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Letterature 64
Collana diretta da M. Palumbo e A. Saccone
fondata da G. Mazzacurati
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Antonio Gargano
ISSN
1828-8421
Liguori Editore
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Pubblicato con un contributo per Ricerche di Interesse Nazionale cofinanziate dal
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Liguori Editore
Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA
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Gragano, Antonio:
Con accordato canto. Studi sulla poesia tra Italia e Spagna nei secoli XV-XVII/Antonio
Gargano
Letterature
Napoli : Liguori, 2005
ISSN 1828-8421
1. Letterature comparate 2. Poesia italiana e spagnola I. Titolo II. Collana III. Serie
Aggiornamenti:
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INDICE
XI Prefazione
PARTE PRIMA
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PARTE SECONDA
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INDICE
PARTE TERZA
157 L’ode tra Italia e Spagna nella prima metà del Cinquecento
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PARTE QUARTA
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INDICE
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PREFAZIONE
della varietà delle circostanze che sono all’origine del loro concepi-
mento sia della distanza dei tempi a cui risalgono le singole realizza-
zioni, la raccolta difficilmente potrebbe farsi rientrare nella categoria
dei libri organicamente ideati e unitariamente composti. Tuttavia,
non credo che si possa negare come le varie tessere che lo compon-
gono, una volta assemblate, pur nell’autonomia delle singole genesi,
vadano oltre la mera unità garantita dal nome dell’autore e abbiano
finito per generare un disegno a suo modo coerente che per grandi
linee, almeno, potrebbe essere descritto nel modo seguente: il tenta-
tivo di ricostruire, facendo leva su alcuni episodi significativi, il
radicale rinnovamento a cui si vide sottoposta la tradizione poetica
spagnola in accordo alle esperienze e ai modelli lirici italiani, fino alla
completa emancipazione da essi in concomitanza dei grandi poeti
barocchi, con i quali la direzione dell’influenza conobbe spesso
un’inversione di rotta.
Nella prima delle quattro sezioni in cui gli studi sono stati
ripartiti, due scritti introducono alle successive sezioni interamente
dedicate, come si è detto, al fenomeno lirico, il quale risulta cronolo-
gicamente scomposto nelle tre fasi che coincidono grosso modo,
rispettivamente, con l’esperienza di una cultura poetica quadrilingue
presso la corte napoletana in età aragonese; col processo di radicale
rinnovamento operato in epoca carolina da Garcilaso de la Vega
soprattutto, ma anche da poeti come Boscán, Cetina o Acuña, a
partire sia del modello offerto dal Canzoniere e dai Trionfi petrarche-
schi, sia da quelli, non sempre assimilabili, proposti dai contempora-
nei poeti italiani, come Bernardo Tasso o Jacopo Sannazaro, o
direttamente dai classici; con lo sforzo di aggiornamento, infine,
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PREFAZIONE
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PREFAZIONE
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PREFAZIONE
A. G.
Napoli, 9 luglio 2005
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PREFAZIONE
Gli studi qui raccolti e, in alcuni casi, tradotti dallo spagnolo erano stati
precedentemente pubblicati nelle sedi seguenti, in ordine cronologico:
«La fortune d’une littérature». Note sulla ricezione della letteratura italiana in
Spagna, in F. Bruni (a cura di), Contributo italiano alla vita letteraria e intelletuale
europea, Torino, Banca Nazionale dell’Agricoltura-UTET, 1993, pp. 269-92.
«Petrarca y el traduzidor». Note sulle traduzioni cinquecentesche dei «Trionfi», in
«Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sezione Romanza»,
XXXV, 2 (1993), pp. 485-98.
La oda entre Italia y España en la primera mitad del siglo XVI, in B. López
Bueno (a cura di), La oda («Segundo encuentro internacional sobre Poesı́a del
Siglo de Oro. Sevilla-Córdoba, 16-21 de noviembre de 1992»), Sevilla, Universi-
dad de Sevilla, 1993, pp. 121-45.
Poesia iberica e poesia napoletana alla corte aragonese: problemi e prospettive di
ricerca, in «Revista de Literatura Medieval», VI (1994), pp. 105-24.
Aspetti della poesia di corte. Carvajal e la poesia a Napoli al tempo di Alfonso il
Magnanimo, in Atti del XVI Congresso Internazionale di Storia della Corona
d’Aragona. Celebrazioni alfonsine (Napoli, 1997), a cura di G. D’Agostino e G.
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PARTE PRIMA
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE».
NOTE SULLA RICEZIONE DELLA
LETTERATURA ITALIANA IN SPAGNA
1. Premessa
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Nel tessere l’elogio del «saggio esemplare» di Mario Praz sui Rapporti
tra la letteratura italiana e la letteratura inglese, pubblicato nel 1948,
Claudio Guillén ha sottolineato come «lo studio delle influenze
internazionali è compito irto di ostacoli, trappole e possibili malinte-
si»1. È probabile che molti dei «malintesi» in cui incorre chi pretende
di studiare le cosiddette influenze letterarie siano dovuti all’imposta-
zione data dai comparatisti della «stagione francese» – secondo la
denominazione di Guillén – tra la fine del passato secolo e l’inizio del
nostro, e che comunque essi possano essere in buona misura evitati
grazie a quel rinnovamento teorico del comparativismo, di cui il libro
di Guillén costituisce un’ampia e documentatissima trattazione.
Quanto alle pagine che seguono, confesso che esse restano in larga
misura estranee alle preoccupazioni teoriche a partire dalle quali si è
costituito il rinnovato quadro del comparativismo, e piuttosto risul-
tano animate da un criterio empirico; il che però non vuol dire che
manchino di qualsiasi principio ispiratore, e ciò al di là sia di
puntuali omissioni e dimenticanze sia di un certo eclettismo nella
forma d’esposizione.
In primo luogo, per il quadro complessivo che qui si è inteso
tracciare, ho creduto che – finché ciò fosse stato possibile – si
dovesse evitare l’atomismo delle singole opere o autori, privilegiando
da un lato i grandi generi letterari, e procedendo dall’altro a una
trattazione cronologica dettata da un principio di assoluta sincronia
1
C. Guillén, L’uno e il molteplice. Introduzione alla letteratura comparata, Bologna, Il
Mulino, 1992. Cito da p. 251.
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PARTE PRIMA
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
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PARTE PRIMA
2. Un difficile rapporto:
da Imperial alla «Propalladia» di Torres Naharro
Alla fine del 1448 o, più probabilmente, nel 1449, Iñigo López de
Mendoza, marchese di Santillana, inviò al connestabile di Portogallo
un manoscritto dei suoi «decires e canciones» accompagnato da
un’epistola, destinata a diventare col tempo assai celebre, nella quale
a un certo punto si legge:
2
Vd. El «Prohemio e Carta» del marqués de Santillana y la teorı́a literaria del s. XV, a c. di A.
Gómez Moreno, Barcelona, PPU, 1990.
3
I. López de Mendoza, marchese di Santillana, Obras completas, a c. di A. Gómez
Moreno e M.P.A.M. Kerkhof, Barcelona, Planeta, 1988, pp. 455-57.
4
F. Rico, El quiero y no puedo de Santillana, in Primera cuarentena y tratado general de
literatura, Barcelona, El festı́n de Esopo, 1982. Cito da p. 34.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
5
J.A. Pascual, La traducción de la «Divina Commedia» atribuida a D. Enrique de Aragón,
Salamanca, Universidad de Salamanca, 1974. Cito da p. 17.
6
G. Caravaggi, Francisco Imperial e il ciclo della «Stella Diana», in M. Picone (a cura di),
Dante e le forme dell’allegoresi, Ravenna, Longo, 1987, pp. 149-68. Cito da p. 149.
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PARTE PRIMA
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
7
R. Lapesa, La obra literaria del Marqués de Santillana, Madrid, Insula, 1957. Cito dalle
pp. 217-18.
8
F. Rico, Cuatro palabras sobre Petrarca en los siglos XV y XVI, in Convegno Internazionale
Francesco Petrarca, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1976, p. 49-58, p. 56.
9
Lapesa, La obra literaria, cit., p. 189.
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PARTE PRIMA
10
R. Lapesa, Poesı́a de cancionero y poesı́a italianizante (1962), in De la Edad Media a
nuestros dı́as, Madrid, Gredos, 1971, pp. 145-71. Cito da p. 148.
11
F. Rico, Variaciones sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in AA.VV., Doce
consideraciones sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés, Roma,
Publicaciones del Instituto Español de Lengua y Literatura, 1979, pp. 115-30. Cito da p.
129.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
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PARTE PRIMA
15
Ivi, p. 75.
16
Rico, Primera cuarentena, cit., p. 33.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
Molti non si resero conto (o non vollero farlo) che le novità bibliografi-
che che allora si diffondevano formavano solo una parte di un più
vasto continente intellettuale: e si limitarono a usarle con impassibile
neutralità, mescolandole indifferentemente con le autorità medievali
che continuavano a costituire la base e l’orizzonte del loro mondo.
Altri, invece, videro molto bene che nelle pagine dei classici o degli
umanisti affiorava un ideale che puntava contro il paradigma del
sapere generalmente accettato: il paradigma scolastico (vale a dire,
specialistico, tecnico); e poiché lo videro molto bene, disprezzarono e
attaccarono tali pagine, anche se in qualche caso non seppero evitare
piccoli contagi. I terzi, poi – ma l’enumerazione dovrebbe prolungarsi
–, riconobbero negli studia humanitatis un fermento creativo e cerca-
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17
F. Rico, Imágenes del Prerrenacimiento español: Joan Roı́s de Corella y la «Tragèdia de
Caldesa», in Homenaje a Horst Baader, Frankfurt-Barcelona, Hogar del libro, 1984, pp.
15-27. Cito dalle pp. 15-16.
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PARTE PRIMA
giovani studenti sui grandi maestri delle lettere antiche. Né mancó il
diretto apporto degli umanisti italiani, alcuni dei quali come Lucio
Marineo Siculo e Pietro Martire d’Anghiera – per limitarci ai casi più
famosi – si trasferirono in Castiglia, dove rimasero il resto della loro
vita, impegnati nel magistero di poesia latina e di eloquenza a
Salamanca, il primo, nell’educazione del fiore della nobiltà presso la
stessa corte reale, il secondo.
Le conseguenze di una cosı̀ profonda trasformazione culturale
non si fecero attendere; esse risultano ben visibili già nei decenni a
cavallo tra i due secoli, in quella che suole definirsi l’epoca dei Re
Cattolici. La stessa poesia di tipo cancioneril non fu esente da un
avvio di rinnovamento dovuto alla crescente penetrazione della cul-
tura umanistica, sia per i contatti con gli autori classici sia per quelli
con i contemporanei poeti rinascimentali italiani. Si è già detto delle
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
Este segundo libro terná otras cosas hechas al modo italiano, las quales
serán sonetos y canciones, que las trobas d’esta arte assı́ han sido
llamadas siempre. La manera d’éstas és más grave y de más artificio y
(si yo no me engaño) mucho mejor que la de las otras18.
18
Obras poéticas de Juan Boscán, a c. di M. de Riquer, A. Comas, J. Molas, Barcelona,
CSIC, 1957.
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PARTE PRIMA
19
G. Caravaggi, Alle origini del petrarchismo in Spagna, in «Miscellanea di studi ispanici»,
XXIV (1971-73), pp. 7-101. Cito dalle pp. 92 e 100.
20
E.L. Rivers, L’humanisme linguistique et poétique dans les lettres espagnoles du XVI e siècle,
in A. Redondo (a cura di), L’humanisme dans les lettres espagnoles, Paris, Vrin, 1979, pp.
169-76. Cito da p. 171.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
nunca hasta aora impressas assi por ell arte española como por la toscana
del 1554. Difatti, con la poesia di Cetina e Acuña, due poeti di
formazione italiana, e con quella di Hurtado de Mendoza, Silvestre e
Montemayor, maggiormente compromessi rispetto ai primi con la
vecchia tradizione poetica «a la castellana», il trionfo della metrica
italiana e della nuova poetica fu assicurato. Da questo punto di vista,
è davvero emblematico lo sforzo compiuto nel 1552 da Fernando de
Hozes che sottopose l’intera sua versione dei Trionfi petrarcheschi a
un puntuale rifacimento, in ossequio alla nuova norma metrica che
prescriveva che «ninguno [verso] tenga acento en la última»; una
norma che del resto, proprio in quegli anni, cominciava ad essere
condivisa dalla quasi totalità dei poeti, anche se non tutti l’adotta-
rono con la severità di Hozes e, ancor prima di questi, dal Garcilaso
maturo. Parimenti, alla metà del secolo, la costituzione del nuovo
sistema dei generi metrici e poetici si era sostanzialmente compiuta:
accanto al sonetto e alla canzone petrarcheschi, e ai generi neoclas-
sici già menzionati a proposito di Garcilaso, è forse il caso di
ricordare almeno l’ottava, il capitolo in terzine e la favola mitologica
in endecasillabi sciolti, inaugurati da Boscán, l’epistola in terzine da
Hurtado de Mendoza, il madrigale da Cetina, ecc. Quanto poi ai
poeti italiani che ebbero una maggior influenza in questa seconda
fase, oltre a quelli di primo piano, un posto di rilievo occuparono il
napoletano Tansillo e i poeti raccolti da Ludovico Domenichi nelle
21
C. Guillén, Sátira e poética en Garcilaso (1972), in El primer Siglo de Oro. Estudios sobre
géneros y modelos, Barcelona, Crı́tica, 1988, pp. 15-48. Cito da p. 21.
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PARTE PRIMA
Una prosa che non pretende più di essere latina, ma di fluire secondo i
propri canali in stretta relazione con la lingua parlata. [...] non è meno
22
B. Castiglione, El Cortesano, traducción de J. Boscán, Madrid, CSIC, 1942.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
d’altro lato, segue un preciso ideale estetico, che già Garcilaso aveva
sinteticamente segnalato:
23
M. Morreale, Castiglione y Boscán: el ideal cortesano en el Renacimiento español, 2 voll.,
Madrid, Real Academia Española, 1959. Cito da p. 24.
24
L. Terracini, Lingua come problema nella letteratura spagnola del Cinquecento (con una
frangia cervantina), Torino, Stampatori, 1979. Cito da p. 125.
25
Ivi, pp. 121-22.
26
Ivi, p. 175.
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PARTE PRIMA
primo, e dall’altro vedeva nei due poemi, presi nel loro complesso, la
rappresentazione di un omogeneo complesso di vicende eroiche.
Tutto ciò si può constatare con evidenza maggiore, rispetto alle
traduzioni, in quelle opere che debbono considerarsi delle continua-
zioni dei poemi italiani come, per esempio, La segunda parte de
Orlando (1555) di Nicolás Espinosa, o il Verdadero suceso de la famosa
batalla de Roncesvalles (1555) dello stesso Garrido de Villena. Pur
seguendo piuttosto da vicino i poemi cavallereschi italiani, da cui
traggono personaggi, episodi, situazioni e tecniche narrative, le trame
di queste continuazioni risultano subordinate a un grande disegno di
gesta eroiche, ove la dimensione epica si concretizza poi nel doppio
proposito nazionale e genealogico. Tale tradizione, inaugurata da
Espinosa e Garrido de Villena, che potremmo sinteticamente definire
come un’epopea di importazione italiana costruita attorno a un
personaggio della locale mitologia nazionale (per es., Bernardo del
Carpio), raggiunge il suo pieno compimento in autori del tardo
rinascimento o addirittura del secolo successivo, come Agustı́n
Alonso o Balbuena, le cui opere segnano anche una maggiore origi-
nalità nei confronti dei modelli italiani. E tra i modelli, oltre ai due
Orlando, bisogna annoverare le cosiddette giunte; cosı̀ Espinosa co-
nobbe e utilizzò l’Innamoramento di Orlando di Niccolò degli Ago-
stini, Garrido de Villena e Barahona de Soto l’Angelica innamorata di
Vincenzo Brusantino ecc. Ma la vera fioritura del genere si ebbe in
Spagna con un gruppo di opere in cui si fusero «motivi ariosteschi da
un lato, [e] i grandi temi nazionali dall’altro (le nuove conquiste,
europee e transoceaniche, la guerra contro i Turchi, la Controrifor-
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
27
G. Caravaggi, Studi sull’epica ispanica del Rinascimento, Pisa, Università di Pisa, 1974.
Cito da p. 135.
28
Ivi, p. 164.
29
F. Rico, Introducción a Lazarillo de Tormes, Madrid, Cátedra, 1987. Cito da p. 69.
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PARTE PRIMA
come nel resto d’Europa, dovette leggersi molto, soprattutto tra gli
studenti di latino. L’anonimo rifacimento spagnolo, condotto sulla
redazione Toscolana del 1521, si pubblicò a Siviglia nel 1542, ed è
interessante per più di un motivo. In primo luogo, il rifacitore
sembra compiere un cammino inverso a quello del Folengo, perché –
come scrive Blecua – «l’italiano parte da uno schema topico dei libri
di cavalleria, e dell’epica in generale, per scrivere un’opera parodica.
Il suo rifacitore ricostruisce questo archetipo eroico, eliminando
l’elemento parodico e aggiungendo di suo descrizioni e situazioni
tipiche dei libri di cavalleria»31. In secondo luogo, vi sono introdotte
le due biografie di Falcheto e di Cingar, e quest’ultima può essere
avvicinata per più di un tratto al Lazarillo, tanto più che l’opera è di
dodici anni anteriore alla prima edizione conosciuta del capolavoro
del romanzo picaresco.
Una funzione non trascurabile nella formazione del teatro spa-
gnolo dovette svolgere l’arrivo in Spagna delle compagnie italiane, la
cui presenza, documentata fin dal 1538, divenne maggiormente
consistente ed organizzata tra il 1574 e il 1587, quando a Madrid e a
Valenza operarono le compagnie del celebre Alberto Naselli, detto
Ganassa, e di Stefanello Bottarga. La presenza di tali compagnie
esercitò una doppia influenza: se da un lato, attraverso il loro
30
M. Pelayo, Orı́genes de la novela («Edición nacional de las obras completas de M.
Pelayo»), Santander, CSIC, 1943, III, p. 75.
31
A. Blecua, Libros de caballerı́as, latı́n macarrónico y novela picaresca: la adaptación
castellana del «Baldus» (Sevilla, 1542), in «Boletı́n de la Real Academia de Buenas Letras de
Barcelona», XXXV (1971-1972), pp. 147-239. Cito da p. 155.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
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PARTE PRIMA
solo nel 1617 benché fossero state terminate più di dieci anni prima,
sono state definite dal loro maggiore studioso come un «plagio literal»
di tre trattati poetici italiani, tra quelli che avevano raggiunto più
larga diffusione: il commento di Robortello alla Poetica aristotelica, la
redazione italiana L’arte poetica del Minturno, e i Discorsi dell’arte
poetica del Tasso. Del resto, l’utilizzazione di redazioni superate a
proposito delle ultime due opere menzionate, confermerebbe il giudi-
zio di «catedrático provinciano» data del Cascales, il che comunque
non impedı̀ al suo trattato di diventare la poetica di maggiore
influenza e diffusione a partire dalla metà del secolo. A questa data
risale l’Agudeza y arte de ingenio di Baltasar Gracián, opera che aveva
conosciuto una doppia redazione, nel ’42 e nel ’48, e che è da
considerare la maggiore teoria e antologia del concettismo. Molto si
è discusso, fin dai tempi della prima redazione, dell’influenza che
sull’opera di Gracián aveva esercitato il primo trattato teorico ita-
liano di tipo sistematico sulla poesia concettista, il Delle acutezze di
Matteo Pellegrini, apparso appena tre anni prima di quello spagnolo,
nel 1639. È stato giustamente osservato che tale questione ha fatto
spesso dimenticare
32
A. Garcı́a Berrio, España e Italia ante el conceptismo, Madrid, CSIC, 1968. Cito da
p. 55.
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33
J.G. Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo en España, Madrid, CSIC, 1960, p. 308.
34
D. Alonso, Notas sobre el italianismo de Góngora, in Obras completas, vol. VI, Madrid,
Gredos, 1982, pp. 331-98. Cito da p. 397.
35
Ivi, p. 398.
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PARTE PRIMA
no»36. Tra questi «tre o quattro autori», ci sono certamente i due poeti
Villamediana e Soto de Rojas, ai quali lo stesso Rozas ha dedicato
altrettanti studi tra quelli prima menzionati. Quanto, poi, allo «spi-
noso» problema dei rapporti tra Góngora e Marino, si allude al fatto
che, presto notate le relazioni tra i due poeti, e ciò fin dal tempo del
commento di Salcedo Coronel, la difficoltà è consistita nello stabilire
la direzione dell’imitazione. Solo in tempi recenti, Antonio Vilanova,
in uno studio fondamentale sulle fonti del Polifemo, si è pronunciato
a favore dell’imitazione da parte del cordovese nei confronti del
napoletano. Diverso è il caso dei rapporti tra Marino e Lope de
Vega, a proposito dei quali i debiti contratti dal primo hanno per-
messo a Dámaso Alonso di dare a un suo studio sull’argomento il
titolo di Lope despojado por Marino, che suggestivamente suggella
quanto già si diceva circa l’inversione avvenuta nella direzione del-
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l’influenza.
Il prestigio del Tasso, già grande nella lirica, non soffre paragoni
nel genere epico. Il modello ariostesco aveva dominato in Spagna
pressoché incontrastato fino al 1590 circa; poi, a partire dall’ultimo
decennio del secolo, le dottrine e il modello tassiani cominciano a
diffondersi, e riescono a imporsi completamente in pieno XVII
secolo. Tale processo prende il via dalla traduzione di Juan de
Sedeño della Gerusalemme liberata, che vide la luce nel 1587, e a cui
fecero seguito altre due traduzioni: quella di Cairasco, a pochi anni
di distanza, rimasta inedita, e quella di Sarmiento de Mendoza, che
fu pubblicata nel 1649. Forse, più ancora degli stessi traduttori, a
svolgere un ruolo decisivo fu Cristóbal de Mesa, che in un giovanile
soggiorno romano aveva avuto occasione di frequentare direttamente
il Tasso; ciò avveniva, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei
novanta, in un periodo in cui a Roma attorno al Tasso si era raccolto
un folto gruppo di ammiratori spagnoli, tra i quali Cascales, Virués,
Baltasar de Escobar, López de Aguirre ed altri. L’incontro col Tasso
era destinato a risultare determinante sull’evoluzione poetica del
Mesa, per il quale il Tasso costituı̀ il «singular oráculo de la épica
poesı́a», come egli stesso scrisse nel prologo della Restauración de
España. Per tutto ciò, Mesa «si rivela subito come il più acceso
divulgatore della poetica tassiana»37 sia per quanto attiene alle dot-
trine sul poema eroico, sia per quello che riguarda la costituzione di
36
J.M. Rozas, Sobre Marino y España, Madrid, Editora Nacional, 1978. Cito da p. 71.
37
Caravaggi, Studi sull’epica ispanica, cit., p. 238.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
Per altro verso, le difficoltà di comporre novelle, per lui che non
si era mai dedicato al genere, avrebbero dovuto essere facilmente
superabili «habiendo hallado tantas invenciones para mil comedias».
La connessione tra i due generi, teatrale e novellistico, è importante
per molte ragioni, la cui trattazione ci porterebbe assai lontano
dall’obiettivo di queste pagine; è però il caso di ricordare rapida-
mente che Lope ricavò i soggetti di numerose sue commedie da
novelle italiane, in particolare da quelle di tre autori: Boccaccio,
Bandello e Giraldi Cinthio, e che in generale i novellieri italiani
svolsero una funzione non trascurabile nel fornire argomenti alla
commedia spagnola del Secolo d’Oro.
4. Un dialogo in periferia:
dal melodramma del Metastasio al «momento» dannunziano
Con l’arrivo di Elisabetta Farnese, e del nutrito gruppo di parmensi
che l’aveva seguita, alla corte madrilena, il teatro italiano – e l’opera
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PARTE PRIMA
Luzán adottò delle teorie poetiche senza prestare alcuna attenzione alla
nazionalità delle loro fonti, perché, in quanto legislatore poetico, la sua
prima lealtà era – doveva per forza essere – nei confronti della tradi-
zione occidentale. Se dopo Aristotele e gli altri antichi Luzán si riferiva
con maggiore frequenza agli italiani, ciò era dovuto solo al fatto che in
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
Italia, più che in qualsiasi altro paese moderno, c’era stata una forte
tradizione di commenti sulla Poetica aristotelica38.
Col regno di Carlo III, a partire dal 1759, i contatti con l’illumi-
nismo italiano, milanese e napoletano, si fanno più significativi,
soprattutto nell’ambito economico-giuridico. Dal 1774, anno in cui
si pubblicò la traduzione del famoso trattato del Beccaria, Dei delitti e
delle pene, fino alla fine degli anni ottanta, furono tradotte diverse
opere degli illuministi italiani, tra cui quelle del Filangieri, del Geno-
vesi e del Galiani. È ovvio, comunque, che queste versioni attestano
un interesse tardivo, e che quasi tutte le opere tradotte dovettero
circolare ed essere conosciute negli ambienti riformatori spagnoli
nella lingua originale. Stando soprattutto alla testimonianza conte-
nuta nei Diarios di Jovellanos, in ambito religioso, una certa ripercus-
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38
R.P. Sebold, Análisis estadı́stico de las ideas poéticas de Luzán: Sus orı́genes y su natura-
leza, in El rapto de la mente, Madrid, Editorial Prensa Española, 1970, pp. 57-97. Cito da p.
89.
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PARTE PRIMA
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
opere dell’Alfieri perdurò in varie forme fino alla metà del secolo.
Una tale «falta de sincronı́a en relación con el gusto dominante» –
come l’ha definita Arce – non caratterizza solo il caso dell’Alfieri, ma
anche quelli del Parini e, in misura minore, del Metastasio e del
Goldoni; e ancora di più si verificherà nel caso del Leopardi, a
proposito del quale si può parlare di una sua diffusione in Spagna
solo alla fine del secolo. Ma tornando ai primi decenni dell’Otto-
cento, la letteratura italiana ben poco incide su quel «gusto strano,
che sembra preso dal francese, dal tedesco e dall’inglese», che –
secondo Manuel José Quintana – va affermandosi nella penisola
iberica. Anche se è opportuno distinguere l’area catalana dal resto
della penisola. In Catalogna, infatti, il contributo italiano alla cultura
romantica è sicuramente più consistente, come testimonia una serie
di fattori ed episodi, che dalla fondazione dell’Europeo giunge fino
agli studi di Milà y Fontanals: la breve vita, negli anni 1823-24, di
un giornale quale El Europeo, che ebbe forti legami e affinità con il
milanese Conciliatore, e che fra i suoi principali redattori contava due
italiani, Luigi Monteggia e Fiorenzo Galli, provenienti appunto dalla
rivista lombarda; la presenza di intellettuali come López Soler che
diresse la nuova rivista barcellonese El Vapor (1833-35) dove ritrovò
espressione l’italianismo lombardo, e come Aribau, a cui si deve una
traduzione parziale dell’Ildegonda di Tommaso Grossi (opera che
peraltro Monteggia aveva ampiamente presentato sulle pagine del-
l’Europeo), e al cui stimolo dobbiamo la traduzione de I promessi sposi
di Juan Nicasio Gallego, numerose volte ristampata a partire dagli
anni 1836-37; la pubblicazione da parte di Joan Cortada della tradu-
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PARTE PRIMA
39
O. Macrı̀, Varia fortuna del Manzoni in terre iberiche (con una premessa sul metodo
comparatistico), Ravenna, Longo, 1976.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
40
Ivi, p. 36.
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PARTE PRIMA
41
J. Arce, Leopardi en la crı́tica y la poesı́a españolas, in Literaturas italiana y española frente
a frente, Madrid, Espasa-Calpe, 1982, pp. 316-32. Cito da p. 328.
42
V. B. Vari, Carducci y España, Madrid, Gredos, 1963. Cito da p. 217.
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«LA FORTUNE D’UNE LITTÉRATURE»
43
F. Meregalli, D’Annunzio en España, in «Filologı́a Moderna», 15-16 (1964), pp. 265-
89. Cito da p. 275.
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PARTE PRIMA
Nota bibliografica
Nella premessa cito C. Guillén, L’uno e il molteplice. Introduzione alla letteratura
comparata, Bologna, Il Mulino, 1992.
Trattazioni generali, anche se non sistematiche, sono le seguenti: A. Farinelli, Italia e
Spagna, Torino, Bocca, 1929, 2 voll.; J.G. Fucilla, Relaciones hispanoitalianas,
Madrid, C.S.I.C., 1953; F. Meregalli, Le relazioni tra la letteratura italiana e la
spagnola. I.: fino all’abdicazione di Carlo V, Venezia, Libreria Universitaria,
1961; Id., Storia delle relazioni letterarie tra Italia e Spagna. II, fasc. 2: La
letteratura italiana in Spagna nell’epoca di Filippo II, Venezia, Libreria Universi-
taria, 1967; III: 1700-1859, ivi, 1962; IV: del 1859, ivi, 1963; IV, fasc. 2: la
letteratura italiana in Spagna nel sec. XX, ivi, 1964; si veda anche la sintesi dello
stesso Meregalli, La ricezione delle letterature occidentali nella letteratura spagnola.
La letteratura italiana in F. Meregalli (a cura di) Storia della civiltà letteraria
spagnola, Torino, UTET, 1990, vol. II, pp. 1056-69; J. Arce, Literaturas
italiana y española frente a frente, Madrid, Espasa-Calpe, 1982. Un repertorio
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PARTE PRIMA
Olschki, 1978, pp. 63-105. Sulle traduzioni delle opere latine del Boccaccio:
per il De Casibus, F. Fernández Murga, El Canciller Ayala, traductor de
Boccaccio, in Estudios románicos dedicados al prof. A. Soria Ortega, vol. I,
Granada, Un. de Granada, 1985, pp. 313-24; E.W. Naylor, Pero López de
Ayala’s Translation of Boccaccio’s «De casibus», in Hispanic Studies in Honor of
Alan D. Deyermond. A North American Tribute, Madison, Medieval Hispanic
Seminary, 1986, pp. 205-15; e B. Mion, Per un’edizione critica della traduzione
spagnola del «De Casibus virorum illustrium», in «Annali di Ca’ Foscari», XXVIII,
1-2, 1989, pp. 263-80; per le Genealogie, J. Piccus, El traductor español de «De
Genealogia deorum», in Homenaje a Rodrı́guez Moñino, vol. II, Madrid, Gredos,
1966, pp. 59-75; per il De mulieribus, F. Fernández Murga e J.A. Pascual, La
traducción española del «De Mulieribus Claris» de Boccaccio, in «Filologı́a Moder-
na», LV (1975), pp. 499-511; degli stessi autori, Anotaciones sobre la traducción
española del «De Mulieribus Claris» de Boccaccio, in «Studia Philologica Salmanti-
censia», I (1977), pp. 53-64; e l’ed. a c. di G. Boscaini, La traduzione spagnola
del «De mulieribus claris», Verona, Un. di Verona, 1985. Sui rapporti tra novela
sentimental e Boccaccio, cfr. C. Samonà, Studi sul romanzo sentimentale e cortese
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nella letteratura spagnola del Quattrocento, Roma, Carucci, 1960. Per la tradu-
zione della Fiammetta, cfr. Juan Bocacio, Libro de Fiameta, a c. di L. Mendia
Vozzo, Pisa, Giardini, 1983. Sulla penetrazione della cultura umanistica in
Spagna sono fondamentali i lavori di F. Rico: Nebrija frente a los bárbaros,
Salamanca, Un. de Salamanca, 1978; Un prólogo al Renacimiento español, in
Homenaje al profesor Marcel Bataillon, Sevilla, Universidad de Sevilla-Université
de Bordeaux III, 1979, pp. 59-94; e Imágenes del Prerrenacimiento español: Joan
Roı́s de Corella y la «Tragèdia de Caldesa», in Homenaje a Horst Baader,
Frankfurt-Barcelona, Hogar del libro, 1984, pp. 15-27. Per un giudizio diverso
da quello di Rico sul «prehumanismo español», cfr. O. Di Camillo, El humani-
smo castellano del siglo XV, Valencia, F. Torres, 1976. Sulle innovazioni
poetiche nei primi decenni del Cinquecento, cfr. F. Rico, A fianco di Garcilaso:
poesia italiana e poesia spagnola nel primo Cinquecento, in «Studi Petrarcheschi»,
IV (1987), pp. 229-36. Sui rapporti italiani del teatro di Torres Naharro e
Juan del Encina, si veda almeno O. Arróniz, La influencia italiana en el
nacimiento de la comedia española, Madrid, Gredos, 1969. Su Alonso de
Palencia e la concezione umanistica della storiografia, si vedano gli studi di
R.B. Tate: Alonso de Palencia y los preceptos de la historiografı́a, in V. Garcı́a de
la Concha (a cura di), Nebrija y la introducción del Renacimiento en España, Sa-
lamanca, Un. de Salamanca, 1983, pp. 37-51; Las «Décadas» de Alonso de
Palencia: un análisis historiográfico, in Estudios dedicados a James Leslie Brooks,
Barcelona, Puvill, 1984, pp. 223-41. Sulla geografia umanistica, cfr. F. Rico,
El nuevo mundo de Nebrija y Colón. Notas sobre la geografı́a humanı́stica y el
contexto intelectual del descubrimiento de América, in Nebrija y la introducción, cit.,
pp. 157-85. Sull’uso delle fonti petrarchesche nella Celestina, cfr. il già menzio-
nato Deyermond, The Petrarchan Sources of «La Celestina».
Per l’abbondante bibliografia sul petrarchismo spagnolo, cfr. il ricco repertorio di M.
P. Manero Sorolla, Introducción al estudio del petrarquismo en España, Barcelona,
PPU, 1987. Nel testo mi sono esplicitamente riferito a: J.G. Fucilla, Estudios
sobre el petrarquismo en España, Madrid, CSIC, 1960; G. Caravaggi, Alle origini
del petrarchismo in Spagna, in «Miscellanea di studi ispanici», XXIV (1971-73),
pp. 7-101; C. Guillén, Sátira y poética en Garcilaso (1972), in El primer Siglo de
Oro. Estudios sobre géneros y modelos, Barcelona, Crı́tica, 1988, pp. 15-48; E.L.
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MODELLI E STAGIONI
DEL PETRARCHISMO EUROPEO
1
C. Dionisotti, Fortuna del Petrarca nel Quattrocento, in «Italia Medievale e Umanistica»,
XVII (1974), pp. 61-113, p. 67.
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PARTE PRIMA
2
E. H. Wilkins, A General Survey of Renaissance Petrarchism, in «Comparative Literature»,
II (1950), pp. 327-42, p. 327.
3
Ivi, p. 328.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
tare il codice poetico che, sia pure con modalità fortemente differen-
ziate, impronta di sé alcune stagioni della lirica europea, senza che
tuttavia la poesia di Petrarca abbia smesso di esercitare un’influenza,
talora rilevante, nella produzione dei singoli e autorevoli poeti. Una
rinuncia oltremodo inaccettabile, per non tentare di compensarla in
minima parte, almeno, con un breve cenno finale, dove – se non
altro, simbolicamente – si renderà giustizia alla presenza del Pe-
trarca, oltre la stagione del petrarchismo.
Ho appena fatto riferimento, seppur incidentalmente, alle moda-
lità fortemente differenziate con cui il codice petrarchista si è di volta
in volta realizzato, nei due secoli larghi della sua esistenza. Con ciò
non alludevo affatto alle modalità a cui individualmente dettero vita i
singoli poeti che lo assunsero a modello, ma a quelle di carattere più
generale, tali da produrre varianti di petrarchismo che contraddistin-
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4
M. Santagata, Dalla lirica ‘cortese’ alla lirica ‘cortigiana’: appunti per una storia, in M.
Santagata e S. Carrai (a cura di), La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, Franco
Angeli, 1993, pp. 11-30, p. 13.
5
M. Corti, Introduzione a P. J. De Jennaro, Rime e lettere, Bologna, Commissione per i
testi di lingua, 1956, p. XLVI.
6
G. Contini, Preliminari sulla lingua del Petrarca (1951), in Varianti e altra linguistica,
Torino, Einaudi, 1970, pp. 169-92, p. 191.
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PARTE PRIMA
7
Santagata, Dalla lirica ‘cortese’ alla lirica ‘cortigiana’, cit., pp. 13-14.
8
M. Santagata, La lirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento,
Padova, Antenore, 1979; le citazioni sono dalla p. 94.
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9
L. W. Forster, The Icy Fire. Five Studies in European Petrarchism, Cambridge, University
Press, 1969.
10
K. W. Hempfer, Per una definizione del petrarchismo (1987), in Testi e contesti. Saggi
post-ermeneutici sul Cinquecento, Napoli, Liguori, 1998, pp. 146-76, p. 170. Sulla fortuna
europea del Petrarca, vd. i recenti contributi raccolti in AA. VV., Pétrarque en Europe.
XIV e-XX e siècle, «Actes du XXVIe congrès international du CEFI, Turin et Chambéry,
11-15 décembre 1995», Paris, Honoré Champion, 2001.
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PARTE PRIMA
ture non italiane, per le quali il livello linguistico risulta quasi o del
tutto irrilevante, nella italiana le opere volgari di Petrarca svolsero
l’autorevole ruolo di modello di lingua quanto, o ancor più, che di
modello di poesia11; con l’effetto che al recupero e alla valorizzazione
di Petrarca si è rigorosamente accompagnato il processo di toscaniz-
zazione della lirica, nel corso del quale si attuò parallelamente il
distanziamento dagli usi linguistici tipici della letteratura provinciale.
