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G.W.F.

Hegel
Enciclopedia delle scienze filosofiche
trad. it. di Benedetto Croce
voll. 2. Bari, Laterza, 1967

PREFAZIONE DEL TRADUTTORE

Nel 1816 Hegel, che era al ginnasio di Norimberga, fu chiamato a succe-


dere al Fries nella cattedra di filosofia dell’università di Heidelberg:
un’università, che dal tempo della sua fondazione, - come a Hegel scri-
veva il rettore teologo Karl Daub, - ossia da oltre quattro secoli, non
aveva ancora avuto un filosofo per davvero; vi era stato invitato una
volta Spinoza, ma non aveva accettato.
Nel primo suo corso di Heidelberg (inverno 1816-1817) Hegel lesse
per l’appunto sull’«Enciclopedia delle scienze filosofiche». E come già
per gli alunni del ginnasio di Norimberga aveva composto (1808-1811) la
Propedeutica filosofica, rimasta peraltro in quaderni manoscritti; così,
per i nuovi scolari, compose l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio, che volle mettere subito a stampa e pubblicò in Heidelberg
nel 1817.
Questa Enciclopedia, - talvolta chiamata enfaticamente la «Bibbia
dell’hegelismo», - viene considerata come l’unica esposizione completa
che si abbia del sistema di Hegel.
Infatti, Hegel aveva intrapreso l’esposizione del suo sistema con
la Fenomenologia dello spirito (1807): la quale nella prima edizione
portava in fronte il titolo generale: Prima parte del Sistema della
scienza, ed era disegnata, secondo l’intenzione dell’autore, come una
introduzione che ritraesse il processo onde lo spirito della coscienza
sensibile si eleva al punto di vista dello spirito assoluto e si mette
in grado di costruire il sistema propriamente detto. Questo sistema fu
poi cominciato a svolgere con la Scienza della logica (1812-1816); ma
prese così ampie proporzioni, che Hegel non continuò per allora in quel
disegno e, riesponendo insieme in forma più breve la stessa logica, det-
te tutto il sistema in questa Enciclopedia. La quale, com’egli stesso
dichiarò poi, era nient’altro che la «seconda parte» della Fenomenolo-
gia. Nelle proporzioni della Logica Hegel non svolse se non una sezione
sola della Filosofia dello spirito, la Filosofia del diritto, pubblicata
nel 1821.
Napoli, 25 giugno 1906.

BENEDETTO CROCE
(pp. V-VI)

PARTE PRIMA. LA SCIENZA DELLA LOGICA

§ 20. Se noi prendiamo il pensiero nel suo aspetto più prossimo, esso
appare α) anzitutto nel suo ordinario significato soggettivo, come una
delle attività o facoltà spirituali accanto ad altre, alla sensibilità,
all’intuizione, alla fantasia, ecc., all’appetizione, al volere, ecc. Il
prodotto di questa attività, il carattere o forma del pensiero, è
l’universale, l’astratto in genere. Il pensiero come attività è perciò
l’universale attivo, e propriamente quello che fa sé stesso, giacché il
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fatto, il prodotto, è appunto l’universale. Il pensiero, rappresentato
come soggetto, è il pensante; e la semplice espressione del soggetto e-
sistente come pensiero è l’Io.
(pp. 28-29)

§ 21. β) Preso il pensiero come attivo in relazione ad oggetti, - come


riflessione su qualche cosa, - l’universale, che è il prodotto della sua
attività, contiene il valore della cosa, l’essenziale, l’intero, il ve-
ro.
(p. 32)

§ 22. γ) Per mezzo della riflessione, qualcosa viene cangiato nel modo
in cui il contenuto è dapprima nella sensazione, intuizione e rappresen-
tazione; perciò, solo per mezzo di un cangiamento la vera natura
dell’oggetto perviene alla coscienza.
(p. 32)

§ 23. δ) Poiché nella riflessione si ottiene la vera natura, e questo


pensiero è mia attività, così quella vera natura è parimente il prodotto
del mio spirito, - e cioè del mio spirito come soggetto pensante, di me
nella mia semplice universalità, come io che è senz’altro da sé («des
schlechtin bei sich seyenden Ichs»), - ossia della mia libertà.

