasciarono ai balti solo le coste del mar Baltico.
Le parlate erano differenti e solo tre conobbero la scrittura: il prussiano antico (occidentale), il lituano e il
lettone (orientali).
Il testo più antico che conosciamo in antico prussiano sono il Vocabolario di Elbing del XIV sec. e il
Vocabolario di Simon Grunau del 1520. La nostra conoscenza del prussiano antico è dovuta ai tre catechismi
pubblicati a Konigsberg nel 1545-1545-1561, dopodiché il prussiano antico fu sostanzialmente soppiantato dal
tedesco.
Il lituano è documentato solo dal XVI sec. (preghiere e catechismi); si distingue in alto lituano e basso lituano;
la lingua attuale afferisce all’alto.
La lingua lettone ha invece la sua testimonianza più antica in un catechismo cattolico pubblicato a Vilnius nel
1585.
Nonostante la formazione molto più recente di queste lingue, esse rivestono un ruolo importante in quanto
sono fra le più conservative, il lituano in particolare, delle caratteristiche dell’indoeuropeo.

Le lingue slave erano parlate in un’area dell’Europa orientale che va dalla Vistola al Dnepr. Gli slavi si
espansero sino a occupare i territori abitati da balti. Nelle zone della Grecia, Albania e Romania non
riuscirono però a imporre la propria lingua e furono assorbiti dalle popolazioni locali (superstrato).
Nell’896 i magiari invasero l’Ungheria rompendo la continuità del territorio slavo.
Le lingue si suddivisero in tre gruppi:
• Meridionali (sloveno, serbocroato, macedone e bulgaro)
• Occidentali (polacco, ceco e slovacco e dialetti vari – sorabo)
• Orientali (russo, bielorusso e ucraino)
La prima produzione scritta in lingua slava risale al IX sec; nell’862 il monaco Costantino il Filosofo (San
Cirillo) ebbe l’incarico di tradurre in slavo la Bibbia e la liturgia e per far ciò inventò una lingua slava con forte
impronta macedone per cui creò un nuovo alfabeto sul modello greco, il glagolitico; con la caduta dello stato
di Moravia si spostò il baricentro e terminò quella fase che si ricorda come antico slavo ecclesiastico e antico
bulgaro.
In Bulgaria il glagolitico venne abbandonato e si studiò un nuovo alfabeto anch’esso sul modello greco,
denominato impropriamente cirillico, conservato dagli slavi che dopo lo scisma religioso del 1054 aderirono
alla chiesa ortodossa.
Tuttora è utilizzato da questo credo in lingue come russo, bielorusso, macedone e serbo. In opposizione alla
chiesa di Roma (serbi e croati parlano la stessa lingua ma i primi utilizzano l’alfabeto cirillico in quanto
ortodossi, i secondi quello latino in quanto cristiani).
Testi in slavo orientale appaiono anche nel X-XI sec., ma una propria traduzione si ha solo nel XII sec. Il
centro culturale russo fu Novgorod, sino a che a Mosca non si consolidò la cancelleria la cui lingua divenne
quella ufficiale.
Possedendo comunque un’unità linguistica piuttosto compatta, lo slavo antico ecclesiastico è molto simile a
quello comune ricostruibile.
N.B. l’estone è una lingua ugrofinnica
Sistema fonematico:
Vocalismo:
ă ŏ ĕ ĭ ŭ ā ō ē ī ū

o e i u a e i i/y
(gutturale)

*ai
*oi ĕ/i
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Dittonghi: *ei > i


*au *ṷ > v
*ou u *i > y
*eu > y
Consonantismo:
Le sonore aspirate diventano semplici, si deaspirano (cfr. lingue iraniche):
*BHRĀTER > skr. BHRĀTAR
> lat. FRATER
> gr. PHRATER = membro di una patria ≠ ADELPHOS
> got. BROÞAR
> ocs. BRATRŬ (old church slovinik)
Lingue slave satem: confondono velari e labiovelari, e hanno esito diverso per palatali:
*K > S
*Ĝ > Z
*Ĝĥ > Z
Mutamento Ruki:
*AṶS – OS > UXO  se seguito da vocale centrale o posteriore: velare *S > X
*AṶS – ES > UŠESE  se seguito da vocale anteriore o palatina: sibilante palatalizzata *S > Š
Subisce numerose palatalizzazioni:
*K > Č
*G > Ž (*GwENA > ŽENA)
Non sopporta le sillabe chiuse e le trasforma in aperte:
GLAGOL < ing. CALL
> GOLGOL (chiusa) > metatesi GLOGOL > GLAGOL

Armeno
La lingua armena è documentata a partire dal V sec. d.C., quando il capo della chiesa cristiana armena Sahak e
il re armeno Vramsapuh promossero la traduzione in armeno della Bibbia e l’utilizzo della lingua armena nella
liturgia. Il regno era evangelizzato già dal 301 d.C. per mano di Taddeo Bartolomeo.
L’Armenia attraverso la traduzione della Bibbia si proponeva di ricostruire un’identità nazionale con la quale
contendersi con i romani cristiani il controllo della regione.
Il sistema scrittorio risulta essere un alfabeto del tutto originale e perfettamente aderente alla realtà
fonologica dell’armeno; fu ideato intorno al 406 d.C. da un collaboratore di Sahak, Mesrop, ecco perché si parla
di alfabeto mesrobiano (36 + 2 fonemi per tradurre in epoca medievale). In questo secolo fioriscono le
traduzioni (molto fedeli) di opere greche cristiane e ampi testi letterari; il primo secolo di vita della letteratura
armena è infatti il più ricco e aureo. Per lungo tempo gli autori cercarono di tradurre questi testi e scriverli
nella cosiddetta lingua scritta (grabar).
Il nome originario della terra fu Hayastan (terra di Hay), eponimo eroe fondatore < skr. STAHNA < *STA (il
termine “Armenia” utilizzato da altri popoli in particolare comparso nell’iscrizione parietale di Dario sotto i
Seleucidi e indipendente fino alle guerre con Mitridate). Qui governava la famiglia partica degli Arsacidi,
soppiantati da quella dei Sasanidi dal 227.
Dal XII al XVII sec. si parla di medio armeno, solo dal XVII inizia quella che viene considerata la fase
moderna, che vede una diversificazione dialettale:
• Armeno orientale: più conservativo e più vicino all’armeno classico
• Armeno occidentale: si realizza la seconda rotazione consonantica armena (le consonanti sorde non
aspirate diventano sonore, mentre le sonore si desonorizzano)
A oggi la lingua ufficiale della Repubblica Armena è basata su un dialetto orientale. L’armeno fu a lungo
ritenuto appartenente alle lingue iraniche poiché circa la metà delle parole dell’Armeno classico non deriva
direttamente dall’indoeuropeo preistorico ma sono in prestito dal partico e dal persiano; nel 1875 Heinrich
Hübschmannm dimostrò questa indipendenza dell’armeno, a causa anche dei prestiti dal greco e dal siriaco,
lingue del cristianesimo. Schroder aveva infatti postulato la presenza di quattro strati di lessico:
• Prestiti iranici
• Prestiti greci
• Prestiti siriaci

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• Vocabula eius linguae propria (gruppo ridotto di termini proveniente dall’i.e., possibile a causa della
collocazione geografica dell’Armenia, che occupava parte dell’attuale Turchia, chiusa a nord del
Caucaso ma completamente aperta a sud ai popoli siani, iranici e iracheni)
La morfologia armena è invece praticamente immune da influssi iranici; molto semplice:
• Nessun genere
• 2 numeri
• Casi ben conservati
• Sistema verbale semplice
In tempi successivi il parlato si differenzia troppo dallo scritto; crollato il primo regno ne sorse un secondo
dove si continuò la lingua, quello di Cilicia; a oggi: ameno orientale, più conservativo e vicino all’antico
armeno occidentale, che subisce la rotazione consonantica
Comunità armene sorgono in Iran, Medio Oriente, Aleppo, Turchia, Italia, America, Francia, Gerusalemme,
Vienna e San Lazzaro (VE).

Sistema fonematico:
Vocalismo: perde l’opposizione di quantità:
ā/ă > a i sparisce
ĕ>e ṷ consonantizza
ē, ī/ĭ > i ə >a
ŏ>o
ō, ū/ŭ > u

Dittonghi: *EI, OI > Ĕ


*EU, OU > OI
*AI, AU si conservano
Frequente fenomeno di sincope delle vocali, in particolare passaggi di accento libero i.e. a accento fisso su
penultima sillaba, determinando l’indebolimento e la scomparsa dell’originaria sillaba finale: tutte le parole in
armeno sono tronche
Consonantismo: rotazione consonantica (simile alle germaniche ma del tutto indipendente):
*occlusive sorde > sorde aspirate P > H/Ø T > Tc [th] K > Kc
*occlusive sonore semplici > sorde B>P D>T G>K
*occlusive sonore aspirate > sonore semplici Bh > B Dh > D Gh > G

*KW > Kc/ Ĉc *K > Ś


*GW > K *Ĝ > C [ts]
*G h > G/ Ĵ
W *Ĝĥ > J [dz]
Le labiovelari subiscono la palatalizzazione solo davanti a vocale palatale. Le velari si palatalizzano.
*UERG = lavorare > gr. (W) ERGON
> arm. GORC (cade l’ultima)
*Pə TER > *HATIR > HAY
*DŌROM = dono > gr. DŌRON
> arm. TOWR/ TOUR
*AVIS = uccello/ pennuto > arm. HAW
*LEUK/ LOUK = luce > arm. LOYS
*GwERMÓS = calore > skr. GHARMÓS
> gr. THERMÓS
> arm. JERM
*DAIGH/ DHEIGH > lat. FINGO, FIGULUS = vasaio
> got. DAIGG = impasto del pane
> arm. DĒZ (palatalizza) = mucchio, ammasso

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Lingue balcaniche
Attualmente le lingue della penisola balcanica sono tutte slave con l’eccezione del rumeno (neolatina) e
dell’ungherese (ugrofinnica)

❖ Greco
Il greco, insieme all’anatolico, è la lingua di cui possediamo la documentazione più antica, risalente al II
millennio a.C.; grazie agli scavi compiuti nei siti archeologici dei palazzi micenei sono giunti siano a noi veri e
propri archivi amministrativi: tavolette di argilla utilizzate per scopi burocratici e quindi contenenti liste,
elenchi, registri. A palazzo si esercitava quindi il controllo su tutte queste attività. Numerose e importanti
sono le tavolette ritrovate nel palazzo di Cnosso, 1400 a.C. (Schliemann) e nel palazzo di Pilo, in Messenia – i
palazzi probabilmente subirono distruzioni improvvise e violente, visto lo stato di cottura in cui sono state
ritrovate alcune tavolette. I registri dei palazzi sono scritti tutti secondo la stessa varietà di greco, il miceneo,
ed è utilizzato il medesimo sistema scrittorio, la lineare B, un sistema sillabico composto da soltanto un
centinaio di segni che riproduceva quindi con ambiguità il sistema fonatorio greco (lo notarono perché i
simboli erano pochi per una scrittura ideografica e troppi per una alfabetica), e scompare con il crollo dei
Micenei. Questo sistema sillabico è un adattamento della lineare A, il sillabario con cui i minoici fino alla
conquista dell’isola nel 1450 c.a. scrivevano, anche se non è stata tutt’ora identificata. La scrittura tuttavia fa
la sua comparsa intorno all’VIII sec. a.C., l’epoca a cui risalgono le più antiche iscrizioni alfabetiche. Nella
Grecia delle poleis indipendenti troviamo diverse varietà dialettali (ionico-attico, eolico, dorico e arcadico-
cipriota).
La scrittura ricompare nell’VIII sec. a.C. ma in forma alfabetica e costituisce un adattamento al greco della
scrittura consonantica fenicia, e assegna il valore di vocale (non presente nell’alfabeto fenicio) a segni
consonantici per loro superflui (alfa = alef, occlusiva).
Il mondo greco presenta una grande varietà di alfabeti e dialetti locali: forse sono retaggio di “ondate”
successive che crearono questo mosaico, e in origine i dialetti erano molto diversi e solo la vicinanza li ha resi
più simili. L’alfabeto di Mileto si impose a partire dal IV sec., poiché Atene ebbe la funzione di polo centripeto
per l’unificazione della lingua. Proprio Atene fu un fulcro per la cultura della Grecia antica, la cui lingua,
riportata nei manuali, è proprio la varietà dialettica ateniese, l’attico. Il processo di unificazione della lingua
ebbe buon esito nel III sec. c.a., quando si giunse alla koinè, appunto la lingua comune.
A ogni modo fino all’espansione araba il greco rimase la lingua di riferimento del Mediterraneo orientale.

