2
Vorrei ringraziare il Prof. Paolo Divizia per avermi dato preziosi consigli
nella fase della stesura della presente tesi.
3
Indice:
Introduzione..............................................................................................6
1. Il romanzo poliziesco............................................................................7
nel mondo..............................................................................7
2. Leonardo Sciascia...............................................................................22
2.2.3. Il contesto....................................................................28
2.3. Ľanalisi...................................................................................29
2.3.1. La struttura..................................................................29
2.3.2. I personaggi................................................................33
2.3.3. Il narratore..................................................................42
4
2.3.4. Il tempo.....................................................................44
2.3.5. Lo spazio..................................................................44
2.3.6. I temi.........................................................................45
3. Andrea Camilleri................................................................................51
3.3. Ľanalisi.................................................................................59
3.3.1. La struttura................................................................59
3.3.2. I personaggi..............................................................67
3.3.3. Il narratore................................................................72
3.3.4. Il tempo.....................................................................73
3.3.5. Lo spazio..................................................................73
3.3.6. I temi.........................................................................75
Conclusione...........................................................................................84
Bibliografia e sitografia...........................................................................86
5
Introduzione
6
1. Il romanzo poliziesco
«Lo sviluppo di un pubblico indifferenziato e anonimo, che non si identifica con gruppi e
classi sociali precisi, dà luogo a una letteratura di massa, con vari generi narrativi, che
circola sia a puntate in giornali e riviste di grande diffusione, sia in volumi pubblicati in
apposite collane, che escono con frequenza periodica e vengono rapidamente
consumati.»1
«per la sua enorme differenziata articolazione [...] che nel corso di un secolo e mezzo di
storia ha riprodotto al suo interno tutti i livelli e i toni propri della letteratura, dando luogo a
opere e serie di opere alte e basse, problematiche e rozze, chiuse e aperte, composte
negli stili più diversi, rivolte a un pubblico chiuso o a un pubblico aperto o misto ecc.»2
7
di una vicenda letteraria un giallo1. Quello che manca, sia in letteratura sia
nella realtà – la ricerca professionale del crimine, cioè la polizia o
ľinvestigatore privato – nasce nelľOttocento. Oltre ciò il giallo ha anche
antecedenti più diretti, come, ad esempio, romanzo gotico inglese (dal
quale eredita la sua carica di angoscia e di paura), cronaca giudiziaria e i
Mémoires (1825) di Eugène-François Vidocq2.3
1
Il termine “giallo” che ha avuto origine dal colore delle copertine della prima collana
editoriale dedicata a questo tipo di letteratura, I Libri Gialli di Mondadori, inaugurata nel
1929 in Italia. (G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi,
Milano 1991, p. 360).
2 Eugène-François Vidocq fu disertore, falsario, ladro, galeotto evaso innumerevoli volte
dai più terribili bagni penali di Francia, poi spia della polizia e infine, agente, nel 1811
Vidocq diventa ufficialmente il capo della prima grande polizia moderna. (S. BENVENUTI,
G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 14).
3 Cfr. Ivi, p. 11.
4 Cfr. Ivi, p. 15.
5 Ivi, p. 17.
6 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, p.
359.
8
In secondo luogo, ogni investigatore ha un assistente fisso, il suo
ascoltatore, che spesso narra la vicenda. Nel caso di Dupin si tratta di un
giovane forestiero senza nome e nel caso di Sherlock Holmes si tratta del
famoso Watson.1
In terzo luogo, c'è il mistero della camera chiusa, cioè il delitto
commesso in una camera chiusa, che nel corso degli anni diventa
«ľenigma per eccellenza, un pezzo di bravura obbligato per i giallisti»2.
Oltre ciò ci si trova anche la classica mancanza di fantasia e la suscettività
dei funzionari di polizia, ľarresto di un innocente e, infine, la finta del
detective per scoprire il colpevole.3
«ideato per incatenare ľinteresse di un pubblico che va ricondotto alla lettura giorno per
giorno, [...] è costruito sulla misura della puntata, che deve necessariamente concludersi
con una suspence in grado di convincere il lettore ad acquistare quella del giorno dopo» 4.
9
con la pubblicazione di Uno studio in rosso1. Sherlock Holmes è un dandy
e ne ha tutte le caratteristiche, dal nome inconsueto alle abitudini
eccentriche. Appartiene alla buona società ma il suo comportamento non
corrisponde ai modelli considerati desiderabili, non rispetta le norme del
galateo e si esprime liberamente e senza preoccuparsi delle
conseguenze. Si potrebbe dire di lui che «il più classico degli investigatori
del giallo è, abbastanza platealmente, un anticonformista»2. Quanto al
dottor Watson, che secondo il modello di Poe dovrebbe tecnicamente
fungere solo come assistente-narratore, egli diventa grazie a Conan Doyle
un personaggio a pieno titolo: ha una storia, una professione, dei
sentimenti, una psicologia. È una persona autentica nella quale i lettori si
identificano. Oltre ciò la natura di Watson è del tutto britannica. Egli è il
prototipo delľinglese vittoriano ed è proprio questa «atmosfera britannica
che rappresentò, a suo tempo, uno dei motivi principali del successo delle
storie di Conan Doyle»3.4
Il successo genera imitazione e nei romanzi polizieschi di
quelľepoca è facile trovare investigatori troppo simili al celebre Sherlock
Holmes. «Gli autori, naturalmente, facevano del loro meglio per
mascherare il prototipo [...] ma i loro stessi tentativi tradivano ľincapacità di
sottrarvicisi.»5 Il primo personaggio originale del giallo postsherlockiano
nasce nel 1906 sulle pagine della rivista Je Sais Tout e si tratta delľArsène
Lupin di Maurice Leblanc, seguito nel 1911 da Fantomas di Marcel Allain e
Pierre Souvestre. Comunque entrambi non hanno niente a che fare con gli
investigatori che cercano di scoprire il colpevole, perché loro stanno d'altra
parte, sono i criminali.6 E cosí possiamo acconsentire alla citazione di
Carlo Oliva, secondo il quale «alla soglia della Grande Guerra il giallo [...]
sembra correre il rischio di perdere, in un certo senso, la sua identità.»7
10
1.1.3. Agatha Christie e il suo Hercule Poirot
«Sembra niente, ma è ľessenza stessa del giallo moderno. Negli autori che veranno dopo
la Christie, la raccolta di indizi e la loro interpretazione non avranno, in effetti, importanza
alcuna, saranno compiti da lasciare [...] alle cure di polizia scientifica.» 3
1 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 57.
2 Cfr. Ivi, pp. 55-63.
3 Ivi, p. 58.
11
e i delitti, motivati da contraddizioni private, sono al di fuori da ogni
dimensione criminale o malavitosa.1 «Non sarà un caso, se proprio al
culmine di questa «età delľoro», si sentirà un forte bisogno di restituire il
delitto alla malavita.»2
Con riferimento alla frase precedente si passa ora dal continente
europeo agli Stati Uniti, dove nel periodo del proibizionismo si sviluppa
una criminalità organizzata sotto controllo della mafia e delle bande dei
gangster. Sullo sfondo di questi fatti nasce un nuovo genere di romanzo
poliziesco che cerca di avvicinarsi alla realtà americana contemporanea e
che offre ai lettori un nuovo tipo di investigatore. Si tratta delľhard boiled,
ovvero la scuola dei duri. Come suggerisce già la denominazione, il
protagonista è
«di tutt'altra pasta, abile a sparare quanto a fuggire, in grado di tirare di boxe come un
peso massimo e, possibilmente, cinico almeno quanto il mondo, oscuro e corrotto, che lo
circonda ma dotato di un profondo senso della giustizia.» 3
1 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 68-71.
2 Ivi, p. 71.
3 M. R. CAPELLI, Detection&Hard Boiled, disponibile online all’indirizzo
www.progettobabele.it.
4 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 73-77.
5 Ivi, p. 86.
12
coetaneo Sam Spade egli ha parecchie cose comune: «è uomo d'azione,
pragmatico e non intellettuale, non si interessa di indizi o di deduzioni»1.
Nondimeno, secondo i critici, non viene più considerato un eroe tipico
delľhard boiled perchè egli, rispetto ai suoi colleghi, prende in
considerazione il fatto che ogni individuo ha un suo punto debole e che
deve essere sfruttato.2
Dalla sua nascita fino agli anni '30 il giallo fa lunga strada, da
genere di serie B diventa narrativa di largo consumo apprezzata non solo
dai lettori ma anche dai critici. I suddetti autori e i loro personaggi
rappresentano nella storia del giallo momenti decisivi. Sono loro ad aver
impostato le principali regole del poliziesco su cui si basa la produzione
contemporanea di questo genere.
1 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 104.
2 Cfr. Ivi, pp. 99-104.
3 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 25.
4 Ivi, p. 38.
13
apprendistato»1. In queste condizioni, per paura di essere rifiutati da parte
dei lettori, cercano gli elementi avvincenti per i loro romanzi tra vari generi:
«dal feuilleton al romanzo d'avventure, dalla commedia al melodramma» 2.
Ma questo non è ciò che impedisce al pieno sviluppo del genere
poliziesco. Ci sono delle restrizioni imposte da parte del regime affinché
tutti «i protagonisti negativi e viziosi debbano risultare stranieri e le
vicende debbano svolgersi alľestero o in ambienti stravaganti» 3. La
situazione per i giallisti non era facile e non c'è da stupirsi che in
quelľepoca nascono opere che hanno poco a che fare con i veri romanzi
polizieschi.
Citiamo ora alcuni tratti caratteristici comuni per il giallo italiano
negli anni '30. La prima cosa da notare è ľambientazione che, a differenza
di quella urbana nei gialli stranieri, viene realizzata su «sfondi idilico-
agresti»4. Ricordiamo anche «il carattere assolutamente grottesco con cui
viene spesso rappresentato il personaggio del detective, sempre in bilico
tra il dilettantismo amatoriale e ľambizione narcistica spropositata» 5. Per
non dimenticare ľultimo tratto che riguarda «la tendenza ad espellare
dalľintreccio romanzesco ogni componente cruenta e sanguinaria»6
facendo cosí dei gialli le storie «senza delitti, senza cadaveri, senza
omicidi e senza morti»7.
Tra i più importanti esponenti del giallo italiano in quelľepoca, che
tentano a mantenere le strutture canoniche del poliziesco, si possono
citare Alessandro Varaldo8, Ezio D'Errico e Augusto De Angelis.9
Nel 1941, due studenti di buona famiglia compiono una rapina e
dopo ľarresto dichiarano di essere stati ispirati dalla lettura dei gialli. In
seguito al fatto «Mussolini proclama che quei libri rovinano la gioventù
1 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 38.
2 Ibidem.
3 S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori,
14
italica e ne fa sospendere la pubblicazione»1. Nel dopoguerra, alla ripresa
delle pubblicazioni, il mercato editoriale preferisce le opere straniere e gli
autori italiani spariscono per anni dalle principali collezioni.2
La situazione cambia negli anni '60 e '70 quando, dopo il periodo
del vuoto, nascono delle opere di una straordinaria originalità che trattano
diversi argomenti. Nei romanzi si descrive la vita reale in cui si riflette il
degrado della società e della vita urbana, la diffusione della criminalità
organizzata, la corruzione dei pubblici poteri, ecc. I principi morali nel
mondo contano già poco e adeguatamente ne consegue che nel romanzo
moderno non ci sono più solo gli eroi ed i cattivi. Questo nuovo
andamento deriva dalla situazione sociale delľItalia. Tra gli autori da
notare ci sono: Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Loriano Macchiavelli,
Gaetano Gadda e Secondo Signoroni. In particolare brillano due autori
apprezzati non solo da un vasto pubblico ma anche da quello intellettuale:
sono Giorgio Scerbanenco, e soprattutto Leonardo Sciascia di cui
parleremo nei seguenti capitoli.3
È proprio Giorgio Scerbanenco a dare il via, dopo gli anni del
vuoto, al boom del giallo italiano. Dietro questo successo si nasconde
Duca Lamberti, protagonista dei suoi romanzi, «ľeroe che il poliziesco
italiano aspettava da una trentina d'anni»4. È un investigatore atipico,
medico radiato dalľalbo per aver praticato ľeutanasia, che collabora con la
polizia milanese. Nei suoi romanzi si presenta come investigatore della
tradizione hard boiled, un duro che non rifugge da una certa dose di
violenza e che contemporaneamente è sensibile al dolore degli altri molto
più che al proprio.5 Il motivo per cui suscita un tale interesse nei lettori è
che finalmente appare sulla scena «un personaggio italiano
contemporaneo, una figura credibile su uno sfondo familiare»6.
