Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Saggi
Collana diretta da Fabio Scotto
Direttore
Fabio Scotto (Università degli Studi di Bergamo)
Comitato editoriale
Elena Agazzi (Università degli Studi di Bergamo), Luca Bani (Università degli
Studi di Bergamo), Margherita Bernard (Università degli Studi di Bergamo),
Marina Bianchi (Università degli Studi di Bergamo), Juan Manuel Bonet (Instituto
Cervantes de París), Raul Calzoni (Università degli Studi di Bergamo), Michel
Collot (Université Sorbonne Nouvelle Paris 3), Franco Contorbia (Università
degli Studi di Genova), Gerhard Lauer (Georg-August-Universität Göttingen),
Angela Locatelli (Università degli Studi di Bergamo), Julio Neira (Universidad
Nacional de Educación a Distancia de Madrid), Flaminia Nicora (Università
degli Studi di Bergamo), Ansgar Nünning (Justus-Liebig-Universität Gießen),
Ugo Persi (Università degli Studi di Bergamo), Ivana Rota (Università degli Studi
di Bergamo), Marco Sirtori (Università degli Studi di Bergamo), Hans-Walter
Schmidt Hannisa (National University of Ireland Galway), Amelia Valtolina
(Università degli Studi di Bergamo).
www.monduzzieditore.it/cisalpino
Volume realizzato con il contributo del Dipartimento di Lettere, Filosofia e Co-
municazione dell’Università degli Studi di Bergamo e del CAER - Centre Aixois
d’Études Romanes, EA 854, dell’Université Aix-Marseille
Il primo e il secondo capitolo sono di Luca Bani, il terzo e il quarto di Yannick Gouchan.
L’Introduzione e la Conclusione sono di entrambi gli autori.
Impaginazione: Graforam
www.graforam.com
ISBN 978-88-205-1081-7
Introduzione ..................................................................................................... 7
Primo capitolo
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo .... 11
1.1 Tra mondo classico e modernità: dal fanciullo che non c’è
alla scoperta dell’infanzia ................................................................... 11
1.2 Il fanciullo ottocentesco ...................................................................... 20
1.3 Alcuni esiti primo novecenteschi: Freud, James, Th. Mann .... 39
Secondo capitolo
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia ................................ 45
2.1 Incipit ........................................................................................................ 45
2.2 La narrativa ............................................................................................. 49
2.2.1 Da Terra vergine alle Novelle della Pescara .............................. 49
2.2.2 Il Trionfo della morte ..................................................................... 65
2.2.3 La morte del fanciullo borghese .................................................. 77
2.3 La lirica...................................................................................................... 83
2.3.1 La fanciullezza panica delle prime raccolte .............................. 83
2.3.2 L’evocazione della fanciullezza e il ritorno alle origini:
il Poema paradisiaco ..................................................................... 90
2.3.3 Maia e i prodromi del fanciullo alcyonio ................................... 103
2.3.4 L’Etruria come nuova Ellade: la ricostruzione del mito
nello spazio della Toscana ............................................................ 107
5
Indice
Terzo capitolo
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli ......................................................... 125
3.1 Il fanciullo pascoliano tra poetica e poesia .................................... 127
3.1.1 I postulati del Fanciullino ............................................................ 127
3.1.2 Il significato del punto di vista infantile per il poeta ................ 130
3.2 Il fanciullo di fronte alla morte .......................................................... 139
3.2.1 L’infanzia tra disgrazia e angelismo ............................................. 139
3.2.2 Il punto di vista infantile sulla morte .......................................... 146
3.2.3 L’aquilone e l’idealizzazione dell’infanzia .................................. 154
3.3 Due motivi nell’evocazione del fanciullo pascoliano .................. 157
3.3.1 Famiglia e ornitologia .................................................................... 157
3.3.2 Incompiutezza e botanica .............................................................. 163
3.4 Il messaggio del poeta educatore ...................................................... 172
3.4.1 I fanciulli e la dimensione etica .................................................. 172
3.4.2 Pascoli e gli alunni-lettori ............................................................ 185
Quarto capitolo
La condizione crepuscolare del fanciullo .................................................. 195
4.1 Dal “fanciullo poeta” al “poeta fanciullo” ..................................... 198
4.1.1 Forme liriche della desublimazione ............................................ 198
4.1.2 Chi sono? – Il poeta e il fanciullo ................................................ 201
4.2 Fanciulli e fanciulle nella poesia dei crepuscolari ..................... 209
4.2.1 Tristezza, malinconia, pianto ........................................................ 212
4.2.2 Malattia e convalescenza .............................................................. 216
4.2.3 Fragilità e biancore ........................................................................ 220
4.2.4 La morte .......................................................................................... 225
4.2.5 Angelismo e innocenza ................................................................. 230
4.3 Alla ricerca dell’infanzia ..................................................................... 235
4.3.1 L’infanzia come repertorio di immagini e rifugio ....................... 236
4.3.2 Il cronotopo della casa d’infanzia ................................................ 245
4.3.3 La scuola e la madre ...................................................................... 250
4.3.4 L’infanzia necessaria ...................................................................... 263
6
INTRODUZIONE
à son mythe, Paris, Payot, 1971, poi Un monde autre. L’enfance, Paris, Payot, 1979,
7
Introduzione
8
Introduzione
4
Cfr. Franco Cambi - Simonetta Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’età liberale, Scandic-
ci, La Nuova Italia, 1988, p. 15.
5
Giambattista Vico, La scienza nuova, introduzione e note di Paolo Rossi, Milano, Fab-
bri, 2005, 2 voll., vol. I, Libro primo, Dello stabilimento de’ principi, II, Degli elemen-
ti, XXXVII, p. 172.
6
Edoardo Sanguineti, Tra liberty e crepuscolarismo, Milano, Mursia, 1967, p. 90.
9
Primo capitolo
Per tutte le indicazioni presenti in questo primo paragrafo si rimanda a Paolo Zanot-
1
ti, Infanzia, in Dizionario dei temi letterari, a cura di Remo Ceserani - Mario Dome-
nichelli - Pino Fasano, Torino, Utet, 2007, 3 voll., vol. II, pp. 1158-1165.
11
Primo capitolo
2
Omero, Iliade, prefazione di Fausto Codino, versione di Rosa Calzecchi Onesti, Tori-
no, Einaudi, 1963, XV, vv. 362-365.
3
Cfr. ivi, XXII, vv. 499-515. Ma si vedano anche i vv. 369-414 e 466-502 del libro VI,
nei quali, parimenti, la vicenda di Astianatte diventa paradigma di quella del suo po-
polo perché disegna la parabola di un fanciullo che dalla felicità della sua condizione
regale scivola irrevocabilmente nella tragedia della morte precoce e ingiusta.
4
Aristotele, Ricerche sugli animali, in Id., Opere biologiche, a cura di Diego Danza e
Mario Vegetti, Utet, Torino, 1971, p. 588 a-b.
12
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
5
Egle Becchi, I bambini nella storia, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 40.
6
In quest’inno in particolare si trova probabilmente la figura meglio delineata del puer
senex: «Nel piccolo dio che scappa, ruba, dice bugie, suona, parla, si esprime, in
forma poetica, uno dei paradossi relativi alla primissima infanzia: quella dell’essere
tanto altro da non poter quasi venir concepito se non in termini affatto problematici,
e tanto più problematici quanto più tale essere è di natura divina. Nel caso di Ermes,
il bambino è appena nato e già si comporta come un vecchio, salvo tornare indietro
nel tempo e riprendere forma e mente di piccolissimo. Tra i due estremi del senex e
del neonato – termini aporetici della vita umana – l’essere divino è capace di istituire
connessioni reversibili, di realizzare – soprattutto con la parola – ciò che al piccolis-
simo è naturalmente impossibile. Ma quanto riesce al dio è forse anche un’ipotesi di
disambiguazione della natura infantile e un augurio per il suo divenire», in ibid.
7
Per la storia dell’infanzia dal Medioevo sino al Seicento e a parte del Settecento,
soprattutto per quanta riguarda la sua educazione e il suo ruolo all’interno della fami-
glia, si rimanda a Philippe Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’ancien régime, Pa-
ris, Plon, 1960 (1ª ed. it. 1968; ed. di riferimento: Padri e figli nell’Europa medievale e
moderna, Roma-Bari, Laterza, 1976, 2 voll.). A proposito dell’infanzia nel Medioevo,
a p. 145 del primo volume Ariès afferma: «Nella società medievale, che assumiamo
come punto di partenza, il sentimento dell’infanzia non esisteva; il che non significa
che i bambini fossero trascurati, abbandonati o disprezzati. Il sentimento dell’infan-
zia non si identifica con l’affezione per l’infanzia: corrisponde alla coscienza delle
particolari caratteristiche infantili, caratteristiche che essenzialmente distinguono il
bambino dall’adulto, anche giovane. Questa coscienza non esisteva. Perciò, appena
il bambino poteva vivere senza le cure costanti della madre, della nutrice o della
bambinaia, apparteneva alla società degli adulti e non si distingueva più da essa. […]
La lingua non dava alla parola bambino il senso ristretto che ormai le attribuiamo:
si diceva bambino come oggi si dice correttamente ragazzo». Non interessano e non
13
Primo capitolo
[…] uno stato intermedio: intermedio tra l’umano e il naturale (quando non
il cosmico), tra la vita e la morte, tra l’imperfezione e una perfezione precoce
quando non divina. Le immagini del puer aeternus e del puer senex riappari-
ranno continuamente nella letteratura dei secoli successivi, e in particolare
nel periodo romantico.8
si darà conto in questa sede delle critiche suscitate dallo studio di Ariès negli anni
Settanta e Ottanta, tanto più che la prospettiva generale con la quale questo studioso
affrontava il tema dell’infanzia nei secoli considerati e la sua convinzione che le cose
cambiassero radicalmente nell’Ottocento, con l’avvento della borghesia, sono consi-
derate tuttora valide, come sostiene Dieter Richter: «Sembra quindi che il quadro
della storia dell’infanzia tracciato da Ariès necessiti di diversi punti di correzione e
di integrazioni. Non si può tuttavia non concordare con Ariès quando si considerino le
linee generali delle sue ricerche: il crescente significato della condizione infantile dal
punto di vista sociale e culturale nel processo storico dell’età moderna. Soprattutto
resta importante il suo approccio metodologico: la questione della storicità della cate-
goria infanzia», in Dieter Richter, Das fremde Kind. Zur Entstehung der Kindheitsbil-
der des bürgerlichen Zeitalters, Frankfurt am Main, Fischer, 1987 (trad. it. Il bambino
estraneo. La nascita dell’immagine dell’infanzia nel mondo borghese, Scandicci (Fi),
La Nuova Italia, 1992, p. 8).
8
Zanotti, Infanzia, p. 1159.
9
In quest’ultimo, «[…] gli episodi riportati narrano di un Gesù bambino intento in
giochi, ma anche terribile e punitivo con compagni e adulti che interrompono i suoi
passatempi», in Becchi, I bambini nella storia, p. 274. Per il testo del Vangelo cfr.
Vangelo Pseudo Matteo, in Nascita e infanzia di Gesù nei più antichi codici cristiani, a
cura di Luigi Moraldi, Milano, Mondadori, 1989, pp. 114-126.
14
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
E tuttavia peccavo, o Dio mio Signore, ordinatore e creatore di tutte le cose na-
turali, dei peccati, invece, soltanto ordinatore: o Dio mio Signore, io peccavo,
operando contro i precetti de’ miei genitori e quelli dei miei maestri. Avrei,
infatti, potuto far buon uso, in seguito, delle lettere, che quelle persone che mi
stavano intorno volevano ch’io apprendessi, qualunque fosse la loro intenzio-
ne. Invece io disobbedivo, né già perché scegliessi il meglio, ma per amore del
gioco, perché amavo riportare superbe vittorie nelle gare e farmi grattare da
false storielle le orecchie, così da sentirmele maggiormente pizzicare.10
10
Agostino da Ippona, Le confessioni, Torino, SEI, 1958, p. 25.
15
Primo capitolo
11
In effetti, alla diffusione del genere autobiografico a partire dal tardo Medioevo – con
opere che vanno dal Petrarca del Secretum (composto tra il 1347 al 1353) sino alla
Vita scritta da lui medesimo di Gabriello Chiabrera (dopo il 1625), passando per il
De propria vita liber di Gerolamo Cardano (1575-1576) – non corrisponde una più
attenta tematizzazione dell’infanzia. Nella Vita di Benvenuto Cellini (1558-1566),
testo esemplare del genere autobiografico in età moderna, la narrazione dei primi
anni dell’autore è pensata più come storia della famiglia (e ricostruzione della linea di
ascendenza) che come recupero delle memorie e delle esperienze infantili. Tra queste
ultime, quelle che vengono effettivamente proposte al lettore lo sono solo brevemente
e con una funzione strumentale finalizzata unicamente a giustificare la futura gran-
dezza dell’artista. Poco più di due secoli dopo, i Mémoires goldoniani (1784-1786,
pubblicati l’anno successivo) dedicheranno ai primi tredici anni di vita dell’illustre
commediografo solo dieci paginette, perché ciò che preme all’autore è ricostruire
la storia di tutte le sue opere e «[…] arrivare quanto prima a parlare della mia cara
Parigi che mi ha accolto benissimo, mi ha offerto i migliori divertimenti e mi ha dato
un’utile occupazione» (Carlo Goldoni, Memorie, a cura di Paolo Bosisio, Milano,
Mondadori, 1993, p. 23). Addirittura più rapida è la trattazione dell’infanzia e della
fanciullezza nella Vita di Pietro Giannone (1736-1737), con i primi sedici anni di
vita frettolosamente liquidati nel brevissimo primo capitolo (cfr. Pietro Giannone,
La vita di Pietro Giannone, a cura di Sergio Bertelli, Torino, Einaudi, 1977, 2 voll.,
16
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
vol. I, pp. 5-7), e, ma qui si è già nel secolo successivo, nelle Memorie di Lorenzo
Da Ponte (1823-1827), al quale basta una paginetta e mezza per arrivare ai quat-
tordici anni (cfr. Lorenzo Da Ponte, Memorie, Milano, BUR, 1960, pp. 11-12). Una
felice, anche se parziale eccezione la si può trovare nell’autobiografia (1789-1792)
di Giacomo Casanova, che al periodo che va dagli otto anni – «[…] inizio della mia
esistenza di essere pensante» (Giacomo Casanova, Storia della mia vita, introduzione
di Piero Chiara, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Milano, Mondadori, 3a
ed., 1992, 3 voll., vol. I, p. 21) – ai quattordici dedica ampio spazio. Soprattutto sul
quadriennio 1734-38, Casanova si sofferma a lungo per dimostrare la precocità della
sua vocazione galante e per narrare quindi il suo primo amore, quello per Bettina, la
cui vicenda occupa tutto il secondo e il terzo capitolo dell’Histoire.
12
Zanotti, Infanzia, p. 1160.
13
Egle Becchi, L’Ottocento, in Storia dell’infanzia, a cura di Egle Becchi e Dominique
Julia, Roma-Bari, Laterza, 1996, 2 voll., vol. II, Dal Settecento a oggi, pp. 132-206,
133.
17
Primo capitolo
14
Richter, Il bambino estraneo, p. 17.
15
Cfr. Francesco Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Pado-
va, Liviana, 1966.
16
Cfr. ivi, p. 4.
18
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
17
Per i memorialisti del tardo Settecento e della prima metà dell’Ottocento, racconta-
re la propria infanzia diventa allora addentrarsi nel «confronto tra Ancien Régime e
Rivoluzione, Impero, Restaurazione, fra mondo della borghesia in ascesa e vecchie
classi che vanno subendo l’adeguamento delle nuove», ivi, p. 5. In queste prime pa-
gine del suo saggio, Orlando chiarisce bene come la sovrapposizione delle memorie
d’infanzia con la presa di coscienza dei cambiamenti storici e della sempre più veloce
mutabilità della storia coincide con l’età della presa di potere economica e politica
della borghesia e come questa concomitanza si esaurisce proprio nel 1848, quando si
conclude la fase ascensionale di questa classe sociale e la distanza temporale dallo
stacco traumatico della Rivoluzione comincia a non far più sentire la differenza tra la
vita precedente e quella successiva a questo importante evento.
19
Primo capitolo
18
Becchi, I bambini nella storia, p. 108.
19
Cfr. Jean-Jacques Rousseau, Giulia o la Nuova Eloisa. Lettere di due amanti di una
cittadina ai piedi delle Alpi, introduzione e commento di Elena Pulcini, Milano, BUR,
1992, pp. 579-608.
20
Vittorio Alfieri, Vita, introduzione e note di Giulio Cattaneo, Milano, Garzanti,
1992, p. 9.
21
Ivi, p. 14.
22
Ivi, p. 23.
20
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
Perché mai noi, che in tutto ciò che è natura siamo superati in così infini-
ta misura dagli antichi, proprio noi possiamo renderle omaggio in misura
superiore, possiamo amarla intimamente, possiamo abbracciare persino il
mondo inanimato con il più caldo sentimento? Questa è la risposta: la natura
è ormai scomparsa dall’umanità, e soltanto fuori di questa, nel mondo inani-
mato, nuovamente possiamo incontrarla nella sua verità. Non la nostra supe-
riore conformità alla natura, ma appunto l’opposizione alla natura dei nostri
rapporti, delle nostre condizioni e dei nostri costumi ci spinge a cercare nel
mondo fisico un appagamento, impossibile nel mondo morale, dell’istinto
verso la verità e la semplicità, istinto che giace incorruttibile e incancella-
bile, come la disposizione morale da cui scaturisce, in tutti i cuori umani.
Per questo il sentimento che ci spinge ad amare la natura è così simile al
sentimento con cui rimpiangiamo la perduta età dell’infanzia e dell’inno-
cenza infantile. Essendo la nostra infanzia la sola natura integra che ancora
23
Giuseppe Scaraffia, Infanzia, Palermo, Sellerio, 1987, p. 11.
21
Primo capitolo
24
Friedrich Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, traduzione di Elio Franzini
e Walter Scotti, Milano, SE, 1986, p. 29. I corsivi sono nel testo.
25
Sull’infanzia nella letteratura tedesca romantica cfr. Hans-Heino Ewers, Kindheit als
poetische Daseinform. Studien zur Entstehung der romantiscen Kindheitsuthopie im 18.
Jahrhundert. Herder, Jean Paul, Novalis und Tieck, München, Fink, 1989 e Donatel-
la Mazza, I virgulti dell’Eden. L’immagine del bambino nella letteratura tedesca del
romanticismo, Firenze, La Nuova Italia, 1995.
22
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
He was Age masquerading as Juvenility, and doing it so badly that his real
self showed through the crevices. A ground-swell ancient years of night se-
emed now and then to lift the child in this his morning-life, when his face
took a back view over some great Atlantic of Time, and appeared not to care
about what it saw.27
26
Becchi, L’Ottocento, p. 137. Le citazioni di Jean Paul sono tratte da Jean Paul, Leva-
na, Torino, Utet, 1964, rispettivamente pp. 26 e 21.
27
Thomas Hardy, Jude the Obscure, New York, Airmont, 1966, p. 217.
23
Primo capitolo
28
Scaraffia, Infanzia, p. 11.
29
A questo proposito, il testo di riferimento è sicuramente George Boas, The cult of
Childhood, London, Warburg Institute – University of London, 1966.
24
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
30
Richter, Il bambino estraneo, pp. 18-19.
31
Cfr. Becchi, L’Ottocento, p. 139.
32
L’edizione del 1887, curata dal figlio di Darwin, Francis, era tuttavia fortemente mu-
tilata da tutta una serie di interventi arbitrari del curatore che tagliò e censurò nume-
rosi passi. Per un’edizione integrale e fedele allo scritto originale bisognerà rifarsi a
quella curata dalla bisnipote del naturalista, Nora Barlow, nel 1958 per la Collins di
Londra e contraddistinta da un complemento del titolo particolarmente significativo
in questo senso: «With original omissions restored».
33
Le osservazioni fatte da Darwin nello Sketch, relative a suo figlio William Era-
25
Primo capitolo
smus, offrono allo studio della storia dell’infanzia e della differente considerazione
che questa ha avuto nei secoli «[…] il caso più dettagliato, per la seconda metà
dell’Ottocento, di una cultura particolarmente attenta all’idea di bambino, che lo
concepisce sia nel suo essere trascendentale, ante o post l’uomo adulto, dandogli
espressione perlopiù poetica […], sia – e soprattutto – nella concretezza delle sue
determinazioni individuali, cercando di esprimere con precisione osservativa e at-
tendibilità scientifica le nozioni di prima età che si venivano infittendo nei saperi
filosofici, medici, pedagogici della famiglia e delle istituzioni scolastiche del seco-
lo» (Cfr. Becchi, L’Ottocento, p. 140).
34
Cfr. ivi, pp. 140-141.
35
Per un’analisi esaustiva del rapporto tra infanzia e famiglia in Italia nel XIX secolo
studiato attraverso la sua rappresentazione nella letteratura specificatamente dedica-
ta ai fanciulli cfr. Flavia Bacchetti, I bambini e la famiglia nell’Ottocento. Realtà e
mito attraverso la letteratura per l’infanzia, Firenze, Le Lettere, 1997.
26
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
36
A questo proposito, si vedano le considerazioni di Philippe Ariès: «A lungo si è cre-
duto che la famiglia costituisse il fondamento antico della nostra società, e che, a par-
tire dal XVIII secolo, il progresso dell’individualismo liberale l’avesse scompaginata
e indebolita. La sua storia, nel corso dei secoli XIX e XX, sarebbe la storia di una
decadenza: il moltiplicarsi dei divorzi, il cedimento dell’autorità maritale e pater-
na, sarebbero altrettanti segni del suo decadere. Osservando i fenomeni demografici
moderni sono stato tratto a concludere in senso esattamente opposto. Mi è sembrato
[…] che nelle nostre società industriali la famiglia tenesse un posto immenso e che
mai, forse, avesse influito in modo così decisivo sulla condizione umana. L’indeboli-
mento giuridico provava soltanto che il sentimento (e la realtà) seguivano una curva
diversa rispetto a quella dell’istituto», e, poco oltre: «L’esperienza della rivoluzione
demografica moderna ci ha rivelato la parte che ha il bambino in questa tacita storia.
Sappiamo che il sentimento dell’infanzia e quello della famiglia sono in relazione»
(Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, vol. I, pp. 6 e 7) e quelle di
Egle Becchi: «L’Ottocento è l’epoca in cui la famiglia urbana, borghese e proletaria si
definisce in modo più nitido sia sul piano sociale che su quello giuridico; essa si af-
ferma come organizzazione nucleare e in essa si precisa e determina quel processo di
privatizzazione della prole che avrà esiti vistosi nel secolo successivo» (Becchi, L’Ot-
tocento, p. 195). Testimonianze letterarie della condizione dell’infanzia nelle famiglie
borghesi dell’Ottocento, nelle quali un ruolo rilevante ricoprono figure nuove come
quelle della balia o dell’istitutrice, possono trovarsi sia in Anna Karenina (1877) di
Tolstoj, sia ne I Buddenbrook (1901) di Th. Mann, sia, tornando al livello di letteratura
per l’infanzia, nella descrizione postuma della realtà primonovecentesca descritta da
Pamela Lyndon Travers in Mary Poppins (1934).
27
Primo capitolo
La visione romantica dell’infanzia andrà oltre nel portare alle estreme con-
seguenze le idee implicite nella rilettura della pedagogia illuminista di
Rousseau: il bambino-tabula rasa diventerà un simbolo dell’inesausto di-
venire, una riserva infinita di virtuali potenzialità di opposizione all’essere
specializzato per eccellenza: il borghese.37
28
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
Novecento, con il Peter Pan di James Matthew Barrie (1904), segno que-
sto che i modelli tardo settecenteschi o primo ottocenteschi sono desti-
nati, al di là dell’esaurirsi dei movimenti letterari, a perdurare a lungo
nell’immaginario sui fanciulli
Per quanto riguarda la memorialistica, molti scrittori dell’Ottocen-
to continuano il percorso inaugurato da Rousseau, ma al contempo
lo modificano, trasformando lentamente i riferimenti autobiografici
in materiale pienamente narrativo che li trasfigura completamente e
arrivando, in alcuni casi, a oltrepassare la realtà biografica per co-
struirne una completamente inventata. L’infanzia dell’autore, vera o
fittizia che sia, diventa perciò un serbatoio di esperienze dalle quali
attingere e da elaborare letterariamente nella finzione romanzesca,
dall’Infanzia (1852) di Lev Tolstoj alle Confessioni (1867) di Ippolito
Nievo – per le quali forte è il legame con la dimensione storico-esi-
stenziale dell’Ancien Régime –, da Sylvie (1854) di Gérard de Nerval
sino ai già novecenteschi Quaderni di Malte Laurids Brigge (1910) di
Rainer Maria Rilke.
Il vero fondatore della letteratura dell’infanzia, che presto verrà ca-
nonizzato anche come autore per l’infanzia, è però Charles Dickens.
Un’indubbia influenza sulle scelte tematiche dello scrittore di Port-
smouth la ebbero le vicende che ne contrassegnarono la prima età: da
un lato, infatti, Dickens amava sottolineare l’importanza dei primi anni
per la formazione della sua sensibilità, nutrita di voraci letture che sol-
lecitavano la fantasia; dall’altro, la condizione di profonda indigenza
che a partire dal 1823 gravò la sua famiglia, l’incarcerazione del padre
a Marshalsea l’anno successivo e, soprattutto, l’esperienza lavorativa
nella fabbrica di lucido da scarpe segnarono profondamente il giova-
ne Charles, trasformando queste vicende in nuclei esperienziali che
sarebbero poi stati elaborati narrativamente in tanti suoi romanzi. Da
The Adventure of Oliver Twist (1837-1839) a David Copperfield (1849-
50) passando per Nicolas Nickleby (1838-39), e poi Dombey and Son
(1846-48), Little Dorrit (1855-57) fino a Great Expectations (1860-61),
nella maggior parte della narrativa dickensiana la visione dei protago-
nisti o delle protagoniste da fanciulli occupa una parte determinante
della narrazione, perché è proprio a partire da essa che può essere
29
Primo capitolo
Il romanzo di formazione, Milano, Garzanti, 1986, oltre che al più recente Il romanzo
di formazione nell’Ottocento e nel Novecento, a cura di Maria Carla Papini - Daniele
Fioretti - Teresa Spignoli, Pisa, ETS, 2007.
30
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
classi meno abbienti. Secondo Egle Becchi, nel corso di tutto l’Otto-
cento «sei figure possono essere ricordate come emblematiche dell’in-
fanzia nella strada, in un crescendo di drammaticità che culmina con
la morte».39 Queste figure, già tutte reperibili nei secoli precedenti, ma
che nell’Ottocento sembrano esplodere proprio per l’attenzione che su di
esse viene a concentrarsi anche da parte degli scrittori che, tematizzan-
dole, le trasformano in documenti letterari, sono:
39
Becchi, L’Ottocento, p. 190.
40
Anche nelle arti figurative, e a suo tempo nella nascente fotografia, aumenta nel corso
dell’Ottocento l’interesse per l’infanzia vista e rappresentata sempre di più nei conte-
sti a lei più familiari. Oltre a Doré e alla sua rappresentazione dell’infanzia derelitta e
abbandonata della Londra sottoproletaria, si pensi ai macchiaioli (ad esempio Bimbi
al sole di Cristiano Banti del 1860) o a pittori come Edgar Degas (con i Bambini
seduti sulla soglia di casa, 1972-73) e Pierre-Auguste Renoir (dalla Bambina con
l’innaffiatoio del 1876, al ritratto di Irene Cahen d’Anvers del 1879, a quello di Jean e
Geneviève Caillebotte del 1895) che, tra l’altro, hanno a questo proposito uno specifico
valore documentario perché «rappresentano come si abbigliava e pensava di vestire
l’infanzia, testimoniando quanto l’analogia con il vestire adulto si stesse lentamente
smorzando e come insorgesse uno stile per bambini, illustrato anche dalle riviste di
moda» (Becchi, L’Ottocento, p. 152). Per i bambini nella fotografia si rimanda a Luisa
Mattia, Bambini in posa. Una storia dell’infanzia in 150 anni di fotografia, Scandicci,
La Nuova Italia, 1991.
31
Primo capitolo
Per poter giudicare con esattezza le conseguenze che il lavoro nelle fabbri-
che ha sulle condizioni fisiche del sesso femminile, sarà necessario prende-
re prima in considerazione il lavoro dei fanciulli e il genere del lavoro stes-
so. Fin dagli inizi della nuova industria, venivano occupati fanciulli nelle
fabbriche; da principio, a causa della piccolezza delle macchine – che in
seguito si ingrandirono – in modo esclusivo; e precisamente si prendeva-
no i bambini dagli asili dei poveri, e per lunghi anni essi furono affittati a
schiere dagli industriali come «apprendisti». Venivano alloggiati e vestiti
in comune, e naturalmente erano in tutto gli schiavi dei loro padroni, che li
41
Cfr. Becchi, L’Ottocento, pp. 182-183: «[…] il bambino che lavora, che soffre, che
subisce violenza, che scappa, in una società gravata da esigenze produttive, che viene
irretito in ideologie disciplinaristiche, di cui sul piano esistenziale subisce le pesanti
conseguenze [...]. Da tale punto di vista la vicenda dell’infanzia ottocentesca è una
storia di lenta emancipazione, di faticoso riscatto del non adulto – grazie soprattutto
alla scuola e alle politiche sociali per i minori, le quali stavano allora dando i primi
segni – da una condizione di emarginazione, sfruttamento, irriconoscimento».
32
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
42
Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, in base a osserva-
zioni dirette e a fonti autentiche, Roma, Editori Riuniti, 3a ed., 1972, pp. 183-184.
43
Ivi, p. 185.
33
Primo capitolo
44
Sulla scoperta anche letteraria dell’infanzia nel Belpaese cfr. Le presenze dimenticate.
L’infanzia nell’Italia moderna fra storia, letteratura e filosofia, a cura di Graziella Pa-
gliano, Roma, Aracne, 1998 e Franco Cambi - Simonetta Ulivieri, Storia dell’infanzia
nell’età liberale, Scandicci, La Nuova Italia, 1988.
45
Personaggio peraltro non trascurato neppure dalle altre letterature straniere. Si veda,
tra i tanti, il caso di William Blake e delle due poesie, intitolate appunto The Chimney
Sweeper, che dedica a questa figura rispettivamente nei Songs of Innocence (1789) e
nei Songs of Experience (1794). A titolo d’esempio si riporta il testo della seconda: «A
little black thing among the snow, / Crying “weep! weep!” in notes of woe! / “Where
are thy father and mother? Say!” / “They are both gone up to the church to pray. //
Because I was happy upon the heath, / and smiled among the winter’s snow, / they
clothed me in the clothes of death, / and taught me to sing the notes of woe. // And
because I am happy and dance and sing, / they think they have done me no injury,
/ and are gone to praise God and his priest and king, / who make up a heaven of our
misery».
34
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
Ieri sera andai alla Sezione femminile, accanto alla nostra, per dare il rac-
conto del ragazzo padovano alla maestra di Silvia, che lo voleva leggere. Set-
tecento ragazze ci sono! Quando arrivai cominciavano a uscire, tutte allegre
per le vacanze d’Ognissanti e dei morti; ed ecco una bella cosa che vidi. Di
fronte alla porta della scuola, dall’altra parte della via, stava con un braccio
appoggiato al muro e colla fronte contro il braccio, uno spazzacamino, molto
piccolo, tutto nero in viso, col suo sacco e il suo raschiatoio, e piangeva
dirottamente, singhiozzando. Due o tre ragazze della seconda gli s’avvici-
narono e gli dissero: - Che hai che piangi a quella maniera? – Ma egli non
rispose, e continuava a piangere. - Ma di’ che cos’hai, perché piangi? — gli
ripeterono le ragazze. E allora egli levò il viso dal braccio, – un viso di bam-
bino, – e disse piangendo che era stato in varie case a spazzare, dove s’era
guadagnato trenta soldi, e li aveva persi, gli erano scappati per la sdrucitura
d’una tasca, – e faceva veder la sdrucitura, – e non osava più tornare a casa
senza i soldi. – Il padrone mi bastona, – disse singhiozzando, e riabbandonò
il capo sul braccio, come un disperato. Le bambine stettero a guardarlo,
tutte serie. Intanto s’erano avvicinate altre ragazze grandi e piccole, povere
e signorine, con le loro cartelle sotto il braccio, e una grande, che aveva
una penna azzurra sul cappello, cavò di tasca due soldi, e disse: – Io non ho
che due soldi: facciamo la colletta. – Anch’io ho due soldi, – disse un’altra
vestita di rosso; – ne troveremo ben trenta fra tutte. – E allora cominciarono
a chiamarsi: – Amalia! – Luigia! – Annina! – Un soldo. – Chi ha dei soldi?