Si può spesso sentir ripetere l’espressione: pensar da sé, quasi che con
essa si dicesse qualcosa d’importante. Nel fatto, nessuno può pensare, come non
può mangiare o bere, per un altro: quell’espressione è perciò un pleonasmo. –
Nel pensiero è immediatamente la libertà, perché esso è l’attività
dell’universale, e dunque un astratto riferirsi a sé stesso, un esser da sé
privo di determinazioni secondo la soggettività; il quale, secondo il contenu-
to, è insieme solo nella cosa e nei suoi caratteri. Quando perciò si parla di
umiltà o modestia, e di superbia, in relazione col filosofare, se la umiltà e
la modestia consiste nel non attribuire alla nostra soggettività niente di par-
ticolare come sua proprietà e sua opera, bisognerà assolvere la filosofia alme-
no dal peccato di superbia, perché il pensiero, riguardo al contenuto, solo in
tanto è vero, in quanto è profondato nella cosa, e riguardo alla forma, non è
un essere o fare particolare del soggetto, ma è appunto il contenersi della co-
scienza, come io astratto, libero da ogni particolarità di altre proprietà,
stati, ecc., e il suo operare solo quell’universale nel quale essa è identica
con tutti gl’individui. – Quando Aristotele esorta a serbar la dignità di que-
sto contegno (Metaphys., I, 2, 1); cfr. Eth., X, 7; cfr. Gesch. d. Phil., ²,
II, 280 sgg. [W]. Cfr. il Zus. 1 al § 19 della Grande Encicl.), la dignità, di
cui qui si parla e che la coscienza acquista, consiste proprio nell’escludere
ogni particolare sentimento e opinione, e lasciar agire in sé la cosa.
(pp. 32-33)

§ 40. La filosofia critica ha in comune con l’empirismo l’accettazione


dell’esperienza come unico campo delle conoscenze; le quali per altro
non considera come verità, ma soltanto come conoscenze di fenomeni.
Essa piglia le mosse dal distinguere gli elementi che si trovano
nell’analisi dell’esperienza, cioè la materia sensibile e le relazioni
universali.
(p. 45)

§ 41. La filosofia critica sottomette poi ad indagine il valore dei con-


cetti dell’intelletto, che si adoperano nella metafisica, e del resto
anche nelle altre scienze e nell’ordinario modo di concepire. Questa
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critica tuttavia non entra nel contenuto e nella relazione che quelle
determinazioni del pensiero hanno tra loro, ma le considera secondo
l’antitesi di soggettività ed oggettività in generale. L’antitesi, come
qui vien presa, si riferisce (cfr § precedente) alla differenza degli
elementi nella cerchia dell’esperienza. L’oggettività vien detta
l’elemento di universalità e necessità, cioè delle determinazioni stesse
del pensiero – il cosiddetto a priori. Ma la filosofia critica allarga
l’antitesi in modo che nella soggettività rientra la totalità
dell’esperienza, cioè entrambi quegli elementi, e di fronte a questi non
resta altro che la cosa in sé.
(p. 46)

§ 79. La logicità ha, considerata secondo la forma, tre aspetti: α)


l’astratto o intellettuale; β) il dialettico, o negativo-razionale; γ)
lo speculativo, o positivo-razionale.

Questi tre aspetti non fanno già tre parti della logica, ma sono momenti
di ogni atto logico-reale, cioè di ogni concetto o di ogni verità in genere.
Essi possono essere posti tutti insieme sotto il primo momento,
l’intellettuale, e per questo mezzo tenuti separati tra loro; ma così non ven-
gono considerati nella loro verità.
(p. 86)

§ 142. La realtà in atto è l’unità immediata, che si è prodotta,


dell’essenza e dell’esistenza, o dell’interno e dell’esterno. La manife-
stazione del reale è il reale stesso; cosicché esso resta in questa e-
gualmente essenziale; e solo in tanto è essenziale, in quanto è in imme-
diata esistenza esterna.

Abbiamo già incontrato, come forme dell’immediato, l’essere e


l’esistenza: l’essere è, in generale, immediatezza irriflessa e trapasso in al-
tro. L’esistenza è unità immediata dell’essere e della riflessione, perciò fe-
nomeno: viene dalla ragion d’essere e ricade in quella. Il reale è la posizione
dell’unità, la relazione diventa identica con sé stessa: è perciò sottratto al
trapasso, e la sua esteriorità è la sua energia: in essa è riflesso in sé: il
suo essere determinato è solo la manifestazione di sé stesso, e non di un al-
tro.
(p. 132)

PARTE SECONDA. FILOSOFIA DELLA NATURA

§ 247. La natura si è dimostrata come l’idea nella forma dell’essere al-


tro («Anderssein»). Poiché l’idea è per tal modo la negazione di sé
stessa, ossia è esterna a sé, la natura non è esterna solo relativamen-
te, rispetto a quest’idea (e rispetto all’esistenza soggettiva di essa,
lo spirito); ma l’esteriorità costituisce la determinazione, nella quale
essa è come natura.
(p. 205)

§ 258. Il tempo, unità negativa dell’esteriorità, è alcunché di sempli-


cemente astratto e ideale. – Il tempo è l’essere che, mentre è, non è, e
mentre non è, è; il divenire intuìto; il che vuol dire che le differenze
semplicemente momentanee, ossia che si negano immediatamente, sono de-
terminate quali differenze estrinseche, cioè esterne a sé stesse.
(p. 217)

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§ 259. Le dimensioni del tempo, il presente, il futuro e il passato, so-
no il divenire come tale dell’esteriorità, e la risoluzione di quel di-
venire nelle differenze dell’essere, da un lato, che è trapasso in nul-
la, e del nulla, dall’altro, ch’è trapasso in essere. Lo sparire imme-
diato di queste differenze nella individualità è il presente, come ora
[questo istante] («als Jetzt», come l’ora, sostantivo avverbiale). Il
quale ora, essendo, come l’individualità, insieme esclusivo e affatto
continuo negli altri momenti, non è altro che questo trapasso del suo
essere in niente e del niente nel suo essere.