Quanto agli altri livelli, strettamente pertinenti al Petrarca assunto
come modello di poesia, appare opportuno distinguere, in prima
istanza, un piano microstrutturale da uno macrostrutturale. Nel
primo, vanno fatti rientrare sia il livello formale, che comprende più
di un repertorio: da quello metrico al retorico allo stilistico, sia anche
il livello tematico, ulteriormente scomponibile nei singoli temi e
motivi tutti di stampo petrarchista. Resta, infine, il livello strutturale,
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11
Cfr. A. Vallone, Di alcuni aspetti del Petrarchismo napoletano (con inediti di Scipione
Ammirato), in «Studi petrarcheschi», VII (1961), pp. 355-75, p. 364; e Hempfer, Per una
definizione del petrarchismo, cit., p. 153.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
12
Lo si legga, in rigorosa sintesi, in C. Bologna, Tradizione testuale e fortuna dei classici
italiani, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana 6. Teatro, musica, tradizione dei
classici, Torino, Einaudi, 1986, pp. 445-928; sul Petrarca, le pp. 612-47.
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PARTE PRIMA
13
Santagata, La lirica aragonese, cit., p. 90.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
14
M. Santagata, Fra Rimini e Urbino: i prodromi del petrarchismo cortigiano (1984), in
Santagata e Carrai, La lirica di corte, cit., pp. 43-95. Sul petrarchismo toscano, vd. la
vecchia, ma ancor oggi insuperata, monografia di F. Flamini, La lirica toscana del Rinasci-
mento anteriore ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Pisa, Nistri, 1891; su quello veneto, A.
Balduino, Le esperienze della poesia volgare, in G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi (a cura di)
Storia della cultura veneta, III, I: Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza, Neri
Pozza, 1980, pp. 265-367; Id., Rimatori veneti del Quattrocento, Padova, Clesp, 1980.
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PARTE PRIMA
15
Santagata, Dalla lirica ‘cortese’ alla lirica ‘cortigiana’, cit., p. 27. Per Giusto, in assenza di
un’edizione critica, si deve ancora ricorrere a Giusto de’ Conti, Il Canzoniere, a c. di L.
Vitetti, 2 voll., Lanciano, Carabba, 1918.
16
In generale, sulla poesia delle corti del Nord nel secondo Quattrocento, vd. A. Tissoni
Benvenuti, Quattrocento settentrionale, Bari, Laterza, 1972, pp. 121-71. Per l’ambito ferra-
rese, vd. ora I. Pantani, «La fonte d’ogni eloquenzia». Il canzoniere petrarchesco nella cultura
poetica del Quattrocento ferrarese, Roma, Bulzoni, 2002.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
Giusto dei Conti»18, della cui raccolta, del resto, il canzoniere del
conte risulta largamente debitore, a livello sia di trama che di
riutilizzo del repertorio lessicale e di immagini.
Tra i maggiori centri di produzione lirica della seconda metà del
secolo, la Napoli aragonese conobbe, già all’interno della cosiddetta
«vecchia guardia», ossia dei funzionari-poeti della nobiltà cittadina
nati tra il 1430 e il ’45, una significativa differenziazione tra coloro
che, come Francesco Galeota e Pietro Jacopo De Jennaro, furono
interpreti di una poesia cortigiana e, pertanto, di un petrarchismo
compromesso, e poeti più isolati che, allontanandosi consapevol-
mente dalla prassi corrente della lirica cortigiana, si mantennero
maggiormente fedeli alla lezione petrarchesca ed esperirono originali
soluzioni ai livelli macrostrutturali del canzoniere, come accade nel
Naufragio di Giovanni Aloisio e negli Amori di Joan Francesco
Caracciolo19. È, comunque, alla seguente generazione dei poeti na-
poletani che appartengono le due maggiori personalità poetiche, la
17
Di Serafino, oltre a Le Rime di Serafino de’ Ciminelli dell’Aquila, a c. di M. Meneghini, I
(solo vol. uscito), Bologna, Romagnoli-Dall’acqua, 1896 (contiene sonetti, egloghe, epistole
e Rappresentazione allegorica), vd. la recente edizione degli Strambotti, a c. di A. Rossi,
Parma, Fondazione Pietro Bembo/Ugo Guanda Editore, 2002. Su di lui, vd. lo studio dello
stesso A. Rossi, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia, Morcelliana, 1980. Del
Tebaldeo, vd. la monumentale edizione delle Rime, a c. di T. Basile e J. J. Marchand, 3
voll., Modena, Panini, 1989-92.
18
M. M. Boiardo, Amorum libri tres, a c. di T. Zanato, Torino, Einaudi, 1998, pp. IX e
XXX. Fondamentale lo studio di P. V. Mengaldo, La lingua del Boiardo lirico, Firenze,
Olschki, 1963.
19
Sulla poesia della Napoli aragonese, disponiamo dell’ottimo volume di Santagata, La
lirica aragonese, cit.
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PARTE PRIMA
20
Le Rime del Chariteo, a c. di E. Pèrcopo, 2 voll., Napoli, Biblioteca Napoletana di Storia
e Letteratura, 1892; su di lui, vd. il recente volume di B. Barbiellini Amidei, Alla luna.
Saggio sulla poesia del Cariteo, Firenze, La Nuova Italia, 1999. I. Sannazaro, Sonetti e canzoni,
in Opere volgari, a c. di A. Mauro, Bari, Laterza, 1961, pp. 135-254. Sul Sannazaro, vd.
almeno gli studi di P. V. Mengaldo, La lirica volgare del Sannazaro e lo sviluppo del linguaggio
poetico rinascimentale, in «La Rassegna della letteratura italiana», LXV (1962), pp. 436-82;
C. Dionisotti, Appunti sulle rime del Sannazaro, in «Giornale storico della letteratura
italiana», CXL (1963), pp. 161-211; M. Corti, Rivoluzione e reazione stilistica nel Sannazaro
(1968), in Ead., Metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 307-23.
21
T. Zanato, Introduzione a Lorenzo de’ Medici, Opere, Torino, Einaudi, 1992, pp. 6 e
10. Più in generale, vd. S. Carrai, La lirica toscana nell’età di Lorenzo, in Santagata e Carrai,
La lirica di corte, cit., pp. 96-144.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
22
R. Fedi, Invito alla lettura di Petrarca, Milano, Mursia, 2002, pp. 183-84.
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PARTE PRIMA
23
G. Mazzacurati, Pietro Bembo e il primato della scrittura, in Id., Il Rinascimento dei
moderni. La crisi culturale del XVI secolo e la negazione delle origini, Bologna, Il Mulino, 1985,
pp. 103 e 114-15.
24
C. Dionisotti, Introduzione a P. Bembo, Prose e Rime, Torino, Utet, 19662, p. 49 (il
testo dell’Introduzione è ora raccolto in C. Dionisotti, Scritte sul Bembo, a c. di C. Vela,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 23-65).
25
Ibid.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
26
L. Baldacci, Il petrarchismo italiano nel Cinquecento, Padova, Liviana, 19742, p. 59.
27
A. Quondam, Petrarchismo mediato. Per una critica della forma «antologia», Roma, Bulzoni,
1974, pp. 211-12.
28
Sul fenomeno delle donne poetesse vd. L. Borsetto, Narciso ed Eco. Figura e scrittura
nella lirica femminile del Cinquecento: esemplificazioni ed appunti, in M. Zancan (a cura di), Nel
cerchio della luna: figure di donna in alcuni testi del XVI secolo, Venezia, Marsilio, 1983, pp.
171-233; J. Schiesari, The Gendering of Melancholia. Feminism, Psychoanalysis, and the
Symbolics of Loss in Renaissance Literature, Ithaca-London, Cornell University Press, 1992,
pp. 160-90; AA.VV., Les femmes écrivains en Italie au Moyen Âge et à la Renaissance, «Actes
du colloque international Aix-en-Provence, 12-14 novembre 1992», Aix-en-Provence, Uni-
versité de Provence, 1994. In prospettiva europea, S. R. Jones, The Currency of Eros:
Womens Love Lyric in Europe (1540-1620), Bloomington-Indianapolis, Indiana University
Press, 1990.
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PARTE PRIMA
29
R. Fedi, I due canzonieri di Giovanni Della Casa, in Id., La memoria della poesia.
Canzonieri, lirici e libri di rime nel Rinascimento, Roma, Salerno Editrice, 1990, p. 248. Per
l’edizione, vd. G. Della Casa, Rime, a c. di R. Fedi, 2 voll., Roma, Salerno Editrice, 1978.
30
M. Santagata, Introduzione a Id., Dal sonetto al canzoniere, Padova, Liviana, 19892, p.
15.
31
Vd. E. Raimondi, Il petrarchismo nell’Italia meridionale (1973), in Id., Rinascimento
inquieto, nuova edizione, Torino, Einaudi, 1994, pp. 264-306; G. Ferroni e A. Quondam,
La «locuzione artificiosa». Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo,
Roma, Bulzoni, 1973.
32
R. Fedi, Canzonieri e lirici nel Cinquecento. I. Dall’imitazione alla citazione, in Id., La
memoria della poesia, cit., p. 49.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
un processo di citazione34.
D’altronde, una pratica poetica dispersiva e un gusto per il verso
nato da occasioni contingenti, resero inattuale anche presso il più
grande lirico del secolo, Torquato Tasso (1554-1595), l’idea del
libro di poesia fortemente coeso, a favore del frammentismo o della
strutturazione delle rime «a grappolo» (amorose, d’encomio, sacre).
Né è un caso che il menzionato Della Casa fosse poeta amatissimo
dal Tasso, autore di un monumento lirico di vastissime proporzioni
(1708 componimenti raccolti), la cui vicenda compositiva ed edito-
riale risulta assai intricata, e che il più recente editore ha definito
«uno dei più fervidi laboratori sperimentali della lirica tra Rinasci-
mento e Barocco»35. Difatti, pur essendo ancorata agli schemi del
petrarchismo cinquecentesco, la poesia del Tasso pervenne, a un
progressivo svuotamento dei motivi petrarcheschi, e a un graduale
affrancamento dagli stilemi più consueti derivati dal magistero dei
Rerum vulgarium fragmenta. Sulle forme perfette e sorvegliate del
modello prevalse, in effetti, la propensione per il dettato musicale,
per il gusto dolce del suono, che raggiunsero vette di particolare
maestria nel genere del madrigale.
Favorito dalla supremazia culturale italiana nel Cinquecento,
quando per la nostra cultura si creò un nuovo pubblico europeo, e,
soprattutto, promosso dalla proposta bembiana, che col testo del
33
G. Gorni, Il canzoniere (1984), in Id., Metrica e analisi letteraria, Bologna, Il Mulino,
1993, p. 114.
34
Fedi, Canzonieri e lirici nel Cinquecento, cit., p. 51.
35
B. Basile, Introduzione a T. Tasso, Le Rime, Roma, Salerno Editrice, 1994, vol. I, p. VII.
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PARTE PRIMA
36
Vd. F. Rico, Variaciones sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in AA.VV., Doce
consideraciones sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés, Roma,
Publicaciones del Instituto Español de Lengua y Literatura, 1979, pp. 115-30; Id., A fianco
di Garcilaso: poesia italiana e poesia spagnola nel primo Cinquecento, in «Studi Petrarcheschi»,
IV (1987), pp. 229-36; R. Lapesa, Los géneros lı́ricos del Renacimiento: la herencia cancioneres-
ca (1988), ora in Id., De Berceo a Jorge Guillén, Madrid, Gredos, 1997, pp. 122-45. Sul
petarchismo, in generale, un’utile rassegna è il volume di M. del P. Manero Sorolla,
Introducción al estudio del petrarquismo en España, Barcelona, PPU, 1987; alla stessa studiosa
dobbiamo anche il vasto repertorio Imágenes petrarquistas en la lı́rica española del Renaci-
miento, Barcelona, PPU, 1990. Vd. anche i più recenti contributi di M. Morreale, Il
petrarchismo in Spagna: antecedenti e tramonto, in La cultura letteraria italiana e l’identità
europea, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2001, pp. 107-66, e di A. Alonso, La
poesı́a italianista, Madrid, Laberinto, 2002.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
37
Obra poética de Juan Boscán, a c. di M. de Riquer, A. Comas e J. Molas, Barcelona,
Facultad de Filosofı́a y Letras, 1957, p. 89; «in lingua castigliana sonetti ed altre forme
metriche usate dai buoni autori italiani».
38
A. Armisén, Estudios sobre la lengua poética de Boscán. La edición de 1543, Zaragoza,
Universidad de Zaragoza-Libros Pórtico, 1982, p. 387.
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PARTE PRIMA
39
Vd. Garcilaso de la Vega, Obra poética y textos en prosa, a c. di B. Morros, Barcelona,
Crı́tica, 1995.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
che – tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta – fosse
imposta una nuova e decisiva svolta; a questa generazione di poeti
filippini – dicevo – spettò un compito di rinnovamento, che consi-
stette nello sperimentare nuove vie, senza peraltro travalicare il solco
del petrarchismo; ovvero, detto in altri termini, spettò il compito di
superare il modello fondato sul binomio Petrarca-Garcilaso, pur
nella sostanziale fedeltà ad esso. In questo sforzo di rinnovamento,
un contributo non trascurabile venne ancora una volta dall’Italia:
non più, però, attraverso la voce straordinariamente unica di un solo
poeta (Petrarca), ma mediante una pluralità di toni, tutti veicolati da
quel vasto fenomeno editoriale che caratterizzò il panorama poetico
della seconda metà del Cinquecento. Mi riferisco, naturalmente, a
quelle antologie poetiche che conobbero un’enorme fortuna e una
larga diffusione, dentro e fuori della penisola italiana. Insomma,
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40
Risulta ancora utile lo studio classico di J. G. Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo en
España, Madrid, CSIC, 1960.
41
F. de Herrera, Anotaciones a la poesı́a de Garcilaso, a c. di I. Pepe e J. M. Reyes, Madrid,
Cátedra, 2001, p. 561; «Ed è chiarissimo che tutta l’eccellenza della poesia consiste
nell’ornato dell’eloquenza». Per la poesia, vd. Obra poética, a c. di J. M. Blecua, 2 voll.,
Madrid, Real Academia Española, 1975.
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PARTE PRIMA
42
F. Sá de Miranda, Obras completas, a c. di M. Rodrigues Lapa, 2 voll., Lisboa, 1943.
43
R. Marnoto, Il petrarchismo in Portogallo, in L. Stegagno Picchio (a cura di), Il
Portogallo. Dalle origini al Seicento, Firenze, Passigli, 2001, pp. 380-81. Per la poesia lirica di
Camões, pubblicata postuma nel 1595, vd. Lı́rica completa, a c. di M. de L. Saraiva, Lisboa,
3 voll., 1980-1981. Sul petrarchismo portoghese, in generale, vd. il volume della stessa
Marnoto, O petrarquismo portugués do renascimento e do maneirismo, Coimbra, Universidade
de Coimbra, 1997.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
(AABCCB)44.
A Lione, importante crocevia commerciale e culturale tra Francia
e Italia, Maurice Scève (1501-1560) compose e pubblicò Délie object
de plus haulte vertu (1544), una raccolta di 449 «dizains», dedicati alla
poetessa Pernette de Guillet. Il «dizain», nella definizione di Thomas
Sebillet (Art poëtique, 1548), è un epigramma di dieci versi e, per-
tanto, esso si ricollega al genere classico e a quello neolatino dei
poeti contemporanei come Nicolas Bourbon o Jean Visagier, che
Scève frequentava nella città natale. Dal punto di vista metrico-
formale, quindi, non v’è nulla che si accordi col modello petrarche-
sco, col quale la raccolta di Scève aveva, tuttavia, significativi punti
di contatto sia a livello delle numerose reminiscenze presenti nei
singoli componimenti, sebbene non possa escludersi la mediazione
dei petrarchisti italiani quattrocenteschi, sia a livello macrostruttu-
rale, essendo stato Délie considerato il primo «canzoniere» francese,
benché non manchino divergenze rilevanti, a partire dall’assenza di
quel pentimento che i giovanili errori ispirano al modello italiano45.
Di ventiquattro sonetti, invece, oltre che di tre elegie, è formata
l’esile opera poetica che Louise Labé (1524-1566), altra illustre
rappresentante della cosiddetta «scuola di Lione», pubblicò nel 1555.
Come quello del Petrarca, il «canzoniere» della Labé ricostruisce
retrospettivamente una storia amorosa che, pur pretendendo di ser-
44
Sul petrarchismo di Marot, vd. Ch. Dedeyan, La fortune de Petrarque en France, in La
Pléiade e il Rinascimento italiano, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1977, pp. 39-52.
45
M. Scève, Délie, a c. di F. Joukovsky, Paris, Dunod, 1996.
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PARTE PRIMA
vire da monito alle altre «dames» («et gardez vous destre plus malheu-
reuses!»), tuttavia difetta della dimensione cristiana e, persino, di uno
sviluppo spirituale46.
Ma, sei anni prima che la «belle cordière» di Lione desse alle
stampe la sua breve raccolta, nella primavera del 1549, a Parigi, uno
dei due protagonisti della «Pléiade», Joaquin Du Bellay (1522-1560),
aveva pubblicato due raccolte di versi, l’Olive e i Vers lyriques,
precedute dal trattato sulla Deffence et illustration de la Langue Fran-
çoyse, dove al dovere di rendere illustre la lingua nazionale si raccor-
dava l’idea d’una imitazione creatrice in poesia. Al poeta futuro, vero
interlocutore del discorso sulla difesa della lingua, tocca, in effetti, di
rinnovare, arricchendolo e migliorandolo, l’idioma francese, per
mezzo – non della traduzione – bensı̀ dell’imitazione tanto dei
modelli classici quanto di quelli italiani. Petrarca finiva cosı̀ per
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46
L. Labé, Oeuvres complètes, a c. di E. Giudici, Genève, Droz, 1981; e la posteriore
edizione a c. di F. Rigolot, Paris, Flammarion, 1986.
47
F. Rigolot, Poésie et Renaissance, Paris, du Seuil, 2002, p. 187.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
48
J. Du Bellay, L’Olive, in Oeuvres poétiques, a c. di D. Aris e F. Joukovsky, 2 voll., Paris,
Bordas, 1993-1996, vol. I, pp. 1-74.
49
P. De Ronsard, Les Amours, a c. di H. E. C. Weber, Paris, Garnier, 1998.
50
Le due redazioni del componimento possono leggersi in Du Bellay, Oeuvres poétiques,
ed. cit., vol. I pp. 170-77 e vol. II pp. 190-96.
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PARTE PRIMA
51
Sul petrarchismo francese è ancora molto utile il volume complessivo di J. Vianey, Le
pétrarquisme en France au XVI e siècle (1909), Genève, Slatkine Reprints, 1969.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
52
R. W. Dasenbrock, Imitating the Italians: Wyatt, Spenser, Synge, Pound, Joyce, Balti-
more, John Hopkins University Press, 1991, p. 31.
53
Vd. Th. Wyatt, The Complete Poems, a c. di R. A. Rebholz, Harmondsworth, Penguin,
1978; H. Howard, The poems, a c. di E. Jones, Oxford, Oxford University Press, 1964.
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PARTE PRIMA
54
M. Praz, Petrarchismo e eufuismo in Inghilterra (1971), in Id., Bellezza e bizzaria. Saggi
scelti, a cura di A. Cane, Milano, Mondadori, 2002, p. 57. Per la poesia di Sidney, vd. Ph.
Sidney, The poems, a c. di W. A. Ringler, Oxford, Oxford University Press, 1962.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
55
Praz, Petrarchismo e eufuismo, cit., p. 60.
56
E. Spenser, Amoretti and Epithalamion, a c. di K. J. Larsen, Tempe, AZ,
Medieval&Renaissance Texts&Studies, 1997. Sullo sviluppo del sonetto nella letteratura
inglese, vd. F. T. Prince, The Sonnet from Wyatt to Shakespeare, in J. Russell Brown e B.
Harris (a cura di) Elisabethan Poetry, London, Stratford-upon-Avon Studies 2, 1960; M. R.
G. Spiller, The Development of the Sonnet, London, Routledge, 1992. Sul petrarchismo
inglese, vd. gli studi complessivi di T. P. Roche, Petrarch and the English Sonnet Sequences,
New York, 1989; Dasenbrock, cit.; H. Dubrow, Echoes of Desire: English Petrarchism and its
Counterdiscourses, Ithaca, Cornell University Press, 1995.
57
G. Bruno, De gli eroici furori, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a c. di M. Ciliberto,
Milano, Mondadori, 2000, p. 755.
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PARTE PRIMA
58
Ivi, p. 1349, n. 3.
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MODELLI E STAGIONI DEL PETRARCHISMO EUROPEO
59
G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a c. di G. Pacella, 3 voll., Milano, Garzanti, 1991,
vol. I, p. 453.
60
M. Guglielminetti, Petrarca e il petrarchismo. Un’ideologia della letteratura, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 1994, p. 49.
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PARTE PRIMA
nomi per tutti, a conclusione di una parabola il cui arco sottende sei
secoli circa di poesia, all’insegna di un modello lirico col quale, più
che con ogni altro, può farsi coincidere la modernità: Guido Goz-
zano, che ripropone il Canzoniere come libro di apprendistato poetico
per eccellenza, infittendo di citazioni petrarchesche l’abbondante
materiale di riuso che confluisce in quel «romanzo autobiografico»
che sono I Colloqui; Giuseppe Ungaretti, la cui raccolta Sentimento del
tempo segnò un ritorno a Petrarca e a Leopardi, dopo la stagione
avanguardistica del Porto sepolto e di Allegria di naufragi («Quando mi
posi al lavoro del Sentimento, due poeti erano i miei favoriti: ancora il
Leopardi e Petrarca»)61; Umberto Saba, che menziona il Petrarca tra
i principali modelli della sua poesia giovanile («Ma, nella sua forma-
zione, non entrò solo il Leopardi. Ci entrò anche, più o meno, il
Petrarca»62, ma il cui Canzoniere, tuttavia «malgrado il titolo [...] non
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61
G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie (1969), a c. di L. Piccioni, Milano,
Mondadori, 1992, p. 531.
62
U. Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), Milano, Mondadori, 1963, p. 41.
63
F. Brugnolo, «Il Canzoniere» di Umberto Saba, in Letteratura italiana. Le Opere, 4 voll.,
Torino, Einaudi, 1992-1996, vol. IV, t. I, p. 537.
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PARTE SECONDA
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ASPETTI DELLA POESIA DI CORTE.
CARVAJAL E LA POESIA A NAPOLI
AL TEMPO DI ALFONSO IL MAGNANIMO
1
E. M. Gerli, Carvajal’s Serranas: Reading, Glossing, and Rewriting the Libro de buen amor
in the Cancionero de Estúñiga, in N. Vaquero e A. Deyermond (a cura di), Studies on
Medieval Spanish Literature in Honor of Charles F. Fraker, Madison, Hispanic Seminary of
Medieval Studies, 1995, pp. 159-71 (cito da p. 168). Il trentennio circa di studi, a cui ho
fatto cenno nel testo, e che culmina col citato studio di Gerli, può farsi risalire al noto
lavoro di P. E. Russel, Armas versus Letters: Toward a Definition of Spanish Humanism, in A.
R. Lewis (a cura di), Aspects of Renaissance: A Symposium, Austin-London, 1967, pp. 45-58
(tr. sp. in Id., Temas de «La Celestina» y otros estudios, Barcelona, Ariel, 1978, pp. 207-39;
con riferimenti alla Napoli aragonese nelle pp. 219-21), e alcuni momenti significativi nella
puntuale indagine di R. G. Black, Poetic Taste at the Aragonese Court in Naples, in Florilegium
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PARTE SECONDA
Hispanicum. Medieval and Golden Age Studies presented to C. Clotelle Clarke, Madison,
Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1983, pp. 165-78, nonché nel libro di J. C. Rovira,
Humanistas y poetas en la corte napolitana de Alfonso el Magnánimo, Alicante, Instituto de
Cultura «Juan Gil-Albert», 1990.
2
M. Santagata, La lirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento,
Padova, Antenore, 1979, p. 94.
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ASPETTI DELLA POESIA DI CORTE
Nella prima metà [...] Napoli e il Regno, in preda alla crisi che porterà
al passaggio dinastico, tacciono.
La Napoli angioina è ridotta al silenzio e solo nei tardi anni ’50
comincerà a farsi sentire il risveglio aragonese3.
3
I due contributi, Dalla lirica ‘cortese’ alla lirica ‘cortigiana’: appunti per una storia e Fra
Rimini e Urbino: i prodromi del petrarchismo cortigiano, possono ora leggersi nella raccolta di
M. Santagata, S. Carrai, La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, Franco Angeli,
1993, pp. 11-30 e 43-95. Per le citazioni, cfr. le pp. 16 e 90 dell’ed. cit.
4
F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli, Esi, 1975, dove – a proposito del
«passaggio dalla tradizione orale a quella scritta» (p. 195), verificatosi a partire dalla fine del
Trecento – possiamo leggere: «nel nuovo clima culturale dell’ultimo Trecento, e certo di più
nei decenni successivi, anche a Napoli ci si avviava verso un recupero della poesia
popolareggiante. Che in ogni caso vi fioriva allora abbondante, se emerse decisamente, in
ricche sillogi anonime o trasfusa nei canzonieri dei poeti d’arte, nella piena età aragonese»
(p. 196). Un’ampia bibliografia sulla «poesia popolare amorosa del nostro Mezzogiorno» si
trova indicata alle pp. 289-90 n. 162.
5
Di R. Coluccia, oltre a Tradizioni auliche e popolari nella poesia del regno di Napoli in età
angioina, in «Medioevo romanzo», II (1975), pp. 44-153, che cito nel testo, si vedano anche:
Un rimatore politico della Napoli angioina: Landulfo di Lamberto, in «Studi di Filologia
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PARTE SECONDA
Italiana», XXIX (1971), pp. 191-218, e I sonetti inediti di Cola Maria Bozzuto, gentiluomo
napoletano del sec. XV, in «Zeitschrı́ft für Romanische Philologie», CII (1992), pp. 293-318.
6
R. Coluccia, Tradizioni auliche e popolari, cit., p. 61.
7
Ivi, p. 83.
8
Ivi, p. 84.
9
Il Cansonero del conte di Popoli può consultarsi integralmente nell’edizione, non sempre
affidabile, dei Rimatori napoletani del Quattrocento, con prefazione e note di M. Mandalari,
Caserta, tip. A. Iaselli, 1885 (rist. anast. Bologna, Forni, 1979). Un’esauriente descrizione del
ms. si trova in P. J. De Jennaro, Rime e lettere, a c. di M. Corti, Bologna, Commissione per i
testi di lingua, 1956, pp. CLXXIX-CLXXXVII. Le restanti due sillogı́ sono costituite dal Vat.
Lat. 10656 e dal Riccardiano 2752. Del primo si veda l’edizione in G. B. Bronzini, Serventesi,
barzellette e strambotti del Quattrocento dal Cod. Vat. lat. 10656, in «Lares», XLV (1979), pp.
71-96, 251-62; XLVI (1980), pp. 43-53, 219-37, 357-371; XLVII (1981), pp. 389-400;
XLVIII (1982), pp. 213-47, 389-400, 547-70; XLIX (1983), pp. 413-45, 591-618. Le due
sillogi (ms. parigino 1035 e Vat. Lat. 10656) sono state edite congiuntamente da A. Altamura,
Rimatori napoletani del Quattrocento, Napoli, Fausto Fiorentino Editore, 1962. Sul Riccardiano
2752, cfr. G. Parenti, «Antonio Carazolo desamato». Aspetti della poesia volgare aragonese nel ms.
Riccardiano 2752, in «Studi di Filologia Italiana», XXXVII (1979), pp. 119-279.
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ASPETTI DELLA POESIA DI CORTE
10
Corti, Introduzione a P. J. De Jennaro, Rime e lettere, cit., p. XIX.
11
«il fatto nuovo del primo Quattrocento è il recupero e l’estendersi sotto forma scritta
della poesia popolare: si buttano ora le basi per quella fioritura di testi popolari e
popolareggianti che sboccerà nell’età aragonese» (M. Santagata, La lirica aragonese, cit., p.
94 n. 12), e M. Corti: «i nostri poeti [del Cansonero del conte di Popoli] trovano già robusti
filoni di tradizione popolareggiante costituiti» (Introduzione all’ed. cit., p. XXVI).
12
Ampie e aggiornate ricostruzioni della situazione poetica e culturale a Napoli in età
aragonese possono leggersi nelle recenti storie della letteratura italiana: F. Tateo, L’umane-
simo meridionale, in Letteratura italiana Laterza, 16, Roma-Bari, Laterza, 19762, in part. pp.
110-21; N. De Blasi e A. Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, in A. Asor Rosa (a cura di),
Letteratura italiana. Storia e geografia. L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988, II, t. I, pp.
235-325, in part. le pp. 242-44 e 258-68; R. Rinaldi, Dalla bucolica alla crisi della lirica
cortigiana (il laboratorio aragonese), in G. Barberi Squarotti (a cura di), Storia della civiltà
letteraria italiana. Umanesimo e Rinascimento, Torino, UTET, 1990, II, t. I, pp. 624-44; G.
Villani, L’umanesimo napoletano, in E. Malato (a cura di), Storia della letteratura italiana. Il
Quattrocento, Roma, Salerno Editrice, 1996, pp. 709-62, in part. le pp. 739-47.
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PARTE SECONDA
13
A. Varvaro, Premesse ad un’edizione critica delle poesie minori di Juan de Mena, Napoli,
Liguori, 1964, in part. p. 70.
14
Le sigle adottate per i mss. sono quelle fissate da B. Dutton, Catálogo-Indice de la Poesı́a
Cancioneril del siglo XV, Madison, Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1982, e poi usate
nella magna opera di Id., El Cancionero del Siglo XV, 7 voll., Salamanca, Universidad de
Salamanca, 1990-91. Per un completo e dettagliato conteggio dei componimenti, presenti
in n, di «autori legati stabilmente alla corte napoletana di Alfonso», cfr. L. Vozzo Mendia,
La lirica spagnola alla corte napoletana di Alfonso d’Aragona: note su alcune tradizioni testuali, in
«Revista de Literatura Medieval», VII (1995), pp. 173-86, in part. le pp. 179-80, dove la
studiosa suggerisce l’ipotesi, secondo la quale «in n è confluito in tutto o in parte il
canzoniere individuale di Carvajal o lo stesso poeta è il compilatore della raccolta a cui
attinsero MN24 [errata per MN54] e RC1» (p. 181).
15
Adeguate introduzioni generali della poesia di Carvajal possono leggersi in E. Scoles,
Introduzione a Carvajal, Poesie, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1967, in part. le pp. 29-39, e N.
Salvador Miguel, La poesia cancioneril. El «Cancionero» de Estúñiga, Madrid, Alhambra,
1977, pp. 55-73 e passim.
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ASPETTI DELLA POESIA DI CORTE
16
Sulle serranillas di Carvajal, oltre al già citato studio di Gerli (cfr. supra n. 1), si vedano
anche i lavori di N. F. Marino, The Serranillas of the Cancionero de Stúñiga: Carvajales’
Interpretation of this Pastoral Genre, in «Revista de Estudios Hispánicos», 15 (1981), pp.
43-57; Id., La serranilla española: Notas para su historia e interpretación, Potomac, Scripta
Humanistica, 1987, in part. le pp. 108-25; P. Garcı́a Carcedo, Las serranillas de Carvajal, in
J. Paredes (a cura di), Medioevo y Literatura. Actas del V Congreso de la Asociacion Hispanica
de Literatura Medieval (Granada 27 septiembre-1 octubre 1993), Granada, Universidad de
Granada, 1995, II, pp. 345-58.
17
Cfr. M. Morreale, rec. a Carvajal, Poesie, ed. cit. di E. Scoles, in «Revista de Filologı́a
Española», LI (1968), pp. 275-87, in part. p. 276 e n. 1.
18
Cfr. infra.
19
Cfr. L. Vozzo Mendia, La scelta dell’italiano tra gli scrittori iberici alla corte aragonese. I.
Le liriche di Carvajal e di Romeu Llull, in P. Trovato (a cura di), Lingue e culture dell’Italia
Meridionale (1200-1600), Roma, Bonacci, 1993, pp. 102-71; e, con diversa valutazione, M.
Alvar, Las poesı́as de Carvajal en italiano. Cancionero de Estúñiga, números 143-145, in Estudios
sobre el Siglo de Oro. Homenaje al profesor Francisco Ynduráin, Madrid, Editora Nacional,
1984, pp. 13-30.
20
Morreale, rec. citata all’ed. delle Poesie di Carvajal, p. 276.
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PARTE SECONDA
21
A. Gargano, Poesia iberica e poesia napoletana alla corte aragonese: problemi e prospettive di
ricerca, in «Revista de Literatura Medieval», VI (1994), pp. 105-24 (cit. a p. 123). Lo studio
è qui raccolto nelle pp. 89-110.
22
Per l’‘odissea’ della datazione del romance, si veda l’ampio resoconto contenuto in
Scoles, Introduzione a Carvajal, Poesie, ed. cit., pp. 25-29. Quanto al terzo romance di
Carvajal, è nota l’attribuzione di «Mirava de Campoviejo» al nostro poeta da parte di R.
Menéndez Pidal, Romancero hispánico, Madrid, Espasa-Calpe, 1968, II, p. 20.
23
El Prohemio e Carta del Marqués de Santillana y la teorı́a literaria del siglo XV, a c. di A.
Gómez Moreno, Barcelona, PPU, 1990, p. 57.
24
Cfr. F. Rico, Variaciones sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in Doce consideracio-
nes sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés, Roma, Publicacio-
nes del Instituto Español de Lengua y Literatura, 1979, pp. 115-30, in part. p. 125 n. 31.
25
G. Di Stefano, Introducción a Romancero, a c. di G. D. S., Madrid, Taurus, 1993, p. 17.
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ASPETTI DELLA POESIA DI CORTE
26
De Blasi e Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, cit., p. 243.
27
Morreale, rec. citata a Carvajal, Poesie, ed. cit., p. 275.
28
Cfr. F. Rico, Los orı́genes de «Fontefrida» y el primer romancero trovadoresco, in Texto y
contextos. Estudios sobre la poesia española del siglo XV, Barcelona, Crı́tica, 1990, pp. 1-32,
dove l’autore – a partire da uno splendido e denso studio di Fontefrida – ha formulato una
doppia ipotesi sul luogo d’origine del primo romancero trovadoresco, situandolo o nella
Bologna dei primi decenni del Quattrocento, e negli ambienti universitari spagnoli, o anche
nella Napoli aragonese, e nella cerchia alfonsina, benché – a proposito di quest’ultima – lo
stesso autore precisi che «al pensar en los aldeanos de Alfonso V no tenemos por qué
limitarnos al periodo más esplendoroso de su asentamiento en Nápoles» (p. 29). Sui
rapporti, in generale, tra «la moda popularizante» in poesia e «la corte napolitana de Alfonso
V», cfr. anche R. Menéndez Pidal, Poesı́a juglaresca y orı́genes de las literaturas románicas,
Madrid, Instituto de Estudios Polı́ticos, 19576, p. 324; Id., Romancero hispánico, cit., II, pp.
19-22; M. Frenk Alatorre, ¿Santillana o Suero de Ribera?, in «Nueva Revista de Filologı́a
Hispánica», XVI (1962), pp. 437; e Id., Estudios sobre lı́rica antigua, Madrid, Castalia, 1978,
p. 51; A. Sánchez Romeralo, El villancico (estudios sobre la lı́rica popular en los siglos XV y
XVI), Madrid, Gredos, 1969, p. 50.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA
ALLA CORTE ARAGONESE:
PROBLEMI E PROSPETTIVE DI RICERCA
1
A. Deyermond, Edad Media. Primer suplemento de Historia y Crı́tica de la literatura
española, in F. Rico (a cura di), Historia y Crı́tica de la literatura española, Barcelona, Crı́tica,
1991, pp. 242-43.
2
Per la poesia a Napoli nella seconda metà del Quattrocento sono fondamentali M.
Corti, Introduzione a P. J. De Jennaro, Rime e lettere, Commissione per i testi di lingua,
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PARTE SECONDA
Bologna, 1956, in part. le pp. XVI-LXIII; M. Santagata, La lirica aragonese. Studi sulla
poesia napoletana del secondo Quattrocento, Padova, Antenore, 1979. Molto utili sono i recenti
panorami di R. Coluccia, La coinè nell’Italia meridionale, in L. Serianni e P. Trifone (a cura
di), Storia della lingua italiana, vol. III, Le altre lingue, Torino, Einaudi, 1994, pp. 373-405 e
N. De Blasi, Il «volgare» durante la dominazione aragonese, in P. Bianchi, N. De Blasi, R.
Librandi, I’ te vurria parla’. Storia della lingua a Napoli e in Campania, Napoli, Tullio Pironti
Editore, 1993, pp. 47-49.
3
J. Fuster, Llengua i societat, in AA.VV., Història del paı́s valencià. De les germanies a la
nova planta, vol. III, Barcelona, Edicions 62, 1975, p. 169. Di Fuster si veda anche Poetes,
moriscos i capellans, ora in Obres completes, I, Barcelona, Edicions 62, 19752, pp. 317-508, in
part. 333-36. Cfr. inoltre Ph. Berger, Contribution à l’étude du déclin du valencien comme
langue littèraire au seizième siècle, «Mélanges de la Casa Velázquez», XII (1976), pp. 173-94;
e Id., Libro y lectura en la Valencia del Renacimiento, Valencia, Edicions Alfons el Magnànim,
1987, vol. I, pp. 329-34.
4
Sulla questione cfr. M. Canher, Llengua i societat en el pas del segle XV al XVI.
