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STORICI
RIVISTA TRIMESTRALE
DELL’ISTITUTO GRAMSCI
3
LUGLIO-SETTEMBRE 2013 ANNO 54
Carocci editore
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Finito di stampare nel novembre 2013 dalla Litografia Varo, San Giuliano Terme (Pisa)
Opinioni e dibattiti
Ricerche
derni del carcere. A tale scopo, mi concentrerò sulla specifica situazione nella
quale il moderno Principe fa la sua comparsa, al principio del 1932. Come
si vedrà, tale comparsa segna una netta discontinuità rispetto alla ricerca pre-
cedente e avvia una fase nuova, che sorge non solo sulla spinta dell’intima
dinamica dei concetti, ma, in modo indissolubilmente intrecciato, per il de-
terminarsi di una precisa congiuntura politico-culturale, che si tratterà qui di
ricostruire.
L’approccio qui proposto non esclude, beninteso, la possibilità di rintracciare
nella scrittura carceraria di Gramsci i percorsi che conducono per vie interne
a formulare la questione del moderno Principe. Ne è anzi un complemento:
utile a illustrare come la novità, che Gramsci al principio del 1932 introduce
nel proprio lavoro su Machiavelli, sia il luogo in cui precipita un’intera serie
di questioni – il nesso tra egemonia e Stato, religione e politica, democrazia e
dittatura, democrazia e demagogia, razionalità e passionalità – che si affollano
tra il 1929 e il 1932, ma che appunto alle soglie di quest’ultimo anno danno
luogo repentinamente a una struttura di pensiero nuova, che informa di sé il
Quaderno 13 e tutto il primo gruppo degli «speciali»3.
Nell’esposizione procederò nel modo seguente: dopo avere (par. 1) illustrato
la distinzione tra l’idea di riscrivere Il Principe come manuale di dottrina po-
litica, presente fin dal 1930, e la figura del moderno Principe, al contempo
«“immagine” fantastica e artistica» e «libro “vivente”, in cui l’ideologia diventa
“mito”»4, che appare solo nel 1932, procederò (par. 2) a ricostruire quello che
a mio avviso è il punto di riferimento e lo stimolo che Gramsci tiene presente
nel riformulare cosí profondamente l’impianto della propria ricerca: i Prole-
gomeni a Machiavelli di Luigi Russo. Mostrerò quindi (par. 3) che la figura
intellettuale di Russo era per Gramsci un punto di riferimento culturalmente
e politicamente rilevante, perché, tornando a De Sanctis dopo l’esperienza del
crocianesimo, egli aveva attinto nuovamente una dimensione autenticamente
«nazionale popolare» nello studio della cultura e nell’attività di propaganda
culturale mediante le riviste da lui dirette. Ciò aveva agli occhi di Gramsci, nel
quadro dell’Italia fascista, un non trascurabile significato politico.
Dopo aver stabilito che il moderno Principe è una risposta alla proposta po-
litico-culturale rappresentata dal libro di Russo, illustrerò (par. 4) il modo in
cui, dopo la lettura del libro, nella primavera del 1932, Gramsci riorganizzi
tutta la ricerca su Machiavelli, portando a fusione la nozione di giacobinismo e
quella di religione nell’interpretazione del Principe. Esaminerò quindi (par. 5)
la ripresa del «mito» soreliano. L’obbiettivo sarà qui mostrare il nesso che tale
3
Sul primo gruppo dei quaderni speciali cfr. G. Francioni, L’officina gramsciana. Ipotesi
sulla struttura dei «Quaderni del carcere», Napoli, Bibliopolis, 1984, pp. 85-93, e piú in
dettaglio ivi, pp. 93-115.
4
Quaderno 8, § 21: QC, 951.
547 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
5
B. Croce, Capitoli introduttivi di una storia dell’Europa del secolo decimonono. Memoria
letta all’Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli dal socio Bene-
detto Croce, Napoli, [s.n.], 1931. Il libro fa parte del Fondo Gramsci, n. 152. Esso è vistato
dal direttore del penitenziario, Vincenzo Azzariti (tale visto indica il fatto che il volume fu
consegnato al detenuto), in servizio dal novembre 1930 al 18 marzo 1933 (cfr. QC, 2366 e
3045-3046). Il libretto giunse a Turi probabilmente tra la fine del 1931 e l’inizio del 1932
(cfr. la lettera di Gramsci a Tatiana Schucht del 18 aprile 1932, in A. Gramsci, T. Schucht,
Lettere 1926-1935, a cura di A. Natoli e C. Daniele, Torino, Einaudi, 1997, p. 974: «già
apparsi [...] qualche mese fa»). Invece la Storia d’Europa nel secolo decimonono, pubblicata
nel 1932, non fu consegnata a Gramsci, finché fu a Turi (cioè fino al novembre 1933), come
risulta evidente dal fatto che l’esemplare presente nel Fondo Gramsci (19322), n. 173, manca
del visto del direttore, oltre che da varie affermazioni epistolari: cfr. Gramsci, Schucht, Lettere
1926-1935, cit., pp. 993 (a Tatiana, 2 maggio 1932), 999-1000 (a Tatiana, 9 maggio 1932),
1461 (T. Schucht a P. Sraffa, 11 febbraio 1933). Cfr. inoltre la bozza – datata agosto 1932
– di un’istanza a Mussolini per ottenere la consegna del volume, in Quaderno 9, c. 99r.
548 Fabio Frosini
6
Quaderno 8, § 21: QC, 951.
7
QC, 953.
8
Quaderno 4, § 10: QC, 432.
9
Cfr. Paggi, Il problema Machiavelli, cit., pp. 407-414. Meno convincente trovo l’ipotesi,
formulata da Paggi (ivi, pp. 409-410), secondo cui andrebbe parimenti fatta risalire allo
stesso triennio l’origine della lettura del Principe come «manifesto politico» (la «ripresa e la
dilatazione della ipotesi avanzata da Chabod sulla genesi del libro») da Gramsci enunciata
solo all’altezza del § 1 del Quaderno 13 (QC, 1556) e ripresa («“manifesto” di partito») nel
§ 20 dello stesso quaderno (QC, 1599, si tratta in entrambi i casi di varianti instaurative), e
la connessa interpretazione del nuovo principe come «partito che vuole “fondare lo Stato”».
Come mostrerò, questa novità appartiene alla particolare congiuntura teorico-politica del
primo semestre del 1932, e va riferita a Russo, non a Chabod (di cui si può dubitare che
Gramsci conoscesse la lettura: cfr. infra, nota 32).
10
Quaderno 1, § 10: QC, 9.
549 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
11
Cfr. sopratutto Quaderno 4, § 8, intitolato Machiavelli e Marx, in cui il § 4 viene tra-
scritto, e Quaderno 4, § 3: «Un altro aspetto della quistione è l’insegnamento pratico che
il marxismo ha dato agli stessi partiti che lo combattono per principio, cosí come i gesuiti
combattevano Machiavelli pur applicandone i principii» (QC, 422).
12
Cfr. Quaderno 1, § 44: QC, 43, dove Machiavelli è definito «il piú classico maestro di
politica per le classi dirigenti italiane». Analogamente, nella Introduzione al primo corso della
scuola interna di partito (1925) si legge: «Il marxismo, cioè alcune affermazioni staccate dagli
scritti di Marx, hanno servito alla borghesia italiana per dimostrare che per la necessità del
suo sviluppo era necessario fare a meno della democrazia» (A. Gramsci, La costruzione del
Partito comunista. 1924-1926, a cura di E. Fubini, Torino, Einaudi, 1971, p. 54).
13
Cfr. Quaderno 4, § 56: QC, 503-504 e Quaderno 5, § 127: QC, 657-658.
14
Quaderno 4, § 4: QC, 425.
15
Quaderno 4, § 10: QC, 432.
550 Fabio Frosini
allude al fatto che le masse popolari non hanno ancora appreso a collegare
coerentemente mezzi adeguati a fini adeguati, in modo realistico, anche se
ciò urta contro la morale ufficiale. Beninteso, nel 1932 questo elemento non
viene meno. Ciò che cambia, è la nozione di politica in cui esso viene inseri-
to: una politica che non respinge l’etica fuori di sé, ma la ripensa al proprio
interno, la rende immanente alla prassi rivoluzionaria del partito-principe.
Da questa riqualificazione della nozione di politica risulta anche la fisiono-
mia del Quaderno 13. In esso l’immagine del moderno Principe campeggia
(§ 1, che riprende in seconda stesura il già ricordato § 21 del Quaderno 8)
e definisce sia la ricostruzione storica, sia la nozione di una scienza della po-
litica. Quest’ultima inizia, non casualmente, proprio nel febbraio 193217 e si
prolunga anche oltre la conclusione del Quaderno 13, nei Quaderni 14, 15 e
17, fino al 1934-193518.
Fino al gennaio-febbraio 1932 l’idea di riscrivere Il Principe non è solamente
debitrice della nozione crociana di politica come distinto; essa è anche del tutto
sporadica, e non paragonabile alla frequenza con la quale Gramsci porta avanti
l’altro filone della ricerca: su Machiavelli e il suo tempo, all’interno della piú
ampia ricerca sulla storia degli intellettuali italiani, con particolare riguardo
per il blocco economico-corporativo della borghesia rinascimentale, e per la
formazione dello Stato moderno.
Dal gennaio 1932 invece il rapporto si inverte, e il moderno Principe prende
il sopravvento. Di fatto, fino a quel momento i rinvii a un’attualizzazione del
Principe sono solo due, risalenti al maggio-agosto e, rispettivamente, novem-
bre-dicembre 1930. In essi «il protagonista di questo “nuovo principe”»19 è il
partito che, avendo conquistato lo Stato governo, deve conquistare anche lo
Stato società civile. È il partito che, avendo abolito legalmente gli altri partiti,
16
Quaderno 4, § 8: QC, 430.
17
Quaderno 8, § 37, intitolato Il moderno Principe, poi trascritto nel Quaderno 13 (§ 2).
18
Questi testi sarebbero stati probabilmente trascritti, in seguito, nel Quaderno 18 (inti-
tolato, a c. 1r, Niccolò Machiavelli – II), se Gramsci non avesse perduto qualsiasi capacità
di lavorare. Qui infatti vengono trasferiti tre soli testi tratti dal Quaderno 2.
19
Quaderno 4, § 10: QC, 432.
551 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
20
Ibidem.
21
Quaderno 5, § 127: QC, 662.
22
Come ricorda Ezio Riboldi (Vicende socialiste. Trent’anni di storia italiana nei ricordi
di un deputato massimalista, Milano, Edizioni Azione comune, 1964), detenuto a Turi dal
dicembre 1930 al giugno 1931, Gramsci gli disse che stava scrivendo «un saggio dal titolo:
Le funzioni della Corona in Italia e quelle del partito comunista in Russia» (ivi, p. 182).
23
Paggi, Il problema Machiavelli, cit., p. 417.
24
Quaderno 8, § 21: QC, 953.
25
QC, 954.