– Qua i soldi! – Parecchie avevan dei soldi per comprarsi fiori o quaderni,
e li portarono, alcune più piccole diedero dei centesimi; quella della penna
azzurra raccoglieva tutto, e contava a voce alta: – Otto, dieci, quindici! – Ma
ci voleva altro. Allora comparve una più grande di tutte, che pareva quasi
una maestrina, e diede mezza lira, e tutte a farle festa. Mancavano ancora
cinque soldi. – Ora vengono quelle della quarta che ne hanno, – disse una.
Quelle della quarta vennero e i soldi fioccarono. Tutte s’affollavano. Ed era
bello a vedere quel povero spazzacamino in mezzo a tutte quelle vestine di
tanti colori, a tutto quel rigirìo di penne, di nastrini, di riccioli. I trenta soldi
c’erano già, e ne venivano ancora, e le più piccine che non avevan denaro,
si facevan largo tra le grandi porgendo i loro mazzetti di fiori, tanto per dar
35
Primo capitolo
46
Edmondo De Amicis, Cuore, Milano, Fabbri, 1984, pp. 25-26.
47
Cfr. Becchi, L’Ottocento, p. 155. Sulla letteratura per l’infanzia nei maggiori paesi
europei cfr. Hans-Heino Ewers, Lo sviluppo della letteratura per l’infanzia dell’epoca
borghese dal Settecento al Novecento. L’esempio tedesco, in Storia dell’infanzia, vol. II,
pp. 408-430; Marc Soriano, Guide de littérature pour la jeunesse. Courants, problèmes,
36
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
spazi destinati alle attività dei figli della borghesia, essi vengono rea-
lizzati o attraverso l’incremento di un’edilizia specializzata più conso-
na allo sviluppo psico-fisico dell’infanzia,48 o adattando gli ambienti
già esistenti sia nelle case private, ovviamente in quelle di coloro che
possono permetterselo, sia nei sempre più numerosi luoghi destinati
a una scolarizzazione che a ritmo sostenuto sta coinvolgendo strati
via via più larghi della popolazione. Ecco allora nascere nelle case
del ceto medio borghese, in quelle dell’alta borghesia e, ovviamente,
in quelle della nobiltà, realtà come le nursery, le Kinderstube, le sale
specificatamente dedicate allo studio e quelle riservate al gioco o al
sonno, come quella dalla quale i fratelli Darling prenderanno il volo
per l’isola che non c’è di Peter Pan. Accanto a queste nuove realtà
permangono, tuttavia, numerose zone grigie, derivanti da condizio-
ni economiche di indigenza e, in alcuni casi, tollerate da istituzioni
pubbliche che hanno dell’assistenza all’infanzia un’idea capitalisti-
co-utilitaristica influenzata da un’etica di derivazione protestante, per
la quale la figura del povero o del più debole è assimilabile a quella
dell’escluso dalla grazia divina. Bisogna inoltre notare come la distri-
choix d’auteurs, Paris, Flammarion, 1975; Antonio Faeti, Letteratura per l’infanzia,
Firenze, La Nuova Italia, 1977. Per il contesto italiano, di primaria importanza ri-
mangono i numerosi lavori di Mariella Colin, da quelli più squisitamente tematici,
come Il soldato e l’eroe nella letteratura scolastica dell’Italia liberale, Torino, Loscher,
1985, a quelli più sistematici relativi sia al XIX sia al XX secolo: L’âge d’or de la
littérature d’enfance et de jeunesse italienne. Des origines au fascisme, Caen, Presses
universitaires de Caen, 2005 e I bambini di Mussolini. Letteratura, libri, letture per
l’infanzia sotto il fascismo, Brescia, La Scuola, 2012.
48
Becchi, L’Ottocento, pp. 153: «Perché, tutto sommato, è il corpo infantile il grande
centro, positivo e negativo, delle vicende dell’infanzia nell’Ottocento. Un corpo cu-
rato e trascurato, ma anche e soprattutto un “corpo raddrizzato”, un corpo pregiato,
ma anche disciplinato fino alla mortificazione, un corpo esercitato e fatto crescere con
cure e supporti», per il quale, ad esempio, si apre lo spazio immenso delle stazioni
balneari, dove schiere sempre più ampie di figli della borghesia costretta dai doveri
e dalle insalubri necessità del progresso vanno per ritrovare il vigore perduto. Così,
ad esempio, Jules Michelet: «I bambini innocenti, che soffrono dei peccati dei loro
padri; le donne, vittime sociali le cui colpe sono soprattutto d’amore e che, meno
responsabili di noi, portano tuttavia in misura ben maggiore il peso della vita», in
Jules Michelet, La mer, Paris, Hachette, 1861 (trad. it. Il mare, Genova, Il Nuovo
Melangolo, 1997, p. 229).
37
Primo capitolo
buzione degli spazi felici e di quelli infelici per l’infanzia non segua
necessariamente una logica di contrapposizione tra campagna e città,
perché molte volte è nella prima che le condizioni dell’infanzia rag-
giungono il livello più doloroso di degrado e sfruttamento. Si pensi al
racconto delle disavventure di Oliver Twist, ambientate prevalente-
mente in una Londra ottocentesca sempre più megalopoli industria-
le – e da ciò la definizione del romanzo come industrial novel –, ma
con ampi spazi riservati nei capitoli iniziali alla realtà campagnola
e provinciale: la nascita, l’ospizio parrocchiale, le prime esperienze
lavorative come spazzacamino e becchino sino alla fuga verso Lon-
dra. Parimenti, la vicenda di David Copperfield si snoda in entrambi i
contesti paesaggistici, allargando a tutto il panorama dell’Inghilterra
dell’epoca i toni cupi di un progresso industriale ed economico diffi-
cile e denso di contraddizioni.49
Un ultimo cenno meritano due romanzi che almeno in parte sembra-
no allontanarsi dalla problematicità degli esempi inglesi, ma che in
realtà insistono sulle difficoltà di rapporto tra mondo dell’infanzia e
mondo degli adulti, così come sulla violenza insensata che caratterizza
quest’ultimo, sia pur mantenendo un tono leggero e strutturandosi sul
modello del romanzo picaresco e quindi del viaggio avventuroso. Si
tratta ovviamente di Tom Sawyer (1876) e Huckleberry Finn (1884) di
Mark Twain, opere nelle quali viva e presente è la realtà americana
di quegli anni, tormentata da contrasti razziali, dalle conseguenze di
una devastante guerra civile e da laceranti divisioni di classe. È per
questo motivo che entrambi i giovani eroi di Twain, ma in particolare
Huckleberry Finn, sentono l’impulso irrefrenabile di allontanarsi dalla
“civiltà”, che li vorrebbe educare secondo una pedagogia intrisa di
contraddizioni e condizionata dai problemi appena citati, inventandosi
un personalissimo percorso di crescita, un viaggio iniziatico, che li
renderà maturi, si potrebbe dire, nonostante il cattivo esempio degli
adulti e, soprattutto, grazie al recupero del contatto con la natura sim-
boleggiata dal grande fiume Mississippi.
38
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
50
Sui riflessi letterari della crisi tardo ottocentesca della borghesia molto ha riflettuto,
per esempio, Claudio Magris in alcuni dei suoi lavori più significativi come Lontano
da dove. Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971) e L’anello di Clarisse.
Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna (1984).
51
Cfr. Avvertenza editoriale, in Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia tratto da “Poesia e
verità” di Goethe, in Id., Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1967-1980, 12 voll., vol.
IX, 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, pp. 1-14, 3.
39
Primo capitolo
Flora, poco lontano da noi, stava ritta sull’erba e sorrideva, come se la sua
impresa fosse ormai compiuta. La seconda cosa che fece, tuttavia, fu di chi-
narsi a cogliere con decisione (come se fosse andata sin lì solo per quello) un
lungo e brutto rametto di felce appassita. Fui certa all’istante che era appena
40
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
53
Henry James, Giro di vite, Torino, Einaudi, 1995, pp. 138-139. L’importanza del tema
dell’infanzia in James è confermato da un secondo personaggio, questa volta inserito
in un contesto pienamente razionale, come Maisie, la giovane protagonista del ro-
manzo What Maisie knew? (1897). La bambina, contesa tra due genitori superficiali e
irresponsabili, alla fine della vicenda deciderà non a caso di restare con la signorina
Wix, l’istitutrice che le ha dato maggiore affidamento e stabilità e che diventerà quin-
di la sua tutrice.
54
Ma a Thomas Mann si devono anche altre significative figure di fanciulli o preadole-
scenti decadenti, come il bambino prodigio protagonista di Das Wunderkind (1903)
e Hanno, il ragazzo inetto a vivere e malato che porterà a compimento la saga dei
Buddenbrook (1901).
41
Primo capitolo
E ancora:
Egli tornò indietro, a testa arrovesciata traversò di corsa l’acqua bassa fa-
cendo sollevare in spuma l’onda che resisteva alle sue gambe; e vedere la
forma viva, acerba e graziosa nella previrilità, sorgere con i ricci grondanti,
Thomas Mann, La morte a Venezia, traduzione di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1971,
55
pp. 38-40.
42
Il tema del fanciullo in letteratura dalla classicità al XIX secolo
bella come un giovane nume, dalle profondità del mare, uscire e fuggire
dall’elemento, era uno spettacolo che suggeriva mitiche fantasie, qualcosa
come una leggenda poetica di età primitive che narra le origini della forma
e la nascita degli dèi.56
56
Ivi, pp. 48-49.
57
Cfr. Matilde Dillon Wanke, Il bambino di Saba, in “Rivista di Letteratura Italiana”,
a. XXVI, nn. 2-3 (2008), pp. 119-123, 119.
58
Umberto Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, in Id., Tutte le prose, a cura di Ar-
rigo Stara, con un saggio introduttivo di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2001,
pp. 107-352, 142.
43
Secondo capitolo
IL FANCIULLO DANNUNZIANO:
DALLA PROSA ALLA POESIA
2.1 Incipit
Nella sua ancor valida biografia, Piero Chiara sostiene che il 1914, con
lo scoppio della Prima guerra mondiale, è uno spartiacque importante
nella vicenda umana e letteraria di d’Annunzio, perché dopo quell’an-
no e sino alla morte nel 1938 la sua produzione letteraria andò restrin-
gendosi tipologicamente, limitandosi sempre più a «orazioni, messaggi,
appelli, memorie», e lasciando spazio a una specie di ripiegamento non
solo artistico, ma anche esistenziale che si accentuò dopo l’avventura
fiumana e che produsse opere non più all’altezza della fase precedente,
anche tenendo conto di importanti eccezioni come la Licenza della Leda
e il Notturno, entrambe comunque risalenti al 1916, cioè subito suc-
cessive alla cesura ipotizzata dal biografo, e ascrivibili appunto a quel
genere memorialistico che «aiuta a conoscere meglio lo scrittore, ma che
non aggiunge molto alla sua figura di artista».1
Non risulta difficile condividere l’opinione di Chiara, se si pensa che,
per quanto riguarda la prosa, il capitolo della novellistica viene sostan-
zialmente chiuso con l’edizione delle Novelle della Pescara nel 1902,
mentre per quanto riguarda i romanzi si arriverà al 1913 con l’uscita
della Leda senza cigno. Anche per quanto riguarda la scrittura teatrale, il
periodo da prendere in considerazione va dal 1897 col Sogno d’un mat-
45
Secondo capitolo
2
Annamaria Andreoli, Introduzione, in Gabriele d’Annunzio, Tutte le novelle, a cura
di Annamaria Andreoli e Marina De Marco, introduzione di Annamaria Andreoli,
Milano, Mondadori, 3a ed., 2006, pp. XI-XLVI, XI (d’ora in poi Introduzione 1).
³ Ibid.
4
Ivi, p. XII.
46
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Per un primo studio complessivo sul tema dell’infanzia in d’Annunzio cfr. Maria Te-
5
47
Secondo capitolo
cruda, che indugia all’orrido e al ripugnante non solo per l’effetto che
può avere sul lettore, ma anche, e forse soprattutto, perché corrisponde
alle pulsioni estetiche più intime del poeta.
Fanciullo, paesaggio, morte e orrido: elementi di una poetica che va-
riamente si intrecciano e altrettanto variamente vengono modulati nelle
diverse prove liriche e narrative di d’Annunzio.
Nei paragrafi che seguiranno si cercheranno di sviluppare e approfon-
dire tutti gli elementi e le tematiche fin qui solamente accennate, con
un’avvertenza metodologica e una precisazione terminologia. L’avverten-
za: nel canone lirico e in prosa che qui di seguito si andrà ad analizzare
è incluso quanto scritto e pubblicato da quello che è già stato identificato
all’inizio di questo paragrafo come il d’Annunzio “maggiore” e, in ogni
caso, antecedente all’esilio gardesano. Rimane invece esclusa l’ultima
produzione, perlopiù memorialistica, e il riferimento è alle Faville (1924
e 1928) e al Libro segreto (1935), perché nel primo caso (Il compagno
dagli occhi senza cigli) si tratta soprattutto di adolescenza, mentre nel
secondo l’immagine dell’infanzia che vi aleggia è eccessivamente lega-
ta a una prospettiva autobiografico-rievocativa con finalità introspettive
che ne alterano l’esemplarità letteraria.6 Infine, la precisazione: molto
spesso, e a maggior ragione nelle opere narrative, d’Annunzio attua uno
slittamento semantico che attribuisce alla figura del “bambino” le ca-
ratteristiche e le forme della fanciullezza – periodo evolutivo della vita
umana, compreso generalmente tra il sesto e l’undicesimo anno di età –
mentre per fanciullo o fanciulla s’intendono soggetti già progrediti nella
fase puberale/adolescenziale o, in alcuni casi, in quella della giovinezza
e quindi già aperti alle pulsioni sessuali che caratterizzano questi stadi
di sviluppo.
Sul ruolo dell’infanzia in queste opere del tardo d’Annunzio si rimanda a Isabella
6
48
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
2.2 La narrativa
7
Nella Roma di questi anni i quotidiani e le riviste nascono in una quantità e con una
velocità sorprendenti, tanto da provocare il disappunto di Giosue Carducci, contra-
riato da questo caotico affollamento: nel 1878 si trasferisce a Roma la “Nuova An-
tologia” e dall’anno successivo sino al 1884 vengono fondate in rapida successione
“Il Fanfulla della Domenica”, il “Capitan Fracassa”, la “Cronaca Bizantina”, “La
Cultura”, “La Domenica Letteraria”, “Roma letteraria”, “La Tribuna”, “La Domenica
del Fracassa”, “Le Forche Caudine” e “Nabab”.
8
Come sostiene Piero Chiara, d’Annunzio «diventerà infatti il fantasioso e vivace cro-
nista della vita romana. Ricevimenti mondani, balli, concerti, accademie di scherma,
prime all’Apollo, mostre d’arte, aste pubbliche, fiere di beneficenza, cerimonie reli-
giose, caccie alla volpe e fantasmi femminili formeranno il tessuto dell’“ora giocon-
da” (G. A. Borgese), della “vita romano-bizantina” dentro la quale entrerà come in un
bagno balsamico”, in Chiara, Vita di Gabriele d’Annunzio, p. 35. Sul periodo romano
si veda anche D’Annunzio a Roma, Atti del Convegno (Roma, 18-19 maggio 1989),
Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 1990.
9
Si vedano, ad esempio, gli articoli che d’Annunzio pubblica per recensire le liri-
che o le raccolte pascoliane: su “La Tribuna” il 7 aprile del 1888 con un contribu-
to intitolato Sonetti e sonettatori a proposito dell’opuscolo per le nozze del fratello;
sul “Mattino”, il 30-31 dicembre 1892, con un intervento intitolato L’arte lettera-
ria nel 1892. (La poesia) scritto in occasione della seconda edizione di Myricae;
su “Il Marzocco” infine, il 5 aprile 1896 con un articolo intitolato Dell’impresa
dei beoti. Estremamente elogiativo, inoltre, è il giudizio sul Pascoli poeta latino
dato nell’intervista intitolata Come fu composto il «San Sebastiano», pubblicata il
3 maggio 1911 sul “Corriere della Sera”. Per i rapporti tra d’Annunzio e Pascoli
si rimanda al carteggio tra i due pubblicato nell’edizione nazionale delle opere
49
Secondo capitolo
del poeta di San Mauro, Giovanni Pascoli e Gabriele d’Annunzio, Carteggio, con
l’aggiunta dei documenti sui rapporti tra i due poeti, a cura di Emilio Torchio,
Bologna, Pàtron, 2008, oltre che a Carla Chiummo, Guida alla lettura di “Myri-
cae” di Pascoli, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 18-25 e all’esaustiva bibliografia
su questo tema contenuta a p. 41.
10
Cfr. Chiara, Vita di Gabriele d’Annunzio, p. 27.
11
Introduzione 1, p. XI.
12
Su Terra vergine cfr. La capanna di bambusa. Codici culturali e livelli interpretativi per
“Terra vergine”, a cura di Gianni Oliva, Solfanelli, Chieti 1994.
50
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
13
Su Le novelle della Pescara cfr. Ivanos Ciani, Storia di un libro dannunziano: “Le no-
velle della Pescara”, Milano-Napoli, Ricciardi, 1975.
51
Secondo capitolo
14
Introduzione 1, p. XVI.
15
Sul metodo di lavoro di d’Annunzio e sulla sua “officina” cfr. Angelo Jacomuzzi, L’of-
ficina dannunziana tra obrador e opificio, ora in Id., Una poetica strumentale: Gabriele
d’Annunzio, Torino, Einaudi, 1974, pp. 3-33.
52
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
sura della Figlia di Iorio, composta tra il luglio e l’agosto ancora del
1903. Tutte opere, e in particolar modo Alcyone e la Figlia di Iorio, che
segnano il momento in cui d’Annunzio rimette in gioco l’Abruzzo at-
tribuendogli in modo definitivo, ma con modalità linguistico-descrittive
ancora in fase di sperimentazione, le caratteristiche e i colori del mito
attraverso l’accentuazione dell’elemento folklorico.16 Non per nulla La
figlia di Iorio, favola pastorale, ambienta la storia di Mila e Aligi in uno
scenario abruzzese arcaico e serve all’autore proprio per riconnettersi
intimamente alla radice più profonda della sua terra natale, grazie a una
narrazione che pone in rilievo l’immutabilità della natura umana e l’an-
damento ciclico delle vicende che da essa scaturiscono. Non è certo un
caso, è opportuno aggiungere, se le ultime liriche alcyonie instaurano
un collegamento ideale tra una Toscana riclassicizzata e un Abruzzo che
nella lontananza dell’altrove si fa concreto simbolo di uno spazio miti-
co ancora tangibile e aperto all’esperienza diretta.17 Esiste quindi una
strettissima connessione tra la revisione linguistica e variantistica delle
novelle raccolte per Treves e la contemporanea articolazione del registro
poetico delle composizioni alcyonie, in un gioco tipicamente dannunzia-
no nel quale le ragioni della produzione passata vengono sempre riprese
e piegate alle motivazioni delle opere più recenti e il tutto viene ordinato
in una specie di eclettismo consapevole che giustifica le linee di svilup-
po dell’arte del Vate.
In questa rete di collegamenti fra le esperienze artistiche del passato, le
intenzioni artistiche del presente e le prospettive artistiche del futuro, si
inserisce anche il tema del fanciullo.
In tutte le articolazione della produzione narrativa dannunziana sono
presenti immagini di fanciulli, modulate secondo i canoni estetici al-
meno formalmente seguiti in quel momento, verista o decadente che
16
Sulle connotazioni mitiche dell’Abruzzo dannunziano cfr. Ottaviano Giannangeli,
D’Annunzio e l’Abruzzo del mito, in D’Annunzio e l’Abruzzo, Atti del X Convegno di
studi dannunziani, Pescara, 5 marzo 1988, Centro Nazionale di Studi Dannunziani,
Pescara 1988, pp. 51-67. Più in generale, sui rapporti tra d’Annunzio e l’Abruzzo
si vedano in ivi: Ettore Paratore, D’Annunzio e l’Abruzzo (pp. 5-10) e Ivanos Ciani,
L’abruzzese Gabriele d’Annunzio (pp. 11-22).
17
Cfr. Introduzione 1, pp. XVI-XVII.
53
Secondo capitolo
18
Il personaggio di Lazzaro è rintracciabile anche nelle poesie della prima redazione
di Canto novo (1882) e, più precisamente, nei distici elegiaci della quarta lirica del
Libro quarto.
19
Gabriele d’Annunzio, Lazzaro (Terra vergine), in Id., Tutte le novelle, p. 24. Poiché tutti
i brani delle novelle qui proposti sono tratti dalla stessa fonte, nelle note successive
si darà indicazione unicamente del titolo della novella, della raccolta (tra parentesi) e
della pagina da cui è tratta la citazione.
54
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Non aveva mangiato da un giorno; gli ultimi boccone di pane se li era ingoia-
ti la mattina il figliolo, quel mostriciattolo umano dal cranio calvo e rigonfio
come una zucca enorme; lui il ventre l’aveva vuoto più della grancassa su
cui picchiava disperatamente perché la canaglia accorresse a pagargli un
soldo per quel miracolo di figliolo. Ma non si vedeva anima viva; il bimbo
se ne stava là dentro gittato su un mucchio di panni cenciosi, con le piccole
gambe raggricchiate, tutto testa, battendo i denti nel ribrezzo della febbre,
mentre i rimbombi gli davano spasimi alle tempie.20
20
Ibid.
21
Ivi, pp. 24-25.
55
Secondo capitolo
piano da qualche forra querciosa della Maiella, con quel viso sudicio,
con quei cappellacci neri ispidi sulla fronte, con que’ due occhiettini
tondi, giallastri come il fiore dell’edera, che non istavano mai fermi»,22
mentre più oltre viene paragonato prima a un mastino, per i versi che fa
con la bocca che ne rammentano l’uggiolare, e poi a un gatto, per come
si fa accarezzare,23 che pur nella sua selvatichezza rimane avvinto dalla
naturale bontà di Ninnì e le si offre con una dedizione assoluta. Quest’ul-
tima, invece, è la fanciulla-angelo, una «bambina magra, tutt’occhi, con
il viso pieno di lentiggini e un ciuffo di capelli biondicci sulla fronte»24
che riesce a vincere il ribrezzo che prova ogni volta che intravede il moz-
zicone di lingua che guizza nella bocca di Toto grazie all’amore fraterno
che l’avvicina a quello che ben presto diventa il suo cavaliere-protettore.
Un destino di morte per il freddo e per gli stenti aspetta però Ninnì, una
volta che sarà giunto l’inverno e che i due piccoli vagabondi non trove-
ranno più sostentamento nelle loro scorribande per le campagne riarse
di un Abruzzo quasi primordiale nel quale d’Annunzio li colloca. Ed
ecco allora che Toto subirà un’ulteriore metamorfosi animalesca, trasfor-
mandosi, a causa del dolore lancinante per la perdita di colei che unica
aveva saputo stargli vicino, in un lupo che, anche lui mortalmente ferito,
vaga senza meta nella tempesta finché le forze non lo abbandonano:
Gittò un grido che pareva gli si fosse spezzata una vena del petto; poi strinse
più forte quel corpicciuolo inanimato, e andò, andò, nella bassura fonda, in
mezzo ai turbini dei fiocchi, in mezzo agli ululi della raffica, ferocemente,
come un lupo digiuno; andò, andò, fin che non gli s’irrigidirono i muscoli,
fin che non gli si ghiacciarono le vene. Allora cadde di stianto, sempre col
cadaverino al petto. E li ricoperse la neve.25
22
Toto (Terra vergine), p. 32. Come hanno ben dimostrato Rossella Daverio e Carla Fer-
ri, fortissimi sono i richiami di questa novella a Jeli il pastore sia per la descrizione
dei due giovani protagonisti sia per alcuni elementi del contesto socio-ambientale nel
quale è inserita la vicenda. Cfr. Rossella Daverio - Carla Ferri, Echi verghiani in
Terra vergine, in “Quaderni del Vittoriale”, 8, 1978, pp. 41-52.
23
Toto (Terra vergine), p. 33.
24
Ibid.
25
Ivi, p. 37.
56
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
26
Cfr. Annamaria Andreoli, Note, in d’Annunzio, Tutte le novelle, pp. 837-1059, 882
(d’ora in poi Note 1) e il capitolo intitolato Da «Episcopo et Cie» alle «Novelle della
Pescara» in Ciani, Storia di un libro dannunziano, pp. 93-143.
57
Secondo capitolo
La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell’odor particolare che hanno tutti
i luoghi dove molta gente agglomerata vive. Tre o quattro bambini nudi,
anch’essi col ventre così gonfio che parevano idropici, si trascinavano sul
suolo, borbottando, brancicando, portando alla bocca per istinto qualunque
cosa capitasse loro sotto le mani. Mentre Donna Laura seduta riprendeva
le forze, la femmina parlava oziosamente, tenendo fra le braccia un quinto
bambino, tutto coperto di croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano due
grandi occhi, puri ed azzurri, come due fiori miracolosi.27
Più chiaro risulta, invece, il caso dei fanciulli descritti in Mungià. Il fatto
che questo racconto sia stato definito da Anco Marzio Mutterle uno «splen-
dido idillio», non impedisce di ritrovare al suo interno elementi che poi
verranno riutilizzati nelle pagine dedicate alla visita al santuario di Casal-
bordino nel Trionfo della morte,28 di cui si parlerà tra poco, così come non
27
Il traghettatore (Novelle della Pescara), p. 256.
28
E infatti lo stesso studioso aggiunge poco dopo: «E si riguardino le pagine di stra-
ordinaria raffigurazione dei mostri degenerati che costituiscono l’umile pubblico di
Mungià: forme ereditate da tempi remoti, stereotipi prodotti dalla corruzione mate-
riale, ma comunque destinati a rimanere per sempre, al di là degli oggetti singoli che
rivestono, senza possibilità di essere mutati o penetrati», in Anco Marzio Mutterle,
La novellistica, in D’Annunzio a cinquant’anni dalla morte, Atti dell’XI Convegno
58
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Quasi sempre i mendicanti allora gli fanno cerchia. Uomini con le membra
slogate, gobbi, storpi, epilettici, lebbrosi; vecchie piene di piaghe, o di cro-
ste, o di cicatrici, senza denti, senza cigli, senza capelli; fanciulli verdognoli
come locuste, scarni, con gli occhi selvaggi degli uccelli di rapina, con la
bocca già appassita, taciturni, che covano nel sangue un morbo eredita-
rio; tutti quei mostri della povertà, tutti quei miserevoli avanzi d’una razza
disfatta, quelle cenciose creature di Gesù, vengono a fermarsi in torno al
cantore e gli parlano come a un eguale.30
59
Secondo capitolo
Gattopardo, e in modo particolare con quelle pagine che nell’Indice analitico del
romanzo sono raggruppate sotto il titolo Il quadro e le reliquie, nelle quali viene de-
scritto l’oratorio delle tre figlie rimaste nubili di Don Fabrizio – Carolina, Caterina
e Concetta – con il quadro della presunta Madonna che sovrasta l’altare e le settan-
taquattro reliquie che ornano le due pareti di fianco a quest’ultimo. Più che sulle
reliquie, l’ironica penna di Tomasi di Lampedusa si sofferma sulla descrizione delle
cornici che le contengono, smascherando attraverso questo procedimento metonimico
l’idolatria ai limiti dell’eretico della religiosità delle tre sorelle e conferendo all’insie-
me la grandiosità macabra di una scenografia barocca: «Vi erano cornici di argento
scolpito e di argento liscio, cornici di rame e di corallo, cornici di tartaruga; ve ne
erano di filigrana, di legni rari, di bosso, di velluto rosso e di velluto azzurro; grandi
e minuscole, ottagonali, quadrate, tonde, ovali; cornici che valevano un patrimonio e
cornici comperate ai magazzini Bocconi; tutte amalgamate, per quelle anime devote,
ed esaltate dal loro religioso compito di custodi dei soprannaturali tesori», in Giuseppe
Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, in Id., Opere, introduzione e premessa di Gioac-
chino Lanza Tomasi, Milano, Mondadori, 5a ed. accresciuta e aggiornata, 2004, pp.
3-268, 249-250.
60
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Ibid.
34
61
Secondo capitolo
co»,35 l’intoccata purezza della «fronte dei discepoli» con le loro «teste
gioconde» e con i loro «grandi occhi» che illuminano di stupefatta me-
raviglia le loro «anime inconsapevoli» tratteggiano con malcelata ironia
l’immagine di tanti piccoli angeli che, nonostante l’ostinazione delle due
educatrici ad inculcare in loro i dettami di una religiosità greve e puni-
tiva, rimangono ostinatamente legati alla vita che scorre fuori dalle tristi
stanze dove sono costretti «per cinque ore del giorno». Testimonianza ne
siano quelle «bocche rosee» che sembrano appunto farsi beffe di tutti gli
orrori con i quali Orsola e Camilla vorrebbero annichilirli e che, di con-
seguenza, danno l’impressione di prendersi gioco anche delle due zitelle
e dello squallore della loro esistenza. Allo stesso tempo, la presenza dei
fanciulli e, ancora di più, la metodologia didattica alla quale vengono
sottoposti diventano pretesto per mettere in rilievo la mortifera staticità
della vita di Orsola attraverso un uso che si potrebbe definire fonosimbo-
lico della sillabazione dei piccoli allievi. L’iterazione ossessiva di questo
elemento nella parte finale del capitolo quinto della novella si trasforma
in un crudele ritornello che fa da contraltare all’angoscia montante della
protagonista e al senso di claustrofobica soffocazione che la travolge, se-
gno evidente di una disciplina andata in frantumi e del desiderio sempre
più forte di evadere da una casa-eremo trasformatasi in insopportabile
prigione:
Gervaisais dei fratelli Goncourt e più precisamente, come ricorda anche l’Andreoli
(Note 1, p. 895), dai momenti nei quali la protagonista guarda dormire «la grâce de
son enfant» e abbraccia il suo «premier sommeil». Cfr. Guy Tosi, D’Annunzio, le
réalisme et le naturalisme français, in D’Annunzio giovane e il verismo, Atti del 1°
Convegno internazionale di studi dannunziani (Pescara, 21-23 settembre 1979), s.l.,
s.n., 1981, pp. 59-127, p. 80.
62
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
36
La vergine Orsola (Le novelle della Pescara), pp. 92-93.
37
La madia (Novelle della Pescara), p. 313.
38
Nonostante d’Annunzio lo definisca sempre «fratello», pare in effetti più plausibile
per la logica del racconto e per la meccanica delle passioni che lo governano che
Luca non abbia alcuna consanguineità con Ciro, bensì solo una parentela acquisita.
63
Secondo capitolo
Ibid.
40
64
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
41
Per quest’opera cfr. Trionfo della morte, Atti del III Convegno internazionale di studi
dannunziani. Pescara, 22-24 aprile 1981, a cura di Edoardo Tiboni e Luigia Abrugia-
ti, Pescara, Centro nazionale di studi dannunziani, 1983.
42
D’Annunzio, infatti, iniziò la stesura del romanzo nel 1890, anche se esistono alcu-
ne testimonianze che farebbero risalire le prime prove de L’invincibile al 1889. Cfr.
Maria Giulia Balducci, Introduzione, in G. d’ANNUNZIO, Trionfo della morte, Milano,
Mondadori, 1995, pp. V-XXXVI, IX.
43
Cfr. ivi, pp. VI-VII.
