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LINGUISTICA E LETTERATURA
ITALIANA
a cura di
Dino Manca
VOLUME II
FILOLOGIA DELLA LETTERATURA DEGLI ITALIANI
Collana di
Filologia, linguistica e critica letteraria
DIRETTORE
Dino Manca
I volumi pubblicati sono passati al vaglio da studiosi competenti per la specifica disciplina. La
valutazione è fatta sia all’interno che all’esterno del comitato scientifico. Il comitato scientifico si
avvale di almeno due revisori per la pubblicazione di ogni testo. Il meccanismo di revisione, tra
pari, offre garanzia di terzietà, assicurando il rispetto dei criteri identificanti il carattere scientifico
delle pubblicazioni.
ISBN 978-88-6025-559-4
E-mail: tipografiatas@gmail.com
2021
STUDI DI FILOLOGIA
LINGUISTICA E LETTERATURA
ITALIANA
a cura di
Dino Manca
VOLUME II
Salvatore Satta
[Il giorno del giudizio, II, p. 518]
Il presente volume è il risultato dell’attività di studio e di ricerca scientifica
svolta nell’ambito del progetto dal titolo Filologia della letteratura dei Sardi fi-
nanziato dall’ISTITUTO SUPERIORE REGIONALE ETNOGRAFICO DELLA SAR-
DEGNA (ISRE).
IMMAGINE DI COPERTINA: MS. autografo de Il giorno del giudizio di Salvatore Satta con-
servato presso il «Centro Studi Fondo Autografi Autori Sardi, Moderni e Contempo-
ranei» (CENSAS) dell’Università degli Studi di Sassari.
INDICE
VOLUME PRIMO
ANTONIO SORO
«Nonne duodecim horae sunt diei?». Ispirazione giovannea 1
e sapienziale per la similitudine di Pd X, 139-144
FIORENZO TOSO
Poesia patriottica genovese dell’età barocca: Invia ra Muza 17
à ro bosco per cantà dre arme di Gian Giacomo Cavalli
GABRIELLA MACCIOCCA
Lingua e memoria nel Romanticismo italiano con 75
un richiamo all’«esprit de la littérature» di Madame de Staël
MARTA PARIS
Leopardi dalle canzoni «patriottiche» a La ginestra: 95
l’amor proprio del genere umano come il vero amore
GIUSEPPE CANZONERI
Emigrazione e ritorno negato ne I Malavoglia e nelle Novelle per un anno 127
GIAMBERNARDO PIRODDI
Dalla princeps all’appendice. Percorsi di evoluzione del testo 137
di un romanzo deleddiano «bello e forte»
DINO MANCA
Le due giustizie di Grazia Deledda: dal manoscritto alla stampa. 161
Innovazioni di mano incerta e questioni restitutive
MAURO SARNELLI
La Semirâma di Alessandro Cerè-Ottorino Respighi: intrecci allusivi
191
fra teatro, musica, letteratura e Simbolismo rosacrociano
MARCO MANOTTA
Non si sa come di Luigi Pirandello: preliminari all’interpretazione 231
FEDERICO MURZI
Il disagio della poesia: per un’analisi preliminare sul Pirandello poeta 277
GIAMBERNARDO PIRODDI
Aleramo, Percoto, Deledda, Pietravalle. Esempi d’intellettualità 321
femminile fra letteratura e paraletteratura
VOLUME SECONDO
VALENTINA MARONGIU
La poesia in versi e in prosa di Piero Jahier: Con me I-VII 345
ANTONIO SORO
«Era l’amore?». Per l’interpretazione di Credo di Eugenio Montale 383
ANTONIO DI SILVESTRO
Per Pavese traduttore di Shelley: nuove acquisizioni sul Prometeo slegato 401
ROBERTO LOI
La distopia del reale irrazionale tra la contro-fattualità di Morselli 423
e la memorialistica di Levi
DINO MANCA
Il giorno del giudizio di Salvatore Satta. Proposta di edizione critica 465
dei primi due capitoli con studio linguistico introduttivo.
LUIGI MATT
Longaevi nel temenos: elementi latini e greci nella prosa
543
di Giorgio Manganelli
ALESSANDRO CADONI
Traumi? Note sparse su Trevi, Lagioia e alcuni romanzi
degli anni Dieci 569
ROSARIA CAROSELLA
Mille modi irriverenti e ironici di raccontare la vita: la parabola 593
narrativa plurigenere e plurilingue di Carlo D’Amicis
ROSARIA CAROSELLA
Vite «spatriate». Personaggi, lingue, luoghi e trame nei romanzi 639
di Mario Desiati
IL GIORNO DEL GIUDIZIO DI SALVATORE SATTA.
PROPOSTA DI EDIZIONE CRITICA DEI PRIMI DUE CAPITOLI
CON STUDIO LINGUISTICO INTRODUTTIVO.1
Dino Manca
1 Lo studio linguistico si trova altresì pubblicato in: MANCA 2018, pp. 187-213.
2 Il romanzo sattiano si interrompe nella «Parte seconda»: «Forse ho concepito un di-
segno troppo vasto. Ne sono addolorato perché si tratta non di gloria o di fama, estra-
nea totalmente al mio spirito, ma di impedire ad un mondo di morire. Vedremo quel
che succederà» (Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Albanese, 20 novembre 1971).
3 «Mi restano pochi anni da vivere…e in questi anni devo fare qualcosa che giustifi-
chi la mia esistenza. Cosa sarà lo ignoro; ma non può essere questo mestiere. Non si
può arrivare a Dio con le sudate carte, che egli non leggerebbe, come non leggono i
giudici dei concorsi» (Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Albanese, 15 giugno 1970).
4 L’opera di mimetizzazione e di arbitrario camuffamento dei toponimi e degli an-
troponimi presenti nell’autografo e nel dattiloscritto non fu fatta, come già scritto, da
mano autorale ma dai familiari di Satta per ragioni di privacy e di tutela giuridica.
