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La novella
a cura di
Andrea Manganaro
Rubbettino
2013
LE FORME e LA STORIA
Rivista di Filologia Moderna
Dipartimento di Scienze Umanistiche
Università degli Studi di Catania
© 2013 - Rubbettino Editore Srl
Rivista semestrale, n.s. VI, 2013, 2 - ISSN 1121-2276
Registrazione presso il Tribunale di Catania n. 559 del 13-12-1980
Variazione del 18-7-2007
7 Andrea Manganaro
Forme e storia del “genere” novella
19 Massimo Bonafin
Rileggere Meletinskij e la poetica storica della novella
27 Eleazar M. Meletinskij
La fiaba novellistica e la fiaba-aneddoto come generi folklorici
71 Salvatore Luongo
La Marchesana di Monferrato fra tradizione e innovazione: ancora
sulla novella I.5 del Decameron
87 Nicolò Mineo
Decameron, X, 10: Dioneo e la «magnificenza» invalidata
99 Giancarlo Alfano
L’opera narrativa di Matteo Bandello tra oralità e scrittura
di Caprarola, 19-24 settembre 1988), Salerno Editrice, Roma 1989, pp. 47-57, a p. 47.
2 Ibidem.
gli uomini letterati», ma per quella gente che deve essere “dilettata” e
“appassionata” «per cose le quali ella vede tutto giorno avvenire intorno
a sé»3. «Dilettata»: Boccaccio aveva per primo codificato il principio del-
la delectatio, coniugato a «un valore interno di tipo mimetico-realistico,
da intendersi specificamente nel senso di antiesemplare e antididascali-
co». La novella, da Boccaccio, «per prima mette al centro la contingenza
del quotidiano». E se la sua storia, alle origini, è segnata dalla progressiva
«emancipazione dall’esemplarità», solo con la novella moderna, con
l’Ottocento, «siamo di fronte all’affermazione del contingente e del ca-
suale in quanto tali»4.
Nel panorama delle forme letterarie la novella assume certamente
una posizione singolare: è un «oggetto di palpabile evidenza e consolida-
ta tradizione», e che tuttavia sfugge a una definizione in chiave di “gene-
re”5. Ma accanto a questa difficoltà definitoria, offre una straordinaria
ricchezza di problematiche di fondo: dalla varia tipologia, ai rapporti
con le fonti, i modelli, i contesti sociali, ai modi della trasmissione, della
circolazione, della fruizione di quei materiali narrativi6. Questioni rap-
presentate con scelte significative in questo numero monografico: dalla
narrativa breve in area spagnola e dai rapporti con le collezioni orientali
(Lacarra); alla rielaborazione dei materiali narrativi romanzi e orientali
nel Decameron (Luongo); al rapporto tra novella (l’ultima del Decame-
ron), cornice e contesto sociale (Mineo); al rapporto tra oralità e scrittu-
ra nella novella cinquecentesca (Alfano); alla trasmissione delle novelle
medievali nei libri del Cinquecento (Lalomia); alle relazioni con la fiaba
nel Seicento (Guaragnella); alla novella moderna (Di Maio, per lo sta-
tuto della novella stendhaliana, Fenzi, per il motivo degli “artisti da stra-
pazzo” in Verga, Vanhese per Schwob e Baconsky). Apre questo volume
un testo di Meletinskij (introdotto da Bonafin), anticipazione del primo
capitolo della Poetica storica della novella (1990), per la prima volta final-
dal 1796 al 1808, a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1972 (Edizione Nazionale
delle Opere, v. VI ), pp. 263-64.
4 S. Zatti, La novella: un genere senza teoria, in «Moderna» XII, 2010, 2 (Un genere
senza qualità. Il racconto italiano nell’età della short stories, a cura di S. Zatti ed A. Sta-
ra), pp. 11-24, alle pp. 15-16. Ma cfr. anche l’approfondito e aggiornato Repertorio biblio-
grafico ragionato, sulla forma breve in età moderna e in particolare sul racconto italiano
del Novecento, a cura di I. Bignardi, C. Savettieri, A. Stara, A. Viti (ivi, pp. 251-86).
5 Ivi, p. 11.
6 Malato, Premessa, in La novella italiana, cit., pp. IX-XIII, a p. X.
Forme e storia del “genere” novella 9
la nota di V. Branca.