44
Cfr. ivi, p. XVIII. Sulle fonti dannunziane e sul loro uso cfr. anche Mario PRAZ,
D’Annunzio e “l’amor sensuale della parola”, in La carne, la morte e il diavolo nella
letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1996, pp. 379-428.
45
D’Annunzio, Trionfo della morte, in Id., Prose di romanzi, vol. I, pp. 637-1019, 645 ss.
Da questa edizione verranno tratti i brani citati.
65
Secondo capitolo
46
Ivi, pp. 828-835.
47
Cfr. ivi, pp. 957-958.
48
Cfr. ivi, p. 740.
49
Cfr. ivi, rispettivamente pp. 708-709 e 711-713.
50
Cfr. ivi, p. 674.
51
Come ricorda Ezio Raimondi, «il sistema compositivo [del romanzo] restava più che
mai quello “sinfonico” dei Leitmotive, che rendeva possibile oltre tutto, in un romanzo
che si formava a pezzi, a scomparti disgiunti, la loro aggregazione concertante senza
l’obbligo di una maglia diegetica a forti nessi consecutivi», in Ezio Raimondi, Introdu-
zione, in d’Annunzio, Prose di romanzi, vol. I, pp. XI-XLII, XXXVII-XXXVIII.
52
Lo zio Demetrio, così come altri familiari di Giorgio dei quali si tratterà di seguito – il
padre, la madre e la zia Gioconda – sono personaggi modellati, almeno, in parte sui
corrispondenti familiari di d’Annunzio; in particolare, lo zio Demetrio e la zia Gio-
conda sono ispirati rispettivamente a Vincenzo e a Maria Rapagnetta, zii del poeta da
parte di padre. Cfr. Vito Moretti, D’Annunzio pubblico e privato, Venezia, Marsilio,
2001, pp. 56 (per il padre), 66 (per lo zio Demetrio), 80 e 89 (per la zia Gioconda).
66
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
67
Secondo capitolo
54
D’Annunzio, Il piacere, p. 34.
68
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
La Roma dannunziana è uno spazio fatto di soglie, basta una lieve di-
strazione per attraversarne una e ritrovarsi in un mondo completamente
diverso e, come in questo caso, ostile. Quella rappresentata in questa bre-
ve citazione è una realtà fatta di sofferenza (gli uomini febbricitanti) e di
indifferenza (la mancanza di curiosità verso Andrea ed Elena), di sopraf-
fazione (i due giovinastri «scarni e biechi» con «sguardo pieno d’ardor be-
stiale») e malattia.56 Emblema supremo di quest’ultima non può che essere
un’infanzia derelitta che funge da capro espiatorio per la maledizione che
sembra insistere su questa specifica parte di umanità. Le tre righe dedica-
te alla descrizione della piccola creatura ammalata sono un capolavoro di
sadica icasticità descrittiva e, insieme, di gusto barocco per il particolare
ripugnante. E il fatto che quello descritto possa in realtà non essere pro-
prio un fanciullo tra i sei e gli undici/dodici anni, ma un bambino più pic-
L’intera scena, come quella del commiato fra Andrea ed Elena che le fa cornice, è
56
ricalcata dalla novella Frammento (in “Fanfulla della Domenica”, 22 marzo 1885),
poi inserita in San Pantaleone con il titolo, appunto, di Commiato e infine confluita,
con lievissime varianti, nel Piacere.
69
Secondo capitolo
colo, particolare avvalorato dal fatto che sta ancora in braccio alla madre,
poco importa, perché ciò che conta qui è proprio la persistenza, alla quale
si è accennato poco sopra, di quella che Giorgio Petrocchi ha definito la
«realistica pittura dell’insanità e della miseria popolare che il d’Annunzio
aveva esercitato in Terra vergine e in San Pantaleone, e culminerà più tardi
nelle memorabili pagine sul pellegrinaggio di Casalbordino».57
Sicuramente un fanciullo è invece il secondo personaggio meritevole di
menzione perché segno di quell’apertura e di quella sperimentazione
di cui si è già detto. Il breve accenno, perché di questo si tratta, si trova
nel secondo capitolo del Libro secondo, e più precisamente la scena
è quella dell’arrivo di Maria Ferres alla stazione di Rovigliano, la più
vicina a Schifanoja, accolta da Andrea, dalla Marchesa e dal figlio di
lei, Ferdinando. Proprio su quest’ultimo si concentra per un attimo
l’attenzione, perché il fanciullo, gracile e dalla salute cagionevole, ha
l’incarico di portare un mazzo di rose da offrire all’ospite quando scen-
derà dal treno:
57
Giorgio Petrocchi, D’Annunzio e la tecnica del “Piacere”, in “Lettere italiane”, apri-
le-giugno 1960, pp. 168-179, p. 170.
58
D’Annunzio, Il piacere, p. 158.
70
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
71
Secondo capitolo
Tre o quattro bambini nudi, anch’essi col ventre così gonfio che parevano
idropici, si trascinavano sul suolo, borbottando, brancicando, portando alla
bocca qualunque cosa capitasse loro sotto le mani. E la femmina teneva fra
le braccia un altro bambino, tutto coperto di croste nerastre tra mezzo a cui
si aprivano due grandi occhi puri ed azzurri come due fiori miracolosi. […]
E mostrò di nuovo il suo figliuolo piagato, ma senza simular dolore, come se
ella semplicemente offrisse alla forestiera di passaggio un oggetto di pietà
prossimo in cambio d’uno più lontano e volesse dire: «Già che tu devi essere
pietosa, sii pietosa verso di questo che t’è innanzi».
60
A questo proposito cfr. Luca Bani, Da “Terra vergine” alle “Novelle della Pescara”.
Sviluppi tematici nel primo d’Annunzio, in “Atti dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed
Arti di Bergamo”, voll. LXXVI-LXXVII, a.a. 2012-2013 e 2013-2014, a cura di
Erminio Gennaro e Maria Mencaroni Zoppetti, Bergamo, Sestante, 2014, pp. 151-
165, 159.
61
D’Annunzio, Trionfo della morte, p. 874.
62
Ivi, p. 903.
63
Cfr. ivi, pp. 828-835.
72
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
– Perché è così? – chiese Giorgio guardando con una pena profonda su quel
misero volto maculato i due grandi occhi puri e freschi che parevano acco-
gliere tutta la luce sparsa nella sera di giugno.
– Chi lo sa, signore? – rispose la femmina pingue, sempre con la stessa pla-
cidezza. – Dio vuole così.64
Egli s’affrettò per la viottola, calò per una scorciatoia alla spiaggia, camminò
lungo il mare. Giunse sul luogo, un po’ ansante; domandò:
– Che è accaduto?
I contadini radunati lo salutarono, gli fecero largo. Uno rispose, tranquillo:
– S’è annegato il figlio d’una mamma.
Un altro, vestito di lino, che pareva il custode del cadavere, si chinò e tolse
il lenzuolo. Apparve il piccolo corpo inerte, disteso su la dura ghiaia. Era
64
Ivi, p. 830. Si noti, peraltro, come la prima frase di questa citazione è perfettamente iden-
tica al secondo di quella tratta dalla novella Il traghettatore riportata a p. 58.
65
Lo prova quanto scritto da d’Annunzio in una lettera a Vincenzo Morello il 16 agosto
1889 dal suo ritiro di San Vito Chietino: «Stamani, sotto la mia casa, tra gli scogli s’è
annegato un ragazzo. Ho assistito a tutta la scena tragica della Madre sopravvegnente.
Ella ha cantato per più di un’ora sul cadavere, a due braccia dal mare. Ha cantato,
musicalmente cantato. È una consuetudine del dolore nostrano… Tutto il mio essere
trema ancora». Lettera citata in Note, a cura di Annamaria Andreoli, in d’Annunzio,
Prose di romanzi, vol. I, pp. 1103-1349, 1339.
73
Secondo capitolo
74
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
I fanciulli del Trionfo sono come angeli caduti, messaggeri non più di
vita e di futuro, ma del destino di morte che attende il protagonista e
con lui, come si vedrà meglio tra poco, tutta la classe di intellettuali-
esteti borghesi alla quale Giorgio appartiene.
Ai due esempi già visti, i più pregnanti dal punto di vista simbolico,
se ne potrebbero affiancare svariati altri, che pure sono da considerare
importanti perché ugualmente enfatizzano quei luoghi del romanzo nei
quali la presenza della morte si fa potente. Si pensi, per concludere, a
uno degli episodi che aprono il Libro secondo, La casa paterna, ossia
la morte e il funerale di don Defendente Scioli.67 La lunga sequenza di
questi due avvenimenti, che attraversa la parte finale del primo e tutto
il secondo capitolo, inframmezzandosi con i dialoghi che il protagoni-
sta ha prima con la zia Gioconda e poi con la madre, è interpretabile,
per quanto riguarda la struttura romanzesca, come una scenografia che
fa da sfondo alla vicenda agìta da Giorgio o, forse meglio, come il tema
di fondo, in questo caso un tema corale, che puntualmente interrompe
le parti discorsive. Così facendo, la morte diventa un elemento onni-
presente che con la sua aura avvolge e condiziona la volontà, i propo-
siti e le azioni del protagonista. In modo particolare nella descrizione
del funerale, fanno la loro apparizione anche delle figure di fanciulli
che vengono introdotte e sviluppate secondo una linea rappresentativa
modellata sullo schema individualità-moltitudine-individualità-ide-
ntificazione. Il primo approccio con questa immagine è infatti quello
con un fanciullo singolo, definito solo per il suo essere scalzo e, quin-
di, genericamente povero, al quale è affidato il compito di raccogliere
nell’incavo delle mani la cera che cola dalle candele portate dagli in-
cappucciati che accompagnano il corteo funebre:
67
Cfr. ivi, pp. 708-717.
68
Ivi, p. 713.
75
Secondo capitolo
Giorgio pensava: «Che onoranza triste e ridicola segue la morte d’un uomo!»
Vide sé stesso nella bara, chiuso tra le assi, portato da quegli uomini ma-
scherati, accompagnato da quelle torce, da quell’orribile strombettio. L’ima-
gine lo empì di disgusto. Poi lo attrassero quei fanciulli laceri che raccoglie-
vano le lacrime della cera, a fatica, un po’ curvi, con un passo ineguale, con
gli occhi intenti alla fiammella mutabile.69
69
Ibid.
70
Ivi, p. 717.
76
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
77
Secondo capitolo
71
Ivi, p. 718.
72
Ivi, p. 723.
73
Ibid.
74
Ivi, p. 727.
78
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
creato così incapace di qualsiasi anche pur minimo istinto vitale. E nuo-
vamente, nello spazio del giardino nel quale si trovano i tre personaggi,
tornano le analogie tra l’essere umano destinato al martirio e diversi ele-
menti della natura vegetale e animale, sistemati in rapida successione
per amplificarne il potere evocativo. Il collo di Luchino, a causa della
pesantezza della sua testa, sproporzionata rispetto al resto del corpo, ha
dunque la fragilità di uno stelo, mentre gli occhi hanno un’espressione
dolce e «umida» come quella di un agnello, «cerulei fra le lunghe ci-
glia chiare».75 In contrasto con quest’apparenza di fanciullo fragile e,
si potrebbe dire, quasi incompiuto, ecco il particolare dei capelli, così
biondi da sembrare bianchi, utile a creare l’immagine paradossale di un
giovane/vecchio al quale mancherà la robustezza della maturità perché
dalla prima età nella quale si trova ora verrà lanciato direttamente nella
terza e, quindi, nella dimensione della morte. E al presagio della morte
è dedicata la scena più lunga nella quale compare Luchino, nel capitolo
quinto del Libro secondo, La casa paterna.76 Il piccolo, dalle labbra pal-
lide e dalle guance esangui, sta per andare a dormire e per questo motivo
viene preso in braccio dallo zio che, sentendo la gracile pochezza del suo
petto infantile, lo paragona a un uccellino. In questa sequenza, malattia
e morte si intrecciano fortemente: il bambino ha un dito fasciato per un
piccolo taglio che non riesce a rimarginarsi e dal quale non esce sangue,
bensì un liquido biancastro, segno di un infezione in corso, ma soprattut-
to simbolo dell’assenza di vita nelle vene del fanciullo, nelle quali scorre
un potente veleno anziché la rossa linfa rigeneratrice. Dopo questo primo
annuncio, la malattia viene dichiarata esplicitamente nella lunga descri-
zione della svestizione del fanciullo per prepararlo alla notte:
Egli la guardava mentre ella svestiva il bimbo. A poco a poco ella lo svestiva,
con cautele infinite, come temendo d’infrangerlo; ed ogni gesto di lei rivelava
dolentemente la miseria di quelle membra esili ove già incominciavano ad
apparire le deformazioni della rachitide incurabile. Il collo era sottile e floscio
come uno stelo appassito; lo sterno, le costole, le scapule sembravano tra-
Ibid.
75
79
Secondo capitolo
sparire a traverso la pelle rilevati anche più dall’ombra che empiva gli spazii
cavi; le ginocchia ingrossate avevano la forma di due nodi; il ventre un po’
gonfio dava risalto alla magrezza acuta delle anche, segnato da un ombelico
sporgente. Come il bimbo sollevava le braccia perché la madre gli mutasse la
camicia, Giorgio provò una pietà dolorosa fino allo spasimo scorgendo quelle
piccole ascelle gracili che parevano rivelare pur in quel semplice atto la pena
d’uno sforzo contro il languore letale ove la tenue vita stava per estinguersi.77
E l’atmosfera che circonda la vita del fanciullo che sta per estinguersi
è propriamente quella di una veglia funebre anticipata. Nella lunga ca-
micia da notte bianca che ora lo veste, Luchino appare a Giorgio come
un «morticino», e nell’attesa che il piccolo si addormenti, fratello e so-
rella lo vegliano come se fossero al suo capezzale, immersi nell’odore
pungente delle medicine che a nulla servono, se non a ritardare di poco
il momento fatale. Per Giorgio e Cristina, quella che hanno di fronte è
una scena di morte, ed entrambi ne sono perfettamente consapevoli, ma
per il protagonista, a maggior ragione, questa visione ha un forte potere
evocativo, perché nel nipote non può che vedere riflessa la propria im-
magine di uomo che, sia pur seguendo altre strade, si sta avvicinando al
momento fatale, all’incontro con la morte.
L’analisi del personaggio di Luchino dà l’opportunità di segnalare un’ul-
teriore deviazione dalle tipologie di fanciulli dannunziani incontrati si-
nora. Dopo il caso appena visto del fanciullo borghese votato alla ma-
lattia e alla morte a causa della sua istituzionale inettitudine alla vita e
dopo le figure del fanciullo aristocratico o appartenente alle classi socia-
li meno abbienti incontrate nelle novelle, nel Piacere e nuovamente nel
Trionfo, ecco un ultimo esempio di fanciullo che proprio in quest’ultimo
romanzo fa una breve apparizione e che ha come unico scopo quello di
fungere da immagine antitetica a quella del nipote del protagonista, cre-
ando con ciò una sorta di binomio rispecchiante l’antitesi tra la coppia
Giorgio/zio Demetrio (ma vi si potrebbe aggiungere anche Cristina) e la
coppia padre/fratello Diego o, comunque, tra personaggi votati alla morte
e personaggi pienamente immersi nel violento e caotico fluire della vita.
Ivi, p. 740.
77
80
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Vide presso il cancello due bambini che giocavano con la ghiaia. Senza avere
il tempo di esaminarli, indovinò che quelli erano i suoi fratelli illegittimi, i figli
della concubina. Come egli s’avanzava, i due bambini si volsero e rimasero a
guardarlo attoniti ma senza peritarsi. Erano sani, robusti, floridi, con le guance
invermigliate dalla salute, con l’impronta manifesta della loro origine.80
78
Ivi, p. 718.
79
Ivi, p. 710.
80
Ivi, p. 746.
81
Secondo capitolo
81
Cfr. Thomas Mann, I Buddenbrook, traduzione di Ervino Pocar, introduzione di Maria-
nello Marianelli, Milano, Mondadori, 1990, Parte undicesima, pp. 549-595.
82
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
2.3 La lirica
82
Cfr. Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, Note, in Gabriele d’Annunzio, Versi d’amo-
re e di gloria, edizione diretta da Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli e
Niva Lorenzini, introduzione di Luciano Anceschi, Milano Mondadori, 5a ed., 2001,
2 voll., vol. I, pp. 767-1189, 770-771 (d’ora in poi Note 2).
83
Ivi, p. 771.
84
Cfr. Gabriele d’Annunzio, A l’Etna, (Primo vere, testi non ristampati nell’edizione
definitiva), in Id., Versi d’amore e di gloria, vol. I, pp. 734-741. Tutte le liriche di
d’Annunzio citate nel testo provengono dalla stessa fonte e quindi, nelle note succes-
sive, si indicheranno solamente il titolo o il numero romano identificativo della lirica,
quello della raccolta tra parentesi, il volume e le pagine alle quali si trova.
83
Secondo capitolo
pho,85 l’«isola beata» (v. 3) della poetessa greca, Lesbo, diventa uno spazio
onirico-regressivo sovrastato da nubi-fanciulle (vv. 7-8) che evidentemen-
te simboleggiano il fascino di una condizione di ritorno alle origini per ora
identificato con l’età greca classica, la puerizia della cultura occidentale.
Una breve ripresa delle immagini appena evocate, questa volta concentra-
te in una lirica sola, è possibile rintracciarla nel primo dei sonetti che com-
pone il trittico intitolato Per le messe ne La chimera. L’evocazione iniziale
di Ebe, dea della giovinezza e figlia di Giove, rimanda proprio a una «terra
generatrice», la Grecia classica appunto, che grazie all’epifania della divi-
nità, potrà tornare a realizzarsi nuovamente nella modernità, anticipando
con ciò un’idea che sarà pienamente realizzata solo con Alcyone:
85
Sappho, (Primo vere), ivi, pp. 39-40.
86
Per le messe, I, (La Chimera), ivi, p. 565.
87
Ex imo corde, (Primo vere), ivi, pp. 7-10.
84
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
«i sogni superbi con baldanza / puërile» (vv. 43-44), sogni non a caso
accostati a «una schiera di fanciulle alate» (v. 47) che fuggono da lui sol-
cando l’azzurro del cielo. Quest’ultima immagine verrà poi fugacemente
ripresa in alcuni versi della prima sezione delle Due Beatrici, ancora una
volta tratti da La Chimera, nei quali il poeta rinnova il proprio autoritrat-
to come fanciullo ancora ingenuo ma potente nella passione che lo spin-
geva verso la realizzazione del suo destino di gloria artistica (vv. 49-56):
88
Due Beatrici, (La Chimera), ivi, p. 463.
89
Per un inquadramento generale di questa raccolta cfr. Canto novo nel Centenario del-
la pubblicazione, Atti del IV Convegno internazionale di studi dannunziani (Pescara,
7-8 maggio 1982), Pescara, Fabiani, 1983.
85
Secondo capitolo
[…] ponendo in primo piano personaggi del popolino, poveri relitti umani
oppressi dall’ignoranza, dalla miseria e dall’appartenenza a una società pro-
vinciale, anzi addirittura primordiale, ci si adeguava alla moda degli anni
ottanta, imposta dal naturalismo col recare in prima fila figure di umili, am-
bienti plebei. Ma per il d’Annunzio era soprattutto trovare il punto d’appog-
gio più solido, ascoltare le voci ancestrali esaltanti il suo istinto di barbaro
conquistatore […].91
90
III, (Canto novo, editio princeps, Libro terzo), vol. I, p. 199.
91
Ettore Paratore, Naturalismo e decadentismo in Gabriele d’Annunzio, in “Quaderni
Dannunziani”, XXVIII-XXIX (1964), pp. 1665-1778, 1699.
86
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
92
V, (Canto novo, editio princeps, Libro terzo), vol. I, pp. 200-201.
87
Secondo capitolo
88
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
[…]
89
Secondo capitolo
95
Per un inquadramento generale di questa raccolta cfr. Poema paradisiaco, XVI Con-
vegno nazionale (Chieti-Pescara, 7-8 maggio 1993), Pescara, Ediars Oggi e Domani,
1993.
96
Scrive infatti Salinari: «Il superuomo nasce in Italia ufficialmente nel gennaio del
1895 con la pubblicazione, sul primo numero del “Convito” (la rivista di Adolfo De
Bosis), della prima puntata de Le vergini delle rocce», ma poi, nella nota 1, aggiunge
90
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
91
Secondo capitolo
98
Walter Binni, La poetica del Decadentismo italiano, Firenze, Sansoni, 1949, p. 74.
Poco prima, tuttavia, il grande critico perugino aveva specificato anche che «L’ac-
cento del Poema paradisiaco ha fatto prendere quest’opera come l’unica veramente
decadente del d’Annunzio, per la sua chiara parentela con i decadenti francesi e
per il fatto che in Italia l’atteggiamento decadente è stato identificato senz’altro con
quello dei crepuscolari, degli stanchi, dei languidi. Prevale insomma, di fronte alla
stanchezza del Poema Paradisiaco, l’accezione deteriore del decadentismo», in ivi,
p. 72.
92
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
99
Federico Roncoroni, Attività letteraria, ideologia e arte in Gabriele d’Annunzio, in
Piero Chiara, Vita di Gabriele d’Annunzio, pp. 471-512, 482.
100
Su d’Annunzio e il simbolismo cfr. D’Annunzio e il simbolismo europeo, Atti del Con-
vegno di studio, Gardone Riviera, 14-15-16 settembre 1973, a cura di Emilio Maria-
no, Milano, Il Saggiatore, 1976.
93
Secondo capitolo
101
Sergio Solmi, Sergio Corazzini e le origini della poesia contemporanea, in Id., Scrittori
negli anni. Saggi e note sulla letteratura italiana del ‘900, Milano, Il Saggiatore,
1963, pp. 263-277, rispettivamente 265 e 264.
102
Roncoroni, Attività letteraria, ideologia e arte in Gabriele d’Annunzio, pp. 482-483.
103
Alla nutrice (Poema paradisiaco), vol. I, pp. 599-600.
104
Sulla figura della madre e sul tema della terra/madre in d’Annunzio cfr. Benito No-
gara, La componente pastorale nell’opera dannunziana. Gli archetipi della nostalgia
delle origini, Ann Arbor, University Microfilms International, 1984.
94
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
95
Secondo capitolo
106
Ivi, p. 1147.
107
Mentre in Consolazione, (Poema paradisiaco), vol. I, pp. 668-670 sarà il volto materno
ad essere adorno della purezza soffusa del bianco: «Troppo sei bianca: il volto è quasi
un giglio» (v. 4).
108
Sulle valenze simboliche del latte materno cfr. Gaston Bachelard, L’Eau et les Rêv-
es. Essai sur l’imagination de la matière, Paris, Corti, 1942 (parzialmente tradotto
in: Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita, Como, Red, 1987, p.
100 ss.).
96
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
97
Secondo capitolo
A lei [Anna], infatti, il d’Annunzio promette quel ritorno in seno alla fami-
glia che gli appare come l’unica soluzione possibile alle sue sofferenze e
che si configura come il vagheggiato ma impossibile recupero dell’innocenza
infantile: un ritorno che nel Nuovo messaggio sarà di nuovo promesso e che
in Consolazione, che nella struttura del Poema paradisiaco viene collocata
dopo questi due componimenti, ma che in realtà è ad essi cronologicamente
anteriore, è dato per avvenuto.112
110
Il buon messaggio, (Poema paradisiaco), vol. I, pp. 604-605.
111
Note 2, pp. 1154-1155.
112
Gabriele d’Annunzio, Poesie, introduzione, scelta dei testi, note e commenti di Fede-
rico Roncoroni, Milano, Garzanti, 9a ed., 2003, p. 161.
98
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
99
Secondo capitolo
Dunque erbe nuove, acque correnti, giorni luminosi e, come in Alla nutri-
ce, un latte divino che è nutrimento puro per d’Annunzio/fanciullo. E però
anche notti, nelle quali un’inquietudine momentaneamente sopita riemer-
ge dal profondo, per poi tornare a sciogliersi nella calma infusa dall’o-
ceano di ombre nel quale l’individualità del poeta sembra “naufragare”.
Come nella lirica proemiale, anche nel Buon messaggio vi è dunque un
continuo, contrappuntistico richiamare una condizione dalla quale il poeta
vuole fuggire e di cui proprio quell’ansia è il segno evidente. D’Annunzio,
«stanco di mentire» (v. 14, sintagma poi ripreso nel secondo verso della
prima quartina di Consolazione, lirica nella quale il personaggio materno
torna protagonista: «Non pianger più. Torna il diletto figlio / a la tua casa.
È stanco di mentire») e «da troppo tempo solo» (v. 16), sente ancora il
peso della «brama» (v. 31) e del «disgusto» (v. 32) che opprimevano la sua
anima. Ma forse, in questa fase, una speranza di tornare alla purezza della
fanciullezza esiste ancora, ed è quella evocata nella chiusa della lirica,
che con ciò si distacca dalle conclusioni di quella proemiale: «[…] E dim-
mi, dunque, dimmi: in cima / ai rami, ai rami teneri, è la prima / foglia? e
brilla? E tu hai dunque cantato?» (vv. 34-36). All’immagine della madre,
involontaria parca, che in Alla nutrice filava un destino probabilmente in-
fausto al figlio perduto, qui si contrappone la canzone della sorella: canto
di vita e canto di gioia, canto di rinnovamento e canto di rinascita.
E la figura del puer, sempre immersa nel tripudio di un paesaggio natura-
le e umano ora settembrino, torna in O rus!,113 dodicesima composizione
della sezione Hortulus Animae e, secondo la critica, la più pascoliana tra
le liriche paradisiache.114 Il «fanciul» che nei fossi «abbevera la falba
/ e bianca maculata ruminante» (vv. 23-24) non è solo un’apparizione
fugace in questa lirica che, come già notava Adelia Noferi, molto ha in
Note 2, pp. 1178-1179: «E se ci si chiede la ragione per cui fra tutte le liriche dan-
114
nunziane, l’alter ego del poeta […] propone le quartine di O rus! come il precedente
da segnalare in vista della nuova gloria della natura, si potrebbe rispondere che è
giusto qui uno dei momenti più flagranti della sottile competizione del d’A. con il
Pascoli». L’alter ego è l’Angelo Conti della Beata riva, definito dalla Andreoli «nel
novero dei più stretti sodali» del poeta; in Annamaria Andreoli, D’Annunzio, Bologna,
Il Mulino, 2004, p. 63.
100
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Cfr. Adelia Noferi, L’Alcyone nella storia della poesia dannunziana, Firenze, Vallec-
115
101
Secondo capitolo
Questi sono i regali che la «Madre» può elargire ai suoi figli, e in modo
particolare ai fanciulli, i soli a poterne gustare appieno, per quanto
inconsciamente, non solo le facoltà rigeneranti, ma anche i significati
metaforici: i frutti «succulenti» della terra sono il correlativo oggettivo
della puerizia.116 E ancora il fresco e bianco latte, qui riproposto nella
pienezza della sua simbologia di liquido nutritivo non a caso subito se-
guito dall’immagine di quell’altro fluido fondamentale che della vita è
il simbolo per eccellenza: il sangue che scorre nelle vene e che irrora il
cuore. Questo, nel Poema paradisiaco, è il momento più alto nel quale
il sogno di tornare alla felicità e bontà della fanciullezza è finalmente,
anche se solo temporaneamente, realizzato. Un momento che probabil-
mente trova la sua espressione più felice nella quartina finale della già
citata Consolazione,117 la poesia più rappresentativa del tono di questa
silloge sia per la densità riassuntiva dei motivi tematici che in essa si
trovano (il ritorno a casa del figlio, la ricerca dell’innocenza nella casa
della fanciullezza, l’immagine materna118) sia per il registro volutamente
basso ma al contempo altamente musicale dei sui versi. Nell’apparente
116
«The only way of expressing emotion in the form of art is by finding an “objective
correlative”; in other words, a set of objects, a situation, a chain of events which shall
be the formula of that particular emotion; such that when the external facts, which
must terminate in sensory experience, are given, the emotion is immediately evoked»,
Thomas Stearns Eliot, The Sacred Wood. Essays on Poetry and Criticism, London,
Methuen, 1920, p. 93.
117
Cfr. nota 107.
118
La lirica venne compiuta l’11 gennaio del 1891 e, come segnala Federico Roncoro-
ni, d’Annunzio era effettivamente tornato a Pescara per un breve soggiorno dal 23
al 30 dicembre del 1890, trovandosi tuttavia in una situazione familiare e in uno
stato d’animo ben diversi da quelli prospettati nel componimento, come rivela una
lettera a Barbara Leoni pure citata da Roncoroni: «La mia casa è senza conforto. Io
avrei preferito di non vedere, di non sentire, d’ignorare certe disperazioni… sento
che quindici giorni di questa vita mi farebbero morire». In d’Annunzio, Poesie, p.
188.
102
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
103
Secondo capitolo
zioni e alle prosaicità tipiche delle liriche di questa fase non sarebbe mai
giunto alle Laudi e, soprattutto, alla grandezza di Alcyone.
In effetti, negli anni stessi in cui venivano composti i versi del Poema
paradisiaco e delle ultime Elegie romane e le pagine dell’Innocente,
contemporaneamente quindi al distillarsi dello spirito tolstoiano nella
lirica e nella prosa del Pescarese, la mai sopita curiosità dannunziana,
che è un altro aspetto del suo complesso sperimentalismo, si imbat-
teva, attraverso le deformazioni dell’esaltazione wagneriana, nel mito
nietzschiano del superuomo. Un incontro che doveva rivelarsi decisivo
per il prosieguo della sua esperienza artistica. Esso, come primo ri-
sultato, produsse l’effetto di liberare il poeta dalle ambigue velleità
moraleggianti sulle quali aveva incentrato le opere composte in quel
giro di anni; poi, e soprattutto, ebbe l’effetto di riconciliarlo con il suo
innato sensualismo, riportandolo, almeno in questo campo, sulla via di
quella sincerità espressiva e di quella adesione alla sua più intima e
vera natura che contraddistingueranno almeno la prima fase dell’epo-
pea compositiva delle Laudi.
Nato come racconto di un viaggio verso le origini mitiche della propria
cultura e quindi della propria essenza più profonda, viaggio che bio-
graficamente corrisponde alla crociera del 1895 sul panfilo Fantasia di
Edoardo Scarfoglio,120 Maia, primo di un progettato ciclo di sette libri
dedicati alle Pleiadi, segna effettivamente il punto di partenza ideale di
un percorso che idealmente si riallacciava all’infanzia e alla fanciullezza
del mondo, l’Ellade appunto, per poi collegarsi a quella Toscana che
divenne il motore del primo Rinascimento – e che sarà celebrata in Al-
cyone – e a Roma, erede designata di una cultura greca amplificata nella
gloria dell’impero costruito sul valore delle imprese militari, e destinata
della crociera come fonte per la composizione dei versi di Maia. Si tratta in specifico
dei taccuini III e IV nell’edizione curata da Enrica Bianchetti e Roberto Forcella
(Milano, Mondadori, 1965, pp. 29-73) che contengono il giornale di bordo della cro-
ciera e che d’Annunzio aveva pensato di dare alle stampe, tranne poi, nel febbraio del
1896, cominciare a versificarli. Cfr. Annamaria Andreoli, Introduzione, in Gabriele
d’Annunzio, Maia, a cura di Annamaria Andreoli, Milano, Mondadori, 1995, pp. VII-
LXIV, LIII-LXIII (d’ora in poi Introduzione 2) e Appendice, ivi, pp. 345-386, 347.
104
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Perché garante del Vate moderno, del cantore della vita nova, sarà appunto
il passato augusto, che rivivrà (si realizza così il poema di vita totale) in un
“nuovo Rinascimento”, in una “nuova primavera dello spirito”, di cui d’An-
nunzio si arroga, sicuro, un avvento scandito dall’incessante più oltre che
recitano i suoi motti fin troppo fortunati.122
121
Introduzione 2, p. XVII.
122
Ivi, p. XX. I corsivi sono nel testo.
123
II, I giacigli, (Maia), vol. II, p. 17, vv. 9-42.
105
Secondo capitolo
Attonito io rimirava
la luce e il mondo. Quanti
furono i miei giacigli!
Giacqui su la bica flava
udendo sotto il mio peso
stridere l’aride ariste.