5 Peraltro entrambi i romanzi incontrarono analoghi problemi filologici relativi alla
restituzione del testo e agli interventi emendatori dei curatori postumi. Grazia Deledda
morì a Roma il 15 agosto 1936. Dopo qualche settimana il direttore della «Nuova An-
tologia» Luigi Federzoni, a seguito dell’iniziativa intrapresa dall’allora redattore capo
Antonio Baldini e dietro sua sollecitazione, si interessò del materiale manoscritto la-
sciato dalla scrittrice. Il primogenito Sardus, allora trentaseienne, aveva infatti trovato
in un cassetto della sua casa romana, dentro una custodia di «carta turchina», un auto-
grafo di 277 carte sciolte, senza titolo e senza la parola «fine». Si trattava di un elabora-
to inedito contenente memorie romanzate della madre sul periodo nuorese, una sorta
di schermata autobiografia tradotta in finzione letteraria, il cui intreccio si dipanava sul
filo di una narrazione di sé fatta in terza persona. Quindici giorni dopo la dipartita, il 30
agosto, il settimanale illustrato di Roma «Quadrivio», a corredo di un articolo intitolato
Grazia Deledda davanti alla morte, propose in prima pagina ai suoi lettori una parziale ri-
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DINO MANCA
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
ho detto, è la storia della mia famiglia che è la storia di Nuoro e della Sarde-
gna»). Un viaggio a ritroso fatto attraverso i sentieri più reconditi
della mente e dell’anima; un’opera di ripiegamento su se stessi, alla
ricerca della propria vita, per scoprirne il senso, il filo rosso, in un
momento in cui si è imboccato il viale del tramonto, appunto («i
giorni se ne vanno, io resto», ha scritto Apollinaire). Nel passato, in
interiore homine, l’Io cerca la sua dimensione immortale contro il vol-
to nudo del destino («il passato richiede una speranza o una fede che non
riusciamo ad avere […] passato di cui sono intriso. Per liberarmene dovrei
rendere in canto tutte queste cose: il canto sia pure di una prèfica»). La me-
moria, àncora di salvezza, balsamo e lenimento di un presente in-
quieto, straordinario antidoto contro la fuga dei giorni, in virtù di
ciò diventa l’unica possibilità che rimane per poter risorgere, in arti-
culo mortis:
Ho fretta perché fra tre giorni parto per la Sardegna. Sono arrivato alle soglie
della disgregazione fisica (e quindi mentale). […] Mi fermerò solo sei giorni, ma
io so che respirerò l’aria dei miei grandi padri, e questo renderà più intensa, più
urtante la cura.6
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DINO MANCA
tianamente, “… bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri
come in un giudizio universale”. La memoria, dunque, diventa la costante, il vero tòpos se-
mantico. La stessa natura del romanzo è funzionale al tema trattato, ansie ne rimane
fortemente condizionata. Una struttura temporale caratterizzata da un sistematico on-
divagare fra racconto primo e racconto secondo smaterializza, polverizzandolo, il tempo nar-
rativo e lo traduce in un tempo interiore, quale metafora di una condizione di diaspora
dell’io narrante. Il tempo storico si confonde col tempo psicologico, soggettivo e pulvi-
scolare» (Cfr. MANCA 1995, pp. 64-67).
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
così diffusa non poteva non trovare scaturigine anche dallo scarto
esistente tra oralità e scrittura, tra parlato e modello letterario e dal
conflitto tra sistemi linguistici diversi. Ancor di più questa interfe-
renza comunicativa si manifestò tra gli scriventi sardi in italiano,
lingua per molti d’inappartenenza.7
Anche Salvatore Satta a modo suo getta un ponte tra i due
mondi e le due culture. Anch’egli innesta sul tronco della lingua di
derivazione toscana elementi autoctoni (calchi, sardismi, soluzioni
bilingui), espressioni e locuzioni nuoresi (rilevati con il carattere
corsivo e affiancati dalla traduzione o da una spiegazione), proce-
dimenti formali della colloquialità e termini pescati dal contingente
lessicale della lingua sarda; per corrispondere all’intento mimetico
di traducere, trasportare, un universo dell’oralità primaria dentro un
sistema linguistico altro (quello della tradizione letteraria italiana
scritta). Il giorno del giudizio attesta questo plurilinguismo.8 Non
mancano infatti, oltre l’italiano e il sardo, anche latinismi, francesi-
smi e lessemi che rimandano al sostrato castigliano e catalano (al-
ternòs, bostè, barandilla, celliere, estanco, loco, mariposa, amicos de posada) e
il suo testo, microcosmo babelico, risulta permeato di elementi in-
digeni che coesistono in un rapporto simbiotico col mutante codi-
ce italiano e con le sue strutture organizzative più profonde. Il
nuorese è per lui la lingua del «cuore», del «parlar materno» e «pa-
terno», delle radici del soggetto conoscente e poetante, la prima
lingua che autenticamente veicola, prima dell’italiano, il suo mondo
e il suo vissuto. Il sardo non è un orpello codificatorio, un escamota-
ge retorico e stilistico o un inserto puramente esornativo. In molti
7 Le questioni in oggetto sono state dal sottoscritto già ampiamente trattate in prece-
denti lavori. Cfr. MANCA 2005, pp. XXXII-VII; MANCA 2010, pp. XXIX-LIX; MANCA
2011, pp. 49-75; MANCA 2015, pp. 246-247; MANCA 2015b, pp. 182-186; MANCA 2018,
pp. 163-213; MANCA 2021, pp. 841-960.
8 Sulle questioni linguistiche relative a Il giorno del giudizio si vedano: PITTAU 1990, pp.
343-354; DE FELICE 1990, pp. 261-272; LAVINO 1990, pp. 355-366; ESPA 1990, pp.
299-316.
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luoghi del testo sembra quasi che il narratore ‘pensi’ in sardo e che
il suo universo semantico sia primariamente sardo:
Veniva chiamato onorevole, non aveva capito se sul serio o per beffa
[Lu muttiana onorevole, no aiat cumpresu si abberu o pro beffe]
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
Ogolìo > Locoi; Su Tuvu > Sa ’e Musu; Via Angioy > Via Asproni; Badde-
manna > Isporòsile;10 Lollobeddu > Loreneddu; Salvatore Satta Carroni > Se-
bastiano Sanna Carboni; Antonietta Satta Carroni > Vincenza Sanna Carboni;
Rosa Galfrè > Nicolosa Vugliè; Predischedda > Pedduzza; Ramazzotti > Mari-
notti; Faedda > Fadda; Ganga > Manca; Pedassu > Poddanzu;11 Zizzedda >
Peppedda; Giovanni Guiso > Giuseppe Chisu; Antonio Corbu > Pascale Gur-
ture; Banneddu Lucca > Banneddu Zucca; Giovanni Antonio Musina > Gio-
vanni Maria Musiu; Marianna Sechi > Marianna Zedda; Pascale Sole > Pascale
Martis; Pietro Cocco > Pietro Catte; Pietro Mastino > Paolo Masala; Pietro
Secchi > Cosimo Marche; Riccardino Campanelli > Robertino Caramelli; Prete
Corda > Prete Medde; Prete Merche > Prete Porcu; Canonico Satta > Canoni-
co Sanna; Canonico Daddi > Canonico Monni.12
ha ingenerato non pochi fraintendimenti ed equivoci. Infatti «la terra che egli aveva strap-
pato alla furia di un rigagnolo che scendeva tranquillo dal Monte incombente» per chi conosce il
territorio non poteva essere Isporòsile ma Baddemanna.
11 Nell’opera di alterazione e contaminazione del testo compiuta dai curatori postu-
mi, di una certa gravità restitutiva ci pare l’emendazione della lezione Pedassu, servo di
Don Salvatore, in Poddanzu, servo di Don Sebastiano. Il curatore prima e l’editore poi
non si sono infatti resi conto che tra i personaggi che popolavano il microcosmo narra-
tivo di autentica creazione autorale esisteva già un Poddanzu, con ruoli, pragmatiche e
identità differenti.