Contribució a l’estudi de la penetració del castellà als Paı̈sos catalans, in J. Bruguera e J. Massot i
Muntaner (a cura di), Actes del Cinquè Col.loqui Internacional de Llengua i literatura catalanes,
Montserrat, Publicaciones de l’Abadia de Montserrat, 1980, pp. 183-255; e Id., Introducció
a Epistolari del Renaixement, València, Albatros, 1977, in part. le pp. 20-21. Cfr. anche P.
M. Cátedra, Introducción a Poemas castellanos de cancioneros bilingües y otros manuscritos
barceloneses, Exter, University of Exter, 1983.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
5
F. Rico, Los orı́genes de ‘Fontefrida’ y el primer romancero trovadoresco, in Texto y contextos.
Estudios sobre la poesı́a española del siglo XV, Barcelona, Crı́tica, 1990, pp. 1-32; cito dalle pp.
28-29.
6
Cancionero general recopilado por Hernando del Castillo (Valencia, 1511), ed. facsimile a c.
di A. Rodrı́guez-Moñino, Madrid, Real Academia Española, 1958.
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PARTE SECONDA
7
Si veda M. de Riquer, Història de la literatura catalana, III, Barcelona, Ariel, 1964, in
part. le pp. 321-64; Canher, Llengua i societat, cit., in part. le pp. 238-45; e, più in generale,
F. Rico, A fianco di Garcilaso: poesia italiana e poesia spagnola del primo Cinquecento, «Studi
Petrarcheschi. Nuova Serie», IV (1987), pp. 229-36.
8
B. Dutton, El desarrollo del «Cancionero General» de 1511, in E. Rodrı́guez Cepeda (a
cura di), Actas del Congreso Romancero Cancionero, UCLA (1984), Madrid, José Porrúa
Turanzas, 1990, I, pp. 81-96; cito da p. 83.
9
A. Farinelli, Cenni sul dominio degli aragonesi a Napoli, in Italia e Spagna, Torino, Bocca,
1929, II, p. 76 (le pagine qui raccolte risalgono però al 1894).
10
P. E. Russell, Las armas contra las letras: para una definición del humanismo español del
siglo XV, in Temas de «La Celestina», Barcelona, Ariel, 1978, pp. 209-39, cito dalle pp.
219-20.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
11
Alicante, Instituto de Cultura «Juan Gil-Albert», 1990, p. 97. Cfr. la rec. di A. M.
Compagna Perrone Capano in «Medioevo Romanzo», XVII (1992), pp. 155-58.
12
B. Dutton, Catálogo-Indice de la Poesı́a Cancioneril del siglo XV, Madison, The Hispanic
Seminary of Medieval Studies, 1983, pp. 165-78; cito da p. 174.
13
R. G. Black, Poetic Taste at the Aragonese Court in Naples, in Florilegium Hispanicum.
Medieval and Golden Age Studies presented to D. Clotelle Clarke, Madison, The Hispanic
Seminary of Medieval Studies, 1983, pp. 165-78; cito da p. 174.
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PARTE SECONDA
14
P. Savj López, Lirica spagnola in Italia nel secolo XVI, in «Giornale storico della
letteratura italiana», XLI (1903), pp. 1-41 (poi raccolto in Trovatori e poeti. Studi di lirica
antica, Palermo, pp. 189 e ss.).
15
Il saggio di Croce fu raccolto in La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza,
Bari, Laterza, 1917, pp. 54-74; per il riferimento allo studio del Savj López, cfr. p. 66 e n.
5, dove si trova anche la menzione della recensione del Percopo pubblicata in «Rassegna
critica della letteratura italiana», VIII (1903), pp. 83-84.
16
Cfr. M. Corti, Introduzione a De Jennaro, ed. cit., pp. XXXV e XXXVI.
17
Cfr. N. De Blasi e A. Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, in A. Asor Rosa (a cura di),
Letteratura italiana. Storia e geografia. L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988, pp. 234-325;
cito da p. 243.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
18
Sui canzonieri bilingui catalano-castigliani, cfr. Cátedra, Introducción a Poemas castella-
nos, cit., in part. le pp. IX-XVI, dove si troverà anche la bibliografia sull’argomento.
19
Sui rapporti tra i canzonieri spagnoli di area napoletana è imprescindibile A. Vàrvaro,
Premesse ad un’edizione critica delle poesie minori di Juan de Mena, Napoli, Liguori, 1964, le
cui conclusioni sono state più volte confermate in lavori posteriori, tra i quali si vedano gli
ultimi, in ordine di tempo: Juan de Mena, Poesie minori, a c. di C. de Nigris, Napoli,
Liguori, 1988, e L. de Stuñiga, Poesie, a c. di Lia Vozzo Mendia, Napoli, Liguori, 1989. Il
Cancionero di Estúñiga è stato recentemente riedito in edizione paleografica da Manuel e
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PARTE SECONDA
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
Serra, Dues cançons populars italianes en un manuscrit català quatrecentista, «Estudis Romà-
nics», I (1947-48), pp. 159-88.
24
Oltre alla menzionata canzone spagnola, si consideri che la poesia italiana Amor tu non
mi gabasti, che compare nel Cansonero del Conte di Popoli e in altri manoscritti musicali
italiani, è presente anche nel Cancioneiro de Resende, tradotta al portoghese nel componi-
mento 195 di João Manuel; cfr. Dutton, El desarrollo, cit., p. 83 e n. 5, e A. F. Dias, O
«Cancioneiro Geral’» e a poesia peninsular de Quatrocientos (contactos e sobrevivencia), Coimbra,
Liuraria Almedina, 1978, pp. 25-26.
25
Santagata, La lirica aragonese, cit., p. 255.
26
Il testo si trova ora trascritto in Dutton, El Cancionero del siglo XV, cit., vol. I, p. 78.
Cfr. anche Savj López, Lirica spagnola, cit., p. 34 e Parenti, ‘Antonio Carazolo desamato’, art.
cit., p. 270.
27
F. Flamini, Francesco Galeota e il suo inedito canzoniere, in «Giornale Storico della
Letteratura Italiana», XX (1892), p. 32 e n. 2, e p. 16.
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PARTE SECONDA
28
Croce, La Spagna nella vita italiana, cit., p. 65, e Corti, Introduzione a De Jennaro, ed.
cit., p. xxxvi.
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29
Cfr. E. Perito, La congiura dei baroni e il conte di Policastro. Con l’edizione completa e
critica dei sonetti di G. A. de Petruciis, Bari, Laterza, 1926; per il testo della poesia in
spagnolo, v. p. 250, dove la rubrica precisa che si tratta di una «envencione», vale a dire del
mote o letra che, insieme alla devisa, formava la invención o empresa (cfr. F. Rico, Un penacho
de penas. De algunas invenciones y letras de caballeros, in Texto y contextos, cit., pp. 189-227).
30
Cfr. N. Salvador Miguel, La Poesı́a Cancioneril. El «Cancionero de Estúñiga», Madrid,
Alhambra, 1977, pp. 55-73.
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PARTE SECONDA
31
R. Llull, Lo despropriament de amor, a c. di J. Turró, Barcelona, Stelle dell’Orsa, 1987,
pp. 30-31; per la biografia del poeta, cfr. N. Coll i Julià, Nova identificació de l’escriptor i
poeta Romeu Llull, in Estudios históricos y documentos de los archivos de protocolos, vol. V,
(Miscélanea en honor de Josep Maria Madurell i Marimon), Barcelona, 1977, pp. 245-97.
32
M. Alvar, Las poesı́as de Carvajales en italiano. Cancionero de Estúñiga, números 143-145,
in Estudios sobre el Siglo de Oro. Homenaje al profesor Francisco Ynduráin, Madrid, Editora
Nacional, 1984, pp. 13-30.
33
L. Vozzo Mendia, La scelta dell’italiano tra gli scrittori iberici alla corte aragonese. I. Le
liriche di Carvajal e di Romeu Llull, in P. Trovato (a cura di) Lingue e culture dell’Italia
Meridionale (1200-1600), Roma, Bonacci, 1993, pp. 162-71.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
scrivere in napoletano non è più dunque, come era ancora per Carva-
jal, l’omaggio più o meno estemporaneo fatto a una parte della nobiltà
di corte, ma rappresenta il tentativo cosciente di inserirsi in un deter-
minato filone tradizionale, scartandone altri, ugualmente presenti nel-
l’ambiente letterario dell’epoca, in primo luogo il petrarchismo34.
34
Ibid.
35
Santagata, La lirica aragonese, cit., p. 94.
36
Corti, Introduzione a De Jennaro, ed. cit., p. XXI.
37
Ivi, p. XXVII.
38
Cfr. Llull, Lo despropriament, cit., pp. 22-27.
39
A quanto detto farebbero eccezione «i quattro ‘sonetos’ concordemente attribuiti [a]
Juan de Villalpando, che rappresentano invece un tentativo precoce di sperimentazione
petrarchesca» (G. Caravaggi, I ‘sonetos’ di Juan de Villalpando, in B. Periñán e F. Guazzelli
(a cura di), Symbolae Pisanae. Studi in onore di Guido Mancini, Pisa, Giardini, 1989, vol. I,
pp. 99-111, in part. p. 102; sui rapporti con la corte alfonsina, v. pp. 103-04 e n. 6.
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PARTE SECONDA
40
Se ne veda il testo in Carvajal, Poesie, edizione critica, introduzione e note a c. di E.
Scoles, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1967, pp. 186-87.
41
Santagata, La lirica aragonese, cit., pp. 252-53 e n. 6.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
volta Carvajal. Mo riferisco alla poesia che inizia per l’appunto con la
citazione del Salmo CII: «Sicut passer solitario»44. Dobbiamo forse
concludere che la tecnica invalsa nel «settore della lirica popolareg-
giante» napoletana si è diffusa tra i poeti castigliani? Non credo che le
cose stiano proprio cosı̀; e non solo per le ovvie ragioni cronologiche.
Chiunque abbia un minimo di pratica con la poesia quattrocentesca
spagnola, difficilmente avrà potuto evitare di imbattersi in un parti-
colare genere costituito da componimenti come i «Siete gozos de
amor» e i «Diez mandamientos de amor» di Juan Rodrı́guez del
Padrón, le «Misas de amor» di Suero di Ribera e Juan de Dueñas, e
tutti e tre i poeti furono peraltro presenti nella corte napoletana; e
ancora la «Letanı́a» e i «Salmos penitenciales» di Diego de Valera, il
«Miserere» di Francisco di Villalpando, il «De profundis» di Mosén
Gaçull, il «Sermón de amores» di Diego de San Pedro, le «Liçiones
de Job» di Garci Sánchez de Badajoz, il «Nunc dimittis» di Fernando
de Yanguas, la «Vigilia de la enamorada muerta» di Juan del Encina.
Come alcuni di tali componimenti indicano fin dal titolo, si tratta di
un genere sacro-profano, che è stato definito di «parodia litúrgica»45,
anche se Pierre Le Gentil precisò che «ces paraphrases de textes
42
Su Juan de Tapia, cfr. Salvador Miguel, La poesı́a Cancioneril, cit., pp. 200-06, e
Rovira, Humanistas y poetas, cit., pp. 134-37.
43
Cancionero de Estúñiga, ed. cit., pp. 386-87.
44
Carvajal, Poesie, ed. cit., pp. 112-13.
45
M. R. Lida de Malkiel, Juan Rodrı́guez del Padrón: vida y obras, «Nueva Revista de
Filologı́a Hispánica», VI (1952), pp. 313-51, in part. p. 319 (lo studio è ora raccolto in
Estudios sobre la Literatura Española del Siglo XV, Madrid, José Porrúa, Turanzas, 1977, pp.
21-77).
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PARTE SECONDA
dalla stessa citazione. Cosı̀, per non fare che un paio di esempi,
Pedro de Santa Fe, un poeta che partecipò alla prima spedizione
italiana del Magnanimo, e che si stabilı̀ successivamente alla corte di
48
Navarra , inserisce un verso in latino: «Tristis est anima mea», tratto
da San Matteo e San Luca, nella canzone «Pues mi triste corazón»
che, come indica la rubrica del Cancionero de Palacio, gli è stata
dettata dalla «pasión por la poca piedat de Maymia»49; e Soria
compone una glosa al «mote de una dama»:
46
P. Le Gentil, La poésie lyrique espagnole et portugaise a la fin du Moyen Age, Rennes,
Plihon, 1949, vol. I, p. 203.
47
P. Gallagher, The Life and Works of Garci Sánchez de Badajoz, London, Tamesis, 1968,
p. 175. Alla bibliografia citata, oltre a F. Lecoy, Recherches sur le «Libro de buen amor», Paris,
1938, pp. 221-25, si aggiungano i seguenti due lavori: F. Márquez Villanueva, Investigacio-
nes sobre Juan Alvarez Gato. Contribución al conocimiento de la literatura castellana del siglo XV,
Madrid, 1960, pp. 234-39, e B. Periñán, Las poesı́as de Suero de Ribera. Estudio y edición
crı́tica anotada de los textos, «Miscellanea di Studi Ispanici», XVI (1968), pp. 24 ss.
48
Cfr. Ch. V. Aubrun, Le Chansonnier espagnol d’Herberay des Essarts. Edition précedéé
d’une étude historique, Bordeaux, Féret et Fils, 1951, pp. LXXIX-LXXXII, e Rovira,
Humanistas y poetas, cit., pp. 132-34.
49
Cancionero de Palacio, a c. di F. Vendrell, Madrid, CSIC, 1945, e Dutton, El Cancionero
del Siglo XV, cit., vol. IV, p. 157.
50
Cancionero general, f. Cxliiijr.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
51
Alla bibliografia segnalata da Scoles in Carvajal, Poesie, ed. cit., p. 113, si aggiunga
quella riportata in Rico, Los orı́genes de ‘Fontedrida’, in Texto y contextos, cit., p. 13 n. 21 e
p. 17 n. 31.
52
G. B. Bronzini, Il ‘Passero solitario’ e un antico strambotto, in Leopardi e la poesia popolare
dell’Ottocento, Napoli, De Simone, pp. 45-84; la citazione è a p. 53. Dello stesso autore si
veda anche Poesia popolare del periodo aragonese, in «Archivio storico per le provincie
napoletane», 3ª serie, XI, XC (1973), pp. 255-85, in part. le pp. 282-83.
53
Cfr. Bronzini, Il ‘Passero solitario’, art. cit., p. 51.
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PARTE SECONDA
Varianti calabresi:
[Son detto passero solitario, / sono schivato da tutti gli altri uccelli, /
facevo il mio nido cosı̀ nascosto / sopra un albero secco e non fiorito! /
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54
Lo strambotto popolare e quello di Galeota sono citati da Bronzini, Il ‘Passero solitario’,
art. cit., pp. 53-54. Per il sonetto di Petrarca uso l’ed. di G. Contini, Torino, Einaudi,
1974, p. 288; per la canzone di Carvajal la già citata edizione della Scoles.
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F. Galeota
Carvajal
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PARTE SECONDA
55
Cfr. F. Rico, Variaciones sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in Doce consideracio-
nes sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés, Roma, Publicacio-
nes del Instituto Español de Lengua y Literatura de Roma, 1979, pp. 115-30, cit. a p. 125
n. 31.
56
Carvajal, Poesie, ed. cit., p. 174.
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POESIA IBERICA E POESIA NAPOLETANA ALLA CORTE ARAGONESE
che si rifanno alla serie anaforica contenuta nel sonetto CXII, e che
comincia «Qui tutta humile, et qui la vidi altera». I menzionati versi
di Carvajal fanno parte di un Romance, per cui ancora una volta ci
troviamo dinanzi a un caso di commistione di tradizione colta e
tradizione popolare. Com’è noto, di simili casi di «mescidazione del
modello petrarchesco con altre fonti», quelle popolari per esempio,
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57
G. B. Bronzini, Prospettiva storica dei rapporti tra forme auliche, popolari e dialettali nell’età
sveva, angioina e aragonese, in Atti dell’Accademia Pontaniana, n. s. XIX (1969-70), pp. 6-44,
cit. a p. 35.
58
De Blasi e Vàrvaro, Napoli e L’Italia meriodinale, cit., p. 243.
59
Corti, Introduzione a De Jennaro, ed. cit., p. XXXVI. Mi corre l’obbligo di precisare
che non è mia intenzione riprendere la vecchia tesi del Savj López, a suo tempo già
giustamente contestata (cfr. supra n. 16). Da un lato, difatti, è un’idée reçue quella per cui «la
moda popularizante es totalmente ajena al espı́ritu de la Castilla de Juan II. Sus comienzos
estaban fuera de la Penı́nsula, en la corte napolitana de Alfonso V» (M. Frenk Alatorre,
¿Santillana o Suero de Ribera?, in «Nueva Revista de Filologı́a Hispánica», XVI (1962), p.
437. Della stessa autrice, cfr. anche Estudios sobre lı́rica antigua, Madrid, Castalia, 1978, p.
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LA RINASCITA DELL’EGLOGA IN VOLGARE
NEI CANZONIERI QUATTROCENTESCHI.
NOTE PRELIMINARI
Non è molto che, con la sua consueta sagacia, Juan Alcina annotava
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una verità che col tempo va acquistando sempre più credito. Diceva,
dunque, che:
1
J. Alcina, Entre latı́n y romance: modelos neolatinos en la creación poética castellana de los
Siglos de Oro, en J. M. Maestre Maestre e J. Pascual Barea (a cura di), Humanismo y
pervivencia del mundo clásico (Alcañiz 8 al 11 de mayo de 1990), Cádiz, Instituto de Estudios
Turolenses, CSIC e Servicio de Publicaciones de la Universidad de Cádiz, 1993, pp. 3-27.
Cito da p. 7.
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PARTE SECONDA
2
Per i testi citati, disponiamo delle eccellenti edizioni che seguono: Las Coplas de Mingo
Revulgo, a c. di M. Ciceri, in «Cultura Neolatina», XXXVII (1977), pp. 75-149 e 187-266
(per le Coplas, si veda anche Las Coplas de Mingo Revulgo, a c. di V. Brodey, Madison, The
Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1986); Una satira anonima del XV secolo: «Abre abre
las orejas», a c. di P. Elia, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli – Sezione Romanza»,
XIX (1977), pp. 313-42 e Le «Coplas del tabefe», una satira del XV secolo spagnolo, a c. di P.
Elia, in «Studi e Ricerche. Istituto di Lingue e Letteratura Straniere. Facoltà di Magistero,
Università dell’Aquila», II (1983), pp. 137-83; A. Blecua, La Egloga de Francisco de Madrid
en un nuevo manuscrito del siglo XVI, in Serta Philologica F. Lázaro Carreter, Madrid, Cátedra,
1983, vol. II, pp. 39-66; M. A. Pérez Priego, La Egloga sobre el molino de Vascalón: texto y
sentido literario, in Crı́tica textual y anotación filológica en obras del Siglo de Oro, a c. di I.
Arellano e J. Cañedo, Madrid, Castalia, 1991, pp. 402-16. L’adattamento delle Bucoliche
virgiliane di Encina, oltre che nell’ed. facsimile del Cancionero del 1496 (cc. 30-48), può
leggersi in J. del Encina, Obras Completas, a c. di A. M. Rambaldo, Madrid, Espasa-Calpe,
1978, vol. I, pp. 218-341 e in Id., Obra Completa, a c. di M. A. Pérez Priego, Madrid,
Fundación José Antonio de Castro, 1996, pp. 205-98.
3
In questo senso, risulta molto utile il panorama tracciato da H. Cooper, Pastoral.
Medieval into Renaissance, Ipswich-Totowa, D. S. Brewer-Rowman & Littlefield, 1977, dove
tuttavia manca, com’è abituale, ogni riferimento alla situazione spagnola. Parimenti, per
l’egloga neolatina non ispanica, può consultarsi L. Grant, Neo-latin Literature and the
Pastoral, Chapell Hill, The University of North Carolina Press, 1965. Per la penisola
iberica, in cambio, disponiamo ora dell’eccellente repertorio di J. Alcina, Repertorio de la
poesı́a latina del Renacimiento en España, Salamanca, Ediciones Universidad de Salamanca,
1995.
4
Si leggano, tra gli altri, queste linee di Blecua: «Estas Coplas [de Mingo Revulgo] – o
mejor, Bucólica, como reza uno de sus manuscritos [Egerton 939 del British Museum ] –
[...] son eco inmediato de las églogas humanistas que, a imitación de Petrarca y Boccaccio,
comenzaban a abundar en Italia y que, a través del velo alegórico pastoril, transparentaban,
para quien conociera la clave, determinadas realidades sociales, religiosas o polı́ticas», in La
Egloga de Francisco de Madrid, cit., pp. 40-41. Imprescindibile per una corretta valutazione
della Translación de Encina il recente studio di J. Lawrance, La tradición pastoril antes de
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LA RINASCITA DELL’EGLOGA IN VOLGARE
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PARTE SECONDA
– al centro di quello che è ancora uno dei migliori lavori dedicati alle
Coplas, se prescindiamo dalla magnifica edizione del testo curata
dalla filologa Marcela Ciceri; mi riferisco, naturalmente, allo studio
di Charlotte Stern, che del resto vide la luce quasi contemporanea-
mente all’edizione menzionata, poco meno di un quarto di secolo fa.
La studiosa americana, difatti, dopo aver opportunamente ricordato
che i contemporanei – o, almeno, alcuni di essi – non ebbero alcun
dubbio nell’annoverare le Coplas nel genere bucolico, aggiunge che
«the poem must be examined within the framework of the pastoral in
the late Middle Ages»; e, in tale prospettiva, si pronuncia a favore
della «influence [sulle Coplas] of a tradition, harking back to Vergil
and revived in the late Middle Ages by the Italian poets»7, a propo-
sito dei quali menziona il Bucolicum Carmen di Petrarca e di Boccac-
cio. Non dubito che la prospettiva adottata sia quella giusta, mi
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7
Ch. Stern, The Coplas de Mingo Revulgo and the Early Spanish Drama, in «Hispanic
Review», XLIV (1976), pp. 311-32; le citazioni sono alle pp. 316 e 317 n. 20.
8
Ivi, p. 326 n. 35.
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LA RINASCITA DELL’EGLOGA IN VOLGARE
di Lorenzo nella prima metà degli anni sessanta. Le cose non stanno
esattamente cosı̀; e – sebbene gli anni ’60 del secolo XV restino
cruciali nello sviluppo dell’egloga volgare – per rintracciare i primi
esempi del genere è necessario andare indietro di alcuni anni, e
perfino di qualche decennio, e allontanarsi da Firenze, sebbene non
sia forse indispensabile abbandonare del tutto la Toscana.
È, difatti, al primo trentennio del Quattrocento che dobbiamo
risalire, se vogliamo incontrare i primi esempi di egloga in volgare, il
cui autore, il senese Francesco Arzocchi, è considerato l’«inventore
del genere volgare». E tale fu considerato anche dai suoi contempora-
nei, come ci mostra con assoluta evidenza un episodio, che contribuı̀
notevolmente al rilancio del genere nella seconda metà del secolo;
ossia, l’edizione Miscomini delle Egloghe elegantissime, che videro la
9
La data del 1464, implicitamente suggerita da Fernando del Pulgar nella sua glossa alla
strofa «Del collado aquileño»: «luego otro año que estas coplas se fizieron, ovo la división en
el reyno, de que procedieron muchos daños y males» (ed. cit., 234), fu espressamente
indicata da J. Amador de los Rı́os, Historia crı́tica de la literatura española, Madrid, Joaquı́n
Muñoz, 1865, vol. VII, p. 130. Questa datazione, che in generale è stata accettata dagli
studiosi ed editori dell’opera (si vedano, per esempio, J. Rodrı́guez Puértolas, Sobre el autor
de las Coplas de Mingo Revulgo, in Homenaje a Rodriguez-Moñino, Madrid, Castalia, 1966;
raccolto in Id., De la Edad Media a la edad conflictiva. Estudios de literatura española, Madrid,
Gredos, 1972, pp. 121-36, in part. pp. 123-24; e Ciceri, Las Coplas de Mingo Revulgo,
cit., p. 75), più recentemente è stata contestata, con argomenti degni di considerazione da
Brodey, Las Coplas de Mingo Revulgo, cit., pp. 23-24, che anticipa la composizione
dell’opera ai primi anni del regno di Enrique IV, fissandone, in ogni caso, la data a un anno
non posteriore al 1456.
10
P. Vecchi Galli, «Alcuni rustici, inepti e mal composti versi...»: una bucolica volgare tardo
quattrocentesca alla Biblioteca Estense, in S. Carrai (a cura di), La poesia pastorale del
Rinascimento, Padova, Editrice Antenore, 1998, pp. 151-72; cito da p. 151.
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PARTE SECONDA
luce a Firenze nel 1482. Dei quattro autori ivi raccolti, le egloghe di
Arzocchi seguivano immediatamente la traduzione delle Bucoliche
virgiliane di Bernardo Pulci, e precedevano la produzione originale di
Benivieni e Boninsegni; l’organizzazione della raccolta, pertanto, in
luogo di basarsi sull’«ordine cronologico di composizione» privile-
giava il «disegno di storicizzazione dello sviluppo del genere pastorale
volgare». I curatori dell’edizione intesero, cosı̀, «stabilire la continuità
11
ideale fra la produzione virgiliana e quella volgare» , assegnando
all’Arzocchi il ruolo di antesignano nella ripresa volgare del genere
classico.
Cronologia e circolazione dei testi arzocchiani risultano perciò
fattori importanti nella costituzione del genere. Orbene, la tendenza
a una ricollocazione cronologica della sua poesia pastorale, a lungo
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11
F. Battera, L’edizione Miscomini (1482) delle Bucoliche elegantissimamente composte, in
«Studi e problemi di critica testuale», XL (1990), pp. 149-85; cito da p. 182.
12
F. Arzocchi, Egloghe, a c. di S. Fornasiero, Bologna, Commissione per i testi di lingua,
1995, p. IX. Il manoscritto in questione è quello che si conserva presso la Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, ms. Landau Finaly 89, per la descrizione del quale si veda
l’ed. cit. di Fornasiero, pp. LX-LXIII.
13
Per i due componimenti, si veda lo studio di C. Grayson, Alberti and the Vernacular
Eclogue, in «Italian Studies», XI (1956), pp. 16-29, su Alberti, che può completarsi con G.
Tanturli, Note alle rime dell’Alberti, in «Metrica», II (1981), pp. 103-21 e quello di I. Pantani,
Il polimetro pastorale di Giusto de’ Conti, in Carrai (a cura di), La poesia pastorale nel
Rinascimento, cit., pp. 1-55, su Giusto.
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LA RINASCITA DELL’EGLOGA IN VOLGARE
14
Arzocchi, Egloghe, ed. cit., p. XX.
15
Per una visione globale dello sviluppo della poesia bucolica italiana nel Quattrocento è
ancora molto utile E. Carrara, La poesia pastorale, Milano, Vallardi, 1909, sebbene – com’è
ovvio – debba aggiornarsi e correggersi con i nuovi e ricchi dati presenti negli studi che nel
frattempo sono stati prodotti sul genere, specialmente negli ultimi anni. Imprescindibili
contributi di carattere generale sono M. Corti, Il codice bucolico e l’«Arcadia» di Jacobo
Sannazaro, in «Strumenti critici», VI (1968); raccolto in Ead., Metodi e fantasmi, Milano,
Feltrinelli, 1977, pp. 281-304, e D. De Robertis, L’ecloga volgare come segno di contraddi-
zione, in «Metrica», II (1981), pp. 61-80 (quest’ultimo, in versione più breve, era apparso in
Le genre pastoral en Europe du XV e au XVII e siècle. «Actes du Colloque international tenu à
Saint-Etienne du 28 septembre au 1er octobre 1978», Saint-Etienne, Université de Saint-
Etienne, 1980, insieme al contributo di G. Ponte, Perspectives de la littérature de sujet pastoral
au XV e siècle en Italie, ivi, pp. 15-24). Un utile strumento è rappresentato ora dall’insieme di
studi raccolti in Carrai, La poesia pastorale nel Rinascimento, cit.
16
C. Dionisotti, Jacopo Tolomei tra umanisti e rimatori, in «Italia Medievale e Umanistica»,
VI (1963), pp. 137-76.
17
S. Fornasiero, Presenze (e assenze) della bucolica senese, in Carrai (a cura di), La poesia
pastorale nel Rinascimento, cit., pp. 57-72; cito da p. 65.
18
Si tratta del ms. 393 della «Bibliothèque Inguimbertine» di Carpentras, cc. 47v-49v,
85r-86v; si vedano G. Parenti, «Antonio Carazolo desamato». Aspetti della poesia volgare
aragonese nel ms. Riccardiano 2752, in «Studi di filologia italiana», XXXVII (1979), pp.
119-279, in part. p. 279; M. Santagata, Fra Rimini e Urbino: i prodromi del petrarchismo
cortigiano, in Id. e S. Carrai, La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, Franco
Angeli, 1993, pp. 43-95, in part. p. 89 n. 143; e, più per esteso, Arzocchi, Egloghe, ed. cit.,
pp. LV-LVIII.
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PARTE SECONDA
farsi per un’altra egloga, «Pastori, o voi che havete in man la verga»,
del rimatore marchigiano Francesco Palmario che del resto, fu amico
di Giusto, col quale coincise a Padova, nel corso degli studi. I due
testi – di Giusto e del Palmario –, oltre ad apparire coevi, mostrano
più di un punto di contatto, cosicché si è proposto che, sotto il
velame amoroso e pastorale, essi «costituiscono un dialogo poetico
ravvicinato d’argomento politico»24. Un ultimo episodio riconduce
ancora una volta alle egloghe dell’Arzocchi. Si tratta, difatti, di una
precoce imitazione e continuazione della sua prima egloga ad opera
del bergamasco Giovan Francesco Suardi, il quale ebbe occasione di
conoscere il testo del senese o al tempo del suo soggiorno a Siena,
come podestà, tra il ’58 e il ’59, ovvero un paio d’anni prima, in
ambiente feltresco25.
19
G. Biancardi, Esperimenti metrici del primo Quattrocento: i polimetri di Giusto de’ Conti e
Francesco Palmario, in «Italianistica», XXI (1992), pp. 651-78, in part. p. 661.
20
Pantani, Il polimetro pastorale di Giusto de’ Conti, cit., pp. 42 e 41.
21
Arzocchi, Egloghe, ed. cit., pp. XXXIX-XL.
22
Battera, L’edizione Miscomini, cit., p. 179 n. 62.
23
Cosı̀ recita la rubrica del menzionato codice (Cambridge, Massachusetts, Harvard
College, Houghton Library, ms. Typ. 24): «Egloga nella quale Tyrinto e Grisaldo pastori e
man / driali con sue rime isdruzule dimostrano l’età presente / esser gionta in summa inopia
et miseria e piu non si / extimar virtute et come la corte di sancta chiesia / e piena di vicij e
scelleragine» (si veda Arzocchi, Egloghe, ed. cit., p. LVIII).
24
Biancardi, Esperimenti metrici del primo Quattrocento, cit., p. 661.
25
Per tutto ciò, si vedano R. Tissoni, Un ternario inedito attribuibile al Bianco da Siena e la
quarta ecloga di Francesco Arsochi, in «Giornale storico della letteratura italiana», LXXXVII
(1970), pp. 367-90; F. Brambilla Ageno, La prima ecloga di Francesco Arsochi e un’imitazione
di Giovan Francesco Suardi, in «Giornale storico della letteratura italiana», XCIII (1976), pp.
523-48; cosı̀ come Santagata, Fra Rimini e Urbino, cit., p. 89 n.143.
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LA RINASCITA DELL’EGLOGA IN VOLGARE
26
Sui fratelli Pulci (Luca e Luigi), oltre al libro di S. Carrai, Le muse dei Pulci. Studi su
Luca e Luigi Pulci, Napoli, Guida editore, 1985, si vedano le puntuali osservazioni dello
stesso Carrai, La lirica toscana nell’età di Lorenzo, in Santagata e Carrai (a cura di), La lirica
di corte, cit., pp. 96-144, in part. pp. 104-107, a proposito del rifiorire della bucolica
fiorentina degli anni sessanta e dell’«impulso concordemente datole dai fratelli Pulci» (p.
104), a cui fa riferimento anche la «Introduzione» della Fornasiero in Arzocchi, Egloghe, ed.
cit., pp. XXVIII-XXXIII, dove si troverà la descrizione del ms. 2508 della «Biblioteca
Palatina» di Parma, che contiene la copia delle quattro egloghe di Arzocchi. Al volgarizza-
mento delle Bucoliche virgiliane di Bernardo dedica un ampio studio S. Villari, Una bucolica
«elegantissimamente composta»: il volgarizzamento delle egloghe virgiliane di Bernardo Pulci, in V.
Fera e G. Ferraú (a cura di), Filologia Umanistica. Per Gianvito Resta, Padova, Antenore
Editrice, 1997, vol. III, pp. 1873-1937.
27
Su Boninsegni e le sue egloghe, si veda specialmente Battera, L’edizioni Miscomini, cit.,
pp. 152-56 e 161-82.
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PARTE SECONDA
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PARTE TERZA
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR».
NOTE SULLE TRADUZIONI
CINQUECENTESCHE DEI TRIONFI
una volta tanto, non è in contrasto con i pur tersi versi di Petrarca
che furono segnalati dal Brocense come punto di partenza per il
toledano3:
1
R. Lapesa, La trayectoria poética de Garcilaso (1948), ora raccolto in Garcilaso: Estudios
completos, Madrid, Istmo, 1985, pp. 50-52.
2
Cito da Garcilaso de la Vega, Obras completas con comentario, a c. di E. L. Rivers,
Madrid, Castalia, 1981, pp. 116-17.
3
Cfr. A. Gallego Morell, Garcilaso de la Vega y sus comentaristas, Madrid, Gredos, 1972,
2ª ed., p. 268; si veda anche M. Rosso Gallo, La poesı́a de Garcilaso de la Vega. Análisis
filológico y texto crı́tico, Madrid, Real Academia Española, 1990, p. 117.
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PARTE TERZA
Eppure, non è nei versi iniziali del testo spagnolo dove si avverte
la maggiore presenza di Petrarca, bensı̀ nella sestina:
4
A. Gargano, «Imago mentis»: fantasma e creatura reale nella lirica castigliana del Cinque-
cento, in F. Bruni (a cura di), Capitoli per una storia del cuore. Saggi sulla lirica romanza,
Palermo, Sellerio, 1988, pp. 181-220, in part. le pp. 217-19.
5
F. Petrarca, Triumphi, a c. di M. Ariani, Milano, Mursia, 1988. Ho tenuto presenti
anche le edizioni di C. Calcaterra, Torino, UTET, 1927; di F. Neri, in F. Petrarca, Rime e
Trionfi, 2ª ed. riveduta a c. di E. Bonora, Torino, UTET, 1960; di F. Neri, G. Martellotti,
in F. Petrarca, Rime Trionfi e Poesie latine, a c. di F. Neri, G. Martellotti, E. Bianchi, N.
Sapegno, Milano-Napoli, R. Ricciardi Editore, 1951.
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
attestata nel Petrarca latino (De vita, II, 392 e 426; Fam. VI, 3, 66;
VII, 12, 10; Sen III, 9, 863)6 risulta assente nel Canzoniere, con la
parziale eccezione del settenario nella famosa canzone Chiare, fresche
e dolci acque: «dolce ne la memoria» (CXXVI, 41). Del resto, lo stesso
lemma memoria non è tanto frequente nel Canzoniere, quanto forse ci
si potrebbe attendere. Delle 18 occorrenze di memoria, una sola volta
lo troviamo in concomitanza dell’aggettivo dolce (il settenario citato),
mentre è del tutto assente la iunctura: «amara memoria». Se prescin-
diamo dal lemma memoria, e rivolgiamo in cambio l’attenzione alla
coppia aggettivale antitetica: dolce/amaro, ci accorgeremo di un fatto
piuttosto interessante. L’aggettivo dolce è frequentissimo nel Canzo-
niere, dove compare 251 volte; meno frequente è amaro, che comun-
que pur vi è presente 32 volte. Ciò che tuttavia interessa notare è che
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6
Cfr. la nota di Ariani nell’ed. cit., p. 78, n. 2.
7
E. Chirilli, Studio sulle concordanze nel «Canzoniere» di Francesco Petrarca, in «Studi e
problemi di critica testuale», XVI (1978), pp. 137-91, in part. le pp. 173-74.
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PARTE TERZA
stesso verso:
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
8
Cancionero de Juan Fernández de Ixar, a c. di J. M. Azáceta, Madrid, CSIC, 1956, II, pp.
819-62; El Cancionero de Gallardo, a c. di J. M. Azáceta, Madrid, CSIC, 1962, pp. 98-151.
Il testo contenuto nel Cancionero de Gallardo era stato pubblicato da B. J. Gallardo, Ensayo
de una biblioteca de libros raros y curiosos (1863), ed. facsı́mil, Madrid, Gredos, 1968, I, pp.
618-38.
9
Per l’elenco completo, cfr. J. de Montemayor, Los siete libros de la Diana, Madrid,
Espasa-Calpe, 1954, pp. LXXXVII-CII.
10
Francisco Petrarca con los seys triunfos del toscano sacados en castellano con el comento que
sobrellos se hizo, Logroño, Arnao Guillermo de Brocar, 1512. Per l’esemplare comprato da
Ferdinando Colombo nel 1518, cfr. Gallardo, Ensayo, cit., II, 523, n. 2718.
11
Cfr. A. Palau y Dulcet, Manual del Librero hispano-americano, Barcelona, Libreria anti-
cuaria de A. Palau, 1977, 2ª ed., II, pp. 306-7.
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PARTE TERZA
12
Il codice manoscritto si trova conservato presso la Biblioteca Nacional de Madrid, ms.