Nella seconda metà degli anni '80 il poliziesco vive un'altra ondata
di successo e in merito alla variegatura e alla quantità non è cosí facile
1 S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori,
Milano 1979, p. 186.
2 Cfr. Ivi, pp. 186-187.
3 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 179-184.
4 Ivi, p. 180.
5 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi,
15
offrire un panorama compatto. Nondimeno degno di menzione è il Gruppo
13, fondato nel 1990 a Bologna, che offre un ambiente particolarmente
adatto alle sperimentazione di genere. Del Gruppo 13 fanno parte autori
dagli interessi piuttosto diversificati, citiamo ad esempio: Danila Comastri
Montanari, Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Pino Canucci.1 Tutto
sommato gli autori che «hanno contribuito ad allargare il quadro ideologico
e gli interessi tematici del giallo»2.
Bisogna menzionare anche quanta attenzione è dedicata agli
aspetti regionali nei romanzi polizieschi e come le storie si identificano con
la realtà cittadina. Ad esempio, ricordiamo Milano in Scarbanenco,
Bologna in Lucarelli, Torino in Fruttero e Luccentini, ecc.3 Da ciò risulta
che il giallo italiano è stato a lungo un fatto prevalentemente settentrionale
e per quanto riguarda Sicilia, che è ľoggetto delľinteresse di questa tesi,
essa «è sembrata a lungo esclusa dal quadro, per via, soprattutto, delle
peculiarità storiche della sua vita criminale»4. Oggi la Sicilia, per la gran
parte dei lettori, è soprattutto quella di Andrea Camilleri.
1 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 187-188.
2 Ivi, p. 188.
3 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi,
16
come è il romanzo poliziesco. «Detective Crime, Mystery Stories, Thriller,
Roman Noir, Roman Criminel, Detection, ecc. Un'infinità di termini per
identificare il Giallo.»1
Per quanto riguarda i filoni principali del giallo è difficile trovare
nella critica un'affermazione univoca. Nella maggior parte dei casi i critici, i
letterati e gli studiosi distinguono due linee fondamentali. Si tratta del giallo
classico e delľhard boiled. A proposito della denominazione esiste una
gamma di diversi nomi che si attribuiscono a questi due filoni e può essere
utile soffermarsi sulla terminologia. Per il giallo classico si usano, allora, le
espressioni come “detection”, “romanzo deduttivo” oppure “d'enigma”,
invece per ľhard boiled viene usata ľespressione “romanzo d'azione” e
nella tipologia di Tzvetan Todorov ci si incontra perfino con quella di
“romanzo nero”.
Il romanzo per poter diventare poliziesco deve rispettare alcune
regole come la presenza di alcuni elementi che sono indispensabili per
questo genere, cioè il delitto, ľinvestigatore, ľindagine e lo
smascheramento del colpevole. Ora ci soffermiamo a spiegarlo meglio.
Immaginiamo una situazione sociale equilibrata che ad un certo punto
viene turbata da un individuo o da un gruppo di individui. Questo
turbamento lo chiamiamo delitto (D). Dopo esser stato commesso e
scoperto il delitto deve logicamente seguire un'indagine, svolta da un
investigatore, alľinseguimento del colpevole. Quanto alľindagine si
distinguono due forme: intellettuale (I) e materiale (M). Grazie a queste
indagini viene scoperto il colpevole e ristabilito (R) ľequilibrio spezzato.2
D I R
M
17
1.3.1. Il giallo classico
18
1.3.2. L'hard boiled
«ci vengono presentate dapprima le cause e i dati iniziali (dei gangsters che preparano
un colpo) e ľinteresse è mantenuto vivo dalľattesa di ciò che accadrà, cioè degli effetti
(cadaveri, delitti, scontri)»4
19
– si possono realizzare ambedue le storie, sia la storia del delitto sia
quella delľindagine.1
I. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti
gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
II. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che
legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
III. Non ci deve essere una storia d'amore. [...]
IV. Né ľinvestigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole.
[...]
1 Cfr. R. CREMANTE, L. RAMBELLI, La trama del delitto, Teoria e analisi del racconto
poliziesco, Pratiche Editrice, Parma 1980, p. 158.
2 Cfr. Ivi, p. 161.
3 Informazioni tratte da: www.ilgattonero.it.
20
V. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o
coincidenza, o non motivata confessione. [...]
VI. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e poliziotto non è tale se
non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono
condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. [...]
VII. Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco [...]. Nessun delitto
minore delľassassinio è sufficiente. [...]
VIII. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici.
Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la
lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore
può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali. [...]
IX. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo "deus ex
machina". [...] Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta
gareggiando. [...]
X. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno
importante nella storia. [...]
XI. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si
dovrebbe mai sospettare.
XII. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassinii.
Ovviamente che il colpevole può essersi servito di complici, ma la colpa e
ľindignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo.
XIII. Società segrete, associazioni a delinquere "et similia" non trovano posto in un
vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da
una colpa collegiale. [...]
XIV. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e
scientifici. [...]
XV. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un
lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver
raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve
constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin
dalľinizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole. [...]
XVI. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di
bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti. [...] Esse rallentano
ľazione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo,
condurlo a una conclusione positiva. [...]
XVII. Un deliquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un
romanzo poliziesco. [...]
XVIII. Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente:
né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. [...]
21
XIX. I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente
personali. [...] Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del
lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.
XX. Si devono evitare le situazioni e le soluzioni banali e ormai troppo usati:
- scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di
sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da
uno dei sospettati;
- il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole
e lo induca a tradirsi;
- impronte digitali falsificate;
- alibi creato grazie a un fantoccio;
- cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno
della famiglia;
- il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona
sospetta, ma innocente;
- siringhe ipodermiche e bevande soporifere;
- delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha
già fatto il suo ingresso;
- associazioni di parole che rivelano la colpa;
- alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.
2. Leonardo Sciascia
22
«Le nonne, casalinghe. Il nonno paterno cominciò da ragazzo, orfano, a lavorare nella
zolfara, poi andò a scuola da un prete, divenne capomastro e poi impiegato. Il nonno
materno era guardia municipale.»1
«questo libro vuole essere il punto di partenza di una lunga indagine sulla storia passata
e presente della Sicilia, definibile come la storia di una continua sconfitta della ragione e
di coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati.»5
468.
23
Nel 1958 esce il volume di tre racconti, Gli zii di Sicilia, grazie al
quale Sciascia ottiene nello stesso anno il premio Libera Stampa. Tre anni
dopo, nel 1961 pubblica Il giorno della civetta, romanzo che attrae non
solo la critica letteraria ma anche la società italiana. È per la prima volta
che viene messo alla luce il problema della mafia, a cui fino allora non si
prestava quasi nessun'attenzione. La trama del romanzo, basato sulla
tecnica del giallo, si occupa delľassassinio del sindacalista comunista
Miraglia, avvenuto nel 1947. Sullo sfondo di questo avvenimento storico
Sciascia cerca di mostrare una vera realtà siciliana con cui sembra potersi
identificare tutta ľItalia.
«Fra ricostruzione storica e inchiesta sul presente, adottando
trame tipiche del romanzo poliziesco, si muovono i grandi successi di
Sciascia degli anni Sessanta.»1 A partire da Il giorno della civetta segue
una serie di romanzi, ora collocati in Sicilia presente, ora nella storia
siciliana. Citiamo Il consiglio d'Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Il
contesto (1971), Todo modo (1975), I pugnalatori (1976).
Oltre alla produzione narrativa Sciascia si dedica anche a
un'attività polemica e saggistica. Bisogna ricordare il suo famoso pamphlet
Ľaffaire Moro (1978) dove esprime le proprie riflessioni sul rapimento di
Aldo Moro e provoca un'altra ondata di discussioni e di polemiche.
«Per tutti gli anni Settanta e Ottanta la sua immagine di intellettuale problematico ebbe
un rilievo internazionale. Nel mondo politico-giornalistico si definí in modo sempre piú
netto la sua figura inquieta e controcorrente, la sua prontezza nel ribaltare certi aspetti
del senso comune, nel contestare le interpretazioni convenzionali della realtà sociale, nel
rifiutare i poteri assestati e le formule dominanti.» 2
466-467.
24
Leonardo Sciascia, durante la sua vita, è attivo non solo
nelľambito letterario ma anche in quello politico. Nel 1975 viene eletto
come indipendente alle elezioni comunali di Palermo ma, deluso per
ľinefficacia della sua presenza nel consiglio comunale, nel 1977 si dimette
dal suo incaric. Non resta a lungo in questa decisione e nel 1979, dopo un
periodo trascorso a Parigi, entra in politica di nuovo. Questa volta viene
eletto come deputato alla Camera e fa parte della Commissione d'indagine
sul caso Moro.
Il 20 novembre, a Palermo, Leonardo Sciascia muore.
25
una lettera in cui gli scrive i nomi dei due capi mafiosi, don Mariano Arena
e il Pizzuco.
Intanto il capitano trova il nesso tra l’assassinio del Colasberna e
la scomparsa del Nicolosi. Il Nicolosi viene ammazzato perché riconosce
nell’assassino il suo compaesano, Diego Marchica.
Tutti e tre gli uomini, don Arena, il Pizzuco e il Marchica sono
sottoposti alle lunghe interrogazioni, e pian piano iniziano a trapelare
informazioni importanti. Tutta l’organizzazione è più grande di quanto
sembri e procede fino al parlamento. Le indagini del capitano suscitano il
timore dalla gente che circonda il ministro .
Il capitano Bellodi non riesce a fronteggiare da solo
un’organizzazione di tale dimensione come è questa e viene mandato in
licenza. A Parma apprende che il caso prosegue in un’altra direzione. Gli
imputati rimangiano la loro confessione, persone assolutamente
insospettabili testimoniano gli alibi, e tutti e tre sono sprigionati.
26
Quanto all’arciprete, egli è lo zio della moglie del defunto dottore Roscio e
dell’avvocato Rosello.
Dopo le prime interrogazioni Laurana si sente come uno che
cerca un ago in un pagliaio finché egli incontra un suo vecchio amico,
deputato nazionale, che porta un po’ di luce nel caso. Egli svela a Laurana
che il dottor Roscio aveva l’intenzione di denunciare un notabile del suo
paese e che si trattava di una cosa delicata e personale. Da questo punto
in avanti tutta l’attenzione di Laurana è mirata al caso del dottor Roscio e
ai suoi parenti.
Più Laurana prosegue nella sua indagine più si rende conto che
tutte le tracce conducono all’avvocato Rosello, cugino della moglie del
defunto dottore Roscio. Egli ha una relazione intima con la Roscio e ora
dopo la morte di suo marito non gli impedisce nessuno e niente di
sposarla. Anzi, negli occhi della gente diventerà «opera di carità...
Sposare una vedova con una bambina, riunificare la roba...».1
Laurana, convinto della sua verità, vive la sua vita e non ha
intenzione di andare alla polizia e fare denuncia. Sia per il ricordo come il
dottor Roscio e il farmacista erano finiti sia per la simpatia per la vedova
Roscio, la quale secondo lui deve essere innocente. Purtroppo questa sua
simpatia o meglio l’affascinamento gli diventa fatale e cade in trappola
mortale. Ella lo convince della sua innocenza e stabilisce l’appuntamento
in un caffè, dove alla fine non viene. Laurana, preoccupato per la
sicurezza di lei, accetta il passaggio da parte di uno del paese e finisce
ammazzato in una zolfara abbandonata.
Il romanzo si conclude con l’annuncio del fidanzamento dei cugini,
Rosello e la Roscio, e con la confessione dei tre abitanti del paese che
svelano tra di loro di aver capito tutta la storia e tutto il mistero relativo alla
morte dell farmacista e del dottor Roscio «prima che finissero i tre giorni di
lutto»2.
