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Citti / Iannucci / Ziosi (ed.

)
Troiane classiche e contemporanee
173
SPUDASMATA
BAND 173

Citti / Iannucci / Ziosi (ed.) · Troiane classiche e contemporanee


Il mito fondativo della caduta di
Troia, nel suo passaggio dall’epos
al teatro, ha dato origine a due tra
The foundational myth of the fall
of Troy, in its movement from epic
to drama, has given rise to two of
Troiane classiche e
le tragedie più commoventi e per-
turbanti della letteratura classica.
Le Troiane di Euripide e di Seneca
the most moving and unsettling
tragedies of classical literature.
The Trojan Women by Euripides
contemporanee
mettono in scena, infatti, il dram- and by Seneca stage the tragedy of
ma della guerra – e quello ancor war – and its even more ruthless af- a cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci
più spietato dei postumi della termath – from the perspective of
guerra – dalla prospettiva di chi è its victims, women and innocent e Antonio Ziosi
sconfitto due volte: le donne e gli children, who are defeated both
innocenti, vittime sia della morte by death (the death of husbands,
(dei mariti, dei padri, dei figli), sia sons, fathers) and by life itself,
della vita, che li costringe a sop- which forces them to suffer further
portare ulteriore violenza, morte violence, further death and slavery.
e schiavitù. I saggi raccolti in The essays collected in this volume
questo volume analizzano diversi analyse different literary aspects of
aspetti letterari delle due tragedie the two plays and explore pivotal
ed esplorano snodi fondamentali moments in their reception and
della loro ricezione e della loro their critical assessment. They range
fortuna critica: dal momento del- from the rediscovery of tragic forms
la riscoperta delle forme tragiche in the European Renaissance to
nel rinascimento europeo all’arte modern and contemporary art,
moderna e contemporanea, dal- from cinema to contemporary
le riletture cinematografiche alle theatre performances, even up
messe in scena del teatro contem- to textual analysis in the light
poraneo, fino all’analisi dei testi of Trauma Studies theory.
alla luce delle moderne categorie
dei Trauma Studies.

ISBN 978-3-487-15373-5 OLMS


SPUDASMATA 173
SPUDASMATA
Studien zur Klassischen Philologie und ihren Grenzgebieten
Begründet von Hildebrecht Hommel und Ernst Zinn
Herausgeberinnen
Irmgard Männlein-Robert und Anja Wolkenhauer
Wissenschaftlicher Beirat
Robert Kirstein (Tübingen), Jürgen Leonhardt (Tübingen),
Marilena Maniaci (Roma/Cassino), Mischa Meier (Tübingen)
und Karla Pollmann (Canterbury)

Band 173
TROIANE CLASSICHE E CONTEMPORANEE

2017

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK


TROIANE CLASSICHE E CONTEMPORANEE

a cura di
Francesco Citti, Alessandro Iannucci,
Antonio Ziosi

2017

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK


Published in July 2017.

Gedruckt mit Unterstützung der Alma Mater Studiorum, Università di Bologna,


Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica und des Dipartimento di Beni Culturali.

Das Werk ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen
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in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten
sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

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Gedruckt auf säurefreiem und alterungsbeständigem Papier
Herstellung: KM-Druck GmbH, 64823 Groß-Umstadt
Umschlagentwurf: Inga Günther, Hildesheim
Alle Rechte vorbehalten
Printed in Germany
© Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2017
www.olms.de
ISBN 978-3-487-15373-5
ISSN 0548-9705
INDICE

F. Citti — A. Iannucci — A. Ziosi, Premessa ....................................... VII


Valeria Andò, Guerra, politica e funzione poetica tra Troiane
e Ifigenia in Aulide................................................................................ 1
Neil Croally, Troades’ remarkable agon ............................................... 19
Giovanni Fanfani, Moduli di rappresentazione corale nelle
Troiane di Euripide .............................................................................. 31
Alfredo Casamento, Due padri, due figli: modelli drammatici
‘al maschile’ nelle Troiane di Seneca ................................................ 49
Rita Degl’innocenti Pierini, Hymen funestus: i paradossi
di Elena nelle Troades senecane ........................................................ 73
Gianni Guastella, Fata si poscent: la costruzione dell’intreccio
nelle Troades di Seneca ...................................................................... 107
Thomas David Kohn, Combat Trauma and Seneca’s Troades ............... 131
Giuseppina Brunetti, Per la ‘riscoperta’ europea delle tragedie di
Seneca: note sulle Troiane in alcuni manoscritti e commenti
medioevali ............................................................................................. 151
Antonio Ziosi, Il fantasma del modello. Le umbrae delle Troades
sui bastioni di Elsinore e «i Polacchi in slitta» ................................ 165
Maria Paola Funaioli, Le Troiane in Francia tra xvi e xviii secolo .......... 193
Luigi Giuliani, Le Troades nel teatro del Siglo de Oro spagnolo
dall’imitazione frammentaria alla traduzione esempla-
rizzante ................................................................................................. 201

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vi Indice

Martina Treu, Quattro donne, un coro: Euripide destrutturato.