Sistema fonematico:
Vocalismo: il greco è la lingua i.e. che meglio conserva il sistema vocalico dell’*i.e.: mantiene infatti
l’opposizione della quantità vocalica dei cinque timbri. Le semivocali scompaiono e la schwa ǝ > A/ E.
In ionico attico si aggiungono poi nuove Ē e Ō (fenomeni di contrazione e allungamento di compenso); in
questa varietà dialettale il cambiamento coinvolge anche la A > E:
dorico MATER > ionico METER
Non mancano fenomeni di contrazione (fusione di vocali contigue in una) e allungamento/compenso
(semplificazione del nesso consonantico che determina l’allungamento, o compensazione, della vocale):
*SELANAS < SELAS = splendere
> dorico SELANA > attico SELENE (poi taboo)

Consonantismo: le tre serie di occlusive i.e. si mantengono tra loro distinte, ma le sonore aspirate > sorde
aspirate: *Bh > Ph *BHERO > PHERO
*Dh > Th
*Gh > Kh
Successivamente a questa desonorizzazione vi è una deaspirazione di quelle iniziali a inizio di sillaba che si
verifica quando una seconda chiude la stessa sillaba o apre la successiva (è quindi soggetta a Grassmann).
Essendo centum tratta le originarie palatali come velari. Il miceneo conserva le labiovelari, che in fasi
successive evolvono in esiti diversi a seconda della vocale che segue:
E/ I > esito in dentale
lat. QUIS > gr. TIS
A/ O > labiale
U > esito in velare (dissim.)
lat. QUOM > gr. CUM

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Morfologia: piuttosto conservativa (tre generi, tre numeri, cinque casi). L’opposizione dei temi verbali si gioca
sui diversi gradi apofonici. Il tracio, il macedone antico e l’illirico conservano testimonianze indirette della
lingua.

❖ Albanese
L’albanese è di tarda attestazione, infatti il primo documento risale al 1462 e si tratta di una formula
battesimale. La presenza della popolazione nei Balcani deve però essere molto antica, infatti la lingua presenta
tratti di arcaicità. Come l’armeno è quindi da considerarsi una lingua autonoma, non appartenente a nessuna
sottofamiglia i.e.
L’attuale Albania molto probabilmente non corrisponde a quella antica, così la ricostruzione della lingua
antica risulta ancora più difficile (attestazione di ciò è che per esempio la terminologia marina è
completamente frutto di prestiti di altre lingue). A oggi distinguiamo due varietà:
• Il tosco: a sud, affermatosi come lingua ufficiale in seguito alla seconda guerra mondiale
• Il ghero: a nord
• Piccole comunità situate in Grecia, Macedonia, Italia meridionale e Sicilia (i cui antenati scapparono
dall’invasione ottomana) parlano alcune varietà come l’albaresh o il greganico, una sorta di dialetto
greco (sud Italia)

Lingue italiche
❖ Latino
Inizialmente era parlato in una piccola regione dell’Italia centrale, nella zona del Latium vetus, dove però
conviveva con altre parlate. Già nel IV sec. a.C. si era espanso in tutto il Lazio.
Fino al III sec. a.C. abbiamo solo documentazioni epigrafiche, poi inizia la produzione letteraria con il 240 a.C.,
data a cui risale la prima rappresentazione drammatica. La prima documentazione è incisa sul Cippo del Foro
romano, ma sono poche le parole leggibili.
Espandendosi, il latino andò a differenziarsi ulteriormente, sovrapponendosi alle lingue dei territori
conquistati (substrato). La lingua latina, tuttavia, non fu mai imposta, ma passò da un’iniziale convivenza alla
creazione di una sorta di varietà dialettale influenzata dalle lingue di sostrato.
L’alfabeto utilizzato è un adattamento di quello etrusco che a sua volta deriva da una varietà di alfabeto greco.
In stretta relazione vi è il falisco.
Con l’età imperiale del II sec. d.C. si giunse alla massima espansione della lingua, conservata principalmente
nelle scuole e grazie all’amministrazione.
Tuttavia il latino non riuscì a penetrare ovunque e a imporsi nello stesso modo, tant’è vero che a Oriente non
avrà mai il sopravvento sul greco.
Dal III/IV sec. d.C. si avvia una crisi che porta a una diversificazione ancora più intensa, arrivando alla
frantumazione in veri e propri latini regionali, che daranno poi vita, dove il latino sopravvisse, alle lingue
romanze o neolatine. Rappresentavano queste un’evoluzione del latino volgare, diversificato in vede e proprie
diversità regionali. La caduta dell’impero rese il processo di frammentazione irreversibile. I primi documenti
scritti delle lingue romanze risalgono al IX sec. d.C., tra cui ricordiamo i Giuramenti di Strasburgo in francese
antico dell’842.

Sistema fonematico: in un primo momento conserva bene il sistema fonologico dell’i.e., sia il vocalismo che il
consonantismo (a eccezione delle spiranti); essendo una lingua centum le palatali i.e. vengono trattate come
velari.
Vocalismo: successivamente il forte accento protossilabico provoca un indebolimento delle vocali brevi atone
sino alla sincope o alla perdita del timbro originario.
Il consonantismo subisce il rotacismo, cioè la semplificazione di certi nessi consonantici in determinati
contesti fonetici. La forma della parola muta rendendosi talmente differente dall’originare da rendere oscura la
ricostruzione dell’origine:
*SŲESOR = sorella > skr. SVASAR
nesso SŲE > SŲO > SO + rotacismo = SOROR

La morfologia si innova e muta: perde un numero (il duale); perde il locativo, lo strumentale; perde l’ottativo e
l’aoristo si fonde con il perfetto

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❖ Osco-umbro
A questo gruppo appartengono quelle lingue i.e. dell’area italiana centro-meridionale prima che venissero
sostituite dal latino. Possediamo una documentazione epigrafica dal VI sec. a.C. al I d.C. Il nome è dovuto al
fatto che le due lingue citate siano le meglio documentate, ma possiamo usare altre definizioni, come sabellico
o italico.

L’osco è la lingua dei sanniti, una popolazione dell’Italia meridionale; tra le iscrizioni più importanti ci sono:
• Cippo Abellano (Avella, Nola, II sec.): inciso in un alfabeto nazionale osco, adattatosi all’etrusco.
Contiene un trattato riguardo al controllo di un tempio di Ercole
• Tavola Bantina (Bantia, Potenza, I sec.): incisa in latino, contiene una serie di ordinamenti legislativi –
per altre iscrizioni osche è invece utilizzato l’alfabeto greco

L’umbro è diffuso nell’attuale Umbria; è documentato principalmente nelle Tavole Iguvine (Gubbio, II-I sec.),
incise sul bronzo e nell’alfabeto nazionale umbro, destrorso, detto epicorio, e nelle parti più recenti in caratteri
latini; queste descrivono i rituali e i regolamenti interni dei fratelli Atideii, una congregazione religiosa simile
ai fratres arvales latini. I riti descritti sono molto affini a quelli riportati dai testi indiani Veda, e ciò
dimostrerebbe l’integrità e l’identità culturale delle origini.

Le altre lingue del gruppo sono meno documentate (equo, volsco, sabino, marrucino, vestino, frentano,
marsico, peligno, sudpiceno). Tra le più attestate il peligno, mentre il sudpiceno ci fornisce le attestazioni di
più antica datazione.
La progressiva conquista romana della penisola determinò la scomparsa di queste lingue a vantaggio del
latino.

Sistema fonematico:
Vocalismo: l’osco-umbro conserva l’opposizione di quantità vocalica i.e., ma avviene un riassestamento delle
opposizioni di timbro: Ē/Ĭ > Ě
Ō/Ŭ > Ŏ
Consonantismo: sonore aspirate > spirantizzano
MEFIAI > lat. MEDIAE < *MEDHIO = sta nel mezzo
> skr. MADHYAS
> got. MIDJIS
lat. RUFUS = rosso (n.) ≠ lat. RUBER = rosso (colore) < *REUDH/ ROUDH/ RUDH
esito condizionato: la dentale quando > gr. E-RUTHROS conservano
vicina a suono velare passa a labiale > skr. RUDHIRA l’accento
> got. RAUÞS
> oe. REOD
> aat. ROT
Queste differenze si trovano più spesso in termini che hanno a che fare con il mondo contadino: gli osci erano
più rurali dei romani.
Inoltre le labiovelari > labializzano (nonostante siano centum) come succede nel dialetto eolico e celtico:
lat. QUIS > os-um. PIS
Ciò accomuna l’osco-umbro all’eolico e a parte del celtico, alimentando l’ipotesi di un’originaria unità quando
ancora si trovavano nei Balcani.

Altre lingue i.e. dell’Italia antica:


Indoeuropee:
o Celtico: detto anche “leponzio”, di cui abbiamo testimonianze più antiche; erano parlate nella zona dei
laghi alpini, tra Piemonte e Lombardia; utilizzava un alfabeto di derivazione nord etrusca
o Venetico, parlato nell’area del Friuli e del Veneto e, come il celtico, utilizza un alfabeto di derivazione
nord-etrusco adattato alla lingua
o Etrusco: parlato dalla Pianura Padana alla Campania, interrotto da piccole isole di latino e falisco
(forse varietà dialettale latino / lingua indipendente)
o Messapico: varietà di Illirico parlato nel Salento

Appartenenza dubbia:
o Ligure (pochissima documentazione)
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o Retico: VII sec. a.C.; forse famiglia non i.e. tra retico+etrusco+lingua dell’isola di Leminos
o Nordpiceno
o Siculo, di cui si sa pochissimo ma si sospetta l’appartenenza alle i.e.; fondamentale fu il greco per il
quale giunse nella penisola, attraverso gli etruschi, l’alfabeto

Qualcuno ipotizza una lingua coeva e contemporanea al latino, l’italico comune; altri pensano invece che si
trattasse di lingue molto differenti inizialmente che poi influenzandosi si sono livellate le une sulle altre, sino a
sviluppare tratti comuni: liquida > vocale d’appoggio O
nasale > vocale d’appoggio E

Lingue celtiche
L’inizio dell’espansione coloniale dei celti è di difficile collocazione cronologica; forse si tratta di popolazioni
originarie delle regioni dell’altro Reno e Danubio; in ogni caso nel corso del IV sec. un’ampia porzione di
territorio europeo era occupato da popolazioni celtiche; inoltre nel III sec. a.C.: la tribù dei galati stabilì il
proprio regno in Anatolia. Le conquiste romane e la pressione del latino, i Germani e le invasioni barbariche e
tutte le vicende storiche provocarono l’estinzione di tutte le parlate celtiche dell’Europa continentale. Tuttavia
sono rimaste testimonianze nei toponimi:
GAL- = forza, potenza > Galizia, gaelico, Galles
DUNUM = località fortificata > Lugdunum, Chiuduno, Verdun
BONA > Bononia, Ratisbona (Vienna)
Le lingue celtiche vengono suddivise in:
• Continentali (estinte): leponzio, gallico (documentazione più ricca) e il celtiberico; la conoscenza di
queste lingue negli ultimi anni è notevolmente progredita, ma nonostante ciò rimane piuttosto
incompleta e incerta
• Insulari: gaelico (o goidelico), di cui distinguiamo irlandese, scozzese e il dialetto dell’isola di Man e il
britannico (o brittonico) con il cornovagliese, il gallese e il bretone

Linguistica storica
La linguistica storica si serve di altre branche della linguistica (tipologica, che studia la frequenta di un dato
episodio) e di altre discipline umane come archeologia, epigrafia e filologia.
In particolare è stretto il rapporto con quest’ultima (si sviluppano entrambe in età alessandrina nel III sec.
a.C.). Tuttavia la riflessione sul linguaggio risale a quando l’uomo ha iniziato a parlare ed è approdato poi alla
scrittura, riflettendo su di esso e sulle sue caratteristiche.
Già nel mondo greco classico figura una riflessione sul linguaggio dal carattere puramente filosofico (cfr.
Cratilo, Platone).
Riguardo alle origini del linguaggio ci sono diverse scuole di pensiero:
• Il linguaggio sarebbe una convenzione, un patto sociale non formalmente istituito, secondo il quale
si utilizzano determinati nomi per indicare determinati oggetti. Ecco perché la relazione oggetto-
nome sarebbe nulla, priva di qualsiasi significato (Aristotele, Epicuro)
• Il linguaggio sarebbe naturale, sviluppato grazia a un contatto con la realtà esterna.
I nomi sarebbero stati decisi da un onomaturgo che avrebbe stabilito una relazione molto stretta
fra cose e il nome a loro attribuito, in quanto questo ci direbbe qualcosa riguardo all’essenza
dell’oggetto nominato (sensisti, empiristi)
Platone nel Cratilo fa dialogare Ermogene (il linguaggio è una convenzione), Cratilo (i nomi riflettono la
natura delle cose) e Socrate (porta le tesi di Platone: esiste una realtà ulteriore a nomi e cose)

Genesi 10, 1 e segg.: “Questa è la discendenza dei figli di Noè: Sem, Cam e Iafet, ai quali nacquero figli dopo il
diluvio. […] Da costoro derivarono le genti disperse per le isole, nei loro territori, ciascuna secondo la propria
lingua e secondo le loro famiglie, nelle rispettive nazioni.”
Genesi 11, 1 e segg.: “Tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole. […] 6 Il Signore disse: "Ecco,
essi sono un unico popolo e hanno tutti un'unica lingua; questo è l'inizio della loro opera [la costruzione della torre di
Babele], e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro
lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro".
Il primo scritto riguardo l’origine del linguaggio risale alla Bibbia e in particolare a Genesi, 10-11. I due
estratti sono in contrasto, ma ciò che conta è il fatto che da entrambi emerga una riflessione sul linguaggio: gli
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uomini possono comunicare tutti secondo una stessa lingua (origine comune del linguaggio), ma per
ostacolare il progetto della torre di Babele la loro lingua sarebbe stata “confusa” per impedire loro la
vicendevole comprensione. Il linguaggio sarebbe quindi connaturato all’uomo e di un'unica origine.