12 Tra i nomi e i soprannomi originali, non modificati, segnaliamo: Antoni Mereu;
Antonio Fodde; Maria Secchi; Baingio (frate); Baliodda; Buziuntu; Canonico Mura; Cano-
nico Solinas; Carobbi (sarto); Casizolu; Chischeddu (sagrista); Dionisi (banditore); Dirripez-
za; Fileddu; Franziscu Pedazzu; Franziscu Sole; Giossanto (frate); Maestro Piras; Maria Sec-
chi; Mariani; Mastro Ferdinando (il muratore); Milieddu (becchino); Monsignor Canepa;
Palazzeschi (commissario); Palimodde; Pascale Farranca; Paulu Monne; Peditortu; Peppedded-
da; Poddanzu (persona altra rispetto al fedele servo di Don Salvatore poi modificato in
Don Sebastiano); Pozeddu (campanaro); Prete Mele; Raffaele “Cilolaicì”; Recoteddu; Sa
Tataja; Zia Tatana Faragone; Seddone; Sisaia; Torroneddu; Tortorici (edicolante); Zia Ispor-
zedda; Zia Mariantonia; Ziu Longu (bidello); Zizitu Nurra (avvocato).
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13 Anche in questo caso il curatore postumo incorre in una svista palese. Egli, infatti,
cambia il cognome del personaggio (Ganga diventa Manca) e il suo soprannome (Predi-
schedda, Pietruzza, da preda, pietra, diventa Pedduzza, Pellicina, da pedde, pelle) attribuen-
do però al secondo il significato del primo: Maestro Manca, e gli impedisce di ridiventare Pe-
dduzza (Pietruzza) […] la pancia che descriveva un perfetto cerchio sulle fragili gambette gli aveva
procurato – come mi pare di aver detto – il nome di Pedduzza (Pietruzza) col quale è passato nella
vita. Peraltro Ad nel capitolo XII inspiegabilmente riporta a testo la primitiva lezione
Predischedda, ingenerando anche nel lettore non necessariamente sardofono ulteriore
confusione.
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
biddas (paesi), tanca (terreno chiuso), tanchita (piccola tanca), fochile (focolare),
teraccas (serve), vestire da cosinu (vestire da borghese), còrbula (cesta), zippone (it.
ant. gippone, giuppone, giubbetto), su toccu pasau (il rintocco lento), Coeddu (il
diavolo), sas sùrbiles, (streghe, meglio donne vampiro), domus de jana (casa della
fata), sas canisteddas (i canestri di foglie di palma), sa jaca (cancello rustico di le-
gno), sa lorica (l’anello di ferro affisso ai muri delle case per legarvi gli animali
domestici), Sa Tataja (la balia), s’annu ’e su connottu, istancu (tabacchino), mastruca,
barandilla (verandina, ringhiera), corridores (poggioli), mastru ’e linna (falegname),
mastru ’e muru (muratore), mastru ’e pannu (sarto), mastru ’e iscarpas (calzolaio), stra-
da (sgabello, sedile di pietra), piccapietre (calco da piccapedreri, tagliapietre), fichi
moreschi (calco dal sardo per ficu murisca, ficodindia).
So solu
mischinu
chin dolu
continu
che diventa:
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Ed ancora:
Sa fide la professo
chind’una timinzana
de cussu ’e zia Tatana
Faragone…
Professo la fede
con una damigiana
di quello (del vino) di zia Tatana (Sebastiana)
Faragone…
Ghettadommos, ghettadommos…
[Distruggicase, Distruggicase…]
E se ti piace, prenditelo!
E si ti piachet, picatilu!
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antico bàcolo, bàculo, in nuorese in senso figurato anche come sostegno morale, ses su
bàculu de sa betzesa, così come nello spagnolo, ser el bàculo de la vejez.
17 su cantaru: sorgente, dal latino CANTHARUS.
18 remittanu: accattone, pezzente (italiano antico eremitano).
19 sa parlada in pratta era il comizio politico.
20 s’istrada designava il lastrone di granito che stava fuori dalle abitazioni e che serviva
da sedile e da appoggio.
21 pane imbridiau o imbridiare su pane: da bridu, vetro, si diceva dell’ostia di pane carasau
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
scare i figli» < imboscare sta per nascondere; «la gente venuta di fuori,
dal remotissimo continente» < continente;22 «e il più ostile a lui era quel
merdoso ultimo» < urtimu merdosu; «Non si udì l’appello di un cane» <
appeddu;23 «urlava chiamando la giustizia» < sa zustissia;24 «Fanno il
ballo tondo» < ballu tundu»;25 «aveva lavorato da piccolo come picca-
pietre» < piccapredas;26 «i principali della grande dinastia dei Corrales»
< printzipales;27 «Ponte di Ferro» < Ponte ’e ferru;28 «al quale con più
plessivamente negative. La giustizia era cattiva per definizione (zustissia mala!, giustizia
cattiva!), paragonata in molti casi alla morte (pro che rughere in manos de sa zustissia, menzus
mortu, piuttosto che cadere nelle mani della giustizia, meglio la morte). Le ragioni di ciò
andrebbero ricercate nel passato e nella storia dell’Isola: una storia che si è contraddi-
stinta per il succedersi vorticoso di dominazioni, di atti coloniali, di incursioni pirate-
sche (ma, giova ricordarlo, altresì di antiche e originalissime civiltà). La giustizia è stata
per secoli quella voluta dai dominatori, dai «colonizzatori zuntos dae su mare per conqui-
stare, depredare e imporre forme di governo e leggi estranee ai bisogni dei Sardi»
(MARCI, 1992). La giustizia era rappresentata dallo Stato (la giustizia del «Re»), e lo Stato
veniva sentito dalla maggioranza spesso come un’entità altra, aliena, nemica della co-
munità e incapace – se non appunto con la repressione (soldati, carabinieri, magistrati)
– di conquistarsi quel consenso e quella legittimazione popolare che stanno alla base
del vincolo di subordinazione a un potere supremo, detto sovranità, e senza il quale vie-
ne meno un elemento costitutivo dello Stato stesso. Lo Stato, considerato autoritario,
onnicomprensivo, lontano dai reali bisogni della gente, era fonte di quel centralismo
che andava creando una sua cultura, una sua mentalità, un unico punto d’osservazione
e che forgiava i topoi degni, mentre tutto il resto decadeva a ruolo marginale, periferico,
destituito in ultimo di propria dignità. L’incapacità dunque di comprendere un universo
antropologico peculiare e complesso, con proprie regole, propri valori, propri criteri
distintivi, propri reticoli di inclusione ed esclusione, proprie leggi (si pensi alla Carta de
Logu che aveva regolato la vita dei Sardi per circa quattrocento anni) e proprie consuetu-
dini (frutto di un secolare processo di adattamento alle condizioni naturali, economiche
e sociali) e l’errore di aver creduto di poter decifrare e capire quel mondo attraverso
codici e sistemi segnici d’inappartenenza, hanno creato col tempo quell’interferenza
comunicativa fra potere costituito e società sarda che non di rado è stata foriera di in-
giustizie e tragedie. Cfr. MANCA 1997, p. 283.