Riscritture e allestimenti recenti delle Troiane .............................. 217
Gian Luca Tusini, Eredità delle Troiane nell’arte contempo-
ranea: macerie della postmodernità ................................................. 245
Roberto M. Danese, Le Troiane di Euripide e di Vittorio Cottafavi....... 273
Giacomo Manzoli, Bigger than theatre: le dive troiane di
Michael Cacoyannis ............................................................................ 299
Abstracts ....................................................................................................... 313
Abbreviazioni bibliografiche ..................................................................... 317
Indice analitico ............................................................................................. 345

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Giuseppina Brunetti

PER LA ‘RISCOPERTA’ EUROPEA DELLE TRAGEDIE DI SENECA:


NOTE SULLE TROIANE IN ALCUNI MANOSCRITTI
E COMMENTI MEDIOEVALI
Les malheureux sont seuls au monde,
mais il leur reste une voix pour chanter
(J.-P. Sartre, Les Troyennes)

La glanure più fresca con cui una medievista può sostanziare il


suo raccolto in tanto cordiale concerto di classicisti è quella che ricorda
an­zitutto quanto – con l’eccezione delle briciole ambrosiane (i pochi
fogli del manoscritto di Milano, G 82 sup., del V sec.) e del florilegio
parigino (Paris, BnF, lat. 8071, della metà del IX sec.) – la trasmissione
del­le tragedie di Seneca debba al Medio Evo: Seneca ci viene incontro,
infatti, entro una tradizione intimamente, integralmente medioevale e
non tardoantica, come si trova pure affermato, e neppure carolingia o
otto­niana. Senza il Medioevo tardo e fecondo, i suoi diversi intellettuali
– spesso ancora osservati in controluce, nell’abbaglio di prospettive ro­
man­tiche purtroppo tenaci e durevoli che disegnarono un solo, tardivo,
uma­nesimo di contrasto – non saremmo qui neppure riuniti, non po­
trem­mo neppure leggerle le magnifiche Troiane di Seneca.
«Il tempo di Seneca tragico venne, in Italia, nel Trecento»1 ed è
pos­sibile sostenere che «soprattutto la seconda metà del secolo appare
l’età nella quale lo scrittore dovette essere presente in ogni collezione
de­gna di questo nome»2. Da lì dilagarono poi i circa 530 manoscritti
esem­plati delle tragedie; e i loro primi impieghi «imposero la diffusione
di commenti per incoraggiare la comprensione di un testo non facile,

 Villa 2004, 59.


1

 Ibidem. Cf. anche Villa 2000 e Villa 2007.


2

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com­plicato tamquam teterrimum pelagus, un testo denso di difficoltà


me­triche e stilistiche, oscurato da complesse implicazioni mitologiche»3.
Riassumo qui una storia nota a rapide, seppure spero non imprecise,
pen­nellate. Sul testo delle tragedie di Seneca cominciarono a operare
intellettuali padovani, ma non solo: il codice Etruscus o Pomposianus,
il più antico manoscritto completo giuntoci (Firenze, BML 37.13, della
fine dell’XI secolo), si spolverò proprio in quegli anni dagli scaffali in
cui giaceva per l’iniziativa di Lovato de’ Lovati che allestì una nuova
for­ma testuale, comparando codici delle due diverse tradizioni esistenti
(Lovato partiva da una famiglia A e poi dovette conoscere l’Etrusco,
ossia una versione contaminata ∑ che conosciamo bene attraverso l’apo­
gra­fo copiato da suo nipote Rolando da Piazzola). È nel ms. vaticano
che si rinviene la chiosa autografa di Rolando che attribuisce le note
me­triche sulle Tragedie a suo zio Lovato Lovati (Città del Vaticano, BAV,
Vat. Lat. 1769, c. 146v). Tornerò su questo punto e su una nuova ipo­
tesi che valorizza il ruolo di un altro manoscritto, più antico e più che
probabilmente bolognese, ossia ipotizzerò (anticipo) una diffusione par­
zialmente diversa delle tragedie senecane.
Dal Veneto e dalla redazione di Lovato le tragedie furono poi studiate
ed imitate da Albertino Mussato, che non solo le utilizzò per rappresentare
nella sua tragedia Ecerinis (dedicata al tema della tirannide di Ezzelino da
Romano e rappresentata a Padova nel 1315) il crudo e spietato sguardo di
Seneca (in particolare utilizzando il Tieste e la ps.-senec. Octavia), ma portò
avanti anche un prezioso lavoro di esegesi, allestendo degli argumenta,
ovvero delle rapide sintesi delle trame delle tragedie. Billanovich riconobbe
la sua mano nel già citato manoscritto vaticano, per un appunto relativo a
Virgilio. In realtà occorre precisare che, alla luce degli studi più recenti, si
nutre più di un dubbio su tale interpretazione: la mano autografa di Mus­
sa­to infatti, come si vede nell’autografo padovano (Padova, Biblioteca del
Se­minario Cod. 746) è sensibilmente diversa. Ma questa è un’altra storia.
Ac­canto alla tradizione italiana (lascio da parte altri lettori di Seneca
tragico come Geremia da Montagnone, Dionigi di Borgo san Sepolcro e il
Man­nelli), vi è tuttavia una tradizione europea delle tragedie di Seneca che
riguarda in particolare l’Inghilterra e la Francia del Duecento e del Trecento
su cui occorrerebbe forse, con rinnovati strumenti, riflettere meglio.