Giacqui su i fragranti
fieni, su le sabbie calde,
su i carri, su i navigli,
nelle logge di marmo,
sotto le pergole, sotto
le tende, sotto le querci.
Dove giacqui, rinacqui.
(vv. 9-21)
Mi persuase i sonni
il canto della trebbia,
il canto dei marinai,
il canto delle sartie al vento,
106
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
107
Secondo capitolo
125
Sulla costruzione e la struttura del terzo libro delle Laudi si rimanda al fondamentale
Franco Gavazzeni, Le sinopie di Alcione, Milano - Napoli, Ricciardi, 1980.
126
Cfr Federico Roncoroni, [Introduzione] a Il fanciullo, in Gabriele d’Annunzio, Alcyo-
ne, Milano, Mondadori, 1982, pp. 113-118, 116 e Ilvano Caliaro, [Introduzione] a Il
fanciullo, in Gabriele d’Annunzio, Alcione, a cura di Ilvano Caliaro, introduzione di
Pietro Gibellini, Torino, Einaudi, 2010, pp. 28-30, 29.
108
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
i fiori ch’egli vede ogni giorno gli dicono sempre nuove parole, gli rivelano
sempre qualche nuovo aspetto della vita. L’ispirazione è lo stato che precede
l’istante nel quale la sua maraviglia sarà espressa dallo stile. Se noi voglia-
mo comprendere gli artisti, è necessario che pensiamo ai bambini.
Qual profondità di sentimento, e quale limpidità di sguardo ha il fanciullo,
ancora non abituato alla quotidiana vicenda dei suoni e delle forme, delle
allegrezze e delle lacrime! E quali domande inattese gli consigliano il suo
stato di stupore, le sue sorprese, le sue paure, le sue gioie serene! Noi siamo
abituati allo spettacolo delle stelle, a veder soffrire e a veder morire: né mai
l’uomo comune e raramente l’uomo dotto si domandano che cosa è la morte
e che cosa sia l’immenso cielo stellato. Ma il bambino fa queste domande
ed altre ancora, che spesso ci rendono impossibile formulare una risposta
efficace ad appagare non dico la sua curiosità innocente, ma il nostro stesso
cuore.
Le medesime cose che il bambino chiede, chiede il filosofo e chiede l’artista.
Il quale, al cospetto della natura, ritrova la sua anima infantile; il che vuol
dire ch’egli può, contemplando le forme sempre vedute, sentire ad intervalli
l’impressione che danno le apparizioni nuove e inattese, e che inoltre può
generarsi in lui quello stato di ansietà curiosa e triste che è il carattere
essenziale delle anime filosofiche. Soltanto a colui al quale ad intervalli il
mondo apparisca come uno spettacolo nuovo, è concesso scoprire nelle for-
me la luce delle idee, e riflettere questa luce in opere che si sottraggano alle
leggi di morte.
La maraviglia dell’artista al cospetto della scena del mondo è la sua forma di
conoscenza. Quando la sua maraviglia sia piena, profonda e sincera, è segno
che al suo sguardo è apparsa la vita, e che dietro il velo della realtà egli ha
veduto l’idea.127
109
Secondo capitolo
128
Cfr. Pietro Gibellini, Introduzione, in d’Annunzio, Alcione, pp. V-XXV, VII.
129
Ivi, p. X.
130
L’onda, (Alcyone), vol. II, p. 538, vv. 78-84.
131
Intendendo infatti La tregua come lirica di raccordo con Maia e con Elettra, è proprio
110
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
nella corona di sette ballate che compongono Il fanciullo che si può ravvisare il vero
inizio di Alcyone. Così Federico Roncoroni: «In essa [nella lirica Il fanciullo], quando
sarà composta […], Alcyone troverà qualcosa in più del suo vero e degno proemio,
dopo quello pretestuoso costituito dalla Tregua e volto a giustificare i nuovi modi
poetici rispetto a quelli dei due libri precedenti: essa si porrà, infatti, all’inizio stesso
del Libro, come l’ideale punto di convergenza delle sue sparse intuizioni ideologiche
e delle sue varie soluzioni espressive», in Federico Roncoroni, Introduzione, in d’An-
nunzio, Alcyone, pp. 5-97, 60.
132
«Il fanciullo cavalcante su un delfino – questa classica immagine greca del fanciullo
divino – porta sulle monete, ora le ali, ora la lira, ora la clava di Herakles. Secondo
tali attributi egli è da considerare ora come Eros, ora come un essere apollineo, erme-
tico o erculeo – anzi, veramente come queste divinità stesse nel grembo dell’universo,
nelle loro condizione di embrione cullantesi sull’Acqua […]. Il fanciullo sul delfino
porta più spesso gli attributi di Dioniso che quelli di qualunque altra divinità», in Ka-
roly Kerényi, Il fanciullo divino, in Carl Gustav Jung e Karoly Kerényi, Prolegomeni
allo studio scientifico della mitologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1972, pp. 45-106,
103-104.
133
«Ma precisandosi i ruoli dell’eroe e dell’uomo […] si precisa anche il dio preomeri-
co della Weltanschaung dannunziana: il fanciullo Ermete, corrispettivo del Dioniso
nietzschiano. La sua mutabilità, la sua ambiguità di Dio che vive tra luce e ombra,
lo rende promuovibile a vero proemio della raccolta: le sette ballate disegnano così,
e anticipano, l’itinerario di liriche di luce e di liriche d’ombra, di “calami toscani” e
di “selvaggia melodia”, di illusione e delusione, fino all’irreparabile fuga dell’ultima
ballata», in Cfr. Pietro Gibellini, La storia di Alcyone, in Id., Logos e Mythos. Studi
su Gabriele d’Annunzio, Firenze, Olschki, 1985, pp. 31-84, 42. Sulla corrispondenza
tra il fanciullo dannunziano ed Ermes cfr. anche Carlo Diano, Classicismo e classicità
in d’Annunzio, in Giorgio Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, a cura di Carlo
Ferdinando Russo, Firenze, Le Lettere, 1994, 2 voll., vol. II, Terze pagine stravaganti;
Stravaganze quarte e supreme. Nel testo originale, pp. 190-204.
134
Gibellini, Introduzione, p. XVI.
111
Secondo capitolo
poeta, rendendo il primo un sorta di alter ego del secondo, non si ferma-
no qui, perché ad esempio entrambi sono cantori tanto della luce quanto
dell’ombra, della solarità piena e realizzata del giorno e della riposante
oscurità notturna, in un convergere di motivi poetici che non possono non
potenziare il meccanismo identificativo autore/personaggio. Da ciò deriva
la suggestione che il fanciullo già incontrato in Maia altro non sia che
quello che si potrebbe definire come un “cartone preparatorio” per il mo-
dello poi pienamente realizzato in Alcyone.
La definizione del fanciullo alcyonio è anche una consapevole dichiara-
zione di lontananza da un modello coevo che pure si andava radicando
in quegli anni in perfetta antitesi con quello dannunziano e che in mag-
gior misura avrebbe segnato la successiva poesia novecentesca; è cioè la
constatazione della diversità che marca la lirica del Pescarese da quella
pascoliana, perché, come sostiene ancora Gibellini:
L’inafferrabile creatura dai verdi occhi e dai neri cigli […] impersona la
poetica alcionia così come il Fanciullino simboleggiava l’estetica del Pasco-
li;135 trasformando la neotenica voce interiore immaginata da Giovanni nel
«divin fanciullo» Ermete, Gabriele sanciva lo stacco fra «l’ultimo figlio di
Virgilio» e «l’ultimo figlio degli Elleni», fra il soggettivismo latineggiante e
Così Gibellini su Pascoli in merito all’immagine e all’idea di fanciullo: «Che alla mèta
135
di un’arte nuova e antica i due aspirassero per vie diverse si ricava dalle due poeti-
che. Quella del più pensoso Pascoli è affidata alla diffusa prosa del Fanciullino […].
Raccogliendo stimoli dell’amico Angelo Conti, uno dei “nobili spiriti” marzocchini,
legato anche a d’Annunzio, Pascoli riprendeva l’immagine già classica del dàimon
interiore che ispira il canto, costruendo il concetto dell’eterno fanciullo che abita
dentro il poeta dandogli lo sguardo vergine che rende incantevole e commovente la
realtà quotidiana e fa grandi anche le cose piccole. Ma attraverso l’amato Leopardi,
e le sue radici vichiane, Pascoli sa che, ritrovando in sé l’eterno fanciullo, ritrova
l’animo della Grecia antica, mitopoietica infanzia dell’umanità: e la prosa termina
appunto con l’immagine antica del cieco Omero condotto per mano dal fanciullo»,
in Pietro Gibellini, D’Annunzio, Pascoli e Marinetti di fronte al mito, in L’officina
di d’Annunzio. Giornata di studi in ricordo di Franco Gavazzeni, coordinata da Pie-
tro Gibellini, Bergamo, 26 maggio 2012, Bergamo, Biblioteca Civica “Angelo Mai”,
2013, pp. 4-19, 11-12. Per i rapporti tra fanciullo dannunziano e fanciullo pascoliano
si rimanda anche al recente Francesco Suppa, “Il fanciullo”: sulla genesi di un testo
programmatico, in “Archivio d’Annunzio”, 1, 2014, pp. 251-268 e in particolare l’ul-
timo paragrafo, intitolato Sul rapporto con il Fanciullino pascoliano alle pp. 261-266.
112
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
136
Gibellini, Introduzione, p. XI.
137
Si veda quanto scrive Ilvano Caliaro sul «[…] Fanciullo, cui è demandato l’officio di
autentica protasi della raccolta, dettandone la sottesa poetica: mitica creatura ambi-
gua tra l’arboreo e l’acquoreo, il fanciullo è annunzio e prototipo, sulla vera soglia del
libro, delle animazioni e delle metamorfosi alcionie, della natura che pare umanizzar-
si e dell’uomo che si fa natura», Ilvano Caliaro, Prefazione, in d’Annunzio, Alcione,
pp. 3-20, 16. Sul tema della metamorfosi in d’Annunzio e in particolare in Alcyone cfr.
Marino Alberto Balducci, Il sorriso di Ermes. Studio sul metamorfismo dannunziano,
Firenze, Vallecchi, 1989 e Luca Alvino, Il poema della leggerezza. Gnoseologia della
metamorfosi nell’Alcyone di Gabriele d’Annunzio, Roma, Bulzoni, 1998.
138
Caliaro, [Introduzione] a Il fanciullo, pp. 28-30, 29: «La lirica si articola in sette
ballate di complessivi 321 versi, ciascuna delle quali consta di un numero variabile
di stanze, ora di una (III e IV), ora di due (II), ora di tre (V), ora di sei (VI), ora di sette
(I), ora di nove (VII), con in comune la ripresa e la misura della stanza (dieci versi,
endecasillabi e settenari)». In realtà, non tutte le stanze hanno la stessa misura: sono
infatti di undici versi la seconda stanza della seconda ballata e di dodici versi l’unica
113
Secondo capitolo
tante per la stesura di Alcyone – tra il luglio e l’agosto del 1902 a Rome-
na, nel Casentino, dove d’Annunzio era ospite di villa Goretti e compose
più di tremila degli oltre settemila versi di cui è costituito il terzo libro
delle Laudi139 –, e la prima140 si apre con l’invocazione al fanciullo au-
leta, figlio della cicala e dell’olivo e quindi metonimicamente di Apollo
ed Atena, che fin da subito diventa una figura di raccordo tra l’Ellade
mitologica e l’Etruria preumanistica e rinascimentale. Dall’«[…] orto
di qual Fauno» Pan (v. 2), tradizionalmente considerato l’inventore del
flauto, agli spazi fisici e letterari toscani, come la decameroniana villa di
Camerata (vv. 5-7), e poi i fiumi Affrico e Mensola, personificati sempre
da Boccaccio nel Ninfale fiesolano, e Ombrone, cantato da Lorenzo il
Magnifico nel poemetto Ambra (vv. 8-14), ecco scorrere le immagini dei
giardini degli Orti Oricellari, resi famosi dagli incontri periodici di let-
terati e artisti che in essi si tenevano soprattutto nel secondo decennio
del Cinquecento, e quindi di Firenze, dove in un certo senso il cerchio si
chiude perché la città di Dante si ricollega direttamente alla Grecia, es-
sendo il luogo ove si «[…] cantò ne’ dì lontani / ai lauri insigni, ai chiari
/ fonti, all’eco dell’inclite caverne, / quando di Grecia le Sirene eterne /
venner con Plato alla Città dei Fiori» (vv. 20-24). E come «il nudo fan-
ciul pagano» (v. 32), il puer che con il suo canto eternamente ispira la
bellezza e l’arte, è stato fonte dell’arte scultorea di Luca della Robbia e
di Donatello (vv. 25-30), così pure è principio e fonte di armonia per tutti
gli esseri viventi e gli oggetti inanimati che popolano il creato, passando
quindi dall’arte alla natura, ed essi al suono del suo flauto si accordano,
trovando nella sua voce la sintesi di tutte le loro:
114
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
141
Caliaro, [Introduzione] a Il fanciullo, pp. 28-30, 28.
142
Cfr. II, (Alcyone), vol. II, pp. 418-419.
143
E sono proprio questi i versi che Walter Binni prende ad esempio per sottolineare la
particolare «ricerca della musica», intesa come ricerca di una nuova poetica, attuata
da d’Annunzio in Alcyone: «[…] la poetica di Alcione è […] come la ricerca di una
musica verbale e sensuale, non musica del mistero e dell’ineffabile, ma musica che
emana dalle parole amate, gustate, e che a sua volta trascina e provoca fiotti di nuove
115
Secondo capitolo
Nelle ballate III e IV,144 le più corte della corona, fa il suo ingresso la
dimensione onirica, utile a enfatizzare il clima fantastico-visionario che
dà il tono a queste liriche proemiali. Il poeta si addormenta e sogna il
fanciullo che getta il flauto, si costruisce un arco e, armato di questo,
pone fine alla lotta intestina che dilania un alveare uccidendo il re più
debole e sterile e dando il comando a quello più degno di regnare sulle
api, «artefici soavi» (IV, 125), per poi riprendere nuovamente il suo stru-
mento e tornare gioiosamente a cantare:
116
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
117
Secondo capitolo
riva dunque a identificarsi con l’acqua, anche con quella marina, pure
essa fonte di vita, nella quale la sua immagine sembra annullarsi in una
fusione simbolica che riecheggia con prepotenza il mito generativo pri-
mordiale.146 A queste immagini se ne uniscono poi altre due. La prima è
quella del fanciullo che con il suono del suo flauto ammansisce e incanta
una moltitudine di serpi velenose (vv. 147-153: sono «colùbri», «aspi-
di», «cencri», «angui», «ceraste», «idre»), ricordando con ciò il ruolo
pacificante dell’arte, antidoto al veleno e al dolore della vita. La seconda
è quella del fanciullo che sembra trasformarsi in una creatura arborea,
ulteriore passaggio d’identificazione con la natura, grazie soprattutto ai
continui richiami al «capelvenere» (vv. 133, 143, 153 e 163). Notevole è
il portato simbolico di questa pianta che rimarca nuovamente la dimen-
sione acquorea che domina nella lirica – la felce cresce infatti in zone
ombrose e umide, preferibilmente nelle grotte, vicino a cascate o a pozze
d’acqua –, e ha fortissime connessioni mitologiche: oltre al riferimento a
Venere del nome latino, Adiantum capillus-veneris, evidente anche nella
sua versione italiana, è detta pure “barba di Giove” e in greco “sempre-
vivo”, per la sua preferenza dei luoghi ombrosi, è consacrata a Plutone e,
infine, è legata alle già citate ninfe delle acque per la sua localizzazione
vicino alle fonti.
Se la quinta ballata pone l’accento sulla natura, la sesta147 torna a con-
146
«[Il fanciullo] Messo in relazione con il mare, che vale qui l’utero materno, è simbo-
lo dell’origine assoluta, al di là della quale è la non esistenza; è una figura di soglia
sospeso tra “ombra” e “luce” […], tra mondo agrario demetriaco […] e marino
afroditico […]. L’immagine del mare, nel Fanciullo, completata dagli altri due ele-
menti, consente all’arte greca di rivelarsi nella sua natura di spontaneità creatrice e
ordine armonioso che regna “col ritmo il ciel la terra il mare”», in Cristina Benussi,
«L’anima si fa pelago». Simbologia equorea nell’Alcyone, in “Rivista di Letteratura
italiana”, 2, 2002, pp. 107-123, 110. Sul tema dell’acqua in d’Annunzio e sul suo
rapporto particolare col mare cfr. anche Aldo Grossi, La poesia del fiume e del mare
in G. d’Annunzio, Chieti, Solfanelli, 1962; Luigi Martellini, Il mare, il mito – d’An-
nunzio a Porto San Giorgio 1882-1883, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975; Niva
Lorenzini, Il segno del corpo. (Saggio su d’Annunzio), Roma, Bulzoni, 1984; Luca
Bani, La prova dell’anima. La borghesia in spiaggia nella letteratura europea tra
Otto e Novecento. Sei letture, prefazione di Claudio Magris, Bergamo, Moretti&Vita-
li, 2012.
147
Cfr. VI, (Alcyone), vol. II, pp. 421-423.
118
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
E come vive disciolto nelle creature naturali, così egli è presente anche nel-
le opere d’arte. Natura e arte, infatti, altro non sono che due manifestazioni
della medesima essenza che ispira il canto del fanciullo. Nell’antica Grecia
l’unione e la continuità tra natura e arte era perfetta e proprio in Grecia
vorrebbe ritornare il poeta e ritrovare nei templi e nei monumenti antichi
la bellezza dell’arte e la gioia che ne deriva all’uomo. Là, verso il tramonto,
il fanciullo sotto gli occhi del poeta, si siederà sui gradini di un tempio e
modulerà i suoni del suo flauto toscano. La loro beatitudine allora sarà totale
e assoluta.148
119
Secondo capitolo
120
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
Lo scoramento del poeta per la fuga del fanciullo è totale. Nella ballata
è tutto un susseguirsi di espressioni di disperazione e di angoscia che
avvicinano l’assenza del divino puer alla morte: «e l’ansia il cor mi pun-
ge» (v. 229), «il cor presàgo di remoto lutto» (v. 237), «L’ansia mia vana
odo sol tra le pause / mentre che d’ombra in ombra ei s’allontana» (vv.
270-271), «Ad un fonte m’abbatto […]» (v. 272). Ma le immagini che
con maggiore efficacia dipingono icasticamente la fine del mondo mitico
rappresentato dal fanciullo sono due: quella del sole al tramonto che
incendia la sera e quella del tempio in rovina nel quale il poeta prega
inutilmente il fanciullo di sostare ancora per un solo attimo. In entram-
be, infatti, sono la percezione della distruzione e il senso della fine ad
emergere con prepotenza.
Il primo quadro è dunque quello di un limpido giorno declinante e di
un astro infuocato che con i suoi ultimi raggi colora di rosso l’aria, ma
l’insistenza su verbi e sostantivi appartenenti all’area semantica del
fuoco trasforma quello che potrebbe sembrare un quadro idilliaco in
una scena apocalittica, nella quale un incendio devastatore inceneri-
sce il creato facendo tabula rasa della natura appena abbandonata dal
fanciullo:
121
Secondo capitolo
Sulla centralità della Toscana come terra di naturale sviluppo di arte e poesia si veda,
150
122
Il fanciullo dannunziano: dalla prosa alla poesia
fu la sede del bello greco, come la Toscana antica e nuova, e Roma di etrusca origine,
furono e sono il seggio del bello italocattolico; il quale col genio nazionale che lo pro-
duce va scemando di mano in mano che si accosta agli estremi della penisola, finché
in Palermo e in Torino quasi si estingue». In Vincenzo Gioberti, Del primato morale e
civile degli Italiani, Napoli, Batelli, 1849, 3 voll., vol. I, p. 95.
151
Cfr. Roncoroni, [Introduzione] a Il fanciullo, p. 116.
123
Terzo capitolo
Figura centrale della poetica pascoliana, intesa come metafora del modo di
porsi dinanzi al mondo, di percepire la realtà e quindi di intuire la poeticità
delle cose, il fanciullino esercita anche un’influenza sulle scelte tematiche
nella lirica dell’autore. Se la poetica fondata sul fanciullino risulta essere
oggi ben nota e ampiamente studiata, resta da precisare meglio l’influsso
di questo studio sulla produzione in versi di Pascoli, indagando cioè sulle
varie e significative figure di fanciulli evocate nelle liriche.
Nel 1933 Siro A. Chimenz stabiliva infatti, più che una similitudine, un’i-
dentificazione esplicita tra «l’anima del Pascoli e quella del fanciullo».2
Sui manoscritti degli appunti di lettura del saggio di psicologia infantile
scritto da James Sully, Pascoli riassume tale identificazione notando in
modo molto sintetico: «Il poeta e lo scritt.e parla e intuisce come il fanciul-
lo».3 Si pone subito una delicata ma essenziale questione di terminologia:
1
Giovanni Pascoli, Il fanciullino, V, a cura di Giorgio Agamben, Milano, Feltrinelli,
1982, p. 37.
2
Siro A. Chimenz, Giovanni Pascoli e il “fanciullino”, in “Nuova Antologia”, nov.-dic.
(1933), pp. 260-272, 261.
3
Il testo del manoscritto è citato in Maurizio Perugi, James Sully e la formazione dell’e-
stetica pascoliana, in “Studi di Filologia italiana”, XLII (1984), pp. 225-309, 273.
125
Terzo capitolo
4
Alcuni esempi: Massimo Castoldi usa l’espressione «poeta fanciullo» (Pascoli, Bolo-
gna, Il Mulino, 2011, p. 36), così come Renato Barilli (Pascoli simbolista, il poeta
dell’avanguardia debole, Firenze, Sansoni, 2000, p. 88), mentre Walter Binni (La
poetica del Decadentismo, Firenze, Sansoni, 1936, p. 133), Giorgio Bàrberi Squa-
rotti (Simbologia di Giovanni Pascoli, Modena, Mucchi, 1990, p. 13), Fausto Curi
(Metamorfosi del “fanciullino”, in “Poetiche. Letteratura e altro”, n. 1-2, 1997, pp. 10
e 24) e Cecilia Ghelli (Gozzano e i crepuscolari, Milano, Garzanti, 1983, p. XXXII),
preferiscono usare «fanciullo poeta» o «fanciullino poeta».
5
Antonio Faeti parla in effetti dei bambini come «presenze dotate di una grande auto-
nomia», in Il puer e il fanciullo, in “Rivista Pascoliana”, n. 3 (1991), pp. 65-73, 67.
126
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
6
Giovanni Pascoli, Il fanciullino, XI, p. 48. Sulla contraddizione fra l’aspirazione epica
e l’intimismo lirico in Pascoli cfr. l’analisi di Antonio Gramsci in Quaderni del carce-
re, Torino, Einaudi, 1975, p. 1670.
7
Michela Vermicelli, Pascoli e i fanciullini, in “Rivista Pascoliana”, n. 9 (1997), pp.
177-186, 177. Questa triplice definizione permette di integrare insieme la capacità
del fanciullo a ispirare la poesia all’adulto e l’aspirazione civile del poeta vate.
127
Terzo capitolo
8
Nel 1903 escono per esempio Le fiale e Armonia in grigio e in silenzio di Govoni,
nonché Tutti gli angioli piangeranno di Giulio Gianelli. Tito Marrone aveva già pub-
blicato alcune plaquette tra il 1899 e il 1902.
9
Cfr. Egle Becchi, Storia dell’infanzia, Roma-Bari, Laterza, 1996, poi nell’edizione fran-
cese ampliata, Id.-Dominique Julia, Histoire de l’enfance en Occident, Paris, Seuil, 1998,
2 voll.; le pp. 413-414 del vol. II di quest’ultima edizione sono dedicate a Pascoli.
10
Curi, Metamorfosi del “fanciullino”, p. 9.
128
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
rale, proletariato urbano e borghesia attenta alla cura dei propri figli.11
Lo scritto teorico pascoliano propone un fanciullo capace di parlare all’a-
dulto che sa ascoltare la propria voce interiore mediante una ricca serie
di fonti multiple insieme letterarie, filosofiche, scientifiche, estetiche,
storiche e psicologiche. Una parte importante delle proposte pascoliane
sono effettivamente derivate dalla sua lettura dei lavori dello psicologo
inglese James Sully. La critica ha già insistito sull’influenza di quest’ul-
timo sul Fanciullino,12 mediante la lettura dell’edizione in francese di
Studies of Childhood,13 e conferma il fatto che Pascoli abbia pensato il
fanciullo metaforico non solo secondo categorie estetico-filosofiche, ma
anche secondo una dimensione psicologica.14 Egli stabilisce un’analogia
tra il fanciullo artista e l’uomo primitivo, ispirandosi al capitolo IX di
Études sur l’enfance15 dedicato al bambino come artista. Se il fanciul-
lo artista è come l’essere allo stato selvaggio, significa che garantisce
un’autenticità dell’essere interiore rimasto allo stato infantile, una capa-
cità di contemplazione genuina che, nella sua traduzione lirica, permette
di far dialogare direttamente microcosmo e macrocosmo. Il piccolo ap-
pare quindi insieme interiore e anteriore perché «detta dentro» al poeta
e sa trasmettere una verità tramite la sua natura primordiale e autentica,
ingenua, priva di ogni contaminazione dell’esperienza acquisita, visto
che l’innocenza prevale sull’esperienza. Tuttavia, il poeta scopre il pro-
prio piccolo essere interiore mediante una conquista della conoscenza,
11
Cfr. Franco Cambi - Simonetta Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’età liberale, Firenze,
La Nuova Italia, 1988, p. 50.
12
Cfr. Maurizio Perugi, James Sully e la formazione dell’estetica pascoliana e Andrea
Battistini, Il mito del fanciullino nell’età di Pascoli, in “Rivista Pascoliana”, n. 13
(2001), pp. 9-18.
13
Cfr. Études sur l’enfance, traduzione di Auguste Monod, Paris, Alcan, 1898. Si badi
alla data dell’edizione francese (1898), posteriore di un anno alle prime puntate dei
Pensieri sull’arte poetica, benché il saggio di Sully sia stato pubblicato in inglese nel
1895. Il contributo di Sully alla riflessione di Pascoli agisce quindi nelle versioni
ampliate del Fanciullino successive alle puntate sul “Marzocco”.
14
«Al Leopardi interessa la fanciullezza del mondo, al Pascoli la psicologia dei bambi-
ni. C’è una bella differenza», in Cesare Garboli, nota a Pensieri sull’arte poetica, in
Giovanni Pascoli, Poesie e prose scelte, Milano, Mondadori, 2002, vol. I, p. 1185.
15
Cfr. George Boas, The cult of Childhood (1966), traduzione in francese: Le culte de
l’enfance, Paris, Conférence, 2013, p. 215.
129
Terzo capitolo
16
Cfr. Pascoli, Il fanciullino, XIII, p. 57. Cfr. l’affermazione di Gérard Vittori in Vit-
torini et la création dans «Diario in pubblico», in “Chroniques italiennes”, n. 79/80
(2007) p. 6: «[…] l’enfant n’est pas directement accessible en tant que tel; c’est en
étant adulte au plus haut point, au maximum de la conscience possible, que le poète –
et c’est là très certainement sa fonction, celle en quoi il se distingue des autres – peut
accéder à l’enfant».
17
Cfr. Jean Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino (e altri studi di psicologia), Torino,
Einaudi, 1967, p. 37 [edizione francese 1964].
18
Cfr. Marie-José Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, Paris, Payot, 1979, p. 121.
130
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
poetico, perché è il più fanciullo; sto per dire l’unico fanciullo che abbia
l’Italia nel canone della sua poesia».19 Non va dimenticato che la prima
edizione in volume dello Zibaldone risale al 1898, solo un anno dopo le
puntate dei Pensieri pascoliani. Le idee di Vico (si veda la sua definizione
di “degnità” nella Scienza nuova, 37) insieme a quelle formulate nello
Zibaldone confluirono nelle letture di Pascoli con gli studi di Sully e an-
che, probabilmente,20 con la filosofia di Jean-Baptiste Guyau che trattava
dell’artista simile al bambino.21
L’associazione tra fanciullo e poeta non è quindi una novità all’epoca
di Pascoli, ma il fermento delle ricerche nel campo della psicologia e
della sociologia, il contributo estetico dell’età simbolista e decadente
europea, e l’affermarsi di un moderno “sentimento d’infanzia” presso i
ceti borghesi hanno contribuito a proporre un’interpretazione originale
dell’identificazione classica, insistendo sull’importanza dell’immagina-
zione e dei sensi come strumenti di conoscenza: «[...] il puer ut poeta, fu-
turo poeta o romanziere, capitalizza le sensazioni vivaci e indefinite che
resisteranno miracolosamente all’oblio».22 Il fanciullo metaforico che
possiede, grazie al suo punto di vista ingenuo, il senso della meraviglia
fornisce all’artista che gli assomiglia per analogia la facoltà di descrivere
il mondo e i sentimenti, poetizzando quella stessa meraviglia. Altro non
dice un filosofo italiano direttamente influenzato dal Fanciullino, allo-
ra in progress, Angelo Conti, quando ribadisce l’effettiva profondità del
punto di vista ingenuo.23 Un esempio concreto della facoltà poietica del
19
Giovanni Pascoli, Il sabato, in Id., Tutte le opere. Prose, Milano, Mondadori, 1956, vol.
I, p. 85.
20
A dare adito a questa ipotesi è il filosofo e traduttore del Fanciullino in francese,
Bertrand Levergeois, Giovanni Pascoli, Le petit enfant, Michel de Maule, 2004, pp.
38-39.
21
Cfr. Jean-Baptiste Guyau, L’Art du point de vue sociologique, Paris, Alcan, 1889, p. 73.
22
Gilbert Bosetti, Il divino fanciullo e il poeta (culto e poetiche dell’infanzia nel roman-
zo italiano del XX secolo), Pesaro, Metauro, 2004, p. 160. L’autore sottolinea anche
il fatto che il ricordo d’infanzia, grazie alla capitalizzazione delle sensazioni, «ha la
capacità di “eufemizzare” la morte», ibid.
23
Cfr. Angelo Conti, Beata riva. Trattato dell’oblio, preceduto da un ragionamento di
Gabriele d’Annunzio, Milano, Treves, 1900, nel capitolo II si tratta dell’artista-fan-
ciullo e del senso di meraviglia.
131
Terzo capitolo
24
Elena Salibra, Modelli letterari e modelli linguistici nelle antologie di Giovanni Pa-
scoli, in “Soglie”, n. 6 (2004), p. 155. Cfr. anche Mariella Colin, Le antologie scola-
stiche di letteratura italiana: “Sul limitare” e “Fior di fiore”. Pedagogia e poetica, in
“Rivista Pascoliana”, n. 24-25 (2012-2013), pp. 203-217, 215.
25
Cfr. su questo argomento i lavori di Luc Racine, Symbolisme et analogie: l’enfant
comme figure des origines, in “Études françaises”, n. 3 (1983), pp. 105-120.
26
Pascoli, Il fanciullino, XI, p. 48.
27
Cfr. Dieter Richter, Il bambino estraneo (la nascita dell’immagine dell’infanzia nel
mondo borghese), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010 [edizione in tedesco
1987], p. 256.
28
Cfr. Castoldi, Pascoli, p. 36. Il critico cita i versi leopardiani di Ad Angelo Mai: «assai
più vasto / l’etra sonante e l’alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio,
appare», vv. 88-90.
132
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
vecchio di vedere chiaramente ciò che non poteva più percepire. La tra-
sposizione di questo concetto nella lirica si esplica prevalentemente in
due testi: il primo evoca un personaggio classico (la giovane Deliàs), nel
poema conviviale Il cieco di Chio, pubblicato alcune settimane dopo le
puntate dei Pensieri sull’arte poetica nel 1897. Ma Deliàs, benché chia-
mata fanciulla, viene associata alla Musa di Omero, e prende l’aspetto
più di una bella giovane donna che di un’innocente bambina. Per quanto
riguarda invece il secondo testo, si trova un fanciullo vero e proprio che
segue un anziano, si tratta de La squilletta di Caprona, dove un puer in-
determinato accompagna il vecchio Nimo:
29
Giovanni Pascoli, La squilletta di Caprona, Id., Tutte le poesie, a cura di Arnaldo Co-
lasanti, Roma, Newton & Compton, 2001, p. 315, vv. 41-48.