3687.
13
Los triumphos de Francisco Petrarcha, ahora nuevamente traduzidos en lengua Castellana, en
la medida, y numero de versos, que tiene en el Toscano, y con nueva glosa, Medina del Campo,
Guillermo de Millis, 1554.
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
14
Cfr. F. Rico, El destierro del verso agudo (con una nota sobre rimas y razones en la poesı́a del
Renacimiento), in Homenaje a José Manuel Blecua, Madrid, Gredos, 1983, pp. 525-51, in
part. le pp. 533-35.
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PARTE TERZA
15
G. Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino,
Einaudi, 1970, p. 28.
16
Alvar Gómez de Ciudad Real o de Guadalajara (1488-1538) fu autore di varie opere in
latino. Non è difficile congetturare che il suo Triumpho del Amor dovette essere opera
giovanile, anche in considerazione del fatto che nel 1522 pubblicò il Talichristia, con un
prologo di Antonio de Nebrija: l’opera, con i suoi seimila esametri latini, dovette impe-
gnarlo per non breve tempo (cfr. J. F. Alcina, La poesı́a latina del humanismo español: un
esbozo, in AA.VV., Los humanistas españoles y el humanismo europeo (IV Simposio de Filologı́a
Clásica), Murcia, Universidad de Murcia, 1990, pp. 12-33, in part. p. 16).
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
ni olgaua en no llorar,
ni descansaba llorando;
ya mis ojos, que asi abiertos,
fueron a los desconçiertos,
avnque duermen agora,
les bino vn sueno a desora,
que los paro como muertos.
17
Ho riprodotto il testo contenuto nel Cancionero de Gallardo, ed. cit., pp. 98-100, dove
sono riportate in nota le varianti del testo conservatoci da Ixar.
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PARTE TERZA
18
Azáceta, Petrarca traducido por Alvar Gómez. Nuevos datos para el estudio del influjo del
poeta italiano en nuestra lı́rica renacentista, in Cancionero de Gallardo, ed. cit., p. 45. Il corsivo
è mio. Cfr. anche dello stesso autore, Un traductor del Petrarca: Alvar Gómez, in Cancionero
de Juan Fernández de Ixar, ed. cit., pp. XCVI-XCVII.
19
G. C. Rossi, Una traduzione cinquecentesca spagnola del «Trionfo d’Amore», in «Convi-
vium», fasc. 1º gennaio-febbraio 1959, pp. 40-50, dove, a proposito dei versi qui riportati, si
legge: «La traduzione continua con una parafrasi, ora ampia ora amplissima del testo: alle
due terzine di cui ai versi 7-12 corrispondono ben quattro decime (vv. 11-50), dove l’azione
petrarchesca del poeta, che si riduce in solitudine e lı̀ sogna, si diluisce nel tempo e nei
particolari» (p. 45).
20
F. Rico, Variaciones sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in Actas del Coloquio
Interdisciplinar «Doce consideraciones sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
Juan de Valdés» (Bolonia, abril de 1976), Roma, Publicaciones del Instituto Español de
Lengua y Literatura, 1979, pp. 115-30, in part. le pp. 121-22.
21
Cfr. R. Lapesa, Poesı́a de cancionero y poesı́a italianizante (1962), in De la Edad Media a
nuestros dı́as. Estudios de historia literaria, Madrid, Gredos, 1971, pp. 145-71, in part. p. 151;
Id., La trayectoria, cit., pp. 26-27; e Rico, Variaciones, cit., p. 125.
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PARTE TERZA
originale:
El amor y desdeñar
con el tiempo y con el llanto
me cerraron en lugar
donde suele descansar
el coraçon de quebranto.
cansado de llorar tanto
entre las yerbas dormido
vi gran luz donde ove espanto
y yo vi dentro entre tanto
breve risa y gran gemido23.
22
Per i rimandi ai classici, cfr. Ariani, ed. cit., p. 81, n. 12.
23
Francisco Petrarca con los seys triunfos (1512), vj. Ho utilizzato l’esemplare conservato
presso la Biblioteca Nacional de Madrid, R. 8092.
24
Cfr. J. Arce, Petrarca y el terceto «dantesco» en la poesı́a española, in Literaturas Italiana y
Española frente a frente, Madrid, Espasa-Calpe, 1982, pp. 157-68, in part. p. 162.
25
Cfr. R. Reyes Cano, La Arcadia de Sannazaro en España, Sevilla, Publicaciones de la
Universidad de Sevilla, 1973, pp. 90-109.
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
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PARTE TERZA
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
anni ’49-’50 alla revisione del ’52, non solo si è lasciato indietro
l’ottonario, ma, nell’adottare l’endecasillabo, aderisce alle più rigo-
rose leggi che ne regolavano l’uso. Tuttavia, nell’estate del ’52,
Hozes non si limitò ad intervenire unicamente sui versi che presenta-
vano una finale tronca, ma sottopose il testo a una revisione sistema-
tica che si estese a molti altri aspetti. Il risultato fu quello di ottenere
una delle migliori traduzioni poetiche di questa metà del Cinquecen-
to27.
Nella prima delle due terzine, non solo scompare la rima tronca
(sazón: coraçón) dei versi estremi, ma lo stesso verso centrale risulta
totalmente modificato. In esso, difatti, viene reintrodotto l’aggettivo
cerrado, con l’importante valore semantico che sappiamo, a discapito
di entonçes, che svolgeva nel verso una funzione puramente riempi-
tiva.
Più in generale, nella redazione a stampa la scansione degli
emistichi e delle unità sintattiche che tali emistichi ritagliano è molto
più vicina al dettato dell’originale, tranne che nel primo verso, dove
l’introduzione di un quinto elemento: pena – per ragioni di rima –
rompe la simmetria tra primo e secondo emistichio.
La struttura bimembre degli endecasillabi caratterizza soprattutto
26
Per il testo della redazione a stampa, ho utilizzato l’edizione di Juan Perier, Salamanca,
1581, secondo l’esemplare conservato presso la Biblioteca Universitaria de Barcelona, R.
47165. L’edizione utilizzata non presenta alcuna variante per i versi delle due terzine che
qui si analizzano.
27
«La refundición de 1552 – no documentada en el códice – elevó extraordinariamente la
calidad del trabajo, hasta convertir a Los Triumphos en una de las mejores traducciones del
italiano pergeñadas en la época», Rico, El destierro del verso agudo, cit., p. 535.
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PARTE TERZA
28
A. Blecua, Gregorio Silvestre y la poesı́a italiana, in Actas del Coloquio interdisciplinar «Doce
consideraciones», cit., pp. 155-73, in part. p. 161.
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«PETRARCA Y EL TRADUZIDOR»
29
Limitatamente allo sforzo per evitare «el acento en la última», cfr. Lapesa, La trayecto-
ria, cit., p. 183-84, e Rico, El destierro, cit., p. 531.
30
Cfr. soprattutto Rico, Variaciones, cit., R. Lapesa, Los géneros lı́ricos del Renacimiento; la
herencia cancioneresca, in Homenaje a Eugenio Asensio, Madrid, Gredos, 1988, pp. 259-75; e
ancora, F. Rico, A fianco di Garcilaso: poesia italiana e poesia spagnola nel primo Cinquecento,
in «Studi petrarcheschi», nuova serie, IV (1987), pp. 229-36, il cui ultimo paragrafo
sintetizza mirabilmente la situazione poetica dei primi decenni del secolo: «La matassa si
presentava, dunque, più ingarbugliata di quanto a volte pensiamo: coplas castigliane e metri
toscani, volgare e latino, petrarchismo e classicismo si combinano in molti più sensi di quelli
che finirono per trionfare. L’originalità e il merito dell’apporto maturo di Garcilaso e
Boscán non devono impedirci di riconoscere che all’inizio della loro attività anch’essi
conobbero le incertezze di altri poeti più modesti. E che se la superiore qualità non ci fa
dimenticare la prelazione di Garcilaso su Boscán, non è neppure giusto disattendere la
priorità o contemporaneità che in relazione ad entrambi corrisponde ad altri rimatori» (p.
236). Solo al momento della correzione delle bozze [in occasione della pubblicazione
dell’articolo in rivista], mi è stato possibile – grazie al gentile invio dell’autrice che ringrazio
– prendere visione del lavoro di A. J. Cruz, The «Trionfi» in Spain: Petrarchist Poetics,
Translation Theory, and the Castilian Vernacular in the Sixteenth Century, in K. Eisenbichler e
A.A. Iannucci (a cura di), Petrarch’s «Triumphs», Toronto, Dovehouse Editions, 1990, pp.
307-24.
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GARCILASO DE LA VEGA
E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA,
DAL RETAGGIO CANCIONERIL
AI MODELLI CLASSICI
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PARTE TERZA
1
Sulle traduzioni cinquecentesche dei Trionfi del Petrarca, oltre ai contributi di G.C.
Rossi, Una traduzione cinquecentesca spagnola del Trionfo d’Amore, in «Convivium», XXVII
(1959), pp. 40-50, di A.J. Cruz, The Trionfi in Spain: Petrarchist Poetics, Translation Theory,
and the Castilian Vernacular in the Sixteenth Century, in K. Eisenbichler e A.A. Iannucci (a
cura di), Petrarch’s Triumphs. Allegory and Spectacle, Toronto, Dovehouse, 1990, pp.
307-24, di A. Gargano, «Petrarca y el traduzidor». Note sulle traduzioni cinquecentesche dei
Trionfi, «Annali dell’Istituto Universitario Orientale, Sezione Romanza», XXXV (1993), pp.
485-98, di C. Alvar, Alvar Gómez de Guadalajara y la traducción dei Triunfo d’Amore, in J.
Paredes (a cura di) Medioevo y literatura. Actas del V Congreso de la Asociación Hispánica de
Literatura Medieval, I, Granada, Universidad de Granada, 1995, pp. 261-67, si vedano gli
studi di R. Recio, Petrarca y Alvar Gómez: la traducción del Triunfo de Amor, New York, Peter
Lang, 1996; Petrarca en la penı́nsula ibérica, Alcalá de Henares-Madrid, Universidad de
Alcalá de Henares, 1996; e la più recente edizione della traduzione di Alvar Gómez de
Ciudad Real, El «Triumpho de Amor» de Petrarca traduzido por Alvar Gómez, Barcelona, PPU,
1998. Il Cancionero general de obras nuevas, modernamente edito da A. Morel-Fatio, in
L’Espagne au XVI et au XVII siècle, Heilbronn, 1878, pp. 489-602, è stato recentemente
riproposto in volume autonomo a cura di C. Claverı́a: [Esteban de Nágera], Cancionero
general de obras nuevas (Zaragoza, 1554), Barcelona, Edicions Delstre’s, 1993.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
2
Si veda, comunque, D.L. Heiple, Garcilaso de la Vega and the Italian Renaissance,
Pennsylvania, The Pennsylvania State University Press, 1994, pp. 275-78.
3
Garcilaso de la Vega, Obra poética y textos en prosa, a c. di B. Morros, Barcelona, Crı́tica,
1995, pp. 45-46.
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PARTE TERZA
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
4
Ivi, p. 60.
5
Sulle tracce di poesia cancioneril che sopravvivono nella prima produzione di Garcilaso,
restano fondamentali le pagine di R. Lapesa, La trayectoria poética de Garcilaso (1948), ora
in Id., Garcilaso: Estudios completos, Madrid, Istmo, 1985, pp. 9-210, in part. le pp. 48-56.
6
Nell’ed. cit., la canzone occupa le pp. 72-75.
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PARTE TERZA
7
Per il riferimento a Lapesa, cfr. La trayectoria poética, cit., p. 81. La quartina petrarche-
sca è citata da F. Petrarca, Canzoniere, ed. commentata di M. Santagata, Milano, Monda-
dori, 1996, p. 1114.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
8
Per il testo dell’ode latina, cfr. ed. cit., pp. 245-51.
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PARTE TERZA
9
C. Guillén, Sátira y poética en Garcilaso (1972), ora raccolto in Id., El primer Siglo de
Oro. Estudios sobre géneros y modelos, Barcelona, Crı́tica, 1988, pp. 15-48; la cit. a p. 25.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
10
Sulla situazione letteraria, e poetica in particolare, a Napoli nei primi decenni del
Cinquecento, esiste naturalmente una vasta bibliografia, a cui non mi sembra il caso di
accennare neppure per le voci principali; mi limito, pertanto, a menzionare unicamente
l’ottima sintesi di N. De Blasi, La letteratura a Napoli nel primo Cinquecento, in A. Asor Rosa
(a cura di) Letteratura italiana. Storia e geografia, II 1, Torino, Einaudi, 1988, pp. 290-315.
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PARTE TERZA
11
Sull’ode nella letteratura spagnola nel Cinque e Seicento, oltre alla più recente
monografia di S. Pérez-Abadı́n Barro, La oda en la poesı́a española del siglo XVI, Santiago de
Compostela, Universidade de Santiago de Compostela, 1995, si veda il volume collettaneo
La oda, a cura di B. López Bueno, Sevilla, Universidad de Sevilla, 1993, dove si troverà
anche il mio contributo La oda entre Italia y España en la primera mitad del siglo XVI, da cui
estraggo e rielaboro alcuni materiali delle pagine seguenti. Lo studio è qui raccolto e
tradotto nelle pp. 157-80.
12
E.L. Rivers, Nota sobre Bernardo Tasso y el manifiesto de Boscán, in Homenaje al profesor
Antonio Vilanova, Barcelona, Universidad de Barcelona, 1989, I, pp. 601-05. Cito da p.
602.
13
Nell’edizione del Libro primo de gli amori, Venezia, Giov. Antonio Fratelli da Sabbio,
1531, la presenza dell’ode oraziana era limitata a tre soli componimenti.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
degli Amori, del 1531, Tasso, dopo aver alluso alla libertà dei poeti
classici sulla possibilità di iniziare o meno col «proemio», indugia
alquanto sulla questione più generale delle «digressioni», a proposito
delle quali scrive: «secondo l’ampia licentia poetica, [i poeti classici]
entravano in qualunque materia, et vagando n’uscivano in favole, o
‘n qualunque altra digressione a lor voglia; et ancho spesse volte
senza ritornar in essa, fornivano quello che non hanno havuto ardir
di far i Provenzali, et Toschi, et gli altri, che lor stile seguirono, li
quali a pena toccano pur le favole con una parola, o con un solo
verso»14.
Vent’anni più tardi, ritroviamo la stessa preoccupazione in una
lettera a Girolamo della Rovere; cosı̀ come, in un’altra lettera, di
poco anteriore, dirigendosi a Vincenzo Laurio, al quale aveva inviato
una sua ode, Tasso scrive un interessante passo su ciò che egli stesso
definisce «la natura e l’artificio dell’ode»: «il lirico [classico], – cosı̀
scrive – cominciata la materia principale che s’ha proposto di trat-
tare, e uscendo poi con la digressione, alle volte ritorna alla materia
principiata, alle volte finisce il suo poema nella digressione; il che si
vede in Pindaro, e in Orazio in moltissimi lochi. Questo ho voluto
ricordarvi, perché mostrandola a persone di minore giudicio, che voi
non sete, non si pensino ch’io mi sia dimenticata la strada da tornare
a casa»15.
14
«Alla Signora Ginevra Malatesta», in Libri primo de gli amori, cit., p. 8r.
15
Delle lettere di M. Bernardo Tasso, I-II, Padova, 1733: II, pp. 124-26 (la lettera è datata
6 settembre 1553).
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PARTE TERZA
16
F. Pintor, Delle Liriche di Bernardo Tasso, in «Annali della Reale Scuola Superiore di
Pisa», XIV (1900), p. 167.
17
Per il testo dell’ode garcilasiana, cfr. la citata ed. di Morros, pp. 84-91.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
— l’ode prosegue, poi, con sette strofe, alle quali il poeta affida
l’esposizione della ‘materia principale’: si tratta, in effetti,
dell’esortazione a una donna ad amare; esortazione, che il
poeta rivolge direttamente alla belle dame sans merci, la cui
identità – coperta da un sottile gioco di parole – coincide con
quella di una nobildonna napoletana, Violante Sanseverino.
La bellezza e crudeltà di lei sono all’origine della misera
condizione, a cui è stato tristemente ridotto un amico del
medesimo poeta, il cavaliere e cortigiano Mario Galeota, la
cui identità è – ancora una volta – coperta e, al tempo stesso,
rivelata da un altro raffinato e colto gioco di parole;
— di nuovo sette strofe, con cui l’ode prosegue, e che conten-
gono la ‘digressione mitologica’, introdotta però con una
funzione ben precisa: il mito negativo di Anassarete e Ifi,
difatti, è addotto con valore suasorio nei confronti della
crudele dama;
— e, in effetti, l’ode si conclude con due strofe finali, nelle quali
il poeta ritorna alla ‘materia principale’ mediante l’invoca-
zione alla nobildonna napoletana, esortandola a non seguire
l’esempio dell’eroina del mito.
La perfezione del disegno compositivo o strutturale è sı̀ indice del
genio poetico di Garcilaso, ma tale genio difficilmente avrebbe po-
tuto trovare espressione in concrete realizzazioni, se esso non si fosse
alimentato di un autentico e profondo rapporto con le fonti di poesia
volgare e neolatina, ma soprattutto con quelle classiche, come risulta
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PARTE TERZA
18
Per il testo dell’ode neolatina, ho utilizzato A. Navagero, Opera omnia, Venezia, 1754,
pp. 192-93.
19
F. Lázaro Carreter, La «Ode ad florem Gnidi» de Garcilaso de la Vega, in V. Garcı́a de la
Concha (a cura di), Actas de la IV Academia literaria renacentista. Garcilaso, Salamanca,
Universidad de Salamanca, 1986, pp. 109-26. Cito da p. 114.
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GARCILASO DE LA VEGA E LA NUOVA POESIA IN SPAGNA
20
M. Menéndez Pelayo, Horacio en España, Madrid, 1885, 2ª ed., II, pp. 13-15.
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PARTE TERZA
21
F. Rico, La tradición y el poema, in Breve biblioteca de autores españoles, Barcelona, Seix
Barral, 1990, p. 285 (tr. it., Biblioteca spagnola. Dal Cantare del Cid al Beffatore di Siviglia,
Torino, Einaudi, 1994, p. 284), dove l’illustre studioso, dopo aver ricostruito – a proposito
dell’Elegı́a primera di Garcilaso – la catena intertestuale costituita dai componimenti elegiaci
di Girolamo Fracastoro, della Consolatio ad Liviam e di Bernardo Tasso, conclude con la
dichiarazione seguente, che vorremmo far nostra, anche in relazione all’Ode ad florem Gnidi:
«l’Elegı́a primera diventa un’indagine sulla sua stessa genealogia, sulla sua posizione nella
serie letteraria; è a un tempo poesia e storia della poesia; e il genio di Garcilaso si sviluppa
nel dipanare la matassa di quella storia, in un doppio impulso di omaggio e sfida ai modelli»
(tr. it., p. 285, che però traduce erroneamente l’originale «modelos» con moderni; cfr. l’orig.
sp., p. 286).
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA
PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
1
G. Carducci, Dello svolgimento dell’ode in Italia, in «Nuova Antologia», 1902; poi in Id.,
Prose, Bologna, Zanichelli, 1905; più tardi in Id., Opere, Edizione Nazionale, XV, Bologna,
Zanichelli, 1944, pp. 3-81, in part. p. 34. Un ampio panorama dell’ode può leggersi nel
libro di C. Maddison, Apollo and the Nine. A History of the Ode, Baltimore, The Johns
Hopkins Press, 1960, che dedica singoli capitoli all’ode greca e latina, umanistica, italiana,
francese e inglese.
2
R. Rinaldi, Umanesimo e Rinascimento, in G. Bàrberi Squarotti (a cura di), Storia della
Civiltà letteraria italiana, Torino, UTET, 1990, vol. II, t. I, p. 202.
3
I testi sono raccolti in G. Carducci (a cura di), La poesia barbara nei secoli XV e XVI,
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PARTE TERZA
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
alla quarta decade del secolo – una «coyuntura europea», in cui una
generazione di poeti europei, «unidos todos por un común amor a la
poesı́a italiana»8, si sforzò di ricostituire le principali forme poetiche
classiche nelle diverse lingue nazionali. Tra i molti risultati che il
menzionato saggio raggiunge, ce n’è uno che mi è sempre parso
particolarmente valido, perché corregge finalmente una prospettiva
erronea sulla quale si era basata, in parte, la storia della poesia
europea del Rinascimento. Ciò che l’autore afferma rispetto all’epi-
stola oraziana, ossia che «la epı́stola de Boscán […] no introduce en
España ninguna “forma italiana” por la sencilla razón de que nadie
habı́a resuelto en Italia el problema de la epı́stola oraciana cuando se
publican en 1543 Las obras de Boscán y algunas de Garcilaso de la
Vega»9; quest’affermazione – ripeto – potrebbe estendersi a molti dei
generi non petrarcheschi che andavano sperimentandosi negli anni
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8
Ivi, p. 32.
9
Ivi, p. 23.
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PARTE TERZA
10
F. Erspamer, La lirica, in F. Brioschi e C. Di Girolamo (a cura di) Manuale di
letteratura italiana. Storia per generi e problemi, Torino, Bollati-Boringhieri, in corso di
stampa. [il capitolo è stato ora pubblicato nel vol. II Dal Cinquecento alla metà del Settecento,
1994, pp. 183-255, in part. p. 190]
11
C. Dionisotti, Introduzione a P. Bembo, Prose e Rime, Torino, UTET, 1966, 2ª ed., p.
49.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
12
C. Dionisotti Tradizione classica e volgarizzamenti, in Id., Geografia e storia della
letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1980, 3ª ed., pp. 174-75.
13
Si veda G. Trissino, Poetica, in B. Weinberg (a cura di), Trattati di poetica e retorica del
Cinquecento, vol. I, Bari, Laterza, 1970.
14
Sulla copia del De vulgari realizzata per il Bembo, che si trova nel ms. Vat. Reg. lat.
1370, cfr. Dante Alighieri, De vulgari eloquentia. I. Introduzione e testo, a c. di P. V.
Mengaldo, Padova, Antenore, 1968, p. CVI.
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PARTE TERZA
15
Bembo, Prose della volgar lingua (II, xi), ed. cit., p. 153.
16
Carducci, Dello svolgimento dell’ode, cit., p. 14.
17
Dedicata al papa Leone X nel 1518 e pubblicata a Roma nel 1524, la Sofonisba fu
composta tra il 1513 e il 1515. Trissino attese alla composizione dei cori a partire dal 1513.
18
G. Trissino, Sofonisba, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1959. I tre cori con
struttura triadica sono i seguenti: «Almo celeste ragio», «Lassa, ben mi credeva esser
venuto», «Amor, che ne i leggiadri alti pensieri».
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
liari dei testi classici nell’ambito della letteratura volgare; tale pro-
gramma, destinato a svilupparsi sino alla fine degli anni quaranta col
poema epico Italia liberata dai Goti, ebbe il suo momento cruciale nel
1529, anno in cui Trissino dette alle stampe nella sua città natale
una sorta di Opera omnia, «una summa teorica e pratica di testi, [che]
tende a porre il Trissino come polo globale di riferimento nel
dibattito letterario contemporaneo, e, con lui, tende ad affermare
una vocazione protagonistica di un centro veneto di forti tendenze
imperiali»19. Tra le numerose opere pubblicate nel 1529 c’erano
anche le Rime, contenenti dodici canzoni. Tre di esse c’interessano
direttamente, poiché sono, in effetti, altrettante odi pindariche. Le
prime due, «Quella virtù che del bel vostro viso» e «Per quella strada
ove il piacer mi scorge», sono di argomento amoroso, mentre la terza
è una canzone panegirica dedicata al cardinale Ridolfi20. Queste tre
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19
V. De Caprio, Roma, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia,
vol. II, L’età moderna, cit., t. I, p. 446.
20
I testi delle tre odi possono leggersi ora in G. Trissino, Rime (1529) a c. di A.
Quondam, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1981.
21
A. Quondam, Introduzione a Trissino, Rime, ed. cit., p. 20.
22
L. Alamanni, Opere Toscane, Lyon, Gryphius, 1532-33. Per gli Inni, ho utilizzato L.
Alamanni, Versi e prose, ed. a c. di P. Raffaelli, Firenze, Le Monnier, 1859, vol. II, pp.
84-111.
23
Si tratta dei due componimenti «Qual semideo, anzi qual novo Dio» e «Alma et antica
madre», pubblicati in A. Sebastiani, detto Minturno, Rime et prose, Venezia, Francesco
Rampazetto, 1559, pp. 166 e 176.
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PARTE TERZA
24
V. H. Hauvette, Luigi Alamanni (1495-1556). Sa vie et son oeuvre, Paris, Hachette,
1903, p. 228 e n.1.
25
G. Gorni, Le forme primarie del testo poetico, in Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana,
vol. III Le forme del testo, t. I Teoria e poesia, cit., p. 467.
26
P. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 114 e 300.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
27
G. Ferroni e A. Quondam, La «locuzione artificiosa». Teoria ed esperienza della lirica a
Napoli nell’età del manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, p. 304.
28
Gorni, Le forme primarie, cit., pp. 453-54.
29
G. Milan, Nota metrica, in Trissino, Rime, ed. cit., pp. 47 e 50.
30
Sull’ellenismo del Trissino, si veda C. Dionisotti, L’Italia del Trissino, in N. Pozza (a
cura di), Convegno di studi su Giangiorgio Trissino (Vicenza, 31 marzo-1 aprile 1979), Vicenza,
Accademia Olimpica, 1980, pp. 11-22, in part. pp. 17-18. Risultano ancora utili le
osservazioni di G. Toffanin, Il Cinquecento, in Storia letteraria d’Italia, Milano, Vallardi,
1941, pp. 448-53.
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PARTE TERZA
31
Martelli, Le forme poetiche italiane, cit., p. 525.
32
Ibid.
33
Minturno, L’arte poetica, Venezia, Valvassori, 1564; il passo citato può leggersi in
Ferroni-Quondam, La «locuzione artificiosa», cit., p. 69.
34
Ibid.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
35
Gorni, Le forme primarie, cit., p. 466.
36
Dionisotti, Tradizione classica e volgarizzamenti, cit., p. 161. Per l’epistola a Isabella
d’Este, si veda V. Calmeta, Prose e lettere edite e inedite, a cura di C. Grayson, Bologna,
Commissione per i testi di lingua, 1959.
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PARTE TERZA
37
Bembo, Prose e Rime, ed. cit., p. 318 n.2.
38
Per la versione citata, si veda G. Trissino, Opere, vol. I, Verona, Jacopo Vallarsi, 1729,
p. 362. Ricordo anche la versione di Benedetto Varchi dell’ode oraziana III, 13, cosı̀ come
quella di un anonimo autore del secolo XVI dell’ode IV, 13; entrambe possono leggersi in
G. Federzoni, Alcune odi d’Orazio volgarizzate nel Cinquecento, Bologna, Zanichelli, 1880,
pp. 127 e ss.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
sero alle forme metriche della poesia classica: essi «non si accontenta-
rono – scrive Mario Geymonat, nel suo breve studio sulla questione
– di applicare la metrica latina alla lingua italiana ma concepirono un
proposito più complesso: quello di fornire all’idioma toscano una
propria prosodia quantitativa»39. Non credo che sia opportuno en-
trare ora nel dettaglio delle soluzioni tecniche che questi poeti
arrivarono a proporre, in quanto finiremmo per allontanarci dal
problema. Pertanto, mi limiterò a ricordare la raccolta di Claudio
Tolomei, Versi et regole de la Nuova Poesia Toscana (1539), a cui
contribuirono molti degli Accademici romani e dove si trovano, tra
l’altro, le odi saffiche quantitative di Antonio Renieri da Colle,
Pierpaolo Gualterio e Alessandro Bovio, i quali fecero ricorso alla
strofa tetrastica di tre endecasillabi e un quinario, senza rima, con un
sistema di regole molto puntuali che aderiva allo scopo di riprodurre
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39
M. Geymonat, Osservazioni sui primi tentativi di metrica quantitativa italiana, in «Gior-
nale storico della letteratura italiana», CXLIII (1966), pp. 378-89, in part. 383.
40
Si veda W. Th. Elwert, Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, Firenze, Le
Monnier, 1989, pp. 184-85. Le odi saffiche di A. Renieri da Colle, P. P. Gualterio e A.
Bovio sono state raccolte in Carducci, La poesia barbara nei secoli XV e XVI, cit.
41
Beltrami, La metrica italiana, cit., p. 107.
42
Si veda Elwert, Versificazione, cit., p. 186; e anche R. Spongano, Nozioni ed esempi di
metrica italiana, Bologna, Pàtron, 1986, pp. 232-34, dove si troverà riprodotto il componi-
mento «Tante bellezze il cielo ha in te cosparte» di Angelo di Costanzo.
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PARTE TERZA
43
Si veda G. Cerboni Baiardi, La lirica di Bernardo Tasso, Urbino, Argalia Editore, 1966,
p. 102 n. 2. Sulle odi del Tasso nel contesto più generale del recupero dei generi poetici
classici, si veda E. Williamson, Form and Content in the Development of the Italian Renaissance
Ode, in «Publications of the Modern Language Association», LXV (1950), pp. 550-67; lo
studio è stato riprodotto dall’autore nel suo libro Bernardo Tasso, Roma, Edizioni di Storia e
letteratura, 1951, in part. le pp. 68-90; si veda anche, infine, Maddison, Apollo and the Nine,
cit., pp. 150-75.
44
Per le odi del Tasso, ho utilizzato: Libro primo de gli amori, Venezia, Giov. Antonio
Fratelli da Sabbio, 1531; Libro primo e secondo degli amori. Himni et ode. Selva. Epithalamio.
Favola di Piramo et de Thisbe. Egloghe sei. Elegie sei, Venezia, Joan. Ant. da Sabbio, 1534. Per
le tre odi aggiunte nell’edizione del ’37, ho utilizzato le Rime di m. Bernardo Tasso. Edizione
la più copiosa finora uscita colla vita nuovamente descritta dal sig. abate Pierantonio Serassi,
Bergamo, Pietro Lancellotti, 1749, 2 voll.
45
«Alla Signora Ginevra Malatesta», in Libro primo de gli amori (1531), cit., p. 7v.
46
«Al Prencipe di Salerno suo signore», in Libro primo e secondo degli amori (1534), cit., p.
2r.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
47
Ivi, p. 2v.
48
Ivi, p. 3r. Tasso raccolse lo stesso concetto in una lettera a Girolamo della Rovere,
datata 26 ottobre 1553, dove si legge: «Io cammino, Sig.mio, alcuna volta per questi sentieri
della poesia, dall’orme de’ Greci e da’ Latini scrittori segnati, i quali, al mio giudicio, mi
paiono più belli e più vaghi di quelli per li quali agli antichi Toscani è piaciuto di
camminare; giudicando (se non m’inganno) questa poesia più dilettevole, e più piena di
spirito e di vivacità, che la loro, ancor che dubiti che no debbia piacere a chi delle buone
composizioni greche e latine non avrà perfetta cognizione; per dar a divedere ad alcuni che
hanno opinione che questa nostra lingua non sia capace di tutte quelle vaghezze poetiche
delle quali è capace la greca e la latina», cfr. Delle lettere di M. Bernardo Tasso, Padova,
Giuseppe Comino, 1733 (lettera n. 38, vol. II, pp. 124-26).
49
Libro primo e secondo degli amori (1534), cit., p. 4v.
50
Delle lettere di M. Bernardo Tasso, cit., vol. II, p. 125.
51
Sulla data di queste due odi, si veda F. Pintor, Delle Liriche di Bernardo Tasso, in
«Annali della Reale Scuola Superiore di Pisa», XIV (1900), p. 168 n. 1.
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PARTE TERZA
perché non cosı̀ a’ volgari può esser lecito asconder alcuna volta ne’
versi loro la rima, et quella tra le altre parole mischiare, in maniera che
prima ella ci trapassi l’orecchie c’huom s’accorga di doverla incontra-
re53.
52
«Al Prencipe di Salerno suo signore», in Libro primo e secondo degli amori (1534), cit., p.
4r.
53
Ivi, p. 4v.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
54
Martelli, Le forme poetiche italiane, cit., p. 575.
55
Si tratta delle tre odi seguenti: «Cada dal puro cielo», «Non sempre il cielo irato», «Che
pro mi vien, ch’io t’habbia o bella Diva».
56
Martelli, Le forme poetiche italiane, cit., p. 577.
57
Delle lettere di M. Bernardo Tasso, cit., vol. II, p. 125.
58
Pintor, Delle liriche di Bernardo Tasso, cit., p. 171.
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PARTE TERZA
imitazione de’ buoni poeti greci e latini; non quanto al verso, il quale
in questa nostra italiana favella è impossibile d’imitare, ma nell’in-
venzione, nell’ordine, e nelle figure di parlare»59. E su questi tre
aspetti non sono poche, difatti, le indicazioni teoriche che è possibile
ricavare dalle diverse dediche inserite dal Tasso nelle successive
edizioni degli Amori, cosı̀ come da alcune lettere scritte agli amici.
Nelle une come nelle altre troviamo precise prese di posizione circa
le seguenti questioni: il precetto della varietà della materia poetica, il
riferimento alla materia mitologica, l’uso di comparazioni prolun-
gate, la presenza o meno del proemio, il ricorso alle digressioni e alla
relazione di esse con il tema principale. Dall’insieme di queste
riflessioni non è difficile dedurre che una delle maggiori preoccupa-
zioni del poeta fu quella riguardante la testura dell’ode o – per
meglio dire – ciò che possiamo chiamare il suo disegno strutturale,
risalente agli inizi della sperimentazione del nuovo genere. In effetti,
nella dedica a Ginevra Malatesta, dopo aver accennato alla libertà
dei poeti classici circa la possibilità di iniziare o meno il componi-
mento col «proemio», Tasso indugia sull’argomento più generale
delle «digressioni», a proposito delle quali scrive:
59
«Al duca di Savoia» (Venezia, 11 gennaio 1560), in Tasso, Rime, ed. Serassi, vol. II, p.
LXVII.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
Toschi, et gli altri, che lor stile seguirono, li quali a pena toccano pur
le favole con una parola, o con un solo verso60.
61
tornare a casa .
60
«Alla Signora Ginevra Malatesta», in Libro primo de gli amori (1531), cit., p. 8r.
61
La lettera al Laurio è del 6 settembre 1553, per cui si veda Delle lettere di M. Bernardo
Tasso, cit., vol. II, p. 123.
62
Pintor, Delle Liriche di Bernardo Tasso, cit., p. 167.
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PARTE TERZA
63
E. L. Rivers, Nota sobre Bernardo Tasso y el manifiesto de Boscán, in Homenaje al profesor
Antonio Vilanova, Barcelona, Universidad de Barcelona, 1989, vol. I, pp. 601-05. Cito dalla
p. 602.
64
E. L. Rivers, El problema de los géneros neoclásicos y la poesı́a de Garcilaso, in V. Garcı́a de
la Concha (a cura di), Actas de la IV Academia literaria renacentisca. Garcilaso, Salamanca,
Universidad de Salamanca, 1986, pp. 49-60.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
65
Il breve studio di D. Alonso, Sobre los orı́genes de la lira, pubblicato come appendice in
Poesı́a española. Ensayo de métodos y lı́mites estilı́sticos, Madrid, Gredos, 1950, è ora raccolto
in Obras completas, vol. IX, «Poesı́a española» y otros estudios, Madrid, Gredos, 1989, pp.
508-13. Cito dalla p. 510.
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PARTE TERZA
66
A. Navagero, Opera omnia, Venezia, 1754, pp. 192-93.
67
Si veda P. N. Dunn, La oda de Garcilaso «A la flor de Gnido» (1965), ora in E. L. Rivers
(a cura di), La poesı́a de Garcilaso, Barcelona, Ariel, 1981, pp. 127-62.
68
F. Lázaro Carreter, La «Ode ad florem Gnidi» de Garcilaso de la Vega, in Garcı́a de la
Concha (a cura di), Actas de la IV Academia literaria renacentista, cit., pp. 109-26.
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L’ODE TRA ITALIA E SPAGNA NELLA PRIMA METÀ DEL CINQUECENTO
«lira», al potere e alla materia di essa, e nel finale che espone il mito
di Anassarate, con eguale valore suasorio. Prescindo, naturalmente,
dalle altre fonti, cosı̀ come dal concreto adattamento di cui furono
oggetto nel testo di Garcilaso, in quanto ciò che m’interessa ora è il
suo disegno strutturale. Prendendo a prestito la terminologia del
Tasso, potremmo dire che l’ode di Garcilaso assume la seguente
configurazione: un «proemio», con il riferimento canonico al canto
stesso, introduce la «materia principale», cioè l’esortazione alla
donna, da cui prende spunto la «digressione» consistente nell’esem-
pio mitologico, per terminare, infine, col ritorno alla «materia princi-
pale» delle ultime strofe. Alla rigorosa orditura del disegno contribui-
sce in buona misura la perfetta geometria di proporzioni di ognuna
delle parti. In effetti, il proemio, che è formato da sei strofe, si divide
al suo interno in tre gruppi di due strofe ognuno, secondo la traccia
data dalle unità sintattiche: protesi, apodosi negativa e avversativa; la
materia principale si estende lungo sette strofe, alle quali corrisponde
un eguale numero di strofe nella digressione; il componimento si
chiude col ritorno al tema principale, che occupa due strofe, come le
unità del proemio. Il «precioso juguete» – secondo l’appropriata
definizione di Menéndez Pelayo –70 si rivela, tra l’altro, una risposta
ai problemi di composizione che il Tasso, negli stessi anni, era stato
il primo a sollevare e a cercare di risolvere. Le brevi osservazioni che
precedono mostrano come la confluenza dei diversi testi oraziani
69
Ivi, p. 114.