27
2.2.3. Il contesto
28
2.3. Ľanalisi
2.3.1. La struttura
«L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro, che
veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista – un momento – e aprí lo sportello [...] si
sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul
predellino, restò per un attimo sospeso, [...] gli cadde la cartella di mano e sulla cartella
lentamente si afflosciò.»1
29
«Il problema è questo: i carabinieri hanno in mano tre anelli di una catena. Il primo è
Marchica [...] ed al suo anello ecco attaccato quello di Pizzuco... E in questo caso, mio
caro, la catena si allunga si allunga, si allunga tanto che mi ci posso trovare impigliato
anch’io, e il ministro, e il padreterno... Un disastro, mio caro, un disastro...»1
«che tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti di S. era stata sfasciata come un castello
di carte dal soffio di inoppugnabili alibi. O meglio: era bastato un solo alibi, quello di
Diego Marchica, a sfasciarlo. Persone incensurate, assolutamente insospettabili, per
censo e per cultura rispettabilissime, avevano testimoniato al giudice istruttore
l’impossibilità che Diego Marchica si fosse trovato a sparare su Colasberna.»2
b) A ciascuno il suo
A differenza del giallo precedente in A ciascuno il suo il delitto non
avviene all’inizio della storia. Il primo capitolo, in cui il farmacista riceve
una lettera anonima, funziona come un periodo d’attesa durante il quale
cresce lo stato di inquietudine nel lettore.
30
«Di colpo il farmacista si decise: prese la lettera, l’aprì, spiegò il foglio. Il postino vide quel
che si aspettava: la lettera composta con parole ritagliate dal giornale. [...] porse la
lettera. Il postino avidamente la prese, a voce alta lesse «Questa lettera è la tua
condanna a morte, per quello che hai fatto morirai» la rachiuse, la posò sul banco.»1
«insieme chiusero quella felice giornata di caccia, a dieci metri di distanza: colpito alle
spalle il farmacista, al petto il dottor Roscio. Ed anche uno dei cani restò a far loro
compagnia, nel nulla eterno o nelle cacce elisie.»2
«Noi due dobbiamo parlare» disse il notaro. «E che parliamo a fare?» disse don Luigi con
stanchezza «Quello che so io lo sai anche tu e lo sanno tutti.» 3
31
c) Il contesto
La struttura de Il contesto è molto più complicata di quella dei
gialli precedenti e genera nel lettore una certa dose di inquietudine. Dallo
schema generale essa si differenzia soprattutto per il numero dei delitti, i
quali sono commessi nel corso di tutta la narrazione, dalla prima quasi
all’ultima pagina. Interessante è che il narratore non dedica alla
descrizione dei delitti molta attenzione e nemmeno lo spazio, come se
volesse lasciarli in penombra. Ovviamente tranne la prima vittima, il
procuratore Varga, che è descritto abbastanza dettagliamente dal
narratore, si osserva che per il resto delle vittime egli si limita solo a citare
qualche informazione basilare come il loro nome, professione e luogo
dove sono state ammazzate.
A partire dal primo delitto inizia l’indagine che svolge l’ispettore
Rogas e che lo conduce al presunto colpevole, il farmacista Cres. Da
questo punto inizia la seconda indagine, svolta nuovamente da Rogas, ma
questa volta imposta dai suoi superiori che negano la versione
dell’ispettore e vogliono rivolgere l’attenzione ai giovani anarchici e trovare
il colpevole tra di loro. Il risultato della seconda indagine è lo
smascheramento del complotto tra i maggiori rappresentanti del potere
politico che vogliono sfruttare la serie di assassinii di procuratori e di
giudici per accusare l’opposizione e preparare cosí il terreno per il colpo di
Stato. A questo punto bisogna precisare che l’intrigo delittuoso viene solo
accennato e che il lettore deve essere molto attento a non perdersi nel
labirinto degli accenni e degli eventi. Si può dire che proprio “labirinto” è la
parola chiave che sottolinea la natura della struttura de Il contesto.
In seguito allo smascheramento del complotto l’ispettore Rogas
viene ucciso e accusato di omicidio del rappresentante d’opposizione, il
che si può considerare come la sorpresa finale, la quale in tutti i romanzi
sciasciani in questione turba il lettore invece di offrirgli un’attesa giustizia.
32
delitto, l’indagine e lo smascheramento del colpevole – abbastanza lontani
dalla tradizione del romanzo poliziesco.
In primo luogo si osserva che il colpevole viene sempre
smascherato in anticipo anziché alla fine del racconto e lo
smascheramento non rappresenta il culmine, il momento della sorpresa, il
che nel giallo sono elementi indispensabili. Questo effetto viene attribuito
dall’autore a un altro avvenimento, spesso inatteso e imprevedibile il cui
obiettivo è scioccare il lettore.
In secondo luogo bisogna sottolineare che, a differenza della
struttura di base del romanzo poliziesco, nei gialli sciasciani non viene mai
effettuato il ristabilimento dell’equilibrio spezzato. La situazione che
avviene dopo il delitto commesso perdura sino alla fine della storia senza
la speranza di metterla in ordine. Si tratta di un elemento che sarebbe
impossibile nel giallo, in cui l’obiettivo principale è trovare il colpevole e
assicurare la società (e anche il lettore) che la giustizia sarà compiuta.
Insomma, dalle sopracitate osservazioni risulta che Sciascia non
è fedele alla tradizione del romanzo poliziesco. I suoi romanzi non hanno
la struttura del vero giallo, è solo l’apparenza. Egli usa questa forma
narrativa, la trasforma e la utilizza per compiere un altro obiettivo. Di quale
obiettivo si tratti, cercheremo di spiegarlo nei seguenti capitoli.
2.3.2. I personaggi
«1) il cattivo che uccide; 2) il buon giustiziere che lo mette in condizione di non nuocere;
3) la vittima, che muore normalmente all’inizio del libro e che, buona o no, degna o no del
33
sacrificio, non è altro che l’occasione del conflitto; appare quasi sempre assente dal libro
(almeno nei classici del genere) e ciononostante lo attiva.»1
«dalle prime parole che disse i soci della Santa Fara pensarono “continentale” con
sollievo e disprezzo insieme; i continentali sono gentili ma non capiscono niente. [...]
pensarono ancora “continentale, quanto sono educati i continentali”.»2
oppure
«ma come è piovuto qui, questo Bellodi? Come diavolo mandano uno come lui in una
zona come questa? Qui ci vuole discrezione, amico mio; naso, tranquillità di mente,
calma: questo ci vuole...»3
34
del luogo. In questo punto il lettore si identifica con il capitano ed è come
se lui stesso, per bocca sua, cercasse di informarsi.
Ma torniamo alla figura del capitano Bellodi come tale. Le
informazioni riguardanti il suo aspetto fisico ce ne sono poche. Da quello
che il narratore ci fornisce sappiamo in effetti solo che è un uomo alto, «di
colore chiaro», biondo, ben rasato, elegante nella divisa e che parla a
bassa voce mangiandosi le esse.
Era destinato alla professione di avvocato ma influenzato
dall’esperienza partigiana e dalla fede in libertà, giustizia e legge della
Repubblica si è deciso a indossare la divisa per poter far rispettare tutto
quanto. Dopo che si è trovato in Sicilia, personalmente convinto della
esistenza della mafia e dei suoi delitti, si mette con coraggio ad affrontarla.
Nel suo lavoro usa le tecniche moderne, analizza la grafia, controlla i
depositi nelle banche e i flussi finanziari. Dai suoi colleghi si distingue nel
modo di trattare la gente sottoposta agli interrogatori. Egli è tranquillo, non
alza mai la voce, parla con gentilezza e con confidenza. Fa le domande
che spesso suscitano lo stupore dei suoi colleghi e sbilanciano gli
interrogati. Come buon esempio del comportamento gentile del capitano
che contrasta quello dei suoi subordinati citiamo il seguente brano:
Da qualche minuto la faccia del maresciallo era raggelata nella più minacciosa
incredulità: da quando la donna aveva mostrato improvviso sgomento. Quello era,
secondo il maresciallo, il momento buono per farglielo crescere, lo sgomento: per farle
tanta paura da costringerla a dirlo, quel nome o soprannome: che, quant’è vero Dio, lei
ce l’ha stampato in mente ce l’ha. E invece il capitano era diventato anche più gentile del
solito. «Ma chi crede di essere, Arsenio Lupin?» pensava il maresciallo, nei suoi lontani
ricordi di lettore scambiando per poliziotto un ladro.
- Cerchi di ricordare quella ingiuria – disse il capitano – e intanto il maresciallo sarà
tanto gentile da offrirci un caffè.
«Anche il caffè – pensò il maresciallo – che non si possa piú dare una strigliata
giusta, e va bene: ma il caffè poi...», ma disse soltanto signorsí.
Il capitano cominciò a parlare della Sicilia. [...] Venne il caffè e parlava ancora della
Sicilia e dei siciliani [...] sorvolando il panorama letterario siciliano, da Verga al
Gattopardo. [...] La donna non capiva molto, e nemmeno il meresciallo: ma certe cose
che la mente non intende, il cuore le intende; e nel loro cuore di siciliani le parole del
capitano musicalmente stormivano. «È bello sentirlo parlare» pensava la donna; e il
maresciallo pensava «per parlare, sai parlare: meglio di Terracini». [...]
35
Il capitano guardò interrogativamente la donna. Lei fece di no piú volte scuotendo la
testa. Il maresciallo, con gli occhi che tra le palpebre parevano diventati due acquose
fessure, violentemente si protese a guardarla: e lei precipitosamente, come se il nome le
fosse venuto su con singulto improvviso, disse – Zicchinetta. [...]
Il capitano si era sentito dentro, di colpo, un oscuro scoraggiamento: un senso di
delusione, di impotenza. Quel nome, o ingiuria che fosse, era finalmente venuto fuori: ma
solo nel momento in cui il maresciallo era diventato, agli occhi della donna, spaventosa
minaccia di inquisizione, di arbitrio.1
«La sua curiosità riguardo alle ragioni e al modo del delitto era puramente intellettuale e
mossa da una specie di puntiglio. [...] Infatti l’idea che la soluzione del problema
portasse, come si dice, ad assicurare i colpevoli alla giustizia, [...] non gli balenava
nemmeno. Era un uomo civile, sufficientemente intelligente, di buoni sentimenti,
rispettoso della legge: ma ad aver coscienza di rubare il mestiere alla polizia, o
comunque di concorrere al lavoro che la polizia faceva, avrebbe sentito tale repugnanza
da lasciar perdere il problema.»
36
Alla descrizione del professor Laurana è destinato l’intero quinto
capitolo in cui dal punto di vista del narratore, dei colleghi e dei
compaesani viene presentato tutto il ritratto del professore. Nel libro
mancano solo le informazioni relative all’aspetto fisico.
Paolo Laurana, di quarant’anni, professore d’italiano e latino in un
liceo classico a Palermo, vive nella vecchia e grande casa assieme a sua
mamma. «Per la sua vita privata era considerato una vittima dell’affetto
esclusivo e geloso della madre.»1 Infatti, per paura del giudizio di lei su
una donna da lui scelta non si è mai sposato e non aveva nemmeno
relazioni intime. Pieno di complessi si limita solo a sognare dentro di sé
svolgendo vicende di desiderio e d’amore con alunne e colleghe. Essendo
consapevoli del suo stato interiore non c’è da stupirsi che lo abbacina un
improvviso affetto da parte della vedova Roscio, donna molto bella e
sensuale.
Negli occhi dei suoi colleghi è un tipo chiuso, di poche parole,
gentile ma anche un po’ strano, capace di scoppiare di rabbia per una
parola malintesa o per una falsa impressione. Come professore viene
considerato dai suoi colleghi «bravissimo, preciso, coscienzoso, cultura
solida, buon metodo...»2 Invece negli occhi dei suoi compaesani, oltre a
vederlo come un uomo onesto, meticoloso e triste, gli sembra non tanto
intelligente e anzi a volte un po’ ottuso. Lo testimonia anche l’ultima frase
enunciata alla fine del libro: «Era un cretino.»3
Il professor Laurana vive nel proprio mondo solitario circondato
solo dai libri e dai saggi, alla letteratura e ai suoi lavori di critica letteraria
dedica la maggior parte del suo tempo libero. Non ha amici, ha molte
conoscenze ma nessuna amicizia. Uno dei conoscenti era anche il dottor
Roscio con cui aveva la possibilità di parlare di letteratura o di politica.