30
Pascoli, Il fanciullino, II, p. 29.
133
Terzo capitolo
31
«[...] ebbene il vecchio vede allora soltanto con quelli occhioni che son dentro di lui,
e non ha avanti sé altro che la visione che ebbe da fanciullo e che hanno per solito
tutti i fanciulli», ivi, I, p. 27.
32
Per altri esempi interessanti di fanciulli-guida nella letteratura ottocentesca francese:
Marina Bethlenfalvay, Les Visages de l’enfant dans la littérature française du XIXème
siècle. Esquisse d’une typologie, Genève, Droz, 1975. In una versione più contempo-
ranea si pensi alla figura del fanciullo come guida dell’anziano nella lirica di Franco
Fortini, Il bambino che gioca (Questo muro).
134
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
33
Gilbert Bosetti definisce l’infanzia nella letteratura come «il catalizzatore delle no-
stre emozioni e del nostro rapimento […] il regolatore delle nostre passioni», Il divino
fanciullo e il poeta, p. 162.
34
Cfr. Guido Gozzano, L’analfabeta, in Id., Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca, Mi-
lano, Mondadori, 1980, p. 80.
35
Cfr. Marino Moretti, Aquila, in Id., Poesie scritte col lapis, a cura di Ferdinando Pap-
palardo, Bari, Palomar, 2002, p. 168.
36
Cfr. Carlo Vallini, Il teschio fiorito, in Id., Un giorno e altre poesie, a cura di Edoardo
Sanguineti, Torino, Einaudi, 1967, p. 74.
37
Pascoli, Il fanciullino, V, p. 37.
38
Cfr. la contestualizzazione della figura simbolica del bambino nella letteratura
dell’Ottocento operata da Battistini ne Il mito del fanciullino nell’età di Pascoli, pp.
11-13.
39
Cfr. Perugi, James Sully e la formazione dell’estetica pascoliana, p. 227.
135
Terzo capitolo
40
Cfr. Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, pp. 36-39.
41
Cfr. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino (e altri studi di psicologia).
42
Pascoli, Il fanciullino, I, p. 27. I vocaboli «intuente [...] ragionevole», riferiti segna-
tamente al fanciullo nel poeta, vengono usati dallo stesso Pascoli in un dattiloscritto
per una lezione del 28 aprile 1907, intitolato Lezione ottava, citato in Perugi, James
Sully e la formazione dell’estetica pascoliana, p. 287.
43
«Poetry is, then, the supreme tool of cognition, since emotion and imagination, not
reason, are considered the way to higher truths», in Rosa Maria La Valva, The Eter-
nal Child. The Poetry and Poetics of Giovanni Pascoli, Chapel Hill, Annali d’Italiani-
stica, 1999, p. 92.
44
Cfr. Eugenio Montale, La morte di Corrado Govoni, poeta fanciullo della natura, in
Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Monda-
dori, 1996, vol. 2, pp. 2745-2748. Montale precisa che il puer di Govoni si allontana
dall’accezione pascoliana e lo paragona piuttosto a un «fraticello francescano inebria-
to di luci e colori [...]», p. 2746.
136
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
che generano la conoscenza intuitiva del proprio futuro. All’inizio dei Po-
emi risorgimentali l’autore ha scelto di evocare un ragazzino destinato a
diventare l’eroe Garibaldi, si tratta del terzo dei Poemi, Garibaldi fanciullo
a Roma (Pepin). In conformità con la poetica del Fanciullino il testo lirico,
mescolando immagini del quotidiano di una passeggiata per Roma fra gli
storici ruderi, descrive lo sguardo innocente del «mozzo biondo» (v. 39),
poi chiamato al v. 97 «giovinetto» – anche se all’inizio, nella prima parte,
si parlava invece di un «marinar fanciullo» (v. 18) – che osserva la campa-
gna romana e i monumenti antichi in un’unica rêverie:
45
Giovanni Pascoli, Garibaldi fanciullo a Roma. Pepin, in Id., Tutte le poesie, p. 744, III,
vv. 41-56.
137
Terzo capitolo
Garibaldi nel seguito del ciclo dei Poemi. Il futuro generale porta dentro
di sé il semplice «mozzo biondo» in apertura del macrotesto, e il piccolo
viene dunque ritenuto essenziale per capire la formazione dell’adulto
che emergerà nel giro di pochi anni. La poesia nasce dall’immediata sen-
sazione provata dal fanciullo davanti ai molteplici particolari naturali e
architettonici che formano il mondo esterno dell’Urbe. Quello che Walter
Binni ha chiamato «l’immediatezza fanciullesca del particolare»46 trova
una trasposizione lirica in questo testo. Pepin intuisce, senza capirlo,
mediante la scoperta dei particolari della città che attraversa, un futuro
glorioso (vv. 96-98).47 Si noti anche il particolare dei capelli biondi, soli-
tamente riferiti all’infanzia nella lirica pascoliana,48 perché l’autore non
rappresenta un adulto in miniatura già perfettamente conscio di quello
che osserva, bensì un giovane ragazzo che accede alla conoscenza della
storia antica tramite una serie di sensazioni. Lo “sguardo” del fanciullo
corrisponde a una prospettiva che l’adulto dovrebbe ritrovare per guar-
dare il mondo e capire i suoi significati, come lo teorizzò Ruskin nel
campo pittorico, parlando di una «innocenza dell’occhio»49 che si ritrova
proprio nel fanciullo evocato da Pascoli. Pepin ha in effetti la sensibilità
della scoperta originaria dell’essere intuente, intravisto nel Fanciullino,
tale da diventare, in questo caso, un precursore dell’adulto Garibaldi
celebrato nel ciclo storico.50
46
Binni, La poetica del decadentismo, p. 129. In un manoscritto pascoliano si legge a
proposito degli appunti per la stesura del poema: «Occhi di fanciullo che sa qualche
cosa ma non tanto e supplisce con l’immaginazione. Il tutto dunque velato un po’ e
indeciso» [LVII 5, f. 7], citato da Cesare Garboli in Giovanni Pascoli, Poesie e prose
scelte, vol. II, p. 1247.
47
Per un’analisi del significato dello squillo delle campane e una lettura del simbolismo
della visita ai monumenti romani, ci sia concesso rimandare al saggio di Luca Bani,
«Ditemi, o pietre! parlatemi, eccelsi palagi». La rappresentazione di Roma nella lirica
italiana tra Otto e Novecento: Carducci, d’Annunzio, Pascoli, Pisa, ETS, 2012, p. 185.
48
Fausto Curi parla perfino di «bisessualità» a proposito dell’indistinzione sessuale dei
fanciulli e fanciulle biondi in Pascoli, Pascoli e l’inconscio, in Pascoli e la cultura del
Novecento, a cura di Andrea Battistini - Gianfranco Miro Gori - Clemente Mazzotta,
Venezia, Marsilio, 2007, pp. 43-84, 79.
49
John Ruskin, The Element of Drawing (1857), in Id., The Works, London, Wedderburn,
1903-1912, vol. XV, p. 27.
50
Cfr. Giorgio Bàrberi Squarotti, Il fanciullino e la poetica pascoliana, in Giovanni
138
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Pascoli. Poesia e poetica, Atti del Convegno di studi pascoliani (San Mauro, 1-3 aprile
1982), Rimini, Maggioli, 1984, pp. 19-56, 22.
51
Cfr. le pagine dedicate alla figura del fanciullo vittima, in Bethlenfalvay, Les Visages
de l’enfant dans la littérature française du XIXème siècle, pp. 53-61.
52
Tra Otto e Novecento la mortalità infantile (prima di compiere un anno) in Italia era
del 168 per mille circa. Tuttavia, era soprattutto inquietante la mortalità post-infantile
(quella tra uno e cinque anni), perché raddoppiava rispetto a quella degli altri paesi
occidentali (144 per mille circa in Italia, rispetto al 70 in Francia, per esempio). Cfr.
Antonella Pinnelli, La sopravvivenza infantile, in Demografia e società in Italia, a
cura di Eugenio Sonnino, Roma, Editori riuniti, 1989, p. 129.
53
Cfr. Cambi - Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’età liberale, p. 103.
139
Terzo capitolo
Giovanni Pascoli, Abbandonato, in Id., Tutte le poesie, pp. 27-28, vv. 1-6.
54
Cfr. Carla Chiummo, Guida alla lettura di “Myricae” di Pascoli, Bari-Roma, Laterza,
55
2014, pp. 112-113. Cfr. anche Traduzioni e Riduzioni (“Dalle letterature moderne”) in
Giovanni Pascoli, Poesie, Milano, Mondadori, 1939, Sezione seconda, pp. 1724-1754.
140
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
[...]
E quand’egli già fuor del cancello
riprese il solingo sentiero,
io sentii che, il suo grave fardello,
godeva a portarselo intiero;
1983, pp. 205-206. Il curatore delle note (Giuseppe Nava) osserva che il fanciullo
mendico «è qui proiezione regressiva del Pascoli».
141
Terzo capitolo
società del suo tempo: egli riesce a unire il fanciullo sociale in preda
alla miseria con l’essere originario e autentico da ritrovare nell’adulto.57
Si vedano ora alcuni esempi di rappresentazione della morte del fanciul-
lo nelle liriche. A due epoche diverse della produzione in versi risalgono
due figure particolarmente suggestive del piccolo morto. Uno dei quadri
più emblematici è proposto nella poesia latina dell’autore, con un esem-
pio della bellezza post mortem, in Pomponia Graecina (1909): «Mussan-
tes flebile matres / et myrrha curant et suavi corpus / exanimum pueri.
Tener et vivente videri / pulcrior est».58 Un decennio prima, un discorso
della figlia morta rivolto alla madre costituisce la materia per una canzo-
netta, datata del 1897, raccolta ne La Befana ed altro. La bambina, dal
sepolcro, aspetta che la madre la raggiunga nel camposanto guidandola:
«Cammina, cammina / ritorna da me!– / la strada, mammina, / la strada
che c’è!–».59 I due esempi mostrano il fanciullo idealizzato nella morte,
perché più bello rispetto a quando era vivo e figura di intercessione con
l’aldilà. Ma rappresentare la morte del bambino nella letteratura tra i
due secoli significa anche tener conto delle informazioni fornite dagli
inizi della pediatria, quando la morte infantile cominciò ad essere stu-
diata dalla medicina in quanto disciplina autonoma, cioè specificamente
applicata all’organismo dei bambini. Nel secondo canto del poemetto La
vendemmia, Pascoli fa descrivere alla giovane Rosa come il suo bimbo
divenne sempre più debole e pallido perché non voleva il latte della
madre, e si sa oggi in effetti che buona parte della mortalità infantile e
post-infantile in quegli anni fu causata da abitudini sbagliate nell’ali-
mentazione del neonato lattante: «Ma poi... piangeva. Mi si fece bianco /
e stento, e quando lo attaccavo al petto, / succhiava un poco e poi pareva
stanco».60 Anche in Sera festiva il piccolo morto è freddo e bianco, per-
ché l’ambiente nel quale si trova è invernale e il pallore viene paragona-
to alla cera, con il suono onomatopeico della campana lontana.61 Questi
57
Cfr. La Valva, The Eternal Child. The Poetry and Poetics of Giovanni Pascoli, p. 89.
58
Giovanni Pascoli, Pomponia Graecina, in Id., Tutte le poesie, p. 1082, vv. 287-290.
59
Giovanni Pascoli, Mamma e bimba, ivi, p. 837, vv. 1-4.
60
Giovanni Pascoli, La vendemmia, II, 5 e 6, ivi, p. 256, vv. 1-6 e v. 3.
61
Cfr. Giovanni Pascoli, Sera festiva, ivi, p. 16, vv. 15-21.
142
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
62
Cfr. Rainer Maria Rilke, Die vierte Elegie, in Duineser Elegien [1915], vv. 76-79:
«Chi rappresenta un bambino com’è? / [...] Chi la fa la morte del bambino / causata
dal pan grigio che induriva [...]?», traduzione di Enrico e Igea De Portu., in Elegie
duinesi, Torino, Einaudi, 1978.
63
Cfr. Giovanni Pascoli, Il rosicchiolo, in Id., Tutte le poesie, p. 13, vv. 7-8.
64
Cfr. Giovanni Pascoli, Il piccolo bucato, ivi, p. 57.
143
Terzo capitolo
65
Cfr. Giovanni Pascoli, Ceppo, ivi, p. 26.
66
Bàrberi Squarotti, Il fanciullino e la poetica pascoliana, pp. 27-32.
67
Cfr. Guido Gozzano, Tutte le poesie, pp. 343-347. Anche Sbarbaro riprende l’ambiente
di Creature in Resine, Milano, Garzanti,1948, p. 11.
144
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
68
Cfr. Victor Hugo, Lorsque l’enfant paraît, in Id., Les feuilles d’automne, Bruxelles,
Mme Laurent Imprimeur-éditeur, 1840, p. 81, vv. 36-43.
69
Cfr. Giovanni Pascoli, Vagito, in Id., Tutte le poesie, p. 43.
145
Terzo capitolo
70
Cfr. Corazzini, L’orfano, in Id., Poesie edite e inedite, a cura di Stefano Jacomuzzi,
Torino, Einaudi, 1968, p. 232, v. 3.
71
Cfr. Cambi - Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’età liberale, p. 103.
72
Cfr. Curi, Pascoli e l’inconscio, p. 77.
146
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
trovato pagine dedicate alla reazione del bambino di fronte all’evento della
morte altrui, una reazione particolare perché non motivata dalla ragione.73
La lirica myricea I due cugini, a partire da fatti realmente accaduti, ossia
l’affetto molto forte tra un bambino (Ruggero, nipote del poeta) e una bam-
bina (Olga, cugina di Ruggero), propone un esempio di questa particolare
sensibilità infantile davanti alla scomparsa di un caro. Ruggero muore a
dodici anni – appunto l’età che aveva il poeta quando il padre gli fu tolto
– mentre Olga cresce da «piccola sposa»:
[...]
Ma tu... ma tu l’ami. Lo vedi,
lo chiami. La senti da lunge
la fretta dei taciti piedi...
Avremo l’occasione di tornare più avanti sul motivo metaforico del fiore
(boccio) legato all’idea d’incompiutezza, ma in questi versi prevale l’im-
magine di un morticino rimasto piccolo per l’eternità, sempre legato al
corpo della piccola amata cresciuta fino all’adolescenza. Il doppio punto
di vista infantile, quello della femmina sul caro morto, e quello del ma-
schio bambino sull’adolescente amata, rivela l’irreale abbraccio tra due
irrealizzabili amanti nel tempo della fantasia onirica.
L’ingenuità autentica dell’infantile punto di vista sulla morte ha fornito a
Pascoli una chiave poetica per reinterpretare l’episodio notissimo della
73
Cfr. Sully, Études sur l’enfance, pp. 325-326.
74
Giovanni Pascoli, I due cugini, in Id., Tutte le poesie, p. 74, vv. 7-26.
147
Terzo capitolo
75
«Ed a ciascuno in cuore / era un fanciullo che temeva il buio». Si noti che nel poema
pascoliano non compaiono i tre figli di Socrate, i fanciulli Lampsaco, Sofronisco e
Menesseno, presentati al padre nel carcere il giorno dell’esecuzione (Fedone 60a)
e futuri orfani evocati nel Critone (45c 46a). Pascoli li ha sostituiti con il gruppo di
bambini che giocano fuori.
76
Giovanni Pascoli, La civetta, in Id., Poemi Conviviali, a cura di Giuseppe Nava, Tori-
no, Einaudi, 2008, p. 272, vv. 43-47.
148
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
ta, ossia nella coscienza ingenua della morte altrui. La scena d’addio del
filosofo ai discepoli prima dell’esecuzione, il suicidio con la cicuta, viene
evocata soltanto con lo sguardo di Hyllo, tramite il particolare realistico
di una piccola apertura nel muro («sogguardò per l’abbaino», v. 149), poi
rinforzato dalla serie di battute rese col discorso diretto, trascrizione dello
sguardo infantile di fronte alla morte:
149
Terzo capitolo
Per un’acuta lettura di questo poema: Francesca Sensini, Dall’antichità classica alla
79
150
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
[...]
“Bambina, state al fuoco: nieva!
nieva!” E qui Beppe soggiungeva compunto:
80
Note alla seconda edizione, in Giovanni Pascoli, Poemi Conviviali, Bologna, Zanichel-
li, 1905.
81
Giovanni Pascoli, Italy, in Id., Tutte le poesie, p. 173, IV, vv. 16-25.
151
Terzo capitolo
152
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
82
Ivi, p. 178, VII, vv. 1-3. Cfr. la nota di Arnaldo Colasanti in calce di pagina: «Sweet:
‘dolce’. Ma è lo squittire delle rondini» e la nota di Pascoli: «Sweet (pr. suìt) vale
dolce, ed è, per dir così, consacrato a home. Casa mia! Casa mia!», ivi, p. 183.
83
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Idillio primaverile, 1896-1901, collezione privata.
84
Cfr. Francesca Nassi, “Io vivo altrove”. Lettura dei “Primi Poemetti” di Giovanni Pa-
scoli, Pisa, Edizioni ETS, 2005, pp. 339-341.
153
Terzo capitolo
Solenni esequie di Pirro Viviani nel giorno XXX della sua morte, XVII dicembre 1869.
86
154
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
87
Giovanni Pascoli, L’aquilone, in Id., Tutte le poesie, pp. 133-134, vv. 46-64. Si noti la presenza
dell’identica immagine del bambino ansante e felice di correre nella parte finale del poemet-
to La morte del Papa, XIV, vv. 7-13, con la madre che asciuga la sua fronte dopo la corsa.
88
William Wordsworth, The Prelude, Book first, London, Moxon, 1851, p. 19, vv. 491-495.
89
Cesare Garboli stima che, per Pascoli, la figura decadente archetipale del bimbo
morto, pallido e fragile come un fiore morente, sia da ricercare prevalentemente nella
lettura di Walter Pater (Esmerald Uthwart, 1892), oltre al modello dannunziano, in
Giovanni Pascoli, Poesie e prose scelte, vol. II, p. 62.
155
Terzo capitolo
90
Cfr. Perugi, James Sully e la formazione dell’estetica pascoliana, p. 246.
91
Gilbert Bosetti osserva che alla fine dell’Ottocento e nel Novecento si passa dal culto di
Dio fanciullo (Gesù) al culto del fanciullo divenuto un nuovo Dio, un salvatore, in Le mythe
de l’enfance dans le roman italien contemporain, Grenoble, Ellug, 1987, pp. 41-45.
92
Cfr. Boas, Le culte de l’enfance, p. 140.
93
Cfr. Giacomo Leopardi, Zibaldone, a cura di Rolando Damiani, Milano, Mondadori,
1997, vol. I, p. 1045, [1465]. Cfr. anche ivi, p. 90, [56], sulla felicità naturale dei
bambini e delle bestie, con un riferimento a Rousseau.
156
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Storia dell’infanzia nell’età liberale, p. 245, in opposizione con l’infanzia sociale già
conformata dalle norme.
157
Terzo capitolo
lasciare San Mauro: «Ma da quel nido, rondini tardive, / tutti tutti mi-
grammo un giorno nero; / io, la mia patria or è dove si vive» (vv. 45-47),
e si legge più avanti nel testo l’immagine, ormai remota e irraggiungibi-
le, se non con la memoria, dei «piccolini» nel nido del cuculo (v. 52).
Gli uccelli servono quindi all’evocazione lirica della propria condizione
di piccolo orfano staccato troppo presto dal focolare e angariato dalle
difficoltà della vita, simboleggiate nella seguente poesia dal compito di
latino da terminare:
[...]
Povero bimbo! di tra i libri via
appare il bruno capo tuo, scompare;
come d’un rondinotto, quando spia
se torna la mamma e porta le zanzare.95
Essendo la lirica del novembre 1895, ovvero quasi un mese dopo il ma-
trimonio e la partenza di Ida, lo scolaro chino sul difficile compito di la-
tino potrebbe leggersi come un’immagine del poeta, insegnante di latino
e greco in Toscana, abbandonato dalla cara sorella che fungeva da madre
e gli portava il cibo, proprio come fa l’uccello. Nell’isotopia pascoliana
fra ornitologia e infanzia, il volatile sta in parallelo con l’umano perché
tutti e due condividono un uguale destino, tramite varie corrispondenze
poetiche.96 I procedimenti di analogia tra il mondo degli uccelli e il de-
stino del piccolo orfano diventano quindi essenziali per delineare meglio
i connotati lirici del fanciullo. Si noti tuttavia che il motivo del piccolo
95
Giovanni Pascoli, Un rondinotto, in Id., Tutte le poesie, p. 42. Il “bimbo” sarebbe Pla-
cido David, che visse a casa dei Pascoli tra il ’90 e il ’93, secondo l’ipotesi avanzata
da Odoardo Becherini in Un’ipotesi sull’unità narrativa di “Finestra illuminata”, in
“Rivista Pascoliana”, n. 12 (2000), pp. 25-35.
96
Cfr. Edoardo Sanguineti, La tragedia familiare nella poesia di Giovanni Pascoli, in
Giovanni Pascoli: poesia e poetica, pp. 471-489, 480.
158
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
97
Cfr. Carlo Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano, Feltrinelli,
1960, pp. 172-173.
98
Giovanni Pascoli, X Agosto, in Id., Tutte le poesie, p. 47, vv. 5-8.
159
Terzo capitolo
99
Cfr. la prefazione a Primi Poemetti, ivi, p. 100.
160
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Giorgio Bàrberi Squarotti, Poesia e ideologia borghese, Napoli, Liguori, 1976, p. 27.
101
161
Terzo capitolo
102
Giovanni Pascoli, Addio!, in Id., Tutte le poesie, p. 365, vv. 37-42. Si noti che i quattro
figli anelati dal poeta fanno eco con i «quattro figli» orfani «nella via sola», evocati
alla fine della poesia Il ritratto, ivi, p. 369, v. 104, ossia i figli di Ruggero e Caterina.
103
Cfr. Bosetti, Il divino fanciullo e il poeta, p. 38.
104
Pascoli, Italy, in Id., Tutte le poesie, XX, vv. 31-32.
162
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
105
Giovanni Pascoli, Al fuoco, ivi, pp. 66-67, vv. 9-18.
106
Giovanni Pascoli, Il ritratto, ivi, p. 367, vv. 13-16.
107
Cfr. Giovanni Pascoli, [Narrazione fosca] 1892, in Id., Poesie e prose scelte, vol. I, p.
878-879.
163
Terzo capitolo
108
Cfr. Donatella Mazza, I virgulti dell’Eden. L’immagine del bambino nella letteratura
tedesca del romanticismo, Firenze, La Nuova Italia, 1995, p. 15.
109
Cfr. Pascoli, Tutte le poesie, p. 850.
164
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Pascoli, Poesie e prose scelte, vol. I, p. 34-35. Garboli ricorda un verso autografo [LIII
110
15, f. 23], non conservato nella versione definitiva (1903) della poesia: «Noi eravamo
due larve», ivi, vol. II, p. 894. La lettura che fa Garboli del testo è strettamente legata,
secondo lui, ai lavori pascoliani su Dante, sicché il fanciullo-fiore sarebbe «la storia
di una larva, di un’ombra nel vestibolo, un ignavo senza nome e senza volto che vuole
e non può morire», ivi, vol. II, p. 909.
165
Terzo capitolo
111
Pascoli, Poesie e prose scelte, vol. II, p. 894-895. Il quaderno è quello chiamato LXXII 5.
112
Vito M. Bonito, Pascoli, Napoli, Liguori, 2007, p. 47.
113
Archiv. Cart. 9, b. 2, f. 387, citato in Giorgio Marcon, Didattica pascoliana nelle
lezioni bolognesi per la scuola pedagogica: primi sondaggi, in “Rivista Pascoliana”, n.
24-25 (2012-2013), pp. 249-264, 253.
166
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
metafore botaniche usate dallo stesso Pascoli. Vale la pena tornare sul
commento pascoliano di Manzoni per capire come il poeta romagnolo
abbia potuto creare il proprio repertorio simbolico fondato sul fiore ca-
duto simile al fanciullo. A proposito dell’episodio della morte di Cecilia
nei Promessi sposi, Pascoli cita un passo e poi commenta (dopo aver
ricordato l’origine virgiliana del passo):
“Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in
boccia al passar della falce che pareggia tutte le erbe del prato”. [...]
A ogni modo, egli [Manzoni] ha creato, e precisamente dove non si può nega-
re che abbia imitato: nel paragone del fiore, così comune nella poesia antica
e moderna. Ha creato per quel particolare nuovo del bocciuolo che cade col
fiore sbocciato: il bambino del fiore! Piccola cosa? Queste piccole cose sono
la poesia, solo queste: le grandi sono sovente vampate di retorica, che è una
bella, bellissima arte, ma non è la poesia.114
Giovanni Pascoli, Eco d’una notte mitica, in Id., Tutte le opere. Prose, vol. I, p. 130.
114
167
Terzo capitolo
Nella myricea I due cugini la metafora botanica viene usata con una
doppia valenza: in un primo tempo riprende la fin troppo classica simi-
litudine con la rosa appassita («l’uno appassì, come rosa / che in boccio
appassisce nell’orto», vv. 7-8), poi, in un secondo tempo, serve invece
a liricizzare la condizione della piccola sposa fanciulla che cresce sola,
rispetto al cugino incompiuto sul cui corpo seppellito fioriscono le mar-
gherite (v. 19).117 La fanciulla è una sposa sola vista come il fiore che si
trasforma in frutto, morendo: «Crescevi sott’occhi che negano / ancora;
ed i petali snelli / cadevano: il fiore già lega» (vv. 14-16).
Nel canto di Castelvecchio Il sogno della vergine, il bambino, immagina-
to dalla ragazza che sogna la condizione materna, viene raffigurato come
una entità botanica incompiuta: «O figlio d’un intimo riso / dell’anima!
o fiore non nato / da seme, e sbocciato improvviso! // Tu fiore non retto
da stelo [...]».118 In questa lirica l’iterazione della negazione funge da
preterizione, rinforzata dalla serie di tre vocativi in cui si finisce per far
prevalere l’immagine puramente poetica del «fiore» sbocciato su quella
del «figlio» assente perché non nato. L’incompiutezza diventa inesisten-
za, addirittura «luce non nata» (v. 40), pure trasformata in materia po-
etica perché corrisponde all’immaginazione della ragazza. La metafora
del fiore ha permesso la formulazione della mancata maternità, mentre
l’analogia con gli uccelli veniva adoperata dal poeta per liricizzare la
propria incompiutezza di uomo adulto al quale è mancata una famiglia
con figli, nella lirica Addio!. Si trovano ancora le figure di larve negli
aborti che l’etèra Myrrhine ricorda con amarezza, nel poema conviviale
L’etèra. Prima con il paragone naturalistico ma macabro con la vita fetale
116
Giovanni Pascoli, I gemelli, ivi, p. 594, vv. 1-5.
117
Il particolare metaforico delle margherite che fioriscono sul cuore si ritroverà anni
dopo nella lirica d’occasione Per Ines C., ivi, p. 850.
118
Giovanni Pascoli, Il sogno della vergine, ivi, p. 359, vv. 33-39.
168
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
169
Terzo capitolo
Donatella Mazza analizza il fanciullo “bocciolo” all’età romantica come «pura poten-
120
170
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
incompiuti (boccioli, larve, aborti, figli non nati, ecc.) potrebbero essere,
secondo Andrea Zanzotto, immagini dell’io incompiuto, perché bloccato
nella religione della famiglia e dei cari defunti e quindi incapace di
assumere una vita adulta “normale”. Zanzotto sostiene che Pascoli è:
«[...] imbrogliato nel labirinto dei suoi complessi, bloccato dalla censura
contro l’eros alle soglie dell’adolescenza in un clima di incesto, bianco.
[...] Egli mette la forza di un adulto a servizio della crisalide infantile
favolosamente cresciuta nelle sue proporzioni senza svilupparsi».121 Il
motivo dell’incompiutezza legato al fanciullo raggiunge un livello inti-
mo nel vocativo ipnotico «...Zvanî...», isolato tra due serie di puntini di
sospensione, come un soffio nato dal silenzio, ne La voce. Il nome fami-
liare romagnolo che la madre dava al poeta quando era fanciullo, torna
dall’oltretomba e diventa una doppia immagine simbolica dell’infanzia
incompiuta di Giovanni. Da una parte si fa verbalizzazione fantasticata
del nome affettivo pronunciato dalla madre morta, come un ritornello,
dall’altra, diventa l’immagine fonica dello svanire nel silenzio. Il nome
dell’io bambino è una parola tronca che viene dal regno delle ombre, un
soffio ossitono incompiuto sospeso nella sintassi dei versi, in chiusura
delle quartine, una trascrizione sonora dell’incompiutezza esistenziale.
Un ultimo accenno merita il caso di Rachele e Maria, del poemetto Di-
gitale purpurea, e la possibilità o meno di legare anche queste due figure
femminili al fiore della morte e al suo simbolismo. Il problema sta nella
determinazione dell’età delle due ragazze che ricordano con nostalgia gli
anni infantili. Fausto Curi le chiama pure «fanciulle»,122 perché sem-
bra riferirsi soprattutto all’età che esse avevano al momento della sco-
perta del fiore proibito, mentre Rachele e Maria, al momento del loro
colloquio, sono coetanee di Viola o Rosa, le due figlie della famiglia del
“capoccio” nei Poemetti, per l’appunto chiamate «ragazze» dallo stesso
Curi.123 Il v. 10 della prima parte di Digitale purpurea indica che le due
protagoniste stanno ricordando l’epoca in cui vivevano al convento, cioè
121
Andrea Zanzotto, Infanzie, poesie, scuoletta (appunti), in “Strumenti critici”, n. 20
(feb. 1973), pp. 52-77, p. 61.
122
Curi, Pascoli e l’inconscio, p. 71.
123
Ivi, p. 76.
171
Terzo capitolo
Maria and Rachele, like Viola and Rosa [...], like Maria and Ida, the two
sisters in Pascoli’s real life, cannot ever meet. The innocence and purity of
childhood be but a memory deep in the soul of one who chooses to grow up.
[...] Pascoli himself, we know, does not make such a choice.125
124
Ivi, p. 60. Curi parla della curiosità sessuale di Viola durante la notte di nozze della
sorella (nel poemetto Il Chiù), che potrebbe essere paragonata a quella, più simbo-
lica, di Rachele quando cede al fascino della digitale purpurea. Curi ovviamente si
riferisce alle contemporanee ricerche di Freud sulla sessualità infantile (i Tre saggi
sulla teoria sessuale, del 1905).
125
La Valva, The Eternal Child. The Poetry and Poetics of Giovanni Pascoli, p. 207.
172
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
A voi che mi conoscete. A voi, ai quali non avrò sempre mostrato molto
ingegno e assai dottrina, ma animo onesto uguale sincero sì, sempre. A voi,
ai quali non credo aver dato mai esempi di presunzione e di ambizione, di
malevolenza e di maldicenza. A voi, infine, ai quali io devo molto più che
non diedi. [...]