25 su ballu tundu: tradizionale ballo sardo.
26 piccapredas: letteralmente ‘prendipietre’, da piccare (prendere) e predas (pietre). Sorta
di carpentiere edile specializzato, tra le altre cose, nel selezionare e nel tagliare le pietre,
diverso dal muratore (mastru ’e muru) e dal manovale aiutante del muratore (manibale ma-
stru ’e muru). Verosimilmente dal catalano picapreder.
27 printzipale: su printzipale era il possidente, il benestante, il padrone (anche su mere),
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culo lucidato dal tempo, stretto nella mano come un inutile scettro; il ramo
aveva messo radici […] e in breve aveva steso come un baldacchino sul pozzo;
la casetta del forno, che era come un altare; Il vigneto si stendeva come un
grande libro aperto; il pino era cresciuto come un gigante; la madre di Don
Franceschino, che era come un vessillo; Il maestro […] si ergeva come un Dio
pedagogo e terribile; egli passava di sghembo, come un allucinato; si ritrovaro-
no in dodici, davanti a una mensa ornata come un altare; giaceva sul grande
ovale d’argento come un cuscino; Il sogno non era solo il bambino che tendeva
dalle fasce, come un nuovo Ercole; Nei casolari si faceva un gran discorrere di
quest’uomo che parlava come un messia; La notizia che quel maestrucolo face-
va un discorso si sparse come un fulmine per tutta Nuoro; E come un gladiato-
re tese la mano verso la farmacia; gli fu rinfacciato dai figli come un tradimento;
Tu sei pazzo come tuo padre; l’accompagnò nel resto della vita come un presa-
gio; Mussolini li aveva attirati come un piffero magico; come in una di quelle
assurde processioni […] sfilano […] gli uomini della mia gente.
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
fatt’istat chi):
il fatto è che la casa di un notaio non può essere come la casa di un contadino;
il fatto è che il pastore non ha nulla a che fare col contadino; il fatto è che a un certo
punto; il fatto è che Don Sebastiano; il fatto è che tra Don Sebastiano e Donna
Vincenza; il fatto è che i lampioni a petrolio; il fatto è che i morti fanali; il fatto è che
appena la campana ritmava il galoppo; il fatto è che aveva qualcosa di solenne e
ripugnante; il fatto è che chiedeva assistenza.
Qui devo avvertire onestamente che quel che dico può essere tutta una fantasia perché l’ho
appreso da bambino nei racconti di Don Salvatore, se pure non me lo sono sognato […]; Ci-
riaco (così si chiamava, se vi ricordate) era l’unico uomo in quella casa di donne […];
Ma lasciamo andare Pozeddu che non c’entra, in questo momento, perché siamo nella
chiesa di Santa Maria […]; La difficoltà più grande che io trovo in questo ritorno al pas-
sato è quella di mantenere le prospettive […]; Come tutti gli scapoli nuoresi, che erano
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DINO MANCA
legione (mi pare di averlo già detto) odiava i preti […]; Io però divago con questi ricordi
che si affollano alla mia mente, e non ho tempo da perdere […]; Ma io devo frenare queste
onde di ricordi che si accavallano in un assurdo disordine… Scrivo queste pagine che nessuno
leggerà, perché spero di avere tanta lucidità da distruggerle prima della mia morte, nel-
la loggetta della casa che mi sono costruito nei lunghi anni della mia laboriosa
esistenza. È un’alba di mezzo agosto, un’ora in cui l’estate ancora piena cede alla
passione dell’autunno. Fra poche ore tutto sarà diverso, ma intanto io vivo questo
annuncio di una stagione che è più propriamente la mia […]; Riprendo, dopo molti
mesi, questo racconto, che forse non avrei dovuto mai cominciare. Invecchio rapida-
mente, e sento che mi preparo una triste fine, poiché non ho voluto accettare la prima
condizione di una buona morte, che è l’oblio. […] Oggi poi, di là dai vetri di questa
stanza remota dove io mi sono rifugiato, nevica: una neve leggera che si posa sulle vie e
sugli alberi come il tempo sopra di noi […]; Forse evocata da questa gelida fan-
tasia della natura mi viene incontro stamani una figurina dimenticata, e della quale
non avrei pensato di dover parlare […]; E forse mentre penso la loro vita, perché scrivo
la loro vita, mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno
del giudizio, per liberarli in eterno dalla loro memoria […]; Mi riavvicino a queste
pagine dopo parecchi mesi da quando ho lasciato per sempre la zia Gonaria nel letto
coniugale della sperduta cantoniera. Essa mi aveva improvvisamente chiamato
mentre svolgevo il mio tranquillo racconto: mi aveva chiesto di liberarla della
sua vita, ed io l’ho accompagnata nella sua fuga. Ho sofferto molto, tanto che
non riesco nemmeno a rileggere quello che ho scritto. Né posso accompagnarla nel suo
ritorno […]; e poi se volete saperlo, ogni sardo, per quanto si ritenga superiore,
persino i tronfi sassaresi e gli spagnoleschi cagliaritani, guarda a Nuoro come al-
la sua seconda patria.
a chi gli diceva che era ricco, che ricco è il cimitero […]; ed era stata tre o
quattro volte a Tunisi, dove le donne del popolo scappavano quando restavano
incinte, per farsi il bastardo […]; Don Salvatore, a tavola, masticava il brodo,
come egli diceva ai figli […].
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
Don Salvatore non fumava: beveva un bicchiere dell’acqua del pozzo, sempre
gelida e cristallina. E la loro vita passata presente e futura fluiva nell’antichissimo
linguaggio, che già nei figli mostrava le contaminazioni […]; Parlava sempre italiano, anche
quando le donne tendevano a rispondere in sardo, perché la lingua ricercata e lontana
lo rendeva più astratto […]; Quell’avvocato e quel notaio di Nuoro, che parlava-
no coi loro padri un sardo più raffinato del loro olzaese o orunese, o gavoino […]
Certo, nuoresi non potevano diventare, se non altro per via della lingua, che dopo
vent’anni, trent’anni conservava ancora le tracce del paese d’origine […]; Ma un
certo giorno, dopo trent’anni, era apparso a Nuoro un giovane tarchiato e con
la faccia larga, quale i nuoresi non avevano, e neppure parlava correttamente la lingua
di Nuoro […]; nelle vene di Donna Antonietta scorreva mezzo sangue piemonte-
se, e per quanto, come abbiamo visto, sardizzata fino a non conoscere altra lingua,
quel sangue, o la mistura di quel sangue, operava sulla volontà e le impediva di
non esistere […]; Bisognava cominciare dalle grammatiche, e prima di tutto
dall’italiana, poiché era la propria lingua […]; Veniva da San Pietro Zesarinu,
che non era nuorese, ma di Dorgali e perciò quel poco che diceva lo diceva nel
linguaggio soffiato, quasi arabo, di quella gente […]; Perché quelle migrazioni di popoli
che sempre le guerre producono si erano riverberate anche su Nuoro, e se era-
no partiti gli internati ebrei e gli impiegati che erano rimasti per sfuggire alle re-
strizioni del continente, erano anche misteriosamente approdati non solo dai
paesi della Sardegna, ma dalle regioni d’Italia e specialmente dal meridione tor-
me di avventurieri che non si sapeva che cosa cercassero. Nuoro impassibile in-
ghiottiva tutti, li riduceva alla sua misura, e dopo qualche tempo dimenticavano la
loro lingua, e parlavano come gli emigrati d’America […]; Quel maledetto straniero era
come se maneggiasse il picco in luogo della zappa: ogni colpo, una ferita. Dove
voleva arrivare? Avevano in un primo tempo cercato di avvicinarlo, perché in
campagna l’uno non può vivere senza l’altro, ma un po’ per il diverso linguaggio, e
molto per la diffidenza del miserabile, rifiutò ogni contatto.
