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La lettura critica presenta un sintetico profilo della fortuna di Petrarca latino dallUmanesimo al

Novecento, soffermandosi soprattutto su alcuni momenti della valutazione di Petrarca nellOttocento e nel
Quattrocento.

Eugenio Garin Petrarca Latino


Da Il Petrarca Latino e le origini dellumanesimo - Atti del Convegno internazionale Firenze 1922 maggio 1991; = Quaderni Petrarcheschi IX-X (1992-1993) - pp. 1-9

Non molto pi di un anno fa, alla fine dell'89, la Casa editrice Le Monnier riprodusse in anastatica il
volume della gloriosa Biblioteca Nazionale che conteneva le Rime di Francesco Petrarca con
l'interpretazione di Giacomo Leopardi. Giovanni Nencioni, nella bella quanto dotta introduzione,
cita molto a proposito la lettera di Leopardi all'editore Stella del 13 settembre 1826, cos duramente
antipetrarchesca: sono totalmente diventato partecipe dell'opinione del Sismondi, il quale [...]
confessa che nelle poesie del Petrarca non gli riuscito di trovar la ragione della loro celebrit.
Leopardi, noto, nel maggio del 36, da Napoli, fece ammenda di quel suo scatto e di tutto un
atteggiamento: se avessi potuto a bell'agio rivedere il Comento dall'un capo all'altro [...] avrei
scancellata ogni parola che io per baldanza giovanile lasciai scorrere, poco riverente verso il
Petrarca; la stima del quale di giorno in giorno [...] cresce in me. A dir vero, in quel giro d'anni, su
Petrarca e sul giudizio del Sismondi erano corse parole dure. Negli Essays on Petrarch, usciti a
Londra in forma definitiva in inglese nel '23, Foscolo aveva riferito, e postillato, le battute della
Histoire des rpubliques italiennes du Moyen ge: "Che Petrarca - cos citava Foscolo - anche
nella sua carriera politica seguitasse pur sempre a farla da trovatore; che tutti i tiranni d'Italia, col
lusingare la sua vanit, ne ottenessero in iscambio una bassa adulazione, che egli commettesse cose
contrarie a' princpi e a' doveri suoi come cittadino di Firenze e come Guelfo", sono giudizi di un
moderno storico, la cui devozione alla libert fa velo talvolta alla sua riverenza per il vero.
Senonch subito Camillo Ugoni, nel 1824, dando alla luce a Lugano la versione italiana dei saggi
foscoliani, vi aggiungeva una nota lunghissima a proposito del Sismondi, mettendo a confronto il
volume quinto della Histoire des rpubliques italiennes con il tomo primo, uscito nel 1813, De la
littrature du Midi de l'Europe1.
Articolando le conclusioni del Sismondi attraverso un confronto fra opere italiane e latine del
Petrarca, dalle rime volgari alle epistole, e particolarmente ad alcune sine nomine a Cola di Rienzo quelle stesse che la censura controriformista implacabilmente tagliava, malamente mutilando gli infolio di Basilea - Ugoni non solo mostrava la complessit della questione, ma anche dava voce alla
necessit di una visione globale dell'opera di Petrarca che sola, del resto, poteva consentire una
valutazione adeguata delle stesse Rime. Non a caso gi Foscolo aveva fatto largo uso delle epistole,
anche se di Ugoni, non di Foscolo, fu il richiamo a Montaigne.
Netta comunque in tutti, in positivo come in negativo, con la distinzione dell'opera latina da quella
italiana, anche la convinzione che il grande Petrarca il poeta delle Rime, che il cantore di Laura
il Petrarca che conta e che sfida i secoli, e si colloca accanto a Dante, e con Dante ha il suo posto fra
i padri della lingua e della letteratura nazionale. Cos Foscolo utilizza s le epistole, ma soprattutto
per mettere a fuoco la complessa figura umana di un grande poeta volgare. Che interi secoli di
civilt avessero attinto largamente alla sua produzione latina; che una nuova concezione del mondo
fosse germinata da quelle pagine; che da quella stessa riscoperta lingua di Roma avesse tratto
origine un nuovo latino non pi medievale ma neppure classico, bens l'elaborato latino umanistico
con cui l'italiano stesso avrebbe dovuto fare i conti; che, insomma, come aveva scritto sul
1