 Pittaluga 1998.
3

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Per la ‘riscoperta’ europea delle Tragedie di Seneca 153

Fra il 1307 e il 1317 (ben prima dunque, si badi, del 1314-15) il car­
di­nale Niccolò da Prato volle infatti che le tragedie fossero com­men­tate
da quello che riteneva il migliore esegeta per quei tempi: il domenicano
inglese Nicolas Treveth – che aveva già commentato i Padri, Agostino in
particolare, Boezio, le Declamationes di Seneca il Vecchio e che com­men­
terà poi Tito Livio, addirittura per il papa Giovanni XXII. Treveth per
il suo commento alle tragedie attinse anzitutto ad uno degli esemplari
della diversa famiglia A. Il codice, siglato C nello stemma, conservato a
Cambridge (Corpus Christi College Library 406) fu ritenuto l’esemplare
uti­lizzato dal domenicano. Al riguardo sono da osservare anzitutto alcune
cose, preventivamente e a margine: la lettera del cardinale Niccolò –
colui che aveva incoronato al Laterano Arrigo VII imperatore – fu scritta
in Francia, a Valence. Mi si passi l’apparente tautologia: per richiederne
al Treveth il commento, il cardinale doveva dunque conoscere già un
co­dice delle tragedie, vient de paraître che aveva probabilmente destato
qual­che scalpore. La data di conclusione del commento non è viceversa
fissata con esattezza: ci sono giunte le relative epistole, per così dire,
di incarico e di accettazione4 e sappiamo che già il 31 luglio 1317 un
esem­plare manoscritto commentato si trovava nella biblioteca papale
di Avignone, verosimilmente il ms. Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat.
16505 che appunto ha già il commento del Treveth ed è corredato anche
di un interessante sistema di rimando fra il testo del classico latino e la
sua medievale spiegazione; oltre a numerose spie di collazione testuale,
segno di un lavorìo significativo quanto precoce.
Meriterebbe certo un ritratto in piedi questo Treveth inglese, scri­
ve­va Billanovich in un suo celebre saggio. Personaggio sorprendente
«per­ché, se misuriamo con i parametri di quella generazione, sembra
pro­venire da una contrada ancora più remota delle contrade dalle quali
si presentarono al presepio i re magi o davanti a Carlo Magno e ai suoi
baroni la principessa Angelica»6. In effetti Nicolas Treveth era un in­
tel­lettuale singolare. Coetaneo di Dante, era nato anche lui attorno al
1265-68, ma in Inghilterra, da Thomas Trevet, giustiziere sotto i re Enrico
III ed Edoardo I. Sappiamo pochissimo purtroppo dei suoi primi anni di

4
 Sul punto mi permetto di rimandare a un lavoro recente, che comprende anche la
bibliografia pregressa: Brunetti 2013.
5
 Palma 1973.
6
 Billanovich 1981, 34.