Passa le serate al circolo o in farmacia ma per la sua natura taciturna e
timida è quasi invisibile e per il suo status di uomo di cultura si trova
nell’isolamento e lontano da tutto quello che succede attorno a lui.
37
Il terzo investigatore sottoposto all’analisi è l’ispettore Rogas che
sintetizza nella sua figura due principali caratteristiche del capitano Bellodi
e del professor Laurana, cioè l’anticonformismo poliziesco e la passione
per la letteratura. Nasce cosí il poliziotto che da una parte sa come parlare
con i deliquenti, come sfuggire ai pedinatori, come apprendere le
informazioni segrete e che dall’altra parte legge sul giornale come prima
cosa il supplemento letterario, con gli intellettuali parla di Pascal e Voltaire
e tra i suoi colleghi e i superiori ha la fama di letterato:
«per i libri che teneva sul tavolo d’ufficio e per la chiarezza, l’ordine e l’essenzialità delle
sue relazioni scritte. Che erano talmente diverse di quelle che da almeno un secolo
circolavano negli uffici di polizia da far risuonare spesso il grido “ma come scrive, costui?”
oppure “ma che dice, questo qui?”. Si sapeva poi, che frequentava qualche giornalista,
qualche scrittore. E frequentava gallerie d’arte e teatri.»1
38
settimana e per quanto riguarda il suo aspetto fisico il narratore non
fornisce nessuna informazione.
39
Per completare il discorso sugli investigatori vale la pena di
accennare ancora ad un altro fatto. In queste tre opere di Sciascia si
registra che il destino del rispettivo protagonista è sempre più tragico. Il
primo, il capitano Bellodi, riesce almeno a salvarsi la vita. Il secondo,
invece, il professor Laurana, viene ammazzato e il terzo, l’ispettore Rogas,
non solo che viene ammazzato ma perfino viene accusato dell’assassinio.
Si osserva che Sciascia, anche nel caso della figura
dell’investigatore, non rispetta le regole imposte dalla tradizione del
romanzo poliziesco e volontariamente lascia i suoi protagonisti perdere e
morire. Il loro ruolo assume un nuovo significato, cioè scioccare il lettore e
costringerlo a riflettere sul loro destino e sulla società e sull’ambiente in
cui loro si trovavano.
40
della civetta, il professor Laurana in A ciascuno il suo e l’ispettore Rogas
ne Il contesto. Oltre ciò si osserva che tutte le vittime di Sciascia sono
maschi e sono uccise nello stesso modo, cioè da colpi sparati da una
pistola.
Da notare è anche il fatto che l’omicidio ha spesso una tendenza
di essere mascherato e classificato come delitto passionale: in A ciascuno
il suo tutti suppongono che il dottor Roscio era stato ammazzato a causa
dei vizi del farmacista Manno, e ne Il giorno della civetta la storia finisce
accusando la signora Nicolosi e il suo amante di omicidio del marito. Solo
Il contesto è un po’ a parte, qua i delitti per vendetta (il farmacista Cres
che si vendica per la condanna ingiusta) sono mascherati e classificati
come delitti dei giovani rivoluzionari.
Per quanto riguarda i colpevoli, nelle opere di Sciascia non si ha
mai a che fare solo con una persona ma sempre si tratta di una catena di
rapporti – «la catena si allunga si allunga, si allunga tanto che mi ci posso
trovare impigliato anch’io, e il ministro, e il padreterno»1 – in cui figurano
come protagonisti la mafia e lo stato. Bisogna comunque menzionare che
la mafia non viene presentata solamente come una malavitosa
organizzazione clandestina ma anche come un fatto reale e normale
presente nella vita dei tutti – «l’essere mafioso non è tanto una questione
d’affiliazione a una misteriosa società quanto un certo modo di
comportarsi: una pratica sociale»2.
Tra i colpevoli presenti ne Il giorno della civetta e in A ciascuno il
suo si individuano due tipi, quelli che eseguono il delitto e i mandanti. Al
primo gruppo appartengono i sicari Raganà e Diego Marchica, deliquenti
incensurati, rispettati, intoccabili, i cui nomi, comunque, non sono molto
importanti per il lettore, perché il loro ruolo è abbastanza marginale. Anche
per questo il lettore apprende la loro identità e la funzione in anticipo,
ancora prima della fine della storia. Molto di più, invece, il lettore è
interessato a quelli che ordinano di commettere il delitto. Ne Il giorno della
civetta si tratta di don Arena e in A ciascuno il suo è l’avvocato Rosello.
Entrambi sono le persone molto rispettate, ricche, nel loro pease
41
considerate i pesci grossi, che hanno i legami con i politici non solo a
livello regionale ma anche a quello nazionale.
Ne Il contesto la situazione cambia, da una parte c’è il farmacista
Cres che crede di esser stato condannato ingiustamente e si mette a
uccidere i giudici. Per lui è la questione di pura vendetta, si tratta di un
crimine individuale, egli non vuole per mezzo di violenza né arricchirsi né
raggiungere una carica. Invece dall’altra parte ci sono i maggiori
rapresentanti dello stato che assumono le pratiche mafiose per
raggiungere il proprio scopo privato che non coincide con quello dello
Stato.
Per tutti i colpevoli presenti ne Il giorno della civetta, A ciascuno il
suo e Il contesto è comune un tratto, tuttavia molto importante che viola la
tradizione del giallo: i crimini rimangono mascherati, senza la punizione e
nessuno dei colpevoli è mai accusato e giustamente condannato ma è
sempre il vincitore che sconfigge l’investigatore.
2.3.3. Il narratore
«Questa piccola decisione doveva avere, nella sua vita, il ruolo della fatalità. [...]
l’incontro che fece salendo le scale del palazzo di giustizia, dove era andato per chiedere
il certificato della sua penale castità, indispensabile per entrare nel numero degli
automobilisti patentati, segnò lo scatto di un altro dato del problema. Il caso, per la
seconda volta: ma stavolta gravido della mortale fatalità.» 1
42
Da ciò risulta che si tratta del narratore onniscente, il quale adotta la
focalizzazione zero ma lascia spazio anche al punto di vista degli altri
personaggi.
Ogni tanto egli esprime il proprio giudizio come, per esempio, ne Il
giorno della civetta quando valuta il lavoro dei carabinieri:
oppure ne Il contesto:
«Martedì i funerali: quello di Rogas nella chiesa di San Rocco, piena di poliziotti e
bandiere (povero Rogas).»2
«Che un delitto si offra agli inquirenti come un quadro i cui elementi materiali e, per così
dire, stilistici consentano, se sottilmente reperiti e analizzati, una sicura attribuzione, è
corollario di tutti quei romanzi polizieschi cui buona parte dell’umanità si abbevera. Nella
realtà le cose stanno però diversamente: e i coefficienti dell’impunità e dell’errore sono
alti non perché (o non soltanto, o non sempre) è basso l’intelletto degli inquirenti, ma
perché gli elementi che un delitto offre sono di solito assolutamente insufficienti. Un
delitto, diciamo, commesso o organizzato da gente che ha tutta la buona volontà di
contribuire a tenere alto il coefficiente di impunità.» 3
43
2.3.4. Il tempo
2.3.5. Lo spazio
44
«Lei sa come vanno le zolfare, in questo momento [...] nella zolfara che lei sa; ci stiamo
rovinando, tutto il sangue mio, quel poco di capitale che avevo, la zolfara se lo sta
mangiando...»1
oppure
«ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci, in una zolfara abbandonata a metà
strada, in linea d’aria, tra il suo paese e il capoluogo» 2.
«un paese dove non avevano più corso le idee, dove i princìpi – ancora proclamati e
conclamati – venivano quotidiamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a
pure denominazioni nel giuoco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il
potere per il potere contava»3
2.3.6. I temi
45
dettagliata della Sicilia, dei siciliani e della loro cultura in maniera realistica
e cruda. Egli riesce a descrivere la gente con il suo modo di comportarsi,
di parlare e di pensare. È rigorosamente critico ed a volte sembra perfino
odiare il suo paese natale. Eppure lo ama, come risulta dalle parole del
capitano Bellodi:
oppure
«”Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto.” [...] Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare
a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.» 2
«”Che popolo”, pensò con un disprezzo venato di gelosia: e che in qualunque posto del
mondo, là dove l’orlo di una gonna saliva di qualche centimetro sul ginnochio, nel raggio
di trenta metri c’era sicuramente un siciliano, almeno uno, a spiare il fenomeno.» 3
46
«Ha detto cose da far rizzare i capelli: che la mafia esiste, che è una potente
organizzazione che controlla: pecore, ortaggi, lavori pubblici e vasi dei greci... [...] Voi ci
credete alla mafia? [...] Bravissimo. Noi due, siciliani, alla mafia non ci crediamo: questo,
a voi che a quanto pare ci credete, dovrebbe dire qualcosa. Ma vi capisco: non siete
siciliano, e i pregiudizi sono duri a morire. Col tempo vi convincerete che è tutta una
montatura.»1
«una associazione per delinquere, con i fini di illecito arricchimento per i propri associati,
e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si
capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza» 2
«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui
giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della
palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della
palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come
47
l’ago di mercurio di termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali:
su su per l’Italia, ed è già oltre Roma...»1
Si può costatare che Sciascia nei suoi gialli non si concentra solo
sul tema della mafia ma si occupa anche di una riflessione sullo Stato e
soprattutto sulla criminalizzazione dello Stato, il che diventa un tratto che
ai suoi gialli conferisce la loro specificità.2
Lo Stato nei gialli sciasciani è rappresentato dalle istituzioni come
la polizia, il tribunale e i politici. Dalla lettura dei gialli apprendiamo che le
istituzioni sono contagiate dalla criminalità, che manca la legge e che lo
Stato perde il suo ruolo perché non è più in grado di garantire
l’applicazione della legge e l’arresto dei criminali. Ne Il giorno della civetta
il capitano Bellodi è l’unico a rendersene conto e come un vero eroe
promette alla fine della storia di ritornare in Sicilia e di non arrendersi nella
sua lotta anche se gli dovessero rompere la testa. Mentre in A ciascuno il
suo la polizia sembra inefficace e perfino come se non esistesse, ne Il
Contesto tutta la situazione culmina, i maggiori rappresentanti preparano
un complotto contro lo Stato e la polizia invece di cercare un assassino
seriale lascia perseguitare l’ispettore Rogas, il quale alla fine della storia
viene perfino ucciso dalla stessa polizia.
«lo stile di Sciascia acquista quella sua particolare e severa disponibilità realistica e
insieme fortemente e suggestivamente intimista che oscilla tra la distanza quasi
imperturbabile del cronista e del testimone e l’oscura coscienza di chi se ne sente
complice e corresponsabile»3.
48
nelle sue opere è il scetticismo e la sfiducia di cui parla Sciascia stesso:
«Ma la storia siciliana è tutta una storia di sconfitte: sconfitte degli uomini
ragionevoli. Anche la mia storia è una storia di sconfitte. O, più
dimessamente, di delusioni.»1
Quanto al linguaggio di Sciascia ricorriamo alla definizione
espressa da Antonella Santoro, secondo la quale, nel suo saggio Camilleri
e Sciascia, tra storia e linguaggio, il linguaggio sciasciano è «asciutto,
essenziale, sottilmente ironico, intensamente pausato, allusivo, con un
lessico prevalentemente aulico e non dialettale»2.
49
dovrebbe dimenticare il fatto che tutti i delitti non avvengono mai per
accidente perché sono sempre programmati e motivati di un interesse.