70
M. Menéndez Pelayo, Horacio en España, 1885, 2ª ed., vol. II, pp. 13-15.
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PARTE TERZA
71
Pintor, Delle Liriche di Bernardo Tasso, cit., p. 167.
72
Un esempio di ciò può vedersi nelle fini osservazioni di F. Rico, Variaciones sobre
Garcilaso y la lengua del petrarquismo, in Actas del Coloquio Interdisciplinar «Doce consideraciones
sobre el mundo hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés» (Bolonia, abril de 1976),
Roma, Publicaciones del Instituto Español de Lengua y Literatura de Roma, 1979, pp.
115-30, in part. le pp. 128-29. Per una diversa interpretazione della sesta strofa, si veda E.
M. Wilson, La estrofa sexta de la canción «A la flor de Gnido» (1952), ora in Rivers (a cura di),
La poesı́a de Garcilaso, cit., pp. 121-26, e W. M. Whitby, Transformed into What?: Garcilaso’s
Ode ad Florem Gnidi, in «Revista Canadiense de Estudios Hispánicos», XI (1986), pp.
131-43. Sull’ode di Garcilaso, in generale, oltre agli studi finora citati, si vedano: Lapesa,
La trayectoria poética, cit., pp. 146-47; A. J. Cruz, Imitación y transformación. El petrarquismo
en la poesı́a de Boscán y Garcilaso de la Vega, Amsterdam / Philadelphia, John Benjamins
Publishing, 1988, pp. 67-9; K. Reichenberger, Garcilaso Ode ad florem Gnidi, in Studia
Iberica. Festschrift für Hans Flasche, Bern / München, Francke Verlag, 1973, pp. 511-27; e,
infine, S. Pérez-Abadı́n Barro, La oda en la poesı́a española del siglo XVI, Tesi di dottorato,
Universidade de Santiago de Compostela, 1992, pp. 168-230 [la tesi è stata ora pubblicata
con lo stesso titolo dalla Universidade de Santiago de Compostela, 1995, pp. 65-94].
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L’EGLOGA A NAPOLI
TRA SANNAZARO E GARCILASO
1
R. Lapesa, La trayectoria poética de Garcilaso (1948), ora raccolto in Id., Garcilaso:
Estudios completos, Madrid, Istmo, 1985, pp. 96-116. Cito dalla p. 96.
2
C. Vecce, L’egloga Melisaeus di Giano Anisio tra Pontano e Sannazaro, in S. Carrai (a
cura di), La poesia pastorale nel Rinascimento, Padova, Antenore, 1998, pp. 213-34. Cito
dalla p. 213.
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PARTE TERZA
II. Poiché Garcilaso arriva a Napoli tra l’estate e l’autunno del ’32,
risulta che, nell’ipotesi del maestro spagnolo, l’egloga in questione
dovette essere composta tra la seconda metà del ’33 e i primi mesi
dell’anno seguente. A quell’epoca, l’egloga a Napoli contava già su
una lunga storia, che potremmo far cominciare nell’aprile del 1468,
quando il senese Iacopo Fiorino de’ Boninsegni inviò le sue quattro
egloghe, da poco composte, ad Alfonso, duca di Calabria e primoge-
nito del re Ferrante di Napoli3. Qualche tempo dopo, già nel corso
degli anni settanta, un gruppo di poeti napoletani debuttava nel
genere per essi nuovo, contribuendo cosı̀, con le proprie opere, a
generare quell’«epidemia bucolica», che si protrasse negli ultimi due
o tre decenni del secolo XV, nelle corti settentrionali come nel sud
della penisola. Va senza dire che nelle loro egloghe, risultava ampia-
mente operante la lezione senese e fiorentina, a partire dalla quale,
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3
Sulle relazioni politiche e culturali tra le città di Siena e di Napoli e, in particolare,
sull’influenza senese come fattore che favorı̀ l’introduzione del genere bucolico tra i letterati
della città partenopea, si vedano: E. Carrara, La poesia pastorale, Milano, Vallardi, [1909],
pp. 170-80, 187, 202, dove leggiamo: «Pare che ai Senesi spetti il diritto di privativa
nell’introdurre il bucolismo in Napoli»; M. Corti, Le tre redazioni della «Pastorale» di P. J. De
Jennaro con un excursus sulle tre redazioni dell’«Arcadia», in «Giornale storico della letteratura
italiana», CXXXI (1954), pp. 305-51, in part. pp. 316, 340, 345; C. Dionisotti, Jacopo
Tolomei fra umanisti e rimatori, in «Italia Medievale e Umanistica», VI (1963), pp. 137-76, in
part. pp. 173-76. Su Siena e la sua produzione bucolica, in particolare, sull’episodio
dell’invio delle quattro egloghe di Boninsegni a Alfonso, si veda S. Fornasiero, Presenze (e
assenze) della bucolica senese, in Carrai (a cura di), La poesia pastorale, cit., pp. 57-72, in part.
p. 58.
4
Il processo risulta cosı̀ sintetizzato dalla Corti: «In Italia, a parte il filone dell’egloga
allegorica trecentesca e del romanzo allegorico-didattico (Ameto), e qualche sporadico
esempio di egloga della prima metà del Quattrocento (Giusto de’ Conti, L. B. Alberti), in
realtà solo a partire dal decennio 1460-70 [...] l’indirizzo bucolico assume la fisionomia di
una corrente letteraria che da Siena e da Firenze si diffonderà nei centri culturali del Nord e
del Sud, sino a trasformarsi, come testimonia la tradizione manoscritta, in una sorta di
epidemia bucolica», in Il codice bucolico e l’«Arcadia» di Jacobo Sannazaro (1968), raccolto in
Metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 283-304; cito dalla p. 287. In effetti, questo
quadro risulta parzialmente modificato dagli studi e ricerche degli ultimi anni, grazie ai
quali la produzione dell’«inventore del genere in volgare», il senese Francesco Arzocchi,
deve anticiparsi alle prime decadi del secolo XV, finendo cosı̀ per coincidere, cronologica-
mente, con le opere bucoliche di Giusto e dell’Alberti; cosı̀ come alcuni episodi che
risalgono a un periodo anteriore agli anni ’60 testimoniano che le quattro egloghe dell’Ar-
zocchi godettero di una relativa circolazione manoscritta e perfino di imitazioni, per cui si
vedano almeno: S. Fornasiero, Introduzione a F. Arzocchi, Egloghe, Bologna, Commissione
per i testi di lingua, 1995, pp. LV-LXXVIII; F. Brambilla Ageno, La prima ecloga di
Francesco Arsochi e un’imitazione di Giovan Francesco Suardi, in «Giornale storico della
letteratura italiana», XCIII (1976), pp. 523-48. Per quanto riguarda Napoli, la moda
bucolica fu introdotta dal patrizio romano, Giuliano Perleoni, che, nel 1474, si rifugiò nella
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
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PARTE TERZA
7
«L’idea che gli sdruccioli in rima siano connotatori non equivoci del territorio formale
della poesia bucolica» (Fornasiero, Presenze (e assenze), cit., p. 69), si andrà affermando a
partire dalle inserzioni bucoliche nel Driadeo e nelle Pistole di Luca Pulci (Fornasiero,
Introduzione a Arzocchi, Egloghe, ed. cit., pp. XXVIII-XXXIII); una sintesi sulle relazioni
dei fratelli Pulci con la poesia bucolica si trova in S. Carrai, La lirica toscana nell’età di
Lorenzo, in M. Santagata e S. Carrai (a cura di), La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento,
Milano, Franco Angeli, 1993, pp. 104-06), e più per esteso, in S. Carrai, Alle origini della
bucolica rinascimentale: Lorenzo e l’umanesimo dei fratelli Pulci, in Id., I precetti di Parnaso.
Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 113-28. Un
precedente della specializzazione degli sdruccioli per l’egloga è costituito dalla «continua-
zione» di Giovan Francesco Suardi (si veda Brambilla Ageno, La prima ecloga, cit.). Per gli
aspetti formali e la metrica, soprattutto, dell’egloga quattrocentesca, è imprescindibile lo
studio di D. De Robertis, L’ecloga volgare come segno di contraddizione, in «Metrica», II
(1981), pp. 61-80.
8
Cfr. M. Corti, Rivoluzione e reazione stilistica nel Sannazaro (1968), raccolto in Metodi e
fantasmi, cit., pp. 307-23; cito dalla p. 310. Sulla questione, si veda anche Carrara, La
poesia pastorale, cit., pp. 170 ss.
9
Corti, Il codice bucolico, cit., p. 288. Sulla bucolica allegorico-politica in epoca soprat-
tutto medievale, è utile il panorama di H. Cooper, Pastoral. Medieval into Renaissance,
Ipswich-Totowa, D. S. Brewer-Rowman & Littlefield, 1977.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
10
L’espressione riprodotta nel testo si legge nella prosa VII, 32, in occasione della
risposta di Carino a Sincero: «E sı́ come insino qui i principı̂ de la tua adolescenzia hai tra
semplici e boscarecci canti di pastori infruttuosamente dispesi...» (J. Sannazaro, Arcadia, a
c. di F. Ersparmer, Milano, Mursia, 1990, p. 124). La ritroviamo nell’epistola dedicatoria
di Pietro Summonte «Al Rev. Ill. Signor Cardinale di Aragona»: «essendo ella [l’opera] stata
composta son già molti anni e ne la prima adolescenzia del poeta» (ed. cit., p. 50).
Sull’espressione si vedano le precisazioni di G. Villani, Arcadia, in Letteratura italiana. Le
opere I. Dalle origini al Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992, pp. 869-87, in part. pp. 870-71.
Essendo nato nel 1457 (cfr. M. Corti, Ma quando è nato Jacobo Sannazaro?, in G.
Aquilecchia, S. N. Cristea, S. Ralphs (a cura di), Collected essays on Italian language &
literature presented to Katleen Speight, Manchester, Univ. Press Barnes & Noble Inc., 1971,
pp. 45-53), Sannazaro dovette comporre le sue prime egloghe sciolte tra la fine degli anni
sessanta e l’inizio della decade seguente; a favore della collocazione cronologica più precoce
sembra inclinarsi G. Velli: «il Sannazaro ha esordito sul terreno bucolico molto presto, sui
vent’anni, e con pezzi poetici isolati» (Sannazaro e le «Partheniae Myricae»: forma e significato
dell’«Arcadia», in Id., Tra lettura e creazione. Sannazaro-Alfieri-Foscolo, Padova, Antenore,
1983, pp. 1-56; cito dalla p. 32). A Sannazaro, oltre alle tre egloghe sciolte poi confluite
nell’Arcadia, Velli attribuisce anche l’egloga Alfanio e Cicaro, trasmessa da alcuni settori
della tradizione insieme all’Arcadia (si veda lo studio menzionato, pp. 20-32).
11
Se si considera che le egloghe sciolte di Sannazaro sono posteriori a quella di Rustico
Romano, Che fai, Thelemo, in questa riva strania, che – al massimo – risale al 1477 (si veda
E. Saccone, L’Arcadia: storia e delineamento di una struttura, raccolto in Id., Il «soggetto» del
furioso e altri saggi tra Quattro e Cinquecento, Napoli, Liguori, 1974, pp. 9-64, in part. le pp.
21-24), la questione della relazione cronologica con le più antiche egloghe della Pastorale di
De Jennaro sembra presentarsi ancora problematica, dal momento che l’influenza di
quest’ultimo sulle egloghe più antiche dell’Arcadia (I, II y VI), che pareva doversi conside-
rare un fatto acquisito, grazie ai lavori della Corti (Le tre redazioni, cit.; Rivoluzione e reazione
stilistica, cit., p. 314), è stata messa in dubbio da Velli, Sannazaro e le «Partheniae Myricae»,
cit., p. 33.
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PARTE TERZA
12
La prima redazione del prosimetro dovette essere terminata nel 1484 «o poco più
oltre», secondo la testimonianza di Niccolò Liburnio, sul quale ha richiamato l’attenzione
per primo C. Dionisotti, Niccolò Liburnio e la letteratura cortigiana, in «Lettere italiane», XIV
(1962), pp. 57-58, e che è stata poi ripresa anche da Velli, Sannazaro e le «Partheniae
Myricae», cit., pp. 14-15. Tuttavia, si veda ora il cap. III, Il Libro intitulato Archadio:
un’ipotesi di datazione, di M. Riccucci, Il Neghittoso e il Fier Connubbio: Storia e filologia
nell’Arcadia di Jacopo Sannazaro, Napoli, Liguori, 2001, pp. 161-204, dove si legge: «una
serie di indizi induce a credere che il libro Archadio abbia cominciato a prendere forma nel
1482-83 e che sia stato presentato alla Duchessa di Calabria a distanza di pochissimo
tempo, se non addirittura a ridosso della composizione della decima egloga: quando ancora
non era stata firmata la pace tra Innocenzo VIII e Ferrante (11 agosto 1486) e dunque tra il
14 gennaio e l’11 agosto dell’anno 1486» (p. 165).
13
Secondo la Corti, «l’attività correttoria iniziò nel periodo di relativa tranquillità seguito
in Napoli alla restaurazione aragonese, cioè dopo il 1496» (Il codice bucolico, cit., p. 312). La
proposta del periodo 1491-1495 risale a E. Carrara, Sulla composizione dell’«Arcadia», in
«Bullettino della Società filologica romana», VIII (1906), pp. 27-48; e, più recentemente, è
stata ripresa da Velli, Sannazaro e le «Partheniae Myricae», cit., pp. 33-41.
14
Corti, Rivoluzione e reazione, cit., p. 311.
15
Per i processi redazionali, con ampie illustrazioni relative alla struttura del testo cosı̀
come alla sua lingua e stile, risultano fondamentali i menzionati studi della Corti: Le tre
redazioni, Il codice bucolico, Rivoluzione e reazione; a cui si aggiunga L’impasto linguistico
dell’«Arcadia» alla luce della tradizione manoscritta, in «Studi di Filologia italiana», XXII
(1964), pp. 587-619. Un quadro del processo redazionale globale offre il più recente
volume di G. Villani, Per l’edizione dell’«Arcadia» del Sannazaro, Roma, Salerno, 1989; dello
stesso autore si veda anche l’utile e documentata sintesi in Arcadia, cit., pp. 869-72.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
16
Ampia informazione sulle edizioni cinquecentesche dell’opera di Sannazaro, il lettore
troverà in Villani, Per l’edizione dell’«Arcadia», cit., e nella «Nota sul testo» di A. Mauro nella
sua edizione di J. Sannazaro, Opere Volgari, Bari, Laterza, 1961, pp. 415-35.
17
Saccone, L’Arcadia: storia e delineamento, cit., p. 38.
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PARTE TERZA
18
Velli, Sannazaro e le «Partheniae Myricae», cit., p. 52 n. 36. Per una lettura «politica», si
veda, invece, M. Santagata, L’alternativa ‘arcadica’ del Sannazaro, in La lirica aragonese, cit.,
pp. 342-74. Nella stessa linea, M. Riccucci, Jacopo Sannazaro e la scelta del genere bucolico, in
G. D’Agostino e G. Buffardi (a cura di), Atti del XVI Congresso Internazionale di Storia della
Corona d’Aragona (Napoli, 1997), Napoli, Paparo Edizioni, 2000, vol. II, pp. 1575-602, e,
con maggiore estensione, il più recente libro di Ead., Il Neghittoso e il Fier Connubio, cit.
19
Sannazaro, Arcadia, pr. X 17-18, p. 169 dell’ed. cit.
20
Saccone, L’Arcadia: storia e delineamento, cit., p. 15.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
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PARTE TERZA
21
De Robertis, L’ecloga volgare, cit., dove il lettore troverà un’esposizione fondamentale
della relazione tre le varie soluzioni metriche delle egloghe dell’Arcadia e la tradizione che le
presuppone, in part. pp. 62-66; la citazione è dalla p. 62.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
22
Per la prima redazione dell’Arcadia bisogna ricorrere ancora a «Arcadia» di Jacopo
Sannazaro secondo i manoscritti e le antiche stampe, a c. di M. Scherillo, Torino, Loescher,
1888. Per l’esempio addotto, si veda anche Corti, Rivoluzione e reazione stilistica, cit., pp.
319-20 e Saccone, L’Arcadia, storia e delineamento, cit., p. 29, dove si troveranno i
riferimenti esatti al Canzoniere petrarchesco (CLXV, 8-9, 13; CCVII, 40-44).
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PARTE TERZA
23
A favore di una contraddizione tra la prima e la seconda parte dell’Arcadia si era già
pronunciato Carrara, La poesia pastorale, cit., p. 193. È stata, tuttavia, la Corti che,
nell’apportare il massimo contributo alla conoscenza del processo redazionale dell’Arcadia,
ha sottolineato lo sviluppo narrativo che l’opera riceve nella seconda parte, concludendo il
suo studio su Il codice bucolico, cit., con l’affermazione secondo la quale «nella seconda
Arcadia la crisi del sistema delle fonti coincide con la crisi della struttura dell’opera. [...] Il
solo livello unitario della seconda redazione è in certa misura il linguistico» (p. 304).
All’individuazione di una struttura coerente dell’opera sono tesi gli sforzi di due studiosi,
autori di altrettanti lavori importanti sull’Arcadia, sebbene raggiungano risultati distinti in
relazione soprattutto al valore che l’autore assegna alla poesia bucolica: Saccone, L’Arcadia:
storia e delineamento, cit., e F. Tateo, La crisi culturale di Jacopo Sannazaro, in Id., Tradizione
e realtà nell’Umanesimo italiano, Bari, Dedalo, 1974, pp. 11-109, in part. pp. 11-70. Alla
struttura globale dell’opera e alla ricostruzione del suo ordinato equilibrio interno sono
dedicate le pagine finali dello studio di Velli, Sannazaro e le «Partheniae Myricae», cit., pp.
42-56.
24
Velli, Sannazaro e le «Partheniae Myricae», cit., p. 44.
25
Sannazaro, Arcadia, pr. VI 4; ed. cit., p. 107.
26
Ivi, pr. XII 48; ed. cit., p. 222.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
è davvero un’impresa troppo ardua per essere tentata nel poco tempo
che rimane, e che vorrei invece impiegare per tornare all’aspetto es-
senziale della definizione e delimitazione della bucolica, come la
concepı̀ e concretamente realizzò Sannazaro; un aspetto che – come
si vedrà – ci farà da ponte verso le egloghe di Garcilaso. Ma, prima di
entrare in quest’ultima impegnativa questione, concediamoci non
più di una rapida occhiata sulle sorti del genere bucolico a Napoli,
nel trentennio circa che separa l’edizione summontina dell’Arcadia
dal primo esperimento bucolico di Garcilaso.
Ebbene, nel periodo che ora c’interessa, nonostante il momento
di massima fortuna del genere e la supremazia di Sannazaro, a
Napoli la bucolica scomparve. È vero che, nel 1508, poco dopo la
morte dell’autore, si pubblicò la Pastorale di Pietro De Jennaro, ma
l’opera era il frutto di una stagione superata della bucolica. Non si
verificò lo stesso fuori di Napoli, dove si produssero alcune significa-
tive novità, come quella metrica: qui, difatti, l’egloga prese la strada
dell’endecasillabo sciolto che, dopo l’esempio dell’Alemanni subito
seguito dal Trissino, finı̀ per imporsi in sostituzione della terza rima.
In cambio, a Napoli, nei primi tre decenni del secolo, l’egloga fu solo
latina: in ciò poeti come Egidio da Viterbo, Pomponio Gaurico,
Girolamo Angeriano e Giano Anisio seguirono, in sostanza, l’esem-
pio dello stesso Sannazaro che, di ritorno dall’esilio francese nella
primavera del 1505, portava a cinque le Eclogae piscatoriae, lasciando
incompiuto un frammento della sesta27. Bisognerà attendere la
27
Cfr. Vecce, L’egloga Melisaeus, cit., pp. 213-16.
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PARTE TERZA
quarta decade del secolo per assistere a Napoli alla rinascita dell’e-
gloga in volgare. In non più di un lustro, un gruppo di poeti, tutti – o
quasi – amici di Garcilaso, ne promosse il risveglio: all’inizio della
decade dovrebbe, infatti, risalire I due pellegrini di Tansillo; tra il ’31
e il ’34, Tasso compose la sezione delle sette egloghe che provvide a
pubblicare nella seconda edizione degli Amori; nel ’33, Bernardino
Rota componeva ben 13 egloghe piscatorie, che furono stampate
molti anni dopo; al ’35, infine, risalgono le tre egloghe di Antonio
Minturno, con le quali fu introdotta a Napoli la novità metrica del
genere, che ho appena ricordato28.
Alla fine e – direi – al culmine di questo percorso napoletano,
ritroviamo Garcilaso. Non sorprende che giunto a Napoli nel ’32, in
un contesto culturale e poetico che vantava una tradizione egloghi-
stica da più di mezzo secolo – a partire da quell’episodio dell’ormai
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28
Sullo sviluppo dell’egloga cinquecentesca risulta ancora utile Carrara, La poesia pasto-
rale, cit., pp. 383 ss. I due pellegrini di Tansillo è accesibile solo nella vecchia edizione
contenuta in L’egloga e i poemetti, a c. di F. Flamini, Napoli, Biblioteca napoletana di storia
e letteratura, 1893, pp. 1-46. Su questo componimento possono leggersi le pagine di F.
Tateo, Giardino principesco e Paradiso biblico, in Chierici e feudatari del Mezzogiorno, Roma-
Bari, Laterza, 1984, pp. 115-43, in part. pp. 120-25. Per le egloghe di Tasso e di Rota, si
vedano ora: B. Tasso, Rime, a c. di D. Chiodo, Torino, Res, 1995, vol. I, pp. 261-87; B.
Rota, Egloghe piscatorie, Torino, Res, 1990. Infine, per quanto riguarda i componimenti
bucolici di Alamanni e Trissino, si può ricorrere a: L. Alamanni, Versi e prose, a c. di P.
Raffaelli, Firenze, Le Monnier, 1859, 2 voll.; G. Trissino, Rime 1529, a c. di A. Quondam,
Vicenza, Neri Pozza, 1981.
29
Per il testo del sonetto Illustre honor del nombre de Cardona, si veda Garcilaso de la Vega,
Obra poética y textos en prosa, a c. di B. Morros, Barcelona, Crı́tica, 1995, pp. 45-46. Su di
esso, si veda anche il breve commento di D. L. Heiple, Garcilaso de la Vega and the Italian
Renaissance, Pennsylvania, The Pennsylvania State University Press, 1994, pp. 275-77, e le
mie fugaci osservazioni in Garcilaso de la Vega e la nuova poesia in Spagna, dal retaggio
cancioneril ai modelli classici, in U. Criscuolo (a cura di), Mnemosynon. Studi di letteratura e di
umanità in memoria di Donato Gagliardi, Napoli, Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
Classica «Francesco Arnaldi» dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2001, pp.
267-82 [ora raccolto in questo volume, pp. 141-56].
30
Considerata da Lapesa «la mina más explotada» da Garcilaso nella sua seconda egloga
(La trayectoria, cit., p. 107), all’Arcadia e alle sue relazioni con il componimento di Garcilaso
sono dedicate molte delle pagine del libro di I. Azar, Discurso retórico y mundo pastoral en la
«Egloga segunda» de Garcilaso, Amsterdam, John Benjamins, 1981, pp. 84-119, cosı̀ come le
puntuali note, a pie di pagina e complementari, di B. Morros nella sua citata edizione di
Garcilaso de la Vega, Obra poética y textos en prosa, pp. 141 ss.
31
Lapesa, La trayectoria, cit., p. 115, per la «disposición notablemente simétrica», si
vedano le pp. 98-100. Al carattere eterogeneo dell’egloga, sul quale si era già pronunciato
per primo Herrera (Garcilaso de la Vega y sus comentaristas, a c. di A. Gallego Morell,
Madrid, Gredos, 1972, p. 501, H-503), e ai vari tentativi di ricomporre la sua unità di
costruzione e di significato è dedicata la maggior parte dei contributi critici sul componi-
mento, tra i quali si vedano almeno: A. Lumsden, Problems connected with the Second Eclogue
of Garcilaso de la Vega, in «Hispanic Review», XV (1947), pp. 251-71; M. Arce de Vázquez,
La Egloga segunda de Garcilaso, in «Asomante», V (1949), n˚ 1, pp. 57-73 e n˚ 2, pp. 60-78;
I. Macdonald, La Egloga II de Garcilaso (1950), raccolto in E. L. Rivers (a cura di), La
poesı́a de Garcilaso, Barcelona, Ariel, 1974, pp. 209-35; R. O. Jones, The Idea of Love in
Garcilaso’s Second Eclogue, in «Modern Language Review», XLVI (1951), pp. 388-95; P. M.
Komanecky, Epic and Pastoral in Garcilaso’s Eclogues, in «Modern Language Notes»,
LXXXVI (1971), pp. 154-66; E. L. Rivers, Nymphs, Shepherd and Heroes: Garcilaso’s Second
Eclogue, in «Philological Quarterly», LI (1972), pp. 123-34; P. Waley, Garcilaso’s Second
Eclogue is a Play, in «Modern Language Review», LXXII (1977), pp. 585-96; I. Azar,
Discurso retórico, cit., in part. il cap. La estructura retórica de la Egloga segunda, pp. 120-39;
D. Fernández–Morera, The Lyre and the Oaten Flute: Garcilaso and the Pastoral, London,
Tamesis, 1982, pp. 54-72; S. Zimic, Las églogas de Garcilaso de la Vega: ensayos de
interpretación, in «Boletı́n de la Biblioteca de Menéndez Pelayo», LXIV (1988), pp. 5-107, in
part. le pp. 35-78; A. Ramajo Caño, Para la filiación literaria de la Egloga II de Garcilaso, in
«Revista de Literatura», LVIII (1996), pp. 27-45; M. A. Wyszynski, Friendship in Garcilaso’s
Second Ecloghe: Thematic Unity and Philosoplical Inquiry, in «Hispanic Review», LXVIII
(2000), pp. 397-414; A. Garcı́a Galiano, Relectura de la Égloga II, in «Revista de Literatura»,
LXII (2000), pp. 19-40.
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PARTE TERZA
traccia a grandi linee una storia della poesia pastorale, dalle mitiche
origini del «selvatico idio» Pan sino al «mantuano Titiro» – Virgilio –,
passando per il «pastore siracusano», ossia Teocrito. Lo spazio mag-
giore di tale storia è dedicato, naturalmente, al poeta latino, a
proposito del quale ho già accennato alla lettura tendenziosa che
Sannazaro compie delle sue egloghe. Ma poiché non tutte le celebri
composizioni del mantovano potevano essere lette in chiave lirico-
amorosa, Sannazaro fu costretto a far dire a Enareto che il manto-
vano
non contentandosi di sı́ umile suono, vi cangiò quella canna che voi
ora vi vedete più grossa e più che le altre nova, per poter meglio
cantare le cose maggiori e fare le selve degne degli altissimi consuli di
Roma33.
32
Fernández-Morera, The Lyre and the Oaten Flute, cit., pp. 63-64. Naturalmente non si
mette in dubbio la diffusione nella letteratura neolatina come in quella in volgare dell’egloga
di tema celebrativo e encomiastico, o di quella che combina, in varie forme e misure, il tema
amoroso con quello encomiastico. Ma, una volta accettata la conclusione dello stesso
Fernández-Morera, secondo la quale «we can accept the “hybridism” of Garcilaso’s work as
intentional, justified by the tradition of the form» (p. 65), credo che gli autori menzionati
dallo studioso non risultano granché utili a comprendere il senso di un componimento
come l’egloga seconda, e neppure a precisare l’elaborazione concettuale relativa alla
bucolica che guida il toledano nel suo primo esperimento del genere. Per un ampio
panorama dell’egloga neolatina, celebrativa e panegirica, si vedano i capp. X e XI di W. L.
Grant, Literature and the Pastoral, Chapel Hill, University of North Carolina Press, pp.
290-330 e 331-70, rispettivamente. Le egloghe latine di M. M. Boiardo possono ora leg-
gersi in Pastoralia, a c. di S. Carrai, Padova, Antenore, 1996; mentre per l’opera bucolica di
Castiglione e Gonzaga, si veda lo studio e l’edizione di C. Vela, Il Tirsi di Baltassar
Castiglione e Cesare Gonzaga, in Carrai (a cura di), La poesia pastorale, cit., pp. 245-92.
33
Sannazaro, Arcadia, pr. X 19, ed. cit., p. 170.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
tempi sono già stati pastori sı́ audaci che insino a le orecchie de’
romani consuli han sospinto il loro stile»35, rimarcherà senza esitare
che diversa è la destinazione che egli reclama per la sua sampogna,
esortandola a non seguire quell’esempio, perché: «A te – dice – non ti
appartiene andar cercando gli alti palagi de’ prencipi né le superbe
piazze de le populose città»36. Il suo luogo sarà, invece, quello
appartato, lontano dagli aristocratici palazzi e dalla affollata città: «da
37
boschi e da luoghi a te convienti non ti diparte» . Si tratta di un
punto estremamente delicato, in cui si riflette – a mio parere – un
nodo non del tutto risolto della concezione della bucolica di Sanna-
zaro, il quale – nell’Arcadia – approva e nega al tempo stesso il
modello virgiliano. Da un lato, difatti, lo accoglie, fino a darne la
lettura tendenziosa che sappiamo, e – d’altro lato – sembra rifiutarlo,
denunziandone il fuorviamento dai connaturali monti e selve verso i
meno propizi palazzi principeschi delle città38.
34
Per l’espressione di civile carmen, si vedano i versi di Giovanni del Virgilio: «... Si cantat
oves et Tityrus hircos/aut armenta trahit, quianam civile canebas/urbe sedens carmen...»
(Johannes de Virgilio Danti Alagherii Egloga responsiva, vv. 26-28, in Dante Alighieri, Opere
minori, tomo II: De vulgari eloquentia, Monarchia, Epistole, Egloge, Questio de aqua et terre, a c.
di P. V. Mengaldo et alii, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1979, pp. 674-76).
35
Sannazaro, Arcadia, «A la sampogna», ed. cit., p. 241.
36
Ivi, p. 239.
37
Ivi, p. 240.
38
Tateo ha messo in evidenza che «la soluzione del romanzo [l’Arcadia] [...] include
anche un’intenzione di carattere “letterario” nel proposito di mutare “genere”» (La crisi
culturale, cit., p. 58). In effetti, nella disgrazia della morte prematura della giovane amata, lo
studioso ha visto «il simbolo narrativo della morte della poesia bucolica» (p. 37), il cui
superamento risulta evidente nell’aggiunta delle due parti della redazione finale, dove
Sannazaro «si cimentò col tema dei giochi funebri, un tema proveniente dall’Eneide, e con
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PARTE TERZA
Credo che, nel concepire l’egloga II, Garcilaso non rimase indif-
ferente al nodo rimasto insoluto nell’opera, che senza dubbio dovette
impressionarlo molto per la sua qualità di libro strutturato non meno
che per i concreti risultati delle singole composizioni. Si trattava,
pertanto, di trovare una soluzione che, saldando i fili sciolti della
bucolica classica e volgare, fosse capace di restituire l’integrale le-
zione virgiliana (paulo maiora canamus), e di garantire al tempo stesso
la fedeltà al nuovo modello pastorale offerto dall’Arcadia. In altri
termini, l’operazione difficile e rischiosa che Garcilaso mise in pra-
tica nell’egloga II, consisteva nel tentativo d’integrare in un’unica
composizione, organica – almeno nelle intenzioni –, la dolorosa
materia amorosa, a cui Sannazaro aveva circoscritto il genere buco-
lico, e il canto delle «cose maggiori», a cui aveva dato voce Virgilio in
alcune delle sue egloghe. Orbene, Garcilaso non si limitò ad acco-
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quello del viaggio sotterraneo di Sincero, in cui rivive il mito conclusivo delle Georgiche» (p.
39). Il tema è stato trattato fugacemente da W. J. Kennedy, Jacopo Sannazaro and the Uses
of Pastoral, Hannover-London, University Press of New England, 1983, pp. 104-07 e
147-48. Per una diversa posizione sulla questione, si veda lo studio più volte citato di
Saccone, in part. p. 63.
39
Sannazaro, Arcadia, pr. VII. 30, ed. cit., p. 123.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
Dunque, sventurata, piagni; piagni, che ne hai ben ragione. [...] Né
restar mai di piagnere e di lagnarte de le tue crudelissime disventure
per circoscrivere, inoltre, il suo stile nei confronti dei generi alti:
40
Ivi. p. 124. Sul passo citato si vedano le osservazioni di Tateo, La crisi culturale, cit., pp.
30-32, dove coerentemente con la sua interpretazione lo studioso sottolinea il «proposito del
poeta di abbandonare l’esperienza bucolica dell’adolescenza per un’esperienza addirittura
epica (le “trombe di poeti chiarissimi”)», p. 30. Per alcune precisazioni sulle relazione tra
«sampogna» e «buccina» o «tromba», si veda Saccone, L’Arcadia: storia e delineamento, cit., p.
38 n. 37.
41
Sannazaro, Arcadia, «A la sampogna», ed. cit., p. 240.
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PARTE TERZA
42
Ivi. pp. 239 e 241, rispettivamente.
43
Mi riferisco ai vv. 1146-1153, a proposito dei quali E. Mele rimandò al passo di
Arcadia, pr. X. 58-60 (In margine alle poesie di Garcilaso, in «Bulletin Hispanique», XXXII
(1930), p. 225). Per una più ampia trattazione, si veda la ‘nota complementaria’ di Morros,
ed. cit., pp. 500-01.
44
In effetti, come ha notato Ramajo Caño: «Parece como si Garcilaso quisiera tratar, en
un poema bucólico, de asuntos más altos», specificando che «si Virgilio [egl. IV] va a contar
la llegada de una nueva edad de oro ante el nacimiento de un señalado niño, Garcilaso
también parece vaticinarnos una época de gloria gracias al nuevo tiempo histórico marcado
por la hazañas de un nuevo César, el emperador Carlos, eficazmente asistido por el Duque
de Alba» (La filiación literaria, cit., pp. 33-34).
45
È la conclusione di Saccone nel suo studio L’Arcadia: storia e delineamento, cit., p. 62.
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L’EGLOGA A NAPOLI TRA SANNAZARO E GARCILASO
46
Sannazaro, Arcadia, «A la sampogna», ed. cit., pp. 238 e 240, rispettivamente.
47
Su «la “visión” de una reconciliación ética, intelectural, artı́stica de lo diverso» (p. 137),
a proposito del canto di Nemoroso, conclude la sua monografia Azar, Discurso retórico, cit.,
la quale continua sottolineando la positiva prospettiva avvenire «El futuro significa ahora la
cesación de la desdicha y del conflicto, el desenlace de la historia, la certeza del orden y,
también, el final del poema».
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS
E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
(GARCILASO, CETINA, ACUÑA)
1. Erano già passati più di dieci anni dalla gloriosa battaglia di Pavia
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1
B. Martirano, Il pianto d’Aretusa, a c. di T. R. Toscano, Napoli, Loffredo, 1993, p. 87,
ottave 117-9. Sulla data e le vicende di composizione del poemetto, si veda l’esauriente In-
troduzione del curatore, pp. 7-49, in part. le pp. 17-23.
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PARTE TERZA
la sua voce al vasto coro di letterati italiani che nelle loro opere
celebrarono le virtù del giovane marchese, il quale – com’è noto –
alla fama delle vittorie militari, per cui a soli 26 anni meritò la
nomina a comandante generale delle truppe imperiali, unı̀ la rino-
manza delle prove poetiche: prima a Napoli, sotto l’amorevole e
severa guida di Vittoria Colonna, e poi a Milano, dove la responsabi-
lità del governo cittadino non gli impedı̀ di organizzare un impor-
tante cenacolo culturale né di tessere una fitta rete di relazioni con
numerosi intellettuali e artisti. Valore militare e abilità poetiche: la
«doppia gloria» a cui alluse il milanese Giovanni Vendramini in un
sonetto dedicato al marchese2, ricorrono costantemente nelle apolo-
gie letterarie di Alfonso, nel quale finiva cosı̀ per contemplarsi «l’au-
lico modello del soldato-cortigiano», come ha osservato Gabriele
Morelli nell’intelligente e documentato contributo rivolto a illustrare
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2
Sul sonetto del Vendramini, pubblicato nelle Rime di diversi e illustri signori napoletani, e
d’altri nobiliss. ingegni. Nuovamente raccolto, et con nuova additione ristampate. Libro quinto, in
Vinegia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari e fratelli, 1552 (già uscito come Terzo libro
nello stesso anno, e ristampato come Libro quinto nel 1555, sempre con differenze), cfr. S.
Albonico, Il ruginoso stile. Poeti e poesia in volgare a Milano nella prima metà del Cinquecento,
Milano, Franco Angeli, 1990, p. 251 n. 132. Sul Vendramini, ivi, pp. 310-21 e passim.
3
G. Morelli, Esperienze letterarie di Alfonso d’Avalos governatore di Milano, in G. Caravaggi
(a cura di), «Cancioneros» spagnoli a Milano, Firenze, La Nuova Italia, 1989, pp. 233-59,
dove l’autore – in Appendice – pubblica nove liriche inedite del D’Avalos, provenienti dal
Ms. XIII. D.22 della Biblioteca Nazionale di Napoli. Sulla «vasta documentazione agiogra-
fica riunita nel manoscritto napoletano», cfr. p. 236 nota 8. La mia citazione nel testo si
trova a p. 235.