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154 G. Brunetti

for­mazione: fu forse allievo di Tommaso di Sutton († 1315) e sappiamo


che ebbe come opponente in una disputa a Oxford, nel dicembre 1303,
nien­temeno che il doctor subtilis Duns Scoto7.
Professore, magister a Londra, Nicolas decise dunque di spiegare
il crudo teatro di Seneca premettendo alla traduzione un significativo
prologo e la celeberrima descrizione del Theatrum ossia dello spazio
scenico. Inserita nel commento dell’Hercules furens (la prima nell’ordine
delle tragedie commentate), la definizione venne poi ripresa alla lettera da
Pietro di Dante nel suo Commento alla Divina Commedia, e produsse la
celeberrima (quanto poco interpretata nel dettaglio) miniatura incipitaria
del manoscritto Urbinate 355. Nel manufatto «costruito ad Avignone
nella prima metà del sec. XIV il miniatore si affianca al commentatore
per spiegare come fosse costruito un teatro: uno spazio semicircolare
dove si riconoscono i mimi che si esprimono a gesti e il poeta è intento
a leggere il suo testo; secondo un’idea di azione scenica divulgata anche
nei manoscritti con commenti alle commedie di Terenzio. Una miniatura
dunque che si dichiara quale sussidio per una migliore comprensione e
per l’interpretazione dell’opera»8. Di recente mi è capitato di segnalare
alcune postille istruttive su questo manoscritto, apposte da una mano
trecentesca, che richiamano anche l’eccezionale figura debitrice di un
precoce confronto con l’antico, fors’anche archeologico9.
Avevo anticipato come si faccia sempre più credibile un ruolo at­
tivo della Bologna del Trecento nella diffusione e commento delle tra­
ge­die di Seneca. Proprio in un recentissimo saggio Carla Maria Monti
ha sottolineato con forza come l’apografo di Lovato, il ms. Vat. Lat.
1769 (che trasmette anche le Declamationes minores dello pseudo-Quin­

7
 Nauta 1997. Hechich 1958, 21-22. Fondamentali e benemeriti restano i lavori di Ehrle
1921, di Kaeppeli 1959 e 1980 e di Franceschini 1938.
8
 Ibidem.
9
 Brunetti 2013, 363. Della miniatura, pure richiamata in molte pubblicazioni, manca di
fatto una illustrazione critica esauriente, cf. ad es. in Rey-Flaud 1973, 32; Sinisi – Inna­morati
2003, 28. Si ricordi il valore che si attribuisce all’edificio ancora alla fine del XV secolo: nei
disegni per la ricostruzione del teatro antico (1490) di Leonardo da Vinci si appunta soltanto:
‘Teatro da predicare’ e ‘Teatri per udire messa’, mentre sensibilmente diverse restano le
(poche) rappresentazioni miniate: quelle rinvenibili in codici di Terenzio (segnatamente
il ms. BAV, Vat. Lat. 3305, c. 8v ove si raffigura il prologo dell’Andria, e nel ms. Tours,
Bibl. Municipale 924, f. 13 il prologo dell’Eunuchus- ringrazio Gianni Guastella per la
segnalazione di quest’ultimo) o in più rare miniature raffiguranti teatri in legno (cf. Libro
d’ore di Etienne Chevalier, Chantilly, Musée Condé, c. 121r, col martirio di S. Apollonia).

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Per la ‘riscoperta’ europea delle Tragedie di Seneca 155

ti­liano) sia sensibilmente più tardivo di quanto sinora si era pensato


e come invece sia il manoscritto Paris, BnF, lat. 11855, un magnifico
ma­nufatto, pregevole per qualità testuale ed antico, di inizio ’300, ad
esse­re propriamente bolognese, allestito probabilmente per il convento
domenicano e postillato da frate Ugolino da Bologna, amico di Iacopo
da Varazze (BnF, lat. 11855c. 280v: «Iste liber est fratrum ordinis pre­di­
ca­torum concessus fratri Ugolini [...] eiusdem ordinis. Hic enim frater
fuit socius quinque annis fratris Iacobi de Voragine»), già fra 1304 e 1315.
Dobbiamo constatare insomma che il ms. parigino contende al vaticano
la palma dell’antichità nella creazione di una raccolta completa delle
opere di Seneca oltre che la tradizione sigma delle tragedie. Del resto
come ricorda la Monti erano ben stretti i legami fra Padova e Bologna:
in quegli anni il bolognese Nerio miniava il Cicerone di Wolfenbüttel e
il celeberrimo illustratore Niccolò di Giacomo ebbe anche committenze
pa­dovane; stretti rapporti legavano inoltre il convento di s. Domenico
di Padova e la casa madre bolognese «ma certo appare significativo ri­
cor­dare che il maestro bolognese Giovanni del Virgilio era in contatto
con Albertino Mussato e Rolando da Piazzola, come lui stesso racconta
nel­l’egloga al poeta laureato padovano. Bologna insomma – conclude
la Monti – sembra aver giocato un ruolo prima insospettato»10. Come
non ricordare infine che Pietro da Moglio leggeva proprio nella Bologna
uni­versitaria le tragedie costruendo versi mnemonici («sexta graves edit
scin­dentes Troada luctus» era quello che indicava le Troiane), avviando
i cicli iconografici celebri degli importanti miniatori bolognesi.
Anche la tradizione in questo caso appare significativa: come si
osserva nello stemma proposto da Megas11 uno degli antichi e più impor­
tanti codici è proprio il bolognese universitario (Bologna, BUB 2219, si­
glato B1) appartenuto ai Ludovisi, facente poi parte del Fondo di s. Sal­
va­tore, che meriterebbe certo un’attenzione rinnovata. Tornerò alla fine
su una lezione che trasmette proprio questo antico, bellissimo codice
bo­lognese delle tragedie.
Passo ora rapidamente a tre esempi testuali, scelti per la loro para­
dig­ma­ticità. Il primo propone la collazione del luogo variante ai vv.
488  ss. Si tratta del celeberrimo passaggio in cui alla preoccupazione
di Andromaca per Astianatte segue la risoluzione di nasconderlo nel
 Monti 2009.
10

 Megas 1969, 22. E cf. anche MacGregor 1971.