18 Cfr. E. Malato, La nascita della novella italiana: un’alternativa letteraria borghese
alla tradizione cortese, in La novella italiana, cit., pp. 3-45, alle pp. 28-32, 44-45. E cfr.
anche Id., Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Ri-
nascimento, in Atti del Convegno (Pisa, 26-28 ottobre 1998), a cura di G. Albanese, L.
Battaglia Ricci e R. Bessi, Salerno, Roma 2000.
19 Cfr. M. Picone, Il racconto, in Manuale di letteratura italiana. Storia per generi
volume sulla narrativa breve dal Trecento al Seicento (Vie del racconto. Dal Decameron
al Brancaleone, Liguori, Napoli 2000): il termine più vago di «racconto», anziché «no-
vella», serve a «far percepire che, nell’apparente continuità della tradizione, gli equilibrî
vanno mutando» (ivi, p. 3). Di Bragantini si veda anche La storia e la forma, in Il riso
sotto il velame, Olschki, Firenze 1987, pp. 9-71, per la focalizzazione di alcuni aspetti del
dibattito teorico contemporaneo sulla novella, e in particolare per l’esame di Forme sem-
plici di A. Jolles.
10 Andrea Manganaro
In Italia, tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, come «pun-
to di arrivo di un processo letterario non monogenetico ma poligeneti-
co»13 si afferma la «novella così designata», separabile da tutte le narra-
zioni novellistiche precedenti. Più tardi si diffondono in Francia e Spa-
gna nouvelle e novela, «nome e cosa»; in Germania Novelle è tuttora di
uso normale. «Ma in Francia, Spagna e Portogallo la concorrenza di con-
te, cuento, conto è sempre forte, e in Spagna la parola novela viene trasfe-
rita, nel secolo XVIII, al romanzo, come pure in Inghilterra». Le diffi-
coltà sorgono però se si tenta di definire la novella come genere in ter-
mini di contrapposizione al romanzo. Da una parte, infatti, per l’epoca
medievale, la novella (quella «italiana dal Duecento in avanti, e quella
francese nel Quattrocento») si sviluppa «nel vuoto del romanzo», quasi
sostituendolo. Diverso e complesso è invece il rapporto con il romanzo
in epoca moderna, dove, oltre agli elementi differenziali basati sull’«op-
posizione di lunghezza», non sembrerebbe possibile «una definizione di
valore generale»14.
La tensione fra le due diverse polarità, forma breve e forma lunga, è
comunque presente sin dall’inizio, «riprodotta all’interno del rapporto
testi/cornice, o, più genericamente, fra singolo testo e raccolta di testi
(ad e. Boccaccio e Chauer)»15.
Per l’innegabile prestigio del modello decameroniano, per la capacità
di adattamento alle mutate esigenze dei tempi che cambiano («svilup-
pando di volta in volta l’aspetto comico o avventuroso […] favoloso o
fiabesco, perfino orroroso e tragico, oppure magnifico, scenografico, sor-
prendente, nell’età barcocca», in Italia la novella si impone come forma
narrativa privilegiata, in un arco storico che va dal Tre al Settecento, so-
stituendo di fatto il romanzo16. «Proprio perché non obbligato a fornire
modelli del mondo», questo genere «è in grado di cogliere, del mondo,
infiniti aspetti e giochi e combinazioni»17.
nuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi, a cura di F. Brioschi e C. Di
Girolamo, vol. I, Bollati Boringhieri, Milano 1993, pp. 587-696.
13 M. Picone, L’invenzione della novella italiana. Tradizione e innovazione, in La
retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, vol. III, Roma-Bari, Laterza, 1972, pp.
135-73, alle pp. 145-47. Cfr., per la Lezione del Bonciani: R. Bragantini, La storia e la for-
ma, cit., pp. 9-71, alle pp. 19-23; S.S. Nigro, Le brache di San Griffone. Novellistica e pre-
dicazione fra ’400 e ’500, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 136-47; E. Biagini, Racconto e teo-
ria del romanzo, Einaudi, Torino 1983, pp. 104-8; M. Guglielminetti, La cornice e il fur-
to. Studi sulla novella del ’500, Zanichelli, Bologna 1984, pp. 128-32, 138-40, 145-46, 149-
51; N. Ordine, Teoria della novella e teoria del riso nel Cinquecento, Liguori, Napoli
1996, soprattutto pp. 59-62 (alle pp. 97-135 riporta anche il testo della Lezione).