Così io sono lieto d’aver unito alla divina poesia l’esercizio umano che più
con la poesia si accorda: la scuola.126
Qualche anno prima, nel 1906, per la prima edizione della raccolta Odi e
Inni, Pascoli aveva scelto di dedicare i testi «Alla giovine Italia», e nella
prefazione che segue egli cominciava dichiarando: «Per voi io canto, o
giovinetti e fanciulle: solo per voi». E proseguiva, più avanti: «A voi, sì:
a voi, giovinetti e fanciulle, a voi, che, di qualunque età siate, o serbate o
ricuperate la santa giovinezza, la cara libertà dell’anima!».127
I due fanciulli e I due orfani possono essere letti come due apologhi di
cui sono protagonisti due figure infantili, calate in scene della vita quoti-
diana, e prendono finalmente un significato più astratto, una valenza uni-
173
Terzo capitolo
174
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
tratta questa volta di una vera e propria rissa tra due piccoli fratelli; essa,
nella prima sezione, viene descritta con termini metaforici che accomu-
nano i maschietti addirittura a due bestie: le mani sono «gli artigli» e i
piccoli diventano «i leoncelli» (vv. 9 e 15), mentre in una versione auto-
grafa del testo si accentuava maggiormente il contrasto fra le due bestie
feroci e i tipici capelli biondi della figura infantile, scomparsi nelle ver-
sione definitiva.129 L’atmosfera creata, tra andamento narrativo e favola,
è quella di un crepuscolo durante il quale due fratelli giocano, sempre
sotto lo sguardo testimone dell’albero, pure come nel madrigale myriceo
(«con stupor de’ tigli», al v. 5). Sembra perfino che i protagonisti del
poemetto siano i due fanciulli felici e allegri del giardiniere già evocati
nella poesia myricea Nel parco («ruzzano i monelli / del giardiniere»).130
Il gioco – raro esempio di raffigurazione della violenza infantile nella
lirica pascoliana – si trasforma improvvisamente in brutale lite, come se
i due bambini fossero diventati animali feroci, finché la «madre pia» (v.
14) non decide di mandarli a dormire accusandoli di cattiveria, perché
hanno provato nel loro cuore il sentimento di «un’acre bramosia di san-
gue» (v. 10). Se questa prima sezione del poemetto si concentra sull’azio-
ne che determina la cattiveria finale, la seconda sezione anzi trasforma
l’aggressività iniziale e la paura dell’ira materna in paura delle ombre
del buio. Ora i due fanciulli puniti, insieme nello stesso letto, di notte,
stanno dimenticando la loro precedente rivalità per stringersi uno contro
l’altro di fronte all’uguale terrore notturno. Un caso analogo di riconci-
liazione fra due bambini si potrà riscontrare nella storia emblematica di
due fanciulli mascherati, nella lirica L’eterna politica del crepuscolare
Tito Marrone, una poesia di pochi anni successiva ai testi di Pascoli.131
129
Pascoli, Poesie e prose scelte, vol. I, p. 1393.
130
Giovanni Pascoli, Nel parco, in Id., Tutte le poesie, p. 80, vv. 11-12. Si noti il vocabolo
connotato “monelli”, che contrasta con tanti “fanciulli”, “bambini”, “bimbi” della
lirica pascoliana. Tuttavia si incontra “monello” all’inizio del secondo capitolo del
Fanciullino, per parlare del fanciullo che conduce par mano il vecchio poeta omerico
(Fanciullino, p. 27): in ambedue i casi il vocabolo “monello” si riferisce all’idea di
allegria, di gioco, di rumore felice, poiché nel Fanciullino si usa l’epiteto “garrulo”.
131
Cfr. Tito Marrone, L’eterna politica, in Id., Antologia poetica, a cura di Donatella
Breschi, Napoli, Guida, 1974, p. 67. Marrone tuttavia introduce in questo piccolo
apologo infantile sulla riconciliazione una tonalità parodica del tutto estranea al po-
175
Terzo capitolo
emetto pascoliano, segnatamente grazie al ricorso alla maschera, che aveva fornito
l’oggetto della lite. Per Marrone il fanciullo non è più precursore ideale ma maschera
emblematica.
132
Giovanni Pascoli, I due fanciulli, in Id., Tutte le poesie, p. 150-151, II, vv. 4-16.
176
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Cfr. Pascoli, I due fanciulli, in Id., Tutte le poesie, p. 151, III, vv. 1-16. Per il motivo
134
della madre con la fioca lampada: cfr. Valentina Russi, Il fanciullo perduto: le decli-
nazioni del lutto nella poesia pascoliana, Perugia, Guerra, 2007, p. 114.
177
Terzo capitolo
Egli [il fanciullino] è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio
vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricor-
dando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi,
alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli
è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi
e alla nostra ragione.135
Il buio, come viene definito nella poetica e come viene illustrato nei
poemetti, costituisce un motivo di spavento, certo, ma anche e soprat-
tutto un motore per l’immaginazione infantile. Con una tonalità assai
diversa, ma con la stessa idea dell’ansia infantile, Marino Moretti raffi-
gurerà, mediante un uomo nero, lo spleen insito nel cuore umano, ossia
una condizione psicologica. Nella lirica L’uomo nero egli parte in effetti
dalle paure irrazionali dei bambini che fantasticano sulle storie degli
adulti,136 per giungere all’angoscia vera e propria dell’adulto nel quale
rimane sempre la paura del misterioso uomo nero dell’infanzia, evocato
qui come allegoria del «Dolore» e del «Pensiero». In Pascoli l’ansia in-
fantile dei due fratelli nel buio provoca immagini paurose che finiscono
per destare, quando essi sono più grandi, una patetica inquietudine di
Cfr. Marino Moretti, L’uomo nero, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 107, vv. 1-4.
136
178
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
Giovanni Pascoli, I due orfani, in Id., Tutte le poesie, p. 164, I, vv. 10-13.
137
Giovanni Pascoli, La ginestra, in Id., Prose, vol. I, pp. 99-100. La madre è in realtà la
138
matrigna leopardiana.
179
Terzo capitolo
139
Giovanni Pascoli, Il ciocco, II, in Id., Tutte le poesie, p. 752, vv. 164-166.
140
Ivi, p. 761.
141
Gozzano, Parabola, in Id., Tutte le poesie, p. 109, vv. 12-14.
180
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
142
Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, pp. 52 e 233.
143
Cfr. Bosetti, Il divino fanciullo e il poeta, p. 60.
144
Hartley Coleridge, Childhood, vv. 1-2, in 101 Poems about Childhood, edited by
Michael Donaghy, London, Faber and Faber, 2007, p. 64.
145
Cfr. Giovanni Pascoli, Alla bambina Elisa Rossi, in Id., Tutte le poesie, p. 851.
181
Terzo capitolo
parabola costituita dal corso della vita umana, prima ascendente e poi
votata alle profondità. Il personaggio infantile, prima considerato come
occasione per un piccolo quadro lirico («T’ho veduta al dóndolo, Elisa,
/ andare, andare su, di volo», vv. 1-2), si carica di una dimensione etica
perché diventa emblema di una condizione esistenziale. La triste sor-
te riservata agli uomini, come viene suggerita in questa poesia, sembra
solo poter essere dimenticata, o meglio rimossa, dall’idealizzazione lirica
dell’età infantile. In Pascoli tale idealizzazione corrisponde, come hanno
mostrato tanti critici, alla ricerca ossessiva dell’infanzia interrotta e del
nido ritrovato, sicché l’uomo adulto rifiutando di assumere la propria
condizione si blocca in un tempo sospeso tra l’infanzia ideale e la lucida
rassegnazione, diventa un “fanciullo poeta” alle soglie della virilità,146 e
non un “poeta fanciullo” ben adulto, che conosce fin troppo la propria
natura da parodiarla, come nella generazione dei crepuscolari. Difatti, la
più famosa rimessa in questione novecentesca della figura del fanciullo
di matrice pascoliana è quella proposta da Saba, nelle sue Scorciatoie.
Egli riconosce la coesistenza fra uomo e fanciullo, riuniti idealmente
nella persona del poeta, ma insiste sul fatto che: «se l’uomo prende trop-
po sul bambino [...], il poeta (in quanto poeta) ci lascia freddi. Se quasi
solo il bambino esiste, se sul suo stelo si è formato appena un embrione
d’uomo, abbiamo il “poeta puer” (Pascoli); ne proviamo insoddisfazione
e un po’ di vergogna».147 E Corazzini, in una recensione, riconosceva
che: «se il poeta è fanciullo, non sempre è poeta».148 Zanzotto ha definito
questo aspetto della personalità di Pascoli con un’interessante, benché
spietata, espressione: il «bambino-monstre»:
Quel vero bambino-monstre che è Pascoli [...] imbrigliato nel labirinto dei
suoi complessi, bloccato dalla censura contro l’eros alle soglie dell’adole-
146
Cfr. Siro A. Chimenz, Giovanni Pascoli e il “fanciullino”, p. 265.
147
Umberto Saba, Scorciatoia 14, in Id., Tutte le prose, a cura di Arrigo Stara, con un
saggio introduttivo di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2001, p. 14. Il vocabolo
«vergogna» riferito a Pascoli viene ribadito in Id., Storia e cronistoria del Canzoniere,
ivi, p. 142.
148
Corazzini recensiva Lumi d’argento di Umberto Bottone, su “Sancio Pancia”, l’11
marzo 1906.
182
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
149
Zanzotto, Infanzie, poesie, scuoletta (appunti), p. 61.
150
Usando un’altra formula Carmine Di Lieto parla di «chiusura affettivo-sentimentale»,
a proposito della castità del poeta, in relazione con una «paura dell’estraneo»: Il ro-
manzo familiare del Pascoli (delitto, “passione” e delirio), Napoli, Guida, 2008, p. 15.
151
Cfr. Giovanni Pascoli, Il pellegrino, in Id., Tutte le poesie, pp. 816-817.
183
Terzo capitolo
Giovanni Pascoli, A Maria che l’accompagnò alla stazione, ivi, p. 829, vv. 1-8.
152
Nella nota al testo Pascoli precisa effettivamente: «Devo avvertire che non si trattava
153
della madre, ma della sorella che in quel momento e in quell’atteggiamento gli ricor-
dava la madre? Sì che gli pareva di essere un buon figliuolo che andasse lontano per
aiutarla col suo lavoro?», ivi, p. 865.
184
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
interiore alla base della sua poetica.154 La famosa poesia Nebbia è em-
blematica di tale regressione verso lo spazio limitato del nido, verso uno
stato di rifiuto della lontananza – cioè conoscere tutte le avventure della
vita adulta –, e infine verso la regressione ultima, quella dove l’adulto
raggiunge il fanciullo eterno, come espresso ne La mia sera: «Mi sembra-
no canti di culla, / che fanno ch’io torni com’era... / sentivo mia madre...
poi nulla...».155 Nel contesto di un’epoca di trasformazioni radicali, il
significato della rappresentazione pascoliana della figura ideale del fan-
ciullo prende una connotazione regressiva in quanto essa diviene una ri-
sposta personale ed estetica all’incertezza, nonché, sul piano più intimo,
all’ansia provocata da un profondo senso di ingiustizia dovuta alla sua
particolare biografia. Il fanciullo di Pascoli è inteso in contrapposizione
alla realtà della società moderna, ossia come uno specchio dove ritrovare
se stesso, in modo autentico, fuori dal tempo storico e dalle norme im-
poste dalla società.156 Coincidono il fanciullo metaforico e quello reale,
come sosteneva Siro A. Chimenz: «non c’era per il Pascoli altra infanzia
dello spirito che quella propria della fanciullezza reale [...]».157 Questo
atteggiamento influenzerà certamente l’attività pedagogica dell’autore,
soprattutto a livello dell’elaborazione dei libri per la scuola.
154
Cfr. Le osservazioni di Giuseppe Nava in Storia della letteratura italiana, dir. da Enri-
co Malato, Roma, Salerno, 1999, vol. VIII, Tra l’Otto e il Novecento, pp. 635-712.
155
Giovanni Pascoli, La mia sera, in Id., Tutte le poesie, pp. 348-349, vv. 37-39.
156
Cfr. Richter, Il bambino estraneo (la nascita dell’immagine dell’infanzia nel mondo
borghese), p. 263.
157
Chimenz, Giovanni Pascoli e il “fanciullino”, p. 267.
185
Terzo capitolo
classica per il giovane pubblico, sia quello delle scuole medie che quel-
lo delle università. Si veda quindi quale rapporto sia possibile stabilire
tra l’attività scolastica del poeta, segnatamente nell’elaborazione delle
antologie di letteratura, e la rappresentazione del fanciullo che assume
in questo caso la funzione di alunno-lettore.
Lyra romana (1894, poi semplicemente Lyra) è la prima delle antologie
pascoliane, dedicata alla poesia latina lirica. Segue a completarla nel
1897 Epos, dedicata alla poesia epica classica a Roma. La prefazione
a Lyra romana si rivolge ai colleghi insegnanti di greco e latino che
faranno leggere i testi ai «giovinetti» e agli «alunni», mentre l’antologia
di poesia epica si riferisce ai «fanciulli».158 Poi vengono pubblicate le
due antologie di letteratura classica e moderna per i giovani: Sul limitare
(1900-1902) per il ginnasio superiore, e Fior da fiore (1901-1902) per
il ginnasio inferiore. La vocazione di Pascoli per far conoscere la lette-
ratura ai piccoli ed educarli con l’esempio dei testi classici e moderni
ricorda un’altra missione pedagogica – in un contesto assai diverso, ma
con la stessa passione – esercitata qualche anno prima con i quattro libri
dell’Abecedario di Tolstoj, pubblicati a partire dal 1872. In ambedue i
progetti educativi, quello di Tolstoj e quello di Pascoli, la letteratura
destinata ai piccoli considera il fanciullo come un essere primordiale
ideale per l’uomo, e questi deve imparare sin da bambino principi morali
umanisti tramite la conoscenza dei testi letterari.
L’idea di Pascoli era di far leggere ai giovani la materia lirica, epica,
favolosa e romanzesca con lo scopo di educare tramite la conoscenza di
una letteratura selezionata dall’autore, secondo criteri soggettivi orien-
tati da alcuni aspetti della sua poetica del Fanciullino, ovvero la sco-
perta di testi mai letti prima, al fine di destare la meraviglia nei piccoli
interpreti, considerati altrettanti esseri intuenti capaci di percepire la
bellezza immediata dei brani antologizzati, sicché l’autore-educatore fi-
nisce per confondersi con il “fanciullo poeta” Pascoli, come fa notare
Valgimigli: «[l’antologia] è tutta Pascoli dalla prima pagina fino all’ulti-
Per uno studio attento delle antologie pascoliane: Mariella Colin, Pascoli entre
158
186
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
È il mio fanciullo ideale; quello che sarà ciò che non potei e che avrei voluto
essere io, quello che farà quello che non feci, che dirà ciò che non dissi.
Egli è, certo, migliore di quello che sono ora. È migliore; ma non importa,
ora, che sia migliore di molto. In qualche cosa può anche essere uguale.161
159
Manara Valgimigli, Poesia e poetica di Giovanni Pascoli, in Id., Uomini e scrittori del
mio tempo, Firenze, Sansoni, 1943, p. 94.
160
Colin, Le antologie scolastiche di letteratura italiana..., p. 206.
161
Giovanni Pascoli, Sul limitare. Prose e poesie scelte per la scuola italiana, Palermo,
Sandron, 1902, p. XIV.
162
Giovanni Pascoli, Fior da fiore, Palermo, Sandron, 1901, p. XI.
163
Pascoli, Sul limitare, p. XIV.
187
Terzo capitolo
188
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
166
Giovanni Pascoli, La poesia epica in Roma, in Id., Prose, p. 767.
167
Ci sia concesso rimandare al nostro lavoro: Yannick Gouchan, Figure dell’eroismo in
Pascoli, in “Rivista Pascoliana”, n. 24/25 (2013), pp. 103-113.
168
Michela Vermicelli parla di un Pascoli «fanciullo-poeta-eroe», in Pascoli e i fanciul-
lini, p. 177.
169
Pascoli, Sul limitare, p. XVIII. Il «carro da guerra» di Achille era già stato evocato
nel Fanciullino (II) per distinguere la materia epica da quella lirica, essendo la prima
più vicina all’ingenuità fanciullesca primitiva.
189
Terzo capitolo
170
Zanzotto, Infanzie, poesie, scuoletta (appunti), p. 59.
171
Giovanni Pascoli, Prose, Milano, Mondadori, 1946, vol. I, p. 513. La prolusione Ai
maestri delle scuole elementari fu in un primo tempo pubblicata a cura di Maria Pa-
scoli nel volume Patria e umanità, Bologna, Zanichelli, 1914.
172
La nozione di pubblico per la letteratura, al di là della sfera dei fanciulli, viene de-
finita – con grande modernità da parte del poeta – nella Nota per gli alunni di Sul
limitare, p. XV: «Insomma se si vuole una letteratura, bisogna farle, prima di tutto, un
pubblico: lo scrittore o gli scrittori verranno».
190
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
173
Pascoli, Fior da fiore, p. IX.
174
Cfr. Wolfgang Iser, Der implizite Leser, Fink, München, 1972.
175
Colin, Le antologie scolastiche di letteratura italiana..., p. 216.
191
Terzo capitolo
come fa per i testi antologizzati.176 Nella Nota del 1902 a Sul limitare,
l’autore, mentre evoca le ore di lettura trascorse nella camera del collegio
di Urbino, afferma molto chiaramente:
Cioè non leggo io, questo libro. È uno di voi che lo sfoglia, e spesso si ferma
e s’inebbria tacitamente. È il mio fanciullo ideale; quello che sarà ciò che
non potei e che avrei voluto essere io, quello che farà quello che non feci,
che dirà ciò che non dissi.177
176
L’espressione «occhi del fanciullo lettore» viene usata a pagina XXII della Nota per
gli alunni in Sul limitare.
177
Ivi, p. XIV.
178
Cfr. Bonnefoy traduce Pascoli, a cura di Chiara Elefante, Faenza, Mobydick, 2012.
179
Yves Bonnefoy, Comprendre la poésie et préserver le langage, in Il testo dei poeti, in
“Testo”, n. XXVIII (2007), pp. 11-19.
192
Pascoli: dal Fanciullino ai fanciulli
180
Cfr. Edoardo Sanguineti, Il bambino déco, in Id., La missione del critico, Genova,
Marietti, 1987, p. 52.
181
Ci si limita solo a due interventi: Luigi Baldacci che parla della fissazione critica aber-
rante sulla prima silloge pubblicata (nell’Introduzione a Giovanni Pascoli, Poesie, Milano,
Garzanti, 1974, p. XXIII), e Mariella Colin sull’immagine di poeta dei buoni sentimenti,
destinato alle scuole elementari (Pascoli entre “alunni” et “fanciullini”, p. 198).
182
Un esempio che vale per molti altri: Salinari, Miti e coscienza del decadentismo ita-
liano, p. 124.
193
Quarto capitolo
LA CONDIZIONE CREPUSCOLARE
DEL FANCIULLO
1
Per quanto riguarda le fonti francesi e belghe della poesia crepuscolare italiana, il
problema è stato studiato da François Livi in vari saggi tra cui si può citare: Dai sim-
bolisti ai crepuscolari, Milano, IPL, 1974. Livi delinea la congruenza fra una «pater-
nità indigena» (Walter Binni, La poetica del decadentismo italiano, Firenze, Sansoni,
1949, p. 131) e fortissimi influssi – addirittura calchi, talvolta – del postsimbolismo in
lingua francese, ossia la seconda generazione dei simbolisti, attiva negli anni 1890-
1900.
2
L’espressione è mutuata da Vladimir Jankélevitch, Quelque part dans l’inachevé,
Paris, Gallimard, 1978, p. 55 («[…] une mélancolie pénétrante poétise alors notre
présent»).
195
Quarto capitolo
3
Cfr. Ferdinando Pappalardo, in Marino Moretti, Poesie scritte col lapis, Bari, Palo-
mar, 2002, pp. 11-12.
4
Cfr. Guido Gozzano, Nemesi, in Id., Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca, Milano,
Mondadori, 1980, pp. 124-125, vv. 35-36 e 71-72.
5
Cfr. Giuseppe Farinelli, «Vent’anni o poco più». Storia e poesia del movimento crepu-
scolare, Milano, Otto/Novecento, 1998, p. 7.
196
La condizione crepuscolare del fanciullo
in tal modo, assai men grave fuggir la speranza e la vana felicità», affer-
ma chiaramente Corazzini nel poemetto in prosa Esortazione al fratello.6
Sull’importanza dell’appartenenza di questi poeti al ceto borghese urba-
no, per capire la portata della loro operazione di sliricizzazione, Men-
galdo ha giustamente affermato che «[…] i crepuscolari sono sempre
dei piccolo-borghesi, frustrati da un senso di scacco, da un senso, reale
o supposto poco importa, di sconfitta o di immobilità sociale»,7 che li
allontana, pure in modo diverso, dalle figure di Pascoli e d’Annunzio.
La base fornita da Giuseppe Farinelli per costituire un canone crepu-
scolare fondato su tre centri geografici comprende Tito Marrone, Sergio
Corazzini e Fausto Maria Martini (per l’area romana), Corrado Govoni,
Marino Moretti e Aldo Palazzeschi (per l’area toscana ed emiliano-ro-
magnola), Giulio Gianelli, Guido Gozzano, Carlo Vallini, Nino Oxilia e
Carlo Chiaves (per l’area torinese).8 François Livi avverte inoltre che «a
partire dalla morte di Gozzano non è più possibile parlare di un clima
crepuscolare».9 Tuttavia, a partire da questo canone, sono stati anche
selezionati alcuni testi di Guelfo Civinini, escluso dalla lista stabilita
da Farinelli, ma pur presente in antologie della poesia crepuscolare,10
nonché un riferimento alla prima opera lirica del pittore Filippo De Pi-
sis, Canti de la Croara, pubblicata nel 1916. Govoni lo identificava con
«un caro buono fanciullo»11 e la dedica generale dei Canti recita «A la
memoria sacra di Giovanni Pascoli».
Ovviamente non tutti questi poeti dimostrano la stessa disposizione per
6
Sergio Corazzini, Poesie edite e inedite, a cura di Stefano Jacomuzzi, Torino, Einaudi,
1968, p. 112.
7
Pier Vincenzo Mengaldo, Intorno al linguaggio dei crepuscolari, in Sui primi poeti
del Novecento: la generazione degli anni Ottanta, a cura di Giuseppe Merlino, Roma,
Bulzoni, 1995, pp. 9-22, 12.
8
Cfr. Giuseppe Farinelli, «Perché tu mi dici poeta?» Storia e poesia del movimento
crepuscolare, Roma, Carocci, 2005, p. 32.
9
Livi, Dai simbolisti ai crepuscolari, p. 164.
10
Cfr. I crepuscolari. Saggi e composizioni, (a cura di) Nicola Tripodi, Milano, Edizioni
del Borghese, 1966, e Gozzano e i crepuscolari, a cura di Cecilia Ghelli, Milano, Gar-
zanti, 1983. Da notare che in quest’ultima antologia Marrone è assente dal canone.
11
Filippo De Pisis, Canti de la Croara, con prefazione di Corrado Govoni, Ferrara, Bre-
sciani, 1916, p. 5.
197
Quarto capitolo
12
Cfr. François Livi, Tra crepuscolarismo e futurismo: Govoni e Palazzeschi, Milano, IPL,
1980, p. 308.
198
La condizione crepuscolare del fanciullo
13
Edoardo Sanguineti, Govoni tra liberty e crepuscolarismo, in Corrado Govoni, Atti
delle Giornate di Studio (Ferrara, 5-7 maggio 1983), a cura di Anna Folli, Bologna,
Nuova Universale Cappelli, 1984, pp. 19-50, 26.
14
Cfr. Fausto Curi, Perdita d’aureola, Torino, Einaudi, 1977.
15
Carlo Chiaves, Nel secolo duemila trecento, in Id., Tutte le poesie edite e inedite, a cura
di Giuseppe Farinelli, Milano, IPL, 1971, p. 89, v. 20.
16
Simonetta Simone, Corazzini e Pascoli, in «Io non sono un poeta». Sergio Corazzini
(1886-1907), Atti del Convegno internazionale di studi (Roma, 11-13 maro 1987), a
cura di François Livi e Alexandra Zingone, Roma-Bulzoni/Nancy-Presses Universi-
taires, 1989, pp. 95-100, 95.
17
Cfr. Fausto Curi, Metamorfosi del fanciullino, in “Poetiche. Letteratura e altro”, n.
1-2, 1997, pp. 9-38.
199
Quarto capitolo
18
Georges Rodenbach, Les cygnes, in Id., Le Règne du silence, Paris, Mercure de France,
1925, vol. II, p. 229, vv. 21-24.
19
Mengaldo, Intorno al linguaggio dei crepuscolari, p. 11.
20
Guido Gozzano, La signora Felicita ovvero la Felicità, in Id., Tutte le poesie, p. 178,
VI, vv. 306-307.
200
La condizione crepuscolare del fanciullo
Nino Oxilia, Contraddizione, in Id., Poesie, a cura di Roberto Tessari, Guida, Napoli,
21
1973, p. 178, vv. 20 e 1-3. Da notare che se Corazzini era conscio della morte precoce
per via della tisi (nel 1907), Oxilia cadrà in piena giovinezza e salute, sul fronte, nel
1917.
201
Quarto capitolo
22
Guido Gozzano, Nemesi, in Id., Tutte le poesie, p. 125, vv. 65-68. Aldo Palazzeschi,
Chi sono?, in Id., Tutte le poesie, a cura di Adele Dei, Milano, Mondadori, 2002, p. 71.
Marino Moretti, Due parole in Id., Poesie scritte col lapis, p. 24, v. 16.
23
Carlo Vallini, Il teschio fiorito, in Id., Un giorno e altre poesie, a cura di Edoardo
Sanguineti, Torino, Einaudi, 1967, pp. 74-75.
202
La condizione crepuscolare del fanciullo
Il più famoso “poeta fanciullo” dei primi del Novecento è Sergio Corazzi-
ni, per il quale si è già avvertita la necessaria distanza da stabilire fra il
mito e la parodia che egli faceva del proprio statuto. Corazzini esibisce la
propria debolezza e trova rifugio in un’infantile convalescenza. La parola
“fanciullo” costituisce un motivo-chiave nella sua opera, tale da diven-
tare un topos, come nell’iterazione ossessiva delle quattro occorrenze del
vocabolo in Desolazione del povero poeta sentimentale. Il v. 3 identifica
apertamente l’io al fanciullo in pianto («Io non sono che un piccolo fan-
ciullo che piange»), il v. 18 ribadisce l’analogia insistendo sulla tristezza
della condizione di non speranza («sono un fanciullo triste che ha voglia
di morire»), mentre il v. 28 usa la petrarchesca dittologia evocando un
«dolce e pensoso fanciullo», ribadita al v. 34 con «piccolo e dolce fan-
ciullo». Pur ricordando l’immagine romantica del “fanciullo poeta”, in
Asfodeli Corazzini parla dei suoi «versi / di fanciullo poeta» (vv. 4-5).
Per Corrazzini il fanciullo è specchio dello scrivere versi in quanto ar-
tista malato e inutile alla società. Il piccolo essere intuente pascoliano
è diventato un giovane debole che si rifugia nell’autocompiacimento e
ne fa una moderna concezione della poesia, da esibire come identità
dell’uomo contemporaneo. La meraviglia insita nel fanciullo pascoliano
si converte in narcisismo da parte di un essere appena uscito dall’ado-
lescenza ma perfettamente consapevole della sua precarietà esistenziale
e della presunta pochezza del suo mestiere. In tal modo il fanciullo di
Corazzini appare come un ben concreto ragazzo viziato, senza ambizione
e incapace di interpretare i misteri del mondo se non riducendoli alla
propria esperienza esistenziale. E fu giustamente questa riduzione alla
vita e all’etisia che fece di Corazzini l’emblema del “poeta fanciullo”
malato, diverso dal Fanciullino pascoliano e dal sublime Fanciullo di
24
Marino Moretti, Quel che c’era una volta, in Gozzano e i crepuscolari, pp. 452-453, vv.
17-23.
203
Quarto capitolo
25
Lo nota Umberto Saba in Sergio Corazzini/Note [1946], in Id., Tutte le prose, a cura di Arri-
go Stara, con un saggio introduttivo di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2001, p. 937.
26
Cfr. Sergio Corazzini, Il fanciullo, in Id., Poesie edite e inedite, pp. 99-100.
27
Edoardo Sanguineti, Tra liberty e crepuscolarismo, Milano, Mursia, 1967, p. 50.
28
Lettera citata in Filippo Donnini, Vita e poesia di Sergio Corazzini, Torino, De Silva,
1949, p. 148.
29
Stefano Jacomuzzi, L’innocenza impossibile: realtà e metafora del “fanciullo” corazzi-
niano, in «Io non sono un poeta», pp. 269-275, 271.
30
Guido Gozzano, L’altro, in Id., Tutte le poesie, p. 309, vv. 9-10.
31
Cfr. ivi, vv. 14-16.
204
La condizione crepuscolare del fanciullo
32
Ivi, v. 24.
33
L’ipotesi di Luca Lenzini è che questo alter ego infantile appare come «il piccolo
demone che impedisce a Guido di esser mai un vero lirico, e lo costringe sempre a
mascherarsi», in Luca Lenzini, Con le mani in tasca, in Guido Gozzano, Poesie e prose,
Milano, Feltrinelli, 1995, p. XIX.
34
Guido Gozzano, Alle soglie, in Id., Tutte le poesie, p. 157, vv. 1-2.
35
Marino Moretti, Parole al fratello dispotico, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p.
196, vv. 1-16.
205
Quarto capitolo
36
Cfr. Marino Moretti, Il salotto rococò, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 19, vv. 1-4.
37
Nino Oxilia, Il poeta, in Id., Poesie, p. 217, v. 31.
38
Per l’idea di normalità borghese: Giorgio Bàrberi Squarotti, Poesia e ideologia bor-
ghese, Napoli, Liguori, 1976, p. 180.
39
Cfr. Marino Moretti, Poggiolini, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 117, v. 10.
40
Carlo Chiaves, Il presepio della mia infanzia, in Felicità e malinconia. Gozzano e
i crepuscolari, a cura di Roberto Carnero, Milano, Baldini-Castoldi-Dalai, 2006, p.
167, v. 60.
41
Nino Oxilia, Io strano figlio di una razza strana, in Id., Poesie, p. 98, vv. 1-2.
42
«[...] la poesia deve tacere nella normalità dell’età adulta.», in Bàrberi Squarotti,
Poesia e ideologia borghese, p. 37.
206
La condizione crepuscolare del fanciullo
43
Marino Moretti, La giostra, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 124, vv. 64-65.
44
Cfr. Aldo Palazzeschi, Sono davvero un bambino?, in Id., Tutte le poesie, p. 794, vv.
1-7 e 21-23.
45
Filippo Tommaso Marinetti, Il poeta futurista Aldo Palazzeschi, in Marinetti e i futuri-
sti, a cura di Luciano De Maria, Milano, Garzanti, 1994, p. 211.
46
Cfr. Mario Barbaro, Il saltimbanco di Palazzeschi: dalla coscienza infelice alla fiera
carnevalesca, in Palazzeschi e i territori del comico, Atti del Convegno (Bergamo, 9-11
dicembre 2004), a cura di Matilde Dillon Wanke e Gino Tellini, Firenze, Società
Editrice Fiorentina, 2006, pp. 193-211, 193.
207
Quarto capitolo
47
Andrea Zanzotto, Infanzie, poesie, scuoletta (appunti), in “Strumenti critici”, n. 20
(feb. 1973), pp. 52-77, 63.
48
Curi, Metamorfosi del “fanciullino”, pp. 14-15.
49
Cfr. Aldo Palazzeschi, Le mie passeggiate, in Id., Tutte le poesie, p. 248, vv. 87-89.
50
Giovanni Pascoli, Il fanciullino, a cura di Giorgio Agamben, Milano, Feltrinelli, 1982,
p. 35.
51
Cfr. Eugenio Montale, La morte di Corrado Govoni poeta fanciullo della natura
(1965), in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, Milano,
Mondadori, 1996, vol. 2, pp. 2745-2748.
52
Gino Tellini, Introduzione, in Corrado Govoni, Poesie 1903-1958, Milano, Mondado-
ri, 2000, p. XII. L’autore si riferisce alla raccolta del 1905, Fuochi d’artifizio.
208
La condizione crepuscolare del fanciullo
rifiuto del sublime. Sin dal 1916 Govoni era stato percepito come un po-
eta-bambino a causa della «infantilità della visione»53 che rende il poeta
più libero. Lo stupore fanciullesco crea le immagini, nella tradizione del
puer poetico, ma senza la componente sublime e senza che il fanciullo
abbia conservato la sua natura eterna, come dimostra la programmatica
antimusa di Alla musa, negli Aborti. Questa lunga poesia stabilisce in
effetti che l’io è ricoperto da più maschere di cera per ogni vizio, e che
la musa, sotto le vesti di una mendicante, porta il suo strumento «come
un bimbo poppante / che ininterrottamente piange».54 Poi si descrive un
ambiente misero con «rachitici bambini / che piangono sui lor trastulli
infranti»55, a cui la musa tenta di offrire la sua allegria. La definizione
dello statuto di poeta passa qui attraverso la desublimazione dell’ispi-
razione, usando figure di piccoli deboli, opposti all’immagine del puer
divino.