11

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sepolcro del padre Ettore, per sottrarlo alla caccia dei greci e di Ulisse,
prima di tutti.
L’assetto del testo proposto nell’edizione critica è con ogni evidenza
frut­to di congettura, ricomposto di fatto secondo iudicium (il primo in­
ter­vento se non ho visto male si deve a Friedrich Leo) e ad ogni modo
l’as­setto testuale del colloquio fra Andromaca e il vecchio, si legge
461 An. O nate, magni certa progenies patris [...]
488 omen tremesco misera feralis loci.
489 Sen. Miser occupet praesidia, securus legat.
490 An. Quid quod latere sine metu magno nequit,
491 ne prodat aliquis? Sen. Amove testes doli.
492 An. Si quaeret hostis? Sen. Urbe in eversa perit:
493 haec causa multos una ab interitu arcuit,
494 credi perisse. An. Vix spei quicquam est super:
495 grave pondus illum magna nobilitas premit;
496 quid proderit latuisse redituro in manus?
497 Sen. Victor feroces impetus primos habet.
498 An. Quis te locus, quae regio seducta, invia
499 tuto reponet?
Andromaca: Figlio, erede di tanto padre [...] questo luogo di morte è di
pessimo au­spi­cio… Vecchio: Il misero si rifugia dove capita, chi è sicuro
dove più gli piace. Andr.: Come farlo stare nascosto, senza il timore
che qualcuno lo scopra? Vecchio: Al­lontana i testimoni. Andr.: E se
i nemici lo cercano? Vecchio: Scomparso men­tre cadeva la città molti
hanno evitato la morte perché creduti già morti. Andr.: C’è ben poco
da sperare. Su di lui pesa il nome illustre che porta. Perché nasconderlo,
visto che cadrà comunque nelle loro mani? Vecchio: Chi vince è spietato
all’inizio. Andr.: Ci sarà pure un luogo, una terra remota, inaccessibile
Dove tu possa stare al sicuro?

Questa invece è la lezione tràdita dai manoscritti, in partic. Vat. Lat.


1769 (Sigma), Urb. Lat. 355 (A), Vat. Lat. 1650:
493 haec causa multos una ab interitu arcuit,
494 credi perisse. An. Vix spei quicquam est super:
495 grave pondus illum magna nobilitas premit;
491 Sen. ne prodat aliquis? Amove testes doli.
492 An. Si quaeret hostis? Sen. Urbe in eversa perit:
496 quid proderit latuisse redituro in manus?
497 Sen. Victor feroces impetus primos habet.
490 An. Quid quod latere sine metu magno nequit,
489 Sen. Miser occupet praesidia, securus legat.
498 An. Quis te locus, quae regio seducta, invia
499 tuto reponet?

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Per la ‘riscoperta’ europea delle Tragedie di Seneca 157

Fig. 1. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana 37.13 (Etruscus).

Fig. 2. Bologna, Biblioteca Universitaria (BUB) 2219.

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158 G. Brunetti

Fig. 3. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana 37.13 (Etruscus).

Ho collazionato il passo nelle diverse tradizioni, anzitutto nel ms.


vaticano ossia nella forma più prossima al ms. di Lovato, nel Laurenziano
per la sua autorità e in altri codici della famiglia A.
Ebbene c’è anzitutto uno scambio nelle battute, una differenza di
locutori che non lascia indifferente il senso. Si osservi il luogo nel codi­
ce fiorentino e, paradigmaticamente, nel ms. bolognese (Figg. 1-2): se
non vi è dubbio che lo scambio dev’essere considerato facilior (si os­
servi qui ad esempio, in un altro luogo dello stesso ma­no­scritto, co­me
il rubricatore abbia sbagliato e la mano principale in­ter­viene a rista­
bi­lire la voce di Andromaca sul margine in nero e come lo scambio di
bat­tute sia facile lo dimostra la semplice disattenzione del rubricatore
[Fig. 3], l’errore deve dunque essere considerato poligenetico), non vi
è altrettanto dubbio però che se fosse stato quello ristabilito ora nel­
l’edi­zione l’assetto originario dei versi di Seneca l’errore prodotto non
sarebbe semplicemente predica­bi­le in maniera meccanica e poligenetica,
ma implicherebbe passaggi diversi e complessi e sarebbe da considerare
dunque un vero errore d’ar­che­tipo (questo sì un Leitfehler) in quanto
con­diviso da tutti i rami della tra­dizione trovandosi oltre che nel lau­
ren­ziano in A in E e in Sigma. L’ar­gomentazione dell’editore critico
Zwierlein non riesce in questo caso efficace12: gli argomenti non sono

 Zwierlein 1986 ad l. (488 ss.).