483
NOTA AL TESTO
[…] Se riuscissi a riprendere questa vita, per se stessa, per ciò solo che è stata
vita, farei un capolavoro: ma mi mancano le forze in tutti i sensi.2
1 Sulla descrizione dell’autografo e dei due dattiloscritti, sul modus emendandi autorale,
sulla tipologia delle varianti e sulla fenomenologia degli interventi si rimanda all’edizione
critica integrale in corso di approntamento.
2 Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Abanese, 23 ottobre 1970. Cfr. COLLU 2017, p.
269.
3 In D2 mancano le prime 94 carte.
484
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
Non c’è dubbio che il lavoro di restitutio textus abbia in quegli anni
posto gli editori dinanzi a non poche spinose questioni ecdotiche e a nu-
merose controverse lezioni che, per ragioni spesso indipendenti dalla loro
volontà ricostruttiva, restano ancora editorialmente irrisolte.
La sostanziale incompiutezza del romanzo, la non sempre chiara e de-
finitiva volontà autorale (anche nell’organizzazione spaziale del dettato),
alcune difformità intercorrenti tra testimoni (A, D1 e D2), le discutibili
interpolazioni e gli interventi emendatori eseguiti in molti luoghi del testo
da mani aliene, i refusi e i non pochi travisamenti degli antroponimi, mo-
dificati secondo discutibili e non di rado fallaci criteri di «assonanza» e di
«significato», l’impossibilità da parte degli studiosi di consultare tutta la
tradizione superstite (pensiamo alla mancata disponibilità, in qualche
caso, della versione dattiloscritta)9 e soprattutto l’operazione censoria
condotta prima e imposta poi dagli eredi ― per comprensibili ragioni di
opportunità, discrezione e tutela giuridica (antroponimi e toponimi fu-
4 Cfr. SATTA 1977. L’edizione Cedam fu esemplata sul dattiloscritto e non sul mano-
scritto.
5 Cfr. SATTA 1979.
6 Cfr. SATTA 1999.
7 Cfr. SATTA 2003, p. 42. Da ora in avanti per le citazioni utilizzeremo questa edizione,
tranne che per quei luoghi del testo che non seguono la lezione dell’autografo.
8 Cfr. SATTA 1999b.
9 «Tale fase di studio è ora resa possibile dalla disponibilità della versione dattiloscritta
(chi scrive ha potuto operare su una copia fotostatica, sfortunatamente priva della Parte
seconda) che offre risposte se non a tutti, almeno a numerosi interrogativi.» (cfr. MARCI
2003, p. XIX).
485
DINO MANCA
10 «Dopo la sua morte, e in vista della edizione Cedam, i familiari operano un secondo
intervento: cancellano quasi tutti i nomi segnati da Salvatore Satta (corrispondenti a per-
sonaggi effettivamente esistiti) e li sostituiscono con nomi di fantasia. La stessa opera-
zione compiono nel caso di alcuni micro-toponimi che avrebbero consentito l’individua-
zione di località definite col loro nome reale e, di conseguenza, del proprietario. En-
trambe le modificazioni conservano ancora oggi la loro ragion d’essere, tanto è vero che
il manoscritto è stato cortesemente messo a disposizione di chi scrive con l’unica condi-
zione che, sussistendo le originarie ragioni di discrezione per le quali erano stati modifi-
cati, non venissero resi pubblici i nomi attribuiti dallo scrittore ai suoi personaggi: di
conseguenza anche in questa circostanza, e cioè nell’edizione critica del manoscritto,
vengono adottati i nomi sostitutivi, introdotti nel dattiloscritto e poi proposti nelle di-
verse edizioni dell’opera a cominciare dalla prima.» (cfr. MARCI 2003, p. VIII).
11 Nell’edizione curata da Morace non risultano essere stati ripristinati i cognomi delle
più importanti famiglie nuoresi (Bellisai, Mannu, Corrales) oltre quelli di importanti perso-
naggi del luogo (maestro Mossa, farmacista Piga).
12 «È stato adottato un criterio conservativo quanto più è stato possibile, tenendo ov-
viamente conto del fatto che si tratta di un’edizione non riservata agli studiosi […] Sono
stati reintegrati anche gli antroponimi originari, ivi compresi i soprannomi, salvo quando
la privacy e le norme sulla tutela giuridica hanno richiesto il permanere di quelli introdotti
per la prima edizione» (MORACE 1999, p. XXX)
13 Cfr. SATTA 2017 [IL2]: «Prete Laguzzi viene ‘camuffato’ con prete Delussu, ma non
ci si avvede che poche righe in avanti si trova che «quello, come diceva il nome, era di
origine continentale» (e Delussu non sembra proprio continentale). Francesco Congiu
Pes diventa Cossu Boi nel capitolo I, ma poi torna nel XVII come Francesco Casu. Così
Ignazia è sostituita da Gonaria, ma nel capitolo XVIII ricompare insieme a Gonaria. Lo
486
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
stesso capita a Laguzzi che nel capitolo XVII riappare nel giro di tre righe insieme a
Delussu. E poi Antonio Corbu (corbu-corvo) ‘travestito’ in Pascale Gùrture (gùrture-
avvoltoio) che manda all’aria l’ironia a seguire alludendo al “corvo”: «Viaggi sempre con
la bombetta in capo come se fossi un ministro». […] C’è poi qualche interferenza volon-
taria di mano esterna a stravolgere con evidenza la volontà dell’Autore come quel “pa-
cata” lentezza del capitolo VII. Sia il Manoscritto che il Dattiloscritto sono chiari: vi si
trova “pagata” lentezza; ma, di più, il testo ne dà giustificazione poche righe prima, dove
descrivendo i tipi di funerale (a tre preti o con l’intero capitolo) puntualizza «se la famiglia
li voleva e li pagava». Merita un cenno, inoltre, il grave errore, da chi scrive sottolineato
più volte, che trova rimedio nel suddetto lavoro filologico-critico; e cioè quella espres-
sione che sembrava una ripetizione ingiustificata e contraddittoria a chiusura dei “mes-
saggi” di Giggia e poi di Peppeddedda a Ignazia (Gonaria) nel capitolo XVIII: Quel che
deve avvenire, avviene senza rimedio, senza che Dio ci possa far nulla. L’indomani
avrebbe aperto la stanza, e si sarebbe compiuto il suo destino. I tre “messaggi” Ignazia
li riceve “prima” dell’apertura della stanza dello zio canonico Antonicco. E in particolare
l’episodio di Peppeddedda non può essere inserito – come avviene in tutte le edizioni
del romanzo – durante la fuga conseguente proprio alla tragedia vissuta dalla sventurata
dopo l’apertura di quella stanza. Quando Ignazia si trova nella cantoniera dove è stata
soccorsa, la stanza è già stata aperta e il suo destino si sta compiendo. Materialmente,
una banalità: un foglio volante nell’Agenda, inserito erroneamente nel punto sbagliato.