Dopo la parte dedicata alle regole rispettate dobbiamo soffermarci
su quelle violate. Eccole. Ci accorgiamo che in A ciascuno il suo c’è la
storia d’amore perché il professor Laurana si innamora della vedova
Roscio. Ne Il contesto l’ispettore Rogas risulta come colpevole perché è
considerato l’assassino del capo dell’oposizione. Tra l’altro si nota che il
colpevole in A ciascuno il suo, il sicario Raganà, è scoperto per caso e
grazie a una coincidenza. Inoltre ne Il contesto l’ispettore Rogas piuttosto
deduce, lasciandosi influenzare dalla sua intuizione, che indaga. Si nota
che non è vero che i colpevoli devono essere sempre persone
insospettabili perché ad esempio ne Il giorno della civetta don Mariano
Arena ed il suo sicario sono ben conosciuti come membri della mafia. Non
è vero nemmeno che ci deve essere un solo colpevole perché, come
sappiamo, in tutti i gialli si ha a che fare con la complicità. Oltre ciò
bisogna aggiungere che nei gialli sciasciani sono presenti anche società
segrete e associazioni a delinquere, cioè la mafia. Un altro fatto da
ricordare è che in tutti e tre i gialli sono frequenti momenti in cui Sciascia si
dedica alle riflessioni, che non c’entrano molto con l’indagine stessa e
rallentano l’azione. Si tratta per esempio, ne Il giorno della civetta, del
discorso tra il capitano Bellodi e don Mariano Arena oppure, ne Il contesto,
del discorso dell’ispettore Rogas con il presidente della Corte Suprema.
Oltre ciò viene violata anche la regola che vieta la presenza dei deliquenti
di professione presi come colpevoli, vedi Il giorno della civetta e A
ciascuno il suo dove tra i colpevoli si trovano i sicari. Bisogna altrettanto
menzionare che i delitti non sono sempre provocati per i motivi personali,
per esempio ne Il giorno della civetta il signor Colasberna viene ucciso
perché si oppone alle esigenze della mafia e ne Il contesto l’ispettore
Rogas muore perché scopre il complotto contro lo Stato. Infine non si
dovrebbe dimenticare l’ultima regola violata che impedisce all’autore di
utilizzare gli indizzi banali, come scoprire il colpevole grazie al mozzicone
di sigaretta lasciata sul luogo del delitto, il che è avvenuto in A ciascuno il
suo.
50
I risultati del confronto precedente mostrano che Il giorno della
civetta, A ciascuno il suo e Il contesto violano nella maggior parte dei punti
le regole individuate da Van Dine. Si può quindi arrivare alla conclusione
che i testi sciasciani in questione si rivelano lontani dalla tradizione del
romanzo poliziesco, sia dal punto di vista della struttura, sia da quello del
tipo di investigatori e di colpevoli. Praticamente i gialli di Sciascia hanno
solo l’apparenza del giallo. Egli usa questa forma narrativa, la sperimenta
e la trasforma per poter reprodurre obiettivamente la realtà della vita. In
questo riguardo si osserva la sua ispirazione al giallo hard boiled che si
basa sul realismo. Sciascia sullo sfondo di un avvenimento reale
costruisce un intreccio poliziesco il cui obiettivo non è solo offrire al lettore
un passatempo ma spingerlo alla meditazione sulla realtà
contemporanea.1 I suoi gialli diventano, per quanto riguarda i temi trattati,
portatori della denuncia socio-politica, il cui oggetto è secondo Carlo
Salinari «la classe dirigente con la sua azione corruttrice, la sua
mancanza di ideali, la sua incapacità di creare un ordine giusto e
umano»2.
3. Andrea Camilleri
1 «La lettura di un poliziesco è, nel senso più proprio della parola, passatempo.» (L.
Sciascia, Breve storia del romanzo poliziesco, in Cruciverba, Einaudi, Torino 1983,
p.1181).
2 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 221.
3 Informazioni tratte da:
51
Egli, a differenza di Leonardo Sciascia, proviene da un altro strato
sociale – la sua famiglia era di commercianti di zolfo – e cresce in tale
ambiente che sveglia in lui già dalľinfanzia ľamore per la letteratura. Suo
padre, grande lettore di gialli, possiede quasi tutti i titoli della collana
mondadoriana e il piccolo Andrea li legge già da ragazzo di otto anni.
Dopo tre anni trascorsi in collegio si iscrive, nel 1939, al ginnasio-
liceo Empedocle ad Agrigento dove a causa della guerra ottiene la licenza
liceale evitando ľesame di maturità.
«Io appartengo a una generazione che non ha fatto ľesame di maturità. Noi siamo stati
promossi senza maturità, ľho scritto sulla "Stampa" quando mi chiedevano "Dottor
Camilleri, i temi di maturità..." e io discettavo su questi titoli felice di non aver mai fatto
quest'esame terribile.»1
52
rimane fedele alla RAI per trent'anni. Durante questo periodo realizza
1300 regie radiofoniche e 80 televisive di opere teatrali e di romanzi
sceneggiati. È noto come autore, sceneggiatore e regista di vari
programmi culturali, tra cui le serie poliziesche del Commissario Maigret di
Simeon e del Tenente Sheridan ottengono il maggiore successo.
«Io per Simeon avevo una predilezione particolare, per lui e per Van Dine. Ma pur
avendo letto nella mia vita, da sempre, tantissimi romanzi gialli, non avrei mai
immaginato che un giorno mi sarei occupato di una produzione televisiva di romanzi gialli
e, tanto meno, che ne avrei addirittura scritti.» 1
Intanto, nel 1967 gli viene voglia di scrivere una cosa sua.
«E così, a 42 anni, il primo aprile (lo feci apposta, è il giorno degli scherzi) del 1967
cominciai a scrivere il mio primo romanzo. Lo terminai il 27 dicembre del 1968: un anno e
nove mesi per poco più di un centinaio di pagine ognuna delle quali riscritta non meno di
quattro-cinque volte.»2
Si sta parlando del romanzo Corso delle cose, primo della serie
dei romanzi storici. Anche se Camilleri finisce di scriverlo nel 1968, la sua
pubblicazione avverà solo dopo dieci anni. Una casa editrice dopo ľaltra si
rifiuta di pubblicarlo e lo scrittore, probabilmente amareggiato per i riufiuti,
decide di non importunare più nessuno e di non continuare più a scrivere.
Intanto dal 1974 insegna alla facoltà di regia alľAccademia
Nazionale d'Arte Drammatica.
Dopo dieci anni il Corso delle cose viene proposto come soggetto
televisivo e allo stesso tempo un editore a pagamento, Lalli, viene con la
proposta di pubblicarlo, a patto che nei titoli di coda appaia il nome della
sua casa editrice. Stampato il libro, a Camilleri viene voglia di scrivere e
nel 1980 pubblica da Garzanti Un filo di fumo. Nel 1984 nella collana
verde di Sellerio esce ancora La strage dimenticata e per seguenti dodici
anni si prende una pausa per dar ľaddio al teatro.
53
Nel 1991 Andrea Camilleri è già in pensione e riprende la sua
attività letteraria. Sempre per Sellerio pubblica altri tre libri della serie di
romanzi storici: La stagione della caccia (1992), La bolla di componenda
(1993) e Il birraio di Preston (1994).
Il 1994 è ľanno in cui nasce il fenomeno del commissario
Montalbano. La serie dei gialli, situati nelľimmaginaria città di Vigàta, in
Sicilia, attrae non solo i lettori italiani ma viene tradotta anche in Francia,
Germania, Portogallo, Brasile, Spagna, Olanda, Giappone, Finlandia,
Ungheria, Polonia, Turchia e Repubblica Ceca.
«Camilleri guida la classifica dei libri più venduti, ma comincia a delinearsi adesso un
altro fenomeno, ancora più singolare e assolutamente nuovo per la storia delľeditoria
italiana: non uno solo, ma tutti, uno dopo ľaltro, i titoli di Camilleri entrano nelle
classifiche, occupando, di settimana in settimana, posizioni sempre più alte. [...] Nel
mese di luglio, nel 1999, arriva ad avere sei titoli su sei nella classifica dei libri più venduti
della narrativa italiana: una classifica fatta solo di libri di Camilleri.» 1
54
3.2.1. La forma delľacqua
55
Luparello, l’aveva messo in macchina ma preoccupato per poter cadere in
preda all’epilessia di cui soffre, aveva telefonato all’avvocato Rizzo,
braccio destro di suo zio. All’avvocato viene in mente di sfruttare la morte
di Luparello per fini politici e per la sua carriera. Per infangare e
compromettere la figura dell’ingegnere Luparello, Rizzo lascia la macchina
con il cadavere dell’ingegnere alla «mànnara». Giorgio che scopre il
tradimento del Rizzo lo uccide. La polizia crede che sia il lavoro della
mafia con la quale Rizzo aveva i rapporti e non sospetta nessun’altra
persona. Il giorno dopo Giorgio muore precipitandosi con la macchina
sulla scogliera. Se si tratta dell’incidente o del suicidio non è specificato.
Montalbano, pur essendo consapevole di tutti i fatti, non accusa
Giorgio dell’omicidio del Rizzo e chiude il caso. L’unica persona che
apprende tutta la storia e tutta la verità è la fidanzata di Montalbano, Livia,
la quale lo rimprovera di non essersi comportato come poliziotto e di
essersi autopromosso a un dio.
Tano u grecu, uno dei pesci grossi della mafia, vuole parlare di
persona con Montalbano. Tramite Gegè, organizzatore del traffico con la
prostituzione alla «mànnara» e compagno di scuola di Montalbano, fissa
l’appuntamento in un luogo disabitato. Tano svela a Montalbano di sentirsi
malato e stanco, di non avere più la sua posizione stabile e di preferire
farsi arrestare e rimanere per il resto della sua vita in carcere che esser
ammazzato dalla mafia. Vuole farsi arrestare ma allo stesso tempo vuole
salvare anche la faccia e per quello neccesita una piccola messinscena.
Intanto un gruppo rapina un supermercato, carica il camion, parte
e dopo qualche ora lascia tutta la merce rubata assieme al camion al
posteggio al distributore di benzina. Il proprietario del supermercato,
Carmelo Ingrassia, nega tutto affermando che si tratti di uno scherzo.
L’unico testimone, il cavaliere Misuraca, ha un incidente mortale a causa
di freni guasti, ma prima di morire invia a Montalbano una lettera in cui
svela il suo sospetto sul proprietario del supermercato.
56
Mentre Tano u grecu viene trasferito in un altro carcere arriva una
potente motocicletta con due persone sopra, con il volto coperto dal
casco, le quali ammazzano due agenti e feriscono Tano. Egli,
mortalmente ferito, vuole fare un regalo personale a Montalbano e gli
svela uno dei luoghi strategici della mafia, la grotta del monte
Crasticeddru. Lì Montalbano assieme ai suoi subordinati trova un deposito
di armi.
Intanto Montalbano scopre che il cavaliere Misuraca non è morto
accidentalmente e che i freni della sua macchina sono stati manomessi.
Seguendo questa strada e gli indizi trovati nella grotta arriva alla
conclusione che questi due casi sono in relazione e che ha a che fare con
un ben organizzato traffico di armi, a cui partecipano il proprietario del
supermercato, la ditta Brancato (il fornitore degli elettrodomestici destinati
ai supermercati) e i pesci grossi della mafia.
Nella grotta Montalbano si accorge di un dettaglio particolare e
scopre l’esistenza del doppio fondo e l’altra grotta, nella quale sono trovati
i cadaveri abbracciati di due amanti1 assassinati. Sono posati su un
tappeto e i loro corpi sono circondati da una ciotola, un «bùmmolo»2 e un
cane di terracotta, facendo così vertice del triangolo.
Montalbano è così appassionato del caso misterioso da smettere
di occuparsi di quello del traffico di armi. In questo punto Mimì Augello, il
suo vice, prende l’iniziativa e si mette a pedinare il proprietario del
supermercato. La sua operazione porta comunque esiti tragici. Viene
ammazzato il braccio destro di Tano u grecu, Petru Gullo. Montalbano e il
suo amico Gegè diventano bersaglio di una sparatoria, il commissario ne
esce ferito ma Gegè muore. La mafia pulisce la strada e cerca di eliminare
le tracce, che potrebbero condurre ai pesci più grossi, ammazzando il
proprietario del supermercato e il rappresentante della ditta Brancato.
Durante la sua convalescenza Montalbano riprende l’indagine sul
caso dei due amanti assassinati cinquant’anni prima e grazie alla
testimonianza del preside Burgio e sua moglie si mette a seguire la strada
57
giusta che lo conduce alla loro identificazione, ai nomi Lisetta e Mario. Tra
gli ultimi misteri che gli rimangono da risolvere è trovare l’assassino e il
motivo perché l’assassino aveva spostato i cadaveri nella grotta e aveva
allestito la messinscena con la ciotola, il bùmmolo e il cane di terracotta.
