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LE FORME e LA STORIA

Rivista di Filologia Moderna


Dipartimento di Scienze Umanistiche
Università degli Studi di Catania
n.s. VI, 2013, 2

La novella

a cura di
Andrea Manganaro

Rubbettino
2013
LE FORME e LA STORIA
Rivista di Filologia Moderna
Dipartimento di Scienze Umanistiche
Università degli Studi di Catania
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Sommario

7 Andrea Manganaro
Forme e storia del “genere” novella

19 Massimo Bonafin
Rileggere Meletinskij e la poetica storica della novella

27 Eleazar M. Meletinskij
La fiaba novellistica e la fiaba-aneddoto come generi folklorici

55 María Jesús Lacarra


Derecho y ficción en la ‘prehistoria’ de la novella

71 Salvatore Luongo
La Marchesana di Monferrato fra tradizione e innovazione: ancora
sulla novella I.5 del Decameron

87 Nicolò Mineo
Decameron, X, 10: Dioneo e la «magnificenza» invalidata

99 Giancarlo Alfano
L’opera narrativa di Matteo Bandello tra oralità e scrittura

113 Gaetano Lalomia


Il libro di novelle medievale in tipografia (1500-1600)

137 Pasquale Guaragnella


La malinconia e un sistema narrativo antifrastico. Osservazioni su
Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile

149 Mariella Di Maio


Un genere incompiuto: la novella in Stendhal
6 Sommario

165 Enrico Fenzi


Artisti da strapazzo

205 Gisèle Vanhese


Transmutations de la forme brève. Des contes de Marcel Schwob
à Biserica neagră d’Anatol E. Baconsky

223 Gli autori


227 Norme redazionali per gli autori
Andrea Manganaro
Forme e storia del “genere” novella

Il settimo centenario della nascita di Giovanni Boccaccio offre l’oc-


casione per dedicare il numero speciale del 2013 della rivista «Le forme e
la storia» al genere novella, che nel Decameron ebbe uno dei suoi modelli
più illustri, fondante per la tradizione europea. Pur avendo origini anti-
chissime, che risalgono al mondo classico e al mondo indiano (Pañca-
tantra), e nonostante la grandezza del capolavoro boccacciano, la novel-
la, nel «Gotha dei generi letterari», ha però sempre «sofferto di uno sta-
tuto di subalternità e di mancanza di codificazione»1. Solo dall’Ottocen-
to è divenuta oggetto di ricerca. E pochi rimangono comunque i tenta-
tivi di definizione teorica, concentrati tutti tra Otto e Novecento, con la
sola eccezione della cinquecentesca Lezione sopra il comporre delle novelle
di Francesco Bonciani.
Un genere minore, quello della novella, ma tra i più diffusi nella tra-
dizione letteraria, e presente, dall’antichità a oggi, nelle sue «forme pro-
teicamente mutevoli come il racconto sibaritico, la fabula milesia, l’a-
neddoto, l’exemplum, il fabliaux, la nova provenzale, ecc.», con un ma-
teriale tematico sconfinato e millenario (i sei volumi del Motif-Index di
Stith ompson possono offrirne solo una parziale campionatura)2. Un
genere che, nei modi propri della formalizzazione letteraria, mostra pe-
raltro un rapporto privilegiato con la realtà quotidiana. Per lungo tempo
appare infatti la forma letteraria nella quale prima che in altri generi tro-
vano possibilità di rappresentazione situazioni della vita quotidiana. Sul-
le soglie della modernità tale carattere della narrativa minore non sfug-
giva a Foscolo, che osservava come le novelle, a differenza dei generi alti,
«dipingeano i costumi de’ propri tempi», e non furono mai scritte «per

1 C. Segre, La novella e i generi letterari, in La novella italiana (Atti del Convegno

di Caprarola, 19-24 settembre 1988), Salerno Editrice, Roma 1989, pp. 47-57, a p. 47.
2 Ibidem.