552 Fabio Frosini
26
Parallelamente a ciò, sarebbe necessario seguire le trasformazioni della stessa nozione di
giacobinismo, che passa dall’identificare una politica realistica e concreta (cfr. Quaderno
1, § 43: QC, 40 e § 44: QC, 43-44, febbraio-marzo 1930) alla designazione di un rapporto
strutturale tra politica e religione come elemento costitutivo dello Stato moderno in quanto
Stato «etico» (Quaderno 6, § 87: QC, 763, marzo-agosto 1931). Ciò non si riflette però
sulla lettura del Principe fino al principio del 1932.
27
Quaderno 8, § 21: QC, 951.
28
Quaderno 4, § 10: QC, 432.
29
Cfr. Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935, cit., p. 867.
553 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
30
Il libro è nel Fondo Gramsci al n. 628.
31
«Il Russo nei Prolegomeni fa del Principe il trattato della dittatura (momento dell’autorità
e dell’individuo) e dei Discorsi quello dell’egemonia o del consenso accanto a quello dell’au-
torità e della forza» (Quaderno 8, § 48: QC, 970). Cfr. L. Russo, Prolegomeni a Machiavelli,
Firenze, F. Le Monnier, 1931, pp. 44-48.
32
Cfr. ivi, p. 44. Oltre a questo libro, Gramsci riceve in carcere anche l’edizione major del
Principe, curata da Russo e contenente anch’essa, come saggio introduttivo, i Prolegomeni.
Di questa edizione scrive a Tatiana, il 9 maggio 1932, che gli è giunta «successivamente» al
«settembre-ottobre 1931» (Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935, cit., p. 999). A essa si fa
esplicito riferimento in un testo del maggio 1932 (Quaderno 8, § 237: QC, 1089-1090).
Questo libro non è conservato nel Fondo Gramsci, e non si può stabilire quando esattamente
Gramsci lo abbia ricevuto (certo non molto prima del 9 maggio 1932). Va inoltre segnalato
che nella lista della lettera del 23 novembre 1931, cit., oltre al saggio di Russo, Gramsci
richiede «Federico Chabod, Dal [sic!] «Principe» di Niccolò Machiavelli, Albrighi-Segati,
Milano», 1926, e «Giuseppe Toffanin, Che cosa è stato l’Umanesimo? [sic!]), Ed. Sansoni,
Firenze», 1929 (Lettere 1926-1935, cit., p. 867). Anche il volume di Toffanin è presente
nel Fondo Gramsci (n. 708, anch’esso vistato da V. Azzariti), mentre quello di Chabod (a
correzione di quanto si legge in Lettere 1926-1935, cit., p. 867n.; e cfr. anche ivi, p. 690n.)
non è nel Fondo Gramsci, né risulta da Gramsci mai ricevuto. Il saggio di Chabod e quello
di Russo vengono ricordati anche in una lista non numerata di sedici volumi, appuntata nel
contropiatto posteriore del Quaderno 2 (rispettivamente ai nn. 9 e 16). La lista è di impossi-
bile datazione (il tempo di compilazione del Quaderno 2 va dal 1929 al 1933), anche perché
nessun altro dei volumi in essa registrati risulta presente nel Fondo Gramsci, tranne il libro
di S. de Madariaga su Ingleses, Franceses, Españoles. Ensayo de psicología colectiva comparada,
alla cui traduzione francese Gramsci accenna nella lettera a Tatiana del 19 ottobre 1931
(cfr. Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935, cit., p. 840), ma che poi si procura nella IV ed.
spagnola, del 1934, ovviamente priva di contrassegni carcerari e in buona parte intonsa).
33
«Il Russo ha accumulato molte parole a questo proposito – nei Prolegomeni» (QC, 990).
Il riferimento esplicito è al cap. I del libretto di Russo, intitolato Savonarola e Machiavelli
(Prolegomeni a Machiavelli, cit., pp. 9-15). Anche il successivo § 86, Machiavelli, con il
riferimento alla crociana coppia Chiesa/Stato, si basa su Russo, il quale conclude il capitolo
I proprio citando il detto di Ranke nella rilettura fattane da Croce (ivi, pp. 14-15).
554 Fabio Frosini
34
QC, 1555.
35
Sui Prolegomeni a Machiavelli cfr.: V.E. Alfieri, [recensione], in «La Critica», XXX,
1932, pp. 43-46; G. Marzot, L’opera critica di L. Russo, in «La Nuova Italia», III, 1932, n.
5, pp. 176-182, p. 180; F. Chabod, Studi di storia del Rinascimento (1950), in Id., Scritti sul
Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967, pp. 145-219, p. 171; D. Cantimori, Il «Machiavelli»,
in «Belfagor», XVI, 1961, pp. 749-757; E. Garin, Luigi Russo nella cultura italiana dalla
prima alla seconda guerra mondiale, ivi, pp. 676-697, pp. 691-692; V. Masiello, Momenti
sintomatici della moderna critica machiavelliana (1964), in Id., Classi e Stato in Machiavel-
li, Bari, Adriatica editrice, 1971, pp. 11-47, pp. 27-33; M. Ciliberto, Filosofia e politica
nel Novecento italiano. Da Labriola a «Società», Bari, De Donato, 1982, pp. 176-188; G.
Calabrò, Machiavelli negli anni Trenta: echi di un dibattito, in Machiavelli nella storiografia
e nel pensiero politico del XX secolo. Atti del convegno di Milano, 16 e 17 maggio 2003, a
cura di L.M. Bassani e C. Vivanti, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 1-27, pp. 7-10; U. Carpi,
Per il «Machiavelli» di Luigi Russo, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie
V, 2012, n. 4/1, pp. 133-156. Sulla lettura gramsciana dei Prolegomeni cfr. A. Gramsci,
Quaderno 13. Noterelle sulla politica di Machiavelli, a cura di C. Donzelli,Torino, Einaudi,
1981, note ad loc.; N. Badaloni, Il Machiavelli di Russo e Gramsci, in Lo storicismo di Luigi
Russo: lezione e sviluppi, Firenze, Vallecchi, 1983, pp. 69-76; G.M. Barbuto, Machiavelli e
i totalitarismi, Napoli, Guida, 2005, pp. 74-90. Su Russo al tempo della pubblicazione dei
Prolegomeni, cfr., oltre al contributo di Garin citato in questa nota: R. Pertici, Benedetto
Croce collaboratore segreto della «Nuova Italia» di Luigi Russo (con «L’estetica marxistica» e
altre schermaglie), in «Belfagor», XXXVI, 1981, pp. 187-206; A. Resta, «La Nuova Italia»
nella Firenze di Alessandro Pavolini (dalle carte di Luigi Russo del 1931), ivi, XXXVIII, 1983,
pp. 309-322; G. Turi, Luigi Russo: il dialogo con gli amici, ivi, XLVIII, 1993, pp. 15-27.
36
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 14. L’ultima frase compare alla lettera anche in
L. Russo, Elogio della polemica. Testimonianze di vita e di cultura. 1918-1932, Bari, Laterza,
1933, p. XXIII. Il volume è una collezione di saggi pubblicati tra il 1918 e il 1932. Cfr.
Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano, cit., p. 179.
37
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 14n.
555 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
sullo Stato e la Chiesa)38, che al momento della raccolta in volume, proprio nel
193139, riceve il titolo Stato e Chiesa in senso ideale e loro perpetua lotta nella
storia.
Russo spostava dunque su Machiavelli una tesi di Croce, sulla quale Gramsci
era andato, tra l’autunno 1930 e la fine del 1931, nei Quaderni 5 e 6, ap-
profonditamente riflettendo, allo scopo di intendere la forza di resistenza del
modello liberale nel contesto della nuova politica italiana ed europea di massa
e totalitaria (ciò che egli sintetizza nella nozione di «guerra di posizione»)40.
In questo modo, il libro di Russo non poteva non apparire a Gramsci come
un intervento nell’attualità politica: un tentativo di ripensare la sistemazione
crociana del contributo di Machiavelli alla filosofia politica, risalente agli Ele-
menti di politica del 192541, alla luce dell’etico-politico, cioè della nuova forma
assunta dallo storicismo di Croce nella duplice lotta – dichiarata apertamente
almeno dalla conferenza oxoniense del settembre 1930 su Antistoricismo – al
fascismo e al comunismo, ma preparata già negli anni precedenti42.
Questo sforzo è nei Prolegomeni chiaramente riconoscibile43. In essi, della no-
zione di politica come distinto viene attribuita a Machiavelli una versione esa-
sperata, che spinge la politica a occupare la vita intera («crederà che la politica
sia tutto»)44 e in questo modo rende necessaria la resurrezione dell’etica in for-
ma opposta, come accade con Savonarola e con il «momento “savonaroliano”»45
del capitolo XXVI del Principe. Il ribaltamento dell’«artista-eroe della politica
38
In «La Critica», XXVI, 1928, pp. 182-186.
39
In B. Croce, Etica e politica (1931), Roma-Bari, Laterza, 1967, pp. 284-289.
40
Su questa congiuntura mi permetto di rinviare ai miei: Fascismo, parlamentarismo e lotta
per il comunismo in Gramsci, in «Critica marxista», n.s., 2011, n. 5, pp. 29-35; I «Quaderni»
tra Mussolini e Croce, ivi, n.s., 2012, n. 4, pp. 60-68.
41
«[...] è risaputo che il Machiavelli scopre la necessità e l’autonomia della politica, della
politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale» (B. Croce, Elementi di
politica [1925], in Id., Etica e politica, cit., p. 205. Si veda anche Id., Filosofia della pratica.
Economica ed etica [1908], Bari, Laterza, 19638, p. 279).
42
La conferenza oxoniense fu subito pubblicata, nel numero del 20 novembre 1930: B.
Croce, Antistoricismo, in «La Critica», XXVIII, 1930, pp. 401-409. Su questa vicenda mi
permetto di rinviare al mio Croce, fascismo, comunismo, in «Il cannocchiale. Rivista di studi
filosofici», XLVIII, 2012, n. 3, pp. 141-162, pp. 145-157.
43
Masiello, Momenti sintomatici della moderna critica machiavelliana, cit., ignora del tutto
questo nesso con l’etico-politico. Per lui quella di Russo è l’«interpretazione “dottrinaria”
della meditazione machiavelliana, che era tipica della critica idealistica» (ivi, p. 29), che
viene esasperata a contatto con «le suggestioni gentiliane delle tesi dell’Ercole» (ivi, p. 30).
Non a caso egli giudica la lettura russiana priva di «tentazioni “militanti”» (ivi, p. 33). Ben
diversa è la valutazione di Garin, Luigi Russo nella cultura italiana dalla prima alla seconda
guerra mondiale, cit., p. 691: «un oltrepassamento non trascurabile delle posizioni crociane,
e un’intuizione acutissima del dramma del Rinascimento e di tutta la storia italiana».
44
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 31.
45
Ivi, p. 32.
556 Fabio Frosini
46
Ivi, p. 20.
47
Ivi, p. 32.
48
Ivi, pp. 28 e 32.
49
Ivi, p. 31. E cfr. ivi, p. 35: «panpoliticismo».
50
Ivi, p. 11.