4
Indico, di seguito, la serie dei nove sonetti, relegandone in appendice i testi, di cui il
lettore potrà comodamente avvalersi nel corso dell’analisi contenuta nei successivi paragrafi,
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
nei quali i riferimenti testuali saranno limitati allo stretto necessario: Garcilaso de la Vega,
Cları́simo marqués, en quien derrata; Gutierre de Cetina, Aquella luz que de la gloria vuestra;
Hernando de Acuña, Tan hijos naturales de Fortuna; Señor, bien muestra no tener Fortuna;
Señor, en quien nos vive y ha quedado; Sólo aquı́ se mostró cuánto podı́a; Aquella luz que a Italia
esclarecı́a; ¡Cuál doloroso estilo bastarı́a; Si, como de mi mal he mejorado.
5
Mi limito a ricordare che il marchese del Vasto fu nominato governatore di Milano nel
1538; per maggiori dettagli sulla cronologia dei sonetti, si veda la nota seguente.
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PARTE TERZA
con un io poetico assente nel testo, tende a esaltare la figura di Alfonso per
6
Prescindendo dalla questione dell’identità del dedicatario (per cui cfr. infra, nota 10), il
sonetto Cları́simo marqués apparterrebbe – secondo Lapesa – «a los años en que Garcilaso
estuvo en Italia (desde septiembre de 1532)»; cfr. La trayectoria poética de Garcilaso (1948),
ora in Garcilaso: Estudios completos, Madrid, Istmo, 1985, p. 182. «A los años napolitanos
(1533-1536)», lo assegna anche E. L. Rivers (a c. di), G. de la Vega, Obras completas,
Madrid, Castalia, 1981, p. 120. Lo anticipa di quattro anni, almeno, E. Mele, per il quale
«si fué dedicado a éste [ad Alfonso], indudablemente fué escrito antes de la empresa de
Túnez, cuando se le propuso para el mando de españoles e italianos, todavı́a joven de 26
años, que habı́a hecho concebir grandes esperanzas» (Las poesı́as latinas de Garcilaso de la
Vega y su permanencia en Italia, in «Bulletin Hispanique», XXV (1923), p. 121). Agli anni
quaranta, e più precisamente al biennio 1544-46, può essere datato il sonetto di Cetina,
Aquella luz, composto probabilmente durante un soggiorno milanese del poeta, che seguı̀
alla sua partecipazione alla guerra franco-spagnola degli anni 1543-44; cfr. B. López Bueno,
Gutierre de Cetina, poeta del Renacimiento español, Sevilla, Diputación Provincial, 1978, pp.
64-65, e della stessa studiosa, Introducción a G. de Cetina, Sonetos y madrigales completos,
Madrid, Cátedra, 1981, pp. 26-28. Dei sette sonetti di Acuña, quattro (Señor, en quien nos
vive; Sólo aquı́ se mostró; Aquella luz que a Italia; ¡Cuál doloroso estilo!) furono composti in
occasione della morte del marchese del Vasto, avvenuta il 31 marzo 1546. Dei restanti tre,
due (Tan hijos naturales e – con minore evidenza – Señor, bien muestra) sembrano vagamente
alludere agli sfortunati eventi che segnarono la disgrazia del marchese, causandone l’abban-
dono della vita politica e il ritiro nel castello di Vigevano, e – pertanto – si collocano negli
anni 1544-46; mentre il terzo (Si, como de mi mal), se – come sembra – accenna velatamente
a una ferita ricevuta dal poeta in combattimento, daterebbe al tempo della campagna
militare in Piemonte contro i francesi, nella sua fase più acuta degli anni 1536-37, ovvero –
dopo la pace di Nizza del ’38 – nelle scaramucce che ancora si verificarono nei quattro anni
successivi alla tregua. Sui sonetti in morte di Alfonso, cfr. G. Morelli, Hernando de Acuña.
Un petrarchista dell’epoca imperiale, Parma, Studium Parmense Editrice, 1977, pp. 36-38. Su
quelli in vita, si vedano le corrispondenti note ai testi di L. F. Dı́az Larios, nella sua ed. di
H. de Acuña, Varias poesı́as, Madrid, Cátedra, 1982, pp. 257 e 258, dove è – però – assente
un’ipotesi di datazione a proposito di Señor, bien muestra. Sulle vicende biografiche di
Acuña, risulta ancora utile consultare N. Alonso Cortés, Don Hernando de Acuña. Noticias
biográficas, Valladolid, Tipografia V.a Moreno, 1913.
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
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PARTE TERZA
3. Se, come abbiamo appena visto, ben sei dei nostri nove sonetti
convergono nella formazione dello stesso tipo, i restanti tre danno
luogo – invece – a una maggiore varietà, finendo coll’occupare
altrettante caselle della classificazione iniziale. Li esaminerò prose-
guendo nell’ordine già adottato, e precedentemente esposto.
Seguendo tale criterio, dunque, è del sonetto di Cetina che tocca
ora di occuparci, contrassegnato col numero (7) nella serie dei testi.
Dirò subito che esso rappresenta il tipo che, con un io poetico assente
nel testo, esalta la figura di Alfonso per le virtù militari nonché per l’abilità
poetica. Intanto, notiamo di passaggio che l’inizio del sonetto: Aquella
luz que de la gloria vuestra, e la successiva antitesi: resplandecer (con la
variante esclarecer) vs. escurecer, saranno ripresi da Acuña nell’Epitafio
da lui composto per la sepoltura del marchese – il nostro sonetto (5)
– che è – per ovvie ragioni – posteriore al testo di Cetina8.
7
Il sonetto è menzionato da E. Camacho Guizado come esempio di «elogio deı́ctico»,
dove – cioè – «por medio de un pronombre o adjetivo demostrativo, el personaje encomiado
se coloca enfáticamente en primer plano» (La elegı́a funeral en la poesı́a española, Madrid,
Gredos, 1969, pp. 197-98).
8
Si veda la considerazione generale di Dı́az Larios: «Ciertas concordancias entre algunos
poemas del sevillano [Cetina] con otros de Acuña sugieren un conocimiento mutuo, nacido
quizá cuando ambos lucharon en la cuarta guerra entre Carlos V y Francı́sco I (1542-44), o
bien ahora [1546], al paso de Cetina por Milán» (H. de Acuña, ed. cit., p. 20 nota 16). In
effetti, come ha sostenuto la López Bueno, «desde Vigevano, en 1545, es posible que Cetina
pasara a la corte de Milán [...] De ser cierta su estancia en la corte de Milán, debió de ser muy
corta pues en 1546 [...] realiza Cetina su primer viaje a Méjico» (Gutierre de Cetina, cit., pp.
164-65). Sull’eventuale spostamento di Cetina da Vigevano alla corte milanese, si era già
pronunciato M. Bataillon: «no es hipótesis de desechar sistemáticamente» (Gutierre de Cetina
en Italia, in Studia hispanica in honorem R. Lapesa, Madrid, Gredos, 1972, I, p. 165).
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
9
Cfr. le brevi osservazioni di López Bueno, Gutierre de Cetina, cit., pp. 167-68, dove si
segnala che il «tópico de armas y letras bajo la forma de exhortación a los distintos
personajes para que ellos sean sus propios cronistas» si trova ulteriormente attestato in due
sonetti di Cetina: quelli dedicati Al duque de Alba (Señor, mientras el valor que en vos
contemplo) e Al conde de Feria (Mientras el franco furor fiero se muestra), per i quali si veda l’ed.
cit., pp. 302 e 303, rispettivamente.
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PARTE TERZA
10
Dall’iniziale incertezza manifestata da Herrera tra Pedro de Toledo e Alfonso d’Avalos,
si è passati alla più marcata propensione, a favore del primo, dei moderni editori di
Garcilaso (Keniston, Navarro Tomás, Rivers, Labandeira); mentre la tendenza opposta, che
in ultima istanza risale al commento di Tamayo, è stata espressa da Navarrete e Mele.
Sull’intera vicenda critica, può consultarsi l’esauriente nota di B. Morros, nella sua edizione
di G. de la Vega, Obra poética y textos en prosa, Barcelona, Crı́tica, 1995, p. 397, dove – però
– manca il riferimento a D. L. Heiple, che alla questione ha dedicato alcune pagine del suo
recente libro, risolvendola decisamente a favore dell’identificazione col marchese del Vasto
(Garcilaso de la Vega and the Italian Renaissance, University Park-PA, The Pennysylvania
State University Press, 1994, pp. 267 e ss.). Del resto, lo stesso Morros, parallelamente e
con distinti argomenti, era giunto a un’analoga conclusione; cfr. ed. cit., pp. 39 e 397.
11
A tale interpretazione, pressoché unanime, dei commentatori, Heiple aggiunge un
riferimento a Paolo Giovio che, «in his treatise on devices [Diálogo de las empresas militares y
amorosas] describes several designed for the Marqués del Vasto, one of wich represented the
eternal flame on the temple of Juno as a symbol of the marquis’s costancy in love» (Garcilaso
de la Vega, cit., p. 268).
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12
A tale proposito, si veda quanto propone Morros, seguendo un suggerimento di
Alberto Blecua: «en la ponderación del nombre podrı́a leerse el de Alfonso: “alto y
profundo” (v. 6) equivale en catalán a “Alt i fons” (‘Alfons’), según un tipo de anagrama
bastante frecuente a partir del nombre de Laura en Petrarca» (ed. cit., p. 39 e anche p.
397). Il ricorso anagrammatico risulta tanto più significativo, se si tien conto che l’antitesi
tra regioni superiori e inferiori impregna di sé l’intero sonetto, essendo due volte presente
nel testo, come cielo / mundo (v. 2) e cielo / tierra (vv. 9-10).
13
Non può escludersi l’uso metaforico di pluma, proposto da Heiple: «The “pluma” in
line 5 is not only a pen, but a feather, or by metonymy a bird, that will achieve poetic flight»
(Garcilaso de la Vega, cit., p. 274).
14
Baltasar Gracián introduce e commenta il sonetto di Garcilaso nel Discurso XXIII. De
la agudeza paradoja, in E. Correa Calderón (a cura di), Agudeza y arte de ingenio, Madrid,
Castalia, 1969, I, in part. le pp. 229-30 (cfr. anche la tr. it. di G. Poggi, L’Acutezza e l’Arte
dell’ingegno, Palermo, Aesthetica Edizioni, 1986, p. 175).
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PARTE TERZA
15
Cfr. l’ampio commento di Herrera all’ultima terzina del sonetto, dove il poeta-
commentatore si dilunga sull’interpretazione del concetto platonico di idea (A. Gallego
Morell (a cura di), Garcilaso de la Vega y sus comentaristas, Madrid, Gredos, 19722, p. 366,
H-128). A proposito della stessa terzı́na, non è fuori luogo la citazione di Morros di
Petrarca, Canzoniere, CLIX, 1-4 (cfr. ed. cit., p. 397); e, del resto, l’intero componimento
era stato definito da J. Alcina «un soneto panegı́rico siguiendo un esquema igual al de los
sonetos de elogio de una dama como obra maestra de Dios o de la naturaleza» (nella sua
edizione di G. de la Vega, Poesia completa, Madrid, Espasa-Calpe, 1989, p. 72). Sugli ultimi
versi del sonetto, si vedano anche le osservazioni di Heiple, Garcilaso de la Vega, cit., pp.
274-75. Sul rapporto tra Idea, natura e arte, che è la questione estetica al centro dell’intero
sonetto, pagine ancora molto stimolanti possono leggersi in E. Panofsky, Idea. Contributo
alla teoria dell’estetica (1924), Firenze, La Nuova Italia, 1975, in part. le pp. 33-52.
16
A proposito di alcuni di essi, lo stesso Morelli ha sottolineato che il gruppo «delle
composizioni in morte dell’illustre personaggio [...] ripete stancamente i moduli stilistici,
ricchi di enfasi e di oratoria letteraria, codificati dalla tradizione del genere elegiaco
generosamente impegnato a celebrare fatti e avvenimenti relativi alla vita e alle imprese dei
potenti additati quali modelli di virtù e di valore» (Hernando de Acuña, cit., p. 37).
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
17
H. de Acuña, ed. cit., p. 257.
18
Di tali episodi conserva traccia il Memorial de D. Hernando de Acuña á Felipe II,
pubblicato in Alonso Cortés, Don Hernando de Acuña, cit., pp. 111-23; e riprodotto in H. de
Acuña, Varias poesı́as, a c. di A. Vilanova, Barcelona, Selecciones Bibliófilas, 1954.
19
Cfr. il sonetto di Garcilaso, Como la tierna madre que’l dolente, in Morros, ed. cit., p. 30,
in part. il v. 8: «y aplaca el llanto y dobla el acidente».
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PARTE TERZA
Appendice
Hernando de Acuña
[1] [2]
[3] [4]
Señor en quien nos vive y ha quedado Sólo aquı́ se mostró cuánto podı́a
el gran nombre del Vasto y su memoria en daño universal la cruda muerte,
después que désta breve y transitoria do su fuerza valió contra el más fuerte,
a la vida inmortal mudó su estado, y su valor contra el que más valı́a.
donde desprecia nuestro bajo grado 5 Por donde a Italia, cuanto bien tenı́a 5
y goza para siempre inmensa gloria, en eterno dolor se le convierte,
quedando en todo verso, en toda historia, y el gran Marqués ha mejorado suerte,
del mundo eternamente celebrado; aunque acá la más alta poseı́a.
mirad cuán ancha y espaciosa vı́a Sus muchas partes sobrenaturales,
os muestran sus hazafias inmortales 10 un esfuerzo, un saber nunca igualado, 10
de haceros inmortal entre la gente, un ser no concedido a mortal hombre,
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LA «DOPPIA GLORIA» DI ALFONSO D’AVALOS E I POETI-SOLDATI SPAGNOLI
y seguid su valor, que con tal guı́a con mil famosos hechos inmortales,
los más famosos no os serán iguales a la inmortalidad han consagrado
del siglo ya pasado o del presente. este lugar y su tan alto nombre.
[5] [6]
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PARTE TERZA
Hernando de Acuña
[9]
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PARTE QUARTA
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II:
MODELLI ITALIANI (CARO, RAINERIO)
E SOLUZIONI ISPANICHE
(RAMIREZ PAGAN, LOMAS CANTORAL,
DE LA TORRE, HERRERA)
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1
Per gli episodi di petrarchismo pregarcilasiano, è ormai un classico F. Rico, Variaciones
sobre Garcilaso y la lengua del petrarquismo, nel collettivo Doce consideraciones sobre el mundo
hispano-italiano en tiempos de Alfonso y Juan de Valdés, Roma, Publicaciones del Instituto
Español de Lengua y Literatura, 1979, pp. 115-30, a cui si aggiunga, dello stesso autore, A
fianco di Garcilaso: poesia italiana e poesia spagnola nel primo Cinquecento, «Studi Petrarche-
schi», nuova serie, IV (1987), pp. 229-36. Più in generale, sono letture d’obbligo gli studi di
J. M. Blecua, Corrientes poéticas en el siglo XVI (1952), in Sobre poesı́a de la Edad de Oro
(ensayos y notas eruditas), Madrid, Gredos, 1970, pp. 11-24; di R. Lapesa, Poesı́a de
cancionero y poesı́a italianizante (1962), in De la Edad Media a nuestros dı́as (estudios de historia
literaria), Madrid, Gredos, 1971, pp. 145-71, e Los géneros lı́ricos del Renacimiento: la herencia
cancioneresca, in Homenaje a Eugenio Asensio, Madrid, Gredos, 1988, pp. 259-75, recente-
mente raccolto in Id., De Berceo a Jorge Guillén. Estudios literarios, Madrid, Gredos, 1997,
pp. 122-45; di G. Caravaggi, Alle origini del petrarchismo in Spagna, «Miscellanea di Studi
Ispanici», XXIV (1971-73), pp. 7-101. Di utile consultazione è il volume di M. P. Manero
Sorolla, Introducción al estudio del petrarquismo en España, Barcelona, PPU, 1987.
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PARTE QUARTA
2
Vd. L’ottimo panorama tracciato da A. Blecua, El entorno poético de fray Luis, in Fray
Luis de León, a c. di V. Garcı́a de la Concha, Salamanca, Ediciones Universidad de
Salamanca, 1981, pp. 77-99, in part. le pp. 79-86. Dello stesso autore, vd. anche Fernando
de Herrera y la poesı́a de su época, in F. Rico (a cura di), Historia y crı́tica de la literatura
española, vol. II, Siglos de Oro: Renacimiento, a cura di F. López Estrada, Barcelona, Editorial
Crı́tica, 1980, pp. 426-39.
3
Los triumphos de Francisco Petrarcha, ahora nuevamente traduzidos en lengua Castellana, en
la medida y numero de versos, que tiene en el Toscano, y con nueva glosa, Medina del Campo,
Guillermo de Millis, 1554.
4
Sulle traduzioni cinquecentesche dei Trionfi del Petrarca, oltre ai contributi di G. C.
Rossi, Una traduzione cinquecentesca spagnola del «Trionfo d’Amore», in «Convivium», XXVII
(1959), pp. 40-50, di A. J. Cruz, The Trionfi in Spain: Petrarchist Poetics, Translation Theory,
and the Castilian Vernacular in the Sixteenth Century, in K. Eisenbichler e A. A. Iannucci (a
cura di), Petrarch’s Triumphs. Allegory and Spectacle, Toronto, Dovehouse, 1990, pp.
307-24, di A. Gargano, «Petrarca y el traduzidor». Note sulle traduzioni cinquecentesche dei
Trionfi, in «Annali dell’Istituto Universitario Orientale», Sezione Romanza, XXXV(1993),
pp. 485-98, di C. Alvar, Alvar Gómez de Guadalajara y la traducción del Triunfo d’Amore, in
J. Paredes (a cura di) Medioevo y literatura. Actas del V Congreso de la Asociación Hispánica de
Literatura Medieval, vol. I, Granada, Universidad de Granada, 1995, pp. 261-67, si vedano
gli studi di R. Recio, Petrarca y Alvar Gómez: la traducción del Triunfo de Amor, New York,
Peter Lang, 1996, Petrarca en la penı́nsula ibérica, Alcalá de Henares-Madrid, Universidad
de Alcalá de Henares, 1996, e la più recente edizione della traduzione di Alvar Gómez de
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
Entre 1550 y 1552, pues, los gustos se habı́an depurados a ojos vistas.
Las vanguardias poéticas, no satisfechas con postergar el octosı́labo,
imponı́an leyes más rigurosas al hendecası́labo. Y eran los suyos unos
imperativos tan apremiantes como para que Hozes se aviniera a acatar
un precepto que se le antojaba excesivo y no bien autorizado: el
destierro del verso agudo8.
Ciudad Real, El «Triumpho de Amor» de Petrarca traduzido por Alvar Gómez, Barcelona, PPU,
1998.
5
F. Rico, El destierro del verso agudo (con una nota sobre rimas y razones en la poesı́a del
Renacimiento), in Homenaje a José Manuel Blecua, Madrid, Gredos, 1983, pp. 525-51.
6
Si tratta del ms. 3687 della Biblioteca Nacional de Madrid.
7
Cfr. Rico, El destierro del verso agudo, cit., pp. 533-35.
8
Ivi, pp. 536-37.
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PARTE QUARTA
9
Il Cancionero general de obras nuevas, modernamente edito da A. Morel-Fatio, in
L’Espagne au XVI et au XVII siècle, Heilbronn, 1878, pp. 489-602, è stato recentemente
riproposto in volume autonomo a cura di C. Claverı́a: [Esteban de Nágera], Cancionero
general de obras nuevas (Zaragoza, 1554), Barcelona, Edicions Delstre’s, 1993.
10
Cfr. A. Blecua, Gregorio Silvestre y la poesı́a italiana, in Doce consideraciones, cit., pp.
155-73, dove l’autore, dopo aver apportato un’abbondante serie di dati poetici intorno alla
metà del secolo, conclude che «A la vista de todas estas fechas y publicaciones se infiere que
hacia 1554 la aceptación del endecası́labo es un hecho manifiesto» (p. 162).
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
della penisola italiana, a partire dalla prima raccolta giolitina del ’45,
e poi via via – risalendo i cinquant’anni circa sino alla fine del secolo
– con i restanti otto volumi giolitini e non, con le frequenti riedizioni
di alcuni di essi, e – infine – con antologie tratte dalle stesse
antologie, conosciute con i titoli di Rime scelte e di Fiori. È a
quest’importante fenomeno editoriale, dunque, che dobbiamo ora
rivolgere brevemente la nostra attenzione, se vogliamo comprendere
la nuova modalità con cui certi modelli poetici italiani continuarono
ad esercitare la loro influenza sulle soluzioni ispaniche, nei primi tre
decenni della seconda metà del secolo che precedettero la nuova e
decisiva svolta.
Nel 1545, presso l’editore veneziano Giolito de’ Ferrari, uscı̀ il primo
volume della fortunata serie antologica: quelle Rime diverse, con le
quali sia il curatore, Lodovico Domenichi, sia lo stesso editore, è
stato detto che «stavano tentando un’impresa editoriale non prelimi-
narmente garantita, e in gran parte inedita»11. Nel presentare il
volume, peraltro dedicato al poeta e diplomatico spagnolo Diego
Hurtado de Mendoza, il curatore «poneva l’accento quasi esclusiva-
mente sulla “diversità dei concetti” e la “varietà degli stili”»; e,
difatti, nelle 370 pagine antologiche, «si allineano 91 autori e 539
componimenti»12. Nasceva cosı́ un nuovo tipo di silloge poetica, a cui
11
R. Fedi, La memoria della poesia. Canzonieri, lirici e libri di rime nel Rinascimento, Roma,
Salerno Editrice, 1990, p. 254. Il volume antologico apparve col titolo completo di Rime
diverse di molti eccellentiss. auttori nuovamente raccolti. Libro primo. Nel 1990 ne è stata
annunziata la ristampa, non ancora avvenuta, a cura di R. Fedi e F. Erspamer. Per i Giolito
e la loro attività tipografica, strumento insostituibile risultano gli Annali di G. Giolito de’
Ferrari di Trino di Monferrato stampatore in Venezia, descritti e illustrati da S. Bongi, 2 voll.,
Roma, Ministero Pubbl. Istruzione, Tip. Bencini, 1890-1895, da integrare con P. Came-
rini, Notizie sugli annali giolitini di S. Bongi, Padova, Panada, 1935, e Id., Aggiunta alla
notizia sugli Annali giolitini di S. Bongi, «Memorie dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti
di Padova», LIII (1936-37), pp. 160-85. Sulle antologie poetiche cinquecentesche, cfr. A.
Quondam, Petrarchismo mediato. Per una critica della forma «antologia», Roma, Bulzoni, 1974
e, dello stesso autore, «Mercanzia d’onore»/«Mercanzia d’utile». Produzione libraria e lavoro
intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in A. Petrucci (a cura di), Libri, editori e pubblico
nell’Europa moderna, Roma-Bari, Laterza, 1977, pp. 51-104. Utili anche alcuni saggi
contenuti in M. Santagata e A. Quondam (a cura di), Il libro di poesia dal copista al tipografo,
Modena, Panini, 1989. Presto gli studiosi potranno avvalersi del volume di M. L. Cerrón
Puga, Petrarchismo rimosso. Catalogo ragionato delle antologie cinquecentesche, Firenze, Leo S.
Olschki (in corso di stampa).
12
Fedi, La memoria della poesia, cit., rispettivamente, p. 253 e p. 254.
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PARTE QUARTA
13
G. Gorni, Le forme primarie del testo poetico, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura
italiana, vol. III. Le forme del testo, I. Teoria e poesia, Torino, Einaudi, 1984, ora raccolto in
Id., Metrica e analisi letteraria, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 113-34; la citazione è da p.
114.
14
Dei nove libri, quattro sono giolitini: il primo, 1545; il secondo, 1547; il quinto, 1552;
il settimo, 1556. Uno fu stampato sia dal veneziano Bartolomeo Cesano, nel 1550, sia dal
Giolito, nel 1552. I restanti cinque furono impressi a Bologna da Anselmo Giaccarelli, nel
1551; a Venezia da Michele Bonelli, nel 1553; a Lucca da Vincenzo Busdrago, nel 1556; e,
infine, a Cremona da Vincenzo Conti, nel 1560. Si veda ora il recente contributo di M. L.
Cerrón Puga, Materiales para la construcción del canon petrarquista: las antologı́as de Rimas
(libri I-IX), in «Critica del testo», II (1999), pp. 249-90, dove la studiosa propone di
considerare come libro VIII della serie I fiori delle rime de’ poeti illustri, raccolti e ordinati da
G. Ruscelli, e pubblicati a Venezia dai fratelli Sessa, nel 1558 (cfr., in particolare, le pp.
275-83). Della stessa studiosa, si veda anche il precedente contributo: Las antologı́as de
poesı́a italiana en la Biblioteca Nacional de Madrid (1532-1637), in «Edad de Oro», XII
(1993), pp. 41-60.
15
Si tratta dei due volumi giolitini Rime di diversi illustri signori napoletani, entrambi
raccolti da Lodovico Dolce, e delle Rime di diversi eccellenti autori bresciani, stampati a
Venezia da Plinio Pietrasanta.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
16
Rime di diversi eccellenti autori raccolte dai libri da noi altre volte impressi [...], in Vinegia
appresso Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli, MDLIII; Il secondo volume delle rime scelte da
diversi eccellenti autori [...], in Vinegia appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, MDLXIII; I fiori
delle rime de’ poeti illustri [...], in Venetia per Gio. Battista e Melchior Sessa Fratelli, 1558,
già menzionati nella precedente n. 14.
17
Cfr. C. Dionisotti, La letteratura italiana nell’età del concilio di Trento (1965), in
Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1980, pp. 227-54; la citazione è
da p. 237.
18
Per il dato quantitativo, cfr. A. Quondam, La letteratura in tipografia, in A. Asor Rosa (a
cura di), Letteratura italiana, vol. II. Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp.
555-686, in part. la p. 678.
19
La imagen poética petrarquista en la lı́rica española del Renacimiento, Tesis doctoral,
Universidad de Barcelona, 1984-85. Una sintesi dei soli tomi II, III e IV è stata pubblicata
dall’autrice col titolo di Imágenes petrarquistas en la lı́rica española del Renacimiento. Repertorio,
Barcelona, PPU, 1990. I dati numerici riportati nel testo sono ricavati da M. P. Manero
Sorolla, Antologı́as poéticas italianas de la segunda mitad del siglo XVI (1545-1590), «Anuario
de Filologı́a», Universidad de Barcelona, IX (1983), pp. 259-99, in part. la p. 259 n. 1.
20
Per le citazioni, cfr. Fedi, La memoria della poesia, cit., pp. 45-46 e p. 49, rispettiva-
mente.
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PARTE QUARTA
cune conseguenze ci sono già state suggerite da Gorni, nel passo che
ho precedentemente citato21: la disorganicità della seconda ha la
meglio sull’organicità della prima, e con ciò crestomazia, frammento,
esemplarità prevalgono sulla lettura continua, sulla coesione interna,
sulla contestualità. Ce n’è già abbastanza; e, tuttavia, le conseguenze,
lungi dall’arrestarsi all’interno del libro, finiscono col coinvolgere lo
stesso rapporto che il testo intrattiene con la dimensione storica.
Roberto Fedi ha, difatti, giustamente sottolineato come il ‘libro di
rime’, nell’assemblare uno di seguito all’altro sia gli autori che i testi,
ottenga il doppio effetto – per un lato – di perdita di gerarchia, e –
per altro lato – di perdita di profondità storica. Insomma, la nuova
«forma-raccolta» tende a disporre gli autori e i testi che seleziona sul
piano unidimensionale della massima scambiabilità e della pura
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21
Cfr. supra, n.13.
22
Fedi, La memoria della poesia, cit., p. 51.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
23
Per le notizie biografiche sul Caro, vd. le «voci» di C. Mutini, in Dizionario biografico
degli italiani, vol. XX, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1977, pp. 497-508, e di C.
Cremante, in Dizionario critico della letteratura italiana, vol I, Torino, UTET, 1984, 2ª ed.,
pp. 533-37. Di grande utilità risulta il sintetico e recente profilo critico di R. Bragantini,
«Poligrafi» e umanisti volgari, in E. Malato (a cura di), Storia della letteratura italiana, vol. IV.
Il primo Cinquecento, Roma, Salerno Editrice, 1996, pp. 681-754, in part. le pp. 732-36, con
annessa bibliografia aggiornata, per cui vd. p. 754. Sulla vicenda biografica del Rainerio, vd.
B. Croce, Anton Francesco Rainerio, in Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, vol II,
Bari, Laterza, 1958 (2ª ed.), pp. 376-89, e S. Albonico, Il ruginoso stile. Poeti e poesia in
volgare a Milano nella prima metà del Cinquecento, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 127-28 e
n. 237. Sui Cento sonetti, vd. lo stesso Albonico, Il ruginoso stile, cit., pp. 255-57, e
soprattutto G. Gorni, Un’ecatombe di Rime. I «Cento sonetti» di Antonfrancesco Rainerio,
«Versants», XV (1989), nuova serie, pp. 135-52.
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PARTE QUARTA
ANNIBAL CARO
Eran Teti e Giunon tranquille, e chiare,
Sol spirava Favonio, e fuggia Clori,
L’alma Ciprigna innanti i primi albori.
Ridendo, empia d’amor la terra, e ’l mare.
La rugiadosa Aurora in ciel più rare
Facea le stelle, e di più bei colori
Sparse le nubi, e de’ monti uscı́a fori
Febo, qual più lucente in Delfo appare.
Quand’altra Aurora in più vezzoso ostello
Apparse, e rise, e girò lieto e puro
Il Sol, che sol m’abbaglia, e mi disface.
Volsimi incontro allora, e vidi oscuro
(Santi lumi del ciel, con vostra pace)
L’oriente, che dianzi era sı̀ bello.
24
Cfr., rispettivamente, A. Quondam, Il libro tra «scriptorium» e tipografia, in Il naso di
Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classicismo, Modena, Panini, 1991, pp.
99-121, la citazione è da p. 108; Manero Sorolla, Antologı́as poéticas italianas, cit., p. 273.
25
Quondam, Il libro di poesia, cit., pp. 108-09.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
ANTONFRANCESCO RAINERIO
Era tranquillo il mar; le selve, e i prati
scoprian le pompe sue, fior, frondi al cielo;
e la notte sen gia squarciando il velo
e spronando i cavai foschi et alati;
scuotea l’aurora da’ capegli aurati
perle d’un vivo trasparente gelo,
e già ruotava il Dio che nacque in Delo
raggi da i liti eoi ricchi odorati;
quand’ecco d’occidente un più bel Sole
spuntogli incontro, serenando il giorno,
e impallidı̀ l’Orientale imago.
Velocissime luci eterne e sole,
con vostra pace, il mio bel viso adorno
parve allor più di voi lucente e vago26.
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26
Cito dall’edizione de I fiori del 1558, rispettivamente, pp. 50 e 79, secondo l’esemplare
conservato presso la Biblioteca Nacional de Madrid (3/34507). I due sonetti possono
leggersi anche in A. Caro, Opere, a c. di S. Jacomuzzi, Torino, UTET, 1974, p. 331, che
riproduce il testo della prima edizione delle Rime del Caro, stampata da Aldo Manuzio
(Venezia, 1569), con numerose varianti rispetto al testo qui riprodotto; e, per il Rainerio,
Lirici del Cinquecento, a c. di L. Baldacci, Milano, Longanesi, 1975, pp. 227-28.
27
Cfr. G. Masi, La lirica e i trattati d’amore, in Storia della letteratura italiana, vol. IV. Il
primo Cinquecento, cit., pp. 595-679, la citazione è da p. 627. Già Dionisotti, a proposito
della celebre canzone in lode della Casa di Francia, «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro»,
aveva parlato di «via prebarocca della contaminazione di elementi classici e petrarcheschi»;
cfr. Annibal Caro e il Rinascimento, «Cultura e Scuola», V (1966), pp. 26-35, la citazione è da
p. 33.
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PARTE QUARTA
dei classici greci e latini da parte del Caro, il quale si accostò ad essi
fin dagli anni giovanili, grazie anche all’incontro con Pier Vettori,
avvenuto a Firenze, dove il nostro rimatore si era trasferito diciotten-
ne28. Comunque sia, all’origine dei due sonetti si colloca un epi-
gramma latino di Quinto Lutazio Catulo, che ci è stato conservato
dal De natura deorum di Cicerone. Dice l’epigramma:
28
Cfr. F. Tateo, Poesia epica e didascalica in volgare, in Storia della letteratura italiana, vol.
IV. Il primo Cinquecento, cit., pp. 787-834, in part. la p. 795.
29
De natura deorum, 3.79.
30
M. R. Lida De Malkiel, El amanecer mitólogico en la poesı́a narrativa española, «Revista
de Filologı́a Hispánica», VIII (1946), ora raccolto in Ead., La tradición clásica en España,
Barcelona, Ariel, 1975, pp. 121-64.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
31
F. Petrarca, Canzoniere, edizione commentata a c. di M. Santagata, Milano, Monda-
dori, 1996, pp. 921-23, dove nella nota al v. 9 è riportato anche l’epigramma latino, da cui
le due terzine petrarchesche prendono lo spunto. Per il paragone tra Laura e l’aurora, si
vedano anche i sonetti 223, 12-14; 255; 291, 1-4.
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PARTE QUARTA
32
Riproduco il testo di D. Ramı́rez Pagán, Floresta de varia poesı́a, a c. di A. Pérez
Gómez, vol. I, Barcelona, Selecciones Bibliófolas, 1950, p. 216.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
33
Cfr. J. G. Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo español, Madrid, Anejos de la «Revista de
Filologı́a Española», 1960, p. 62. Secondo Fucilla, i due poeti italiani si erano a loro volta
rifatti a un terzo sonetto di L. Ariosto, «Chiuso era il sol da un tenebroso velo», che «fué uno
de los más copiados del renacimiento italiano» (p. 63). Quanto al testo di Rámirez Pagán,
esso è uno dei «neuf sonnets spirituels» raccolti nel canzoniere lirico, per cui vd. M.
Darbord, La poésie religieuse espagnole des Rois Catholiques a Philippe II, Paris, Centre de
Recherches de l’Institut d’Edudes Hispaniques, 1965, pp. 427-29.
34
Cito da Las obras de Jerónimo Lomas Cantoral, a c. di L. Rubio González, Valladolid,
Institución Cultural Simancas, 1980, pp. 179-80; e vd. anche Fucilla, Estudios sobre el
petrarquismo, cit., pp. 131-32.
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PARTE QUARTA
35
Petrarca, Canzoniere, ed. cit., pp. 653-65 e 1303-305. La reiterazione è presente nei vv.
6, 9 e 11 della canzone, e nei vv. 1 e 6 del sonetto.
36
Ivi, p. 1181. Il verbo del testo spagnolo (adiestra) conserva un’eco del motivo, a cui
allude l’aggettivo del sonetto petrarchesco (destro), e sul quale abbondanti riferimenti si
potranno trovare in F. Rico, Vida u obra del Petrarca, vol. I. Lectura del Secretum, Capell Hill,
University of North Carolina, 1974, pp. 304-06. e F. Petrarca, Secretum, a c. di E. Fenzi,
Milano, Mursia, 1992, pp. 369-70.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
37
Sull’identità del poeta, vd. i recenti contributi di J. De Sena, Francisco de la Torre e D.
Joao de Almeida, Paris, Fundaçao Calouste-Gulbenkian, 1972; di A. Blanco Sánchez, De
Quevedo a Fray Luis. En busca de Francisco de la Torre, Salamanca, Atlas, 1982; di M. L.
Cerrón Puga, El poeta perdido: aproximación a Francisco de la Torre, Pisa, Giardini Editore,
1984.
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PARTE QUARTA
38
F. de La Torre, Poesı́a completa, a c. di M. L. Cerrón Puga, Madrid, Cátedra, 1984, p.
75. Vd. S. Pérez-Abadı́n, Los sonetos de Francisco de la Torre, Manchester, University of
Manchester, 1997, pp. 177-78 e n. 26, dove la studiosa osserva che «Ni el poema italiano
[del Rainerio] ni las otras imitaciones [di Lomas Cantoral e di Herrera] recurren a la
estructura comparativa que articula el soneto I–2 de La Torre». Sulla funzione strutturale
che il nostro sonetto svolge nella raccolta, e sulle relazioni di esso con gli altri componi-
menti, si veda lo schema riassuntivo della Pérez-Abadı́n, pp. 119-21.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
39
G. de la Vega, Obra poética y textos en prosa, a c. di B. Morros, Barcelona, Crı́tica,
1995, pp. 135 e 466. Sulla strofa dell’egloga segnalo un importante lavoro inedito di R.
Pinto, Lo ‘extraño’ y la sombra, citato e utilizzato da G. Serés, La transformación de los
amantes. Imagenes el amor de la antigüedad al Siglo de Oro, Barcelona, Crı́tica, 1996, pp.
221-22. Sul motivo notturno nella poesia di F. de la Torre, vd. A. Zamora Vicente, Prólogo
a F. de la Torre, Poesı́as, Madrid, Espasa-Calpe, 1969, pp. XXXVII-XLII; G. Hughes, The
Poetry of Francisco de la Torre, Toronto, University of Toronto Press, 1982, pp. 35-37;
Cerrón Puga, Introducción all’ed. cit., pp. 32-33; Pérez-Abadı́n, Los sonetos, cit., pp. 73-74 e
n. 76, 81, 159.
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PARTE QUARTA
40
G. de la Vega, ed. cit., p. 168. Sulla triplice iterazione e la spezzatura del v. 12 del
sonetto di de la Torre, vd. Pérez-Abadı́n, Los sonetos, cit., pp. 141, 154, 159.