«Le forme e la storia» n.s. VI, 2013, 2, pp. 7-18


8 Andrea Manganaro

gli uomini letterati», ma per quella gente che deve essere “dilettata” e
“appassionata” «per cose le quali ella vede tutto giorno avvenire intorno
a sé»3. «Dilettata»: Boccaccio aveva per primo codificato il principio del-
la delectatio, coniugato a «un valore interno di tipo mimetico-realistico,
da intendersi specificamente nel senso di antiesemplare e antididascali-
co». La novella, da Boccaccio, «per prima mette al centro la contingenza
del quotidiano». E se la sua storia, alle origini, è segnata dalla progressiva
«emancipazione dall’esemplarità», solo con la novella moderna, con
l’Ottocento, «siamo di fronte all’affermazione del contingente e del ca-
suale in quanto tali»4.
Nel panorama delle forme letterarie la novella assume certamente
una posizione singolare: è un «oggetto di palpabile evidenza e consolida-
ta tradizione», e che tuttavia sfugge a una definizione in chiave di “gene-
re”5. Ma accanto a questa difficoltà definitoria, offre una straordinaria
ricchezza di problematiche di fondo: dalla varia tipologia, ai rapporti
con le fonti, i modelli, i contesti sociali, ai modi della trasmissione, della
circolazione, della fruizione di quei materiali narrativi6. Questioni rap-
presentate con scelte significative in questo numero monografico: dalla
narrativa breve in area spagnola e dai rapporti con le collezioni orientali
(Lacarra); alla rielaborazione dei materiali narrativi romanzi e orientali
nel Decameron (Luongo); al rapporto tra novella (l’ultima del Decame-
ron), cornice e contesto sociale (Mineo); al rapporto tra oralità e scrittu-
ra nella novella cinquecentesca (Alfano); alla trasmissione delle novelle
medievali nei libri del Cinquecento (Lalomia); alle relazioni con la fiaba
nel Seicento (Guaragnella); alla novella moderna (Di Maio, per lo sta-
tuto della novella stendhaliana, Fenzi, per il motivo degli “artisti da stra-
pazzo” in Verga, Vanhese per Schwob e Baconsky). Apre questo volume
un testo di Meletinskij (introdotto da Bonafin), anticipazione del primo
capitolo della Poetica storica della novella (1990), per la prima volta final-

3 Cfr. U. Foscolo, Saggio di novelle di Luigi Sanvitale, in Scritti letterari e politici

dal 1796 al 1808, a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1972 (Edizione Nazionale
delle Opere, v. VI ), pp. 263-64.
4 S. Zatti, La novella: un genere senza teoria, in «Moderna» XII, 2010, 2 (Un genere

senza qualità. Il racconto italiano nell’età della short stories, a cura di S. Zatti ed A. Sta-
ra), pp. 11-24, alle pp. 15-16. Ma cfr. anche l’approfondito e aggiornato Repertorio biblio-
grafico ragionato, sulla forma breve in età moderna e in particolare sul racconto italiano
del Novecento, a cura di I. Bignardi, C. Savettieri, A. Stara, A. Viti (ivi, pp. 251-86).
5 Ivi, p. 11.
6 Malato, Premessa, in La novella italiana, cit., pp. IX-XIII, a p. X.
Forme e storia del “genere” novella 9

mente tradotta in italiano e attualmente in corso di pubblicazione dalla


casa editrice dell’Università di Macerata.

La difficoltà di definizione della novella appare sin dal testo fondan-


te, nella dichiarazione proemiale di Boccaccio, e dalla dibattutissima
questione posta: «intendo di raccontare cento novelle, o favole, o para-
bole o istorie che dire le vogliamo»7. Si propende oggi a non interpretare
i quattro termini come equivalenti sinonimici. Più che una incertezza
nel definire la nuova forma narrativa, la formula boccacciana («novelle,
o favole, o parabole o istorie») sembra testimoniare infatti la difficoltà di
trovare un termine «di valenza semantica comunemente accettata», sem-
bra fornire ai lettori coevi «dei referenti più correnti e familiari, assorbiti
e superati dal termine generale “novella”»8. E «novella» resta poi il ter-
mine usato quasi esclusivamente nel Decameron per designare il tipo di
narrazioni di cui si compone, laddove gli altri tre sono relegati a indicare
«modelli superati di racconto» (come l’exemplum)9. Da allora, con il mo-
dello boccacciano, il termine «novella» si sarebbe affermato per designare
la narrativa breve, e non solo in Italia10.
Pur nell’apparente continuità della tradizione e del termine, le forme
della novella si sono ovviamente, necessariamente, modificate. E il mu-
tare delle forme non è d’altra parte riducibile solo al seppur significativo
cambiamento della struttura macrotestuale (si pensi soltanto al progres-
sivo ampliarsi della cornice dal modello boccacciano ai novellieri cinque-
17 G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Einaudi, Torino 1987, p. 9, con

