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Terza serie
3
A cura di
Kathrin Ackermann
e Susanne Winter
Comitato scientifico
Volume pubblicato con il contributo del programma Arts & Humanities del Polo universitario
Wissenschaft & Kunst dell’Università Paris Lodron di Salisburgo e della Stiftungs-und Förde-
rungsgesellschaft der Paris-Lodron-Universität Salzburg.
Il presente volume contiene una selezione (avvenuta tramite revisione paritaria) di contributi ba-
sati sulle relazioni presentate nella sessione “Lo spazio domestico tra letteratura e arte” del XX
Congresso A.I.P.I. “L’Italia e le arti. Lingua e letteratura a dialogo con arte, musica e spettacolo”
(Salisburgo 5 - 8 settembre 2012).
ISBN 978-88-7667-490-7
In copertina: Edward Hopper, Room in Brooklyn (1932), Boston, Museum of Fine Arts.
Verga e «quelli della casa del nespolo». Analisi dei Malavoglia tra
affetti e realtà sociale, di Francesca Strazzi » 19
La mia casa è dove sono: la recherche di Igiaba Scego, di Sara Lorenzetti » 127
di SARA LORENZETTI
La mia casa è dove sono, ultimo romanzo di Igiaba Scego, pubblicato per l’edi-
tore Rizzoli nel 2010, costituisce un punto d’osservazione privilegiato sullo svilup-
po della letteratura d’emigrazione in lingua italiana.
Igiaba Scego è un’esponente di seconda generazione di quella Letteratura
Migrante Italiana, che Armando Gnisci ritiene la componente più vitale e fertile
nell’ambito della narrativa contemporanea1. Nata a Roma da genitori somali, si
laurea in Lingue e Letterature Straniere e consegue un dottorato in Pedagogia;
dopo l’esordio con il racconto Salsicce, per cui vince il premio “Eks&Tra”, si im-
pone all’attenzione della critica con alcuni romanzi; collabora con diverse testate
giornalistiche, occupandosi di intercultura.
La protagonista del romanzo è l’alter ego dell’autrice (ne porta il nome), una
giovane donna che introietta in sé la condizione dell’esule: «…una creatura a metà.
Le radici sono state strappate, la vita è stata mutilata, la speranza è stata sventrata,
il principio è stato separato, l’identità è stata spogliata»2. Sin da bambina Igiaba si
sente «Un ponte, un’equilibrista, una che è sempre in bilico e non lo è mai»3.
All’inizio del romanzo l’io narrante rievoca una giornata in cui i membri della
sua famiglia, esuli in diversi paesi, si ritrovano a Manchester, a casa del fratello
Abdul: abbandonandosi ai ricordi della terra somala, in preda ad una saudade,
essi decidono di disegnare la mappa di Mogadiscio così com’era, prima che possa
scomparire anche dalla memoria. Una volta completata la cartina, Igiaba si rende
conto che la città delle sue origini racchiude solo in parte il suo essere e si propone
di completarla con i luoghi più significativi di Roma, dove è nata e cresciuta: solo
1
ARMANDO GNISCI, La letteratura italiana della migrazione, in ID., Creolizzare l’Europa: lettera-
tura e migrazione, Roma, Meltemi, 2003.
2
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, Milano, Rizzoli, 2010, p. 55.
3
Ivi, p. 31.
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Sara Lorenzetti
4
Ivi, p. 103.
5
Un tratto costante dei romanzi della Scego è una struttura narrativa elaborata ed originale, dal-
la cui considerazione non si può prescindere in sede interpretativa. A questo proposito sembra allora
particolarmente pertinente l’indicazione di Ugo Fracassa che invita i critici ad esprimere un giudizio
di valore sui testi della letteratura migrante, abbandonando l’atteggiamento protettivo di cautela in-
terpretativa e prestando piuttosto attenzione all’analisi linguistica e testuale. (UGO FRACASSA, Patria e
lettere. Per una critica della letteratura postcoloniale e migrante in Italia, Roma, Perrone, 2012, p. 147).
6
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 71 sgg.
7
Ivi, p. 55.
128
La mia casa è dove sono: la recherche di Igiaba Scego
8
Ivi, p. 159.