19 Zatti, La novella, cit., p. 13, anche per le indicazioni bibliografiche; V. Šklovskij,
La struttura della novella e del romanzo, in B. Ejchenbaum et alii, I formalisti russi, a cu-
ra di T. Todorov, Einaudi, Torino 1968, pp. 205-29.
Forme e storia del “genere” novella 13
manifesta anche nei rapporti con il genere maggiore: la novella inizia in-
fatti ad influenzare il romanzo. Nel Novecento la «cornice», sparita dalle
novelle, si traspone nel genere maggiore. La «parzialità» della novella (o
racconto) tende a trasferirsi nel romanzo20.
Lukács, muovendo dalla definizione della novella data da Goethe
nei colloqui con Eckermann («un avvenimento inaudito che si è verifi-
cato»), svolta ulteriormente da Tieck («la novella dovrebbe avere un mo-
mento culminante, un punto focale in cui un fatto determinato dovreb-
be esser posto sotto la luce più chiara e più forte»), fissava la sostanziale
distinzione nella «concentrazione della novella attorno al punto focale
dell’avvenimento straordinario». Ad essere oggetto di rappresentazione
nel romanzo è la totalità di un mondo: non solo il momento di crisi, ma
il suo prodursi, il suo esplodere, i suoi effetti, accanto a tanti altri avve-
nimenti. La novella rappresenta invece direttamente la collisione, il mo-
mento culminante in cui si produce lo scontro. Se il romanzo tende a
rappresentare la totalità, la novella «muove invece dal caso singolo» e
«resta ferma ad esso». Essa rappresenta la parzialità, tralasciando «la ge-
nesi» delle situazioni in cui gli uomini agiscono21. In questa forma epica
priva di totalità, la novella, il giovane Lukács vedeva la «forma congenia-
le all’individuale straordinarietà e problematicità della vita». In essa l’au-
tore traspone «dall’incommensurabile infinità dell’accadere del mondo
un frammento», cui dà «risalto di fronte alla totalità della vita»22.
Ma non solo rispetto al romanzo si è tentato di definire la novella
come genere. La frequente trasposizione novella/dramma (basti pensare
a Pirandello o al rapporto tra la novella italiana del Cinquecento e
Shakespeare) è anche riferibile ad affinità che si fondano sulla rilevanza
dello scioglimento finale. Per B. Tomaševskij «la novella nella sua strut-
tura prende spesso lo spunto da procedimenti drammatici»23. Già De
Sanctis aveva d’altra parte mostrato piena consapevolezza di come nel
mondo moderno fosse avvenuta una modificazione profonda delle for-
Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 89-102; G. Lukács, Solženitsyn: Una giornata di Ivan De-
nisovič, in Marxismo e politica culturale, Einaudi, Torino 1968, pp 187-88.
22 G. Lukács, Teoria del romanzo, introd. di A. Asor Rosa, Newton Compton, Ro-
in «Allegoria» III 8, 1991, pp. 158-60 (con una introduzione di F. Rappazzo, Un articolo
di Pirandello sulle forme narrative, ivi, pp. 155-57).
26 Pirandello, Romanzo, racconto, novella, cit., pp. 155-57. E cfr. N. Tommaseo, Di-
zionario estetico, quarta ristampa, Le Monnier, Firenze 1867, pp. 886-89. Cfr. Luperini,
Verga e l’invenzione della novella moderna, cit.