12

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Per la ‘riscoperta’ europea delle Tragedie di Seneca 159

inop­pugnabili mentre il testo nella ver­sione che offre l’Etrusco, la tra­


di­zione contaminata e il ramo A non è viceversa indifendibile. Ne con­
segue che l’assetto che comunemente leg­giamo do­vreb­be essere forse
ricorretto alla luce della tradizione. Ripeto: a meno di con­siderare que­
sto un errore-prova d’archetipo, da sanare.
Col secondo esempio vorrei invece mostrare un caso di lectura
del­le Troiane su manoscritti di letterati illustri. L’esempio è da Fran­ce­
sco Petrarca. Conosciamo un codice delle Tragedie effettivamente ap­
partenuto e postillato da Petrarca: si tratta del ms. attualmente con­ser­
vato all’Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Biblioteca del Real Mo­na­
sterio, T. III. ii (della seconda metà del secolo XIII).
Sappiamo però che Petrarca dovette possedere almeno un altro co­
dice: «la sua conoscenza delle tragedie dovette infatti essere abba­stan­za
precoce perché esse compaiono già nella lista dei libri mei pecu­liares»13.
Carla Maria Monti ha inoltre opportunamente messo in rela­zio­ne la
rilettura dell’Octavia di cui Petrarca parla in Fam. 1.1.43, datata pri­
mo agosto 1348 (Senece tragediam qui inscribitur Octavia, post anno
relegens) e il corpus principale di postille del codice escorialense. E per
quanto, come spesso in Petrarca, tali appunti appaiono costruiti sul
ricordo di più fonti, conosciamo anche come le note di attenzione poste
sul manoscritto attraverso segni paratestuali specifici (graffe e nota
bene) si traducano poi in un enzima efficiente per i suoi versi:
c. 2r (Hercules furens): 325-6 Iniqua raro maximis virtutibus / fortuna
parcit ~ RVF 53.85-86 Rade volte adiven ch’a l’alte imprese / fortuna
ingiurïosa non contrasti
c. 5r (Hercules furens): 849-50 pars tarda graditur senecta / tristis et
longa satiata vita ~ RVF 53.58-59: e i vecchi stanchi / ch’ànno sé in odio
et la soverchia vita14.

Nel caso delle Troiane, l’unica postilla di Petrarca che si rinviene nel
ms. dell’Escorial è la seguente:
ms. El Escorial, Biblioteca del Real Monasterio T III 11, c. 30va: nota
autografa di Petrarca (anni ’40) riferibile ai vv. 405-406: Pulcre ex per­
(son)a m.s. Graffa m. d.

13
 Monti 2012, 551.
14
 Per l’importanza di tali note di attenzione e le riprese delle tragedie senecane nel
Canzoniere rimando a Fiorilla 2012 ove appunto si segnalano queste postille dell’Esco­
rialense.

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160 G. Brunetti

Chor. Verum est an timidos fabula decipit


umbras corporibus vivere conditis [...]?
mors individua est, noxia corpori
nec parcens animae: Taenara et aspero
regnum sub domino lime net obsidens
custos non facili Cerberus ostio*
rumores vacui verbaque inania
et par sollicito fabula somnio.
quaeris quo iaceas post obitum loco?
quo non nata iacent. (Sen. Tro. 371-372, 401-408)
È vero o è solo una favola ad uso dei pavidi
che le ombre continuino a vivere anche dopo la sepoltura dei corpi?
la morte è una sola: uccide il corpo e
non risparmia l’anima. Il Ténaro, il regno
del signore crudele, Cerbero, il guardiano
appostato all’ingresso di un impervio passaggio:
tutte storie ridicole, nomi inventati
favole che valgono quanto un brutto sogno.
Vuoi sapere dove sarai dopo morto?
Dove stanno coloro che non sono mai nati.
*nel ms. BAV, Urb. Lat. 355 c. 113v: ad egrediendum. Si est non in textu
si vero vacat no. Tunc hic facile ad intendendum.