Anche Dante Alighieri nel De Vulgari Eloquentia sosteneva che le lingue d’Europa potevano essere divise in tre
grandi ceppi:
• Settentrionale (germaniche)
• Sudorientale (greco)
• Sudoccidentale (ripartito nell’idioma triphonium: si, doc e d’öil)
Si tratta di un criterio di divisione lessicalista: egli riflette sul lessico e sugli avverbi di affermazione

Sempre utilizzando questo criterio, Giuseppe Giusto Scaligeno, nel 1500 analizzò la parola “divinità” e arrivò
a postulare la presenza di 11 lingue matrici, di cui:
• 4 maggiori: greco, latino, germanico, slavo
• 7 minori
Le novità stavano nell’idea di un’unica lingua madre e nel numero che andava sempre aumentando di lingue
esistenti.

Nacquero l’ipotesi poligenetica (la lingua nasce da categorie di base innate in tutti gli uomini, che tuttavia si
esplica in esperienza diverse) e quella monogenetica, e il dibattito si fece sempre più aspro; i missionari si
dedicarono alla storia della lingua, sforzandosi di descrivere il funzionamento delle lingue e questo ha
consentito di conservare tracce di lingue andate perdute (nel 600/700 compare una serie di testi
sull’argomento e in particolare un testo che testimonia la parentela fra le lingue, osservazioni su queste e
traduzioni di preghiere di K. Von Gesner, Mi0htridates… observationes, che ha per protagonista Mitridate, re
del Pento, secondo la leggenda assai abile a memorizzare varie lingue – contiene il padre nostro in 22 lingue).
L’amore per l’esotismo condiziona la scientificità di questi lavori, che traboccano di affinità apparenti e non
reali, senza principi dimostrabili.
Con la colonizzazione delle Indie da parte della corona britannica, gli inglesi vengono a contatto con le lingue
nuove e con popolazioni locali; per poter dialogare studiano i testi sacri indù e il sanscrito. In particolare
Filippo Sassetti (1540-1588), umanista, il 27 gennaio 1585 scrive una lettera a Bernardo Davanzati in cui parla
di questa nuova lingua, dice che si impara a scuola e che presenta molte affinità con quella parlata dai suoi
contemporanei e con il latino (numeri, divinità, serpe).
I manoscritti furono conservati per lungo tempo gelosamente dalla Chiesa alla Biblioteca reale di Parigi,
motivo per cui anche San Bartolomeo poté osservare queste somiglianze.
Queste affinità si dovevano a una sorta di parentela; nel 1786, in occasione di una conferenza pubblica, la Third
annual conference asiatic society of Bengala, tenuta da Sir. William Jones (1746-1749), capostipite della linguistica
storica, si osservarono somiglianze fra greco-latino-sanscrito nel sistema verbale e morfologico. Era quindi
innegabile una discendenza comune. Si notarono anche affinità con gotico e celtico, ma in modo minore, poiché
solo a livello morfologico e non lessicale.
Le teorie di Jones vengono esportate in Europa, e in Francia viene pubblicata una traduzione dell’Avesta, il
testo fondamentale dello zoroastrismo.

Hemilton e entrambi i fratelli Schlegel cominciarono a insegnare sanscrito nelle scuole. Friedrich pubblicò
l’Uber die Sprache und Weisheit der Indier, 1808, ma da buon romantico è interessato all’aspetto contenutistico,
al volksgeist e alla nobilitazione della lingua tedesca, superiore a quella sanscrita, per il principio: se è vero che
la lingua del popolo riflette lo spirito di questo, allora i tedeschi saranno superiori a qualsiasi altro popolo.
Quella di F. Schlegel è la prima opera a inserirsi in un panorama filosofico molto ampio.
Se Jones affermava che la lingua madre era scomparsa, Schlegel affermava che questa era il sanscrito e tutta la
cultura indiana; contemporaneamente agli studi sulle razze, i due fratelli si interessarono alle lingue e le
divisero tipologicamente in:
• Organiche: flessive (greco, latino), caratterizzate da una radice che porta il significato e che quindi crea
morfemi attraverso i quali esprime tutte le varie derivazioni per la proliferazione spontanea
• Non organiche: non flessive, ulteriormente divise in: - senza grammatica o monosillabiche
- con affissi (meccaniche o agglutinanti)
- viventi

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Basato su una maggiore o minore sensazione di semplicità della lingua, secondo cui più semplice
significava più rozza  se la lingua è lo spirito del popolo, una lingua semplice era sinonimo di un
popolo rozzo
La classificazione fu ulteriormente modificata grazie ai contributi di Bopp, Schleicher, Pott, ma soprattutto
grazie a Wilhelm Von Humboldt, il quale diede una vera e propria classificazione tipologica.
Egli concepì il tipo come una categoria astratta, consapevole che non esistono lingue pure poiché in tutte si
nota una compresenza di tratti; inoltre afferma l’assoluta infondatezza della presunta superiorità di una lingua
su un’altra. E queste sono:
• Isolanti: le informazioni grammaticali sono espresse da elementi lessicali autonomi e dalla posizione
che l’elemento lessicale occupa nella frase (lingue orientali)
Cavallo + molti + femmina = cavalle
• Agglutinanti: le informazioni grammaticali sono espresse da affissi a funzione univoca e basso grado
di fusione con la radice
ungherese. Gyerek = bambino
Gyerek-ek = bambini
Gyerek-nek = al bambino
Gyerek-ek-nek = ai bambini
• Flessive: le informazioni grammaticali sono fuse insieme in un morfema che assomma in sé diversi
valori (genere, numero, caso); in sincronia non si può identificare nel morfema la parte che corrisponde
alla singola funzione e spesso le informazioni sono veicolate dalla modificazione della radice (morfemi
zero)
Pueros: i bambini
• Incorporanti o polisintetiche: le informazioni grammaticali sono contenute nella fusione di più
morfemi, non solo grammaticali, ma anche lessicali, in quanto la relazione di elementi retti e elementi
reggenti è resa incorporando i primi nei secondi
Angya – ghlla – ng – tug – tuq = egli vuole comprare una grande barca
Barca - accr-comprare-desiderativo-3ps

Tuttavia la morfologia non è l’unico parametro per poter distinguere le varie lingue; queste possono inoltre
essere classificate in base al loro maggiore e minore grado di sintesi. All’interno di un tipo come quello
flessivo avremo quindi lingue più sintetiche (come il latino o il greco che utilizzano prevalentemente la
flessione) e lingue più analitiche (come le lingue romanze che hanno sostituito i casi con le preposizioni,
hanno verbi ausiliari, hanno sviluppato l’articolo ecc.)

Franz Bopp istituzionalizza la linguistica. Studia il sanscrito a Parigi da Hemilton e ha occasione di incontrare
Schlegel; si impegna a studiare in modo più tecnico la lingua e nel 1816 pubblica Über das Conjugationssystem
der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache ("Sul
sistema di coniugazione del sanscrito, in confronto con quello greco, latino, persiano e germanico”):
• System: insieme organizzato di forme che interagiscono fra loro, in continuo cambiamento, ciascuna
delle quali si definisce in base alla funzione delle altre, come nel gioco degli scacchi
• Vergleichung: comparare (la base della glottologia)
• Elenco di lingue significativo perché manca un nome alla famiglia
Qui Bopp analizza i loro sistemi verbali per comprendere la genesi del verbo; grazie agli studi degli Schlegel,
afferma che i verbi si formerebbero grazie a un processo di agglutinazione fra un elemento di radice, che porta
in sé l’idea, e un altro, che rimanda alla copula e alla persona:
pot - es - t = «egli può»
potente-essere-egli
Nel 1821 viene chiamato da Von Humboldt a assumere la prima cattedra di linguistica comparata, che diventa
così una vera e propria disciplina. Non smette di studiare e nei 1833-1852 lavora alla Vergleichende Grammatik
des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Gotischen und Deutschen ("Grammatica comparata di
sanscrito, avestico, greco, latino, lituano, gotico e tedesco"), che diventa la sua opera principale – in seguito
aggiunge l’armeno e intuirà che anche l’albanese fa parte della stessa famiglia, ma ancora manca il concetto di
indoeuropeo.
Questa è un’analisi morfologica per separare radice e affissi; inizialmente in sincronia all’interno di una sola
lingua, poi in comparazione per cercare conferme alle ipotesi, distinguendo ciò che è eredità da innovazione.
Non tiene però conto della fonetica, e ciò a volte induce in errore:
skr. A-BHARAM – BHARAMI
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La “A” è in sanscrito quell’elemento (come in greco e armeno la “E”) che serve per segnare l’aoristo (α
privativo), cioè il non-presente, ciò che ora non è più. Bopp lo interpreta come un privativo.

L’attenzione alla fonologia arriverà con Rasmus Rask (1787-1832), che nel 1814 vince un premio per la
miglior ricerca sull’origine del linguaggio nordico con il saggio Undersøgelse om det gamle Nordiske eller
Islandske Sprogs Oprindelse (“Ricerche sull'origine della antica lingua nordica o islandese”).
Egli mette a punto un sistema simile a quello di Bopp e afferma che sia necessario osservare la fonologia: se ci
sono corrispondenze fonologiche, regolari e sistematiche, allora le lingue saranno imparentate. Ovvero, nel
caso specifico del suo studio, concentrato sulla filologia germanica, le regole tassative di trasposizione di una
parola da una lingua a un’altra. Si tratta della prima formulazione del metodo comparativo applicato alla
fonetica, il cui utilizzo consentì a Rask di formulare quella prima rotazione consonantica (legge di Grimm)
che spiegava sistematicamente le differenze tra le consonanti germaniche e quelle delle altre lingue i.e.
Questo mutamento sistematico e incondizionato prevedeva che:
• *occlusive sorde > spiranti sorde
• *occlusive sonore > corrispondenti occlusive sorde
• *sonore aspirate > spiranti sonore
> se a inizio parola/ all’interno precedute da consonante perde l’aspirazione
pedem foot
labium lip
bharami bear
tegere thack
duo two
madhyas middle
cornu horn
granum corn
«La mutazione si verifica nel complesso, ma nei casi singoli non ha mai luogo in modo perfetto».
lat. est got. ist
lat. piscis got. fisks
lat. noctem got. nahts
scr. bandh- got. bindan

scr. dehī got. daigs

Il suono che muta è preceduto da una spirante.


Rask non conosceva il sanscrito. L’opera fu pubblicata in danese, elemento che ne ostacolò la diffusione.
Furono i fratelli Grimm, Jacob e Wilhelm, a riproporne le teorie: con la Deutches Grammatik nel 1825
formularono la legge di Grimm.
Collegando poi le due rotazioni, Jacob intuisce che una serie di mutamenti apparentemente sconnessi potevano
essere resi sistematici, formalizzati e predetti, ma nei casi singoli questa non avverrebbe mai in modo perfetto:
EST > IST
haṁsa- < *ghans > goose

Quindi le *occlusive sorde > spiranti sorde se non sono preceduta da un’altra spirante o se non sono esito di
un’altra rotazione.
La “T” germanica preceduta da fricativa non subisce la legge di Grimm:
skr. BANDH > got. BINDAN
skr. DEHI > got. DAIGS
Il gruppo più complesso di apparenti eccezioni alla legge di Grimm, che tenne impegnati i linguisti per vari
decenni, ricevette una brillante spiegazione da parte del linguista danese Karl Verner, che si accorse che esse
erano legate alla posizione dell’accento in indoeuropeo.