51
«Del resto, come non vedere nello stesso titolo dei Prolegomeni a Machiavelli una risposta
al Preludio al Machiavelli di Mussolini?» (Cantimori, Il «Machiavelli», cit., p. 753).
52
B. Mussolini, Preludio al «Machiavelli», in «Gerarchia», III, 1924, n. 4, pp. 205-209, ora
in Id., Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1956-1961, vol. XX, pp.
251-254. Si tratta di una lettura non spiritualistica, né totalizzante, tutta appoggiata sulla
riduzione della politica a esercizio della forza. Cfr. X. Tabet, Machiavel et le fascisme italien,
in Langue et écritures de la République et de la guerre. Etudes sur Machiavel, sous la direction
d’A. Fontana, J.-L. Fournel, X. Tabet, J.-C. Zancarini, Genova, Name, 2004, pp. 467-485,
pp. 482-484. Sulla lettura mussoliniana, inquadrata nel piú ampio disegno di appropria-
zione ideologica di Machiavelli da parte del regime, cfr. L. Mitarotondo, Il «Principe» fra
il «Preludio» di Mussolini e le letture del «ventennio», in Machiavelli nella storiografia e nel
pensiero politico del XX secolo, cit., pp. 59-78.
557 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
53
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 31.
54
Cfr. Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano, cit., p. 178: il Machiavelli di
Russo «nasceva e traeva forza anche dal bisogno di risalire, nel momento della crisi radicale
dello Stato liberale e del trionfo fascista, alle origini della scienza politica moderna, di spro-
fondare in esse, per ritrovare quasi in una sorta di intuizione originaria, le ragioni di quella
crisi e di quella degenerazione».
55
Badaloni, Il Machiavelli di Russo e Gramsci, cit., p. 71.
56
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 32.
57
Ibidem.
58
Ivi, pp. 13-14.
59
Cfr. F. Chabod, Del «Principe» di Niccolò Machiavelli (1925), ora in Id., Scritti su Ma-
chiavelli, Torino, Einaudi, 1964, pp. 29-135, p. 100; Id., Niccolò Machiavelli (1934), ivi, pp.
195-240, p. 212; Id., Metodo e stile di Machiavelli (1955), ivi, pp. 369-388, pp. 380-384.
Sulla lettura di Chabod cfr. E. Cutinelli-Rèndina, Rileggendo gli Scritti su Machiavelli di
Federico Chabod, in Nazione, nazionalismi ed Europa nell’opera di Federico Chabod. Atti del
Convegno, Aosta, 5-6 maggio 2000, a cura di M. Herling e P.G. Zunino, Firenze, Olschki,
2002, pp. 1-31. Sull’autonomia della politica ivi, pp. 2-3, 19-20.
558 Fabio Frosini
sua attività»60, Russo rilegge a modo suo l’annoso contrasto tra Machiavelli e
Savonarola e, con esso, la stessa struttura del Principe.
Con un abile gioco prospettico, ciò che all’inizio del libretto era presentato
come un salto repentino, il sintomo di un’aporia, al termine di esso, riletto
dal punto di vista della politica reale, appare alla luce di una piú profonda
unità61. Mediazione tra i due momenti sono proprio le nozioni di «pathos della
tecnica»62, di «poesia della scienza»63, di Machiavelli insomma come «artista-
eroe della politica pura»64: esse consentono infatti di fissare nell’«animus artisti-
co» il luogo in cui «le molte aporie e antinomie»65 del pensiero machiavelliano
trovano composizione66. Artista, poeta, cioè creatore: nella teoria politica vi è
anche azione, ed è qui che trovano unità le componenti della personalità di
Machiavelli. Per questa ragione, nel proemio al primo libro dei Discorsi Russo
ritrova la formulazione della «necessità di una storia militante»67, e delle Istorie
fiorentine afferma che «vanno lette, come tutte le altre sue opere, non come
historia rerum gestarum, ma anch’esse come una res gesta68, o meglio un rem
gerere sistematico, come un’intenzionale collaborazione di uno spirito militante
alla nuova civiltà politica del Rinascimento»69. Ciò vale a fortiori per Il Principe,
due volte definito libro di «politica militante»70.
Qui è il punto di mediazione: questo «sentire le istorie, piú che come rac-
conto di cose compiute, esse stesse come una res gesta»71, spiega sí «il favore
accordato [da Machiavelli] sempre alle decisioni e ai pensieri estremi»72, ma
anche facilita l’inserimento dello schema astratto e «machiavellico» del Principe
(politica «pura») entro la concretezza storica dell’Italia, pensata non in termini
60
Cantimori, Il «Machiavelli», cit., p. 756.
61
Cantimori (ivi, p. 749) nota anche che «in quel libro [...] sembrava quasi congiungersi
l’estro polemico etico-politico, vivacissimo sempre in lui e specie in quegli anni, e un piú
accentuato gusto critico-letterario di tipo storicistico».
62
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 28.
63
Ivi, p. 57.
64
Ivi, p. 20.
65
Ivi, p. 61.
66
In questo concetto ampliato di «arte», che copre tanto la tecnica, quanto la scienza,
quanto infine la creatività drammatica, Russo concilia a modo suo le dicotomie nascenti
dall’idealismo, sfuggendo sia alla tesi della distinzione tra etica e politica, sia alla retorica
della «religione della libertà». Cfr. Badaloni, Il Machiavelli di Russo e Gramsci, cit., pp. 71-72.
67
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 49.
68
Nella successiva edizione del testo, raccolto nel volume Machiavelli, Roma, Tumminelli,
1945, p. 71, l’espressione è corretta in «res gerenda».
69
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 51.
70
Ivi, pp. 22 e 45.
71
Nell’edizione del 1945 (Machiavelli, cit., p. 38) è presente la stessa correzione gesta/
gerenda.
72
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 28.
559 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
statici, ma come gioco politico aperto, viluppo di forze, dove l’assenza di una
(il popolo)73 non impedisce di pensarne la presenza possibile: sul terreno della
storia e della politica e non su quello della teoria e della filosofia.
È questo il punto di vista dell’ultimo capitolo dei Prolegomeni, intitolato L’arte
nel «Principe», e la «Mandragola»74. Come si è detto, qui le aporie del pensiero
machiavelliano vengono dinamizzate politicamente in una nozione amplificata
di «arte». Il Principe
nasce dalla passionale esigenza che in Italia un principe sorga per ridurre a monarchia
questa provincia, per fare equilibrio alle grandi monarchie di Francia e di Spagna,
e all’impero della Magna. Senonché la prima ispirazione passionale avrebbe potuto
dar luogo a un discorso oratorio, e il Machiavelli è antioratorio per eccellenza: da ciò
la necessità di superare la passione contingente, attingendo la sfera di una superiore
obbiettività scientifica. Quella che è l’aspirazione politico-passionale dello scrittore si
lascia perciò precedere da tutta una fredda e obbiettiva dimostrazione scientifica. Non
brusco, improvviso e artificioso adunque questo passaggio dalla trattazione scientifica
a un argomento di passione politica, come vogliono credere alcuni interpreti; perché
in verità cotesto sentimento ultimo è stato presente in tutta l’opera [...]. Però la pero-
razione finale è [...] lentamente preparata75.
Il «pathos della tecnica» viene collocato nel suo contesto concreto, che non è
«la tecnica per la tecnica»76, ma non è neanche soltanto la situazione politica
italiana come sfondo generico; ma è anche e sopratutto l’attitudine dello scrit-
tore del Principe: diretta, schietta, avvalorata da un impasto linguistico «crudo»,
legato «al profondo e istintivo sentimento del politico uomo di popolo», da
una prosa piena di «energia popolare» e da un «piglio popolaresco e parlato», da
un «tono di disputa polemica» che non è «elucubrazione di uno studioso soli-
tario, ma di un uomo che sente di fronte a sé allocutori ed obbiettanti, e tutti
vuole persuadere e ribattere»77. Il pathos della tecnica, cosí incarnato, si rivela
allora come il punto di passaggio dalla fredda analisi all’accorata invocazione,
sotto l’urgente predominio della seconda. Il contrasto tra politica e religione
sfuma cosí, lasciando spazio alla loro unità sub specie «artistica». L’artista non
è qui il superbo creatore, estraneo al volgo, banalizzazione burckhardtiana.
Egli è semmai l’artigiano che vive nel e per il popolo, e ne esprime le esigenze:
73
Cfr. ivi, p. 38.
74
Cfr. ivi, pp. 56-73.
75
Ivi, pp. 60-61. Sulle grandi monarchie europee come decisive per intendere la genesi del
Principe cfr. anche ivi, pp. 36-37. Nell’Avvertenza datata novembre 1943 al proprio Scrittori-
poeti e scrittori-letterati, Bari, Laterza, 1945, pp. 1-6, Russo torna su questo punto: «Una
celebre pagina del Principe di Machiavelli è oratoria, ed efficacissima come oratoria politica
perché misurata e contenuta per i precedenti venticinque capitoli, tutti di vigilata ed eroica
freddezza scientifica, e poi alla fine sfocianti per una loro impetuosa urgenza» (ivi, p. 3).
76
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 22.
77
Ivi, pp. 66-67.
560 Fabio Frosini
78
Nell’edizione del 1945 Russo aggiunge un riferimento esplicito: «Stato-opera d’arte (come
è stato detto, con fraintendimento di una formula del Burckhardt)» (Machiavelli, cit., p. 44).
Sul modo in cui già nel 1931 Russo intende correttamente il significato di «Kunstwerk» nel
libro di Burckhardt si sofferma Carpi, Per il «Machiavelli» di Luigi Russo, cit., pp. 146-148.
79
Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano, cit., p. 185.
80
«Il Machiavelli di Luigi Russo [...] si collocava in una delicata posizione ideologica fra
Gentile e Croce» (Carpi, Per il «Machiavelli» di Luigi Russo, cit., p. 140).
81
Garin, Luigi Russo nella cultura italiana dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit., p.
679. In questo tratto Garin riassume il mai scemato «idealismo» di Russo.
82
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 42.
83
Ivi, pp. 42-43.
561 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
84
Ivi, pp. 43-44.
85
Il Machiavelli di Russo è, come quello di Gramsci, rivolto a futuro, nel senso che la sua
«teoria» – grazie al sentimento artistico – diventa (e sia pure in modo non del tutto risolto)
un elemento combattivo entro la situazione. Profondamente diverso, se non addirittura
«al polo diametralmente opposto» (come giudica Masiello, Momenti sintomatici della mo-
derna critica machiavelliana, cit., p. 33) è il Machiavelli di Federico Chabod: tutto rivolto
al passato tre-quattrocentesco (cfr. Chabod, Del «Principe» di Niccolò Machiavelli, cit., pp.