Il presente finito è l’istante, fissato come qualcosa che è, distinto da


ciò ch’è negativo, dai momenti astratti del passato e del futuro, come l’unità
concreta, e quindi come ciò che è affermativo; ma quell’essere dell’istante
presente è anch’esso soltanto l’essere astratto, che dilegua nel nulla.
(pp. 218-219)

§ 260. Lo spazio è in sé stesso la contradizione della esteriorità in-


differente e della continuità indifferenziata, la pura negatività di sé
stesso ed il trapasso, dapprima, nel tempo. Egualmente il tempo, - poi-
ché i suoi momenti tenuti insieme ed opposti si negano l’un l’altro im-
mediatamente, - è il cadere immediato nell’indifferenza, nella esterio-
rità indifferenziata, ossia nello spazio. Così, nello spazio, la deter-
minazione negativa, il punto che esclude gli altri, non è più soltanto
in sé secondo il concetto; ma è posto ed è concreto in sé mediante la
negatività totale, la quale è il tempo. Il punto, diventato così concre-
to, è il luogo.
(p. 221)

§ 261. Il luogo è il porsi dell’identità dello spazio e del tempo; ed è


altresì il porsi della contradizione, che lo spazio e il tempo, ciascuno
preso in sé stesso, costituiscono. Il luogo è l’individualità spaziale e
perciò indifferente, ed è tale soltanto in quanto è l’istante presente
spaziale, cioè tempo; cosicché il luogo è immediatamente indifferente
verso di sé stesso in quanto è come questo o quel luogo determinato, è
esterno a sé, è la negazione di sé ed è un altro luogo. Il trapassare e
riprodursi dello spazio nel tempo e del tempo nello spazio, - sì che il
tempo sia posto spazialmente come luogo, ma questa spazialità indiffe-
rente sia posta anche immediatamente come temporale, - è il movimento. –
Siffatto divenire è tuttavia anche il coincidere in sé della sua contra-
dizione, l’unità che è colà immediatamente identica, di entrambi (dello
spazio e del tempo): la materia.
(pp. 221-222)

§ 350. L’individualità organica esiste come soggettività in quanto la


propria esteriorità della figura si è idealizzata diventando le membra;
e l’organismo nel suo processo verso l’esterno contiene in sé l’unità di
sé stesso. Tale è la natura animale, che, nella realtà ed esteriorità
della individualità immediata, è altresì per contrario il sé stesso, ri-
flesso in sé, dell’individualità: è universalità soggettiva, che è in
sé.
(pp. 319-320)

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§ 360. Il bisogno è qualcosa di determinato; e la sua determinatezza è
un momento del suo concetto universale, quantunque particolarizzato in
modo infinitamente vario. La spinta è l’attività, che nega la mancanza
di siffatta determinatezza, cioè la sua forma, che consiste nell’esser
anzitutto soltanto qualcosa di soggettivo.
(pp. 328-329)

§ 370. Il prodotto è l’identità negativa delle individualità differen-


ziate; come genere divenuto, è vita priva di sesso. Ma, dal lato natura-
le, questo genere è soltanto un in sé, diverso dai singoli, la cui dif-
ferenza è perita in esso; ed è esso stesso immediatamente un singolo, il
quale ha la determinazione dello svolgersi divenendo l’individualità na-
turale medesima, l’eguale differenza e transitorietà. Questo processo
della propagazione riesce alla mala infinità del progresso. Il genere si
mantiene solo mediante la rovina degli individui; i quali nel processo
dell’accoppiamento adempiono alla loro destinazione, e, in quanto non ne
hanno altra più elevata, vanno così incontro alla morte.
(p. 338)

PARTE TERZA. FILOSOFIA DELLO SPIRITO

§ 385. Lo svolgimento dello spirito importa, che esso:


I. è nella forma della relazione con sé stesso: dentro di esso la
totalità ideale dell’Idea diviene a lui, vale a dire ciò che è
suo concetto, diventa per lui, e il suo essere sta appunto
nell’essere in possesso di sé, cioè nell’esser libero. Tale è
lo spirito soggettivo;
II. è nella forma della realtà, come di un mondo da produrre e
prodotto da esso, nel quale la libertà sta come necessità esi-
stente. Tale è lo spirito oggettivo;
III. è nell’unità dell’oggettività dello spirito e della sua iden-
tità o del suo concetto: unità, che è in sé e per sé, ed eter-
namente si produce: lo spirito nella sua verità assoluta. Tale
è lo spirito assoluto.
(pp. 351-352)

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