9
Per gli scrittori provenienti dai paesi del Corno d’Africa scrivere della propria terra d’origi-
ne significa anche scrivere dell’Italia, dati i legami storico-politici che legano i due paesi, sostiene
ALI MUMIN AHAD, Corno d’Africa. L’ex impero italiano, in Nuovo Planetario Italiano, a cura di Ar-
mando Gnisci, Troina, Città Aperta, 2006. Ali Mumin Ahad, somalo emigrato in Italia, studioso di
Economia nonché scrittore e critico, è autore dei primi e fondamentali studi postcoloniali italiani
per quanto riguarda la Somalia. Si possono vedere, per esempio, ALI MUMIN AHAD, I peccati storici
del colonialismo in Somalia, in «Democrazia e diritto», XIIII (1993), 4, pp. 217-250; ALI MUMIN
AHAD, Il passato coloniale nel presente della Somalia, in AA.VV., Sguardi incrociati sul colonialismo:
le relazioni dell’Europa con l’Africa, l’Asia e l’America Latina, Roma, UCSEI, 2005, pp. 377-395;
ALI MUMIN AHAD, Africa dall’esilio, in Poetiche africane, a cura di Armando Gnisci, Roma, Melte-
mi, 2003, pp. 107-133.
10
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 159.
11
Ivi, p. 56.
12
Ivi, pp. 90-91.
13
Ivi, p. 153.
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Sara Lorenzetti
«Sheeko sheeko sheeko xariir… Storia storia oh storia di seta»: così recita l’in-
cipit dell’opera, in cui l’autrice, secondo una modalità narrativa tipica degli scritto-
ri provenienti dal Corno d’Africa, cita una fiaba somala attingendo alla tradizione
orale. Questo ritornello si ripete nella parte iniziale del primo capitolo e la scan-
disce riproducendo ritmicamente la musicalità dei racconti trasmessi a voce, tipici
di un mondo nomade: «Fiabe più dure di una cassapanca di cedro. Iene con la
bava appiccicosa, bambini sventrati e ricomposti, astuzie di sopravvivenza»14 che
permettono di non pensare troppo alle fatiche materiali.
Riprendendo il patrimonio orale del suo paese l’autrice sembra dunque rinno-
vare il ruolo del saggio nell’antico mondo tribale, il cui compito era tramandare la
cultura di appartenenza15.
14
Ivi, p. 9.
15
ALI MUMIN AHAD, Africa dall’esilio, in Poetiche africane, cit., p. 132.
16
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., pp. 117 e 149.
17
Si segnalano i lavori di BRIGITTE LE GOUEZ, Identikit dello straniero extracomunitario nella
narrativa italiana degli ultimi vent’anni, in «Narrativa», XV (2006), 28, pp. 67-79, e GRAZIELLA
PAGLIANO, Stranieri del nero e del giallo, cit., pp. 151-162, che si propongono un sondaggio circa
la rappresentazione dello straniero immigrato nella narrativa italiana contemporanea, e quello di
MARIA GRAZIA NEGRO, CRISTINA MACERI, Nuovo immaginario italiano, Roma, Sinnos, 2009, che
indagano in modo comparativo l’immagine dello straniero in un corpus parimenti distribuito di
autori stanziali e migranti.
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18
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 27. È un dato ormai acquisito dalla critica
l’assenza nella cultura italiana di una riflessione sull’esperienza coloniale sia a livello storico sia
letterario. La nascita di una letteratura italiana della migrazione costituisce un tassello fondamen-
tale della decolonizzazione e ci pone di fronte alla necessità di una revisione critica del passato e
dell’assunzione di responsabilità rispetto al ruolo del nostro paese nell’imperialismo europeo. Vedi
per questo concetto ARMANDO GNISCI, Decolonizzare l’Italia. Via della decolonizzazione europea, 5,
Roma, Bulzoni, 2007, p. 99 e VALENTINA ANSELMI, La questione postcoloniale italiana nella lettera-
tura della migrazione, in «Kùmà», IX (2009), 17, in www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.html e
si segnala il recente lavoro di CRISTINA LOMBARDI-DIOP, CATERINA ROMEO, Postcolonial Italy: The
Colonial Past in Contemporary Culture, New York, Palgrave, 2012.
19
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 151.
20
Ivi, p. 146.
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Sara Lorenzetti
Igiaba: «E non scherzo quando dico che la mia maestra elementare, quella signora
dai vaporosi capelli bianchi, mi ha salvato la vita»21.
La popolazione del paese ospitante è ritratta in modo piuttosto stereotipato, a
tal punto che nessuno dei personaggi assume una caratterizzazione a tutto tondo e
riesce ad essere più di una comparsa: superficiali, inconsapevoli, razzisti ed egoisti,
gli Italiani del romanzo sono tutti uguali, quasi i loro fossero tratti genetici. Tale
modalità rappresentativa sembra un significativo riscontro di quello stereotipo di
alterità proiettato dallo scrittore migrante sui personaggi italiani che secondo Fra-
cassa22 potrebbe essere un interessante terreno d’indagine.