Solo per caso Montalbano ascolta una leggenda mussulmana sui
dormienti, i cui corpi sono sorvegliati dal cane Kytmyr, grazie alla quale
riesce a decifrare il mistero della messinscena e scoprire il suo autore. Si
tratta del cugino di Lisetta, Lillo, che sposta i due amanti, uccisi per
gelosia dal padre di Lisetta, nella grotta affinché possano continuare a
dormire.
58
un posto lontano da tutto e da tutti, dove si fa mettere luce e telefono.
L’intuizione suggerisce a Montalbano che si tratti di un’organizzazione che
per i suoi affari illeciti si serve di Internet e che qua si può mettere in
contatto con tutto il mondo.
Tra i materiali scritti da Nenè Sanfilippo, Montalbano trova la
conferma della sua ipotesi e riesce a costruire tutti i pezzi del puzzle. A
Vigàta è costituita una sede di una nuova cosca mafiosa internazionale
che si occupa di un traffico di organi umani, nel quale viene coinvolto il
dottor Ingrò, Nenè Sanfilippo, due anziani e anche Japichinu, nipote di don
Sinagra. Visto che l’organizzazione si accorge del rapporto intimo tra
Nenè e la moglie del dottor Ingrò, si preoccupa per i guai e di esser
scoperta, decide di cancellare la sede a Vigàta e di eliminare i testimoni.
Nenè e due anziani sono ammazzati. Nel caso del dottor Ingrò sono
indecisi, perché può ancora servirgli. Don Sinagra fa ammazzare suo
nipote perché non vuole che egli faccia alleanza con la nuova mafia.
Montalbano non riesce a controllarsi e viene a casa del dottor Ingrò con
un’inspiegabile voglia di ammazzarlo. All’intenzione di Montalbano
impediscono i suoi due colleghi che arrivano in tempo a casa del dottor
Ingrò e lasciano sfuggire il commissario. Il dottor Ingrò, tutto spaventato
perché considera Montalbano un sicario, decide di confessare tutto alla
polizia. Della scoperta dell’organizzazione illecita informa il giornalista
Nicolo Zitò.
3.3. Ľanalisi
3.3.1. La struttura
a) La forma dell’acqua
A partire dal primo giallo di Camilleri, La forma dell’acqua, si
osserva che il primo capitolo funziona all’inizio come periodo d’attesa,
durante il quale viene descritto luogo, alcuni personaggi secondari e solo
verso la fine del capitolo si scopre il delitto. Il lettore non assiste
direttamente all’assassinio ma è il testimone della scoperta del cadavere.
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«La macchina pareva vacante. Si avvicinò ancora e finalmente vide la sagoma confusa di
un uomo, immobile allato al posto di guida, la testa appoggiata all’indietro. Pareva calato
in un sonno profondo. Ma a pelle, a fiato, Pino capì che c’era qualcosa che non quatrava.
[...] Facendosi coraggio, Pino si avvicinò dal lato di guida, cercò di aprire la portiera, non
ci arriniscì, era chiusa con la sicura. [...] l’auto, una grossa BMW verde, era così
accostata alla siepe da impedire che da quella parte qualcuno potesse farsi vicino. Ma
sporgendosi e graffiandosi sui rovi riuscirono a vedere meglio la faccia dell’uomo. Non
dormiva, aveva gli occhi aperti e fissi. Nello stesso momento in cui s’accorsero che
l’uomo era astutato, Pino e Saro aggelarono di scanto, di spavento: non per la vista della
morte, ma perché avevano riconosciuto il morto.»1
«Montalbano si confermò nella sua convinzione: se c’era al mondo una persona alla
quale avrebbe potuto cantare la messa intera e solenne, quella era Livia. Al questore
60
aveva solo cantata la mezza messa, e magari saltando. Si alzò a metà sul letto, si
sistemò il cuscino. “Ascoltami”.»1
b) Il cane di terracotta
La struttura de Il cane di terracotta risulta diversa e molto più
complicata rispetto al giallo precedente e alla struttura di base del
romanzo poliziesco.
Il libro è diviso in venticinque capitoli e comprende due storie, la
storia del traffico di armi e la storia dei due amanti, trovati dopo
cinquant’anni in una grotta. La prima storia prevale fino al capitolo undici, il
quale allo stesso tempo funge dal punto di partenza della seconda storia.
Le due storie sono compresenti fino al capitolo diciassette e nei capitoli
seguenti inizia a prevalere la storia dei due amanti. La struttura del libro
potrebbe essere schematizzata in questo modo:
B
A
1 11 17 25
61
Bisogna aggiungere che tutte e due le storie rispettano più o
meno lo schema della struttura di base del romanzo poliziesco, cioè il
delitto, l’indagine, lo smascheramento del colpevole e il ristabilimento
dell’equilibrio spezzato.
A partire dalla storia del traffico di armi i primi quattro capitoli, in
cui si svolge la messinscena con Tano u grecu e viene rapinato il
supermercato, fungono dal periodo d’attesa. Il delitto viene commesso nel
capitolo cinque, anche se a prima vista sembra che sia solo un incidente
stradale.
«Il morto, uno solo. S’è fatto la discesa della Catena a rotta di collo, evidentemente non
gli funzionavano i freni, ed è andato a incastrarsi sotto a un camion, che in senso inverso,
principiava la salita. Poverazzo, è morto sul colpo. [...] Il cavaliere Misuraca.» 1
«Da viottolo è arrivata la classica potente motocicletta con due sopra, assolutamente
anonimi per via del casco... Morti i due agenti, lui sta agonizzando in ospedale.» 2
62
ritorna in scena perché viene commesso un altro delitto, viene trovato un
cadavere dentro la macchina alla «mànnara». La tensione culmina in
seguito, nel capitolo sedici, quando Montalbano e Gegè diventano
bersaglio di una sparatoria, durante la quale Gegè muore e Montalbano è
ferito. Il lettore teme che da ora inizi il pericolo per Montalbano perché la
mafia vorrebbe ucciderlo.
Comunque, nonostante tutto questo, la storia ristagna e si
conclude confermando la ipotesi di Montalbano e scoprendo che
l’assassino del cavaliere Misuraca e dell’uomo alla «mànnara» e
l’organizzatore della rapina e della sparatoria sono la stessa persona: il
proprietario del supermercato.
Il caso è chiuso, la mafia ammazza i punti deboli della sua catena,
cioè il proprietario del supermercato e il rappresentante della ditta
Brancato. La polizia non riesce ad arrivare ai pesci più grossi e può
iniziare da capo. La situazione viene ristabilita soltanto dal punto di vista
della mafia.
Per quanto riguarda la storia dei due amanti morti, essa inizia a
svolgersi nel capitolo undici dopo che sono trovati due cadaveri. Il punto
connettivo tra l’una e l’altra storia è la grotta e ovviamente il commissario
Montalbano.
La fase dell’indagine viene avviata nel capitolo dodici subito dopo
il ritrovamento dei due cadaveri e in alcuni momenti seguenti viene
interrotta dalle vicende relative alla storia del traffico di armi. Nel capitolo
diciotto riprende il suo filo in pieno. Dato che il delitto è stato commesso
circa cinquant’anni fa tutta l’indagine pare essere svolta «in pantofole»,
come dichiara anche Montalbano stesso, davanti al caffè, tra le vecchie
fotografie, lettere e i ricordi di quelli che ancora vivono.
Il caso dei due amanti è avvolto da molti misteri: Come si
chiamano gli amanti? Chi è il loro assassino? Perché li ha spostati nella
grotta e ha allestito la messinscena? L’assassino e l’autore della
messinscena sono la stessa persona? Il lettore trova nel corso
dell’indagine una risposta dopo l’altra e Montalbano gli presenta in anticipo
la sua soluzione ipotetica. Per poter confermare questa soluzione il
commissario deve trovare l’autore della messinscena che è sparito
63
cinquant’anni prima. Tramite i mass media gli manda un messaggio e
aspetta la risposta. In questo momento culmina la storia e il lettore attende
con trepidazione come finirà.
La situazione viene ristabilita, Montalbano riesce a trovarlo e la
sua ipotesi viene confermata.
Quanto a Il cane di terracotta si tratta in realtà di due gialli inseriti
in un libro, le cui vicende sono fortemente interotte dalla linea narrativa
riguardante la vita personale di Montalbano.
c) La gita a Tindari
Il libro è diviso in diciassette capitoli, la struttura risulta molto
lineare e rispetta lo schema della struttura di base del romanzo poliziesco.
Subito nel primo capitolo viene commesso il delitto e nel capitolo
seguente viene annunciata la scomparsa dei due anziani pensionati. Il
lettore non assiste direttamente all’assassinio ma diventa il testimone della
scoperta del cadavere.
«Si continuava a sentire un lamento, una specie di mugolìo. A farlo, era una cinquantina1,
tutta vestita a lutto stritto, due òmini la tenevano a forza perché non si gettasse sul
cadavere che giaceva sul marciapiede a panza all’aria, il disegno della faccia reso
illeggibile dal colpo che l’aveva pigliato in mezzo agli occhi.»2
1 Camilleri usa l’espressione “una cinquantina” per indicare una donna di cinquant’anni.
2 A. CAMILLERI, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000, p. 15.
64
La fase dell’indagine è abbastanza aggrovigliata, in più viene in
alcuni momenti interrotta dalla linea narrativa riguardante la vita privata del
commissario Montalbano e dai suoi innumerevoli pensieri e riflessioni.
Il momento della tensione, in cui culmina la storia, non è quello
dello smascheramento del colpevole, peché il colpevole viene già
accennato in anticipo, nella ipotetica soluzione proposta da Montalbano, la
quale nell’ultimo capitolo si dimostra essere quella autentica. Il punto
culminante della tensione avviene, dopo lo smascheramento dei colpevoli,
quando Montalbano viene dal dottor Ingrò con un’inspiegabile voglia di
ammazzarlo:
«Montalbano non riuscì più a tenersi. Fece due passi avanti, isò il piede e lo sparò in
piena faccia al professore. Che cadde narrè, stavolta riuscendo a gridare. [...] Si teneva
la faccia tra le mani, il sangue, dal naso rotto, gli colava tra le dita. Montalbano sollevò
ancora il piede. "Basta così" disse una voce alle sue spalle. Si voltò di scatto. Sulla porta
c’erano Augello e Fazio, tutti e due con le pistole in mano.» 1
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Tra l’altro si nota la presenza di alcuni tratti usati nella narrattiva
dell’hard boiled. Innanzitutto ci sono alcune scene ricche di tensione,
specialmente ne Il cane di terracotta, che suscitano un’atmosfera
pericolosa per il protagonista (il primo incontro di Montalbano con Tano u
grecu, la sparatoria alla «mannàra»). Comunque il loro ruolo è piuttosto
marginale e non assume tale intensità come nell’hard boiled.
A differenza dei gialli classici in cui l’indagine costituisce il filo
principale dell’intreccio, nei gialli di Camilleri la storia dell’indagine è
frequentemente interrotta dalle vicende relative alla figura del commissario
e ai suoi problemi della vita quotidiana che servono all’approfondimento
del rapporto tra il lettore e il personaggio.
È da sottolineare che l’atteso punto culminante della storia e la
sorpresa finale non vengono mai attribuiti, come avviene nel giallo
classico, allo smascheramento del colpevole e alla soluzione del caso –
visto che il colpevole e la ipotetica soluzione vengono sempre accennati in
anticipo – ma a un altro avvenimento (come per esempio ne La gita a
Tindari il tentativo di Montalbano di uccidere il dottor Ingrò), il che rende la
struttura più interessante.