Le parole del coro principiano al v. 371 con la domanda se sia vero


o sia una favola che le ombre vivano dopo la sepoltura dei corpi: Verum
est an timidos fabula decipit / umbras corporibus vivere conditis? e le pa­
role finali secondo la tradizione A e quindi anche nel nostro codice sono
appunto quelle sopra riportate, dove ricorre nuovamente, creando inclu­
sione, la parola fabula. «Rimane da spiegare cosa intenda Petrarca con
l’espressione ex persona», commenta giustamente la Monti15. L’ipo­te­si
che mi pare più plausibile è che leggendo qui un discorso diretto e una
domanda Petrarca fatichi a riconoscere la battuta al coro mentre vorrebbe
qui esplicitata una voce, una ‘persona’ appunto. Naturalmente occorrerà
pun­tualizzare che questo Seneca che legge Petrarca è quello della famiglia
testuale A. Anzi occorrerà forse riflettere sul fatto che quasi tutti gli intel­
let­tuali italiani leggono codici di questa, diffusa, fa­mi­glia: medesima co­sa
capiterà ad esempio a Coluccio Salutati di cui ci è per­venuto un co­di­ce
integralmente autografo (London, BL, Add. 11987). Anche per lui l’in­
te­resse per le tragedie di Seneca dovette derivare in qual­che misura da
Bologna, ossia dalla lettura delle opere di Albertino Mus­sato suggerita

 Monti 2012, 563.


15

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Per la ‘riscoperta’ europea delle Tragedie di Seneca 161

forse da quel Pietro da Moglio, allievo di Giovanni del Virgilio (noto com­
men­tatore non solo di Seneca ma anche delle Egloghe di Dante e delle
Bucoliche del Petrarca), durante il periodo degli studi bolognesi (1340-1350
ca.). Tale circolo riuscì poi di stimolo al Salutati per la composizione del
suo De laboribus Herculis, immaginato dapprima come pura spiegazione
del significato dell’Hercules furens. Il codice delle tragedie, autografo di
Coluccio, è l’unico sottoscritto e risale probabilmente al 1370 circa. Nel
1371 egli proponeva nella lettera a Tancredi Vergiolesi la distinzione fra
il Seneca morale e Seneca autore delle Tragedie (che compare nella I e
nell II redazione dei De laboribus Herculis ove si attribuisce appunto il
nome di Marcus Seneca all’autore dell’Hercules furens (De Lab. II, li­
bro IV, 549), aderendo all’identificazione proposta da Boccaccio nelle
Espo­sizioni sulla Commedia e negando la sua proposta che si trattasse
di Anneo Mela. Cosa che lascerà ad esempio una significativa traccia sul
ma­noscritto. La storia delle tradizioni si complica se andiamo a leggere
me­glio i manoscritti medievali. E quel semplice stemma di MacGregor
vie­ne a complicarsi via via al cospetto delle ricerche più recenti e alla
luce di una contaminazione che in alcuni casi appare molto importante16.
Concludo col terzo esempio, ritornando al manoscritto Urbinate
355, un manoscritto che meriterebbe dicevo una cura maggiore antico
com’è, bel­lissimo e fitto di postille diverse, alcune delle quali davvero
am­piamente significative. Della postilla all’Hercules furens che riguarda
il gigante Ti­feo e la sua sepoltura sotto l’Etna, e dell’altra apposta sul­
l’Octa­via che ri­guarda Nerone e Messalina, mi sono occupata in altra
sede e dunque non vi ritornerò17. Vorrei invece attirare l’attenzione su
questi tre passaggi:
Chor. an frequens rivis levibus Mothone (v. 822)
«la difficoltà è che Motone (o Metone) è sì in Tessaglia, ma sulla penisola
di Magnesia, e certo non è ricca di ruscelli» (Stok, p. 133, in nota)
ms. BAV, Urb. Lat. 355, c. 121 il postillatore corregge (inserendo una s)
rivis in ruscis e appunta: genus fructicis (sic!) spinosum
Chor. semper Euripo properante Chalcis (v. 838)
ms. BAV, Urb. Lat. 355, c. 121 euripus est deductio maris vel aquarum
luna crescente… (che parrebbe presupporre Plin. nat. 2, 219)

16
 Si paragoni istruttivamente lo stemma di MacGregor 1971, 129, quello di Zwierlein
1988, xx-xxi, e quello di Marchitelli 1999.
17
 Brunetti 2013, 365 ss.

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162 G. Brunetti

Hel. Te sorte prima Scyrius iuvenis tulit (v. 976)


ms. BAV, Urb. Lat. 355, c. 124r glossa hoc non [...] verum sic patet in
Virg. III Eneidos
ove ci si riferisce all’incontro fra Enea ed Andromaca in Epiro, e ove
An­dromaca spiega che, a causa di Ermione, è stata data da Pirro al servo
Ele­no; il glossatore forse non conosce il concepimento a Sciro di Pirro
(da parte del giovane Achille).