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Grimm scoprì inoltre la seconda rotazione consonantica (spirantizzazione parziale o completa) analoga per
molti versi alla prima, che riguarda il sistema consonantico dell’alto tedesco. Essa ha infatti operato
soprattutto nel tedesco superiore e nei dialetti alpini, mentre non si è prodotta nel basso tedesco e nelle
restanti lingue germaniche. Per questo motivo il sistema delle occlusive e delle fricative dell’inglese, per
esempio, è più arcaico (vicino al proto-germanico) rispetto a quello del tedesco moderno.
I Grimm elaborarono quindi una concezione nuova della grammatica, viva e dinamica, non più statica.
Paradossalmente le grammatiche delle lingue latine sono più antiche delle lingue romanze, considerate una
forma di latino degradato.
Con la Deutsches Worterbuch, negli anni 60 del ‘900, si elaborò la prima grammatica storico-comparata.
Vengono descritti fenomeni come metafonia e apofonia; distinti i verbi deboli: verbi solitamente ricavati da
forme nominali, formano temi del passato mediante un suffisso dentale (cfr. verbi regolari in inglese) e verbi
forti: distinguono i temi della flessione per mezzo di gradi apofonici (cfr. verbi irregolari in inglese), e
possiedono 7 diversi schemi/classi di alternanze apofoniche:
*Ĕ Ŏ Ē Ĕ > got. I
pres. pret.sing. pret.plur. part.pass.
*LEGH LOG LĒG LĔG > lat. LECTUS
> gr. LEKHOS < LEGH
L’ultima pubblicazione risale al 1837: la linguistica storica è ormai matura e ha definito i propri scopi.
Piano piano si indagano altri campi; due erano le lingue che ancora non si conoscevano: l’ittita e il tocario.
Fu August Schleicher negli anni 40 a indagarle utilizzando i metodi che erano stati usati per le lingue i.e., nel
Compendium der vergleichenden Grammatik der indo-germanischen Sprachen (Compendio di grammatica
comparata delle lingue indoeuropee): organizzò sistematicamente le lingue in base alla loro origine, la cui
lingua madre (Uhr Sprache) è andata persa, ormai inesistente, troppo antica e preistorica e senza
documentazione, il cui funzionamento era identico a quello delle lingue moderne.
Le lingue sarebbero quindi organismi naturali che evolverebbero secondo leggi proprie, fuori dall’arbitrio
dell’uomo che non può interferire.
Partendo dalle teorie darwiniane, che vedevano nell’evoluzione un continuo miglioramento per l’uomo,
Schleicher afferma l’esatto contrario, dicendo che l’evoluzione porta con sé un continuo peggioramento che
porta alla scomparsa.
Queste leggi esatte applicate a ritroso portano alla lingua originaria nella sua interezza; formula il modello
dell’albero genealogico. Questo meccanismo per divisione lineare è tuttavia troppo rigido poiché prevede
solo una discendenza verticale, mentre vi è anche un’influenza orizzontale, e pone gli esiti troppo lontani:
secondo questo modello per ritrovare comunanza tra italiano e francese dovrei risalire al latino, in quanto
secondo Schleicher non si sarebbero più successivamente influenzate.

Schleicher rese concreta la possibilità di ricostruire l’indoeuropeo. Scopo della linguistica è la ricostruzione
della lingua madre, per dimostrare che la ricostruzione è possibile in ogni aspetto della lingua; scrive una
favola in *i.e. (La pecora e i cavalli), che viene continuamente aggiornata mano a mano che si aggiornavano le
teorie. In realtà la lingua manca di spessore geografico, storico (le testimonianze da cui la deriviamo sono
troppo distanti tra loro temporalmente), sociale (da chi era usata):

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«Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro
trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: "Mi piange il cuore vedendo come l'uomo tratta i cavalli". I cavalli le
dissero: "Ascolta, pecora: per noi è penoso vedere che l'uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore,
mentre le pecore restano senza lana". Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi.»

Schmidt propone un altro modello, il modello a onde.


Il mutamento qui si produrrebbe da un punto e poi si propagherebbe (metafora del sasso nell’acqua, in cui le
onde diventano sempre più irregolari fino a perdersi). Talvolta più cambiamenti possono interagire

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(isoglosse). Così facendo Schmidt introduce una dimensione nuova nel mutamento, quella dello spazio,
coordinata che dominerà il secolo successivo dando vita alla geografia linguistica.

Nel 1862 Grassmann e Luther giungono a spiegare una serie di incoerenti eccezioni della prima rotazione
consonantica, in cui le occlusive i.e. si trasformano nel modo di articolazione:
• Occlusive sorde > spiranti sorde
*P > F
*T > Þ
*K > H
*Kw > Hw
• Occlusive sonore > occlusive sorde
*B > P
*D > T
*G > K
*Gw > Kw
• Sonore aspirate > spiranti sonora
> deaspirano se all’inizio/interno preceduta da consonante
*Bh > ƀ / B
*Dh > đ
*Gh > G / Y
*Gwh > Gw / Y(w)
Luther isola le false eccezioni (prestiti, termini non germanici, presunti legami di parentela errati) e individua i
casi in cui l’occlusiva sorda non muta perché preceduta da spirante o perché esito di un’altra rotazione:
lat. PISCIS > FISKS (K rimane perché preceduta da S)
Ma tutto il restante gruppo di eccezioni non era ancora stato spiegato. Si dovette aspettare il 1877 quando il
danese Karl Verner giunse a spiegare queste irregolarità, formulando una legge che vedeva nella posizione
dell’accento e nell’ambiente sonoro i fattori determinanti. Legge di Verner: “L’occlusiva sorda i.e. passa a
spirante sonora anziché a sorda quando non sia immediatamente preceduta da accento e si trovi in contesto sonoro (come
intervocalica o liquida nasale); le spiranti sonore risultanti tendono a occlusivizzarsi”:
got. BROÞAR; oe. BROÞAR > BROTHER aat. BRUDAR > BRUDER
(si sonorizza perché segue la sonante)
got. FAĐER > FADAR > aat. FATAR (*đ>d>t II rotazione)
*SEP(T)Ṃ > skr. SAPTÁ; lat. SEPTEM; gr. HEPTA
> got. SIBUM/SIßUM/SIBUM
> ae. SAEFRAN (metafonia velare)
> aat. SIBUN > SIEBEN
*KṂTÓM > skr. SATAM; av. SATɘM; gr. HEKATON; lat. KENTUM
> got.; a.sassone; o.e. HUND
*AL-TÓS > AD-ULT-OS < *AD-AL-TOS = colui che nutre
> lat. ALTUS = nutrito fino a farlo diventare grande (crescita fisica)
> ae. EALD > OLD = crescita mentale
> aat. ALT

Apofonia latina: l’apofonia latina (facio e conficio) è ben diversa dall’apofonia i.e.; infatti la prima vede
l’indebolimento delle vocali causato dall’accento, ha una natura meccanica e consta di un innalzamento della
vocale che può giungere sino alla sincope, soprattutto per quanto riguarda le vocali alte. L’apofonia
indoeuropea (facio  fecit) invece vede un’alternanza regolare tra quantità e qualità (timbro) nella vocale
radicale e ha valore morfologico, per differenziare le diverse forme (solitamente gradi verbali)
se la A in origine era tonica > atona, si indebolisce e si alza  ÁD-ALTUS
se la A è in sillaba libera (si chiude con vocale) > I  CAPIO > ACCIPIO < *AD-CAPIO
se la A è in sillaba chiusa (si chiude con consonante) > E  INERMIS < IN-ARMIS = privo di armi
se A seguita da L velare (+A, O, U, o consonante) > U  ALUMNUS < *ALOMENOS = piccolo che
va nutrito  metafora insegnamento

La legge di Verner si applica anche alle spiranti sorde che diventano sonore */S/ > /Z/ che poi nei dialetti
alto tedeschi rotacizza > /R/

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Il verbo “essere” presenta il fenomeno di suppletivismo (in uno stesso paradigma entrano a far parte due o più morfemi
lessicali diversi. Il risultato è un paradigma che contiene morfemi lessicali differenti dal punto di vista formale ma dal significato
perfettamente compatibile) della radice:
*WAS/ *WESUM > ae. WAES/ WAERAN
> ted. WAR/ WAR

L’alternanza grammaticale: a causa dell’originaria variabilità della posizione dell’accento (in fase
pregermanica), tra lessemi corradicali o tra le diverse forme di un medesimo paradigma, in germanico, qualora
la radice termini con una tenue o con una sibilante, si osserva l’alternanza tra spiranti sorde o, viceversa,
spiranti sonore e loro esiti. Queste variazioni testimoniano l’originaria alternanza tra forme con accento
radicale (presente e preterito sing.) e forme con suffisso tonico (preterito pl. e part. preterito).
ie. *ES-/S- > lat. SUM, ES I e II persona sing., SUMUS, ESTIS, I e II persona pl.
ie. *WES- > ags. WESAN, vb. forte. della V cl. (in germanico il verbo “essere”, come nel resto delle
lingue indoeuropee, è formato con suppletivismo radicale)
Presente ags.: sing. 1: EOM, 2: EART; 3: IS; pl. 1/2/3: EARON.
L’alternanza grammaticale si mantiene in ingl: sing.: 1: AM; 3: IS; pl. 1/2/3: ARE
Preterito ags.: sg. 1: WAES, 2. WAERE (col grado vocalico e consonantico del plurale); 3: WAES; pl.
1/2/3: WAERON (di qui ingl. was/were).
È un fenomeno per cui all’interno di un paradigma flessivo o tra forme corradicali si verifica un’alternanza fra
spirante sorda e sonora dovuta all’effetto della legge di Grimm e Verner:
*DEUK = tirare > lat. DUCERE < gr. zero *DOUK
La stessa radice dà nella seconda classe dei verbi forti: *DEUK/ DOUK/ DUK/ DUK
Il gotico non presenta l’alternanza vocalica: *TIUHAN/TAUH/ TAÚHUM/ TAÚHANS

Frattura gotica: fenomeno di fonetica combinatoria, esclusivo della lingua gotica, che comporta l’apertura di
vocali brevi radicali, per effetto di suoni consonantici in sillaba postonica:
germ. *E/I > got. AI se seguono R/H/HV  germ. *HERTA > got. HAIRTO «cuore»
germ. *U > got. AU se seguono R/H/HV  germ. *HURNA- = corno > got. HAURN

Tutte queste scoperte determinarono una certa regolarità, come già sosteneva Schleicher in pieno positivismo
quando studiava le lingue come organismi naturali soggetti a proprie leggi fuori dall’arbitrio dell’uomo. Da
ciò partiranno i Neogrammatici, studenti legati all’università di Lipsia (tra cui Brugmann, DelBrüch,
Hoffstaff); il nome del gruppo è spregiativo, disprezzati a causa dei loro contrasti con i maestri, accadde che
approfittando della cura della rivista che era stata loro affidata e dell’assenza del maestro pubblicarono un
articolo illecito su una presunta scoperta: la presenza in protoindoeuropeo di sonanti (Ḷ, Ṛ, Ṃ, Ṇ), che essendo
particolarmente sonore possono svolgere la funzione di fulcro di sillaba e possono arrivare a fungere da vocali
(tipiche delle lingue slave e germaniche). Ovviamente tutto era analizzato dal punto di vista dello spirito
positivista che privilegiava le scienze esatte e la linguistica e le altre scienze “molli” tentavano di adeguarsi ai
criteri scientifici di fisica e matematica:
• La lingua non è totalmente indipendente dall’individuo (vs. Schleicher)
• Il mutamento è meccanico, ineccepibile e uniforme: tutte le parole in cui un suono si trova nel contesto
dato subiscono il dato mutamento.
Obiezioni: le eccezioni sono spiegabili con il livellamento analogico; il mutamento è considerato come una
legge fisica; non tiene conto della dimensione socio-culturale; non tiene conto dell’interferenza linguistica
Meriti: rivalutano le fasi moderne della lingua, cioè quelle antiche ma attestate; le leggi da loro scoperte
valgono tutt’ora
Dal manifesto del gruppo emerge la volontà di sottolineare il meccanismo psicologico che assoggetta il
parlante; tutti gli appartenenti a una comunità sarebbero assoggettati dagli stessi influssi che renderebbero
quindi un mutamento uniforme e contemporaneo e in tutte le parole che si trovano nello stesso contesto
(visione uniformista del cambiamento).
I Neogrammatici erano di certo consapevoli che ci fossero delle eccezioni al cambiamento, spiegabili
attraverso il meccanismo psicologico dell’analogia: il parlante tende a eliminare le eccezioni e a applicare la
regola, processo più economico rispetto a tenere a mente l’eccezione. Il mutamento è descrivibile attraverso
una serie di leggi – proprio come se fosse una scienza perfetta.
Tuttavia rimaneva anche dimostrabile il contrario, e ciò scatenò numerose divergenze tra gli studiosi. Non era
infatti considerata la dimensione sociale: l’influenza di altre lingue, i fattori storici e culturali, lo spazio.
Buona parte dell’800 e del 900 fu impegnata in polemiche di questo tipo: Süchar, a esempio, pubblicò un’opera
contro i Neogrammatici nella quale dimostrava le interferenze fra le varie lingue. Tuttavia il loro apporto fu
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fondamentale poiché grazie a loro si iniziarono a studiare le fasi antiche ancora attestate e si promosse lo
studio su testi reali.
I neogrammatici postularono l’esistenza di questi suoni nella fase comune che poi non sarebbero conservati
nelle evoluzioni delle lingue successive, a eccezione della R che ha una continuazione nell’antico indiano;
solitamente sviluppano un appoggio vocalico che assorbe la liquida o nasale:

sanscrito latino greco gotico Nelle lingue slave gli appoggi sono vocali
*Ṛ Ṛ OR, UR A, RA *UR > AÚR ultralievi (ĬR/ŬR; ĬL/ŬL)
*Ḷ OL, UL AL, LA UL
*Ṃ AM, A EM A, AM UM
*Ṇ AN, A EN > IN A, AN UN