U. FOSCOLO, Saggi sopra il Petrarca, Lugano 1824, pp. 153-158.

frontespizio degli in-folio delle opere complete a met del Cinquecento l'editore di Basilea, una
nuova completa enciclopedia della scienza e della sapienza umana fosse stata donata da Petrarca
all'Europa: tutto questo lontano dalla cultura dell'Ottocento, almeno da quella intesa a far tesoro
soprattutto, se non unicamente, del momento lirico della poesia petrarchesca.
Francesco De Sanctis, che su Petrarca pubblic un libro e torn tante volte, forse non meritava, anzi
non meritava affatto il sarcasmo di Vittorio Imbriani che confessava a De Meis che proprio non se
la sentiva di fare l'elogio di chi aveva il coraggio di scrivere un volume su Petrarca senza averne
letto altro che il Canzoniere. Certo di fronte alle fatiche di Fracassetti, e alla biografia del Mzires,
come innanzi all'impegno di quanti lavoravano per rileggere le rime come opere dell'intero uomo
Petrarca, alla luce di tutta la sua vita e di tutte le sue pagine, De Sanctis aveva il coraggio di ripetere
che, non gli eruditi, ma il volgo che ha ragione - quel volgo che legge e giudica il Canzoniere, e
il solo Canzoniere, alla luce delle notizie che qualunque edizione corrente suole offrire. Non ci
nessuna edizione del Canzoniere dove non si trovi innanzi una biografia che ti d il Petrarca intero,
scriveva purtroppo De Sanctis sulla "Nuova Antologia" del settembre 1868; e quelle notiziole
biografiche correnti gli sembravano pi che sufficienti per intendere e valutare tutto quello che
dell'opera importava. Se anche come qualcuno ha sostenuto - ebbe dei debiti con Burckhardt,
dovettero essere ben superficiali, se Burckhardt di continuo getta luce anche sulla poesia di Petrarca
proprio attingendo a quei documenti in cui si riflette la complessit della sua vita e della sua cultura.
Proprio Burckhardt - ne La Civilt del Rinascimento in Italia - avvertiva molto opportunamente:
Il Petrarca nell'opinione dei pi non vive oggid che come un grande poeta in volgare; presso i suoi
contemporanei invece la sua fama si basava assai pi sulla sua erudizione, in quanto egli era quasi una
personificazione dell'antichit, imitava tutti i generi della poesia latina e scriveva lettere, le quali, come trattati su
2
punti speciali dell'antichit, ebbero in quel tempo senza manuali un valore spiegabilissimo .

D'altra parte quelle sue medesime liriche volgari fiorite su un complesso senza confini di pagine
latine, quel canto che risuona oltre tanti articolati discorsi, tante analisi sottilissime, tanti
ragionamenti, tante orazioni - e tante travagliate scelte di vita: quel Canzoniere, insomma,
davvero leggibile per chi non abbia decifrato l'intero discorso su cui fiorisce? A parte ogni altra
considerazione sul Petrarca latino, se non si ritrova ogni suo tormento e ogni palpito nell'infinita
autobiografia consegnata alle pagine latine, possiamo davvero comprendere quelle rime volgari, o
non rischiamo, invece, di interrogare un testo di cui paradossalmente ignoriamo proprio la lingua?
Non a caso Cristoforo Landino nella prolusione del 1467, quando cominci a leggere i Sonetti di
messere Francesco Petrarca in Istudio, vvertiva gli ascoltatori che necessario esser latino chi
vuole essere buono toscano3.
Benedetto Croce, che a proposito di Petrarca ha osservazioni particolarmente felici, dice una volta
che la passione d'amore, di quell'amore, non fu un accadimento passionale, non entr nella sua vita
come un sole sfolgorante o come un uragano, s invece la prese e la penetr tutta e per sempre, ne
inform il centro e il fulcro. Solo per lei la mortal vita gli piacque, solo per lei che ne fu la luce4.
Questo non altro significa se non l'unit di una vita e di un'opera, che per esserci conservata o per
essere ricostruibile nella complessit dei suoi vari momenti, non pu essere mutilata o scissa da chi
voglia comprenderla.
D'altra parte, come si detto, non si tratta solo della vita di un poeta eccezionale, di un autore
capace di rivelare e indagare nuove zone dell'umano sentire. Si tratta di un uomo di cultura che
attraverso l'opera sua, realizzando con eccezionale abilit un programma consapevolmente scelto,
ha pesato sulla vita intellettuale e morale europea di un paio di secoli, penetrando sottilmente non
2

J. BURCKHARDT, La civilt del Rinascimento in Italia, trad. it. di D. VALBUSA, Firenze 1990, p. 187. Per le
osservazioni a proposito del De Sanctis, anche in rapporto al Burckhardt, cfr. l'edizione commentata a cura di E.
BONORA del Saggio critico sul Petrarca, Bari 1955, e in particolare l'introduzione e i commenti del curatore.
3
C. LANDINO, Scritti critici e teorici, a cura di R. CARDINI, Roma 1974, I, pp. 33-40.
4
B. CROCE, Poesia popolare e poesia d'arte, a cura di P. CUDINI, Napoli 1991, p. 67.