Fig. 4. Bologna, Biblioteca Universitaria (BUB) 2219.

Mi soffermo solo sul primo luogo, nelle varianti appunto dell’urbinate


e mostrando anche il paradigmatico manoscritto bolognese che, come si
può facilmente osservare attraverso gli inchiostri, per i ritocchi testuali e
le chiose appare ancora una volta significativo (Fig. 4).
A proposito del v. 822 il rivis levibus del testo (facilior dal punto
di vista della lezione e incongruente in quanto predicato della città di
Motone / Metone, come evidenzia Stok)18, appare corretto dalla mano

 Stok 1999, ad l.
18

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del­l’urbinate in ruscis: segue la spiegazione che, appunto, invece che a


fiumi ci conduce piuttosto al mirto selvatico19.
Ciò solo per mostrare quanto anche in un unico testimone, che spes­
so si considera del tutto anodino nello stemma, le letture possono di
fat­to sommarsi e complicarsi come in un caleidoscopio. Mio desiderio
era solo restituire alla vita del testo di Seneca qualche lembo delle sue
stra­tificazioni, a partire da uno sguardo meno ingenuo sulle realtà ma­
no­scritte medioevali che appunto, come si è detto in apertura, ci fanno il
dono pressoché intero del testo delle tragedie.
La frase di Sartre posta in esergo sottolinea elegantemente il tema
del­la solitudine, che coglie la sua rivincita attraverso la sottigliezza del­
l’ar­te e della poesia. E se le Troiane sono davvero il canto struggente dei
vinti non vi è dubbio che, per noi, può riuscire ancora più delicato con­si­
de­rare come la loro espressione consiste proprio nel riscatto che a quella
voce offre solo la letteratura, che appare senza dubbio consolazione e
ri­vincita, della memoria. Ed essa appare senza dubbio più bella e ricca se
os­servata more philologico, nei riflessi scintillanti che i codici difficili del
me­dioevo offrono ancora ai nostri occhi.

19
 Gronovius 1828, adn. ad v. 825: «Frequens ruscis levibus Methone: Methone civica lit­
to­ralis est Peloponnesi in magnesiae regione: quam cum obsideret Philippus rex Ma­ce­
donum, Alex. M. pater, oculum amisit ictu sagittae etc. Hodie vocatur Modona et est via
peregrinantium Hierosolymam a Venetiis. Vocatur h. l. frequens ruscis levibus i. e. my­
rto sylvestri. Est enim ruscus planta, quae et myrtus sylvestris, arcendis muribus aptis­
si­mus....».

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Citti / Iannucci / Ziosi (ed.)
Troiane classiche e contemporanee
173
SPUDASMATA
BAND 173

Citti / Iannucci / Ziosi (ed.) · Troiane classiche e contemporanee


Il mito fondativo della caduta di
Troia, nel suo passaggio dall’epos
al teatro, ha dato origine a due tra
The foundational myth of the fall
of Troy, in its movement from epic
to drama, has given rise to two of
Troiane classiche e
le tragedie più commoventi e per-
turbanti della letteratura classica.
Le Troiane di Euripide e di Seneca
the most moving and unsettling
tragedies of classical literature.
The Trojan Women by Euripides
contemporanee
mettono in scena, infatti, il dram- and by Seneca stage the tragedy of
ma della guerra – e quello ancor war – and its even more ruthless af- a cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci
più spietato dei postumi della termath – from the perspective of
guerra – dalla prospettiva di chi è its victims, women and innocent e Antonio Ziosi
sconfitto due volte: le donne e gli children, who are defeated both
innocenti, vittime sia della morte by death (the death of husbands,
(dei mariti, dei padri, dei figli), sia sons, fathers) and by life itself,
della vita, che li costringe a sop- which forces them to suffer further
portare ulteriore violenza, morte violence, further death and slavery.
e schiavitù. I saggi raccolti in The essays collected in this volume
questo volume analizzano diversi analyse different literary aspects of
aspetti letterari delle due tragedie the two plays and explore pivotal
ed esplorano snodi fondamentali moments in their reception and
della loro ricezione e della loro their critical assessment. They range
fortuna critica: dal momento del- from the rediscovery of tragic forms
la riscoperta delle forme tragiche in the European Renaissance to
nel rinascimento europeo all’arte modern and contemporary art,
moderna e contemporanea, dal- from cinema to contemporary
le riletture cinematografiche alle theatre performances, even up
messe in scena del teatro contem- to textual analysis in the light
poraneo, fino all’analisi dei testi of Trauma Studies theory.
alla luce delle moderne categorie
dei Trauma Studies.

ISBN 978-3-487-15373-5 OLMS

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