82-90), in lui l’«immaginazione politica», in quanto «“organo” [...] della storicizzazione»,
domina l’analisi e risolve i limiti del presente in un sogno, «nobile quanto si voglia, ma pur
sempre sogno» (Cutinelli-Rèndina, Rileggendo gli Scritti su Machiavelli di Federico Chabod,
cit., pp. 10 e 15; e sull’estraneità della prospettiva del Principe allo Stato moderno cfr. ivi,
pp. 22-23). Lo stesso dicasi per il nesso tra il capitolo conclusivo e il resto del Principe, che
Chabod determina, in modo profondamente diverso da Russo, come un ribaltamento
dell’analisi nella «passionalità del sentimento e dell’immaginazione», ribaltamento che svela
la prima come «niente di piú che uno scheletro intellettualistico» (Chabod, Del «Principe»
di Niccolò Machiavelli, cit., pp. 85-86). Su ciò cfr. Cutinelli-Rèndina, Rileggendo gli Scritti
su Machiavelli di Federico Chabod, cit., pp. 12-15. Cantimori (Il «Machiavelli», cit., p. 753)
riconduce al diverso atteggiamento etico-politico le differenze tra la lettura di Chabod e
quella di Russo, nonostante i punti di contatto superficiali.
86
Sulla necessità di meglio indagare il rapporto Russo-Gramsci e Gramsci-Russo richia-
mava l’attenzione nel 1961 Eugenio Garin (Luigi Russo nella cultura italiana dalla prima
alla seconda guerra mondiale, cit., p. 681n.).
87
Lettera a Tatiana Schucht del 23 marzo 1931 (Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935, cit.,
p. 681). Prima dell’arresto, Gramsci possedeva la collezione completa della rivista (nell’ed. cit.
della lettera del 23 marzo 1931 si legge, ibidem: «Io avevo a Roma tutti i numeri della rivista
fino all’ottobre 1928», ma il manoscritto, gentilmente controllato da Eleonora Lattanzi della
Fondazione Istituto Gramsci di Roma, che ringrazio, recita «1926»; la trascrizione errata,
presente nell’edizione Caprioglio-Fubini delle Lettere, è migrata in tutte quelle successive,
compresa la Natoli-Daniele). Gramsci riuscí poi, grazie a Tatiana, a ricostituire in carcere
la collezione del «Leonardo». Cfr. A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di A.A. Santucci,
Palermo, Sellerio, 1996, p. 188; e Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935, cit., p. 687 (a
562 Fabio Frosini
Nuova Italia», brevemente diretta dal critico di Delia nel 1930-1931, viene
da Gramsci seguita con assiduità. Qui, nel numero di ottobre 1930, egli trova
una nota, anonima88, ma da lui (giustamente) attribuita a Benedetto Croce89,
su Il Congresso di Oxford, che discute nei Quaderni, assegnandole il valore di
uno spartiacque politico nella posizione del filosofo90.
Subito sotto quella noterella, Gramsci ne legge un’altra, siglata Luigi Russo e
intitolata Parere su De Sanctis91, da lui ricordata simpateticamente in un ap-
punto del dicembre 1930:
I nipotini di padre Bresciani. Cardarelli e la «Ronda». Nota di Luigi Russo su Cardarelli
nella «Nuova Italia» dell’ottobre 1930. Il Russo appunto trova nel Cardarelli il tipo
(moderno-fossile) di ciò che fu l’abate Vito Fornari a Napoli in confronto del De
Sanctis. Dizionario della Crusca. Controriforma, Accademia, reazione, ecc.92
Tatiana, 7 aprile 1931) e 704 (alla stessa, 4 maggio 1931). Sul «Leonardo» Gramsci torna
anche varie volte nei Quaderni, nella rubrica Riviste tipo: cfr. QC, 26, 310 (dove è accostata
a «L’Ordine Nuovo»), 338. Per l’indirizzo impresso da Russo al «Leonardo» (non generica-
mente informativo, ma rivolto «a un lettore che sappiamo nostro o che facciamo nostro»),
cfr. l’editoriale che ne inaugurò la direzione, nel dicembre, 1925, ora in Russo, Elogio della
polemica, cit., pp. 123-137 (il passo cit. è a p. 125). Un’ampia analisi del rapporto di Russo
con Gentile al tempo della direzione del «Leonardo», e della fisionomia politico-culturale
della rivista, è in G. Turi, Luigi Russo, la fortuna di Gentile e il fascismo, in «Belfagor», XLVII,
1992, pp. 1-29, pp. 11 sgg.
88
Cosí ritiene Gramsci, dato che non è seguita da firma. La sigla «Luigi Russo» è «apposta
alla seconda e successiva Parere su De Sanctis» (Pertici, Benedetto Croce collaboratore segreto
della «Nuova Italia» di Luigi Russo, cit., p. 191n.) e può essere considerata valida anche
per la nota precedente. Il testo si trova in «La Nuova Italia», I, 1930, n. 10, pp. 431-432.
89
«[...] forse dello stesso Croce o per lo meno di un suo discepolo» (lettera del 1° dicembre
1930, in Gramsci-Schucht, Lettere 1926-1935, cit., p. 615).
90
Cfr. Quaderno 7, § 1: QC, 851-852. Cfr. Pertici, op. cit., p. 195 (avvio della «lotta su
due fronti» da parte di Croce, e sorgere dell’«esigenza di pensare “al poi”»).
91
«La Nuova Italia», I, 1930, n. 10, pp. 432-433.
92
Quaderno 5, § 154: QC, 679.
563 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
Accademia della Crusca e Concilio di Trento vanno sempre insieme. Abbia pazienza
il Cardarelli per questa nostra massima alla maniera desanctisiana93.
93
Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 432, su cui cfr. S.C. Landucci, Attorno alle
interpretazioni desanctisiane di Luigi Russo, in «Belfagor», XVI, 1961, pp. 794-805, p. 802.
Cardarelli era anche l’autore di una precedente stroncatura globale di De Sanctis e in par-
ticolare della Storia della letteratura italiana: Del De Sanctis e della nostra lingua, pubblicata
ne «La Ronda» nel febbraio 1922 e ora ristampata in La Ronda 1919-1923. Antologia a
cura di G. Cassieri, Torino, Eri, 1969, pp. 531-535. Cfr. M. Paladini Musitelli, Introduzione
a Il punto su De Sanctis, a cura di Ead., Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 1-77, pp. 22-23.
94
Russo, Elogio della polemica, cit., pp. 79-95. Il testo era apparso originariamente nella
miscellanea Benedetto Croce, Napoli, Libreria della Diana, 1920. Di tale scritto, costante-
mente ripubblicato da Russo, è stato detto che «è come un filo che lega, sottilmente, un
lavoro di piú di quarant’anni e ne indica il ritmo segreto» (Garin, Luigi Russo nella cultura
italiana dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit., p. 688).
95
Quaderno 4, § 5: QC, 426. Per una documentazione di questa tesi (ma con diversa valu-
tazione), cfr. A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, diretta da R. Romano e C. Vivanti,
vol. IV, t. 2, Torino, Einaudi, 1975, pp. 860-863. In generale cfr. M. Paladini Musitelli,
De Sanctis, Francesco, in Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di G. Liguori e P. Voza,
Roma, Carocci, 2009, pp. 205-208.
96
Quaderno 4, § 5: QC, 426. Si noti che il § 78 del Quaderno 4, che apre (c. 1r) la sezione
su Il canto decimo dell’Inferno, scritto nello stesso maggio1930, prende avvio precisamente
dalla discussione tra Croce e Russo su struttura e poesia nella Commedia. Cfr. QC, 516-517
(e, per i testi a cui Gramsci si riferisce, cfr. Apparato critico in QC, 2661).
97
In un testo della seconda metà del 1934 (una variante instaurativa), «La Ronda» viene
definita «una manifestazione di gesuitismo artistico» (Quaderno 23, § 33: QC, 2228; il testo
564 Fabio Frosini
Erano temi, questi, sui quali Russo era andato battendo polemicamente per
anni sul «Leonardo» e poi sulla «Nuova Italia»107, e che aveva svolto in chiave
costruttiva ‒ come ricerca di un romanticismo nazionale in quanto «instau-
razione di una nuova concezione, positiva, etica e democratica, della vita e
dell’arte» ‒ nel volumetto su I narratori108, e ora nei Prolegomeni.
Quando ai primi del 1932 legge questo libro, Gramsci ha dunque ben presente
l’attività di Russo come polemista liberale, ma sopratutto come un crociano
che, guardando a De Sanctis, aveva finito per ritrovare l’importanza di una
questione, da Benedetto Croce toccata e immediatamente rifiutata109: l’unità
di teoria e pratica come un fatto storico e dunque politico, non speculativo
(emancipandosi cosí anche da Gentile); come un fatto che rimaneva incom-
prensibile, se sequestrato dalla rilevanza nazionale dell’attività degli scrittori110.
Di fatto, la capacità, da Russo dimostrata, non solamente di riallacciarsi me-
todologicamente a De Sanctis, ma di proseguirne il lavoro critico nel nuovo
contesto, viene da Gramsci seguita criticamente e valorizzata come un sintomo
preciso del fatto, che il crocianesimo è giunto a un «punto di arrivo», come
si legge in un testo del giugno 1932 (dopo la lettura dei Prolegomeni), in cui è
anche contenuta una forte valorizzazione dell’opera del critico siciliano: «La
preoccupazione nazionale-popolare nell’impostazione del problema critico-
estetico appare in Luigi Russo (del quale è da vedere il volumetto su i Narra-
tori) come risultato di un ritorno all’esperienza del De Sanctis dopo il punto
di arrivo del crocianesimo»111. E in un altro testo, appena posteriore (giugno-
106
Ivi, p. 7.
107
«Ma è un pensiero che torna costante, negli stessi termini» (Garin, Luigi Russo nella
cultura italiana dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit., p. 684n.).
108
Russo, I narratori, cit., p. 9.
109
Su questa dinamica, in relazione a Gramsci, cfr. V. Gerratana, De Sanctis-Croce o De
Sanctis-Gramsci?, in «Società», VIII, 1952, pp. 497-512. In generale, per il contesto italiano
del momento, cfr. Paladini Musitelli, Introduzione a Il punto su De Sanctis, cit., pp. 23-25.
Su Russo interprete di De Sanctis cfr. Landucci, Attorno alle interpretazioni desanctisiane
di Luigi Russo, cit.
110
Va notato che nella propria ricerca sugli intellettuali italiani, Gramsci adotta lo stesso
criterio, di derivazione desanctisiano-russiana. Cfr. Quaderno 3, § 119: QC, 386: «La forza
espansiva, l’influsso storico di una nazione non può essere misurato dall’intervento indivi-
duale di singoli, ma dal fatto che questi singoli esprimono consapevolmente e organicamente
un blocco sociale nazionale».
111
Quaderno 9, § 42: QC, 1121-1122. Qui (QC, 1122) Gramsci riprende le tesi di Mar-
zot, L’opera critica di L. Russo, cit., p. 179: «Il Russo invece, ben radicato nell’insegnamento
crociano, lo ripercorse nelle sue origini; e si ritrovò in De Sanctis, il quale, per senso di
concretezza, aveva rifuso gli scrittori nella storia e dimostrati piú nei loro elementi morali e
civili che in quelli meramente artistici». E cfr. ivi, p. 177 («un’arte antiletteraria e fortemente
566 Fabio Frosini
agosto dello stesso anno), Gramsci giudica «l’atteggiamento del Croce» rispetto
alla posizione di De Sanctis su «scienza e vita», per come essa viene tratteggiata
nel libro di Russo112, «un arretramento, senza che l’atteggiamento del Gentile,
che tuttavia piú del Croce si è impegnato nell’azione pratica, possa giudicarsi
una continuazione dell’attività desanctisiana per altre ragioni»113.