solo nel modo di vivere certi rapporti umani, ma negli atteggiamenti da assumere nei confronti della
realt. Petrarca consegn tutto questo a un'opera imponente, che, a guardar bene, diventata
un'autobiografia senza fine, perch ogni sua pagina, latina e volgare, poi sempre autobiografica:
perch scavando in se stesso, ritornando senza posa su questo dialogare infinito con s e, attraverso
s, con gli altri e con le cose medesime, Petrarca scopre - costruisce - un suo mondo, e gli schemi di
mondi possibili. A questo Petrarca, appunto, avevano in qualche modo guardato i primi grandi
dell'et umanistica, e poi, lungo il Quattrocento e il Cinquecento, allievi e imitatori. Lo venerassero
senza limiti come Coluccio Salutati, lo discutessero pieni di dubbi e di obiezioni come Leonardo
Bruni - ma sono solo due esempi fra tanti - i primi grandi dell'umanesimo sanno quanto del
rinnovamento culturale a cui partecipano abbia presso l'avvio di l; quanto Petrarca abbia disegnato
l'immagine del grande intellettuale e della sua funzione, e come richiamando l'immagine dei classici
abbia pesato sul ritmo della storia. La lettera del Salutati del 16 agosto 1374 a Roberto Guidi conte
di Battifolle documento singolare su cui riflettere, e non certo per le lodi del maestro e amico
scomparso, a cui ben altre epistole salutatiane sono dedicate, quanto per accenti, temi, movenze di
rilievo, come il parallelo finale fra la morte di Petrarca e quella di Ermete Trismegisto, il saggio a
cui pro admiratione virtutis divinos antiquitas consecravit honores: un testo ermetico, questo
usato dal Salutati, che Ficino rilancer nel Quattrocento; un testo solenne, come solenne la
celebrazione di Petrarca maestro di vita. Quem de rerum arcanis interrogabimus?- si domanda
Salutati; quis auribus nostris moralia ulterius instillabit; [...] quis discrepantes concordabit
hystorias?5 .
Non meno rilevante il giudizio del Bruni, che se non nasconde le sue simpatie politiche per Dante
repubblicano, pone con grande chiarezza il tema, e il problema, del rapporto in un mondo che
cambia fra l'intellettuale - nel caso, Petrarca - e i Signori. Mentre Dante - osserva Bruni - nell'armi
per la patria e nel governo della repubblica laudabilmente si adoper, e cos gli avvenne d'esser
cacciato e disperso per la malvagit degli uomini e per la ngratitudine de' popoli, il Petrarca fu
pi costante in ritenere l'amicizia de' principi. Anche per questo gli onori del Petrarca furono tali
che niuno uomo di sua et fu pi onorato di lui, n solamente oltre a' monti, ma di qua in Italia. Di
proposito, ovviamente, Bruni non fa cenno delle posizioni di Petrarca nel contrasto fra Cola di
Rienzo e il papato avignonese. Su un punto, tuttavia, ben fermo: su Petrarca padre del nuovo
umanesimo: Francesco Petrarca fu il primo, il quale ebbe tanta grazia d'ingegno che riconobbe e
rivoc in luce l'antica leggiadria dello stile perduto e spento6.
Che a Petrarca risalisse l'avvio del rinnovamento umanistico, che a lui se ne dovessero forme e
caratteri, che petrarchesche ne fossero alcune preoccupazioni e idee dominanti, motivo ritornante
nel Quattrocento, e quasi di casa nei circoli toscani. perfino la radice di episodi singolari, quanto
significativi, anche se troppo trascurati, come, per fare un esempio solo, l'attribuzione a Petrarca
nelle edizioni delle opere del Quattrocento e Cinquecento (la basileese del 1496, le veneziane del
1501 e del 1503, le grandi di Basilea del 1554 e del 1581) dei due dialoghi De vera sapientia, un
falso da Cusano, che del resto conosceva benissimo Petrarca di cui aveva letto e postillato i
manoscritti. Va aggiunto che il falso cusaniano sotto il nome di Petrarca continu a circolare nei
secoli, fino a tutto l'Ottocento, anche tradotto, in boemo, in tedesco, in italiano. Di proposito si
ricordato Cusano, a sottolineare uno dei toni pi significativi del pensiero di Petrarca, e che pi
hanno pesato nel rinnovamento umanistico, il cosiddetto platonismo: non tanto - si badi - una
contrapposizione di Platone ad Aristotele, quanto la vivace affermazione della filosofia classica
come pluralit di voci: un coro al posto di un insegnamento monocorde. Non difficile indicare
almeno alcuni degli oggetti della polemica petrarchesca contro la filosofia delle scuole, dalle diffuse
teorie logiche e fisiche affermatesi anche in Italia a certi epigoni dell'aristotelismo; ma ci su cui il
Petrarca batte con forza la molteplicit delle voci. Se unica la luce della verit, essa illumina in
modo diverso (Vident luce non altera, verum aliter illustrante). Grandissimo uomo Aristotele,
5 C. SALUTATI, Epistolario, a cura di F. NOVATI, Roma 1891, I, pp. 176-177.
6 Leonardo BRUNI ARETINO, Humanistisch- philosophische Schriften, ed. H. BARON, Leipzig-Berlin 1928, pp. 6569.