Se il paese reale è immerso nel degrado di un razzismo becero e squallido, il
paese ufficiale si esprime in una politica corrotta e compiacente che sacrifica i pro-
fughi agli interessi economici:
Oggi invece si rimandano i potenziali richiedenti asilo del Corno d’Africa nel-
le grinfie del colonnello Gheddafi, nei suoi lager osceni, e nessuno dice una
parola. Sembriamo tutti paralizzati. L’Italia ha fatto un accordo sul petrolio
con la Libia e per questo chiude gli occhi sulle atrocità commesse dalla parte
malata della società libica23.
21
Ivi, p. 156.
22
Fracassa osserva che sarebbe interessante l’«eventuale riscontro di analoghi stereotipi di
alterità proiettati però dallo scrittore migrante sui personaggi italiani». (UGO FRACASSA, Patria e
lettere. Per una critica della letteratura postcoloniale e migrante in Italia, cit., p. 147).
23
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 98.
24
Ivi, p. 107.
25
Ivi, p. 98.
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La mia casa è dove sono: la recherche di Igiaba Scego
tevo essere diversa anche in quello. Mi dovevo adeguare. Scelsi quel ragazzo rozzo
per poter dire agli altri: “Be, anch’io sono come voi”»26. Le difficili condizioni
economiche e l’assenza dei genitori per lunghi periodi inducono Igiaba a chiudersi
nel suo «iperspazio di goffaggini e storpiature»27 e sfociano in episodi di bulimia.
Nel corso della vicenda, tuttavia, matura una crescita che si riflette nella con-
sapevolezza rovesciata che «avere l’Africa dentro è come toccare i piedi degli
arcangeli»28. Proprio allora il silenzio in cui Igiaba si chiudeva per difendersi dagli
insulti razzisti viene spezzato e l’allieva trova la forza di umiliare il professore au-
tore delle becere battute razziste: «Prof., finalmente le ho portato il prodotto. Io
uso questo la mattina. Me lo spalmo ben bene per un paio d’ore. Si attacca che è
una meraviglia»29. La risposta liberatoria si nutre di un tratto distintivo dei Somali,
il forte orgoglio e la capacità di mantenere la propria dignità in ogni circostanza.
In modo analogo ad Igiaba infatti, anche la comunità somala di Roma, abituata
a mimetizzarsi, dopo anni di silenzio, proprio in occasione del naufragio del 2003,
riscopre il suo orgoglio e rivendica il diritto di poter ricordare le proprie vittime:
«Noi che non abbiamo mai chiesto nulla a questa Italia che ci ha colonizzato, quel
giorno abbiamo urlato un diritto. Era la prima volta. La voce ci usciva fuori spez-
zata e balbuziente. Ma era uscita in qualche modo. Si era fatta sentire»30.
Può risultare proficuo indagare come venga proposta nel romanzo l’immagine
della Somalia e dei Somali, soprattutto perché si può rilevare una assenza di re-
ciprocità nella delineazione del rapporto Italiano/straniero, noi/altri. Le vicende
degli antenati della famiglia Scego che vivono durante la dominazione fascista si
intrecciano con quelle degli Italiani, in particolare quando il nonno di Igiaba diven-
ta interprete e stretto collaboratore del gerarca fascista Graziani. In questo senso è
interessante notare come la voce narrante, che aveva utilizzato un tono di costante
rampogna nei confronti della disumanità del dominio coloniale, esiti in preda al
dubbio («Mio nonno allora era fascista?»)31. Il tentennamento dura un istante e
la riprovazione si stempera in un atteggiamento di umana comprensione e quasi
ammirazione:
26
Ivi, p. 141.
27
Ivi, p. 138.
28
Ivi, p. 139.
29
Ivi, p. 147.
30
Ivi, p. 97.
31
Ivi, pp. 81-82.
32
Ibid.
133
Sara Lorenzetti
Più avanti la figura dell’antenato emerge in tutta la sua ambiguità, quando egli
diventa dapprima collaborazionista con un regime che opprime i suoi connaziona-
li, poi persino portavoce delle istanze democratiche e guida nel processo verso l’in-
dipendenza, ma la voce narrante lo assolve e trasforma la sua collusione in trionfo:
33
Ivi, pp. 84-85.
34
Ivi, pp. 61-62.