Sono conclusioni tratte alcuni mesi dopo la lettura dei Prolegomeni, che sono
però già implicite fin dall’anno precedente, quando va maturando un’insod-
disfazione profonda per le posizioni di Croce, da Gramsci poi riassunte, dopo
la lettura di Antistoricismo, nell’immagine del «nuovo Erasmo»114. Invece, «per
Luigi Russo, il Rinascimento come età del letterato puro, dello scienziato puro,
del politico puro, stava per finire, perché si veniva affermando l’unità storicisti-
ca fra cultura e vita morale»115. Russo appariva pertanto agli occhi di Gramsci
come un momento ulteriore rispetto al crocianesimo, e al contempo come a
quella cultura del tutto interno. La sua sensibilità per il nazionale popolare lo
rendeva capace di intendere la necessità del «“contatto” sentimentale e ideolo-
gico» con le «grandi moltitudini nazionali» come funzione, precisamente, della
loro «direzione consapevole»116.
realistica e popolare») e p. 181 (Russo è andato «democratizzando l’estetica dei crociani con
una partecipazione non solo metaforica ma effettuale della vita»). Del volume russiano I
narratori (Roma, Fondazione Leonardo per la cultura italiana, 1923) Marzot riferisce ivi,
pp. 177-178. Va notato che nell’Avvertenza 1943 al proprio Scrittori-poeti e scrittori-letterati,
cit., in cui raccoglie il saggio del 1920 su Di Giacomo e del 1925 su Abba, Russo si esprime
negli stessi termini: nel saggio su Di Giacomo «esasperai fino allo spasimo una maniera
di critica, che allora si chiamava critica estetica. Da quell’anno 1921, condotta all’estremo
limite la possibilità di tale maniera, me ne ritrassi come stanco e disgustato, e mi volsi quindi
a un’attività piú integralmente storica: lessi o rilessi molti narratori moderni, e schizzai alla
brava quei 106 rapidi profili raccolti nel volumetto I narratori» (ivi, p. 5). Sull’approccio
«etico-politico-letterario [...] integralmente storico» di Russo cfr. Garin, Luigi Russo nella
cultura italiana dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit., pp. 688-691.
112
Il riferimento è a L. Russo, Francesco de Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885),
Venezia, «La Nuova Italia» editrice, 1928. Il libro non è presente nel Fondo Gramsci, né
risulta che Gramsci lo abbia ricevuto. Egli ne trova riassunte le tesi in Marzot, L’opera critica
di L. Russo, cit., p. 181.
113
Quaderno 10 II, § 38: QC, 1288. Quest’ultima osservazione, relativa al «ritorno a De
Sanctis» propugnato da Gentile, chiarisce la posizione di Gramsci rispetto alla disputa aperta
all’interno del campo idealistico, nel senso che Gentile non è, comunque, un’alternativa
a Croce (cfr. F. Frosini, Il neoidealismo italiano e l’elaborazione della filosofia della praxis,
in Gramsci nel suo tempo, a cura di F. Giasi, Roma, Carocci, 2008, vol. II, pp. 727-746).
Si veda la reazione al gentiliano Torniamo al De Sanctis! (in «Quadrivio», I, 1933, n. 1) in
Quaderno 17, § 38: QC, 1940-1941.
114
Cfr. Quaderno 7, § 1: QC, 852.
115
Cantimori, Il «Machiavelli», cit., p. 751.
116
Quaderno 9, § 42: QC, 1122. Questa frase è riferita da Gramsci alla polemica contro
l’atteggiamento brescianesco degli scrittori italiani, e segue immediatamente l’osservazione
567 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
120
Quaderno 3, § 82: QC, 362.
121
Quaderno 1, § 43: QC, 35-36.
122
Cfr. le osservazioni di Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano, cit., p. 184.
123
Quaderno 6, § 10: QC, 690 (novembre-dicembre 1930).
124
Ibidem.
125
Cfr. Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano, cit., pp. 135-188; R. Medici, La
metafora Machiavelli: Mosca, Pareto, Michels, Gramsci, Modena, Mucchi, 1990, pp. 7-159;
569 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
Barbuto, Machiavelli e i totalitarismi, cit., capp. 1-4 della parte I; Id., Il principe e le masse.
Letture machiavelliane: da Vilfredo Pareto a Gaetano Mosca, in Machiavelli nel XIX e nel XX
secolo, a cura di P. Carta e X. Tabet, Padova, Cedam, 2007, pp. 185-213; R. Ghiringhelli,
Mosca, Pareto e Machiavelli, in Machiavelli nella storiografia e nel pensiero politico del XX
secolo, cit., pp. 29-39, e i saggi di Tabet e Mitarotondo citati supra, nota 52.
570 Fabio Frosini
126
Badaloni, Il Machiavelli di Russo e Gramsci, cit., p. 72.
127
Il «congedo» da Croce avviene infatti proprio negli stessi mesi, tra febbraio e maggio
1932. Ho ricostruito le tappe di questa svolta in Croce, fascismo, comunismo, cit., pp. 157-158.
128
QC, 990.
129
Sull’analisi della religione nei Quaderni rimane imprescindibile C. Luporini, Gramsci
e la religione, in «Critica marxista», XVII, 1979, n. 1, pp. 71-85. Cfr. anche J. Fulton, Re-
ligion and Politics in Gramsci: An Introduction, in «Sociological Analysis», XLVIII, 1987, n.
3, pp. 197-216. Sui concetti toccati qui di seguito cfr.: L.M. Lombardi Satriani, Gramsci e
il folclore: dal pittoresco alla contestazione, in Gramsci e la cultura contemporanea, a cura di P.
Rossi, vol. II, Roma, Editori riuniti, 1970, pp. 329-338; P. Cristofolini, Gramsci e il diritto
naturale, in «Critica marxista», XIV, 1976, n. 3-4, pp. 105-116; A. Sobrero, Folklore e senso
comune in Gramsci, in «Etnologia, antropologia culturale», III, 1976, n. 4, pp. 70-85; F.
Frosini, «Tradurre» l’utopia in politica. Filosofia e religione nei «Quaderni del carcere», in
«Problemi. Periodico quadrimestrale di cultura», 1999, n. 113, pp. 26-45; Id., Gramsci e
la filosofia. Saggio sui Quaderni del carcere, Roma, Carocci, 2003, pp. 168-182; G. Liguori,
Common sense in Gramsci, in Perspectives on Gramsci. Politics, culture and social theory, ed.
by J. Francese, London-New York, Routledge, 2009, pp. 122-133.
130
Cfr. Quaderno 8, §§ 204, 211, 213 (ma già Quaderno 5, § 54: QC, 587).
131
Cfr. Quaderno 8, § 213: QC, 1070-1071; e Quaderno 8, § 156: QC, 1035 (aprile
1932): «semplici e colti». Cfr. M. Green, Semplici, in Dizionario gramsciano 1926-1937,
cit., pp. 757-759.
571 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
sulla filosofia della praxis. È su questo sfondo che va letta l’importante variante
instaurativa presente nel § 1 del Quaderno 13. Dopo l’osservazione – ripresa
dalla prima stesura – che «il Principe del Machiavelli potrebbe essere studiato
come una esemplificazione storica del “mito” sorelliano», Gramsci aggiunge:
Nell’intero volumetto Machiavelli tratta di come deve essere il Principe per condurre
un popolo alla fondazione del nuovo Stato, e la trattazione è condotta con rigore
logico, con distacco scientifico: nella conclusione il Machiavelli stesso si fa popolo, si
confonde col popolo, ma non con un popolo «genericamente» inteso, ma col popolo
che il Machiavelli ha convinto con la sua trattazione precedente, di cui egli diventa e si
sente coscienza ed espressione, si sente medesimezza: pare che tutto il lavoro «logico»
non sia che un’autoriflessione del popolo, un ragionamento interno, che si fa nella co-
scienza popolare e che ha la sua conclusione in un grido appassionato, immediato. La
passione, da ragionamento su se stessa, ridiventa «affetto», febbre, fanatismo d’azione.
Ecco perché l’epilogo del Principe non è qualcosa di estrinseco, di «appiccicato» dall’e-
sterno, di retorico, ma deve essere spiegato come elemento necessario dell’opera, anzi
come quell’elemento che riverbera la sua vera luce su tutta l’opera e ne fa come un
«manifesto politico»132.
132
Quaderno 13, § 1: QC, 1555-1556.
133
Come invece sostiene C. Donzelli, in Gramsci, Quaderno 13. Noterelle sulla politica
di Machiavelli, cit., p. 13 n. 6. Questa lettura del Machiavelli russiano – errata, come
ho mostrato – è del resto enunciata già da Masiello, Momenti sintomatici della moder-
na critica machiavelliana, cit., p. 28: «un Machiavelli esclusivo teorizzatore del momento
politico-economico».
134
Quaderno 7, § 50: QC, 896. L’opposizione tra Tolstoj e Manzoni è presente anche in
Quaderno 3, § 148: QC, 402-403 (settembre-ottobre 1930), intitolato Carattere popolare-
nazionale negativo della letteratura italiana. Gramsci nota che «Tolstoi [...] intende l’evangelo
“democraticamente”, cioè secondo il suo spirito originario e originale. Il Manzoni invece
572 Fabio Frosini
Nel giro di pochi mesi, Gramsci utilizza due volte, e due soltanto in tutti i Qua-
derni e le lettere che scrive dal carcere, questa parola rara135, per indicare rispet-
tivamente, in negativo, ciò che manca nell’atteggiamento della Chiesa cattolica
verso il popolo e, in positivo, ciò che c’è nel modo di porsi di Machiavelli verso
quello stesso popolo. La «medesimezza» è pertanto l’esatto contrario del senti-
mento aristocratico di superiorità presente in Manzoni, sentimento che a sua
volta poggia sulla concezione cattolica del popolo come massa di «semplici»136.
«Medesimezza» designa ciò di cui la religione cattolica post-tridentina137 piú
manca, e che è invece presente nello «spirito evangelico del cristianesimo
primitivo»138 di Tolstoj. In quanto designa una situazione di identificazione
completa, profonda, non estemporanea, tra intellettuali e masse, la «medesi-
mezza» è un punto di debolezza attuale del cattolicesimo e al contempo rinvia
alla possibilità di ricreare quella situazione «democratica» sul terreno politico
e non piú confessionale, sfruttando la potenza mobilitante e suggestiva del
linguaggio religioso.
Naturalmente l’effetto in questione non si può limitare alla suggestione. Per
Gramsci è altrettanto essenziale il contenuto concreto, in termini di rapporti
di potere, che l’identificazione religiosa tra masse e capi rende possibile. In
ha subito la Controriforma, il suo cristianesimo è gesuitismo» (QC, 403). Cfr. anche Qua-
derno 3, § 151.