la nota di V. Branca.
18 Cfr. E. Malato, La nascita della novella italiana: un’alternativa letteraria borghese

alla tradizione cortese, in La novella italiana, cit., pp. 3-45, alle pp. 28-32, 44-45. E cfr.
anche Id., Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Ri-
nascimento, in Atti del Convegno (Pisa, 26-28 ottobre 1998), a cura di G. Albanese, L.
Battaglia Ricci e R. Bessi, Salerno, Roma 2000.
19 Cfr. M. Picone, Il racconto, in Manuale di letteratura italiana. Storia per generi

e problemi, a cura di F. Brioschi e C. Di Girolamo, vol. I, Bollati Boringhieri, Milano


1993, pp. 585-696, alle pp. 632-33.
10 Significativamente R. Bragantini usa il termine «racconto» per intitolare un suo

volume sulla narrativa breve dal Trecento al Seicento (Vie del racconto. Dal Decameron
al Brancaleone, Liguori, Napoli 2000): il termine più vago di «racconto», anziché «no-
vella», serve a «far percepire che, nell’apparente continuità della tradizione, gli equilibrî
vanno mutando» (ivi, p. 3). Di Bragantini si veda anche La storia e la forma, in Il riso
sotto il velame, Olschki, Firenze 1987, pp. 9-71, per la focalizzazione di alcuni aspetti del
dibattito teorico contemporaneo sulla novella, e in particolare per l’esame di Forme sem-
plici di A. Jolles.
10 Andrea Manganaro

centeschi, alla sua successiva scomparsa – già con le Novelas ejemplares


di Cervantes –, ma anche all’inglobare in una struttura macrotestuale la
forma narrativa popolare della fiaba – con Basile –). Il sistema macrote-
stuale cornice-novelle, proprio della novellistica boccacciana, con la sua
particolare rappresentazione del nesso singolare-universale, si rivela in-
fatti sempre più inadeguato a esprimere le contraddizioni della moder-
nità e viene progressivamente sostituito dalle “raccolte”. Alla linearità
della novella boccacciana si sostituiscono nella modernità nuovi equilibri
formali, un diverso concentrarsi del fuoco narrativo, e anche una pro-
gressiva sostituzione dell’antico nome con quello di «racconto». Anche
se, significativamente, alcuni tra i più grandi scrittori, tra Otto e Nove-
cento (si pensi a Verga e a Pirandello), nel rifondare sostanzialmente il
genere, hanno preferito il termine canonico della tradizione, «novella»,
per le forme, decisamente nuove, della loro narrativa breve.
Quanto fossero incerti i confini della novella, e ardua la sua distin-
zione dalle altre forme di narrativa, era ben chiaro anche ai formalisti
russi (Sklovskij rinunciò esplicitamente a definirla11). Cesare Segre, pur
consapevole dell’inevitabile imprecisione, dovuta alle forme estrema-
mente diverse assunte nel corso del tempo, ha fissato comunque una
preliminare, essenziale distinzione «tra narrazione di tipo novellistico,
che sussume tutti i microgeneri» prima citati e «novella vera e propria»,
a cui, «data la vitalità a partire dal Duecento», si potrebbe attribuire an-
che la qualifica di «genere». E su questa base ha proposto una definizio-
ne minima:
la novella è una narrazione breve generalmente in prosa (a differenza dal
fabliau, dal lai e dalla nova) con personaggi umani (a differenza della favola
esopica) e contenuti verosimili (a differenza della fiaba) ma generalmente
non storici (a differenza dell’aneddoto), per lo più senza finalità morali o
conclusione moraleggiante (a differenza dell’exemplum).

È pertanto un tipo di narrazione che si manifesta «nella scelta tra va-


ri dilemmi: narrazione orale/narrazione scritta; strumentalizzazione/li-
bertà inventiva; inserzione in un frame, in una cornice/autonomia»12.
11 V. Sklovskij, Una teoria della prosa, Garzanti, Milano 1974, p. 81.
12 Segre, La novella e i generi letterari, cit., pp. 47-48 e Idem, Generi, in Avviamen-
to all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 1985, pp. 234-63. E cfr., per la novella
medievale La nouvelle. Formation, codification et rayonnement d’un genre médiévale, a cu-
ra di M. Picone, G. Di Stefano, P.D. Stewart, Plato Academic Press, Montréal 1983; Il
racconto, a cura di M. Picone, Il Mulino, Bologna 1985; M. Picone, Il racconto, in Ma-
Forme e storia del “genere” novella 11