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
41
Riproduco il testo di F. de Herrera, Algunas obras, a c. di B. López Bueno, Sevilla,
Diputación de Sevilla, 1998, p. 349. Vd. anche F. de Herrera, Obra poética, a c. di J. M.
Blecua, vol. I, Madrid, Anejos del «Boletı́n de la Real Academia Española», 1975, pp.
416-17, che edita i testi di H (1582) e di P (1619); Id., Poesı́a castellana original completa, a
c. di C. Cuevas, Madrid, Cátedra, 1985, pp. 457-58, per il testo di H (con riproduzione
delle varianti di P, in apparato, p. 837); Id., Poesı́as, a c. di V. Roncero López, Madrid,
Castalia, 1992, pp. 481-82, che edita il solo testo di H.
42
Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo, cit., p. 146. All’Aurora è dedicata una delle
numerose note metodologiche delle Anotaciones (cfr. Obras de Garci Lasso de la Vega con
anotaciones de Fernando de Herrera, Sevilla, Alonso de la Barrera, 1580, ed. facsimile e studio
bibliografico di J. Montero, Universidades de Córdoba-Sevilla-Huelva/Grupo P.A.S.O,
1998, p. 554), ripresa in parte da Lilio Gregorio Giraldo, De deis gentium, Basilea, 1548,
come ha recentemente indicato B. Morros, Las polémicas literarias en la España del siglo XVI:
a propósito de Fernando de Herrera y Garcilaso de la Vega, Barcelona, Quaderns Crema, 1998,
pp. 42-43, dove possono anche leggersi le considerazioni circa «los escolios consagrados a
cuestiones lingüı́sticas [que] tienen como punto de partida la Apologia degli Accademici di
Banchi di Roma contra messer Lodovico Castelvetro (Parma, 1558)» di Annibal Caro (pp.
192-94).
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PARTE QUARTA
43
Ed. cit. di J. M. Blecua, pp. 416-17.
44
La questione che – com’è noto – ha le sue lontane origini in un’affermazione di
Francisco de Quevedo contenuta nel prologo alla sua edizione di F. de la Torre del 1631,
nonché nelle Apostillas alla copia dei Versos in suo possesso (cfr. l’ed. cit. di Cerrón Puga, p.
70; ma vd. P. M. Komanecky, Quevedo’s notes on Herrera: The involvement of Francisco de la
Torre in the controversy over Góngora, «Bulletin of Hispanic Studies», LII (1975), pp.
122-33), ha visto coinvolti, nel corso del nostro secolo, studiosi e filologi come A. Coster, J.
M. Blecua, S. Battaglia, O. Macrı̀, D. Kossoff; per i puntuali riferimenti bibliografici, rinvio
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
bero, perciò, le premesse che dovrei fare, per entrare nel pieno della
questione. Mi limiterò, pertanto, a qualche isolata osservazione rela-
tiva alla doppia versione del nostro sonetto, ricordando – in via
preliminare – soltanto uno studio piuttosto recente. Qualche anno fa,
Bienvenido Morros, studiando il sonetto di Herrera «Pensé, mas fue
engañoso pensamiento», anch’esso in doppia versione, ne individuò
le fonti precise: due sonetti di Bernardo Tasso e Benedetto Varchi,
entrambi presenti proprio nell’antologia italiana delle Rime scelte del
’63, e notò come la versione del 1582 era molto più vicina alle fonti
di quanto lo fosse quella della raccolta del ’19, che – difatti – mostra-
va una chiara tendenza ad allontanarsi dai modelli. Il caso presentato
da Morros era incontrovertibile, per cui lo studioso potette ragione-
volmente segnare un punto fermo: la versione raccolta nel ’19 è reda-
zionalmente posteriore a quella pubblicata nella selezione del 1582,
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alle recenti sintesi di Cuevas, La cuestión textual, in Herrera, ed. cit., pp. 87-99, e di
Roncero, Drama textual, in Herrera, ed. cit., pp. 79-84. Ai lavori citati, bisogna aggiungere i
numerosi e recenti contributi di I. Pepe Sarno, Bianco il ghiaccio, non il velo. Ritocchi e
metamorfosi di un sonetto di Herrera, in Ecdotica e testi ispanici (Atti del Convegno Nazionale
dell’Associazione Ispanisti Italiani. Verona, 18-19-20 giugno 1981), Verona, Università
degli Studi di Verona, 1982, pp. 111-23 (pubblicato anche in «Strumenti Critici», XV
(1981), pp. 458-71); Id., Se non Herrera, chi? Varianti e metamorfosi nei sonetti di Fernando de
Herrera, «Studi Ispanici», 1982, pp. 33-69; 1983, pp. 103-27; 1984, pp. 43-76; e di J.
Montero, Una versión inédita (con algunas variantes) de la canción Al sueño de Fernando de
Herrera, «Cuadernos de Investigación Filológica», XII-XIII (1986-87), pp. 117-32. Per i
lavori di Senabre e di Morros, cfr. la nota seguente.
45
B. Morros, Algunas observaciones sobre la poesia y la prosa de Herrera, «El Crotalón.
Anuario de Filologı́a Española», II (1985), pp. 147-68, in part. le pp. 147-53, dove il
filologo barcellonese discute e contesta l’ipotesi che «remonta P a los borradores de Herrera
cuya lecciones y textos más logrados configurarı́an H»; ipotesi che risale a Coster, difesa
recentemente da R. Senabre, Los textos ‘emendados’ de Herrera, «Edad de Oro», IV (1985),
pp. 179-93, e confermata in margine a un lavoro successivo, Sobre la lı́rica de Herrera: teorı́a
y práctica, in Homenaje al profesor Antonio Vilanova, Barcelona, Universidad de Barcelona,
1989, vol. I, pp. 655-67, in part. p. 658 n. 6.
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PARTE QUARTA
46
Per un’analisi completa della doppia redazione del sonetto, vd. Pepe Sarno, Se non
Herrera, chi?, cit., 1984 pp. 71-74. L’analisi, ampliata a quella delle varianti del sonetto
«Cual rocı̈ada Aurora en blanco velo», che pure è costruito sul «sı́mil entre la amada y la
Aurora», è stata ripresa dalla studiosa in La «Luz» de la «Aurora»: variantes en dos sonetos de
Fernando de Herrera, in Actas del VIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas
(Brown University, 22-27 agosto 1983), vol. II, Madrid, Ediciones Istmo, 1986, pp. 409-18,
dove – a proposito delle varianti del nostro sonetto – leggiamo: «la materia lingüı́stica queda
casi inalterada, limitándose las modificaciones, en la mayorı́a de los casos, a desplazamien-
tos espaciales del mismo caudal léxico. Parece un juego de combinaciones en el que cada
pieza puede moverse solamente cuando otra haya sido trasladada a otro sitio» (p. 414).
47
B. Tasso, Rime, vol. I. I tre libri degli Amori, a c. di D. Chiodo, Torino, Edizioni RES,
1985: «Lieto deponi nel mio fresco seno» (III, 68, v. 404, p. 403); mentre di semplice
contiguità si tratta in «Non però ha più di me fresco e fiorito / Amarillide il viso, o ’l seno
adorno» (II, 104, vv. 50-51, p. 267).
48
Ivi, «E prendi il don, che nel lucido seno / Ti serba l’onda chiara a maraviglia» (II, 107,
vv. 43-44, p. 277).
49
Un diverso ordine di motivazioni, tutte interne al singolo testo, adduce l’analisi della
Pepe Sarno per spiegare lo spostamento dell’aggettivo lúcido al v. 1, che – nella sua tipologia
– rientra tra le varianti il cui scopo consiste prevalentemente nell’«instaurar relaciones donde
no las habı́a» (La «Luz» de la «Aurora», cit., p. 417). All’origine dello spostamento, difatti,
possono distinguersi ben cinque cause e effetti: 1) creazione del parallelismo tra il v. 1 e il v.
3; 2) incremento dell’effetto di «luminosidad», che presiede all’intera prima quartina; 3)
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LA POESIA NELL’EPOCA DI FILIPPO II: MODELLI ITALIANI
5. Brevi conclusioni
È tempo di concludere. La rassegna che ho presentato, introducen-
doci nell’officina di alcuni poeti italiani e spagnoli dei primi decenni
della metà del secolo, ci ha consentito di confermare e ulteriormente
precisare due fenomeni già noti:
1) l’importanza che ebbe, anche fuori della penisola italiana, quel
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coerenza col lessico herreriano, che riserva al ‘cielo’ l’aggettivo lúcido (cfr. Anotaciones, H.
346); 4) anticipazione del nome dell’amata (Luz); 5) esigenza di differenziare l’incipit del
sonetto da quello del parallelo «Cual rocı̈ada Aurora en blanco velo», le cui varianti sono
studiate nello stesso lavoro (ivi, p. 417).
50
Sebbene, nel menzionato studio (Algunas observaciones), Morros ristabilisca il corretto
ordine cronologico di H e di P, contro la tesi sostenuta da Senabre, con quest’ultimo
coincide a proposito della «superioridad estética de H sobre P», discrepando – per quest’a-
spetto – dall’idea difesa nei contributi della Pepe Sarno, e trovando una «apoyatura más
objetiva» di tale giudizio di valore negli «hábitos poéticos que exibı́a nuestro autor» e nelle
«preceptivas de la época que se encargaron de difundirlos» (p. 153 n. 11). Di parere diverso
la Pepe Sarno che – a proposito del nostro sonetto – afferma: «con P estamos en un sistema
que somete a revisión todo el caudal lingüı́stico, fónico, rı́tmico, semántico y figural de H,
para ajustarlo a ese ideal de perfección del soneto que está expresado en las Anotaciones» (La
«Luz» de la «Aurora», cit., pp. 417-18; per il passo delle Anotaciones, cfr. H. 1). Da parte
mia, sulla base della considerazione di una sola variante, sarebbe troppo arrischiato
prendere posizione; nella concezione del presente lavoro, che mira esclusivamente a chiarire
il rapporto con i modelli italiani, mi premeva – foss’anche sulla scorta di un solo esempio –
di indicare una linea d’indagine, che sposta l’analisi dai concreti oggetti poetici con funzione
di ‘fonte’ all’intero codice poetico, all’interno del quale il testo herreriano è concepito, e dal
quale tuttavia – nelle sue trasformazioni – sembra voler prendere le distanze.
51
«Nunca se insistirá lo suficiente en la importancia que tuvieron en la España del siglo
XVI las Fiori y las Rime scelte de los poetas italianos», afferma con ragione Morros (Algunas
observaciones, cit., p. 149 e cfr. anche la n. 3), confermando la validità di una direttrice
d’indagine già tracciata e seguita da Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo, cit., da Cerrón
Puga nell’introduzione e nelle ricche note della citata edizione della poesia di Francisco de
la Torre, da Manero Sorolla, Imágenes petrarquista, cit., per limitarmi ad alcuni tra i più
significativi contributi.
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PARTE QUARTA
guaggio lirico italiano; uno sforzo che – peraltro – non smentı̀ né il
contributo ancora una volta italiano, né la sostanziale fedeltà al
binomio Petrarca-Garcilaso52.
Quanto al primo fenomeno, dirò in conclusione che su entrambi
i poeti italiani da me scelti pesano giudizi di merito poco lusinghieri.
Del primo – Annibal Caro – già Leopardi, nello Zibaldone, aveva
scritto: «Osservate [...] il Caro, le cui rime sono la sola cosa che di lui
non si legga più»53; a proposito del secondo – Antonfrancesco Raine-
rio – un recente giudizio di Gorni risulta non meno perentorio: «il
breve volo del Rainerio, nel cielo aperto e popolatissimo della lirica
cinquecentesca, par proprio di scarsa tenuta e di debole slancio»54.
Ma proprio perché tali giudizi sono difficilmente confutabili, mi è
parso che valesse la pena di sceglierli a campioni di una verifica, nel
corso della quale è risultato confermato che è la formula del ‘libro di
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rime’ che impone i singoli autori che vi sono inclusi, e non viceversa.
Quanto al secondo fenomeno, nel misurarsi coi modesti modelli
italiani, i poeti spagnoli danno luogo a una notevole varietà di
atteggiamenti e di risultati: si va da chi ricalca la fonte, e – nel farlo –
ricodifica «a lo divino» un motivo quanto mai classico e profano; a
chi preferisce l’arte combinatoria di fonti diverse e – tuttavia –
apparentate, senza rinunciare a un riuso – peraltro, con rincaro – del
modello per antonomasia: Petrarca; a chi – ancora – batte la strada
dello scarto dai modelli più immediati, per esibire – d’altronde – una
fedeltà non pedissequa verso l’altro termine del binomio già classico:
Garcilaso; a chi – infine – porta avanti più di ogni altro lo sforzo di
rinnovamento, ma lo fa mediante un gioco di precisione tale da far
scaturire il massimo di novità dal minimo di deviazione.
È il mondo un po’ chiuso – in non pochi casi, perfino stantı́o –
del petrarchismo del secondo Cinquecento; ma è anche il mondo in
52
Riferendosi soprattutto agli anni settanta del XVI secolo, Alberto Blecua ha sottoli-
neato lo sforzo innovativo in cui furono impegnati alcuni poeti spagnoli, i quali «componen
un tipo de poesı́a que tiene, sı́, como modelo principal a Garcilaso [a cui aggiungerei ancora
il nome di Petrarca], pero también a los poetas que figuran en las rimas y flores de poetas
ilustres italianos – Varchi, Tansillo, Tomitano, Rinieri, Molza –, iniciados por la de Giolito
en 1546 [in effetti, 1545], que no por azar va dedicada a Don Diego Hurtado de Mendoza,
y que tan profundas huellas dejarán en la lı́rica española» (El entorno poético, cit., p. 85). Vd.
anche I. Navarrete, Orphans of Petrarch. Poetry and Theory in the Spanish Renaissance,
California, University of California Press, 1994, in part. il cap. IV, Herrera and the Return to
Style, pp. 126-89 (tr. sp. di A. Cortijo Ocaña, Madrid, Gredos, 1997, pp. 166-243).
53
G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a c. di G. Pacella, vol. I, Milano, Garzanti, 1991, p.
1365 (p. 2534 dell’autografo leopardiano).
54
Gorni, Un’ecatombe di rime, cit., p. 135.
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
Nella seconda delle tre canzoni sorelle, quella della felicità amorosa,
a Lavinello bastano due soli endecasillabi per imbastire una descri-
zione pressoché completa del bel viso di colei che ama:
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Possiamo essere certi che né la bella donna, a cui i versi sono in
prima istanza rivolti, né il contemporaneo lettore degli Asolani, dove
la canzone è allogata, ebbero difficoltà alcuna nel discernere nell’a-
sindetica serie floreale un riferimento al colore pallido e purpureo,
insieme, delle guance di lei, e in quella delle pietre preziose, coordi-
nate per polisindeto, l’allusione, parimenti metaforica, al rossore
delle sue labbra in contrasto coi bianchi denti, unitamente al biondo
della chioma e allo splendore degli occhi.
Si sa che, al tempo del dialogo sull’amore, l’uso metaforico per
designare le parti del volto femminile era già un cliché, che il Bembo
aveva provveduto a ristrutturare, integrandolo in un più generale
programma di riforma poetica. Di un uso inflazionistico vero e
proprio ci toccherà, invece, parlare, allorché varie generazioni di
poeti, dentro e fuori della nostra penisola, decisero di ricorrere
all’originario modello petrarchesco, anche in virtù della restaurazione
che ne aveva fornito il Bembo, fra il trattato menzionato e la
pubblicazione delle Rime, in un periodo che – com’è noto – abbrac-
cia i primi tre decenni del secolo. Tant’è che a un secolo esatto di
1
P. Bembo, Gli Asolani, in Id., Prose e rime, a c. di C. Dionisotti, Torino, UTET, 1966,
2ª ed., p. 475; i versi citati sono tratti dalla canzone «Se ne la prima voglia mi rinvesca», vv.
61-63.
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PARTE QUARTA
le preguntaron qué era la causa de que los poetas por la mayor parte
eran pobres. Respondió que porque ellos querı́an, pues estaba en su
mano ser ricos si se sabı́an aprovechar de la ocasión, que por momen-
tos traı́an entre las manos, que eran las de sus damas. Que todas eran
riquı́simas en estremo, pues tenı́an los cabellos de oro, la frente de
plata bruñida, los ojos de verdes esmeraldas, los dientes de marfil, los
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2
M. de Cervantes, El licenciado Vidriera, in Id., Novelas ejemplares, a c. di J. Garcı́a López,
Barcelona, Crı́tica, 2001, pp. 284-85. Sugli «imposibles y quiméricos atributos de belleza
que los poetas dan a sus damas», si veda anche M. de Cervantes, Don Quijote de la Mancha
(I. 13), ed. diretta da F. Rico, Instituto Cervantes, Barcelona, Crı́tica, 1998, pp. 141-42.
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
Nei densi versi del Bembo, come nella comica risposta satirica
che Cervantes mette in bocca al suo folle personaggio, e ancora nel
sonetto di Quevedo rivolto al cupido navigatore; in ognuno dei testi
evocati, insomma, riconosciamo senza difficoltà, e pur con alcune
varianti, quel «canone breve», che il compianto padre Pozzi ha
mirabilmente ricostruito in alcuni suoi scritti4, e in base al quale
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«alcune parti del volto della donna vengono associate tramite una
figura di analogia a comparanti presi da un prezioso lapidario e da un
finissimo erbario»5. Ricorderò, allora, assai rapidamente, che il ca-
3
Cito da F. de Quevedo, Un Heráclito cristiano, Canta sola a Lisi y otros poemas, a c. di L.
Schwartz e I. Arellano, Barcelona, Crı́tica, 1998, p. 173. Il sonetto, preceduto dall’epigrafe
«Procura cebar la codicia en tesoros de Lisi», fa parte del breve canzoniere, Canta sola a Lisi
y la amorosa pasión de su amante, pubblicato da J. A. González de Salas nel Parnaso español
con las nueve Musas castellanas (Madrid, 1648). Il sonetto è contrassegnato col no 445 in F.
de Quevedo, Obra poética, a c. di J. M. Blecua, Madrid, Castalia, 1969, vol. I, pp. 641-42.
Per la parodia del topos in Quevedo si veda ora Premáticas del Desengaño contra los poetas
güeros, e Discurso de todos los diablos in F. de Quevedo, Prosa, ed. diretta da A. Rey, Madrid,
Castalia, 2003, vol. I, t. I, p. 13 e n. 13, t. II, p. 534, rispettivamente.
4
G. Pozzi, La rosa in mano al professore, Friburgo, Edizioni Universitarie di Friburgo
Svizzera, 1974; Id., Il ritratto della donna nella poesia d’inizio cinquecento e la pittura di
Giorgione, in R. Pallucchini (a cura di), Giorgione e l’Umanesimo veneziano, Firenze, Olschki,
1981, pp. 309-41, poi raccolto, insieme a una Nota additiva alla descriptio puellae, in Id.,
Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993, pp. 145-71 e 173-84, rispettivamente;
Id., Temi, topoi, stereotipi, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana, III, I, Le forme del
testo. Teoria e poesia, Torino, Einaudi, 1984, pp. 391-436, poi raccolto col titolo Sul luogo
comune in Id., Alternatim, Milano, Adelphi, 1996, pp. 449-526. Agli studi di padre Pozzi si
aggiunga, almeno, A. Quondam, Il naso di Laura, in A. Gentile (a cura di), Il ritratto e la
memoria. Materiali I, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 9-44, poi raccolto come Congedo in Id., Il
naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classicismo, Ferrara, Franco Cosimo
Panini Editore, 1991, pp. 291-328.
5
Cosı̀ ha sintetizzato il canone breve A. Bagnolo nel lavoro che ha dedicato allo studio
di esso nella raccolta di novelle cervantine; cfr. La rosa elusa. Il topos della descrizione
femminile nelle Novelas ejemplares, in «Annali di Ca’ Foscari. Rivista della Facoltà di Lingue
e letterature straniere dell’Università di Venezia», XXX, 1-2 (1992), pp. 391-99. Per la
citazione, p. 392. Sui ritratti femminili nell’opera cervantina, si vedano i lavori di M. C.
Ruta, Los retratos femeninos en la Segunda Parte del Quijote, in G. Grilli (a cura di), Actas del
II Congreso Internacional de la Asociación de Cervantistas (Nápoles 4-9 de abril de 1994),
Napoli, Società Editrice Intercontinentale Gallo, 1995, pp. 481-95, e Estereotipos y originali-
dad de lo feo en la escritura cervantina, in M. C. Garcı́a de Enterrı́a e A. Cordón Mesa (a cura
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PARTE QUARTA
di), Actas del IV Congreso Internacional AISO, Alcalá de Henares, Servicio de Publicaciones
de la Universidad de Alcalá, 1998, vol. II, pp. 1143-54, ora rifusi e raccolti col titolo Il
brutto delle donne in Ead., Il Chisciotte e i suoi dettagli, Palermo, Flaccovio, 2000, pp. 159-99,
dove il lettore troverà citata nelle note la bibliografia sull’argomento.
6
Pozzi, Alternatim, cit., p. 460.
7
Cfr. quanto scrive Pozzi, Alternatim, cit., p. 478.
8
Pozzi, Sull’orlo, cit., p. 180.
9
Ivi, p. 167.
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
raggiungerli. Né con ciò la densità metaforica del verso può dirsi
esaustivamente indagata, dal momento che l’aggettivo in rima «fulmi-
nante», da riferire per iperbato alla «hebra sutil», è dettato di nuovo, e
per altra via, dalla motivazione dello splendore, non più del metallo
prezioso, ma dei fulmini che, lanciati sulle onde, finiscono per
richiamare l’immagine del mare agitato dell’incipit del sonetto:
per cui la bella Lisi e il bramoso viaggiatore sono, a loro volta, messi
sullo stesso piano dalle azioni che rispettivamente compiono, perché
l’uno, navigando, agita le acque del mare, mentre l’altra, pettinan-
dosi, solleva le onde della chioma resa pelago procelloso11.
Come non ricordare, allora, la straordinaria prima quartina di un
altro sonetto, che pure forma parte del breve canzoniere di Canta sola
a Lisi:
10
Si tratta del sonetto «¡Oh, tú, que a los peligros e inconstancia», in L. L. de Argensola,
Rimas, a c. di J. M. Blecua, Madrid, Espasa-Calpe, 1972, p. 57. Cfr. D. G. Walters,
Francisco de Quevedo Love Poet, Washington-Cardiff, The Catholic University of America
Press-University of Wales Press, 1985, pp. 91-92.
11
Sul sonetto, oltre a Walters, Francisco de Quevedo, cit., pp. 91-94, si veda I. Navarrete,
Los huérfanos de Petrarca, Poesı́a y teorı́a en la España renacentista, Madrid, Gredos, 1977, pp.
273-75.
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PARTE QUARTA
12
Quevedo, Un Heráclito cristiano, ed. cit., p. 180. Compare col n˚ 449 nella citata ed. di
Blecua di Quevedo, Obra poética, vol. I, pp. 644-45.
13
A. Terry, Quevedo and the Metaphysical Conceit, in «Bulletin of Hispanic Studies»,
XXXV (1958), pp. 211-22; tr. sp. in G. Sobejano (a cura di), Francisco de Quevedo, Madrid,
Taurus, 1978, pp. 58-70, da cui si cita, p. 63.
14
Si vedano i lavori di A. A. Parker, La ‘agudeza’ en algunos sonetos de Quevedo, in Estudios
dedicados a Menéndez Pidal, Madrid, CSIC, 1952, vol. III, pp. 345-60, poi raccolto in
Sobejano (a cura di), Francisco de Quevedo, cit., pp. 44-57; A. Terry, Quevedo and the
Metaphysical Conceit, cit.; M. Molho, Sur un sonnet de Quevedo: En crespa tempestad del oro
undoso (Essai d’analyse intertextuelle), in Mélanges offerts à Charles-Vincent Aubrun, Paris,
Editions Hispaniques, 1975, vol. II, pp. 87-124, tr. sp. in Id. Semántica y poética (Góngora,
Quevedo), Barcelona, Crı́tica, 1977, pp. 168-216 e in Sobejano (a cura di), Francisco de
Quevedo, cit., pp. 343-77 (in tr. it. si può leggere in M. Molho, Semantica e poetica. Góngora,
Quevedo, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 187-232); J. M. Pozuelo Yvancos, El lenguaje lirico
de Quevedo, Murcia, Universidad de Murcia, 1979, pp. 147-59; R. Ter Horst, Death and
Resurrection in the Quevedo’s sonnet: ‘En crespa tempestad’, in «Journal of Hispanic Philolo-
gy», V (1980-1981); P. J. Smith, Quevedo on Parnassus. Allusive Context and Literary Theory
in the Love-Lyric, London, The Modern Humanities Research Association, 1987, pp.
778-84. Sul motivo della chioma in alcuni componimenti di Quevedo, si veda M. G.
Profeti, Quevedo: la scrittura e il corpo, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 65-102.
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
15
Sul canzoniere quevediano, Canta sola a Lisi, si veda il volume di S. Fernández
Mosquera, La poesı́a amorosa de Quevedo. Disposición y estilo desde Canta sola a Lisi, Madrid,
Gredos, 1999. I problemi testuali che la raccolta pone sono ampiamente trattati nell’appen-
dice, Los textos de la poesı́a amorosa de Quevedo, pp. 329-67. Sulla metaforica, in generale, di
Canta sola a Lisi, che è al centro delle presenti pagine, si sofferma il capitolo del libro di
Fernández Mosquera, Los tropos y los tópicos. La metáfora, pp. 57-165. Quanto all’ordine dei
componimenti, a cui nel testo alludo, mi attengo alla princeps del Parnaso Español (Madrid,
1648), pubblicata da José Antonio González de Salas, che, del resto, segue anche l’ed. di
Schwartz e Arellano da cui cito (cfr. supra n. 3).
16
J. Olivares, The love poetry of Francisco de Quevedo, Cambridge, Cambridge University
Press, 1983, p. 67; tr. sp. La poesı́a amorosa de Francisco de Quevedo, Madrid, Siglo
Veintiuno, 1995, p. 86, da cui cito.
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PARTE QUARTA
sua bionda chioma come il sole e l’oro, come avviene nella prima
quartina del nostro sonetto; gli occhi come stelle, nella seconda; e,
nelle terzine, perle e rubini, in luogo dei denti e delle labbra. Solo
che, ora, queste metafore tradizionali sono solo il punto di partenza
18
su cui opera l’ingegno del poeta . Ed ecco, allora, che nei primi versi
Quevedo ricorre a una perifrasi: «cerchio di luce risplendente», per
designare il sole19 a cui, per metafora, sappiamo essere assimilato il
volto ritratto della donna, la cui chioma è significata per mezzo di
una metafora di secondo grado, dal momento che «famiglia d’oro
ardente» indica i raggi solari, i quali, a loro volta, equivalgono ai
capelli di Lisi, perché dello stesso colore dell’oro, e perché cingono il
viso femminile come i raggi sembrano cerchiare la sfera luminosa del
sole, da cui emanano20. C’è il sospetto, però, che le cose possano
17
Pozzi, Sull’orlo, cit., pp. 162-63.
18
Sul sonetto, oltre ai commenti in Quevedo, Un Heráclito cristiano, ed. cit. di Arellano e
Schwartz, pp. 213-14 (e pp. 802-05, per le note complementari) e J. O. Crosby in F. de
Quevedo, Poesı́a varia, Madrid, Cátedra, 1981, pp. 251-52, si vedano le analisi di Smith,
Quevedo on Parnassus, cit., pp. 84-89, e di Olivares, The love poetry, cit., pp. 67-74,
corrispondenti alle pp. 86-94 della citata tr. sp., a cui si aggiungano le più brevi e puntuali
osservazioni di Walters, Francisco de Quevedo Love Poet, cit., pp. 79-80, e di A. Terry,
Francisco de Quevedo: the force of eloquence, in Seventeenthcentury Spanish poetry. The power of
artifice, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 170-72. Di tali commenti,
analisi e osservazioni, il mio discorso sul sonetto è, a vario titolo, debitore.
19
Sul termine cerco per designare il globo solare, si vedano le pertinenti osservazioni di A.
Martinengo, La Astrologı́a en la obra de Quevedo, Madrid, Alhambra, 1983, pp. 137 e ss.
20
La metafora «familia de oro ardiente» si riferisce alla sola bionda chioma della donna, e
non all’amata nella sua integrità, come sembrano suggerire, nel commento all’edizione
citata (p. 214), Arellano e Schwartz, i quali, tuttavia, nella corrispondente nota complemen-
taria (p. 803), accolgono l’ipotesi per cui il sintagma in questione «se puede referir también
al cabello rubio de la amada». La voce «familia» con equivalente valore metaforico, in un
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
essere ancora più complesse. Perché non supporre, difatti, che il sole,
designato con la menzionata perifrasi, non dia luogo a una metafora,
per cosı̀ dire, dilogica, che cioè alluda non solo al volto dipinto di
Lisi, ma anche alla gemma incastonata nel coperchio che chiude
l’angusto compartimento dove si trova il ritratto? Di conseguenza, la
metafora di v. 2 («la sua famiglia d’oro ardente»), con pari valore
determinato dalla dilogia, si riferirebbe tanto alla bionda chioma
dell’amata, quanto all’incastonatura dell’anello che racchiude la
gemma. Insomma, la lettera del testo, con le sue perifrasi e metafore,
rimanderebbe a una trama articolata in tre campi semantici: il sole
cinto dai suoi raggi, la gemma incastonata nell’oro dell’anello, il
volto di Lisi contornato dai biondi capelli.
Più ardita risulta la serie metaforica con cui è ordita la seconda
quartina, dove il punto di partenza di Quevedo è addirittura la
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contesto di poesia amorosa si ritrova nei sonetti «Non sino fuera yo quien solamente» e, in
Canta sola a Lisi, «También tiene el Amor su astrologı́a» (rispettivamente, i nn. 301 e 482
della citata edizione di Blecua: Quevedo, Obra poética, vol. I, pp. 492 e 663.
21
Pozuelo Yvancos, El lenguaje poético de la lı́rica amorosa de Quevedo, cit., p. 342. Per
l’immagine gongorina, si veda la relativa nota di commento in L. de Góngora, Soledades, ed.
di R. Jammes, Madrid, Castalia, 1994.
22
Walters, Francisco de Quevedo, cit., p. 80.
23
Sulla concentrazione delle metafore minerali, si veda anche Fernández Mosquera, La
poesı́a amorosa, cit., pp. 103-06. Alla bocca, «nel quadro della tipologia amatoria petrarchista
e degli scarti effettuati da Quevedo», M. G. Profeti ha dedicato il capitolo La bocca della
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PARTE QUARTA
dama: codice petrarchista o trasgressione barocca, in Quevedo: la scrittura e il corpo, cit., pp.
103-23.
24
Una sinestesia che presenta dei tratti comuni, sempre nella raccolta Canta sola a Lisi, è
«sonoro clavel», nel sonetto «Rizas en ondas ricas del rey Midas», v. 14. Sull’abusato valore
metaforico di yelo, si possono leggere le osservazioni di Fernández Mosquera, La poesı́a
amorosa de Quevedo, cit., pp. 119-26.
25
Sui numerosi precedenti della metafora quevediana, si vedano: A. Prieto, Sobre
literatura comparada, in «Miscellanea di studi ispanici», 1966-1967, pp. 310-54, in part. le
pp. 340-41; J. Arce, Tasso y la poesı́a española, Barcelona, Planeta, 1973, pp. 78-79; M. del
P. Manero Sorolla, «Relámpagos por risas»: nuevos precedentes en la lı́rica petrarquista italiana
anterior a Quevedo, in «Anuario de Filologı́a», 8 (1982), pp. 297-309, ripreso parzialmente in
Ead., Imágenes petrarquistas en la lı́rica española del Renacimiento. Repertorio, Barcelona, PPU,
1990, pp. 533-38.
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QUEVEDO E IL CANONE BREVE
26
F. Petrarca, Canzoniere, ed. di M. Santagata, Mondadori, Milano, 2004, da cui si cita
anche il testo della canzone «In quella parte dove Amor mi sprona».
27
L’espressione, riferita al sonetto di cui stiamo trattando, si legge in Olivares, The love
poetry, cit., p. 68; tr. sp., p. 84.
28
Martinengo, La Astrologı́a, cit., p. 138.
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LETTURA DEL SONETTO
«LO QUE ME QUITA EN FUEGO ME
DA EN NIEVE» DI QUEVEDO:
FRA TRADIZIONE E CONTESTI
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1
D. Alonso, «Poesı́a española» y otros estudios, in Obras completas, Madrid, Gredos, 1989,
vol. IX, p. 422.
2
F. Rico, A falta de epı́logo, in Breve biblioteca de autores españoles, Barcelona, Seix Barral,
1990, pp. 269-300; cito dalla p. 296.
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PARTE QUARTA
3
Tutte le citazioni sono tratte da M. Blanco, Introducción al comentario de la poesı́a
amorosa de Quevedo, Madrid, Arco Libros, 1998, pp. 16-17.
4
Rico, A falta de epı́logo, in Breve biblioteca, cit., p. 280. Il sonetto commentato da Rico,
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LETTURA DEL SONETTO
«una de las cumbres de la lı́rica quevedesca», è Cerrar podrá mis ojos. Un concetto analogo si
legge all’inizio del libro di P. J. Smith, Quevedo on Parnassus. Allusive Context and Literary
Theory in the Love-Lyric, London, The Modern Humanities Research Ass., 1987, p. 1: «In
an age when poetry is erudition, to write is to inscribe oneself in a tradition of canonic
texts».
5
Blanco, Introducción al comentario de la poesı́a amorosa, cit., p. 41.
6
F. de Quevedo y Villegas, Obra poética, a c. di J. M. Blecua, Madrid, Castalia, 1969,
vol. I, p. 495. Ho anche tenuto presenti le seguenti edizioni con i rispettivi commenti: Poesı́a
original completa, a c. di J. M. Blecua, Barcelona, Planeta, 1981, pp. 344-45; Poesı́a varia, a
c. di J. O. Crosby, Madrid, Cátedra, 1981, pp. 221-22 e, soprattutto, Un Heráclito cristiano,
Canta sola a Lisi y otros poemas, a c. di I. Arellano e L. Schwartz, Barcelona, Crı́tica, 1998,
p. 137.
7
Si vedano J. M. Oliver, Comentarios a la poesı́a de Quevedo, Madrid, Sena, 1984, pp.
185-207; M. G. Profeti, Quevedo: la scrittura e il corpo, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 23-28; D.
G. Walters, Francisco de Quevedo Love Poet, Cardiff, University of Wales Press, 1985, pp.
59-60; S. Fernández Mosquera, La poesı́a amorosa de Quevedo. Disposición y estilo desde
«Canta sola a Lisi», Madrid, Gredos, 1999, p. 118, dove la breve nota sul sonetto si colloca
nella più ampia analisi dell’antitesi fuego/agua (pp. 109-26).
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PARTE QUARTA
8
J. G. Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo en España, Madrid, Revista de Filologı́a
Española-Anejo LXXII, 1960, p. 202.
9
Sulla teoria dell’epigramma, nel contesto della poetica concettista, si veda M. Blanco,
Les Rhétoriques de la Pointe. Baltasar Gracián et le Conceptisme en Europe, Paris, Honoré
Champion, 1992, pp. 157-200; della stessa studiosa, si veda anche l’analisi del sonetto di
Quevedo Bastábale al clavel verse vencido, come sonetto epigrammatico, in Introducción al
comentario de la poesı́a amorosa, cit., pp. 39-48.
10
A. Balduino, La ballata XI, in «Atti e memorie dell’Accademia patavina di Scienze
Lettere ed Arti», CVII (1994-1995), pp. 301-16; cito dalla p. 310.
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LETTURA DEL SONETTO
11
F. Petrarca, Canzoniere, a c. di M. Santagata, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1022-23.
Gli altri due testi che presentano lo stesso motivo, sono il sonetto Orso, e’ non furon mai
fiumi né stagni, pp. 212-14, e la canzone Gentil mia donna, i’ veggio, pp. 370-79.
12
L’aggettivo celeste, che nel Canzoniere presenta 15 occorrenze, sembra riferirsi sempre
all’ambito divino, come tale, o alla natura angelica di Laura, mai al soggetto del poeta, con
l’unica eccezione del nostro sonetto.
13
G. Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi,
1977, p. 98.
14
Sulla tematica, qui appena sfiorata, oltre al volume citato nella nota precedente, è
imprescindibile – soprattutto per l’ambito spagnolo – il libro di G. Serés, La transformación
de los amantes. Imágenes del amor de la Antigüedad al Siglo de Oro, Barcelona, Crı́tica, 1996.
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PARTE QUARTA
15
B. Montemagno, Le Rime dei due Buonaccorso da Montemagno, a c. di R. Spongano,
Bologna, Patron, 1970, pp. 36-47.
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LETTURA DEL SONETTO
16
F. Gallo, Rime, a c. di M. A. Grignani, Firenze, Olschki, 1973, p. 324.
17
G. B. Strozzi il Vecchio, Madrigali, a c. di L. Sorrento, Strasbourg, Heitz («Bibliotheca
Romanica»), 1909, p. 72, che ristampa l’antica edizione del Sermartelli (Firenze 1593).
18
G. B. Strozzi, Madrigali inediti, a c. di M. Ariani, Urbino, Argalı̀a, 1975, p. 84, dove il
lettore troverà l’ampio studio introduttivo Giovan Battista Strozzi, il Manierismo e il Madri-
gale del ’500: strutture ideologiche e strutture formali, pp. VII-CXLVIII.