Le varie figure infantili che s’incontrano nei versi della generazione cre-
puscolare appaiono spesso come creature diverse, estranee al mondo
codificato e normalizzato degli adulti. Tale diversità assume però due
significati: da una parte il fanciullo possiede una sua sensibilità auto-
noma, dall’altra, egli sembra escluso perché malato, pallido, solo, pian-
gente, alle soglie fra vita e morte. La generazione dei poeti italiani nati
alla fine dell’Ottocento considera il bambino sia come uno stato ideale
verso cui rifugiarsi, sia come la proiezione del proprio disagio adulto,
attraverso l’identificazione – spesso parodica – del poeta con il fanciul-
lo malato, piangente, moribondo, pallido, ecc. Il fanciullo viene quindi
considerato come meta dell’interiorizzazione del soggetto lirico che si
esclude dalla società presente e futura, raggiungendo un fuori tempo
53
Lionello Fumi, Il fanciullino in Govoni, in Corrado Govoni, Ferrara, Taddei-Neppi,
1916, pp. 87-98, 88.
54
Corrado Govoni, Alla musa, in Id., Poesie 1903-1958, p. 98, vv. 52-53.
55
Ivi, p. 99, vv. 83-84.
209
Quarto capitolo
56
Guido Gozzano, La canzone di Piccolino, in Id., Tutte le poesie, p. 260, vv. 58-60.
57
Cfr. Elio Gioanola, Il decadentismo, Roma, Studium, 1972, p. 104.
58
Cfr. Sergio Corazzini, Tu…, in Id., Poesie edite e inedite, p. 187.
59
Cfr. Marino Moretti, Allegretto ma non troppo, in Id., Poesie scritte col lapis, pp. 99-100.
210
La condizione crepuscolare del fanciullo
60
Cfr. Nino Oxilia, Invito a Maria convalescente, in Id., Poesie, p. 140.
61
Cfr. Nino Oxilia, Amo la tua bocca infantile, ivi, p. 87.
62
Cfr. ivi, p. 151.
63
Nino Oxilia, A Leda B., ivi, p. 235.
64
Fausto Maria Martini, Castità, in Id., Tutte le poesie, a cura di Giuseppe Farinelli,
Milano, IPL, 1969, p. 42, vv. 1-4.
65
Carlo Vallini, Un giorno – Il sogno, in Id., Un giorno e altre poesie, pp. 91-92.
211
Quarto capitolo
Guelfo Civinini, Un pianto nella sera, in Id., I sentieri e le nuvole, Milano, Treves,
66
212
La condizione crepuscolare del fanciullo
213
Quarto capitolo
69
Corazzini, Tu…, in Id., Poesie edite e inedite, p. 187, vv. 5-12.
70
Nino Oxilia, La canzone folle, in Id., Poesie edite e inedite, VIII, p. 129.
71
Cfr. Gaston Bachelard, La poétique de la rêverie, Paris, PUF, 1960, p. 111.
214
La condizione crepuscolare del fanciullo
Guido Gozzano, L’ultima infedeltà, in Id., Tutte le poesie, p. 139, vv. 13-14.
72
Carlo Chiaves, Inquietudine, in Id., Tutte le poesie, pp. 93-94, vv. 9-36. La prima
73
215
Quarto capitolo
74
Carlo Vallini, Un giorno – L’amore, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 84.
75
Ivi, p. 82.
76
Sergio Solmi, Sergio Corazzini e le origini della poesia contemporanea, in Sergio Co-
razzini, Liriche, Milano, Ricciardi, 1959, poi in Sergio Solmi, Scrittori negli anni,
Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 267.
77
Giulio Gianelli, Il dolce infermo, in Gozzano e i crepuscolari, pp. 299-300.
78
Citiamo solo l’esempio di Bertolucci, fanciullo ansioso, che «gode il suo stato / come
un peccato o come un privilegio», in Attilio Bertolucci, Opere, a cura di Paolo La-
gazzi e Gabriella Palli Baroni, Milano, Mondadori, 1997, p. 537.
216
La condizione crepuscolare del fanciullo
È già stato notato che l’identificazione dell’io alla figura infantile poteva
significare, tra l’altro, il rifiuto dell’età adulta, la volontà di rimanere ide-
almente in un “limitare”. Perciò lo stato di malato ha in comune con la
condizione infantile l’abolizione della consapevolezza della dimensione
temporale, perché il malato è sospeso tra la vita e la morte e il fanciullo
tra la prenatalità e l’età della ragione. Ma il fatto di essere malato, sia
per il poeta che per il piccolo personaggio delle liriche, permette tal-
volta di godere di una facoltà d’intuizione e di chiaroveggenza ignorate
o invisibili per gli individui “sani”. Nel suo poemetto Les malades aux
fenêtres, Rodenbach formulava l’idea secondo cui lo stato di malattia,
isolando dall’esterno, permette appunto di realizzarsi se stessi.79 Anche
nella narrativa del tempo, l’esempio paradigmatico della Montagna in-
cantata offre un’illustrazione della particolare chiaroveggenza dei mala-
ti.80 La malattia, realtà sociale subita nonché condizione estetica volon-
taria contrapposta alla normalità borghese, assume quindi varie valenze
e allontana i crepuscolari da Pascoli e d’Annunzio, due autori «ancora
perfettamente in grado di integrarsi nella società e di esercitarvi una
preziosa funzione di orientamento e di controllo ideologico».81 Rivolgen-
dosi alla ragazza amata che gli scrive un addio, Corazzini la definisce
precisamente in stato di perpetua malattia, come se questa fosse insita
nella sua esistenza, e la riduce a fanciulla, come se non dovesse mai cre-
scere.82 Il fanciullo malato è un topos presente anche nell’arte simbolista;
un esempio emblematico viene offerto dalla Fanciulla malata di Edvard
Munch (1885-1886), dipinto dopo l’esperienza dell’agonia della sorella
quindicenne tisica e nel quale prevale lo stato di passività e di abban-
dono che si ritroverà nella lirica crepuscolare.83 Per esempio, evocando
79
Cfr. Georges Rodenbach, Les malades aux fenêtres, in Id., Les vies encloses, in Fin de
siècle et symbolisme en Belgique. Oeuvres poétiques, Bruxelles, Complexe, 1998, p.
416, IV, vv. 18-20.
80
Cfr. La malattia come metafora nella letteratura occidentale, a cura di Stefano Man-
ferlotti, Napoli, Liguori, 2014.
81
Curi, Perdita d’aureola, Torino, Einaudi, 1977, p. 23.
82
Cfr. Sergio Corazzini, Per musica, in Id., Poesie edite e inedite, p. 62, v. 5.
83
Sulla passività del fanciullo malato tra lirica e narrativa: Stefano Jacomuzzi, Introdu-
zione, in Sergio Corazzini, Poesie edite e inedite, p. 24.
217
Quarto capitolo
84
Vallini, Un giorno – Il sogno, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 92.
85
Cfr. Sergio Corazzini, La finestra aperta sul mare, in Id., Poesie edite e inedite, p. 93-94.
86
Cfr. Fausto Maria Martini, Il rosario dell’anima, in Felicità e malinconia: Gozzano e
i crepuscolari, pp. 367-368.
87
Corrado Govoni, La psicologia dei ritratti, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p.
239.
218
La condizione crepuscolare del fanciullo
88
Cfr. Nino Oxilia, Invito a Maria convalescente, in Id., Poesie, p. 140.
89
Fausto Maria Martini, Convalescenza, in Id., Tutte le poesie, p. 75, vv. 1-4.
90
Cfr. Farinelli, «Perché tu mi dici poeta?», p. 175.
219
Quarto capitolo
ed ho la morbida impressione
d’essere come un bambino malato
in mezzo a tanti giuocattoli, in un prato;
e che giuoca, ma senza ammirazione
220
La condizione crepuscolare del fanciullo
93
Cfr. Guelfo Civinini, La ninna nanna del piccolo Alessio, in Id., I sentieri e le nuvole, vv. 1-2.
94
Govoni, La psicologia dei ritratti, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 239, vv.
11-12 e 14-16.
95
Cfr. Corrado Govoni, Le cose che fanno la domenica, in Id., Poesie 1903-1958, p. 116.
221
Quarto capitolo
96
Corrado Govoni, Alla musa, in Id., Poesie 1903-1958, p. 99, vv. 83-84; Il palazzo
dell’anima, ivi, p. 101, vv. 2-3 e Le tristezze, ivi, p. 121, v. 27.
97
Cfr. Aldo Palazzeschi, La matrigna, in Id., Tutte le poesie, pp. 108-109.
222
La condizione crepuscolare del fanciullo
98
Cfr. Alberto Castoldi, Bianco, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 3.
99
Cfr. Corrado Govoni, Rose claustrali, in Poesia italiana del Novecento, a cura di Edo-
ardo Sanguineti, Torino, Einaudi, 1993, vol. 1, p. 270, vv. 1-3.
100
Ivi, nella nota di Sanguineti per il v. 5.
101
Aldo Palazzeschi, Poemi - VIII, in Id., Tutte le poesie, p. 88, vv. 7-8.
223
Quarto capitolo
102
Aldo Palazzeschi, Mar bianco, ivi, pp. 96-97, vv. 21-24 e 44-49.
103
Cfr. Curi, Perdita d’aureola, p. 93. A proposito del colore bianco in Palazzeschi, il
critico propone un’interpretazione di natura psicoanalitica: il bianco sarebbe simbolo
di un’identificazione con la madre attraverso il seno e il latte, ivi, pp. 67-72.
104
Per un’interpretazione di queste figure: Farinelli, «Vent’anni o poco più», pp. 340-341
e Barbaro, Il saltimbanco di Palazzeschi: dalla coscienza infelice alla fiera carneva-
lesca, p. 194.
224
La condizione crepuscolare del fanciullo
le fanciulle bianche.
Passeggiano lente pel grande giardino.
Non ànno un sorriso.
La gente passando si ferma a guardare.105
4.2.4 La morte
Nella poesia dei crepuscolari i piccoli morti costituiscono un elemento
ricorrente. Moretti, per esempio, riprende il tema pascoliano del dialogo
fra i vivi e i morti nello spazio protetto del giardino domestico con ovvi
riferimenti lessicali al modello (il “gelsomino”, il “limitare”, ecc.), per
evocare la visita alla tomba del fratello maggiore scomparso precoce-
mente all’età di un mese. In questo autobiografico Giardino dei morti,
il poeta ricerca il contatto ultraterreno con il fratellino che risponde,
in corsivo: «E adesso te vedo ed ascolto, / fratello mio buono, fratello /
che vivi al di là del cancello...».106 Poi, nella terza parte della poesia,
interviene la voce di un altro fratello del poeta, morto suicida in piena
gioventù. Si tratta di un doppio colloquio con i cari morti: i due fratelli
defunti di Moretti chiamano dal cimitero il fratello ancora vivo. Martini
intitola addirittura una sua raccolta Le piccole morte, un titolo che molto
probabilmente egli ha attinto da una poesia di Marrone, Per una piccola
morta, nelle sue Liriche del 1902-1903. Lo stesso Martini, nell’intro-
duzione alla raccolta, indica esplicitamente, ma con esagerazione, che
quasi ogni lirica contiene una piccola morta, simile al fiore reciso.107
Nella lirica di Marrone si trova il colore bianco del lenzuolo funebre che
avvolge il piccolo corpo della morta, nell’alba che imbianca, e la meta-
fora floreale liberty («quanta neve di fiori a fiocchi / sopra la tua persona
irrigidita!»108). Civinini presenta anche lui una fanciulla appena morta,
«bionda e sottile»,109 che raggiunge il padre e le due sorelle nell’aldilà.
Ricordo di una piccola morta insiste sulla dimensione patetica dell’e-
105
Aldo Palazzeschi, Le fanciulle bianche, in Id., Tutte le poesie, p. 27, vv. 9-12.
106
Marino Moretti, Il giardino dei morti, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 154, vv. 45-47.
107
Cfr. Farinelli, «Perché tu mi dici poeta?», p. 174, nota 21.
108
Tito Marrone, Per una piccola morta, in Id., Antologia poetica, p. 34, vv. 9-10.
109
Guelfo Civinini, Ricordo di una piccola morta, in Id., I sentieri e le nuvole, p. 61, v. 1.
225
Quarto capitolo
110
Govoni, La psicologia dei ritratti, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 239, vv.
33-36.
111
Corrado Govoni, La via della certosa, ivi, p. 247, vv. 17-20.
226
La condizione crepuscolare del fanciullo
112
Si pensi all’evocazione dell’orrenda agonia di una piccola di quattro anni dopo un
incidente, Gasparina, nella novella di Gozzano La novella bianca (“La Gazzetta del
Popolo della Domenica”, 11/11/1906), tra realismo tragico e tono fiabesco.
113
Guido Gozzano, La morte del cardellino, in Id., Tutte le poesie, p. 111, v. 14.
114
Sergio Corazzini, Il fanciullo suicida, in Id., Poesie edite e inedite, p. 53, vv. 27-28.
227
Quarto capitolo
115
Cfr. Sergio Corazzini, Il fanciullo, ivi, p. 99, vv. 18-20.
116
Giulio Gianelli Visitazione, in Gozzano e i crepuscolari, p. 295, vv. 10-11.
117
Corrado Govoni, Il palazzo dell’anima, in Id., Poesie 1903-1958, p. 101, vv. 1-2.
118
Cfr. Farinelli, «Vent’anni o poco più», p. 237.
119
Marino Moretti, Piccola storia scandalosa, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 112, vv.
25-28.
228
La condizione crepuscolare del fanciullo
diana della poesia: «oh fossi anch’io, / fossi anch’io nato così!» (vv. 35-
36). Oltre all’abituale riduzione dell’io crepuscolare si nota qui l’aspira-
zione alla regressione estrema, non verso l’infanzia ideale e preservata,
ma verso la non esistenza di un aborto diventato oggetto.
Per concludere, la lirica di Martini posteriore all’inizio della Grande
Guerra offre un altro aspetto, quello della morte intesa come sacrifi-
cio consapevole della creatura innocente. Durante il conflitto Martini
scrisse alcune poesie in cui richiama la condizione del soldato malato
o morto, a partire dalla propria esperienza di ferito e convalescente.120
In una di queste poesie, Il fanciullo e i soldati, il poeta evoca la morte
di un bambino malato di quattro anni e lo trasforma in creatura di me-
diazione fra tre soldati morti e la porta del Paradiso. Il piccolo diventa
una figura sacrificale poiché la sua morte per l’Italia ha permesso l’in-
gresso di soldati feriti in Paradiso. La data di pubblicazione del testo,
maggio 1917, ci porta ben oltre l’estetica crepuscolare, ma il fanciullo
vi acquista una valenza originale: egli sceglie di offrire alla Patria una
sua «morte bianca». Il poemetto in prosa è fondato sul colloquio alta-
mente patetico fra la madre e il figlio già morto, ma la nota dell’autore
indica che egli si ispirò a un evento realmente accaduto, vicino al fron-
te, dove tre soldati feriti in ospedale morirono contemporaneamente a
un fanciullo.121 Il piccolo morto in Martini appare in questo caso radi-
calmente opposto al fanciullo suicida di Corazzini – anch’esso ispirato
a un fatto realmente accaduto – perché il primo si fa portatore di un
messaggio di sacrificio patriottico e religioso, nonché intercessore fra i
soldati e l’aldilà, mentre il secondo sceglie di scomparire per dispetto,
delusione, perdita di speranza. Il fanciullo come salvezza per l’adulto
diventerà per Martini davvero reale: nel 1920 gli nasce il primo figlio
che provocherà in lui una sorta di rinascita, come testimonia il roman-
zo Verginità (1921). Un’altra esperienza biografica e lirica di paternità
riguarda anche Govoni, il cui figlio sarà tragicamente ucciso durante
la Seconda guerra mondiale. Il poeta gli dedica un libro di versi, Ala-
dino, pubblicato nel 1946, in cui evoca la cara figura dell’adolescente
120
Cfr. Fausto Maria Martini, Poesie sparse, in Id., Tutte le poesie, pp. 192-214.
121
Cfr. ivi, p. 202-203.
229
Quarto capitolo
scomparso. Nella sesta poesia del libro, egli viene descritto come un
fanciullo, quando aveva tre anni e giocava con i genitori, in commo-
vente contrasto con il cadavere del ragazzo.122 A concludere il libro
accorato di Govoni è un dialogo fra il giovane morto e l’angelo tragico,
che vorrebbe portarlo con sé, dal quale emerge un aspetto nuovo.
122
Cfr. Corrado Govoni, VI, in Id., Aladino, Milano, Mondadori, 1946, p. 18.
123
Gilbert Bosetti, Il divino fanciullo e il poeta (culto e poetiche dell’infanzia nel romanzo
italiano del XX secolo), Pesaro, Metauro, 2004, p. 133.
124
Cfr. Giulio Gianelli, Pagine autobiografiche, in Id., Tutte le poesie, a cura di Giuseppe
Farinelli, Milano, IPL, 1973, p. 155, nota 17.
230
La condizione crepuscolare del fanciullo
125
Cfr. Farinelli, «Vent’anni o poco più», p. 403.
126
Giulio Gianelli, Caro agli angeli, in Gozzano e i crepuscolari, p. 274, I, vv. 5-12.
127
Ivi, II, v. 4.
128
Ivi, p. 275, III, vv. 7-10.
231
Quarto capitolo
129
Ivi, p. 276, V, v. 7.
130
«[...] d’un nimbo / risfolgoro; arresta il mio volo, / d’un tratto l’abbraccio d’un bimbo»,
ivi, p. 277, VI, vv. 6-8. Ma la stessa rima era già presente – in forma baciata – nella
quinta poesia, al plurale: «[...] tra i nimbi / di luce uno stuolo di bimbi», p. 276, vv.
6-7.
131
Ivi, v. 9.
132
Cfr. Giulio Gianelli, La fiaba, in Gozzano e i crepuscolari, p. 297, v. 26.
133
Filippo De Pisis, L’angiolino, in Id., Poesie, Firenze, Vallecchi, 1942, p. 16, v. 9. Ma
232
La condizione crepuscolare del fanciullo
per il biondo fanciullesco dei capelli si potrebbe citare anche Il fanciullino (ivi, p.
65), L’aquilone (ivi, p. 115) o L’angelo (ivi, p. 161), a partire dal modello pascoliano
offerto, per esempio, da La nonna (Canti di Castelvecchio): «Tra tutti quei riccioli al
vento, / tra tutti quei biondi corimbi», vv. 1-2.
134
Filippo De Pisis, L’aquilone, in Id., Poesie, p. 115, v. 7.
135
De Pisis, L’angiolino, ivi, p. 104, v. 16, e L’aquilone, ivi, p. 115, v. 14.
136
Filippo De Pisis, Testimoni, ivi, p. 123, vv. 1-8. Si potrebbe anche citare Preghiera
con l’idea di purezza: «Il dolore non aveva toccato il mio cuore / e forse non à ancora
davvero», ivi, p. 96, vv. 6-7.
137
Giulio Gianelli, “Una volta dicevo”, in Id., Tutte le poesie, p. 390, vv. 4-7.
138
Cfr. Filippo De Pisis, Attimo, in Id., Poesie, p. 97.
233
Quarto capitolo
139
Filippo De Pisis, L’angelo [Un bell’angelo è venuto a consolarmi], ivi, p. 145, vv. 11-14.
140
Filippo De Pisis, L’angelo [Angelo biondo di dove sei venuto], ivi, p. 161, v. 13.
141
Cfr. Filippo De Pisis, Vaghe stelle dell’Orsa. Diario di Bologna (1916-1918), Milano,
Longanesi, 1970.
142
Giulio Gianelli, Bimbi e nonni, in Id., Tutte le poesie, vv. 1-4.
143
Guido Gozzano, Miecio Horszovski, in Id., Tutte le poesie, p. 116, v. 11.
144
Cfr. Guido Gozzano, Intossicazione, in Id., Poesie e prose, pp. 299-303.
234
La condizione crepuscolare del fanciullo
145
De Pisis, L’aquilone, in Id., Poesie, p. 115, v. 10.
146
Marino Moretti, Le prime tristezze, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 116, vv. 37-38.
147
«[...] Commedïante / del mio sognare fanciullesco, rido!», Guido Gozzano, L’esperi-
mento, in Id., Tutte le poesie, p. 263, vv. 83-84.
235
Quarto capitolo
perfino l’estasi, ossia quello che Gozzano chiama «le ore di gaudi»,148
un’infanzia quindi necessaria.
148
Gozzano, L’altro, in Id., Tutte le poesie, p. 309, v. 21.
149
Francis Jammes, Amie, souviens-toi, in Id., Oeuvres, Paris, Mercure de France, vol. I, p.
200, v. 17.
150
Cfr. Filippo De Pisis, Paese antico, in Id., Poesie, p. 79, vv. 10-11.
151
Cfr. Angelo R. Pupino, L’astrazione e le cose nella lirica di Sergio Corazzini, Bari,
Adriatica, 1969, p. 112.
152
Corrado Govoni, Natale, in Id., Le fiale, Firenze, Lumachi, 1903, p. 25, vv. 1-3.
236
La condizione crepuscolare del fanciullo
153
Cfr. Rainer Maria Rilke, Die vierte Elegie, in Duineser Elegien, vv. 60-62. «Oh, ore
dell’infanzia, / quando dietro le figure c’era più che passato soltanto / e dinanzi a noi
il futuro non c’era», traduzione italiana di Enrico e Igea De Portu, in Elegie duinesi,
Torino, Einaudi, 1978.
154
Gaston Bachelard, La poétique de la rêverie, p. 85. Lo studioso parla anche della
«détemporalisation» degli stati di grande rêverie, ivi, p. 95.
155
L’espressione «mondo altro» è mutuata dal saggio di Marie-José Chombart de Lauwe,
Un monde autre: l’enfance, Paris, Payot, 1979, p. 96, ossia «un réel idéalisé que [l’en-
fant] est seul à voir».
156
Carlo Chiaves, Fanciullezza, in Id., Tutte le poesie edite e inedite, p. 200, vv. 1-5.
237
Quarto capitolo
Anche Govoni, alla fine della sua vita, quasi settantenne, esclamava an-
cora: «Vorrei essere ancora quel bambino / che [...] / correva nel cortile /
a perdifiato [...]».157 E ancora Chiaves celebra «l’età dei giochi»158 della
felicità infantile natalizia, contrapposta alla solitudine del presente vuo-
to, mentre Marrone propone una versione meno nostalgica e più amara
dello stesso ricordo natalizio, puntando sulla scomparsa, tramite l’im-
magine del naufrago che è diventato adulto: «Dove son io fanciullo? / Il
mio presepio è brullo, / abbandonato, spento».159 La forma condizionale
del ricordo d’infanzia («Vorrei», nei versi di Chiaves e Govoni) si trasfor-
ma, per Marrone, in inutile domanda sulla propria condizione adulta in
cerca del fanciullo, mentre il finale disilluso della poesia, sostenuto da
tre aggettivi negativi consecutivi, si contrappone alla nostalgia allegra di
Chiaves; si noti fra l’altro che «fanciullo» rima con «brullo», pure come
nel già citato Un pianto nella sera di Civinini.
L’appartenenza del fanciullo a questo dolce e irraggiungibile “mondo
altro” lo rende dunque simile al poeta creatore di immagini, e viceversa
il poeta estraneo al mondo sociale si identifica al fanciullo scoprendo
il proprio paese dell’infanzia. Il primo opera uno slancio intuente ver-
so l’immaginazione, il secondo segue una strada lirica verso il paradiso
perduto. Un’immagine di questo paradiso perduto è offerta per esempio
dal parco nel quale Vallini immagina – in quattro sonetti – di vedere una
donna misteriosa. Rivolgendosi a lei, il poeta evoca un «infinito ritorno
delle cose / nel tempo!»,160 simile al ciclo della natura che rifiorisce, ma
questo ritorno assume una valenza nuova perché si riferisce anche alla
disposizione infantile al ciclo dell’immaginazione feconda:
157
Corrado Govoni, Vorrei essere ancora, in Id., Poesie 1903-1958, p. 347.
158
Carlo Chiaves, Il presepio della mia infanzia, in Felicità e malinconia. Gozzano e i
crepuscolari, p. 168, v. 75.
159
Tito Marrone, L’albergo, in Id., Antologia poetica, vv. 25-27.
160
Carlo Vallini, La donna del parco, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 54, IV, vv. 5-6.
238
La condizione crepuscolare del fanciullo
161
Ivi, vv. 9-14.
162
Cfr. Ferdinando Pappalardo, Introduzione, in Marino Moretti, Poesie scritte col lapis,
Bari, Palomar, 2002, p. 13.
163
Moretti, La giostra, in Id., Poesie scritte col lapis, ivi, p. 124, vv. 59-64.
164
Giulio Gianelli, L’uomo, in Id., Tutte le poesie, vv. 1-4.
239
Quarto capitolo
165
Nino Oxilia, Studio di bianco e nero, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 149-
150.
166
Carlo Chiaves, Ritornando, in Id., Tutte le poesie edite e inedite, p. 205, v. 8.
167
Giorgio Savoca, Forme della regressione nella poesia di Corazzini, in «Io non sono un
poeta», p. 231.
240
La condizione crepuscolare del fanciullo
168
Sergio Corazzini, Vinto, in Id., Poesie edite e inedite, p. 191, vv. 1-8.
169
Sergio Corazzini, Esortazione al fratello, ivi, p. 112.
170
Dieter Richter, Il bambino estraneo (la nascita dell’immagine dell’infanzia nel mondo
borghese), Scandicci (Fi), La Nuova Italia, 1992, p. 309.
241
Quarto capitolo
171
La formula è mutuata da Rita Fantasia - Gennaro Tallini, Poesia e rivoluzione (simbo-
lismo, crepuscolarismo, futurismo), Milano, Angeli, 2004, p. 114.
172
Ivi, p. 144.
173
Il sostantivo «salvezza» viene anche usato da Angelo R. Pupino in L’astrazione e le
cose nella lirica di Sergio Corazzini, p. 174.
174
Cfr. Giuliano Ladolfi, Proposta di interpretazione del Decadentismo, in “Otto/Nove-
cento”, n. 2 (marzo-aprile 1995), pp. 127-169, 144.
242
La condizione crepuscolare del fanciullo
175
Tito Marrone, Un fanciullo, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 358, vv. 1-8.
176
Cfr. Edoardo Sanguineti, Il bambino déco, in Id., La missione del critico, Genova,
Marietti, 1987, pp. 50-59.
177
Pochi indizi rimangono sulla probabile partecipazione di Gozzano a riviste per l’in-
fanzia (“Il Corriere dei piccoli” e “Adolescenza”), come indica la nota a un gruppo di
sei liriche sparse, nel volume Tutte le poesie, pp. 784-785. Si possono citare Pasqua,
La Befana, Natale. Tuttavia il poeta pubblicò anche raccolte di fiabe e racconti per i
piccoli (I tre talismani e La principessa si sposa, postuma).
178
Cfr. Tito Marrone, Puccettino, citato in Farinelli, «Perché tu mi dici poeta?», pp.
90-91, vv. 1-5.
243
Quarto capitolo
179
Ai vv. 18 e 28 per Cenerentola, e al v. 9 per Cappuccetto rosso, in Gozzano e i crepu-
scolari, pp. 147-151.
180
Cfr. ivi, p. 150, vv. 49-52.
181
Cfr. Marino Moretti, Elegia dei libri perduti, in Id., Il giardino dei frutti.
182
Cfr. Marino Moretti, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1966.
183
François Livi, La parola crepuscolare: Corazzini, Gozzano, Moretti, Milano, IPL, 1986,
p. 172.
244
La condizione crepuscolare del fanciullo
cheria della giovane Viola di Pascoli, nel Chiù –, che tende a menomare
la propria persona di fronte all’uomo, visto fanciullescamente come un bel
cavaliere. Moretti delinea, in questa raccolta, figure di bambine fragili,
innocenti e diminuite ma inserite nella realtà della vita, con il matrimonio,
per esempio. Esse sono delle giovani impotenti di fronte all’uomo preda-
tore (si veda il poemetto La favola dell’orco) o destinate alla morte precoce
(si veda Gelosia). In Palazzeschi, invece, il mondo della fiaba si unisce a
quello della favola, e si deve intendere come una chiave di lettura. Egli
offre uno scenario fantastico alle prime poesie delle sillogi Cavalli bianchi
e Lanterna, tramite giovani principi (per esempio ne La gavotta di Kirò,
Il principe bianco, Vela lontana). Il mondo fantastico dell’infanzia propone
un modello al poeta per filtrare la propria immaginazione lirica: non si trat-
ta di poesia per l’infanzia, bensì di una poesia che gioca con i codici delle
favole per i bambini.184 Più che il nostalgico ritorno al paese dell’infanzia è
quindi la feconda immaginazione infantile ad ispirare Palazzeschi, un’im-
maginazione che agisce nella temporalità magica delle fiabe e delle favole.
184
Adele Dei parla di un «meccanismo regressivo e ludico» verso il paese dell’infanzia,
ma fungendo «da copertura, da difesa» per il poeta mistificatore alla ricerca della
propria libertà lirica, in Giocare col fuoco, in Palazzeschi, Tutte le poesie, p. XXI.
185
Cfr. Georges Rodenbach, Les femmes en mante, in Id., Le miroir du ciel natal, Biblio-
thèque-Charpentier. Fasquelle, 1989, p. 36, XIV, vv. 1-8.
186
Corrado Govoni, Casa paterna, in Id., Antologia poetica, a cura di Giacinto Spagno-
letti, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 92-96. Una lirica sullo stesso argomento si trovava
già nella silloge del 1905, Fuochi d’artifizio, con il titolo Nella casa paterna, ivi, p. 45.
245
Quarto capitolo
te perdita dei terreni di famiglia che egli dovette vendere per difficoltà
economiche nel 1914, e in generale la perdita del mondo domestico. La
visita lirica alla casa d’infanzia permette di esprimere un sentimento di
negatività nei confronti del presente, insieme al balsamo positivo del
dolce ricordo familiare, sicché questo cronotopo permette di ritrovare
non solo un luogo o un tempo felici, ma anche il ricordo di uno stato di
cui si è tranquillamente malinconici.187
Due poeti crepuscolari hanno elaborato un gruppo di liriche specifi-
camente dedicate alla visita alla casa d’infanzia: Gozzano ne I sonetti
del ritorno (in cui evoca la casa di Agliè) e Vallini ne I sonetti della
casa (in cui evoca la casa di Montecavolo). Il fatto che Vallini abbia
scritto un gruppo simile a quello di Gozzano non è però affatto casuale,
dato che i due poeti torinesi erano amici, e il primo ha concepito le
liriche a partire dal modello offerto dal secondo. Il motivo del ritorno
nello spazio domestico dell’infanzia costituisce un topos della lirica
simbolista, e per la poesia italiana un modello, già ben studiato, fu il
Poema paradisiaco di d’Annunzio. Descrivere la casa dove si è vissuti
da piccoli significa quindi ripiegarsi sopra la memoria dell’infanzia,
ritrovare lo spazio protetto e chiuso della famiglia; tale operazione re-
gressiva comporta però la triste coscienza dell’irrimediabile trascorre-
re del tempo e, di conseguenza, l’idea del “non più”, il sentimento del
tempo perduto. La visita alla casa d’infanzia presuppone l’illusione di
tornare fanciulli e la simultanea consapevolezza dell’impossibilità di
questo ritorno, donde un disagio. Nella sua silloge di sonetti, Gozzano
rivisita la casa del padre di suo padre (mentre Vallini visita la casa del
nonno materno), benché in realtà il cronotopo gozzaniano risulti dalla
mescolanza ideale fra la casa del nonno paterno con quella materna
di Agliè. Il luogo viene dapprima nominato con l’iniziale maiuscola in
forma di vocativo: «o Casa, perché sbarri con le corde / di glicine la
porta del ricovero?».188 Si noti come la pianta invadente – immagine
del tempo trascorso – venga usata come simbolo della separazione fra
il presente e il tempo ritrovato, quale un «ricovero» al quale si possa
187
Cfr. Bachelard, La poétique de la rêverie, p. 111.