Nelle i.e. si presentano come allofoni delle liquide e nasali (cioè una semplice variazione di posizione).
Il meccanismo è il seguente: ER/OR > Ṛ
*KERD > gr. zero KṚD
> got. HIRT > frattura HAIRTO /erto/ > ing. HEART; ted. HERZ (II rotazione)
> gr. KARDIA
> lat. CORD > COR, CORDIS
> arm. SIRT
Le palatali hanno trattamento a parte
*MLD = dolce, mite > skr. MRDIH, MRDUH
> gr. A-MAL-DU-NO = addolcire (anche in senso metaforico)
> lat. MOLDṴIS > MOLLIS
Semplificazione + assimilazione
*DEKM = dieci > skr. DASA
> gr. DEKA
> lat. DECEM
> got. TAIHUN frattura
*Ṇ (usato per prefissi di negazione) > skr. A/AN
> gr. A/AN
> lat. *EN > IN
> got. UN

Giochi apofonici:
*BHER = portare, sopportare > lat. FERO
> gr. PHERO
dal grado debole *BOHR > lat. FORDA = animale incinta, bovina, mucca
> gr. PHOROS = tributo
> lat. FUR = ladro (colui che porta via) per alcuni corradicali, per altri
> gr. PHOR prestito
dal grado forte *BHR > skr. BHRTA = portato
> gr. PHARETRA = attrezzo dove si portano le frecce
> lat. FORS da abl. forte = portato dalla fortuna
> got. BAURANS = praeteritum di BAIRANO < inf. BHER

George Wenker si propose di stabilire i confini precisi di alcune aree dialettali che separavano i dialetti alto-
tedeschi e quelli basso-tedeschi; così prepara un questionario con alcune parole e frasi isolate che invia presso i
parroci e i maestri di scuola delle aree studiate per chiedere loro il corrispondente linguistico in dialetto –
analizzò così più di 40000 termini. I risultati erano opposti agli studi dei neogrammatici: non si riuscivano
infatti a definire dei confini precisi.
Analizzando lo sviluppo della seconda rotazione consonantica, che concerne le occlusive sorde del
germanico, che a loro volta hanno già subito la prima rotazione consonantica, si ha:
• Affricate se l’occlusiva è iniziale, interna o finale se post-consonantica, geminata
*P > PF
*T > TS
*K > KX
*Kw > KXw
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• Fricative rafforzate se l’occlusiva è: interna se intervocalica, finale se postvocalica; tendono poi a


scempiarsi, semplificarsi quando precedute da vocale lunga. Si tratta di un mutamento meno regolare
del primo e ancor meno regolare a nord dei dialetti francofoni, più a sud (bavarese); alcuni suoni sono
più regolari di altri
*P > FF
*T > SS
*K > XX
*Kw > XXw (non attestato)

• Occlusive sonore > occlusive sorde


*B > P
*D > T
*G > T

In genere è un mutamento molto meno regolare della I, e più frequenta nelle aree meridionali (Baviera) e la
regolarità è legata anche al tipo (dentali > labiali)
lat. PIPER > aat. PFEFFAR > ted. PFEFFER
HWAET > ing. WHAT
> ted. WAS
aat. TURI > ing. DOOR
> ted. TÜR

Wenker segna sulla cartina le varie forme e nota che le isoglosse non risultano regolarmente disposte e si
dispongono a ventaglio: si possono individuare diverse linee, come quella di Lintz o quella di Spira al di sotto
della quale il nesso PP > PF (APPEL > APFEL) oppure quella di Benrath con la quale solitamente si
distinguono i dialetti del nord da quelli del sud. Nella distinzione dei dialetti si parla di ventaglio renano
poiché i mutamenti si sono verificati in modo progressivo. Da tutto ciò si evinceva:
• Era impossibile definire i confini nettamente, il mutamento non era quindi né uniforme né
contemporaneo (cfr. manifesto dei Neogrammatici)
• Osservando le linee si può notare che queste si dispongono non casualmente, ma lungo precedenti
confini, politici o religiosi, oltre i quali i parlanti non comunicavano tra loro  il mutamento era
quindi influenzato da fattori storici e esterni (la critica che per più tempo fu avanzata dagli studiosi ai
Neogrammatici); era necessario interagire con una nuova dimensione, quella sociale
• Le eccezioni erano numerose e inspiegabili (in alcuni territori, forse un tempo isole non contaminate, si
conservavano termini tipici di altre zone)
Pochi anni dopo Louis Gauchat e Jean Pierre Rousselot dimostrarono che la lingua non risulta unitaria
nemmeno all’interno di uno stesso nucleo familiare; si iniziò infatti a parlare di geografia linguistica, il cui
padre fu lo svizzero Jules Gillieron (1854-1926), il quale mappò i dialetti delle aree francofone (Belgio,
Francia, Italia e Svizzera). Per fare ciò si servì di un intervistatore, non più di questionari, il cui nome era
Edmond Edmont, dall’udito fino e digiuno di teoria linguistica – così che non avesse preconcetti, il quale
indagò circa in 600 posti differenti, privilegiando anziani e donne delle campagne, i meno soggetti a eventuali
contaminazioni.
Si idearono così dei veri e propri strumenti, gli atlanti linguistici. Il primo fu l’Atlas linguistique de la France (o
Atlas Gillieron – AFL), la cui pubblicazione richiese dal 1902 al 1920 c.a.
Gillieron grazie al suo studio si rende conto di due conseguenze principali:
• Nonostante il termine fosse di matrice latina, l’esito di tale termine in dialetto francese non era
spiegabile sulla sola base delle regole di corrispondenza latino-francese
• Alcuni termini risultavano completamente nuovi
Queste apparenti eccezioni confermavano che l’intervento del parlante fosse presente, reale e soprattutto
conscio: FUMER = letamaio < lat. FIUMARIUM
Normalmente I > E, ma il parlante crea una connessione tra FUMUS e l’osservazione del fenomeno naturale
 etimologia popolare (STOCCAFISSO < STOCK FISH; VAGABUNDUS < VAGAMUNDO)
Per spiegare i termini nuovi utilizziamo la cartina nella quale si analizza la parola latina GALLUS e la sua
evoluzione nelle aree di Bordeaux; si evolveva come:
VICAIRE = cappello del prete che ricorda la testa del gallo
FAISAN = per generalizzazione come animale da cortile
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PULLUS = piccolo di un uccello, sempre per generalizzazione


Le sostituzioni subentrano al di sotto di una linea scura indicata sulla cartina, dove avviene un mutamento ben
preciso: -LL > -TT
GALLUS > GATTUS e si verificava dunque una collisione sinonimica (quando due termini diventano simili
in seguito a mutamenti fonetici e ciò causa problemi nella comprensione).

gallo GAT GARINA


gatto GAT GATA

Il parlante attua quindi una vera e propria terapia linguistica, curando il guardo della lingua e scegliendo
deliberatamente quale altro termine adottare: il termine femminile di gallo era GARINA, quello di gatto
GATA. La prima coppia appariva quindi già scoppiata e non vi era più corrispondenza fra maschile e
femminile, che invece si manteneva nel caso dei felini. Era quindi molto più economico smontare una coppia
già scoppiata.

Bisogna pensare che ci si trova in un periodo storico di forte industrializzazione, in cui gli interessi vertevano
verso la classe contadina che sembrava allora destinata a scomparire, le cui tradizioni erano depositate nelle
lingue dialettali.
Nasce la corrente Wörter und Sachen, che prende il nome dall’omonima rivista della prima metà del ‘900 che
porta avanti studi incentrati sull’onomasiologia (approccio che studia i modi diversi con cui una stessa
comunità designa un concetto e cerca di spiegarne i perché), in particolare si vuole capire come la materialità o
le altre caratteristiche di un oggetto possano influenzarne il nome:
PENNA < penna d’oca  materiale
BIRO deonomastica, per metonimia

A portare avanti la ricerca furono Karl Joberg e Jacob Jud, i quali mantenendo un’impostazione
onomasiologica, tra il 1928-1940 pubblicarono Sprach und Sachatlas Italiens und der Süudschweiz (“Atlante
linguistico ed etnografico italo-svizzero”), opera con la quale si occupano attentamente della geografia e della
storia di ogni singola parola. Utilizzarono anche un metodo diverso, cioè reclutarono tre diversi intervistatori,
non più uno.
Nel mentre l’istriano Matteo Bartali iniziò un’opera simile, ma riguardante il territorio italiano. Sarebbe stato
più semplice e sarebbe anche riuscito a pubblicarlo prima dei colleghi se non fosse stato rallentato da una serie
di sfortunati eventi, tra cui la Prima Guerra Mondiale. Il lavoro fu portato avanti e terminato dal linguista
Benvenuto Terracini e le indagini procedettero fino agli anni ’60, con la pubblicazione avvenuta nel 1995. Si
tentarono anche ricerche più specifiche su precise aree regionali: Atlante storico-linguistico-etnografico friulano
(ASLEF) o Atlante linguistico etnografico del Piemonte Occidentale (ALEPO) o Atlante linguistico mediterraneo
(ALM) progettato da Gianfranco Folena e Manilo Cortelazzo e l’Atlante linguistico dei laghi italiani (ALLI).
Bartali fu anche l’ideatore della teoria della linguistica areale che sarebbe una sorta di sviluppo nella
geografia linguistica. Il suo interesse scaturì dall’incontro con Gillieron a Parigi, dove studiava filologia
romanza. Insieme studiarono i dialetti della Dalmazia e si resero conto di una correlazione necessaria fra fasi
cronologiche del mutamento e disposizione geografica delle forme. Così sviluppa una serie di norme (cfr.
critica ai Neogrammatici: non leggi assolute, ma tendenze) che avrebbero aiutato a stabilire una cronologia
relativa sulla base della collocazione geografica:
• La norma dell’area isolata: l’area isolata tendenzialmente conserva la forma arcaica
Il sardo conserva l’occlusiva velare anche davanti alle palatine:
lat. IANUA = porta > sardo GIANNA
L’islandese (una forma di norvegese) conserva molti arcaismi

• La norma dell’area laterale: l’area laterale tendenzialmente conserva la forma arcaica


lat. ROGARE = chiedere, pregare < *ROG < REG < REX= stendersi, muoversi in linea dritta
a est: rum. A RUGA
a ovest: spgn. ROGAR
centro: it. PREGARE; fr. PRIER < vb. Denominativo PREX, PRECIS = preghiera
“Rogare” resta in italiano in “interrogare”
*EGNIS = fuoco > skr. AGNI
> lat. IGNIS
> gr. PYR

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> ing. FIRE


> ted. FEUER
> arm. HAWR

• La norma dell’area maggiore: l’area maggiore tendenzialmente conserva la forma arcaica


lat. MENSIS > it. MESE
> fr. MOIS
> spgn. MES
> rum. LUNA
lat. FRIGIDUS > it. FREDDO
> fr. FROID
> spgn. FRIO
> rum. RECE < RECENS = recente > fresco > freddo
*BRATHER = fratello > lat. FRATER
> ing. BROTHER
> ted. BRAHTAR
> skr. BRATU
> gr. FRATROS = membro di una fratria
(ADELPHOS = fratello di sangue < utero)
• La norma dell’area seriore: l’area di più tarda colonizzazione tendenzialmente conserva la forma
arcaica tendenzialmente
lat. AVUNCULUS = zio materno < AVUS = nonno
> fr. ONCLE
> ing. UNCLE
> gr. THIOS
gr. tardo THIOS > it. ZIO (giunto dal sud della penisola e poi risalito)
lat. NEPOS = nipote di nonno e zio > fr. NEVEAU/NIECE; PETIT-FILS/FILLE
> ing. NIECE; GRAND-SON/DAUGHTER
• La norma dell’area scomparsa: tendenzialmente conserva la forma arcaica
Non si tratta solo di questioni lessicali, ma anche grammaticali; si pensi al trattamento delle labiovelari nella
distinzione delle lingue centum e satem. È in ogni caso sempre necessario analizzare, dove possibile, caso per
caso:
comparativo lat. IOR > spgn. MAS > fr. PLUS
> prtgs. MAIS > it. PIÚ
> rum. MAIS
Sono forme coeve entrambe attestate in età arcaica, addirittura anche nel registro formale più alto nonostante
poi con il passare del tempo cada in disuso perché sentita come troppo popolare e quindi errata. Dal punto di
vista dello spazio (diatopica) avremmo delle conclusioni errate, in questo caso quindi non valgono le norme di
Bartali; la differenza è più sociale (diastratica).