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PARTE QUARTA
Luigi Groto, difatti, più volte ristampate a partire dal 1584, ma con
dedica datata 1577, si trova anche il madrigale che Fucilla segnalò
come il più immediato precedente di Quevedo:
dove all’appello dei fattori presenti nei testi finora ricordati, manca il
solo effetto iperbolico, il quale risulta assente, avendo fatto posto
all’argutia finale della mano-neve disciolta dagli ardenti raggi degli
occhi-sole, a cui invero prepara l’intero componimento. Qualcosa di
simile, del resto, suggeriva un madrigale di Gutierre de Cetina, nel
quale però il motivo della mano che copre risulta brillantemente
sviluppato in assenza della consueta antitesi, dal momento che il
poeta preferı̀ avvalersi solo di una delle due potenziali metafore,
quella che assimila gli occhi al sole, del quale peraltro è reso funzio-
nale l’insostenibile resplandor più che l’ardore intenso messo a pro-
fitto dai testi italiani:
19
L. Groto, Cieco d’Hadria, Rime, Venezia, Appresso Fabio e Agostino Zoppina, 1584,
p. 82. Cfr. Fucilla, Estudios sobre el petrarquismo, cit., pp. 202-3. Interessanti considerazioni
sulla presenza di Groto nella poesia di Quevedo possono leggersi in A. Martinengo, La
astrologı́a en la obra de Quevedo, Madrid, Alhambra, 1983, pp. 130 e ss.
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LETTURA DEL SONETTO
yo os perdono la ofensa,
pues, cubiertos, mejor verlos dejastes20.
20
G. de Cetina, Sonetos y madrigales completos, a c. di B. López Bueno, Madrid, Cátedra,
1981, p. 134. Per una valutazione dei madrigali di Cetina, si veda B. López Bueno, Gutierre
de Cetina, poeta del Renacimiento español, Sevilla, Diputación Provincial de Sevilla, 1978, pp.
240-49. Sulle complesse relazioni del sonetto di Garcilaso, Con ansia estrema de mirar qué
tiene, con quello di Petrarca qui considerato, mi sia concesso di rimandare a A. Gargano,
«Medusa e l’error mio…». La genealogia petrarchesca del sonetto XXII, in Id., Fonti, miti, topoi.
Cinque studi su Garcilaso, Napoli, Liguori, 1988, pp. 27-54.
21
Profeti, Quevedo: la scrittura e il corpo, cit., p. 28.
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PARTE QUARTA
Hipócrita Mongibelo,
Nieve ostentas, fuego escondes;
¿Qué harán los humanos pechos,
Pues saben fingir los montes?
addotto tra gli esempi che arricchiscono il discurso VIII, a sua volta
dedicato a las ponderaciones de contrariedad, a proposito delle quali, a
principio del capitolo, Gracián dichiara che «unir a fuerza de discurso
dos contradictorios extremos, estremo arguye de sutileza»22.
Nell’esordio del sonetto quevediano, alla consueta antitesi conse-
guente alla doppia metafora: ojos=fuego e mano=nieve, si somma la
nuova coppia dei termini verbali in contrasto: quita e da, la cui azione
però – operando in totale simultaneità – sembra risolversi nell’esito
di un sostanziale pareggio. Ma sono i versi che subito seguono a
trasformare un pareggio finora solo quantitativo in una parificazione
essenzialmente qualitativa, posto che essi contengono la dichiara-
zione dell’identico effetto prodotto nell’amante dai «dos contradicto-
rios extremos». E cosı̀, le due litoti che introducono le rispettive
comparazioni: no… menos, ni menos, piuttosto che attenuare, inten-
dono accentuare iperbolicamente il contrario, suggerendo quindi di
porre un segno d’uguaglianza tra gli elementi, che in principio si
presentano come opposti. Difatti, nel v. 3, il ravvicinamento, che
pure sembra circoscriversi – con maggiore aderenza alla logica dei
contrari – al solo effetto distruttivo (mata), in realtà finisce per
estendersi fino all’identità, se consideriamo la modalità con cui la
morte simbolica dell’amante si determina. Il rigor che la causa va,
senza alcun dubbio, inteso nel senso di ‘aspereza o crueldad’ della
dama, come in tanti altri luoghi della poesia amorosa di Quevedo;
ma, nel contesto della quartina è improbabile che il termine non sia
22
B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, a c. di E. Correa Calderón, Madrid, Castalia,
1969, vol. I, pp. 107 e 105, rispettivamente.
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LETTURA DEL SONETTO
23
Quevedo, Obra poética, ed. cit., vol. I, pp. 554-55, dove, tuttavia, il componimento
appare separato dagli altri tre idilli finali di Canta sola a Lisi. Sulla questione, qui marginale,
si veda la nota complementare di Arellano e Schwartz, Un Heráclito cristiano, ed. cit., pp.
857-58, dove si troverà anche la bibliografia pertinente.
24
Gracián, Agudeza y arte de ingenio, ed. cit., vol. I, p. 106.
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PARTE QUARTA
25
Oliver, Comentarios a la poesı́a de Quevedo, cit., p. 192.
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LETTURA DEL SONETTO
26
Utilizzo l’utile lavoro di S. Fernández Mosquera e A. Azaustre Galiana, Índices de la
poesı́a de Quevedo, Barcelona, Universidad de Santiago de Compostela – PPU, 1993. Il
sintagma «monte aleve» compare nel sonetto Ostentas de prodigios coronado, sul quale si veda
l’ultimo paragrafo di queste note.
27
Blanco, Les Rhétoriques de la Pointe, cit., pp. 258-59.
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PARTE QUARTA
28
Gracián, Agudeza y arte de ingenio, ed. cit., vol. I, p. 106.
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LETTURA DEL SONETTO
ad altri dello stesso genere di Quevedo. Limiti che – sia ben chiaro –
non sono affatto da addebitare al carattere convenzionale dell’anti-
tesi, da cui parte e di cui si nutre il sonetto, perché – se cosı̀ fosse –
non ci spiegheremmo come da temi o motivi altrettanto convenzio-
nali nascano, nella poesia di Quevedo, autentici gioielli del gusto
barocco29. È che, una volta conclusa la trama ingegnosa nella se-
conda quartina, il resto del componimento, nonostante il sottile
gioco di ipotesi che si escludono mutuamente, è ben lungi dall’esi-
bire quella densità concettosa che eccita la fantasia e l’intelligenza
dei lettori, quando godono dei migliori prodotti della poesia queve-
diana. E, a ben vedere, perfino nelle quartine, dove pure la pondera-
ción de contrariedad è in grado di generare la fitta rete di concetti, che
ci siamo sforzati di ricostruire; questi – i concetti – solo in una
misura moderata danno luogo alla complessa interazione di diversi
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29
Dei sette sonetti dedicati ad Aminta, con l’unica eccezione del n. 308, R. Moore ha
scritto che essi «are trivial and commonplace» (Toward a Chronology of Quevedo’s Poetry,
Fredericton, York Press, 1977, p. 9). Sulla «desigualdad efectiva» della poesia amorosa di
Quevedo, si vedano le osservazioni, ultime nel tempo, di A. Carriera, Quevedo en fárfara:
calas por la periferia de la poesı́a amorosa, in «Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche», III
(2000), pp. 175-95, dove l’analisi di una dozzina di componimenti erotici, tra i meno letti,
permette allo studioso di «sorprender al poeta en plena gestación, lucrando aún con los
tópicos petrarquistas cuya renovación se le resiste» (pp. 181-82). Per una concisa e molto
utile rassegna degli studi più significativi sulla poesia amorosa di Quevedo, si veda ora il
Prólogo di Arellano e Schwartz alla citata antologia della poesia di Quevedo, pp. LXI-
LXVII.
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PARTE QUARTA
30
I testi dei due componimenti in Quevedo, Obra poética, ed. cit., vol. I, pp. 493 e
554-55, rispettivamente.
31
M. Blanco, Mythe et hyperbole dans la poésie amoureuse de Quevedo, in M. L. Ortega (a
cura di), La poésie amoureuse de Quevedo, Paris, ENS Éditions, 1997, pp. 113-29, in part. p.
127.
32
J. M. Pozuelo Yvancos, El lenguaje poético de la lı́rica amorosa de Quevedo, Murcia,
Universidad de Murcia, 1979, p. 171.
33
Blanco, Mythe et hyperbole, cit., p. 128.
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LETTURA DEL SONETTO
34
Quevedo, Obra poética, ed. cit., vol. I, p. 504.
35
Ivi, pp. 672-73; si tratta del sonetto ¿Ves con el polvo de la lid sangrienta?.
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PARTE QUARTA
36
Ivi, vol. I, pp. 507-8.
37
Walters, Francisco de Quevedo Love Poet, cit., p. 89.
38
Pozuelo Yvancos, El lenguaje poético, cit., pp. 276-77; J. Olivares, La poesı́a amorosa de
Francisco de Quevedo, Madrid, Siglo Veintiuno, 1995, pp. 25-28; Blanco, Introducción al co-
mentario de la poesı́a amorosa, cit., pp. 56-63 e Ead., La poésie amoureuse de Quevedo, cit., pp.
122-28.
39
Quevedo, Obra poética, ed. cit., vol. I, pp. 487-88.
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LETTURA DEL SONETTO
40
Blanco, La poésie amoureuse de Quevedo, cit., p. 125.
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PARTE QUARTA
fuoco che si espande nelle sue cavità interne. In tutto ciò, non è
difficile riconoscere, tradotto nei termini di un’improbabile succes-
sione di fenomeni vulcanici, il processo amoroso che è alla base di
tanta letteratura dello stesso genere: la visione dell’oggetto amato e la
conseguente formazione dell’immagine interiore che, attivando in-
torno a sé l’immoderata cogitatio del soggetto, è all’origine degli spirti
infiammati dagli stilnovisti in avanti. La tradizione, convertita dall’a-
buso in mera convenzione, prova a rinascere dalle sue stesse ceneri,
grazie al riscatto – non sempre risolutivo, in verità – che le offre
l’elaborazione ingegnosa, la quale – per la sua logica equivoca, e
contro il positivismo scientifico contemporaneo – ripropone
41
J. Rousset, L’intérieur et l’extérieur. Essais sur la poésie et sur le théâtre au XVIIe siècle,
Paris, José Corti, 1998, p. 67.
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
1
E. Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, Venezia, Baglioni, 1669 [1ª ed., 1654], p. 36.
2
E. Asensio, Un Quevedo incógnito. Las «Silvas», in «Edad de Oro», II (1983), pp. 13-48.
Cito da p. 21.
3
M. A. Candelas Colodrón, Las silvas de Quevedo, Vigo, Universidad de Vigo, 1977.
Cito da p. 167.
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PARTE QUARTA
4
Ibid.
5
I sei componimenti menzionati, nella classica edizione di J. M. Blecua: F. de Quevedo,
Obra poética, 4 voll., Madrid, Castalia, 1969-1981, hanno la seguente numerazione: «¿Qué
tienes que contar, reloj molesto», n. 139, vol. I, pp. 270-72; «El metal animado», n. 140, vol.
I, pp. 272-73; «¿Ves Floro, que, prestando la Arismética», n. 141, vol. I, pp. 273-74;
«Ostentas, ¡oh felice!, en tus cenizas», n. 380, vol. I, p. 536; «Este polvo sin sosiego», n. 420,
vol. I, p. 599; «A moco de candil escoge, Fabio», n. 552, vol. II, p. 29. La selva «¿Qué tienes
que contar» è raccolta anche in F. de Quevedo, Poesı́a varia, a c. di J. O. Crosby, Madrid,
Cátedra, 1981, pp. 507-08, con un breve commento finale, mentre il sonetto «A moco de
candil», oltre allo studio di R. M. Price, The lamp and the Clock: Quevedo’s Reaction to a
Commonplace, in «Modern Language Notes», LXXXII (1967), pp. 198-209, ha ricevuto
l’edizione con ricche note esplicative di I. Arellano, Poesı́a satı́rico-burlesca de Quevedo:
estudio y anotación filológica de los sonetos, Pamplona, Ediciones Universidad de Navarra,
1984, pp. 430-31 e di L. Schwartz e I. Arellano, in Quevedo, Un Heráclito cristiano, Canta
sola a Lisi y otros poemas, Barcelona, Crı́tica, 1998, p. 342. Sul sonetto «Ostentas, ¡oh felice!,
en tus cenizas», si vedano le brevi considerazioni di D. G. Walters, Francisco de Quevedo,
Love Poet, Washington-Cardiff, The Catholic University of America Press-University of
Wales Press, 1985, pp. 166-67. Sul genere della selva quevediana, oltre al già menzionato
libro di Candelas Colodrón, si veda Asensio, Un Quevedo incógnito, cit.; P. Jauralde Pou,
Las silvas de Quevedo, in B. López Bueno (a cura di), La silva, Grupo de Investigación
P.A.S.O., Universidad de Sevilla e Universidad de Córdoba, 1991, pp. 157-80. Sull’edi-
zione aldina di Stazio (Sylvarum libri quinque, Thebaidos libri duodecim, Achilleidos duo,
Venecia, 1502), che appartenne alla biblioteca di Quevedo e «which along with Quevedo’s
signature also containes a significant number of annotations in his hand» (p. 132), si veda,
H. e C. Kallendorf, Conversations with the Dead: Quevedo and Statius, Annotation and
Imitation, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LXIII (2000), pp. 131-68.
6
D. L. Heiple, Mechanical Imagery in Spanish Golden Age Poetry, Madrid, José Porrúa
Turanzas («Studia humanitatis»), 1983.
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
7
Candelas Colodrón, Las silvas de Quevedo, cit., p. 167.
8
V. Bonito, L’occhio del tempo. L’orologio barocco fra scienza, letteratura ed emblematica,
Bologna, CLUEB, 1995, pp. 71-72. Dello stesso autore può vedersi anche l’antologia di
poesie barocche italiane dedicate all’orologio, Le parole e le ore. Gli orologi barocchi: antologia
poetica del Seicento, Palermo, Sellerio, 1996.
9
Bonito, L’occhio del tempo, cit., p. 93. Si veda anche J. Gallego, Visión y sı́mbolos en la
pintura española del Siglo de Oro, Madrid, Cátedra, 1996, pp. 220-23.
10
Bonito, L’occhio del tempo, cit., p. 18.
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PARTE QUARTA
11
Si legga, per esempio il seguente passo che pronuncia il Desengaño all’inizio del Mundo
por de dentro, in F. de Quevedo, Los sueños, a c. di I. Arellano e M. C. Pinillos, Madrid,
Espansa-Calpe, 1998, p. 182: «¿Entiendes de cuánto precio es una hora? ¿Has examinado el
valor del tiempo? Cierto es que no, pues ası́, alegre, le dejas pasar hurtado de la hora que
fugitiva y secreta te lleva preciosı́simo robo. ¿Quién te ha dicho que lo que ya fue volverá
cuando lo hayas menester si le llamares? Dime ¿has visto algunas pisadas de los dı́as? No
por cierto, que ellos solo vuelven la cabeza a reı́rse y burlarse de los que ası́ los dejaron
pasar. Sábete que la muerte y ellos están eslabonados y en una cadena, y que cuando más
caminan los dı́as que van delante de ti, tiran hacia ti y te acercan a la muerte, que quizá la
aguardas y es ya llegada, y según vives, antes será pasada que creı́da». Sulle fonti senechiane
del passo, si vedano le osservazioni di J. O. Crosby, in F. de Quevedo, Sueños y discursos, 2
voll., Madrid, Castalia, 1993, vol. II, p. 1323 e, per un commento stilistico L. Schwartz
Lerner, Metáfora y sátira en la obra de Quevedo, Madrid, Taurus, 1983, pp. 114-16. Sul tema
della morte e del passaggio del tempo nella poesia morale di Quevedo, si vedano le
appropriate osservazioni di A. Rey, Quevedo y la poesı́a moral española, Madrid, Castalia,
1995, pp. 88-90, nelle cui note il lettore troverà ulteriore bibliografia in proposito.
12
Quevedo, Obra poética, ed. cit., n. 141, vv. 1-3.
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
¿Agradeces curioso
el saber cúanto vives,
y la luz y las horas que recibes?
13
Sulla selva si veda il commento di Heiple, Mechanical Imagery, cit., pp. 135-38, e, in
particolare, sui versi citati, si leggano le seguenti osservazioni: «The more likely interpreta-
tion would be that the phrases “a su meridiano” and “a su altura” equivocally refer to both
the “linea”, the shadow on the clock, and to the sun itself which is at full ascent at midday,
suggesting the fullness of life, and a forthcoming descent and decline» (pp. 136-37), che, a
mio parere, forzano abbastanza il significato dei versi in questione.
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PARTE QUARTA
D’ora in poi – siamo quasi alla metà del testo –, non più
domande con cui indirizzare lo sguardo di Floro sull’orologio e
incoraggiare la sua riflessione sulla ricca e luminosa vita avvenire. A
partire dal v. 11, col minaccioso empero iniziale, si sussegue fino alla
fine del componimento una serie di ammonimenti, nei quali Floro
vede rovesciarsi nel loro contrario tutti gli elementi che finora gli si
erano presentati favorevolmente:
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
14
Salmo, 38, 7.
15
Paralipomenon, 29, 15.
16
Iob, 14, 1-2.
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PARTE QUARTA
17
IV Regum, 20, 9-11.
18
Per la tradizione classica, in relazione a umbra, si vedano le note del commento di A.
Rey ai versi 9-11 del sonetto «Ven ya, miedo de fuertes y de sabios», in F. de Quevedo,
Poesia moral (Polimnia), 2ª ed. rivista e ampliata, London, Tamesis, 1999, pp. 214-16.
19
L. Febvre, Le problème de l’incroyance au XVIe siècle. La religion de Rabelais, Paris,
Editions Albin Michel, 1968; tr. it., Torino, Einaudi, 1978, p. 378.
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
20
Su questo componimento, si veda il commento di Heiple, Mechanical Imagery, cit., pp.
171-74.
21
E. Asensio, Reloj de arena y amor en una poesı́a de Quevedo (fuentes italianas y derivaciones
españolas), in «Dicenda», VII (1988), (Arcadia. Estudios y textos dedicados a Francisco López
Estrada, a c. di A. Gómez Moreno, J. Huerta Calvo e V. Infantes), pp. 17-32; cito da p. 26.
Alcuni anni prima il maestro aveva già scritto: «El Reloj de arena o clepsidra es para mı́ la
mejor de las cuatro composiciones que dedicó Quevedo a los relojes, tema obsesivo, ligado
en su poesı́a no a la belleza o ingeniosidad del objeto, sino al paso del tiempo y a la
fragilidad del vivir» (Asensio, Un Quevedo incógnito, cit., p. 26).
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PARTE QUARTA
risulta inefficace due volte, vuoi quando gli tocca di misurare una
durata incommensurabilmente piccola, vuoi quando si tratta di con-
teggiare un numero eccessivamente grande di unità. Nel primo caso,
difatti, la brevità della vita rende, se non impossibile, almeno super-
flua l’attività dell’orologio, come illustrano i versi iniziali della selva:
is “breve y estrecha” like the neck of the glass, it goes from one pole
to the other as the sands pass from one bulb to another, and it is a
single “paso”, just as the sands fall in one continous movement»23.
Nel secondo caso, invece, è l’enormità delle pene d’amore di cui
soffre il poeta a rendere irrealizzabile il compito dell’orologio, se
sono queste e non le ore che esso si sforza di calcolare:
dove l’iperbolica ipotesi di una clessidra che, pur essendo piena della
sabbia dell’oceano, nondimeno sarebbe inferiore al suo compito, è al
servizio dell’amplificazione di una passione amorosa che assume, a
sua volta, i connotati dell’immensità marina24.
22
È noto che di questa selva si conservano due redazioni, quella pubblicata in Las tres
Musas (1670) e quella che Juan Antonio Calderón incluse in un manoscritto datato 1611 e
che ha il titolo di Segunda parte de las Flores de poetas ilustres de España. Per i testi delle due
redazioni, si veda l’edizione di Blecua, in Quevedo, Obra poética, ed. cit., vol. I, pp. 270-72.
Qui si fa riferimento esclusivamente alla redazione del testo a stampa.
23
Heiple, Mechanical Imagery, cit., p. 144.
24
In un lavoro inedito di Mercedes Blanco su «El reloj de arena», la cui lettura debbo alla
cortesia dell’autrice, a proposito dei versi appena commentati, si legge che «El concepto por
correspondencia […] consiste en la doble motivación del término las arenas, sı́mbolo del
número incontable de los trabajos y las penas, y descripción de un referente objetivo, el
reloj de arena». Più in generale, il senso della selva, secondo la menzionata studiosa,
consisterebbe in «una reflexión sobre el tiempo y la condición humana que podrı́amos
compendiar en un oxı́moron: la vida mortal se reduce a casi nada, y, sin embargo, es un
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QUEVEDO E LE «POESÍAS RELOJERAS»
Versi, a proposito dei quali è stato scritto che «la tecnica gno-
mico-epigrammatica della chiusura del sonetto procede verso la con-
densazione del pensiero, nel giro corto e laconico della stessa terzi-
na»26. Ma, al di là delle diverse soluzioni tecniche dettate da generi
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PARTE QUARTA
metrici cosı̀ diversi come la selva e il sonetto, una questione nei cui
meandri non è ora il caso di addentrarsi, interessa sottolineare il fatto
che le «poesı́as relojeras» di Quevedo non solo ebbero ampia eco
nella poesia spagnola, come ha ben documentato Asensio nella
seconda parte dello studio da me citato all’inizio di queste note, ma
contribuirono in maniera significativa ad alimentare le trame simboli-
che di cui sono intessuti i sonetti di Ciro di Pers; cosicché il debito
contratto dalla cultura letteraria spagnola nei confronti di quella
italiana, attraverso Quevedo, fu una volta ancora restituito con gli
interessi maturati nella poesia dello stesso Quevedo.
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
Aubrun, Ch. V., 104n. Boccaccio, Giovanni, 8, 11, 12, 29, 39,
Avalos, Alfonso d’, marchese del Vasto, 40, 57, 86, 112n., 114
203-205 e n., 206 e n., 207-210 e Bognolo, A., 249n.
n., 211 e n., 212-215 Boiardo, Matteo Maria, 20, 54, 55 e n.,
Azáceta, J. M., 127 e n., 131, 132n. 56, 82, 196 e n.
Azar, I., 195n., 201n. Bologna, C., 51n.
Azaustre Galiana, A., 271n. Bonaventura da Bagnoregio (Giovanni
Fidanza), 133
Baeza, Ricardo, 38 Bonelli, Michele, 224n.
Balart, Federico, 36 Boninsegni, Iacopo Fiorino de’, 116,
Balbuena, Bernardo de, 20, 27 119 e n., 182 e n., 183 e n.
Baldacci, L., 58, 59n., 229n. Bonito, V., 281 e n., 289n., 290n.
Balduino, A., 53n., 262n. Bonora, E., 124n.
Bandello, Matteo, 28, 29 Borgia, Giovanni Antonio, 227
Barahona de Soto, Luı́s, 20 Borsetto, L., 59n.
Bàrberi Squarotti, G., 83n., 110n., Boscaini, G., 40
157n. Boscán Almogáver, Juan de, 10, 14-19,
Barbiellini Amidei, B., 56n. 25, 62, 63, 66, 128, 139n., 141, 142,
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INDICE DEI NOMI
Camões, Luı́s Vaz de, 66 e n., 67 Cerda, Juan de la, duca di Medinaceli,
Canal Gómez, M., 96n. 128
Canavaggio, J., 113n. Cerrón Puga, M. L., 223n., 224n.,
Candelas Colodrón, M. A., 279n., 280 235n.-237n., 240n.
e n., 281n. Cervantes, Miguel de, 4, 27-29, 248 e
Cane, A., 72n. n., 249
Canher, M., 90n., 92n. Cesano, Bartolomeo, 224n.
Cantelmo, Giovanni, conte di Popoli, Cetina, Gutierre de, 17, 203-205 e n.,
82, 96 e n., 97 e n., 100, 109 206n., 208 e n., 209 e n., 266, 267n.
Cantù, Cesare, 34 Chevalier, M., 41
Cañedo, J., 112n. Chiabrera, Gabriello, 31, 157, 158 e n.,
Capece, Scipione, 147 162, 164
Caracciolo, Giovan Francesco, 48, 55, Chiodo, D., 194n., 242n.
89, 101 Chirilli, E., 125n.
Caracciolo, Giulio Cesare, 123 Ciceri, M., 112n., 114, 115n.
Caravaggi, G., 7n., 16n., 21n., 26n., Cicerone, Marco Tullio, 230
39-41, 101n., 204n., 219n. Cienfuegos, Nicasio Álvarez de, 30
Cardona, Maria di, marchesa di Padula, Ciliberto, M., 73n.
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143, 144, 147, 150, 194 Ciminelli, Serafino de’, detto l’Aquila-
Carducci, Giosuè, 36, 37, 43, 157n., no, 25, 48, 54, 55, 67, 70, 71
162n., 169n. Claudiano, Claudio, 230
Cariteo, vd. Gareth Claverı́a, C., 142n., 222n.
Carlo III, re di Spagna, Napoli e Sicilia, Coester, A., 42
31 Coletta, 101
Carlo V, imperatore, 5, 18, 63, 144, Coll i Julià, N., 100n.
150, 163, 164, 208n. Colletta, Pietro, 34
Carlo VIII, re di Francia, 149 Colli, Vincenzo, detto il Calmeta, 167 e
Caro, Annibal, 219, 226, 227 e n., 228, n., 168
229 e n., 230, 231, 233, 234, 238, Coloma, Juan de, 222
239n., 244 Colombo, Ferdinando, 127n.
Carrai, S., 47n., 53n., 56n., 81n., Colonna, Vittoria, 66, 204
115n.-117n., 119n., 181n., 182n., Coluccia, R., 81 e n., 82 e n., 90n.
184n., 196n. Comas, A., 63n.
Carrara, E., 117n., 182n., 184n., Compagna Perrone Capano, A. M.,
186n., 192n., 194n. 93n.
Carriera, A., 273n. Constable, Henry, 72
Cartagena, Alonso de, 11, 12 Conti, Giambattista, 31
Carvajal, 79, 80, 83, 84 e n., 85 e n., 86 Conti, Giusto de’, 53, 54 e n., 55, 116
e n., 87, 94, 95, 99-102 e n., 103 e e n., 118, 182n.
n., 105 e n., 106 e n., 107, 108 e n., Conti, Vincenzo, 224n.
109 Contini, G., 47 e n., 106n., 130 e n.,
Cascales, Francisco, 24, 26, 41 136
Castelvetro, Lodovico, 24 Cooper, H., 112n., 184n.
Castiglione, Baltassar, 5, 18 e n., 19, Coppetta, vd. Beccuti
41, 196 e n. Cordón Mesa, A., 249n.
Castillo, Hernando del, 14, 62, 91, Correa Calderón, E., 211n., 268n.
142, 145, 221 Corsi, Pietro, 196
Cátedra, P. M., 90n., 95n. Cortada, Joan, 33
Catullo, Gaio Valerio, 70, 161 Corti, M., 47 e n., 51, 56 e n., 82 e n.,
Catulo, Quinto Lutazio, 230 83n., 89n., 94 e n., 98n., 101n. , 109
Cefala, Costantino, 159 e n., 117n., 182n., 183n., 184 e n.,
Cerboni Baiardi, G., 170n. 185n., 186n., 189, 191n., 192n.
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López Bueno, B., 150n., 206n., 208n., Massot i Muntaner, J., 90n.
209n., 239n., 267n., 280n. Mauro, A., 56n., 187n.
López de Aguirre, 26 Mazzacurati, G., 57, 58n.
López de Ayala, Pero, 11 Medici, Lorenzo de’, detto il Magnifico,
López de Mendoza, Íñigo, marchese di 54, 56, 113n., 115
Santillana, 6 e n., 7-9, 12, 15, 39, 86 Medina, Francisco de, 19
López Estrada, F., 220n. Medrano, Francisco de, 25
López Pinciano, Alonso, 23, 24, 27 Mele, E., 200n., 206n., 210n.
López Soler, Ramón 33 Meléndez Valdés, Juan, 30
Lucena, Juan de, 7, 12 Mena, Juan de, 8, 39, 91, 95n.
Lumdsen, A., 195n. Meneghini, M., 55n.
Luzán, Ignacio de, 30, 42 Menéndez Pelayo, M., 18, 22 e n., 35,
112, 155 e n., 179 e n.
Macdonald, I., 195n. Menéndez Pidal, R., 86n., 87n., 110n.
Machado, Antonio, 38 Mengaldo, P. V., 55n., 56n., 161n.,
Machado, Manuel, 37 197n.
Macrı̀, O., 34 e n., 35, 42, 240n. Meregalli, F., 37n., 38, 43
Maddison, C., 157n., 170n.
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Nájera, Esteban de, 142n., 222n. Pepe Sarno, I., 65n., 241n.-243n.
Napoli Signorelli, Pietro, 31 Pèrcopo, E., 56n., 94 e n., 183n.
Naselli, Alberto, detto Ganassa, 22 Pérez-Abadı́n Barro, S., 150n., 180n.,
Navagero, Andrea, 63, 152, 154 e n., 236n.-238n.
155, 156, 178 e n. Pérez de Ayala, Ramón, 37, 38
Navarrete, I., 210n., 244n., 251n. Pérez de Oliva, Fernán, 23
Navarro Tomás, T., 210n. Pérez Gómez, A., 232n.
Naylor, E. W., 40 Pérez Pascual, I., 113n.
Nebrija, Antonio de, 4, 13, 130n. Pérez Priego, M. A., 112n.
Nepaulsingh, C. J., 39 Perier Juan, 129, 137n.
Neri, F., 124n., 158n. Periñán, B., 101n., 104n.
Nevares, Marta de, 29 Perito, E., 99n.
Nigris, C. de, 95n. Perleoni, Giuliano, detto Rustico
Romano, 48, 102, 182n., 183, 185n.
Obregón, Antonio de, 126-128, 130, Pers, Ciro di, 289 e n., 290 e n.
134, 139, 220 Petrarca, Francesco, 8-11, 14, 16, 17,
Oleza Simó, J., 41 25, 31, 32, 39, 45-48, 50, 51 e n.,
52-57, 60, 62, 65-76, 85, 86, 101,
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Oliva, C., 41
Oliva, conte di, 91 105, 106 e n., 108, 112n., 114, 118,
Olivares, J., 253n., 254n., 257n., 276n. 123, 124 e n., 125, 128-130,
Oliver, J. M., 261 e n., 270 e n. 132-134, 138,146 e n., 160, 161,
Orazio Flacco, Quinto, 25, 64, 151, 164, 170, 171, 185-187, 190, 211n.,
212n., 220n., 222, 226, 231n., 234 e
154, 155, 161, 167, 168, 174, 175,
n., 238n., 244 e n., 256, 257 e n.,
178, 179
262, 263 e n., 264, 267 e n.
Orsi, Gian Giuseppe Felice, 30
Petrucci, A., 223n.
Ortega, M. L., 274n.
Petrucci, Giovanni Antonio, conte di
Ortega y Gasset, José, 38
Policastro, 99
Philieul, Vasquin, 68
Pacella, G., 244n. Piccioni, L., 76n.
Pacheco, Francisco, 65, 238, 240 Piccus, J., 40
Palau y Dulcet, A., 127n. Pico della Mirandola, Giovanni, 57
Palencia, Alonso de, 15, 40 Picone, M., 7n., 39
Pallucchini, R., 249n. Pietrasanta, Plinio, 224n.
Palmario, Francesco, 118 Pindaro, 151, 162, 175
Panofsky, E., 212n. Pinillos, M. C., 282n.
Pantani, I., 54n., 116n., 118n. Pinna, M., 290n.
Parducci, A., 42 Pinto, R., 237n.
Paredes, J., 85n., 142n., 220n. Pintor, F., 152n., 171n., 173 e n., 175
Parenti, G., 82n., 96 e n., 97n., 117n., e n., 180 e n.
183n. Poggi, G., 211n.
Parini, Giuseppe, 32, 33, 42 Pontano, Giovanni, 149, 185
Parker, A. A., 252n. Ponte, G., 117n.
Parrilla, C., 113n. Porqueras Mayo, A., 41
Pascual Barea, J., 111n. Pozuelo Yvancos, J. M., 252n., 255n.,
Pascual, J. A., 7n., 39, 40 274n., 276 e n.
Pasquini, E., 158n. Pozza, N., 165n.
Pastore Stocchi, M., 52n. Pozzi, G., 249 e n., 250 e n., 253,
Pedro, connestabile di Portogallo, 6, 39 254n., 256
Peletier du Mans, Jacques, 68 Praz, M., 3, 72 e n.
Pellegrini, Matteo, 24, 25 Price, R. M., 280n.
Pellico, Silvio, 34 Prieto, A., 20, 41, 256n.
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Tesauro, Emanuele, 279 e n. 198, 200 e n., 203, 204, 205 e n.,
Tibullo, Albio, 70, 161 206n., 210 e n., 213 e n., 222, 226,
Timoneda, Juan de, 22, 23, 28 237 e n., 238 e n., 244 e n.
Tiraboschi, Girolamo, 267 Vega, Lope de, 5, 21, 26-29, 42, 74
Tissoni Benvenuti, A., 54n. Vela, C., 58n.
Tissoni, R., 118n. Velli, G., 185n., 186n., 187n., 192n.
Toffanin, G., 165n. Vellutello, Alessandro, 59, 128
Toledo, Bernardino di, 148 Vendramini, Giovanni, 204 e n.
Toledo, Pedro de, duca d’Alba, viceré
Vendrell, F., 104n.
di Napoli, 143, 147, 156, 210 e n.
Venturi, F., 42
Tolomei, Claudio, 160, 169, 171, 229
Vettori, Pier, 230
Tomitano, Bernardino, 244n.
Vianey, J., 70
Torre, Francisco de la, 25, 219, 235-
Vida, Marco Girolamo, 24
237 e n., 238 e n., 240n., 243n.
Torres Naharro, Bartolomé de, 6, 14, Vilanova, A., 26, 41, 42, 213n.
40, 62 Villaespesa, Francisco, 37
Torres, Jaumot, 99 Villalón, Cristobal de, 18
Toscano, T. R., 203n. Villalpando, Francisco de, 103
Tottel, Richard, 71 Villalpando, Juan de, 101n.
Trifone, P., 90n. Villamediana, vd. Tassis, 26
Trissino, Giangiorgio, 23, 161 e n.-163 Villani, G., 83n., 185n., 186n., 187n.
e n., 165 e n., 166-168n., 193, 194n. Villaquirán, Juan, 127
Trovato, P., 85n., 100n. Villari, S., 119n., 183n.
Tuin, D., 39 Villena, Enrique de, 7, 39
Turró, J., 99, 100n. Virgilio Marone, Publio, 64, 146, 187,
188, 197, 198, 200n.
Unamuno, Miguel de, 36, 37, 42 Visagier, Jean, 67
Ungaretti, Giuseppe, 76 e n. Visconti, Galeazzo Maria, 183n.
Urrea, Gerónimo de, 20 Viterbo, Egidio da, 193
Vitetti, L., 54n.
Valdés, Juan de, 19 Vozmediano, Luı́s Gaytán de, 28
Valera de Salamanca, Juan, 127 Vozzo Mendia, L., 40, 84n., 85n., 95n.,
Valera, Diego de, 103 96n., 100 e n.
Valera, Juan, 35
Valla, Lorenzo, 13 Waley, P., 195n.
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Letterature
Collana diretta da M. Palumbo e A. Saccone,
fondata da G. Mazzacurati
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36. K.W. Hempfer, Testi e contesti. Saggi post-ermeneutici sul Cinquecento
37. L. Lugnani, Ella giammai m’amò. Invenzione e tradizione di Don Carlos
38. M. Santagata, Il tramonto della luna e altri studi su Foscolo e Leopardi
39. R. Luperini, Controtempo. Critica e letteratura fra moderno e postmoderno: proposte,
polemiche e bilanci di fine secolo
40. A. Palermo, Ottocento italiano. L’idea civile della letteratura
41. A. Saccone, «La trincea avanzata» e «la città dei conquistatori». Futurismo e
modernità
42. C.A. Madrignani, All’origine del romanzo in Italia. Il «celebre Abate Chiari»
43. E. Saccone, Allegoria e sospetto. Come leggere Tozzi
44. R. Bragantini, Vie del racconto. Dal «Decameron» al «Brancaleone»
45. Z.G. Baranski, Dante e i segni. Saggi per una storia intellettuale di Dante Alighie-
ri
46. G. Guglielmi, L’invenzione della letteratura. Modernismo e avanguardia
47. M. Schillirò, Narciso in Sicilia. Lo spazio autobiografico nell’opera di Vitaliano
Brancati
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73. A. Saccone, «Qui vive/sepolto/un poeta». Pirandello Palazzeschi Ungaretti Marinetti
e altri
74. T. Accetto, Rime, a cura di A. Mauriello e R. D’Agostino
75. P. Guaragnella, Teatri di comportamento. La «regola» e il «difforme» da Torquato
Tasso a Paolo Sarpi
76. F.P. Botti, Alle origini della modernità. Studi su Petrarca e Boccaccio
77. E. Saccone, Ritorni. La seconda lettura
78. A. Carbone, «L’indomabile furore». Sondaggi su Domenico Rea
79. P. Puppa, Racconti del palcoscenico: dal Rinascimento a Gadda
80. A. Gargano (a cura di), “Però convien ch’io canti per disdegno”. La satira in versi
tra Italia e Spagna dal Medioevo al Seicento
81. G. Lo Castro, La verità difficile. Indagini su Verga
82. V. di Martino, Sull’acqua. Viaggi diluvi palombari sirene e altro nella poesia
italiana del primo Novecento
83. R. Girardi, Raccontare l’Altro. L’Oriente islamico nella novella italiana da Boc-
caccio a Bandello
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