In Italia, tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, come «pun-
to di arrivo di un processo letterario non monogenetico ma poligeneti-
co»13 si afferma la «novella così designata», separabile da tutte le narra-
zioni novellistiche precedenti. Più tardi si diffondono in Francia e Spa-
gna nouvelle e novela, «nome e cosa»; in Germania Novelle è tuttora di
uso normale. «Ma in Francia, Spagna e Portogallo la concorrenza di con-
te, cuento, conto è sempre forte, e in Spagna la parola novela viene trasfe-
rita, nel secolo XVIII, al romanzo, come pure in Inghilterra». Le diffi-
coltà sorgono però se si tenta di definire la novella come genere in ter-
mini di contrapposizione al romanzo. Da una parte, infatti, per l’epoca
medievale, la novella (quella «italiana dal Duecento in avanti, e quella
francese nel Quattrocento») si sviluppa «nel vuoto del romanzo», quasi
sostituendolo. Diverso e complesso è invece il rapporto con il romanzo
in epoca moderna, dove, oltre agli elementi differenziali basati sull’«op-
posizione di lunghezza», non sembrerebbe possibile «una definizione di
valore generale»14.
La tensione fra le due diverse polarità, forma breve e forma lunga, è
comunque presente sin dall’inizio, «riprodotta all’interno del rapporto
testi/cornice, o, più genericamente, fra singolo testo e raccolta di testi
(ad e. Boccaccio e Chauer)»15.
Per l’innegabile prestigio del modello decameroniano, per la capacità
di adattamento alle mutate esigenze dei tempi che cambiano («svilup-
pando di volta in volta l’aspetto comico o avventuroso […] favoloso o
fiabesco, perfino orroroso e tragico, oppure magnifico, scenografico, sor-
prendente, nell’età barcocca», in Italia la novella si impone come forma
narrativa privilegiata, in un arco storico che va dal Tre al Settecento, so-
stituendo di fatto il romanzo16. «Proprio perché non obbligato a fornire
modelli del mondo», questo genere «è in grado di cogliere, del mondo,
infiniti aspetti e giochi e combinazioni»17.
nuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi, a cura di F. Brioschi e C. Di
Girolamo, vol. I, Bollati Boringhieri, Milano 1993, pp. 587-696.
13 M. Picone, L’invenzione della novella italiana. Tradizione e innovazione, in La

novella italiana, cit., pp. 119-54, a p. 119.


14 Segre, La novella e i generi letterari, cit., pp. 48-49, 57.
15 Cfr. Zatti, La novella, cit., p. 14; E. Auerbach, La tecnica della composizione della

novella, eoria, Roma-Napoli 1984; M. Picone, Il Decameron come macrotesto: il pro-


blema della cornice, in Introduzione al Decameron, a cura di M. Picone e M. Mesirca,
Cesati, Firenze 2004, pp. 9-31.
16 Malato, La nascita della novella italiana, cit., pp. 41-42.
17 Segre, La novella e i generi letterari, cit., p. 43.
12 Andrea Manganaro

Solo nel Cinquecento, secolo peraltro estremamente produttivo an-


che nel campo della teorizzazione dei generi letterari, si ebbe, come si è
detto, una compiuta definizione normativa del genere, La lezione sopra il
comporre delle novelle (1574) del fiorentino Francesco Bonciani. Fu un ten-
tativo di applicazione delle categorie della Poetica aristotelica a un genere
moderno, la novella, non teorizzato dal filosofo greco. Bonciani ridusse
però la novella alla sola dimensione del comico e della beffa (il «ridicolo»
che «genera letizia») escludendone pertanto la materia tragica e orrorosa,
peraltro largamente rappresentata dai novellieri coevi: «diremo che le
novelle sieno imitazione d’una intera azione cattiva secondo ’l ridicolo,
di ragionevol grandezza, in prosa, che per la narrazione genera letizia».
Con la precisazione che le novelle «non deono anche imitare quelle opere
che scelerate e malvage sono interamente», poiché esse «più tosto arrecano
agl’uomini dolore che allegrezza». Bandendo pertanto «azioni di così fatta
malvagità», fissò come materia della novella solo le azioni «che cattive se-
condo ’l ridicolo furon da Aristotile chiamate, le quali non dagli scelerati,
ma da coloro per lo più si fanno che sono sciocchi e si lasciano aggirare»18.
Le più significative riflessioni sulla novella coincidono però con la
massima espansione del genere nella modernità: dagli anni 1810-30 dei
romantici tedeschi agli inizi del Novecento, con i formalisti russi. La
tendenza è stata soprattutto di definire la novella in rapporto al fratello
maggiore, il romanzo, concentrando l’attenzione sul contrasto tra «esten-
sivo» e «intensivo»19.
Ma se la caratteristica distintiva della novella nei confronti del ro-
manzo è prevalentemente riferibile all’«effetto di brevità», altre prospet-
tive prendono in considerazione la sua tendenziale costituzione formale,
contraddistinta, pur nella sua enorme varietà, dalla rappresentazione del-
la singolarità, della parzialità. Una caratteristica che nella modernità si
18 Cfr. F. Bonciani, Lezione sopra il comporre delle novelle, in Trattati di poetica e

retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, vol. III, Roma-Bari, Laterza, 1972, pp.
135-73, alle pp. 145-47. Cfr., per la Lezione del Bonciani: R. Bragantini, La storia e la for-
ma, cit., pp. 9-71, alle pp. 19-23; S.S. Nigro, Le brache di San Griffone. Novellistica e pre-
dicazione fra ’400 e ’500, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 136-47; E. Biagini, Racconto e teo-
ria del romanzo, Einaudi, Torino 1983, pp. 104-8; M. Guglielminetti, La cornice e il fur-
to. Studi sulla novella del ’500, Zanichelli, Bologna 1984, pp. 128-32, 138-40, 145-46, 149-
51; N. Ordine, Teoria della novella e teoria del riso nel Cinquecento, Liguori, Napoli
1996, soprattutto pp. 59-62 (alle pp. 97-135 riporta anche il testo della Lezione).
19 Zatti, La novella, cit., p. 13, anche per le indicazioni bibliografiche; V. Šklovskij,

La struttura della novella e del romanzo, in B. Ejchenbaum et alii, I formalisti russi, a cu-
ra di T. Todorov, Einaudi, Torino 1968, pp. 205-29.
Forme e storia del “genere” novella 13

manifesta anche nei rapporti con il genere maggiore: la novella inizia in-
fatti ad influenzare il romanzo. Nel Novecento la «cornice», sparita dalle
novelle, si traspone nel genere maggiore. La «parzialità» della novella (o
racconto) tende a trasferirsi nel romanzo20.
Lukács, muovendo dalla definizione della novella data da Goethe
nei colloqui con Eckermann («un avvenimento inaudito che si è verifi-
cato»), svolta ulteriormente da Tieck («la novella dovrebbe avere un mo-
mento culminante, un punto focale in cui un fatto determinato dovreb-
be esser posto sotto la luce più chiara e più forte»), fissava la sostanziale
distinzione nella «concentrazione della novella attorno al punto focale
dell’avvenimento straordinario». Ad essere oggetto di rappresentazione
nel romanzo è la totalità di un mondo: non solo il momento di crisi, ma
il suo prodursi, il suo esplodere, i suoi effetti, accanto a tanti altri avve-
nimenti. La novella rappresenta invece direttamente la collisione, il mo-
mento culminante in cui si produce lo scontro. Se il romanzo tende a
rappresentare la totalità, la novella «muove invece dal caso singolo» e
«resta ferma ad esso». Essa rappresenta la parzialità, tralasciando «la ge-
nesi» delle situazioni in cui gli uomini agiscono21. In questa forma epica
priva di totalità, la novella, il giovane Lukács vedeva la «forma congenia-
le all’individuale straordinarietà e problematicità della vita». In essa l’au-
tore traspone «dall’incommensurabile infinità dell’accadere del mondo
un frammento», cui dà «risalto di fronte alla totalità della vita»22.
Ma non solo rispetto al romanzo si è tentato di definire la novella
come genere. La frequente trasposizione novella/dramma (basti pensare
a Pirandello o al rapporto tra la novella italiana del Cinquecento e
Shakespeare) è anche riferibile ad affinità che si fondano sulla rilevanza
dello scioglimento finale. Per B. Tomaševskij «la novella nella sua strut-
tura prende spesso lo spunto da procedimenti drammatici»23. Già De
Sanctis aveva d’altra parte mostrato piena consapevolezza di come nel
mondo moderno fosse avvenuta una modificazione profonda delle for-

20 G. Guglielmi, Esiti novecenteschi della novella italiana, in La novella italiana,


cit., pp. 607-25.
21 Cfr. R. Luperini, Verga e l’invenzione della novella moderna, in Verga moderno,

Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 89-102; G. Lukács, Solženitsyn: Una giornata di Ivan De-
nisovič, in Marxismo e politica culturale, Einaudi, Torino 1968, pp 187-88.
22 G. Lukács, Teoria del romanzo, introd. di A. Asor Rosa, Newton Compton, Ro-

ma 1975, pp. 61-62.