Dalla seconda metà del ‘900 la linguistica si indirizza più verso la sociolinguistica; Bartoli determina anche il
prestigio di cui una lingua può godere quando determina l’affermazione o meno di uno o di un altro termine,
ecco perché il focus si sposta anche sul fattore sociale.
Uriel Weinreich nel 1953 pubblica Languages en conctact in cui si occupa del fenomeno dell’interferenza
linguistica e quindi dell’influsso fra lingue in modo sistematico, analizzando gli individui bilingue, cioè quegli
individui la cui competenza di una e un’altra lingua è identica sin dalla nascita e sa quindi esercitare le quattro
capacità fondamentali.
Charles Ferguson introduce la diglossia, cioè la possibilità di possedere una doppia varietà all’interno della
lingua stessa o di lingue diverse: una varietà alta, usata nelle occasioni più formali, e una bassa, usata invece in
famiglia e nelle occasioni informali. È il caso dell’arabo o di comunità bilingue come in Val d’Aosta o in
Svizzera o ancora di comunità divise con in Trentino Alto Adige.
È un’operazione ovviamente fattibile per quanto riguarda le lingue moderne, perché sono necessari studi che i
documenti non tramandano.
Tutti questi studi chiariscono però i meccanismi, ma non ancora le cause.
Fu William Labov nel 1966 in The Social Stratification of English in New York City a indagare sul campo della
statistica; infatti analizzò come determinate parole venissero pronunciate dai commessi dei Grandi Magazzini
di NY e arrivò a predire quale delle varietà presenti si sarebbe affermata.

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Fece anche un esperimento, studiando gli abitanti di una piccola isoletta americana, Martha’s Vineyard, altresì
detta “isola dei sordi”, vista la malattia che affliggeva più della metà della popolazione (l’usanza protestante di
unirsi in matrimonio tra consanguinei causò la trasmissione dell’allele recessivo, rendendo la sordità quasi
normale). Gli abitanti avevano la caratteristica pronuncia tipica solo e soltanto dei locali, così coloro che vi si
recavano per vacanza esportavano questo tipo di pronuncia, privandola del proprio valore sociale e togliendole
così prestigio. Il suo valore sociale si era arrestato una volta che la pronuncia era stata presa a imitazione.

La semantica
La semantica è una branca della linguistica che studia la componente delle lingue storico-naturali che
chiamiamo significato; delimita l’ambito di studio dei linguaggi naturali-verbali (diverso dalla semantica dei
linguaggi logico-formali, cioè artificiali e creati dall’uomo, come la matematica e la geometria). Lo stesso
termine può designare anche l’insieme dei fenomeni di significazione (significato-significante) che sono
oggetto di studio di tale disciplina. Ecco perché il termine è duplice.
Il termine fu coniato dal linguista francese Michel Bréal nel 1883, ma le riflessioni filosofiche in materia
riguardano quanto meno la Grecia classica (Platone, Cratilo) e attraversano tutta la storia del pensiero
filosofico sino ai giorni nostri; nonostante ciò la semantica risulta tra le scienze del linguaggio sviluppate più
tardi a causa della difficoltà nel definire l’oggetto stesso del proprio studio, il significato.
Proprio perché solo la definizione dello studio dell’oggetto della semantica è difficile, si pensa che non si possa
trattare la semantica come disciplina scientifica, poiché composta da elementi naturali. Per alcuni il problema
starebbe nel rapporto tra significato e la sua espressione linguistica: i significati sarebbero infatti una sorta di
trasposizione concettuale di oggetti esistenti a priori o quantomeno di categorie cognitive universali insite per
natura nella mente umana. In ogni caso esse preesisterebbero alla formulazione linguistica (concezione
referenziale del significato).
Il significato sarebbe quel luogo dove si incontrano le tre componenti: pensiero, linguaggio e mondo.
Già gli stoici differenziavano fra semainon (significato), semainomenon (significante) e oggetto extra.
Gli studiosi inglesi Ogden e Richards idearono il cosiddetto triangolo semiotico in cui schematizzarono il
processo di significazione:

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I vertici del triangolo rappresentano rispettivamente il referente extralinguistico, ciò che è significato, il
riferimento, cioè il pensiero contenuto concettuale del segno linguistico e il simbolo. Esiste però una relazione
diretta solo tra simbolo  riferimento  referente, mentre tra simbolo e referente c’è solo una relazione
indiretta, mediata dal pensiero, che crea un ponte tra realtà e linguaggio. Tutto ciò presuppone che a priori le
immagini che si creano corrispondono a qualcosa che esiste fuori da me, quelle categorie a priori presenti nel
linguaggio dell’uomo.

Oggetti che corrispondono a diversi “significati” associati a caratteristiche in due modi diversi:
WOOD = bosco/ legno
NIPOTE = grandchild / nephew, nièce

Esistono però teorie che affermano esattamente il contrario, cioè che sia la lingua a suddividere il continuum
indifferenziato di ciò che esiste in categorie discontinue; il linguaggio modella il pensiero attraverso la nostra
visione del mondo e in qualche misura lo crea:
“la bicicletta è utile in città”: categoria intera
“ho lasciato la bicicletta in cortile”: rappresentante di categoria

Alcune teorie ancora sostengono che il significato sia dato dal valore pragmatico che il parlante vi assegna.
“che volpe!”: significato convenzionale o che assume nel concreto lo scopo pragmatico del parlante?
Il valore pragmatico del significato va ulteriormente suddiviso in:
• Ciò che il parlante dice esplicitamente
• Ciò che il parlante sottintende, quindi “dice” implicitamente
“Husband and dog missing. Reward for the dog”: It means I don’t care about my husband

Il filosofo inglese Paul Grice ha analizzato la nozione di significato in rapporto e alle intenzioni comunicative
del parlante e al riconoscimento di tali intenzioni da parte di un uditorio, cioè si è sforzato di teorizzare quei
meccanismi attraverso cui il ricevente decodifica l’informazione implicita, attraverso il meccanismo
dell’interferenza che permette di ricavare la verità dalla proposizione P2 sulla base della proposizione P1.
Altre teorie sostengono che il significato risulti l’operazione di intermediazione fra parlante e ricevente; altri
ancora sostengono sia dato dal contesto e dalla cultura, poiché esistono diversi meccanismi per fare scattare
l’implicito.
Dagli anni 60 a oggi gli studi di semantica sono andati intensificandosi, anche se, come si può ben vedere, non
esiste ancora una definizione univoca di “significato”.
Il significato è quindi insito o dipende dalla percezione del ricevente? Risiede nelle parole o è una
costruzione/mediazione tra parlante e ricevente?
Una delle proprietà del linguaggio è quindi sicuramente la vaghezza (o indeterminatezza), cioè quella
proprietà delle lingue naturali per la quale non esiste una predeterminazione assoluta dell’estensione
semantica di un segno linguistico e non si possono predeterminare nemmeno le entità che vi appartengono.
Calvo = privo in tutto o in parte di capelli
 Ma di quanti capelli occorre essere privo per poter essere definito “calvo”?
“Gioco” di Wittegesten: tutti lo conoscono, ma quale è la sua definizione? Cosa è il gioco e cosa non è?
La maggior parte dei termini possiede questa caratteristica che però è diversa rispetto all’ambiguità
(espressione di cui sono possibili due letture, entrambe valide contestualmente):
“disegna un rombo”: natura lessicale
“il poliziotto insegue il ladro con una pistola”: natura sintattica
e alla polisemia (quando un termine si può applicare a più significati o quando non si sa se l’espressione sia
vera o falsa e nemmeno il contesto aiuta a disambiguarla). Si tratta in generale di un fenomeno meno frequente
ed è ben sfruttato nel linguaggio mediatico:
“la cultura ha un gran peso: Coop lo sostiene da sempre”
La vaghezza fa capire quanto il significato di una parola possa essere elastico e non avere confini rigidi. Ci
saranno quindi entità più pregne di significato e poi altre in modo più sfumato.

Il dizionario comprende quelle informazioni linguistiche che definiscono il significato delle parole;
l’enciclopedia contiene invece tutto l’insieme delle conoscenze extralinguistiche relative a ciò che le parole
indicano.
Ma il significato è elastico, non ha confini rigidi: come distinguere le informazioni minime da quelle
accessorie? L’informazione linguistica, poi, è inscindibile dalla materia; per questo è più facile studiare e
formalizzare un mutamento fonologico che uno semantico.
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Alcuni studiosi ipotizzano che l’unica definizione che si possa attenere alle caratteristiche minime del
significato sia: “il gatto è l’unico animale chiamato gatto”, escludendo ogni tipo di informazione enciclopedica.
Secondo altri è impossibile tracciare un confine tra informazioni enciclopediche e linguistiche.
Secondo altri ancora è necessario capirsi in base alle condivisioni e alle convenzionalità.

Per quasi tutto l’800 la semantica si pose come compito quello di individuare i tipi di meccanismi di
mutamento semantico, e se non le leggi almeno le linee di tendenza: segue la falsariga della prima linguistica
storica. Alcune delle categorie individuate entrarono nella manualistica; la linguistica teorica è quindi molto
utile, purché si tenga conto che non è assoluta e che nella realtà i confini fra meccanismi di mutamento non
sono così netti.
La base della semantica lessicale nasce con Bréal a inizio ‘800; egli ebbe una notevole influenza sui suoi
contemporanei: nel 1897 pubblica Essai de la semantique. Inizialmente era una disciplina diacronica, cioè si
occupava dello sviluppo delle parole nel tempo. Le caratteristiche della disciplina sono:
• La semantica è una disciplina storica, infatti solo la storia può conferire alle parole quel grado di
precisione necessario per comprenderle al meglio
• Il mutamento semantico è il risultato di processi psicologici, in quanto i significati sono costrutti
cognitivi; quindi se cambia il significato vi è dietro un lavoro mentale e cognitivo; il linguaggio
traspone la realtà e mentalmente la codifica e ne cambia i termini per riferirvisi.
Allora forse si possono individuare dei meccanismi ricorrenti che presiedono il mutamento semantico,
quelle leggi che corrispondono a schemi mentali, frutto delle corrispondenze mentali del pensiero
umano
• La semantica è una disciplina ermeneutica, poiché si sforza di interpretare e comprendere quale
esperienza del mondo gli uomini abbiano depositato in quelle particolari forme di espressione umana
giunte sino a noi nei secoli
Lo studioso deve quindi recuperare i materiali e i residui nelle fonti scritte (nelle fonti antiche se si tratta di
lingue morte o negli strati più antichi della lingua se si tratta di lingue moderne). Solo dopo questo passaggio
la semantica si focalizzò sul mutamento per poi classificarlo, interpretarlo e spiegarlo, ma ora si pone
all’incrocio fra lessicologia (raccolta dei significati) e filologia.
Nel corso del IX secolo la semantica non si concentra più sulle cause, ma cerca quegli elementi comuni e le
categorie, meccanismi alla base per poter individuare delle linee generali (cfr. processo della linguistica
generale). L’obiettivo era stato definito chiaramente, ma non era comunque ben delineabile come nelle
discipline perfette, così le classificazioni proliferarono.
Dal ‘900 in poi si passò all’attenzione per le cause che generano il mutamento, con la linguistica teorica. La
maggior parte delle cause risultò per infondata e poco utile, visto la difficoltà di delineare dei confini netti e
precisi. Il mutamento semantico può avvenire:
• Nella DENOTAZIONE (mutamento nell’estensione semantica delle parole), che può avvenire per
restrizione (un lessema può sviluppare un nuovo significato subordinato rispetto a quello originario) e
per generalizzazione (un lessema può sviluppare un nuovo significato sovraordinato rispetto a quello
originario); l’insieme finale sarà quindi più piccolo o più grande di quello iniziale, cioè l’ambito di
applicazione del nuovo significato sarà ristretto o ampliato, escludendo o includendo quello vecchio:
MEAT = o.e. cibo solido > carne nel 1300 (per restrizione forse perché indicava il cibo in occasioni
particolari come banchetti e feste, unici eventi in cui si
mangiava la carne, oppure per opposizione)
LUNA = satellite della terra > satellite di qualsiasi pianeta (per generalizzazione)
I due fenomeni possono talvolta combinarsi e agire insieme: UXOR con il tempo è andato perso;
lat.  UXOR MULIER DOMINA MULIER si è quindi adattato e ristretto al
ita. MOGLIE DONNA SIGNORA  campo della moglie, provocando uno
spostamento verso sinistra di donna,
generalizzato da padrona a donna e creando un gap, riempito da signora, termine ricavato dal maschile
SENEX < SENIOR = persona anziana.