ma uomo; e oltre Aristotele ci sono Anassagora e Democrito, Socrate e Platone, che se non arriv
ad afferrare la verit, per la vide, e ci si avvicino pi degli altri. Ci sono, grandissimi, Cicerone e
Seneca. Ci sono antichi e moderni, e il confronto, mentre fa emergere le differenze e definisce il
distacco, alimenta il senso della storia.
C' soprattutto un'altra dimensione della riflessione e della ricerca: la dimensione umana, della
poesia e dell'arte, morale e politica, storica, con le sue voci tutte diverse di vivi e di morti, col suo
cercare inquieto senza mai l'illusione di possedere tutto e per sempre; con i dubbi e le incertezze,
con le domande piuttosto che le risposte, e le risposte dubbie, incerte, elusive. C' il dialogo che
un confronto; c' la confessione; c' l'autobiografia - c' la lettera pars altera dialogi, indirizzata
anche ai morti.
Non davvero il caso di insistere sui temi ormai banali dei dialoghi e delle epistole, o
dell'autobiografia, come forme letterarie privilegiate dell'et del Rinascimento. E certo comunque
che Petrarca non fa che scrivere lettere o dialoghi, e ritessere senza posa la storia della sua vita, e
discorrere con i suoi interlocutori, vivi o morti che siano. Questo il mondo delle sue opere latine, di
un latino che esso stesso una lingua artificiale - la nuova lingua di un mondo nuovo, di uomini
diversi che sembrano emergere dal passato per un mondo inesistente, dove la linea stessa di confine
fra morti e vivi, fra solitari e cittadini, , spesso cos sfumata, cos difficile a fissare, cos complicata
da apparire inafferrabile. Non meno arduo il rapporto col volgare del Canzoniere, come del resto
cap assai bene Cristoforo Landino. Sarebbe agevole continuare; ma fu proprio questo Petrarca
soprattutto latino che continu a circolare e a sedurre nei secoli. E questo il Petrarca che diventa - e
resta a lungo - uno dei canali della penetrazione europea di Cicerone e di Seneca, del dubitare
accademico e della grande ondata stoica. il Petrarca delle cui parole ama servirsi Montaigne per
indicare i suoi stati d'animo ambigui, inquieti, contraddittori: N s n no nel cor mi suona intero.
O ancora: E cos aven che l'animo ciascuna / Sua passion sotto el contrario manto / Ricopre con la
vista or chiara or bruna. Ma anche il Petrarca che il singolare frontespizio delle edizioni di
Basilea del 1554 e del 1581 presenta come assertor et instaurator reflorescentis literaturae
latinaeque linguae aliquot seculis horrenda barbarie inquinatae ac pene sepultae, nelle cui opere,
oltre la teologia, la filosofia naturale e morale, si trova liberalium quoque artium encyclopediam,
historiarum thesaurum et poesis divinam quandam viro. E il Petrarca il cui De remediis utriusque
fortune conforta nel Seicento il signor di Chteaunnires chiuso alla Bastiglia7.
Non certo il Petrarca di Francesco De Sanctis, e di tanta parte dell'Ottocento, anche se quello a
cui tendeva l'ammirevole lavoro del Fracassetti, per riprendere la generosa espressione di Vittorio
Rossi. La riproposta massiccia delle Familiari, delle Varie e delle Senili, lo studio dei rapporti con
Cola di Rienzo, ma anche una pensosa meditazione dei suoi scritti morali', avviarono alla scoperta,
nel cantore di Laura, del precursore delle pi vive aspirazioni dei tempi moderni, per usare
l'espressione felice anche se non rigorosa con cui nel 1852 Renan present la filosofia di quel
toscano pieno di tatto e di finezza. Renan, purtroppo, accreditava oltre misura anche il mito
dell'averroismo padovano, che neppure le rigorose rettifiche di Kristeller hanno dissipato. Ebbe
tuttavia il merito di sospettare il posto eccezionale che al Petrarca compete nella storia del pensiero
umano in genere e delle origini del Rinascimento italiano in particolare8.
La sua riscoperta del mondo antico - credo sia giusto chiamarla cos - si colloca infatti alla
convergenza fra ritorno dei classici greco-romani nell'et dell'Umanesimo e rinnovamento della
cultura e delle arti in quello che suol dirsi il Rinascimento italiano. La sua funzione in quell'incontro
fu eccezionale.
A farcela scoprire, in questo secolo, contribu non poco quella straordinaria officina culturale che fu
l'Edizione Nazionale delle Opere di Francesco Petrarca istituita dalla Legge 11 luglio 1904.
L'impresa di Vittorio Rossi e poi di Umberto Bosco intorno alle Familiari, gli scavi instancabili di
Giuseppe Billanovich, le edizioni di Billanovich, gli studi e le edizioni di Guido Martellotti (senza
7