23 B. Tomaševskij, Teoria della letteratura, Feltrinelli, Milano 1978, p. 248; Zatti,

La novella, cit., p. 14.


14 Andrea Manganaro

me narrative, in conseguenza della crescente presenza dell’«elemento


drammatico» e di come i suoi «contemporanei» fossero ormai «avvezzi a
forme più veloci e più drammatiche»24. E l’intensificazione «drammati-
ca» della collisione viene appunto individuata da Pirandello come tratto
distintivo della novella moderna25. In un breve saggio del 1897 riprese
dal Dizionario estetico del Tommaseo l’osservazione che per la novella
non fosse «sorto ancor uno Stagirita»26. Schermendosi dalla possibile ac-
cusa di essersi voluto proporre lui come l’Aristotele della novella, Piran-
dello provò però a «fissare una buona volta il senso ondeggiante dei ter-
mini novella, romanzo, racconto», notando l’incertezza definitoria impe-
rante nella narrativa coeva. In poche pagine Pirandello distingue la no-
vella sia dal racconto, sia dal romanzo coevi. La differenziazione tra rac-
conto e novella non si basa tanto, a suo giudizio, sulla lunghezza, ma sul
prevalere nel primo dell’esposizione sulla rappresentazione; nell’avere
cioè caratteristiche più proprie del modo epico-narrativo il racconto, più
prossime al modo drammatico la novella, in cui i fatti non sono tanto
riferiti, ma rappresentati, «messi in azione». E accosta la novella alla tra-
gedia classica, non tanto per la presenza dei dialoghi, ma perché entram-
be «condensano in piccolo spazio i fatti, i sentimenti che la natura pre-
senta o dilatati o dispersi»; perché entrambe «pigliano il fatto, a dir così,
per la coda», rappresentano cioè non la totalità ma un momento parti-
colare ed estremo, con una visione parziale e obliqua, laddove il roman-
zo «perseguita la realtà fino ne’ suoi più verecondi latiboli, e per meglio
darla a conoscere, la fa a brani»27.
Nel rapporto della novella con gli altri generi letterari non poteva
non essere presa in considerazione la fiaba. In Germania, come in Italia,
la fiaba, sia popolare, sia d’arte, esercita infatti un ruolo fondamentale
nel rinnovare le forme della novella. La necessità del rifarsi alla fiaba era
stata individuata da non pochi grandi scrittori europei, sulle soglia stessa
24 Cfr. F. De Sanctis, La scuola cattolico liberale e il romanticismo a Napoli, a cura

di C. Muscetta e G. Candeloro, Einaudi, Torino 1972 (Opere a cura di C. Muscetta,


vol. XI), p. 64.
25 L. Pirandello, Romanzo, racconto, novella, in «Le Grazie» 4, 16 febbraio 1897, ora

in «Allegoria» III 8, 1991, pp. 158-60 (con una introduzione di F. Rappazzo, Un articolo
di Pirandello sulle forme narrative, ivi, pp. 155-57).
26 Pirandello, Romanzo, racconto, novella, cit., pp. 155-57. E cfr. N. Tommaseo, Di-

zionario estetico, quarta ristampa, Le Monnier, Firenze 1867, pp. 886-89. Cfr. Luperini,
Verga e l’invenzione della novella moderna, cit.
27 Pirandello, Romanzo, racconto, novella, cit, p. 160; Tommaseo, Dizionario este-

tico, cit., p. 887.