Si è trattato quindi di uno slittamento di termini che ha creato un termine nuovo, di una serie di
mutamenti indotti a catena che molto spesso sono causati da fenomeni di spostamento o traslazione di
significato (metonimia, metafora o sineddoche):

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SALARIUM (dal sale dato come paga al soldato)  metonimia (concreto per astratto con relazione di
contiguità)
ESTINGUERE = uccidere* < lat. EXSTINGUERE = spegnere  metafora (uso traslato di
*molti verbi per “uccidere” hanno un connotato metaforico e sono quindi di difficile ricostruzione somiglianza)
BODA = matrimonio < lat. VOTA = promesse nuziali  sineddoche (parte per il tutto)

• Nella CONNOTAZIONE, che può avvenire in senso peggiorativo, quando tende a sviluppare
l’accezione negativa:
o.e. SAELIG = beato (ted. SELIG) > ing. SILLY = sciocco
(questo perché nel 1200 beato in modo spirituale connota un innocente; da quell’idea di debolezza,
vulnerabilità associata alla sofferenza patita ingiustamente, soprattutto per gli animali come gli agnelli;
simili all’idea degli agnelli i bambini, che suscitano nel prossimo pietà come sfortunati. Nel 1500 passa
quindi a designare una persona umile, semplice di forma; ciò poteva essere un pregio come un difetto; così
a metà del secolo si designa una persona priva di buon senso)
it. CAFONE = contadino – con accezione neutra > rozzo, maleducato
Il mutamento può avvenire anche in senso migliorativo:
o.e. CNIHT = ragazzo, servitore > ing. KNIGHT = cavaliere; ted. KNECHT > garzone
lat. VITIUM = vizio, difetto > it. sing. VEZZO = gioielli e spille; pl. VEZZI = moina,
smanceria N/grazia, leggiadria P > VEZZOSO = grazioso
Il mutamento nella connotazione e nella denotazione possono coesistere:
oland. BOER = contadino/ rozzo, maleducato

Il mutamento nella connotazione non va confuso con l’eufemismo o disfemismo, cioè la sostituzione
dell’espressione propria e usuale con un’altra di significato attenuato o viceversa:
passare a miglior vita  morire  crepare (lett. = scoppiare)
Queste sono scelte stilistiche, in sincronia, al momento; il mutamento è qualcosa che si evolve nel tempo;
ovviamente l’uno può indurre l’altro, sino a perdere l’accezione acquisita:
it. CRETINO < prov. CRETIN = cristiano
(povero cristiano o povero Cristo  infelice; nel 1700 poi affetto da sincretismo  stupido, infelice,
cretino)
Un meccanismo molto simile fa partire il mutamento da altre scelte stilistiche in sincronia, come iperbole e
litote:
ing. TERRIFIC = qualcosa che causa terrore
(qualcosa che è di grande intensità; si isola il tratto e si assolutizza nel senso di “eccessivo”, 1743, e nel
1870 passa a connotare qualcosa di magnifico, splendido)

Tutto ciò spiega i meccanismi, ma non le cause. Già il teorico P. Grice dei Neogrammatici aveva parlato di
contesto nel senso di fattori extralinguistici (insieme di fattori non verbali che concorrono con la
comunicazione) e di vero e proprio co-testo (fattori non linguistici che coesistono con ciò di cui stiamo
parlando):
OPERAZIONE: scolastico matematica/ intervento chirurgico
BORSA: vetrina/ economia e transazioni finanziarie
Oltre al contesto, altri elementi disambiguano il vero significato della frase e possono far sì che un termine
generico si specializzi:
BANCAROTTA
Il contesto chiama infatti in causa quei fattori di natura sociale che Antoine Meillet nel 1904-1905 analizzò nel
suo Comment le mots changent de sens in Année sociologique nel quale individuava come le parole cambiassero di
significato. Aveva analizzato una serie di fattori che potevano favorire e fungere da base per il cambiamento, i
due presupposti erano:
• Discontinuità generazionale: momento critico per la trasmissione della lingua è il passaggio tra le
generazioni. Infatti il bambino deve ripercorrere la storia della lingua da zero per iniziare a parlare e
deve desumere le regole dal parlato dell’adulto. Essendo esposto al linguaggio egli continua a estrarre
il generale (la regola) dal particolare, e se un adulto utilizza con il bambino un termine di dato
significato A in un contesto in cui prende un determinato significato B, allora il bambino si convincerà
che il termine avrà il determinato significato B, ignorando del tutto quello originario:
SOÚI > lat. SATULLUS = (A) satollo
= (B) ubriaco per eufemismo di IVRE
• Cambiamenti di forma o di uso: forme che hanno etimologie collegate e preservano una forma analoga
e che oscurano le relazioni paradigmatiche. Se le etimologie sono evidenti è un ostacolo perché il
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parlante associa un nome simile alla totalità della famiglia di parole che ne derivano. È difficile quindi
determinarne la provenienza, anche a livello di famiglia di provenienza. Il cambiamento spesso ha le
condizioni per il suo sviluppo se si ha la perdita di trasparenza semantica della parola stessa:
COLLETIONEM = raccolta > COLAZIONE: negli ambienti monastici durante la colazione i
monaci leggevano storie edificanti
CAPTIVUS = prigioniero < lat. CAPERE = prendere (poi sostituito da PREHENDERE)
così CAPTIVUS (DIABOLI) > CATTIVO > fr. CHÉTIF = fragile, sensibile/lontano
dalla grazia di Dio/da commiserare

Le cause sarebbero quindi di tre tipo e divise tra interne e esterne alla lingua:
• Linguistici (interni): lat. HOMO = essere umano e essere umano di sesso maschile
> ing.; ted. MAN (forme indefinite)
ing. LY; ted. LICH < ger. com. *LIKOM = apparenza > ing. LIKE = come
Il significato è effettivamente molto vago e per questo motivo le forme linguistiche libere perdono
gradualmente la loro autonomia fonologia e lessicale sino a diventare formule grammaticali a causa di
un indebolimento semantico, della riduzione morfologica o di un’erosione fonetica:
lat. MENTE (abl. di MENS) > it. MENTE
> fr. MENT
> spgn. MENTE (per la formazione degli avverbi di modo)
lat. PASSUS > fr. “NE… PAS”
lat. RES > fr. RIEN
Non hanno più il significato originario ma hanno ancora una propria autonomia.
Inizialmente Meillet non darà nome a questo fenomeno, ma arriverà in un secondo momento a
chiamarlo grammaticalizzazione (meccanismi di evoluzione delle lingue per cui una forma linguistica
libera attraversa un mutamento per cui perde la sua autonomia fonologica e se ne affievolisce il
significato lessicale, riducendosi a una forma legata con un valore grammaticale. Perde la sua pienezza
semantica).
N.B. il rumeno ha mantenuto le forme più arcaiche, secondo la norma dell’area laterale di Bartali.

• Storici (esterno): modificazione del rapporto parole-cose; a volte la scomparsa dell’oggetto o


dell’istituzione fa sparire la necessità di nominare quel determinato oggetto e quindi il termine
sparisce.
lat. PAPIRIUM > fr. PAPIER
lat. CARRUS > ing. CAR
lat. GALEA > it. GALERA

• Sociali (esterno), sui quali Meillet si sofferma particolarmente, si articolano sull’omogeneità e


disomogeneità delle comunità di parlanti così le parole cambiano di significato (concetto di prestito,
emprunt, secondo cui un termine può esistere nella lingua e essere comunque un termine imprestato se
è sempre stato utilizzato all’interno di soli piccoli gruppi sociali e non da tutti i parlanti)
lat. AD RIPARE = arrivare di marinai > ARRIVARE generalizzazione
lat. CUBARE = mettersi distesi > fr. COUVER = covare (mettersi distesi) specializzazione e
restrizione del termine alla realtà rurale dei
contadini
lat. TRAHERE > fr. TRAIRE = tirare (mungere)
lat. NIDIACEM = uccellino da nido > fr. NIAIS = sempliciotto (preda facile)
sviluppo verificatosi nella lingua dei cacciatori e poi generalizzato
lat. NIDUS < *NI = preverbo che indica moto dall’altro al basso
+ *ZDO < SED – SOD – SD > SEDEA > SEDEO = mettersi a sedere > arm.
NIST = luogo in cui ci si siede
(certi uccelli vanno con un moto dall’alto verso il basso a posarsi; si restringe allora il significato da tutta
la categoria di animali a una categoria specifica, probabilmente quella dei cacciatori in questo caso)

L’impostazione semasiologica sarà sicuramente quella predominante: dalla parola all’evoluzione di tutti i
significati; sempre nell’800 si svilupperà anche l’approccio onomasiologico, che invece si occupa di partire
dalla nozione, analizzare tutti i modi o le espressioni in cui un concetto può essere espresso, e si occupa
principalmente di oggetti concreti (corrente di Worter und Sachen).

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Nel 1906 a Ginevra Ferdinande de Saussure inizia a dare lezioni di linguistica generale (non più storica) e
dagli appunti dei suoi alunni presi a lezione nasce un saggio che darà la svolta decisiva. Il tutto si articolava su
coppie di opposti:
• significante (immagine acustica mentale che abbiamo del segno) – significato (il suo contenuto
semantico), dalla cui coppia di elementi tra loro inscindibili nasce il segno.
• langue (codice, insieme del linguaggio e delle regole per usarlo, la lingua designata nelle grammatiche,
in potenza, pertinente alla collettività) – parole (uso concreto che della lingua fanno i parlanti, la lingua
in atto, individuale, irripetibile
Si tratta di componenti astratte e mentali; merge il privilegiare lo studio dal punto di vista sincronico, ma
forse l’accento posto sul punto è eccessivo, visto che egli nasce come linguista storico. Di colpo la linguistica
storica passa in secondo piano e nascono una serie di scuole di matrice europea o statunitense che
garantiscono il successo di queste teorie. Nozione centrale di studio è la “struttura”, cioè sistema organizzato i
cui elementi intrattengono relazioni reciproche che ne definiscono il valore. Era nato lo strutturalismo
(Praga, Jakobson).
Con lo strutturalismo si favoreggiava il ramo sincronico della semantica; nacquero presto scuole in
Danimarca, Francia, Nord America. Poi lo strutturalismo si applicherà a tante categorie, volte a analizzare la
realtà sulla base della struttura, cioè quel sistema organizzato in cui gli elementi intrattengono relazioni
reciproche che lo definiscono:
• Non esistono significati che preesistono alla lingua; questa si produce e vive all’interno del sistema
linguistico; nulla succede al di fuori o indipendentemente dalla lingua
• Il segno gode di totale arbitrarietà, cioè è libera relazione fra significante e significato, di cui il segno è
la relazione (se non esiste un significato preesistente allo questo non ha di per sé valore, se non per
difetto, negazione, …)
• Il significato quindi come proprietà positiva non esiste; esistono solo valori determinabili in negativo,
confrontando il posto che la parola occupa all’interno in relazione alle altre parole a cui si oppone. È la
lingua che organizza la massa amorfa del pensiero; la lingua è una struttura imposta a una materia
informe. Le parole non hanno in realtà un significato, non è possibile definirle in positivo, ma solo in
negativo, per differenza
• Compito della semantica è analizzare la dimensione intralinguistica del significato, cioè non tenendo
conto della referenza degli aspetti psicologico cognitivi.

Studiando il lessico dal punto di vista interno ci si accorge che non risulta essere un insieme caotico, ma una
struttura ben organizzata, regolata da relazioni di tipo diverso, ma comunque riconducibili a due dimensioni:
• Sintagmatica, afferente il piano “lineare”: le relazioni sintagmatiche si intuiscono più facilmente, vista
la relazione lineare fra gli elementi, sono quindi rapporti in praesentia, cioè riguardano gli elementi
contemporaneamente nello stesso atto linguistico (“mettere a ferro e fuoco”);
I rapporti lessicali possono essere:
o Solidarietà lessicale: abbaiare/ cane; equilatero/ triangolo
o Verbi frasali: pick up, throw back
o Polirematiche: ferro da stiro; carta di credito -locuzioni fisse nelle quali non posso inserire nulla
o Espressioni idiomatiche: essere al verde
• Paradigmatica: le relazioni paradigmatiche concernono il parlante e sono da lui istituite mentalmente
sulla base di diversi criteri, sono quindi relazioni in potenza, illimitate, per niente prevedibili, in
absentia (CAMBIAMENTO: rima “cemento”, “momento”; suffisso “insegnamento”, “struggimento”;
morfema “cambio”, “ricambio”, “scambio”; semantica “novità”, “premura”, “innovazione”, “dinamismo”)
I rapporti lessicali possono essere:
o Somiglianza e associazione: tra cui geosinonimi (specifici di una certa area: stampella, gruccia,
omino) o sinonimi (globulo rosso e eritrocita; gatto e micio)
o Opposizione: tra cui antonimi (due poli estremi come caldo e freddo, giovane e vecchio) o
complementare (o è vero uno oppure l’altro, o acceso o spento, o vivo o morto)
o Inclusione: tra cui iponimi e iperonimi (classe che include altre classi: gatto-felino-mammifero),
ha proprietà transitiva oppure meronimi (relazione come parte per il tutto: lente-occhiale;
maniglia-porta-casa), proprietà non transitiva

Negli anni 20-30 del secolo Jost Trier elaborò il termine di campo lessicale, già elaborata da Leo Weisgerber,
muovendo dall’ipotesi strutturalista secondo la quale la mutua demarcazione delle parole può fornire
indicazioni sul loro esatto valore. Egli analizza i termini indicanti la “conoscenza”, “Kenntnis”, nel passaggio
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dal tedesco antico a quello medio e teorizza questa nozione, resa attraverso la metafora del mosaico: le parole
sono semanticamente definite da quelle vicine, delimitate, e l’insieme delle tessere, il disegno del mosaico è il
campo, è un’area concettuale reta da relazioni paradigmatiche.
Solo il fatto di essere determinato da altre parole può far capire quanto un termine possa essere specifico. Il
campo lessicale sarebbe infatti un insieme di lessemi che copre una data area concettuale delimitandosi a
vicenda nel significato come un mosaico, dove ciascuna piccola pietra contribuisce a articolare e a dare forma
all’area ricevendo il significato dalla relazione semantica che lo unisce e a questo punto lo differenzia dagli
altri lessemi. Così si può notare più facilmente da quali relazioni sono legati i vari lessemi.
Sorgono quindi una serie di problematiche: come delimitare i campi semantici e quali elementi includervi?
Bisogna tenere conto delle relazioni sintagmatiche? Come tenere distinto il piano linguistico da quello
extralinguistico nel momento stesso in cui diciamo che il campo semantico articola lessicalmente la stessa area
concettuale? Nelle metafore, a esempio, la parola parta con sé le sue relazioni precedenti?