135
Il termine è registrato come raro già nel Dizionario della lingua italiana nuovamente
compilato dai signori Nicolò Tommaseo e cav. professore Bernardo Bellini..., 4 voll., Torino,
Utet, 1865-1879, vol. III, p. 164; e nel Vocabolario degli accademici della Crusca, In Venezia,
Appresso Giovanni Alberti, 1612, p. 517.
136
Il termine «medesimezza» compare in tutti gli scritti anteriori all’arresto due volte (devo
questa informazione a Maria Luisa Righi, della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, che
ringrazio). Una sola di esse è però di qualche interesse: «Esiste un’armonia prestabilita che
unifica le volontà e gli atti, esiste un accordo spontaneo e miracoloso che germina dalla
medesimezza delle concezioni di fine e di tattica, dall’adesione alla realtà essenziale della
vita proletaria» (La settimana politica [I], in «L’Ordine Nuovo», I, n. 5, 7 giugno 1919,
ora in A. Gramsci, L’Ordine Nuovo. 1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci,
Torino, Einaudi, 1987, pp. 61-62, p. 61). In questo caso, il termine compare nel contesto
del lessico della vita, assai presente in questo Gramsci (per cui cfr. M. Ciliberto, Gramsci e
il linguaggio della vita, in «Critica marxista», XXVII, 1989, n. 3, pp. 679-699; G. Piazza,
Metafore biologiche ed evoluzionistiche nel pensiero di Gramsci, in Antonio Gramsci e il «pro-
gresso intellettuale di massa», a cura di G. Baratta e A. Catone, Milano, Unicopli, 1995, pp.
133-140), senza però il riferimento, presente nei Quaderni, alla dimensione religiosa come
elemento mobilitante di massa.
137
B. Desidera, La lotta delle egemonie. Movimento cattolico e Partito popolare nei «Quaderni»
di Gramsci, Padova, Il poligrafo, 2005, pp. 94-99 ricostruisce le fonti (per un lato Sorel e
Renan, per un altro ad Alfredo Oriani, Piero Gobetti e Guido Dorso) dell’idea – attestata nei
Quaderni – che la Controriforma segni il distacco della Chiesa cattolica dalla «democrazia».
Cfr. Quaderno 1, § 128: QC, 117 e Quaderno 9, § 99: QC, 1162.
138
Quaderno 7, § 50: QC, 896.
573 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
139
Cfr. Quaderno 4, § 4 e § 8 (maggio 1930). Sul modo in cui Gramsci «riatteggia [...]
la tradizionale interpretazione “obliqua” d’ascendenza settecentesca, tuttavia depurandola
[...] del sottile machiavellismo che la informava», cfr. Masiello, Momenti sintomatici della
moderna critica machiavelliana, cit., p. 39.
140
Cfr. Quaderno 1, § 10 (giugno-luglio 1929).
141
Quaderno 14, § 33: QC, 1691.
142
Quaderno 4, § 8: QC, 431.
574 Fabio Frosini
143
Su questo importantissimo tema gramsciano cfr. F. Fernández Buey, Una reflexión sobre
el dicho gramsciano «decir la verdad es revolucionario», in Horizontes gramscianos. Estudios en
torno al pensamiento de Antonio Gramsci, coord. por M. Modonesi, México D.F., Facultad
de Ciencias Políticas y Sociales-Unam, 2013, pp. 43-57.
144
Su questo punto incentra la sua bella ricostruzione Paggi, Il problema Machiavelli, cit.
Cfr. ora anche D. Kanoussi, Notas sobre el Maquiavelismo contemporáneo, Puebla, LunArena
editorial, 2012, pp. 163-176.
145
Cfr. Quaderno 6, § 81: QC, 751-752 (marzo 1931); Quaderno 7, § 102: QC, 928-929
(dicembre 1931); Quaderno 8, § 83: QC, 989-990 (marzo 1932); Quaderno 8, § 101: QC,
1000-1001 (marzo 1932); Quaderno 9, § 103: QC, 1166-1167 (maggio-giugno 1932).
146
Cfr. Quaderno 7, § 35: QC, 883-886, e Quaderno 7, § 38: QC, 887-888 (entrambi
febbraio-novembre 1931).
147
Quaderno 6, § 19: QC, 699-700 (dicembre 1930).
148
Su questa congiuntura mi permetto di rinviare al mio Note sul programma di lavoro
sugli «intellettuali italiani» alla luce della nuova edizione critica, in «Studi storici», LII, 2011,
n. 4, pp. 905-924.
575 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
Non è qui possibile ricostruire in dettaglio tutti gli aspetti di questa ricerca,
consegnata ai Quaderni 6, 7 e 8. Mi limiterò perciò a segnalare i temi principali
e la loro dinamica. Nel marzo 1931 Gramsci equipara quella che chiama «una
democrazia reale» con «una reale volontà collettiva nazionale»149. Democrazia,
se si assume questa parola nel suo significato «reale», non è pertanto una forma
di governo, ma il fatto consistente nella formazione di un movimento politico
di carattere al contempo popolare e nazionale.
Nella storia italiana ha prevalso l’assenza di un tale «fatto»: il cosiddetto «in-
dividualismo» del popolo italiano è la conseguenza della mancata formazio-
ne dei grandi partiti e sindacati moderni, cioè di qualsiasi forma di volontà
collettiva e, dunque, di democrazia. In un testo dell’ottobre-novembre del
1931, interrogandosi sul modo in cui sia possibile superare questa situazione,
Gramsci rifiuta il metodo centralistico, autoritario e amministrativo, perché,
nota, esso verrebbe realizzato con funzionari, che finirebbero per riprodurre la
stessa mentalità individualistica che si tratta di combattere. È questa mentalità
che va anzitutto criticata. Perciò il metodo da adottare è quello «della libertà»:
Metodo della libertà, ma non inteso in senso «liberale»: la nuova costruzione non
può che sorgere dal basso, in quanto tutto uno strato nazionale, il piú basso econo-
micamente e culturalmente, partecipi ad un fatto storico radicale che investa tutta
la vita del popolo e ponga ognuno, brutalmente, dinanzi alle proprie responsabilità
inderogabili150.
Ciò, che rende possibile la democrazia nella sua realtà, è dunque un «acca-
dimento» di grande portata nazionale, che metta in movimento simultane-
amente un’intera massa popolare-nazionale, costringendola a passare dalla
passività all’attività. In questa luce va compreso l’accostamento di egemonia e
democrazia nel Quaderno 8, dove Gramsci annota: «Tra i tanti significati di
democrazia, quello piú realistico e concreto mi pare si possa trarre in connes-
sione col concetto di egemonia»151. Infatti il sistema egemonico, per esistere,
presuppone l’attivazione politica delle masse: la mobilitazione popolare (anche
quando essa accade in forme subalterne e autoritarie) è la dimensione essenziale
del suo funzionamento152.
149
Quaderno 6, § 79: QC, 750-751.
150
Quaderno 6, § 162: QC, 816.
151
Quaderno 8, § 191: QC, 1056, corsivo mio (dicembre 1931).
152
In questo senso vanno letti i riferimenti al significato filosofico dell’elaborazione dell’e-
gemonia realizzata da Lenin, in Quaderno 4, § 38: QC, 464-465, e in Quaderno 7, § 35:
QC, 886. Mi sono soffermato estesamente su questo punto in Gramsci e la filosofia. Saggio
sui Quaderni del carcere, cit., pp. 95-98; e in La religione dell’uomo moderno. Politica e verità
nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, Roma, Carocci, 2010, pp. 90-92, a cui rinvio.
576 Fabio Frosini
Si è detto che la simultaneità dell’entrata nella vita politica delle masse po-
polari153 è legata a grandi accadimenti che segnano un mutamento radicale
della vita nazionale. In un testo del maggio-giugno 1932, intitolato Momenti
di vita intensamente collettiva e unitaria nella vita del popolo italiano, Gramsci
tenta di compilare una sorta di catalogo di questi accadimenti nella vita na-
zionale italiana154. Sopratutto le elezioni del 1919, in quanto avvennero dopo
la guerra, in una situazione in cui l’intera massa nazionale era in movimento,
sono agli occhi di Gramsci decisive: con esse la democrazia reale formulò per la
prima volta una sfida concreta al sistema di potere italiano. Il popolo, osserva
Gramsci, diede a queste elezioni «carattere implicito di costituente»155, ma tutti
i partiti popolari giunsero a questo appuntamento impreparati. Il risultato fu
una reazione, quella fascista, di nuovo tipo, perché puntò precisamente non
a gettare di nuovo le masse nell’indistinto della passività («ai margini della
storia»), ma a coinvolgerle nel proprio progetto. Esso fu quindi a suo modo
un’esperienza «democratica», nell’accezione che abbiamo qui visto definirsi e
che era ampiamente diffusa quando Gramsci scriveva i Quaderni156.
153
«Simultaneamente» torna in Quaderno 8, § 21: QC, 952-953: «Ogni formazione di
volontà collettiva nazionale popolare è impossibile senza che le masse dei contadini coltivatori
entrino simultaneamente nella vita politica».
154
Quaderno 9, § 103: QC, 1166-1167.
155
QC, 1167.
156
Sul concetto fascista di democrazia (etico-totalitaria, di ascendenza mazziniana), cfr.
G. Belardelli, Il fantasma di Rousseau: fascismo, nazionalsocialismo e «vera democrazia», in
«Storia contemporanea», XXV, 1994, n. 3, pp. 361-389, pp. 365-380.
157
Quaderno 1, § 119: QC, 112: «Quegli uomini [del Risorgimento, scil.] effettivamente
non seppero guidare il popolo, non seppero destarne l’entusiasmo e la passione, se si intende
demagogia nel suo significato primordiale».
158
Capo, in «L’Ordine Nuovo», III serie, I, n. 1, marzo 1924, pp. 1-2, ora in Gramsci, La
costruzione del Partito comunista. 1924-1926, cit., pp. 12-16, p. 13.
577 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
stesso modo, nei Quaderni, egli definisce la demagogia per il tipo di rapporto
che la funzione di «guida» realizza: le masse possono essere viste «come uno
strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi buttar via», o al
contrario esse sono il «necessario protagonista storico» del raggiungimento di
«fini politici organici» mediante un’«opera “costituente” costruttiva»: questa
seconda forma può essere chiamata «una “demagogia” superiore»159.
Da una parte si hanno i regimi plebiscitari e il bonapartismo, dall’altra la
realizzazione dell’egemonia: ma in entrambi i casi è necessaria l’adesione di
dirigenti e diretti, l’unità sentimentale e passionale, insomma quella che nel
§ 1 del Quaderno 13 Gramsci chiama «medesimezza», e che solo a partire dal
gennaio-febbraio del 1932 pensa sotto il concetto di «mito». L’approccio alla
democrazia in termini di egemonia apre pertanto non solamente il paragone
tra politica e religione, ma anche la questione del rapporto tra fanatismo-
passionalità e ragione. La religione, come si è visto, spinge all’azione «classi po-
polari fanatiche e fanatizzate», ma d’altra parte anche il meccanismo ideologico
e retorico-argomentativo del Principe consiste nel convertire il «ragionamento»
in «“affetto”, febbre, fanatismo d’azione». Esiste non solo un nesso necessario
tra l’azione e la fede, le passioni elementari; ma anche tra l’azione di massa e la
fede in un senso ampio, come sinonimo di convinzione indiscutibile che, in
quanto tale, spinge ad agire.