Forme e storia del “genere” novella 15

della modernità (basti pensare a Goethe, che nel 1795 scrive Märchen,
nel 1807 La nuova Melusina, e ad Hoffmann). Nel recupero ottocente-
sco del patrimonio folclorico, nel rapporto con la fiaba, con la sua «co-
stituzione formale», e con l’«intensificazione drammatica della collisio-
ne», è individuabile il «modello di generalizzazione intensiva della no-
vella moderna». Tra fiaba e novella moderna si pone cioè una «relazione
genetica di tipo formale-compositivo»28. La questione centrale era infatti
quella del «difficile rapporto, proprio del mondo moderno, tra le com-
plessità spesso antinomiche della motivazione del “casuale” (della singo-
larità) e le esigenze, opposte, della unità formale», cioè tra le esigenze
della «necessità» e quelle «dell’universalità». Non tanto come “fonte” la
fiaba è individuabile come essenziale nella genesi della novella moderna,
ma proprio come «metodo di formalizzazione dei motivi, vale a dire il
procedimento di generalizzazione donde si generano in essa gli ambiti di
possibilità (interna, immanente al mondo dell’opera) entro i quali gli
svolgimenti della vicenda diventano “verosimili”». Intendendo per «mo-
tivi» dell’intreccio, va chiarito, quelli «progressivi», «regressivi», «ritar-
danti» (che «fanno avanzare l’azione», che l’allontanano dalla meta, che
«frenano il processo o allungano la strada») di cui parlano Goethe e
Schiller a proposito della «poesia epica e drammatica»29. Nella novella
moderna «i procedimenti di composizione dei motivi» possono conside-
rarsi in tal senso «“derivati” dalla forma compositiva della fiaba». La fia-
ba, costruita con una struttura modulare, concorre cioè alla genesi della
novella moderna perché esempio di una forma narrativa breve che può
allargarsi o restringersi senza “perdersi” in un «accumulo di dettagli». Per
la sua “immediata” «unità di singolare e universale», per la sua “primiti-
va” connessione «del singolo alla totalità», la fiaba poteva fornire alla no-
vella moderna un modello «che consentisse di rappresentare il nesso sin-
golarità-universalità come una relazione di inerenza». Si era infatti rive-
lato come incongruo con il mondo moderno il sistema macrotestuale
cornice-novelle, proprio della novellistica boccacciana, in cui il nesso
singolare-universale era stato rappresentato in termini di esemplificazio-
ne non contraddittoria, come «tipicità particolare»30. Nell’innovare la
28 G. Compagnino, Forme della novella moderna, in «Siculorum Gymnasium», n.s.

LI, 1998, n. 2 (Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, tomo II), pp. 215-41, in particolare
pp. 218-20, 226-27.
29 Cfr. Goethe-Schiller, Carteggio, trad. di A. Santangelo, Einaudi, Torino 1946,

in part. pp. 139, 216-17.


30 Compagnino, Forme della novella moderna, cit., pp. 226-27.
16 Andrea Manganaro

forma della novella moderna, il modello della fiaba doveva però subire
un’altra, fondamentale modificazione. La forma “modulare”, “aperta”
della fiaba, la sua possibilità di combinazione “infinita” di fatti e funzio-
ni, doveva cioè passare attraverso un elemento centrale, quello della «col-
lisione», che annullasse l’effetto combinatorio e strutturasse «l’intreccio
prospetticamente intorno a un “fuoco”»31. Proprio a partire dalla fiaba e
dal folklore Meletinskij, nella sua Poetica storica della novella, compie
un’analisi tipologica-storica delle forme della novella nel suo sviluppo
storico e comparativo.
All’inizio della fase moderna, sviluppando una riflessione sul genere
della novella nella modernità, sulla sua specifità nella «concentrazione
piuttosto che sull’estensione, sulla sintomaticità piuttosto che sulla com-
pletezza», E. A. Poe ha esplicitamente indicato il centro di gravità nell’e-
pilogo: «In un racconto la fine, a differenza dell’inizio, deve essere pre-
determinata, affinché ogni parola del gigantesco organismo narrativo
converga sullo scioglimento come in un imbuto»32. Sul ruolo dell’epilo-
go hanno ugualmente insistito i formalisti russi (per Ejchenbaum la no-
vella infatti «deve essere tutta mirata alla conclusione»33).
E però, nel racconto novecentesco è proprio il tradizionale centro di
gravità, l’epilogo, ad assumere un ruolo sempre meno rilevante. E «il fi-
nale, più che nel grado di imprevedibilità, muta nel tipo di legami che
lo collegano al resto del racconto»34. Più che i fatti, a divenire problema-
tica è la loro concatenazione, che approda, in Pirandello, a «una tecnica
straniante della discontinuità e dell’incompiutezza»35. La novella moder-
na, più che dalla concatenazione lineare dei fatti, punta a ricavare signi-
ficato «dalla asimmetria fra chiusura formale dell’intreccio e sospensione,
o inadempimento, del senso: la fine (come clôture, conclusione) risulta
sfasata rispetto al fine (teleologicamente inteso)»36.
Un testo esemplare come La metamorfosi di Kafka manifesta infatti
il moderno «scardinamento delle categorie aristoteliche di inizio/mez-