Per la narrazione, un inciampo pesante e lesivo del contenuto. Ancor più imbarazzante
se si tiene conto inoltre che le pagine della follia di Ignazia sono uno tra i più significativi
pilastri nell’economia concettuale del romanzo. In quella stanza Ignazia aveva riposto i
paramenti sacri dello zio canonico Antonicco, come si lasciano le ostie consacrate nel
tabernacolo di un altare. L’apertura della stanza le ha svelato l’orrore più sconvolgente
che le poteva capitare. Topi e ragnatele, solo polvere, brandelli e tanfo: ecco i resti del
suo dio. La tragica conseguenza ce la ricorda Nietzsche: la cancellazione dell’orizzonte;
e senza riferimento alcuno precipitiamo continuamente da tutte le parti, voliamo dentro
un nulla senza fine. Le pagine dei tre messaggi che Ignazia capta durante la notte tor-
mentosa di quella vigilia («l’indomani avrebbe aperto la stanza» del suo destino) sono tra
le più ispirate di tutto il romanzo. I messaggi le annunziano tutti la stessa fine: l’approdo
all’insensato e definitivo vuoto della vita e della morte. Prima la fine, sotto il tavolo di
una bettola, della vita inutile di maestro Ganga, «liberato finalmente dal vizio»; poi il
silenzio siderale all’urlo di aiuto di Giggia verso il cielo «privo di stelle e di Dio»; e ancora
il rifiuto alla insistente implorazione da parte della delirante Peppeddedda di una tazza
dell’acqua miracolosa di Obisti. Punti interrogativi carnali, domande radicali viventi
senza risposta: vite senza senso. E lo stesso avverrà per Ignazia, «senza che Dio ci possa
far nulla». Ma un altro messaggio, più profondo e sottile, insinua la voce narrante tra
quelle righe. L’invocazione di aiuto di Giggia e l’arsura struggente di Peppeddedda avreb-
bero dovuto richiamare Ignazia ai “resti” del Dio vivo, smarrito nell’idolatria di un dio
di pezza: «Se [all’urlo di Giggia] fosse scesa, avesse aperto la stanza chiusa da vent’anni,
vi avesse messo dentro quella sventurata…»; se avesse mandato alla implorante Peppe-
ddedda l’acqua miracolosa della modesta fonte di Obisti…, forse avrebbe potuto così
intercettare l’onda smarrita e ancora sintonizzarsi con Dio dentro se stessa… Satta lo
accenna come riflettesse tra sé, aprendo tra le ombre inquietanti uno squarcio d’azzurro:
l’urlo di Giggia e l’arsura di Peppeddedda non erano «altri che lei, con la sete che l’aveva
487
DINO MANCA
divorata tutta la vita». Queste pagine ineffabili reclamavano da sé la loro correttezza se-
quenziale». Cfr. COLLU 2017, pp. 273-275.
14 «Il ‘travestimento’ è stato tuttora mantenuto per alcuni antroponimi ritenuti ancora
488
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
soffiando dall'alto nel lungo tubo18 di vetro entro il quale arde la fiamma.
Un altro lume più grande ardeva nella stanza da pranzo, questo con un piede
tubo.
489
DINO MANCA
le “lòriche”20
1-2. che neppure i preti riuscivano a tradurre.]22 che •gli studenti (>nessuno
ri<) del ginnasio non riuscivano a tradurre. A che •neppure i preti (>gli studenti
del ginnasio non<) riuscivano a tradurre. D1 3. per arrivare si doveva salire]23
per arrivarci si saliva A per arrivare si /doveva/ salire (← saliva) D1
19 In A: varrebbe oggi. In D1: oggi varrebbe. In D2: lacuna. A testo: varrebbe oggi.
20 In A: “loriche”. In D1 D2: “lòriche”. A testo: “lóriche” (ovviamente con regolariz-
zazione secondo gli usi moderni del segno diacritico, nel rispetto della differenza
tra accento grave, ò, e accento acuto, ó, tra apertura e chiusura).
21 In A: cenci. In D1 (mano aut.): •panni (>cenci<). In D2: lacuna. A testo: panni.
22 In C, Ad, IL1, M, IL2: che neppure i preti riuscivano a tradurre. In Cs: che gli
Promuoviamo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu per-
ché, in quanto di mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima volontà.
490
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
apparato, posto a piè di pagina, sia le varianti d’autore che gli interventi dei curatori
postumi
25 Gli argomenti trattati si trovano altresì in: MANCA 2018, pp. 163-213.
491
DINO MANCA
apparato, in qui luoghi del testo ad altri curatori apparsi illeggibili. Gli in-
terventi riguarderanno, infine, la regolarizzazione secondo gli usi moderni
dei segni diacritici e dei sintagmi di legamento.
2. non sono mille] non sono >[−]< mille 3. con] •con (>dell’a<) 7. miseri] •miseri
(>poveri<) 8-9. era quello] era |quello| (>quello<) 10. Di un paese] |Di un
paese| (>Di tutti, di<) ♦ Perciò] |Perciò| (>Non<) 13. si compensavano] si
compensavano >nella< 15. Nessuno…neanche] •Nessuno poteva sottrarsi a que-
sto destino, neanche (>Nessuno poteva sottrarsi a questo destino, neppure<) 17.
Diviso da] Diviso (← Divisi) da >due< 18-19. forse…un ponte] forse San Pie-
tro>, forse Séuna< aveva (← avevano) un'altra vita (← altre vite). >A< San Pietro
•gettava coi suoi patriarcali delitti un ponte (>il delitto era come un ponte gettato<)
492
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
||Corrales|| (>Porcheddos<) D1
← per indicare il passaggio da una prima (che si segnala tra parentesi tonde)
ad una seconda lezione ricalcata su quella interamente o parzialmente (che si farà
precedere) o comunque corretta in vari modi su quella; si è adoperata la stessa
tecnica quando la correzione ha interessato la sola punteggiatura:
493
DINO MANCA
1. lusinghe] lusinghe|.|
9. sentire] ||sentire||
A manoscritto autografo
D1 primo dattiloscritto
D2 secondo dattiloscritto
Cs S. SATTA, L’autografo de Il giorno del giudizio, ed. critica a c. di G. Marci, Centro di Studi
Filologici Sardi/Cuec, Cagliari, 2003
494
IL GIORNO DEL GIUDIZIO1
5 Don Salvatore Satta Carròni,2 alle nove in punto, come tutte le sere,
spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva let-
to fino all'ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si appre-
stò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo,
di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l'unica viva nella
10 grande casa, anche perché l'unica riscaldata da un vecchio caminetto.