27 Pirandello, Romanzo, racconto, novella, cit, p. 160; Tommaseo, Dizionario este-
della modernità (basti pensare a Goethe, che nel 1795 scrive Märchen,
nel 1807 La nuova Melusina, e ad Hoffmann). Nel recupero ottocente-
sco del patrimonio folclorico, nel rapporto con la fiaba, con la sua «co-
stituzione formale», e con l’«intensificazione drammatica della collisio-
ne», è individuabile il «modello di generalizzazione intensiva della no-
vella moderna». Tra fiaba e novella moderna si pone cioè una «relazione
genetica di tipo formale-compositivo»28. La questione centrale era infatti
quella del «difficile rapporto, proprio del mondo moderno, tra le com-
plessità spesso antinomiche della motivazione del “casuale” (della singo-
larità) e le esigenze, opposte, della unità formale», cioè tra le esigenze
della «necessità» e quelle «dell’universalità». Non tanto come “fonte” la
fiaba è individuabile come essenziale nella genesi della novella moderna,
ma proprio come «metodo di formalizzazione dei motivi, vale a dire il
procedimento di generalizzazione donde si generano in essa gli ambiti di
possibilità (interna, immanente al mondo dell’opera) entro i quali gli
svolgimenti della vicenda diventano “verosimili”». Intendendo per «mo-
tivi» dell’intreccio, va chiarito, quelli «progressivi», «regressivi», «ritar-
danti» (che «fanno avanzare l’azione», che l’allontanano dalla meta, che
«frenano il processo o allungano la strada») di cui parlano Goethe e
Schiller a proposito della «poesia epica e drammatica»29. Nella novella
moderna «i procedimenti di composizione dei motivi» possono conside-
rarsi in tal senso «“derivati” dalla forma compositiva della fiaba». La fia-
ba, costruita con una struttura modulare, concorre cioè alla genesi della
novella moderna perché esempio di una forma narrativa breve che può
allargarsi o restringersi senza “perdersi” in un «accumulo di dettagli». Per
la sua “immediata” «unità di singolare e universale», per la sua “primiti-
va” connessione «del singolo alla totalità», la fiaba poteva fornire alla no-
vella moderna un modello «che consentisse di rappresentare il nesso sin-
golarità-universalità come una relazione di inerenza». Si era infatti rive-
lato come incongruo con il mondo moderno il sistema macrotestuale
cornice-novelle, proprio della novellistica boccacciana, in cui il nesso
singolare-universale era stato rappresentato in termini di esemplificazio-
ne non contraddittoria, come «tipicità particolare»30. Nell’innovare la
28 G. Compagnino, Forme della novella moderna, in «Siculorum Gymnasium», n.s.
LI, 1998, n. 2 (Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, tomo II), pp. 215-41, in particolare
pp. 218-20, 226-27.
29 Cfr. Goethe-Schiller, Carteggio, trad. di A. Santangelo, Einaudi, Torino 1946,
forma della novella moderna, il modello della fiaba doveva però subire
un’altra, fondamentale modificazione. La forma “modulare”, “aperta”
della fiaba, la sua possibilità di combinazione “infinita” di fatti e funzio-
ni, doveva cioè passare attraverso un elemento centrale, quello della «col-
lisione», che annullasse l’effetto combinatorio e strutturasse «l’intreccio
prospetticamente intorno a un “fuoco”»31. Proprio a partire dalla fiaba e
dal folklore Meletinskij, nella sua Poetica storica della novella, compie
un’analisi tipologica-storica delle forme della novella nel suo sviluppo
storico e comparativo.
All’inizio della fase moderna, sviluppando una riflessione sul genere
della novella nella modernità, sulla sua specifità nella «concentrazione
piuttosto che sull’estensione, sulla sintomaticità piuttosto che sulla com-
pletezza», E. A. Poe ha esplicitamente indicato il centro di gravità nell’e-
pilogo: «In un racconto la fine, a differenza dell’inizio, deve essere pre-
determinata, affinché ogni parola del gigantesco organismo narrativo
converga sullo scioglimento come in un imbuto»32. Sul ruolo dell’epilo-
go hanno ugualmente insistito i formalisti russi (per Ejchenbaum la no-
vella infatti «deve essere tutta mirata alla conclusione»33).
E però, nel racconto novecentesco è proprio il tradizionale centro di
gravità, l’epilogo, ad assumere un ruolo sempre meno rilevante. E «il fi-
nale, più che nel grado di imprevedibilità, muta nel tipo di legami che
lo collegano al resto del racconto»34. Più che i fatti, a divenire problema-
tica è la loro concatenazione, che approda, in Pirandello, a «una tecnica
straniante della discontinuità e dell’incompiutezza»35. La novella moder-
na, più che dalla concatenazione lineare dei fatti, punta a ricavare signi-
ficato «dalla asimmetria fra chiusura formale dell’intreccio e sospensione,
o inadempimento, del senso: la fine (come clôture, conclusione) risulta
sfasata rispetto al fine (teleologicamente inteso)»36.
Un testo esemplare come La metamorfosi di Kafka manifesta infatti
il moderno «scardinamento delle categorie aristoteliche di inizio/mez-
novella, in Id., L’autocoscienza del moderno, Liguori, Napoli 2006, pp. 163-76.
Forme e storia del “genere” novella 17
Abstract