35
Ivi, p. 133.
36
Ivi, p. 54.
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La mia casa è dove sono: la recherche di Igiaba Scego
quasi a riprodurre il meccanismo tipico nella cultura d’origine, diventa una tessera
nel processo di trasmissione narrativa.
Nella cultura somala la presenza della collettività segna anche l’altra tappa fon-
damentale dell’esistenza femminile: la maternità. Quando un bambino nasce, que-
sto evento interessa e coinvolge l’intera comunità che si prende cura della coppia
madre-figlio e lascia alla donna il tempo di riposare e di conoscere il suo piccolo.
Proprio in occasione della nascita dell’ultima figlia Igiaba, la mamma della prota-
gonista, che partorisce da sola in ospedale, nota criticamente come l’Italia, paese
in apparenza progredito, non preveda affatto una cultura dell’accoglienza: «Ma
nell’Occidente tanto evoluto tutto invece deve essere veloce. Non ti danno il tem-
po nemmeno per renderti conto che sei diventata mamma. Devi essere efficiente
da subito»37. Lasciando emergere un tratto di superiorità della tradizione somala
o, comunque, un’insufficienza nella cultura della maternità praticata in Italia, il
romanzo stimola in questo senso un fecondo confronto critico tra i due mondi in
un’ottica di interscambio.
L’aspetto forse di maggiore interesse nei romanzi della Scego risiede nell’im-
pasto linguistico utilizzato per cui è essenziale all’interpretazione un’analisi sotto
questo profilo, secondo l’indicazione di Fracassa38.
Con una modalità tipica degli scrittori migranti di seconda generazione, l’autri-
ce utilizza come base l’Italiano, l’idioma in cui nel periodo coloniale nella zona del
Corno d’Africa è stata veicolata l’istruzione39. La voce narrante si esprime in una
lingua che si presenta tuttavia estremamente variegata e si muove tra registri stilisti-
ci dissonanti: ricca di espressioni colloquiali («roba da sfigati»40), si colora talvolta
con dialettismi dell’area romanesca («Tutte fregnacce, ma molte ci credono»41 op-
pure «Ormai sono quarant’anni, mica bruscolini»42), ma tradisce l’alta formazione
della scrittrice nell’uso di termini propri di un lessico specifico come «diaspora»43.
La ricerca stilistica si scopre anche nel frequente ricorso a paragoni, che a volte
piegano la lingua in direzione poetica: «La sua parola segnava le pelli e i cuori, era
37
Ivi, p. 58
38
UGO FRACASSA, Patria e lettere. Per una critica della letteratura postcoloniale e migrante in
Italia, cit., p. 147.
39
ALI MUMIN AHAD, Corno d’Africa. L’ex impero italiano, cit., p. 241.
40
IGIABA SCEGO, La mia casa è dove sono, cit., p. 102.
41
Ivi, p. 104.
42
Ibid.
43
Ibid.
135
Sara Lorenzetti
44
Ivi, p. 133.
45
Ivi, p. 97.
46
Ivi, p. 95.
47
Ivi, p. 89.
48
Ivi, p. 97.
49
Ivi, p. 104.
50
Ivi, p. 85.
51
Ivi, p. 149.
52
Ivi, p. 150.
53
Ibid.
136
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La fase della crisi del personaggio coincide con l’adesione forzata ad un mono-
linguismo, che rappresenta la tristezza dell’esclusione e dell’isolamento. Interven-
gono di nuovo con una funzione salvifica le storie che la mamma le racconta per
farle capire che anche loro appartengono ad una tradizione e quelle che la maestra
le propone di leggere e le chiede di raccontare ai compagni di classe. Attraverso il
percorso affabulatorio matura una presa di coscienza che conduce Igiaba all’accet-
tazione ed all’orgoglio della propria diversità.
Il romanzo si conclude con un ritorno alla positività che implica a livello for-
male il recupero del multilinguismo dell’infanzia: «Oggi che sono adulta vivo a Tor
Pignattara, una Roma che confina con Pechino e Dakka»55, una “babele” inedita
in cui diversi idiomi si intrecciano in modo confuso ma paritario.
Il quartiere di Tor Pignattara è il simbolo dell’Italia, del passato che l’ha resa
crocevia di stratificazioni culturali ed etniche, ma anche del mondo futuro, desti-
nato alla multiculturalità ed al plurilinguismo.
54
Ibid.
55
Ivi, p. 156.
137
Finito di stampare nel mese di maggio 2014
presso M. D. Grafica srl – Città di Castello (PG)