Don Salvatore3 era nobile, se è vero che Carlo Quinto aveva distri-
buito titoli di piccola nobiltà agli autoctoni sardi che avevano innestato
gli olivastri nelle loro campagne (la grande nobiltà con tanto di predicato
era quasi tutta cagliaritana, ed era praticamente straniera all'isola): ma il
4
15 doppio cognome era solo un'apparenza, altro non essendo il Carroni
che il nome della madre, aggiunto al Satta,5 il vero e unico nome di fa-
miglia, un poco per l'usanza spagnola, un poco per la necessità di distin-
guere le persone, nella poca varietà dei nomi determinata dalla scarsa
popolazione. Ogni bifolco in Sardegna ha due cognomi, anche se poi,
20 sull'uno e sull'altro prevale di solito un soprannome, che, se la fortuna
Satta<) Carboni (← Carroni). In: D2, M, IL2: Don Salvatore Satta Carroni. In C, Ad, IL1, Cs:
Don Sebastiano Sanna Carboni.
3 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,
boni.
5 In A, D2, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): Sanna (← Satta). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.
495
DINO MANCA
poco men che uno scandalo). L'indomani, tutto il paese si snoda dietro
3. lo stemma sabaudo nel] /lo stemma sabaudo/ nel (← il) 4-5. in un cassetto del-
la scrivania.] |in un cassetto della| (>nella<) scrivania. 5-6. notaio nel capoluogo
di Nuoro.] /notaio/ nel •capoluogo (>borgo<) di Nuoro. 7. nome] nome (← [—])
9. a Nuoro, nulla] •a Nuoro, (>in Sardegna,<) >e< nulla 12. che] •che (>funebri<)
Carboni (>Salvatore Satta Carroni<) Carboni (← Carroni). In C, Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano
Sanna Carboni.
9 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,
boni.
13 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,
496
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
la bara, con15 un prete davanti, tre preti, l'intero capitolo (poiché Nuoro
è sede di un vescovo), il primo frettoloso e gratuito, gli altri con due, tre,
quattro soste prima del camposanto, quante uno ne chiede, e veramente
l'ala della morte posa sulle casette basse, sui rari e recenti palazzi. Poi,
5 quando l'ultima palata ha concluso la scena, il morto è morto sul serio, e
anche il ricordo scompare. Rimane la croce sulla fossa, ma quella è affar
suo. E infatti //16 nel cimitero, meglio nel camposanto dominato da una
rupe che sembra una parca, non c'è una cappella, un monumento. (Oggi
non è più così: da quando la morte ha cessato di esistere è tutto pieno di
10 tombe di famiglia: sa ’e Manca, quella di Manca, come si chiamava, cre-
17
della propria vita. Del resto, oltre questa faticosa avventura, erano vivi
essi stessi, sentivano come vive le persone che il destino aveva legato al
loro carro, mogli, figli, servi, parenti?
Don Salvatore19 afferrò il lume a petrolio, grande globo bianco su un
20
20 piede iridato, e s'inoltrò per il vano della scala. Il buio era immenso, e
col passo incerto un occhio tondo di luce vagava rapidissimo sul soffit-
15 In A in questo luogo del testo si trova una semicirconferenza realizzata a matita da mano non
autorale e seriore contenente la lezione «con». Come già rilevato dall’editore di Cs, si suppone
trattarsi di un segno per memoria posto nel manoscritto da chi ha dattiloscritto il testo, corri-
spondente all’ultima parola della prima carta di D1.
16 Nel recto della seconda carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |3| SA-
boni.
19 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,
497
DINO MANCA
to. Vent'anni prima egli aveva costruito quella casa, su un terreno com-
prato da certi miserabili napoletani che il vento aveva spinto fino a Nuo-
ro, e il vento aveva respinto chissà dove. L'impresa non era stata sempli-
ce, con sette figli maschi da gettare nel futuro, e partendo si può dire da
5 zero, in un mondo che di speranza non voleva assolutamente sentirne.
Ma essere notajo21 in un paese è un privilegio inestimabile, perché, come
si diceva, una procura fa bollire la pentola; e oltre quel ridicolo atto che è
la procura (3 lire e 5022 di onorari) c'erano i testamenti, c'erano le vendite
che già //23 cominciavano a farsi per iscritto, poiché la parola perdeva
24
10 valore, c'erano i contratti che quei signori del continente venivano a
stipulare per il taglio dei boschi e la devastazione dell'isola. Costoro era-
no gente meravigliosa, che trasformava in oro quei che toccava (qualcu-
no però finiva coi restare nell'isola, preso dalla sua demoniaca tristezza).
Non pareva vero ad essi, abituati a quei notai affaristi del continente, di
25
15 trovare un notajo che si qualificava romanticamente depositario della
fede pubblica, e procurava loro gli affari, trattava26 i prezzi coi proprieta-
ri, e tutto questo senza pretendere un soldo (anzi rifiutando ogni offerta)
oltre la tariffa dell'atto. Non importa: ciò che conta non è guadagnare
molto, è spendere poco, anzi non spendere affatto, se possibile, e possi-
20 bile era per via dei capretti, degli agnelli che la buona gente mandava in
regalo. Una volta, la prima e l'ultima volta, si era lasciato attrarre nel cir-
colo degli ufficiali (Nuoro era anche sede di una guarnigione), e si era
seduto a un tavolo da gioco. Dopo mezz'ora − inadatto com'era – aveva
perduto trenta lire. Aveva aspettato che la mano tornasse27 a lui (la digni-
3-4. era stata semplice] era /stata/ semplice 8. 50] 50 >‹cm›< 16. e procurava] e
[—] procurava coi proprietari] /coi proprietari/ 18. oltre] |oltre| (>‹al d›<)
scontrato. Il segno corrisponde all’ultima parola dello specchio di scrittura della seconda carta di
D1.
27 In A, D2, Cs, M, IL2: tornasse. In D1, C, Ad, IL1: toccasse.
498
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
28 In IL1: soprattutto.
29 In A: sèguito. In D1, D2, C, Ad, Cs, IL1, M, IL2: seguito.
30 Nel recto della terza carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |5| LUNE-
DI – s. Amelia vergine».
31 In A, D1, Cs, M, IL2: Séuna. In D2, C, Ad, IL1: Sèuna.
32 In D2: corte. In C, Ad, IL1: corte.
33 In A, Cs: «loriche». In D1: “lòriche” (← “loriche”). In D2: lòriche. In C, Ad, IL1: lòriche. In M:
nu.