31 Ivi, pp. 221, 223, 226, 222.


32 Zatti, La novella, cit., p. 18: E.A. Poe, Filosofia della composizione, in Id., Opere
scelte, a cura di G. Manganelli, Mondadori, Milano 1971, p. 1306.
33 B. Ejchenbaum, Teoria della prosa, in Id. et alii, I formalisti russi, cit., pp. 231-247.
34 Zatti, La novella, cit., p. 22.
35 S. Blazina, L’epilogo e la novella: Verga, D’Annunzio, Pirandello, in G. Bárberi

Squarotti et alii, La metamorfosi della novella, Bastogi, Foggia 1985, p. 276.


36 Zatti, La novella, cit., p. 23; R. Luperini, Il trauma e il caso. Sulla tipologia della

novella, in Id., L’autocoscienza del moderno, Liguori, Napoli 2006, pp. 163-76.
Forme e storia del “genere” novella 17

zo/fine»: il baricentro, che tradizionalmente gravitava sul finale, si sposta


totalmente sull’inizio, rimuovendo ogni enunciazione sulle cause che
hanno determinato l’evento mostruoso. Il fuoco narrativo si sposta cioè
dal «trauma» all’adattamento ad esso. E straniante non è più allora il fat-
to “nuovo”, inaudito, ma «l’assuefazione» degli individui protagonisti a
una “normalità” anomala37.
In Italia l’invenzione di una forma novellistica moderna si era avuta
con Verga. La svolta è segnata da Rosso Malpelo 38. Prima le novelle sca-
pigliate si orientavano verso una conclusione eccezionale, ma eccentrica,
anche esotica. E le novelle di ambientazione campagnola (anche la Ned-
da verghiana) consistevano in una successione di piccoli avvenimenti
uguali. Entrambe le tipologie erano comunque esposte, più che rappre-
sentate (secondo la terminologia di Pirandello). Rosso Malpelo segna una
cesura nella storia della novella moderna italiana. E non solo per l’im-
personalità narrativa, ma per la rappresentazione scorciata, condensata,
costruita per giustapposizione di sequenze. Verga rappresenta l’avveni-
mento straordinario nella quotidianità. E la singolarità di Rosso Malpelo
assume un significato generale. La novella di Verga apre la strada a quel-
la, pienamente moderna, di Pirandello, alla sua «normalità assurda», in
cui «l’evento eccezionale» diventa «un caso problematico e critico che ri-
guarda la vita di ogni giorno», di cui conferma la «normalità», divenuta
però, ormai paradossale39.

Abstract

Il settimo centenario della nascita di Boccaccio offre l’occasione per fornire


un essenziale quadro di alcune delle problematiche connesse alla novella, che
nel Decameron ha uno dei suoi modelli più illustri, fondante per la tradizione
europea: le difficoltà nell’individuare una definizione di valore generale per un
“genere” comunque diffusissimo, nelle sue mutevoli forme, dall’antichità ai
giorni nostri; la genesi della novella medievale; i suoi rapporti, diversificati nel
corso della storia, con gli altri generi (romanzo, dramma, fiaba); le caratteristi-
che della novella moderna, della relativa riflessione teorica, i mutamenti nella
forma del racconto del Novecento.

37 Zatti, La novella, cit., p. 23.


38 Luperini, Verga e l’invenzione della novella moderna, cit., pp. 95-102.
39 Ivi, p. 99.
18 Andrea Manganaro

The seventh centenary of Boccaccio’ birth offers an opportunity to provide


an essential description of some of the issues related to the short story, which
in e Decameron has one of its most illustrious models, fundamental to the
European tradition: there is difficulty however in identifying a definition of
general value for such a widespread “genre” with its varying forms, from antiq-
uity to the present day; the genesis of the medieval “novella”; its relations, di-
versified throughout history, with other genres (novel, drama, fairy tale); char-
acteristics of the modern novella, related theoretical reflection, changes in the
form of the twentieth-century short story.

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