Questo modulo di reciproca implicazione escludente tra conoscenza e azione,
di ascendenza goethiana e romantica, Gramsci lo riprende attraverso la trat-
tazione a cui Croce lo aveva sottoposto nei Frammenti di etica, in cui la fede
era stata speculativizzata a risultato del filosofare e privata del suo carattere di
opposizione rispetto al pensare160. La fede e la religione non sono, per Croce,
dei fatti irrazionali. Anzi, nel corso degli anni Venti esse si vanno sempre piú
nettamente identificando con la dimensione etico-politica, in cui agire politico
e agire morale trovano una composizione. Gramsci considera l’etico-politico
crociano di grande importanza, proprio perché esso testimonia dello sforzo
159
Quaderno 6, § 97: QC, 772 (marzo-agosto 1931). G. Cospito (Il ritmo del pensiero. Per una
lettura diacronica dei «Quaderni del carcere» di Gramsci, Napoli, Bibliopolis, 2011, pp. 228-
244) documenta come Gramsci opponga dapprima «centralismo organico»/«burocratico» a
«centralismo democratico», e come nel luglio-agosto del 1932 (il punto di svolta è Quaderno
9, § 68: QC, 1138-1140) questo sistema oppositivo si riorganizzi, dando luogo all’opposi-
zione di «centralismo democratico»/«organico» a «centralismo burocratico». I testi qui citati
aiutano a intendere come sia presente in Gramsci, da sempre, un’accezione profondamente
positiva del termine «organico» come criterio reale di democrazia.
160
La fede è il pensiero che, dopo esser stato pensato, si fa «stabile o statico», cioè da «critica»
diventa «convinzione» e come tale «condiziona la nuova azione» (Croce, Etica e politica, cit.,
pp. 21, 38, 85). La religione va intesa non «nel significato materiale degli adepti delle varie
religioni o ristretto degli avversarî filosofici delle religioni, ma, come intendeva il Goethe,
in quello di ogni sistema mentale, di ogni concezione della realtà che, tramutata in fede, sia
divenuta fondamento di azione e insieme lume di vita morale» (ivi, p. 234).
578 Fabio Frosini
161
Cfr. Quaderno 1, §§ 28 e 29: QC, 22-24.
162
Quaderno 11, § 12: QC, 1386.
163
Cfr. Quaderno 4, § 45: QC, 471, e Quaderno 4, § 15: QC, 437.
164
Cfr. Quaderno 4, § 33: QC, 451-452.
165
«[...] il materialismo storico [...] è la coscienza piena delle contraddizioni in cui lo stesso
filosofo, individualmente inteso o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende
le contraddizioni, ma pone se stesso come elemento della contraddizione, e eleva questo
elemento a principio politico e d’azione» (Quaderno 4, § 45: QC, 471).
166
Cfr. Quaderno 7, § 39: QC, 888-889, e Quaderno 8, § 56: QC, 974-975.
579 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
167
Ciò riguarda in generale i riferimenti alla cultura francese, che fino al 1920 sono assai
fitti. Cfr. M. Gervasoni, Gramsci e la Francia. Dal mito della modernità alla «scienza della
politica», Milano, Unicopli, 1998, pp. 85-86. Sul rapporto di Gramsci con Sorel cfr. N.
Badaloni, Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica, Torino, Einaudi,
1975, pp. 98-107 (e in generale i primi 9 capitoli); S. Salomon, Gramsci face à Sorel. Histoire
de déplacements et de transferts, in Modernité de Gramsci. Actes du colloque franco-italien de
Besançon, 23-25 novembre 1989, sous la dir. d’A. Tosel, Paris, Les Belles lettres, 1992, pp.
31-84. Sulla questione del mito cfr. anche: E. Augelli, C.N. Murphy, Consciousness, Myth
and Collective Action: Gramsci, Sorel and the Ethical State, in Innovation and Transformation in
International Studies, ed. by S. Gill and J.H. Mittelman, Cambridge, Cambridge University
Press, 1997, pp. 25-38; M. Gervasoni, Mito politico e morale dei produttori: il confronto con
Georges Sorel, in Gramsci nel suo tempo, cit., vol. II, pp. 707-725, pp. 718-725.
168
Bergsoniano!, in «L’Ordine Nuovo», I, n. 2, 2 gennaio 1921, ora in A. Gramsci, Socia-
lismo e fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, a cura di E. Fubini, Torino, Einaudi, 1966,
pp. 12-13, p. 13.
169
Cfr. F. Izzo, I Marx di Gramsci, in Gramsci nel suo tempo, cit., vol. II, pp. 553-580, pp.
561 sgg.
170
Quaderno 4, § 3: QC, 422.
171
Sull’identificazione di «superstrutture» (declinato al plurale) e «forme ideologiche» nei
Quaderni del carcere cfr. P.D. Thomas, The Gramscian Moment. Philosophy, Hegemony, and
Marxism, Leiden, Brill, 2009, pp. 98-99.
172
Quaderno 4, § 15: QC, 437.
580 Fabio Frosini
173
QC, 2632.
174
Scrive Gerratana (ibidem): «Non sembra che Gramsci abbia avuto occasione di rileg-
gere in carcere le Riflessioni sulla violenza di Sorel; un riassunto del passo citato è però nel
capitolo su Sorel del libro di Malagodi a cui si fa riferimento in questo stesso paragrafo
[G.F. Malagodi, Le ideologie politiche, Bari, Laterza, 1928]: “Non bisogna confondere questi
stati relativamente fugaci della nostra coscienza volontaria con le affermazioni stabili della
scienza. Non bisogna cercar di analizzare questi ‘sistemi di immagini’ come si analizza una
teoria scientifica, scomponendola nei suoi elementi. Bisogna ‘prenderli in blocco’ come
forze storiche”» (la citazione di Malagodi è ivi, p. 95).
175
Cosí anche Gervasoni, Gramsci e la Francia. Dal mito della modernità alla «scienza della
politica», cit., pp. 169-170.
176
QC, 464-465.
177
Quaderno 7, § 33: QC, 882 (febbraio 1931).
178
Quaderno 4, § 31: QC, 448 (settembre 1930). Cfr. anche Quaderno 5, § 80 (ottobre-
novembre 1930) e Quaderno 4, § 70 (novembre 1930).
179
Cfr. Il partito comunista, in «L’Ordine Nuovo», II, n. 15, 4 settembre 1920 e n. 17,
9 ottobre 1920, ora in Gramsci, L’Ordine Nuovo. 1919-1920, cit., pp. 651-661, p. 651.
L’articolo esordisce cosí: «Dopo il Sorel è diventato un luogo comune riferirsi alle primitive
comunità cristiane per giudicare il movimento proletario moderno. [...] Per il Sorel, come
per la dottrina marxista, il cristianesimo rappresenta una rivoluzione nella pienezza del suo
sviluppo» (ibidem). L’allusione è al paragone tra movimento operaio e prime associazioni
cristiane istituito da Engels nell’Introduzione preposta nel 1895 alla riedizione di Klas-
senkämpfe in Frankreich 1848 bis 1850 (in K. Marx, F. Engels, Werke, Bd. XXII, Berlin,
Dietz Verlag, 19723, pp. 509-527, pp. 526-527). Sulla fortuna del paragone engelsiano cfr.
Paggi, Antonio Gramsci e il moderno principe. I. Nella crisi del socialismo italiano, cit., p. 4.
581 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
180
Come è noto, nel suo Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus (la
prima edizione è del 1923, la seconda del 1926), Carl Schmitt riconduce il bolscevismo
all’anarcosindacalismo soreliano (cfr. La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamen-
tarismo, a cura di G. Stella, Torino, Giappichelli, 2004, cap. IV, sopratutto pp. 91-92 e
103-105). Quanto Gramsci scrive sul nesso tra mito ed egemonia può essere considerato,
sotto tutti punti di vista, una risposta a questa tesi: sia perché legge il mito soreliano alla luce
dell’ideologia in Marx, e non viceversa, sia perché ribalta il nesso tra Marx e Sorel, rispetto al
modo in cui lo legge, e pour cause, Schmitt. Per la tesi schmittiana cfr. L.A. Rossi, «El mito
más fuerte reposa sobre lo nacional»: Carl Schmitt, Georges Sorel y el «Concepto de lo político»,
in «Revista internacional de Filosofía Política», XIV, 1999, pp. 147-166, pp. 158-160.
181
In Quaderno 7, § 21: QC, 869, intitolato Validità delle ideologie, riprendendo non ca-
sualmente la nozione di «blocco storico», Gramsci rinvia a un passo del Capitale (K. Marx,
Il capitale. Critica dell’economia politica, libro I, trad. it. di D. Cantimori, Roma, Editori
riuniti, 19748, p. 92) e a uno di Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione
(in K. Marx, Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1950, p. 404).
È significativo che in essi non è in questione la dottrina «ufficiale» dell’ideologia, ma, nel
primo caso, la nozione del tutto estemporanea di «pregiudizio popolare», nel secondo quella
giovanile di realizzazione della filosofia come «forza materiale».
182
Su questo punto mi sento di condividere pienamente la tesi di E. Laclau, Ch. Mouffe,
Hegemony and Socialist Strategy. Towards a Radical Democratic Politics, London-New York,
Verso, 20012.
183
G. Sorel, Scritti politici, a cura di R. Vivarelli, Torino, Utet, 1996, p. 114.
582 Fabio Frosini
184
Ibidem.
185
Sul mito in Sorel cfr. G. De Paola, Georges Sorel, dalla metafisica al mito, in Storia del mar-
xismo, diretta da E.J. Hobsbawm, vol. II, Torino, Einaudi, 1979, pp. 660-692, pp. 681-689.
186
Prima stesura: Quaderno 7, § 39: QC, 888; seconda stesura: Quaderno 10 II, § 41.V:
QC, 1308.
583 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
187
Il punto di passaggio, nell’analisi che Gramsci ne fa, può essere ritrovato in Quaderno
7, § 84, scritto nel dicembre 1931, dove a proposito della «mistica» si nota che questa,
nell’accezione francese di «fanatismo permanente incoercibile alle dimostrazioni corrosive
[…] non è altro che la “passione” di cui parla Croce o il “mito” di Sorel giudicato da cervelli
cartesianamente logistici». La politica-passione viene cosí sottratta al fanatismo. Infatti subito
sotto Gramsci nota che «positivamente si parla di mistica […] per non usare i termini di
religiosità o addirittura di “religione”» E aggiunge in fondo al testo, in un momento suc-
cessivo (vi è un’evidente variazione di ductus e di inchiostrazione): «Al significato di mistica
francese si avvicina quello di “religione” come è impiegata dal Croce nella Storia d’Europa»
(QC, 915). Su questi temi cfr. Frosini, La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei
Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, cit., pp. 92-99.