Quanto al ristabilimento dell’equilibrio spezzato ci sono due punti
di vista da considerare, il punto di vista dei personaggi e il punto di vista
del giallo. Nel primo caso il ristabilimento dell’equilibrio spezzato viene
effettuato come abbiamo spiegato sopra nell’analisi della struttura de La
forma dell’acqua, de Il cane di terracotta e de La gita a Tindari. Nel
secondo caso, dal punto di vista del giallo, si aspetta che la verità – cioè le
risposte alle domande “chi era l’assassino?”, “perché?”, “come?”, e “come
scoprirlo?” – diventino ufficiali e che la società sia tranquilizzata dalla
giusta condanna. In questo modo si conclude solo La gita a Tindari che
rappresenta il ritorno alla tradizione, perché negli altri casi la verità ufficiale
viene sostituita da quella individuale, visto che l’unico a conoscerla è
sempre il commissario Montalbano.
66
3.3.2. I personaggi
«Nel momento in cui dovetti dare un nome al mio commissario fecero concorso due cose:
il fatto che il nome Montalbano è uno dei più diffusi della Sicilia e un ringraziamento a
Vázquez Montalbán per avermi dato una soffiata per la soluzione della struttura
temporale del Birraio di Preston.»1
«Non sono debitore di niente a Pepe Carvalho per ciò che riguarda Montalbano, sono
personaggi diversi i nostri.»2
oppure
– ammettendo solo un tratto comune, cioè che tutti e tre gli investigatori
hanno la passione per la letteratura, per il mangiare e per il bere. Camilleri
invece conferma di essersi ispirato a Leonardo Sciascia, di cui si
rispecchiano nella figura di Montalbano «l’ironia e una certa timidezza»4.
67
Se Camilleri parla di timidezza pensa al disagio di Sciascia e di
Montalbano nel parlare in pubblico.
Ora bisogna tornare all’analisi dell’investigatore. Il commissario
Montalbano è siciliano, originario di Catania e lavora al commissariato a
Vigàta. Alla sua fidanzata Livia, che vive lontano da lui a Genova, è
rigidamente fedele ma dall’altra parte ha paura di sposarla e di affrontare
le conseguenze del matrimonio. Montalbano è profondamente radicato
nella sua terra, ama la Sicilia, i suoi gusti e colori, la sua storia e
l’architettura e la patrocina di fronte a Livia, la quale assieme alla maggior
parte degli italiani non la capisce.
Quanto alla sua età ne La gita a Tindari l’autore accenna che
Montalbano è «un cinquantino». Visto che il primo giallo, La forma
dell’acqua, si svolge nel 1993 e apre la serie, Montalbano ha in questo
periodo probabilmente quarantatre anni. Per quanto riguarda il suo
aspetto fisico non sono forniti dettagli oltre al fatto che gli piace stare a
casa nudo.
Si osserva che da La forma dell’acqua in avanti la figura del
commissario si sviluppa e l’autore dedica alla sua vita sempre più spazio
nella storia. In questo riguardo il lettore apprende marcatamente più
informazioni relativi al passato del commissario che agli altri personaggi.
Ci sono varie allusioni all’infanzia e alla giovinezza di Montalbano, ai suoi
genitori e agli amici.
Montalbano – «quando voleva capire una cosa, la capiva» – è un
vero uomo, onesto, sincero, intelligente, ma anche furbo e soprattutto
dotato di sano umorismo e fine sarcasmo. Ha la tendenza a arrabbiarsi
subito, a sbottare e a rinfacciare senza scrupoli tutto a tutti. Le sue
passioni sono il mangiare, il bere, la letteratura e in certo senso anche le
donne e la loro bellezza. Rispetto agli investigatori di Sciascia che sono
considerati outsiders della società, Montalbano rispecchia in sé l’immagine
della società siciliana nella quale vive. Egli conosce benissimo il suo
ambiente e la gente che lo circonda con il suo specifico modo di pensare e
di reagire.
Il suo carattere influenza il suo modo anticonformista di indagare.
Dubita delle cose che agli altri sembrano chiare e normali. Dove gli altri
68
non cercano niente egli si mette a frugare. Costretto dalla sua passione
investigativa spesso si muove per conto suo e percorre tutti gli strati
sociali. «Da tragediatore dissimula, nasconde anche a superiori e colleghi
la sua intelligenza professionale, il suo eccezionale fiuto di segugio.»1 Al
suo vice Augello spiega, ne Il cane di terracotta, «d’essere una specie di
cacciatore solitario»2.
Si fida più della intuizione che della logica. Non usa metodi
speciali e non ha nessun piano. Si lascia influenzare dalle impressioni e
per venirci a capo ha bisogno di un posto tranquillo dove si nasconde e
riflette. Non porta quasi mai la pistola e ogni tanto si muove al limite del
lecito. Si permette perfino di tacere la verità e coprire il colpevole. «Nelle
sue indagini non c’è niente di personale, non c’è neppure la volontà di
catturare il criminale quanto di arrivare a cogliere il mistero del crimine.»3
Bisogna aggiungere che nell’arco di tempo che va dal 1993 al
2000 evidentemente è cambiato. Non si vede più il suo entusiasmo
investigativo iniziale ma una certa stanchezza e un senso di disgusto
verso la realtà che lo circonda.
Sulla base dell’analisi del nostro investigatore e del confronto con
la tradizione del romanzo poliziesco si può dire che nella figura del
commissario Montalbano si amalgamano i tratti caratteristici relativi sia
all’investigatore del giallo classico, sia a quello dell’hard boiled. Tra l’altro
è da sottolineare che nei gialli di Camilleri, rispetto alla tradizione del
romanzo poliziesco, si dà risalto in generale all’aspetto psicologico
dell’investigatore, il che è considerato un elemento innovativo.
69
in questione non si ha mai a che fare con un solo delitto ma sempre si
tratta di una serie di delitti. Ne La forma dell’acqua ce ne sono tre:
vengono uccisi l’ingegnere Luparello, l’avvocato Rizzo e Giorgio (nipote di
Luparello). Ne Il cane di terracotta ce ne sono perfino dieci: muoiono
ammazzati Tano u grecu con due agenti di polizia e il suo braccio destro
Petru Gullo, il cavaliere Misuraca, Gegè, il signor Ingrassia con il
rappresentante della ditta Brancato, Mario e Lisetta (due innamorati della
grotta). E ne La gita a Tindari sono assassinate quattro persone: Nenè
Sanfilippo, i Griffo (coniugi anziani) e Japichinu Sinagra. Le vittime non
compaiono solo all’inizio del testo ma anche nel suo corso.
Nei gialli di Camilleri si possono individuare alcune categorie di
vittime. In prevalenza c’è la categoria dei testimoni scomodi che possono
mettere in pericolo i membri della mafia oppure il traffico di armi e quello di
organi umani. A questa categoria di vittime appartengono il cavaliere
Misuraca, il signor Ingrassia e il rappresentante della ditta Brancato (Il
cane di terracotta), poi Nenè Sanfilippo e i Griffo (La gita a Tindari). L’altra
categoria è quella di vittime del delitto passionale. In questo caso si può
parlare di Mario e Lisetta (Il cane di terracotta), due innamorati uccisi dal
padre geloso di Lisetta. Ci sono anche le vittime capitate nell’affare per
caso, come ad esempio due agenti di polizia (Il cane di terracotta) che
accompagnano Tano u grecu durante il suo trasferimento in un altro
carcere. Tano u grecu (Il cane di terracotta) e Japichinu (La gita a Tindari)
sono diventate vittime perché hanno violato le regole imposte dalla mafia:
il primo si è fatto volontariamente catturare e il secondo ha tradito suo
nonno, il capo della sua cosca mafiosa, e voleva collaborare con una
cosca oppositore. Nel testo appaiono anche le vittime che dovrebbero
imbrogliare l’indagine come ad esempio Petru Gullo e Gegè (Il cane di
terracotta), la cui morte doveva allontanare l’attenzione della polizia dal
traffico di arme.
Un caso interessante è La forma dell’acqua dove dal punto di
vista del giallo non ci sono la vittima e il colpevole in vero senso della
parola. L’ingegnere Luparello non viene ammazzato ma si tratta della
morte naturale. Comunque dopo la sua morte diventa la vittima di un gioco
sporco dell’avvocato Rizzo. L’avvocato Rizzo non è l’assassino ma sfrutta
70
della morte di Luparello per i suoi fini politici e non mantiene la promessa
data a Giorgio. Per il suo tradimento viene ucciso da Giorgio e diventa la
vittima. Giorgio è l’assassino ma allo stesso tempo diventa la vittima di un
incidente stradale che sembra essere un suicidio. Da ciò risulta che il
ruolo dei personaggi ne La forma dell’acqua è abbastanza ambiguo. Di
questa ambiguità possiamo accorgerci anche nella figura del commissario
che da una parte è il rappresentante della legge ma dall’altra viola la legge
e copre il delitto e l’assassino (Giorgio).
Oltre all’ambiguità delle vittime e del commissario si osserva che
nei gialli di Camilleri il ruolo della vittima è un ruolo che può capitare a tutti
– capita ai testimoni come ai colpevoli ma può capitare anche
all’investigatore (si ricorda quando Montalbano diventa bersaglio di una
sparatoria e ne esce ferito) – il che sono i tratti specifici che rimandano
alla narrativa dell’hard boiled.
71
nell’altro caso riguardante gli anelli deboli, sono sempre ammazzati in
pieno giorno davanti alla gente.
Ne La forma dell’acqua e ne Il cane di terracotta i colpevoli non
sono mai accusati e condannati, il che è un tratto distintivo dalla tradizione
del romanzo poliziesco, in cui i cattivi sono sempre sconfitti. Invece ne La
gita a Tindari l’organizzazione criminale senza una faccia concreta viene
per la prima volta ufficialmente accusata davanti alla società e uno dei
suoi membri fornisce una testimonianza alla polizia. Da ciò risulta che La
gita a Tindari si allontana il meno possibile dalla tradizione del romanzo
poliziesco.
3.3.3. Il narratore
1M. NOVELLI, L’isola delle voci, p. LXXV, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura
e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio
Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.
72
dalle spiegazioni delle parole in dialetto e dagli ingranaggi mentali di
Montalbano.
Oltre a tutto questo bisogna aggiungere che il narratore varia la
sua focalizzazione adottando quella zero e quella interna con i punti di
vista dei personaggi.
3.3.4. Il tempo
3.3.5. Lo spazio
73
cane di terracotta e La gita a Tindari, sono ambientati in Sicilia, in una
piccola città, chiamata Vigàta. Si tratta di un posto geograficamente
inesistente che viene ben definito da un critico letterario come «il centro
più inventato della Sicilia più tipica»1.
«Agrigento sarebbe la Montelusa dei miei romanzi, però Montelusa non è un’invenzione
mia ma di Pirandello che ha usato questo nome molte volte nelle sue novelle: l’Agrigento
di oggi la chiamava Girgenti e anche Montelusa. Ed io gli ho rubato il nome, tanto non
può protestare.»3
1 L. CROVI, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, pp. 183-184.
2 Disponibile online all’indirizzo www.andreacamilleri.net.
3 Disponibile online all’indirizzo www.andreacamilleri.net.
4 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 13.
74
luogo dove fiorisce la prostituzione e i preservativi formano un tappeto.
Dalla parte opposta alla mànnara c’è la zona Marinella, lontana dall’abitato
cittadino, dove sulla spiaggia, nella casa a pochi metri dal mare abita
Montalbano.
Oltre a Vigàta, l’autore descrive anche il paesaggio che sta nelle
vicinanze, e le sue bellezze selvagge che piacciono così tanto al
commissario Montalbano.