188
Guido Gozzano, I sonetti del ritorno, in Id., Tutte le poesie, p. 98, I, vv. 3-4.
246
La condizione crepuscolare del fanciullo
189
Ibid., vv. 5-6.
190
Ivi, p. 102, V, vv. 4-5.
191
Cfr. Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, p. 272.
192
Gozzano, I sonetti del ritorno, in Id., Tutte le poesie, p. 99, II, v. 11.
193
Carlo Vallini, I sonetti della casa, in Felicità e malinconia. Gozzano e i crepuscolari,
p. 172, II, vv. 3 e 12.
247
Quarto capitolo
nel quale descrive se stesso piccolo, avido dei frutti finti: «martirio
un tempo del fanciullo ghiotto»,194 mentre Vallini evoca con più acuta
nostalgia «la vera / anima mia di bimbo» oppure «[la] mia innocenza
prima»,195 irrimediabilmente perduta. In ambedue i casi, la visita alla
casa d’infanzia provoca un movimento memoriale che porta l’adulto
a cercare nella propria fanciullezza l’origine dell’ispirazione, quindi
della poesia: Gozzano rivede i «princìpi» del proprio sogno (ossia il
fantasticare sui frutti finti del salotto), mentre Vallini tenta con la scrit-
tura di ritrovare invano il «bimbo» mediante «il buono [...] domestico
spirito custode»196 del nonno. Simbolo del passato e delle sue virtù, il
nonno costituisce nelle due raccolte un motivo per destare l’impulso
della fantasticheria infantile – in Gozzano –, e ricordare la saggezza
dei consigli ricevuti da piccolo – in Vallini. Gozzano invoca il padre
del padre che gli ha insegnato, vent’anni prima, la scienza della cam-
pagna insieme all’amore per i libri. Se il primo insegnamento sembra
esser stato dimenticato dal poeta torinese (la perdita del senso concre-
to della natura sarebbe qui una perdita dell’infanzia),197 la letteratura
invece ha provocato in lui una malattia incurabile che ha germinato,
come un vizio. Anche nella lirica L’analfabeta Gozzano evoca un an-
ziano ottuagenario, identico al nonno dei sonetti, simbolo di saggezza e
mediatore per il fanciullo che era l’io poeta. Con un’eco di Baudelaire,
Gozzano ricorda se stesso bambino «illuso dalle stampe in rame».198
Mentre per Vallini il nonno rappresenta prevalentemente un modello
ideale e perduto di virtù da cui il fanciullo ricevette consigli: «Ancora
la tua bella faccia onesta / tutta nella mia mente si rischiara, / quando
mi consigliavi».199 Qui appare il fanciullo ignaro, innocente, che im-
para dal nonno, secondo un ordine naturale dell’esistenza. Nel crono-
topo dalla casa d’infanzia Vallini rivede il nonno, ma improvvisamen-
194
Gozzano, I sonetti del ritorno, II, p. 99, v. 6.
195
Vallini, I sonetti della casa, p. 171, I, vv. 9-10 e p. 172, II, v. 11.
196
Ivi, p. 172, II, vv. 7-8.
197
«La scienza dei concimi / dell’api delle viti degli innesti!», in Gozzano, I sonetti del
ritorno, p. 100, III, vv. 3-4.
198
Guido Gozzano, L’analfabeta, in Id., Tutte le poesie, p. 81, v. 180.
199
Vallini, I sonetti della casa, p. 173, III, vv. 1-3.
248
La condizione crepuscolare del fanciullo
200
Cfr. ivi, p. 174, IV, vv. 1-4.
201
Ivi, p. 176, VI, vv. 1-2.
202
Gozzano, I sonetti del ritorno, p. 102, V, vv. 13-14.
203
Cfr. ivi, p. 101, IV, v. 14.
204
Vallini, I sonetti della casa, p. 176, VI, v. 14.
205
«Per forza e per beltà / primo del mio giardino, / io ti guardai, bambino, / con pavida
umiltà», Carlo Chiaves, Il pino, in Id., Tutte le poesie, p. 95, vv. 13-16.
249
Quarto capitolo
206
Cfr. Fausto Maria Martini, Meditazione – Il cipresso, in Id., Le piccole morte, Tori-
no-Genova, Streglio, 1906.
207
Nino Oxilia, Secondo intermezzo, in Id., Poesie, p. 154, III, vv. 11-14.
208
Vladimir Jankélevitch, L’irréversible et la nostalgie, Paris, Champs Essais, 1974, p.
368.
250
La condizione crepuscolare del fanciullo
La memoria del passato trascorso a scuola non comporta, per ora, nessun
ricordo negativo e doloroso, anzi viene rivissuto idealmente dalla mente
adulta che lo ha sublimato, quasi fosse una favola per i bambini traman-
data all’uomo adulto. In effetti, nella stessa lirica, Moretti precisa: «C’era
una volta – ora mi viene in mente – / la scuola della festa... Era una scuola
/ alla buona [...]».210 Il tempo della memoria, abolendo le coordinate og-
gettive, diventa quello soggettivo della mente mentre sta fantasticando a
partire dai propri ricordi. Nondimeno, alla fine della poesia, un legame
viene stabilito tra il fanciullo apprendista poeta a scuola e il poeta adulto
che si identifica al fanciullo: il primo scriveva i compiti mentre il secon-
209
Marino Moretti, La domenica della signora Lalla, in Id., Poesie scritte col lapis, p.
55, vv. 1-8.
210
Ivi, vv. 21-23.
251
Quarto capitolo
do, quasi vergognandosi, scrive versi che definisce come «vani [...] / uno
scherzo»,211 e vorrebbe che la maestra li leggesse come se correggesse
ancora un compito; si tratta di una regressione nella quale la maestra Lalla
potrebbe anche essere la madre stessa del poeta («Io t’amo, e tu sei viva,
o muta / imagine che guardi i miei quaderni / d’ora»).212 Il legame d’affetto
filiale per la madre maestra si mescola, nelle liriche, al legame d’affetto
provato dal fanciullo maschio per la giovane maestra che doveva essere la
prima figura femminile veramente contemplata fuori dall’ambiente dome-
stico, come nel ricordo che costituisce la materia de La signora più vecchia
di me. In un’ambigua manifestazione d’affetto (un morettiano complesso di
Edipo?) si leggano le ultime quartine della lirica, nelle quali il poeta adul-
to si rivolge alla giovane maestra, appena ventenne, che aveva a scuola:
211
Ivi, vv. 49 e 52.
212
Ivi, vv. 41-42.
213
Marino Moretti, La signora più vecchia di me, ivi, p. 95, vv. 25-32.
214
Cfr. Tito Marrone, Scuola, in Id., Antologia poetica, p. 46.
252
La condizione crepuscolare del fanciullo
215
Per un’analisi di queste poesie cfr. Farinelli, «Perché tu mi dici poeta?», pp. 327-
328.
216
Corrado Govoni, In un vasto giardino, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 236,
vv. 7-8.
217
Marino Moretti, Il poeta nuovo, in Gozzano e i crepuscolari, p. 488, v. 24.
253
Quarto capitolo
218
Moretti, Poggiolini, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 117, vv. 1-8.
254
La condizione crepuscolare del fanciullo
219
Ivi, vv. 45-48.
220
Carlo Chiaves, Ad un compagno di scuola, in Felicità e malinconia. Gozzano e i cre-
puscolari, p. 153, vv. 13-14.
221
Ivi, vv. 19-20.
255
Quarto capitolo
222
Giovanni Pascoli, Il ciocco, in Id., Tutte le poesie, a cura di Arnaldo Colasanti, Roma,
Newton Compton, 2001, p. 310, II, vv. 167-169. Il movimento materno della mano
evoca il segno della croce.
223
Guido Ruberti, I rimpianti, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 401, vv. 13-15.
224
Marrone, Un fanciullo, ivi, p. 358, vv. 5-12.
256
La condizione crepuscolare del fanciullo
L’analogia tra la madre consolatrice e la luce rassicurante nel buio era già
stata usata nel poemetto di Pascoli I due fanciulli, ma qui non si tratta di
un apologo con valenza universale che possa parlare a tutti gli uomini, anzi
Marrone riduce la paura del buio a un probabile disagio provato nel tempo
presente, contro cui esprime liricamente un ritorno alla figura materna
protettrice, indispensabile guida per i «piccoli amici» fantasticati dall’io:
«Vedo lontani fanciulli. / Sono i miei piccoli amici?... / C’è la mamma
con loro?... / Sono contento. Sorrido».225 Il bisogno della madre viene an-
che riferito, nelle stesso poeta, al fatto di non poter vivere nel presente, e
nemmeno nel futuro – a causa della malattia –, sicché la madre diventa
patetica espressione della liberazione che fa intravedere la morte come
unica soluzione all’insopportabile sorte riservata da una vita nella quale il
gioco non è più possibile. È l’argomento di Canzone d’ospedale in cui, dopo
aver riconosciuto leopardianamente che la vita porta solo la delusione,226
il personaggio infantile identificatosi a una marionetta con cui giocava da
piccolo, chiama la madre per farlo morire (cioè, come recita il v. 35, per
portare al figlio «l’ultimo tuo balocco»): «Oggi il tuo Pulcinella / invoca più
benevola la sorte: / che tu, col tuo sorriso, / gli regali la morte».227 Ma nella
seconda parte del Secondo intermezzo, Oxilia, rievocando nel ricordo il pa-
ese alpino della sua infanzia, descrive il fluire intenso della linfa vegetale,
simile al proprio sangue, ed esclama improvvisamente: «te cerco, Madre,
origine di bene. // Madre!».228 La maiuscola consente di intendere il voca-
tivo sia come la genitrice dell’io sia come l’origine naturale dell’uomo, la
madre natura da cui tutto procede. In ambedue i casi si tratta di ritrovare
uno stato primordiale, quello che il poeta chiama «lo spirito di vita», nel-
la prima parte del testo. Alla fine del poemetto, si riprende l’invocazione
alla Madre in una visione di palingenesi vitalistica, insolita nella consueta
estetica crepuscolare, radicalmente opposta al sogno di scomparsa espres-
so nella lirica di Marrone in cui il bambino chiedeva alla madre l’ultimo
gioco per farlo morire. Qui invece Oxilia esalta una «felicità d’esistere al
225
Ivi, vv. 22-24.
226
Cfr. Tito Marrone, Canzone d’ospedale, in Id., Antologia poetica, v. 35.
227
Ivi, vv. 37-40.
228
Oxilia, Secondo intermezzo, in Id., Poesie, p. 153, II, vv. 6-7.
257
Quarto capitolo
229
Ivi, p. 155, V, v. 14.
230
Ivi, v. 8.
231
Marino Moretti, Il ricordo più lontano, in Id., In verso e in prosa, a cura di Geno Pam-
paloni, Milano, Mondadori, 1979, p. 22-23.
258
La condizione crepuscolare del fanciullo
232
Moretti, Piccola storia scandalosa, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 112, vv. 19-22.
233
Bàrberi Squarotti, Poesia e ideologia, p. 185.
234
Cfr. Anna Folli, Moretti da Pascoli a Govoni, in “La Rassegna della Letteratura italia-
na”, gennaio-agosto (1977), pp. 90-102.
235
Cfr. Giulio Gianelli, Val Salice, in Id., Tutte le poesie, p. 230, vv. 9-11.
236
Ivi, vv. 13-14.
259
Quarto capitolo
s’inchina la dama
e il Principe il petto ne sfiora
con labbro bianchissimo,
non perla ne sugge,
un bacio soltanto vi pone.239
237
Giulio Gianelli, «Io non bastavo», in Id., Tutte le poesie, p. 377, vv. 1-7.
238
Curi, Perdita d’aureola, p. 69.
239
Aldo Palazzeschi, Il Principe bianco, in Id., Tutte le poesie, p. 50, vv. 39-43.
240
Curi, Perdita d’aureola, p. 70. Per spiegare il titolo della silloge I cavalli bianchi
l’analisi di Curi si fonda, tra l’altro, sul saggio Analisi della fobia di un bambino di
cinque anni (caso clinico del piccolo Hans), in Sigmund Freud, Opere, Torino, Bollati
Boringhieri, 1972, vol. V, p. 562.
260
La condizione crepuscolare del fanciullo
241
Cfr. Guido Gozzano, Cocotte, in Id., Tutte le poesie, pp. 190-193.
242
Guido Gozzano, I sandali della diva, in Id., Poesie e prose, p. 336.
261
Quarto capitolo
243
Cfr. Edoardo Sanguineti, Guido Gozzano: indagini e letture, Torino, Einaudi, 1975, p. 122.
244
Marino Moretti, Diva, in Gozzano e i crepuscolari, p. 476, v. 20.
245
Cfr. Marino Moretti, Il vizio acerbo, ivi, p. 478, vv. 11-12.
262
La condizione crepuscolare del fanciullo
Sii semplice e puro come il fanciullo [...] Tu non vivrai che di Passato: ti
sarà, in tal modo, assai men grave fuggir la speranza e la vana semplicità.
E dovrai viverne fino a morire. Lo spasimo bianco sarà per tenerti ognuna
ora: tutto che di più infantile e di più lontano verrà a battere alla tua porta,
dovrai accogliere nel profondo e goderti.248
246
Moretti, Il giardino dei morti, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 155, III, vv. 69-70.
Corsivo dell’autore.
247
Ivi, p. 157, vv. 125-128.
248
Corazzini, Esortazione al fratello, in Id., Poesie edite e inedite, p. 112.
263
Quarto capitolo
249
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, Milano, Adelphi, 1981, vol. II, p. 164
[51].
250
Sergio Corazzini, Vinto, in Id., Tutte le poesie, p. 191, vv. 1-2.
251
Nell’antologia Scuola nostra. Letture per la scuola Media, a cura di Carlo Calcaterra,
Torino, Sei, 1941.
252
Cfr. Carlo Vallini, La canzone del mare, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 60, vv. 33-39.
264
La condizione crepuscolare del fanciullo
253
Gozzano, L’altro, in Id., Tutte le poesie, p. 309, vv. 21-24.
254
Cfr. Guido Gozzano, Alle soglie, ivi, p. 157, vv. 1-2.
255
Afferma in effetti François Livi: «Ridiventare fanciullo, in questo contesto, appare come
una conseguenza immediata del rifiuto di ogni codice letterario: i rapporti con la realtà
devono essere contemplati in una prospettiva di comunione e di simpatia immediata ed
attiva», in Tra crepuscolarismo e futurismo: Govoni e Palazzeschi, p. 172.
256
Corrado Govoni, Fascino, in Id., Poesie 1903-1958, p. 142. Si tratta della quarta
sequenza del poemetto che conta più di 450 versi.
265
Quarto capitolo
[...]
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che m’ha veduto nascere, o Torino!
257
Giovanni Giudici, Frate Tommaso, in Id., Poesie (1953-1990), Milano, Garzanti, 1991,
p. 389.
258
Curi, Metamorfosi del fanciullino, p. 17.
259
Guido Gozzano, Torino, in Id., Tutte le poesie, pp. 210-211, III, vv. 42-54.
266
La condizione crepuscolare del fanciullo
260
Un esempio che vale per molti altri: «strette casse di gracili fanciulli / morti tra i
fiori, morti d’etisia, / corpicciuoli ravvolti in fini tulli / di amare lacrime e di liturgia»,
Corrado Govoni, La via della Certosa, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 247,
vv. 17-20.
261
Cfr. Govoni, Fascino, in Id., Poesie 1903-1958, p. 144.
262
Corrado Govoni, La fiera, ivi, p. 74, vv. 24-25.
263
Govoni, Le cose che fanno la domenica, ivi, p. 116, v. 30.
264
Corrado Govoni, Oro appassito e lilla smontata, ivi, p. 85, vv. 19-20.
265
Govoni, Alla musa, ivi, p. 99, vv. 83-84.
266
Corrado Govoni, Il piano, in I crepuscolari. Saggi e composizioni, p. 252, vv. 9-21.
267
Cfr. Edoardo Sanguineti, Il bambino déco, p. 52.
267
Quarto capitolo
Primavera, Primavera,
io sono un fanciul vagabondo
in cerca d’un capo biondo
per offrirgli un bel monile.
Il mio cuore è quello del mondo,
che in questo mattino d’Aprile
dà come singulti di troppa
dolcezza, di troppo gioire;
per ogni sua querula bocca.268
268
Guelfo Civinini, Il poeta fanciullo, in Id., I sentieri e le nuvole, p. 45, vv. 48-56.
269
Vallini, La donna del parco, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 55, IV, v. 14.
268
La condizione crepuscolare del fanciullo
270
Cfr. Nino Oxilia, Il commiato, in Id., Poesie, p. 238, vv. 9-12.
271
Marino Moretti, Il mondo e mia sorella, in Id., Poesie scritte col lapis, p. 133, vv. 16-20.
272
Vallini, Un giorno – Gli affetti, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 76.
273
Giulio Gianelli, Bimbo in campagna, in Id., Tutte le poesie, p. 22, vv. 12-14.
269
Quarto capitolo
274
Nino Oxilia, La mia casa non è muta, in Id., Poesie, p. 236-237, vv. 1-9.
275
Guido Gozzano, Ora di grazia, in Id., Tutte le poesie, p. 106, v. 7.
276
Cfr. Vallini, Un giorno – Gli affetti, in Id., Un giorno e altre poesie, p. 76.
270
La condizione crepuscolare del fanciullo
Lo stesso Moretti, ancora più vecchio (sono gli anni Settanta), seppe
serbare questa «gioia fanciulla» e riconoscere, pascolianamente,278 un
fanciullo intimo: L’altro me stesso evoca la «prigione» della vecchiaia
che fa da contraltare alla «sfida» del bambino interiore, considerato per
appunto «l’altro me stesso»: «Perch’io son quel bambino / con la sua
sfida nella mia prigione».279 L’infanzia necessaria sta proprio in questa
persona intima, non più intesa solo come consolatoria o rimedio, ma mo-
tore poietico della propria ricerca interiore che porta alla fissazione di
valori validi per la tutta l’esistenza.280 Questa figura di autenticità, libera
dalle norme esterne, accompagna il poeta fino alle soglie estreme della
vita e interviene nel processo di scrittura in quanto elemento primario
277
Marino Moretti, Il tiglio, in Id., In verso e in prosa, p. 58.
278
Cfr. Geno Pampaloni, Il giuoco della verità in Marino Moretti, in Moretti, In verso e
in prosa, p. XXI.
279
Marino Moretti, L’altro me stesso, ivi, p. 199.
280
Cfr. Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, p. 232.
271
Quarto capitolo
281
Bachelard, La poétique de la rêverie, p. 95. Il filosofo parla di «retrouver notre être
inconnu, somme de tout l’inconnaissable qu’est une âme d’enfant», ivi, p. 99. Per Elio
Gioanola: «Si può dire che la poetica del fanciullino rappresenti, in un linguaggio
sentimentale e ancora provincialmente romantico, l’equivalente della scoperta deca-
dente dell’inconscio, e anche un tentativo per addomesticarne i torbidi e conturbanti
contenuti istintivi», in La poesia del decadentismo (Pascoli e d’Annunzio), Torino, Sei,
1972, p. 22.
282
Erminia Ardissino, Immagini dell’infanzia nella poesia del Novecento, in “Testo”, n.
56 (2008), pp. 31-44, 33.
272
CONCLUSIONE
1
Giuseppe Scaraffia, Infanzia, Palermo, Sellerio, 1987, p. 11.
2
Cfr. Guido Gozzano, Totò Merùmeni, in Id., Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca,
Milano, Mondadori, 1980, pp. 197-199.
3
Cfr. Marino Moretti, Il vizio acerbo, in Gozzano e i crepuscolari, a cura di Cecilia
Ghelli, Milano, Garzanti, 1983, pp. 478-479.
4
Cfr. Marziano Guglielminetti, Introduzione, in Guido Gozzano, Tutte le poesie, p.
XXXVII, e Giorgio Bàrberi Squarotti, Poesia e ideologia borghese, Napoli, Liguori,
1976, pp. 84-102.
273
Conclusione
5
Francis Jammes, Elégie seconde, in Id., Oeuvres, Paris, Mercure de France, vol. II, p.
48, v. 5. Qui in francese «jeune homme» significa ragazzo, adolescente, non fanciullo.
6
Guido Gozzano, I colloqui, in Id., Tutte le poesie, p. 218, v. 33. Ma si legga anche Il
frutteto (vv. 15-16), nelle Poesie sparse, dove scrive «mi rivedo fanciullo, adolescen-
te», con una valenza particolare della virgola che rende ambiguo il nesso tra infanzia
e adolescenza.
7
Cfr. Marie-José Chombart de Lauwe, Un monde autre: l’enfance, Paris, Payot, 1979,
p. 422.
8
Cfr. Gilbert Bosetti, Il divino fanciullo e il poeta (Culto e poetiche dell’infanzia nel
romanzo italiano del XX secolo), Pesaro, Metauro, 2004, p. 15. Autori un tempo cre-
puscolari, come Fausto Maria Martini (La porta del paradiso, Milano, Mondadori,
1931) o Guelfo Civinini (Il libro dei sogni, Milano, Mondadori, 1949), propongono
nella loro narrativa questa figura infantile mediatrice e consolatoria.
9
La formula di «positività dell’infanzia» viene proposta in Egle Becchi – Dominique
Julia, Histoire de l’enfance en Occident, Paris, Seuil, 2004, 2 voll., vol. I, p. 97.
274
Conclusione
delinea nei versi de La bambina che va sotto gli alberi (in Rimanenze).10
La narrativa tra Ottocento e Novecento tendeva a raffigurare fanciulli
vittime del mondo degli adulti, delle strutture socio-economiche e del
declino della società borghese, mentre la lirica faceva prevalere un fan-
ciullo immaginario, per lo meno identificato in un ideale etico ed estetico
del poeta, passando cioè dal fanciullo alcyonio dannunziano al Pirro pa-
scoliano dell’Aquilone e al poeta “imbambolato” crepuscolare. Il Nove-
cento lirico ha creato, su questa base, delle nuove figure più inquiete, so-
litarie, escluse, torbide, che si aggiungono – senza escluderle – a quelle
ideali del dolce ricordo, evidenziando una necessaria complementarietà.
Il fanciullo rivela tradizionalmente schegge del paradiso perduto, ma
diventa quindi progressivamente una fonte destabilizzante per la rivela-
zione di se stessi, perché egli costituisce insieme un simbolo dell’eden
da ritrovare e l’origine psichica complessa – perché rimossa – dell’adul-
to. Così Ungaretti e il suo mito del paese innocente; Saba e il nesso in-
fanzia-trauma come ragion d’essere della poesia; Bertolucci e la ricerca
dell’io fanciullo con l’iniziale A. nel suo poema autobiografico; Pasolini
e il puer aeternus “donzel” di Casarsa; Penna e il nesso fanciullo-desi-
derio, ecc. Sono questi solo alcuni esempi novecenteschi della figura
infantile quale coscienza poietica e condizione iniziale per la formazione
di un punto di vista estetico; una figura letteraria che si è in parte fissata
tra i due secoli nell’opera di d’Annunzio (in prosa narrativa e in versi),
di Pascoli (il poeta e il pedagogo) e dei crepuscolari che hanno assorbito
la loro eredità. Dal romantico fanciullo-guida verso la felicità si è passati
al fanciullo che porta alla ricerca e alla presa di coscienza di se stessi.11
Questo fanciullo di carta, non sempre corrispondente a una realtà socia-
le o demografica, rivela una moderna concezione dell’io letterario che
decifra il presente tramite il sondaggio del proprio essere primordiale.
10
Con Sbarbaro si ha un esempio della fine dell’infanzia considerata come un rifugio e
del fanciullo angelo: cfr. Donato Valli, Vita e morte del “frammento” in Italia, Lecce,
Milella, 1980, pp. 132-133.
11
Afferma molto giustamente Maurice Maeterlinck ne Le Temple enseveli (1902): «En
nous se trouve un être qui est notre moi véritable, notre premier-né, immémorial, illi-
mité, universel, et probablement immortel […] Cet être vit sur un autre plan et dans
un autre monde que notre intelligence», citato in Jean-Nicolas Illouz, Le symbolisme,
Paris, Le Livre de Poche, 2004, p. 143.
275
INDICE DEI NOMI
277
Indice dei nomi
278
Indice dei nomi
279
Indice dei nomi
Freud Sigmund 15, 26, 39, 40, 236, 243, 246-251, 261, 264-
146, 172, 260 266, 270, 273, 274
Fumi Lionello 209 Gramsci Antonio 127
Grimm (fratelli) 36
Garboli Cesare 129, 138, 155, Groos Karl 26
165, 180 Grossi Aldo 118
Garibaldi Giuseppe 137, 138, 243 Guerrini Olindo 83
Gavazzeni Franco 108, 112 Guglielminetti Marziano 273
Gennaro Erminio 72 Guyau Jean-Baptiste 131
Gentile Maria Teresa 47
Gesù Cristo 14, 15, 59, 60, 96, Haeckel Ernst 188
156, 210, 226, 247, 249 Hardy Thomas 23
Ghelli Cecilia 126, 197, 273 Hawthorne Nathaniel 28
Gianelli Giulio 128, 197, 200, Hérelle Georges 57
216, 228, 230-234, 239, 259, Hoffmann Ernst Theodor Amadeus
260, 269 28
Giannangeli Ottaviano 53 Hölderlin Friedrich 22
Giannone Pietro 16 Hugo Victor 34, 83, 140, 143, 145,
Gibellini Pietro 108, 110-113 164
Gioanola Elio 210, 272
Gioberti Vincenzo 123 Illouz Jean-Nicolas 275
Giudici Giovanni 266 Invernizio Carolina 34
Goethe Johann Wolfgang von 22, 30 Iser Wolfgang 191
Golding William 16
Goldoni Carlo 16 Jacomuzzi Angelo 52
Goncourt (fratelli) 62 Jacomuzzi Stefano 197, 204, 217
Gori Gianfranco Miro 138 James Henry 39-41
Gouchan Yannick 189 Jammes Francis 198, 201, 211,
Govoni Corrado 128, 136, 170, 214, 236, 274
197, 200, 208, 209, 216, 218- Jankélévitch Vladimir 195, 250
224, 226, 228-230, 236, 238, Jean Paul (pseud. di Johann Paul
243, 245, 253, 265, 267, 268 Friedrich Richter) 22, 23
Gozzano Guido 135, 144, 180, Jerrold Blanchard 31
196, 197, 200-202, 204, 205, Julia Dominique 17, 36, 128, 274
210, 214-216, 222, 227, 234- Jung Carl Gustav 111
280
Indice dei nomi
281
Indice dei nomi
210, 216, 225, 228, 235, 239, 216, 222-225, 242, 245, 260
242, 244, 245, 250-255, 258- Palli Baroni Gabriella 216
260, 262, 263, 269, 271, 273 Pampaloni Geno 258, 271
Moretti Vito 66 Paolo (santo) 15
Morosi Mario 231, 232 Papini Maria Carla 30
Morosi Ugo 231, 232 Pappalardo Ferdinando 135, 196,
Munch Edvard 217 239
Musil Robert 30 Paratore Ettore 53, 86, 87
Mutterle Anco Marzio 58 Parravicini Luigi Alessandro 36
Pascoli Vincenzi Allocatelli Cate-
Nardi Isabella 48 rina 162
Nassi Francesca 153 Pascoli Giacomo 163, 164
Nava Giuseppe 141, 148, 185 Pascoli Giovanni 7, 9, 47, 49, 50,
Neri Ildefonso 191 94, 100, 112, 125-193, 197,
Nerval Gérard de 18, 29 200, 204, 208, 217, 221, 228,
Nietzsche Friedrich 91, 264 231, 234, 245, 253, 255, 256,
Nievo Ippolito 29 257, 274, 275
Noferi Adelia 100, 101 Pascoli Ida 150, 158, 161, 172
Nogara Benito 94 Pascoli Luigi 163
Nonno di Panopoli 13 Pascoli Maria 172, 184, 189, 190,
Novalis (pseud. di Friedrich Leo- 193
pold von Hardenberg) 22, 30 Pascoli Ruggero (padre di Giovan-
ni Pascoli) 162
Olga (cugina di Giovanni Pascoli) Pascoli Ruggero (nipote di Gio-
147 vanni Pascoli) 147
Oliva Gianni 50 Pasolini Pier Paolo 275
Omero 12, 112, 133, 166, 188 Pasquali Giorgio 111
Orlando Francesco 18, 19 Pater Walter Horatio 155
Oxilia Nino 197, 201, 206, 211, Pazzaglia Mario 177
213, 214, 216, 219, 239, 240, Peel Robert 33
250, 257, 258, 268-270 Pellizza da Volpedo Giuseppe
153, 222, 223
Pagliano Graziella 34 Penna Sandro 234, 275
Palazzeschi Aldo (pseud. di Aldo Pérez Bernard 26
Giurlani) 197, 202, 207, 208, Perrault Charles 36
282
Indice dei nomi
Perugi Maurizio 125, 129, 135, 98, 102, 103, 108, 111, 114,
136, 156 119, 123
Pestalozzi Johann Heinrich 26 Rossi Paolo 9
Petrarca Francesco 16 Rossini Gioacchino 134, 179
Petrocchi Giorgio 70 Rousseau Jean-Jacques 17-21,
Piaget Jean 8, 130, 136 28, 29, 156
Pietro (santo) 210 Ruberti Guido 228, 256
Pinnelli Antonella 139 Ruskin John 138
Pirandello Luigi 82 Russi Valentina 177
Platone 16 Russo Carlo Ferdinando 111
Pocar Ervino 82
Praz Mario 65 Saba Umberto 43, 182, 204, 275
Preyer William Thierry 26 Salgari Emilio 36
Pseudo Matteo 14 Salibra Elena 132
Pulcini Elena 20 Salinari Carlo 90, 91, 159, 193
Pupino Angelo Raffaele 236, 242 Sand George (pseud. di Amantine
Aurore Lucile Dupin) 18
Rabelais François 16 Sanguineti Edoardo 9, 135, 158,
Racine Luc 132 193, 199, 202, 204, 223, 243,
Raimondi Ezio 59, 66 262, 267
Rapagnetta Maria 66 Sanjust Maria Giovanna 91
Rapagnetta Vincenzo 66 Savoca Giuseppe 240
Renoir Pierre-Auguste 31 Sbarbaro Camillo 144, 274, 275
Rho Anita 42 Scaraffia Giuseppe 21, 24, 273
Ricci Giustino 83 Scarfoglio Edoardo 104
Richter Dieter 14, 18, 25, 132, Schiller Friedrich 21, 22
185, 241 Scotti Walter 22
Rilke Rainer Maria 29, 143, 236, Senofonte 16
237 Sensini Francesca 150
Rocca Andrea 135, 196, 273 Simone Simonetta 199
Rodenbach Georges 200, 214, Socrate 148, 149
217, 245 Sofocle 119
Romanov Aleksej Nikolaevič (za- Sofronisco 148
revič di Russia) 221 Solmi Sergio 93, 94, 216
Roncoroni Federico 17, 93, 94, Sommaruga (editore) 50, 85
283
Indice dei nomi
284
CISAM
Saggi
285
1. Poeti pittori e pittori poeti
Poesia e arte tra ºtto e Novecento, a cura di Fabio Scotto e Marco Sirtori
Fabio Scotto, Introduzione - Ugo Persi, Maksimilian Vološin poeta e pitto-
re nell’epoca del Simbolismo russo - Gabriele Morelli, I disegni di Federico
García Lorca: idee estetiche e corrispondenza epistolare - Antonio Jiménez
Millán, Los poemas de Pablo Picasso - Fabio Scotto, Yves Bonnefoy critico
d’arte: da Giacometti a Goya - Hervé Carn, Méditation d’un auteur rattrapé
par l’image - Luca Bani, Carlo Michelstaedter poeta e pittore - Marco Sirtori,
L’album e il quaderno. Emilio Praga pittore poeta - Indice dei nomi
2014 pp. 212 ill.
286