188
«[...] quell’arte dello Stato non è tutta l’arte di questo mondo, ma egli [...] crederà che
la politica sia tutto [...]. Cotesta angustia sarà la piú vera tragedia del pensiero del Machia-
velli [...]» (Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 31). E cfr. anche ivi, p. 34: sulla «virtú
machiavellica [...] caduca, angusta e mediocremente egoistica [...]». In un testo del marzo
1932, in cui riprende il nesso Savonarola-Machiavelli, Gramsci osserva: «Il Russo ha ac-
cumulato molte parole a questo proposito – nei Prolegomeni – ma il limite e l’angustia del
Machiavelli consiste poi solo nell’essere il Machiavelli un singolo individuo, uno scrittore e
non il capo di uno Stato o di un esercito, che è pure un singolo individuo, ma avente a sua
disposizione le forze di uno Stato o di un esercito e non solo eserciti di parole» (Quaderno
8, § 84: QC, 990-991, corsivo mio).
584 Fabio Frosini
potessero non condividere la sua concezione della patria e dei doveri verso la
patria»189. Russo rimane pertanto fermo a un’interpretazione letterale del mito
mobilitante: come creazione artistico-sentimentale che non può dare luogo a
un lavoro propriamente politico, di trasformazione critica collettiva.
Per come Gramsci reinterpreta il mito, esso è invece la ritraduzione in termini
storico-politici di quella nozione amplificata di arte che campeggia nel libro di
Russo. In termini storici concreti, ciò corrisponde a un disegno politico ben di-
verso: il popolo non va mobilitato come massa di manovra a disposizione degli
intellettuali, ma la stessa mobilitazione va utilizzata come punto di avvio di una
crescita critica collettiva, e a questa crescita si può arrivare solamente mettendo
in discussione l’unitarietà fittizia del popolo, riscoprendo la sua condizione di
subalternità come chiave di lettura dell’intera realtà sociale. Solo a questa con-
dizione il moderno Principe può distinguersi sia dall’approccio etico-politico,
sia da quello fascista, perché solo la sua azione ha carattere «costruttivo»: non
solamente di istituzioni politiche, ma di un’intera nuova civiltà, in tutti i suoi
aspetti, ivi compresa la funzione della critica.
È per questa ragione che nel § 21 del Quaderno 8 la forma fanatica dell’azione
collettiva viene distinta da quella che viene suscitata dal mito. L’azione fana-
tica si polarizza infatti su di un capo individuale in quanto figura carismatica.
Questo rapporto con un capo individuale si può creare però solo in particolari
circostanze di pericolo immediato, quando la capacità critica e l’ironia ven-
gono annullate. Per questa stessa ragione, l’azione del capo carismatico «non
può essere di vasto respiro e di carattere organico190: sarà quasi sempre del tipo
restaurazione e riorganizzazione e non del tipo proprio alla fondazione di nuovi
Stati e nuove strutture nazionali e sociali»191.
La distinzione è decisiva: data la struttura sociale «massiccia» moderna192, piú
un capo si identifica con un individuo fisico, meno la volontà collettiva da
egli suscitata corrisponderà alla fondazione di un nuovo ordine. Il riferimento
al fascismo è evidente, come è chiaramente leggibile l’avvertimento relativo a
un’eventuale deriva carismatica del potere sovietico. Fin qui siamo però ancora
fermi a Capo, del 1924. Nuova è invece la conseguenza che ne deriva all’idea
di un’azione politica popolare nazionale realmente democratica, guidata dai
comunisti: questa azione politica riuscirà a suscitare una volontà collettiva che
sollevi i subalterni della loro condizione, solo se si incarnerà nell’azione di un
partito capace di mediare realmente (cioè nella sua struttura di funzionamen-
189
Garin, Luigi Russo nella cultura italiana dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit.,
p. 680. In questo passo Garin si riferisce alla posizione assunta dal Russo interventista. Tale
giudizio può però essere esteso ai Prolegomeni.
190
Si noti l’aggettivo «organico», usato a proposito della «demagogia superiore» nel già
ricordato Quaderno 6, § 97: QC, 772.
191
Quaderno 8, § 21: QC, 952.
192
Cfr. Quaderno 13, § 7: QC, 1567: «struttura massiccia delle democrazie moderne».
585 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
Questo passo è stato scritto nel luglio-agosto del 1932. Si noti che questa parte,
aggiunta quasi per intero in seconda stesura, registra le novità che ho illustrato:
la riflessione sulla nozione realistica di democrazia, la sua identificazione con
la creazione di una volontà collettiva, la necessità di distinguere diverse e anzi
opposte modalità di formazione – pur sempre dentro il campo «democratico»
– di questa volontà, e infine l’opposto orientamento (rivoluzionario o di re-
staurazione) che la volontà collettiva di conseguenza acquisisce. Il riferimento
– presente nel § 1 del Quaderno 13 – all’«autoriflessione» e alla «medesimezza»,
va decifrato in questa luce, come corrispondente a quello tra «filologia vivente»
e «con-passionalità» del Quaderno 11.
Si può dunque concludere che Gramsci, riprendendo il mito soreliano, fonde
due dei grandi filoni di ricerca presenti negli appunti del 1930-1932: quello
sulla mancata formazione in Italia di una volontà collettiva nazionale popolare,
con il connesso tema del «costituentismo», e quello sul rapporto tra religione e
democrazia, cioè sull’unità tra «alto» e «basso» nell’azione politica di massa. Nel
mito, politica e religione vengono pensate insieme. Solamente se il rapporto tra
capo e masse è di tipo «religioso», avrà luogo l’annullamento della distanza tra
i due elementi, e la massa passerà all’azione, trascinata dalla rappresentazione
del proprio futuro. Ma il mito non è solo un’immagine di battaglia. Non lo
è il «costituentismo», il «mito» del popolo-nazione italiano che il moderno
principe deve appropriarsi per potersi porre alla testa del popolo non come
un’avanguardia staccata e pedante, ma come espressione organica delle sue
rivendicazioni politiche piú profonde e radicate.
Ciò contribuisce a spiegare perché il mito in Gramsci non è un fatto irra-
zionale, a differenza di Sorel194. Qui interviene il terzo filone di riflessione di
193
Quaderno 11, § 25: QC, 1430.
194
Cfr. Sorel, Scritti politici, cit., p. 213.
586 Fabio Frosini
Gramsci, quello sul rapporto tra formazione della volontà collettiva e potere
carismatico, sul rapporto tra democrazia e demagogia, o meglio tra le forme
opposte di democrazia e di demagogia. Nel § 21 del Quaderno 8 Gramsci
osserva che il principe non si può incarnare in un individuo, ma solo in un
partito politico:
Il moderno Principe, il mito-Principe non può essere una persona reale, un indivi-
duo concreto; può essere solo un organismo, un elemento sociale nel quale già abbia
inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente
nell’azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico,
la forma moderna in cui si riassumono le volontà collettive parziali che tendono a
diventare universali e totali195.
Basti qui rinviare alle riflessioni sulla «filologia vivente» e avremo, nel partito
politico, il luogo in cui concretamente il «fanatismo» dell’azione si media con
la «riflessione», in una pratica egemonica concreta di addestramento di massa
a essere dirigenti, che trova la sua espressione verbale nel concetto di «riforma
intellettuale e morale», che, precisa Gramsci, è «il terreno per un ulteriore
sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare nel terreno di una forma
compiuta e totale di civiltà moderna»196. È cioè il luogo in cui la volontà col-
lettiva suscitata dal mito si organizza e assume una forma «critica», senza però
cessare di essere «religiosa».
Come si vede, grazie al mito la dimensione «religiosa» è stata assorbita nella
politica. Questa non è piú solamente arte o tecnica neutra (come Gramsci –
in parziale debito con Croce – aveva sostenuto in relazione a Machiavelli fino
a quel momento), ma è una volontà collettiva (cioè una democrazia reale, in
azione) che si rafforza, si «stabilizza» nell’auto-educazione dei subalterni all’arte
del governo.
195
QC, 951.
196
QC, 953.
197
QC, 951.
198
Quaderno 13, § 1: QC, 1555.
199
«[...] la grandezza stessa di quel Valentino, assunto dal nostro autore a principe-mito
della sua dottrina» (Russo, Prolegomeni a Machiavelli, cit., p. 29).
587 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
200
QC, 951.
201
Ibidem.
202
QC, 953.
203
Dal punto di vista qui enunciato, è sintomatico che Carl Schmitt esasperi il concetto
soreliano di mito, sia esaltandone la natura irrazionale, sia riconducendo univocamente il
mito alla guerra. L’opposizione di mito della nazione e mito della lotta di classe, che Schmitt
conia nella Geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus, è quindi secondaria,
rispetto alla sua natura irrazionalistica e alla sua radice polemica. È qui che la posizione di
Gramsci assume la sua profonda originalità rispetto a tutto il panorama degli anni Venti e
Trenta, di destra come di sinistra. Su Schmitt e Sorel cfr. Rossi, «El mito más fuerte reposa
sobre lo nacional»: Carl Schmitt, Georges Sorel y el «Concepto de lo político», cit.
204
QC, 951.
588 Fabio Frosini
205
Quaderno 10 II, § 22: QC, 1260. Cfr. la lettera a Tatiana del 19 ottobre 1931: «Al tempo
di Crispi, un pubblicista francese (mi pare si chiamasse Ballet) scrisse un libro L’Italie qu’on
voit et l’Italie qu’on ne voit pas. Questo titolo potrebbe darsi a ogni libro sui caratteri nazio-
nali, e ciò che si vede di solito sono gli intellettuali e ciò che non si vede sono specialmente i
contadini che pure, come la maggioranza della popolazione, sono essi proprio la “nazione”,
anche se contano poco nella direzione dello Stato e se sono trascurati dagli intellettuali (a
parte l’interesse che desta qualche tratto pittoresco)» (Gramsci, Schucht, Lettere 1926-1935,
cit., p. 840). Il libro (che in realtà precede di qualche anno il momento in cui Crispi fu
primo ministro) è ricordato a memoria. Cfr. A. Brachet, L’Italie qu’on voit et l’Italie qu’on
ne voit pas, Paris, Hachette, 1881.
206
QC, 1260.
589 Luigi Russo e Georges Sorel: sulla genesi del «moderno Principe»
verso quelle «leghe»: di qui la sua possibile funzione ideologica e politica come
modo per regimare ancora una volta nell’alveo dell’antifascismo liberale le
acque tumultuose del costituentismo democratico. Entro lo spazio del «la-
boratorio» fascista (che Gramsci pensi il fascismo come un laboratorio in cui
il popolo nazione «apprende» a fare politica, lo mostra l’espressione «solo da
dieci anni», scritta nel 1932), non occorre lottare solo contro l’illusione che
il totalitarismo implichi la fine della politica207, ma anche contro l’opposta
illusione, alimentata dall’antifascismo di Russo, che dal liberalismo (cioé dalla
tutela degli «intellettuali») non sia mai possibile evadere.
207
È questa anche l’impostazione che Togliatti diede alle sue lezioni sul fascismo. Cfr.
P. Togliatti, Corso sugli avversari. Le lezioni sul fascismo, a cura di F.M. Biscione, Torino,
Einaudi, 2010.