«Il commissario principiò a taliare quella parte di paesaggio della sua isola che più gli
faceva garbo. [...] Aride colline, quasi tumoli giganteschi, coperte solo di stoppie gialle
d’erba secca, abbandonate dalla mano dell’uomo per soppravvenute sconfitte dovute alla
siccità, all’arsura o più semplicemente alla stanchezza di un combattimento perso in
partenza, di tanto in tanto interrotte dal grigio di rocce a pinnacolo, assurdamente nate
dal nulla o forse piovute dall’alto, stalattiti o stalagmiti di quella fonda grotta a cielo aperto
ch’era la Sicilia. Le rare case, tutte di solo pianoterra, dammùsi, cubi di pietre a secco,
erano messe di sghembo, quasi che avessero fortunosamente resistito a una violenta
sgroppata della terra che non voleva sentirsele sopra. C’era sì qualche rara macchia di
verde, ma non d’alberi o di colture, bensì d’agavi, di spinasanta, di saggina, d’erbaspada,
stenta, impolverata, prossima anch’essa alla resa.»1
75
Il vigatese è costituito dall’italiano parlato e dalla variante
agrigentina del siciliano, la quale, secondo Luigi Pirandello, è
«incontestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni, per certe
sue particolarità fonetiche, che forse più di ogni altra la avvicinano alla
lingua italiana».1 Si osserva che Camilleri cerca di rendere il vigatese più
comprensibile ai suoi lettori e nei testi appaiono così parole semplificate
che assomigliano di più all’italiano. Ad esempio, invece di travagghiu usa
travagliu, invece di figghiu usa figliu, ecc. Per suggerire la pronuncia
cacuminale inserisce regolarmente una erre, scrivendo ad esempio
viddrano e non viddano, beddra e non bedda. Un altro tratto da notare è
che il siciliano intacca pesantemente anche la fonomorfologia
desinenziale: libra, favi, èssiri, silenziu, facivanu fari, fetu, linzòla, ecc. 2
Sul piano lessicale poi spiccano i termini frequentemente usati
come ad esempio: taliata, camurrìa, darrè, gana, macari, manco,
tanticchia, acchianari, pigliare, cangiare, cataminare, picca, nenti e così
via, i quali «rappresentano il primo e imprescindibile gradino che il lettore
deve salire per poter poi procedere senza soste, assecondando il rapido
fluire del racconto»3.
Tra l’altro bisogna aggiungere che ai tratti distintivi appartengono
anche l’uso continuo del passato remoto e la collocazione del verbo a
destra.4 Come ad esempio ne La forma dell’acqua «lei comunista è», ne Il
cane di terracotta «male cascò» oppure ne La gita a Tindari «Fiducia devi
avere».
Quanto al dialetto puro, esso viene riservato esclusivamente ai
personaggi dell’ambiente popolare. Lo testimonia anche il seguente
discorso di Montalbano con la sua «cammarera» Adelina5:
76
“Lu seppi in paisi.”
Tutti, a Vigàta, sapevano tutto di tutti.
“Che mi hai accattato?”
“Ci faccio la pasta con le sardi e pi secunnu purpi alla carrettera.”
“Dottori, lei putacaso mi saprebbi fare la nominata di un medico di quelli che sono
specialisti?”
“Specialista di cosa, Catarè?”
“Di malattia venerea.”
Montalbano spalancato la bocca per lo stupore.
“Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigliasti?”
“Io m’arricordo che questa malattia mi venne quando ero ancora nico, non avevo manco
sei o sette anni.”
“Ma che minchia mi vai contando, Catarè? Sei sicuro che si tratta di una malattia
venerea?”
“Sicurissimo, dottori. Va e viene, va e viene. Venerea.” 2
oppure
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“Sissi, dottori. De Cicco m’ha detto che la lizioni è come devono fari se pi caso devono
fari la pipì.”
Montalbano sbalordì.
“Ma che mi dici, Catarè!”
“Ci lo giuro, dottori.”
A questo punto il commissario ebbe un lampo.
“Catarè, non è la pipì, ma semmai la pipìa, PPA. Che viene a dire “probabile profilo
dell’aggressore. Hai capito?”
“Nonsi, dottori.”1
3.3.7. I temi
78
A partire dalla Sicilia che viene raffigurata con le sue bellezze
selvagge della natura, con la sua ricchezza archeologica e con i suoi
sapori, l’autore offre anche il ritratto sociale dell’isola. Il lettore è il
testimone della vita siciliana: conosce i siciliani e le loro condizioni di vita,
il loro modo specifico di comportarsi, di pensare e di parlare, conosce le
loro qualità, la genuinità e il senso dell’umorismo.
Le condizioni di vita dei siciliani non sono sempre le migliori: da
una parte c’è la gente (spesso avvocati, politici, medici, mafiosi) che
possiede belle case, le macchine potenti e vive in lusso, dall’altra la gente
che a malapena riesce a vivere con la piccola pensione, che sebbene sia
diplomata non può trovare buon lavoro e deve accontentarsi di professioni
degradanti come per esempio quella di «munnizzario»1. Tutto dipende dai
buoni contatti e rapporti con le persone importanti che occupano i posti
alti. E così può capitare che uno lento a capire e ad agire ottiene un buon
lavoro, come Catarella che
«era stato pigliato nella polizia certamente perché lontano parente dell’ex onnipotente
onorevole Cusumano che, dopo un’estate passata al fresco del carcere dell’Ucciardone,
aveva saputo riannodare legami coi nuovi potenti tanto da guadagnarsi una larga fetta di
torta.»2
Tra gli altri tratti caratteristici relativi alla natura dei siciliani che
spiccano nei gialli di Camilleri sono per esempio:
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1) la gelosia e la paura delle corna:
«La genti [...] telefona. Conta cose vere, cose immaginate, cose possibili, cose
impossibili, [...] gonfia, sgonfia e sempre senza mai dire nome e cognome di chi sta
parlando. Fanno i numeri verdi dove uno può dire le peggiori minchiate di questo mondo
senza assumersene la responsabilità! E intanto gli esperti di mafia s’entusiasmano: in
Sicilia cala l’omertà, cala la complicità, cala la paura! Non cala un cazzo, aumenta solo la
bolletta della Sip.»2
«Ma se lo sapete tutti che una volta ogni quindici giorni ci tagliano le gomme! Cristo! E io
ogni mattina v’avverto: taliàtele3 prima di partire! E voi invece ve ne fottete, stronzi!»4
«Non lo volete capire che tagliarci le gomme è lo sport nazionale di questo minchia di
paese?»5
citazione: «Il commissario principiò a taliare quella parte di paesaggio della sua isola che
più gli faceva garbo» (A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 72).
4 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 21.
5 Ivi, p. 146.
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Per quanto riguarda l’argomento della mafia esso prevale
soprattutto ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari. Ne La forma
dell’acqua viene solo accennato all’esistenza della corruzione e dei legami
tra la mafia e gli avvocati, i politici e i magistrati che spesso in cambio di
una percentuale del guadagno chiudono gli occhi e silenziosamente
promuovono gli affari illeciti, come per esempio nel caso di Gegè e il suo
mercato con la prostituzione e le droghe leggere. Oltre a questi tratti si
parla anche delle talpe presenti tra i membri della polizia, il lettore
apprende come la mafia si vendica per il tradimento, che mezzi usa per
ammazzare le persone scomode, ecc.
Sebbene Camilleri afferma di aver scelto di non parlare della
mafia di oggi – «ho scelto di non parlare della mafia di oggi perché non
credo di capirci, e poi c’è gente che ne sa e ne capisce molto più di me»1
– ci accorgiamo che non lo è del tutto vero perché ne Il cane di terracotta
e ne La gita a Tindari si osserva il suo tentativo di mostrare le differenze
tra la vecchia e nuova mafia. Questo tentativo è più marcante ne La gita a
Tindari dove il ruolo del colpevole viene assunto addirittura dalla mafia
nuova.
Essa rispetto a quella vecchia è più anonima, senza la faccia e i
nomi. È imprevedibile perché non rispetta le regole del gioco sporco, è
spietata e crudele. Nella sua ottica l’uomo non passa per l’essere umano,
è solo un pezzo di carne che può essere ucciso per piacere, per il
business con gli organi umani o semplicemente così senza un motivo. La
differenza tra la vecchia e nuova generazione della mafia è ben spiegata
ne La gita a Tindari dall’ottantenne capo mafioso, don Balduccio:
«abbiamo macari fatto sbagli grossissimi, ma sempri abbiamo saputo ca c’era una linea
ca non doviva essere passata. Mai. Pirchì passannu quella linea non c’era cchiù
differenza tra omo e una vestia.»2
81
3.4. Il confronto finale dei gialli di Camilleri con il romanzo poliziesco
(secondo le regole di Van Dine)
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parte più o meno importente nella storia. Praticamente il lettore non ne sa
quasi niente. Nel primo caso si tratta del padre di Lisetta e nel secondo di
una anonima organizzazione illecita. Si nota che che non è del tutto vero
che i colpevoli devono essere sempre persone insospettabili perché per
esempio dell’avvocato Rizzo ne La forma dell’acqua si sa che ha legami
con la mafia. Invece il proprietario del supermercato il signor Ingrassia e il
padre di Lisetta ne Il cane di terracotta sembrano alla prima vista persone
che non abbiano nessun motivo di uccidere. Si osserva pure che ne Il
cane di terracotta ci sono più di un colpevole (la mafia, il signor Ingrassia,
il padre di Lisetta) al pari di La gita a Tindari dove il responsabile degli
omicidi è una nuova organizzazione mafiosa. Oltre ciò bisogna aggiungere
che nei gialli di Camilleri sono presenti anche società segrete e
associazioni a delinquere, cioè la mafia. Un altro fatto da ricordare è che
in tutti e tre i gialli è presente la storia riguardante la vita di Montalbano
che non ha nessun’importanza in un romanzo poliziesco e secondo le
regole non ci dovrebbe essere. La regola che vieta la presenza dei
deliquenti di professione presi come colpevoli viene violata ne Il cane di
terracotta e ne La gita a Tindari dove alcuni delitti sono commessi dai
membri della mafia. Si deve altrettanto menzionare che i delitti non sono
sempre provocati per motivi personali: per esempio ne Il cane di terracotta
Tano u grecu viene ucciso perché tradisce la mafia e si lascia catturare e
ne La gita a Tindari tutte le vittime sono ammazzate perché sono diventati
testimoni scomodi.
83
Conclusione
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il genere poliziesco per la loro produzione, entrambi situano le loro trame
in Sicilia ed entrambi raccontano della mafia.
In dettaglio, comunque, questi due scrittori si distinguono
abbastanza. In primo luogo, per quanto riguarda il giallo, ci siamo accorti
che i testi sciasciani sono solo basati parzialmente sulla tecnica del giallo
che serve per riprodurre la reltà della vita e permette a Sciascia a
esprimere la sua denuncia. Nel caso di Camilleri, invece, siamo giunti alla
conclusione che il suo giallo non si allontana troppo dalla tradizione del
romanzo poliziesco ma lo scrittore lo arricchisce di nuovi elementi. Il giallo
di Camilleri tocca piú aspetti contemporaneamente, cioè quello realistico
perché riesce a descrivere con fedeltà usi e costumi della società, quello
psicologico perché riesce a descrivere ed analizzare gli stati d’animo dei
protagonisti e quello poliziesco perché costruisce tutto sullo sfondo
dell’intreccio del giallo.
In secondo luogo ci siamo accorti della differenza nella
concezione della mafia nelle loro opere. Dal punto di vista di Sciascia la
mafia è nelle sue opere la causa di tutto il male. Egli la critica e detesta le
pratiche mafiose che penetrano nella società e nell’ambiente politico.
Invece dal punto di vista di Camilleri la mafia è soltanto un elemento
costitutivo delle sue opere, un ingrediente indispensabile dell giallo
siciliano che lo rende diverso dal tipico genere poliziesco.
Inoltre, i loro gialli si distinguono anche per lo stile. Lo stile di
Sciascia, caraterizzato come chiaro, sottilmente ironico e con il lessico
aulico, spinge il suo lettore alle riflessioni, alle meditazioni. Si rivela
completamente diverso da quello di Camilleri che si segnala invece per la
sua discorsività, la fluidezza e una forte presenza del dialetto.
Sia Leonardo Sciascia, sia Andrea Camilleri hanno utilizzato il
giallo in modo del tutto personale, originario e innovativo, il che ha
contribuito alla rivalutazione di questo genere, considerato a lungo un
genere basso della letteratura. Con il crescere del loro successo, non solo
nell’ambiente italiano ma anche all’estero, sono riusciti a rivolgere
l’attenzione della critica letteraria e del mercato editoriale a se stessi e
appartengono al gruppo dei grandi personaggi della narrativa italiana della
seconda metà del Novecento.
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Bibliografia
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A. PIETROPAOLI, Ai confini del giallo. Teoria e analisi della narrativa
gialla e esogialla, Edizione Scientifiche Italiane, Napoli 1986.
Sitografia
www.progettobabele.it
www.ilgattonero.it
www.sherlockmagazine.it
www.andreacamilleri.net
www.vigata.org
www.rivistasinestesie.it
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