Fu Eugenio Coseriu in Per una semantica diacronica strutturale, nel 1964, a elaborare la semantica diacronica
strutturale, partendo da una teoria per cui il linguaggio è un sistema che si definisce per differenza. Egli
osserva che il lessico si comporta come altre strutture della lingua (morfologia, grammatica).
Il lessico, come altri livelli della lingua, può essere (parzialmente) organizzato in sottogruppi di parole che
condividono tratti:

SEMANTICA vecchio non vecchio FONOLOGIA sorda sonora


per persone senex iuvenis bilabiale P B

per animali/ vetulus novellus dentale T D


piante velare K G
per cose vetus novus

Inoltre afferma anche, sulle orme del danese Hjelmslev (aveva precedentemente operato un’analisi delle
componenti del significato), che le unità funzionali del lessico sono analizzabili/ scomponibili in tratti
distintivi; però i dati semantici non sono assimilabili a quelli della fonologia, poiché non sono limitati. Inoltre
per definire una parola ne usa altre, quindi non scende di livello e ciò è limitativo.
età persona vecchio occlusiva labiale sonora
senex + + + /B/ + + +
vetus + - (per animali/ + /P/ + + - (sorda)
piante)
iuvenis + + - (non /F/ - (fricativa) + (bilabiale) - (sorda)
vecchio)

Questi schemi lessicali organizzati e delimitati da opposizioni distintive sono assimilabili ai campi semantici e
lessicali di Jost Trier, infatti questa configurazione semantica di un campo diviene una vera e propria struttura
linguistica organizzata su rapporti oppositivi distintivi. Ogni campo è quindi unitario nel contenuto (es. età)
ma suddiviso internamento per “opposizione di parole” (vecchio, il giovane-non vecchio; l’adulto – né vecchio
né giovane). Ogni capo si oppone-differenza a altri campi (età vs. colori); il limite si ha quando non si
oppongono più parole ma campi (vetus vs. magnus). In pratica, un campo si stabilisce in forza delle
opposizioni tra parole e ha il suo limite dove non sono più le parole a opporsi, ma il campo nella sua interessa
(ordine superiore). Per stabilire se un termine rientra o meno in un campo lessicale devo analizzare le
caratteristiche e i tratti distintivi.
Il compito della semantica diacronica strutturale è lo sviluppo storico dei campi semantici, che Caseriu chiama
campi concettuali. Questi sono tali in virtù delle opposizioni distintive che la semantica deve quindi stabilire,
studiare, se possibile spiegare/motivare il conservarsi, comparire, scomparire e l’eventuale modifica nel corso
della storia della lingua delle opposizioni lessicali distintive.
In ciò sta la differenza con la semantica lessicale tradizionale; per questa il mutamento avviene in due
condizioni:
• A un dato significato viene attribuito un nuovo significante (sostituzione del significante)
• A un dato significante viene attribuito un nuovo significato (sostituzione del significato – Mulier)

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Questo però non significa necessariamente che vi è stato un cambiamento nel sistema dei significati; la
semantica diacronica strutturale distingue invece tra mutamento lessicale funzionale, quando produce un
cambiamento nei rapporti tra significati e di riflesso modifica i significati; e mutamento lessicale non
funzionale, dove muta solamente il nesso significante-significato:
piano dell’espressione lat. t. ant. fr. ant. fr. TUER
(significante) *AUCIDERE > OCCIRE >  mutamento lessicale non
contenuto uccidere uccidere uccidere funzionale
(significato)
piano dell’espressione *TUTARE > > TUER  mutamento lessicale funzionale
contenuto proteggere* uccidere

*> STUTARE < lat. EX-TUTARE = essere al sicuro da qualcosa


“extutare sitim” = estinguere la sete > eliminare fisicamente qualcuno > uccidere (molti verbi che
significano uccidere derivano da metafora)
È cambiato il significato (AUCIDERE > TUER) ma si è conservato il rapporto dei significati (UCCIDERE)
lat. AVIS (iperonimo) lat. PASSER (iponimo)
italiano UCCELLO < AVICELLUS (dim.) PASSERO
francese OISEAU MOINEAU
rumeno PASARE (inizialmente “uccellino) slavo VRABIE
spagnolo AVE (uccello grande) PAJARO (uccello piccolo)
In spagnolo si verifica un cambio di sistema dei significati, infatti non si tratta più della categoria peronimo-iponimo, ma
semplicemente di grande-piccolo

Un nuovo approccio fu quello della semantica cognitiva, una corrente degli anni 70, nata negli Stati Uniti,
che si oppone al generavitismo di Chompsky (indagine “interna”, il linguaggio è nella mente); una corrente di
studi multiforme e eterogenea che si sviluppa nel quadro complessivo della linguistica cognitiva. Gli studiosi
della corrente rifiutano ogni scissione fra fattori linguistici e extralinguistici, sottolineando il legame
inscindibile tra linguaggio e cognizione umana, volta a intrepretare l’esperienza del mondo. Quindi non è
assolutamente possibile studiare i fenomeni linguistici solo all’interno, come voleva lo strutturalismo, dal
momento che sono strettamente legali al modo, condizione fisica in cui si formano e si organizzano
mentalmente le conoscenze sul mondo esterno. L’esperienza corporea definisce il nostro rapporto col mondo:
dalla corporeità nasce il nucleo essenziale del nostro sistema concettuale, le nostre griglie interpretative, i
nostri schemi preconcettuali di base (teoria dell’embodiement):
• Il significato linguistico corrisponde sempre a un contenuto concettuale preesistente e strutturato già
prima della sua espressione linguistica (rovescia lo strutturalismo, secondo cui il piano linguistico è
indipendente rispetto a quello concettuale)
• L’equazione significato = costrutto mentale = rielaborazione dell’esperienza empirica non
significa che il significato sia uno ed è unico, oggettivo e definito in baso a un altrettanto unica realtà
extralinguistica, ma solo che c’è un legame coerente tra il modo in cui percepiamo il mondo e il
funzionamento del linguaggio (differenza rispetto alla semantica referenziale)

schemi preconcettuali  strutture semantico-concettuali  espressione linguistica


TEMPO, rappresentato in termini di spazio nello schema di percorso: - stiamo andando verso…
- ho attraversato un periodo difficile
- esco da un periodo buio
- non sa stare al passo coi tempi
I processi con cui si formano le categorie alla base della nostra attività cognitiva vengono rielaborati nella
teoria dei prototipi, secondo Elanor Rasch, le categorie sarebbero definite da una lista di proprietà, di cui
alcune percettivamente più salienti e importanti e distinguibili in modo migliore e netto rispetto a altre (volare
per gli uccelli ha un peso maggiore per determinare l’appartenenza categoriale di una determinata entità).
Le categorie sono quindi strutture graduali che hanno al centro casi prototipici (il prototipo di colui che
incarna tutte queste proprietà, un costrutto mentale astratto che funge da punto di riferimento per la
rappresentazione del significato lessicale) dai quali poi sfumano perdendo di gradazione via via verso casi
meno tipici. Tendiamo a pensare la balena un pesce più che un mammifero perché per il nostro cervello stare
in acqua (come un pesce) è più significativo che partorire (come un mammifero).
Il termina che designa il prototipo può “specializzarsi” in ciò che meglio lo incarna:
• Il termine che designa la categoria passa a indicare l’identità prototipica:
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lat. FRUMENTUM = cereale > fr. FROMENTO = frumento, grano


• Il termine che designa l’identità prototipica passa a indicare la categoria:
lat. PASSER = passerotto > spgn. PAJARO = uccello piccolo

La fonetica
Dinamica articolatoria:
la maggior parte delle lingue usano la meccanica polmonare: i polmoni fungono da mantice, producono una
corrente che attraversa la trachea, passa nella laringe, dove incontra le corde vocali; poi passa nella faringe e
dunque nel cavo orale, in cui avviene l’articolazione.

Vocali: l’aria, nella sua risalita, non trova ostacoli fino alla sua fuoriuscita. Il diverso timbro è dato dall’altezza
e dalla arretratezza/avanzatezza della posizione cui pongo la lingua:

CHIUSE _____ I U _____ alte


_________ E O _________ medio alte
____________ ɛ ᴐ ____________ medio basse
APERTE ______________ A ______________ basse
anteriori anteriori posteriori
palatali velari

Possono essere orali o nasali, ondulate o tese (posizione delle labbra)

Consonanti: la corrente polmonare incontra un ostacolo


PARZIALI  un filo d’aria passa, si produce una sorta di fruscio (P, S)
spiranti, fricative, durative
TOTALI  non possono essere prolungate (unica emissione d’aria)
occlusive, momentanee, plosive (ricordano uno scoppio)
MODO COMBINATO  iniziano come occlusive, proseguono come spiranti
affricate

Fonetica (si occupa dell’aspetto fisico dei suoni: produzione (fonetica articolatoria mutamento legato a chi
percezione (fonetica auditiva) parla/ascolta
propagazione (fonetica acustica)
Fonologia: come le lingue organizzano i suoni in sistemi
Il mutamento fonetico è più facilmente osservabile e formalizzabile poiché traducibile in regole.
Ferdinando de Saussure: LANGUE (fatto sociale, codice) PAROLE (parlare)
SOCIALE INDIVIDUALE
UNO MOLTEPLICE
FINITO INFINITO
ASTRATTO CONCRETO
POTENZA (fonemi) ATTO (foni)
Fono: un suono linguistico considerato in quanto fenomeno acustico
Fonemi: entità astratte, unità del sistema lingua dotate di valore distintivo, capace di istituire una differenza
semantica
Allofoni: realizzazione fonetica di un fonema che non ha carattere distintivo

Il parlato spontaneo è ipoarticolato (non è preciso nel dettaglio di ogni articolazione) ed è un continuum lungo
il quale i confini tra le unità sfumano a livello sia acustico che articolatorio (ne ho prova quando ascolto una
lingua che non conosco: a livello grafico le parole sono ben distinte, ma a livello orale contano la prosodia, il
tono, ecc.)
Cooarticolazione: mentre gli organi si stanno disponendo in una determinata configurazione articolatoria
conservano ancora in parte gli atteggiamenti dell’articolazione precedente e già iniziano a preparare quelli
della successiva.
Assimilazione: fenomeno coarticolatorio per cui un fono assume in tutto (assimilazione totale) o in parte
(assimilazione parziale) tratti articolatori di un altro fono;
regressiva: se assume i tratti articolatori di un suono che segue
*SED-LA > SELLA a. tot. reg.
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*IN-PROBUS > IMPROBO a. parz. Reg.


progressiva: il fono tende a assumere i tratti fonetici del suono che precede
N.B. lat. [KT] > it. [TT] sistematico  lat. lacte(m) > latte
lat. tectu(m) > tetto

Assimilazione bidireazionale: un suono muta per effetto dell’influenza del suono che lo segue e del suono che
lo precede.

Lenizione ibero-gallo-romanza: sonorizzazione di un suono sordo dal passaggio dal latino quando il suono si
trova in posizione intervocalica. Caratteristica della zona della Romania occidentale (Italia a Nord isoglossa
La spezia-Rimini), sistematico nel caso delle occlusive sorde:
SAPERE > spgn. SABER; ant. fr. SAVEIR
VITA(M) > VIDA; VIE
AMICUM > AMIGO, AMIE

Un dittongo (vocalismo medio-basso + semivocale) passa a monottongazione (unico suono  unica emissione
di fiato)
*AIDH > skr. EDHAS > gr. AITHO > lat. AEDES

Dilazione: assimilazione non a contatto


*SUAD > skr. SVADUS > gr. HEDUS > lat. SUAUS (SUADUIS)

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