Cfr. Le sage resolu contre la fortune, ou le Petrarque mis en Franois par Mr. DE CRENAILLE, Escuyer, sieur de
Chteaunnires, Paris 1667. Il secondo volume reca come titolo Le sage resolu contre la fortune et contre la mort.
8
E. RENAN, Averros et l'averroisme, Paris 1852, pp. 260-268.

dimenticare, fuori d'Italia, le pur discutibili ma stimolanti ricerche di Burdach e di Piur), mentre ci
hanno recato materiali ingenti, hanno via via delineato un personaggio molto diverso, sempre pi
decisivo, sempre pi imponente, ma anche sempre pi ambiguo e inquietante. Da un lato si sono
conosciuti sempre meglio i codici con cui ha avuto a che fare e i loro spostamenti, con gli
inseguimenti da paese a paese; dall'altro venuta crescendo la statura e la complessit di un uomo,
che scav senza posa in s stesso. Certe indagini di Billanovich, certe sue pagine riunite nel '47 ne
Lo scrittoio del Petrarca; certe osservazioni di Martellotti, ancorate com'erano ad analisi rigorose;
certi commenti di Rico, ci hanno consentito conferme e scoperte a proposito di un Petrarca
sfuggente.
Si pensi solo a un punto, ma decisivo per un uomo che ritorn senza posa sulle sue pagine:
possibile definire una linea di sviluppo, una storia dell'opera petrarchesca? Bosco, gi nel '46,
scriveva: Il vero che noi non possiamo in alcun modo ravvisare una linea di sviluppo, uno
svolgimento, non solo nel canzoniere, ma in tutto il Petrarca. Egli senza storia, se lo si considera,
come si deve, nel concreto di tutta l'opera sua. Nel '62 Hans Baron, messosi alla ricerca di questa
storia, si appellava a Martellotti, ma Martellotti, molto acutamente, aveva scritto: Di ogni opera del
Petrarca si conosce con qualche esattezza la data d'inizio; mai o quasi mai si pu indicare una data
in cui la composizione possa considerarsi finita. Il Petrarca non riusc a districarsi da alcuna di esse
in modo definitivo: le teneva tutte presso di s, anche quelle che parevano giunte a qualche
completezza, e le riprendeva in mano a volta a volta per deporvi le impressioni di letture ed
esperienze nuove. L, nell'officina, vedendo preparare l'edizione, osservando la ricostruzione sui
codici delle tappe di un lavoro senza fine, abbiamo scoperto cosa fu questa storia: l'inquietudine di
un viaggio senza riposo, un cambiare continuo e spesso doloroso, un moto oscillante e non
un'ascesa senza fine.
Mentre il filosofo doggi ci ripeteva de claritate in claritatem, Petrarca ci ricordava il limite
invalicabile della condizione umana: l'orizzonte cambia, ma gioie e dolori continuano ad
avvicendarsi, sempre e diversi e gli stessi.
Gi nelle celebrazioni centenarie del '74 fu molto presente questo Petrarca morale, che
specialmente il Petrarca latino, cos nostro, cos vicino alla nostra inquietudine disincantata.
Probabilmente, a coglierne tutta la seduzione dobbiamo rileggere ancora una volta il Canzoniere,
vita e morte, per comprenderne, ricollocandolo esattamente nel suo contesto, la consapevolezza
senza illusioni della miseria della condizione dell'uomo.

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