499
DINO MANCA
cosa si volesse da lui) come un banco di prova e una sfida. E così stese
disegni su disegni, calcoli su calcoli. Tutto bene, ma egli aveva in mente i
palazzi di Roma, le scalee dove gli antichi salivano a cavallo (aveva letto),
e così invece di una casa fece una scala, un vano immenso nel quale a
5 ogni piano si aprivano dei buchi che erano stanze, una dentro l'altra, de-
stinando al sacrificio e alla insofferenza la crescente famiglia. Vero è che
la gente stupiva, guardando di là dalla soglia, di quell'atrio inutile e im-
menso, e comincia//va37 a favoleggiare di chissà quali ricchezze, anche
se il capomastro andava dicendo che senza il suo provvidenziale inter-
38
10 vento Don Salvatore sarebbe dovuto entrare carponi nel suo palazzo,
tanto bassa era stata concepita dall'ingegnere l'architrave che reggeva la
porta.
Per questo, la discesa serale dallo studio al piano terreno era quasi un
viaggio, e per questo l'occhio tondo del lume a petrolio vagava su e giù
15 per le volte, al vacillare del passo. Ma finalmente si odono le risa, gli
37 Nel verso della terza carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |6| MAR-
TEDI – † Epifania di N. S.».
38 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano. In A la lezione segnata a matita da mano non autorale e seriore in cor-
rispondenza della sua sillaba finale (Salvato[re) corrisponde all’ultima parola della carta numerata
3 di D1.
39 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
500
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
43 Nel recto della quarta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |7| MER-
COLEDI – s. Luciano martire».
44 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,
IL2: conveniva.
47 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,
501
DINO MANCA
più ampio. Così anche quella sera si avviò al caminetto, e passando mise
11. non] •non (>, per ‹cen›<) 12. sfiorarono] sfiorarono (← st)
48 In A, Cs: proprio conto. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: conto proprio. Anche in questo caso si
conserva la lezione di A contro quella di D1 anche perché l’istituto dell’inversione ricorre in altri
luoghi del testo dattiloscritto (cfr. nota 39) nella forma e con gli esiti della lectio facilior, ossia della
banalizzazione della lezione dell’autografo, quindi verosimilmente risultato del lavoro di norma-
lizzazione e semplificazione linguistica inconsapevolmente fatto dalla segretaria durante gli atti di
lettura-memorizzazione-trascrizione della pericope.
49 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,
502
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
no ministri, e che per il solo fatto di essere ministri avevano tali meriti
che si sottraevano a ogni giudizio. Del resto, chi faceva politica a Nuo-
ro? Quei quattro, cinque avvocati che si presentavano eternamente can-
didati, ciascuno con la sua scheda personale,63 il nome e cognome sor-
59 In A, Cs: ― Basterebbe che ti facessi portare un braciere,. In D1, C, M, IL2: ― Basterebbe che
ti facessi portare un braciere ―. In Ad, IL1: «Basterebbe che ti facessi portare un braciere». In
questo caso, relativo al restauro del sintagma di legamento, in deroga al modus restituendi, confer-
miamo la lezione del dattiloscritto, come già C, M, IL2.
60 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,
503
DINO MANCA
tana ― portavano un candidato che non era avvocato, né tra gli avvocati
lo avrebbero trovato, ma non riuscivano mai a farlo eleggere. Uomini
come Don Salvatore68 non solo non si mischiavano con la politica, ma
non votavano neppure, perché gli uomini del suo ceto avevano il dovere
69 70
10 di non votare. Come notajo Don Salvatore raccoglieva i nomi, quat-
trocento, cinquecento, dei proponenti, e la scala dello studio era in quei
giorni una processione, e ci rimetteva anche la carta bollata, perché im-
parzialmente non si faceva pagare da nessuno. Donna Antonietta71 dice-
va che sarebbe stato ugualmente imparziale se si fosse fatto pagare da
72
15 tutti, e anche questo era ovvio, ma perché ovvio non andava detto. //
64 In A, M, IL2: l’avv. Pinna. In D1 (mano aliena): l’avv. •Manca (>Pinna<). In C, Cs: l’avv. Man-
ca. In Ad, IL1: l’avvocato Manca.
65 In A, M, IL2: l’avv. Cardia. In D1 (mano aliena): l’avv. •Corda (>Cardia<). In C, Cs: l’avv.
504
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
74 In D1: candidati|,|
75 In D1 il toponimo Orune risulta essere aggiunto a penna da mano aliena (in linea dopo paesi: di)
in uno spazio lasciato bianco nel corso della dattiloscrittura, verosimilmente perché chi aveva
esemplato il testo, non avendo in un primo tempo decodificato la lezione autorale, in quel luogo
ne aveva lasciato in sospeso la stesura, in attesa di una verifica seriore probabilmente avvenuta
con lo stesso autore.
76 In A, D1, C, Cs, M: biddas. In Ad, IL1, IL2: biddas. Uniformiamo e regolarizziamo restituendo
505
DINO MANCA
tracce del paese d'origine: ma l'asse del lavoro si spostava sempre più
verso questi estranei (tra l'altro, si portavano appresso la litigiosa cliente-
la dei loro paesi) e chi lavora ha sempre ragione su chi insegue83 le sue
chimere, e intanto non lavora. Aveva voglia Francesco Congiu Pes,84
85
20 detto Congiu poltrone, un mezzo pittore morto di fame, che nessuno
5. diventare] |diventare|(>essere n<) 10-11. non importa.] •non importa. (>‹era tut-
to lo stesso›<) 16. ma l'asse del lavoro] ma >c’era •un (>[−]<) varco nascosto nella
tetra muraglia delle case civili di Nuoro, ed erano le donne< l'asse del lavoro 17-18.
clientela] •clientela (>[−]<) 20. mezzo pittore] /mezzo pittore/
79 Nel recto della sesta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |11| DO-
MENICA – La Sacra Famiglia».
80 In D1 la lezione gavoino è stata aggiunta a penna da mano aliena in uno spazio lasciato bianco
nel corso della dattiloscrittura, come già accaduto per il toponimo Orune (cfr. nota 69).
81 In A la lezione anche segnata a matita da mano non autorale dopo la prima sillaba (an[che) corri-
insegue).
84 In A, D1, M, IL2: Francesco Congiu Pes. In C, Ad, IL1, Cs: Francesco Cossu Boi.
85 In A, D1, M, IL2: Congiu. In C, Ad, IL1, Cs: Cossu.
506
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
ha saputo mai come vivesse, di rispondere a chi //86 gli offriva qualche
lavoro: “I Pes87 non hanno mai lavorato”. Ma poi questi furbi, timorosi
di fronte ai nuoresi, anche ai più miseri, sapevano come si faceva a di-
ventarlo. Nelle lisce muraglie di quelle88 antiche corrose case civili,89 c'era
5 un varco invisibile, ma sicuro, ed erano le donne. Ne erano tutte piene,
perché pareva che i nuoresi, quelli degni, avessero la vocazione del celi-
bato,90 in realtà il matrimonio diventa impossibile a chi non riconosce la
semplicità della vita. Così deridevano quelle donne ricche e pallide che
sognavano e intristivano nella clausura, e apparivano qualche volta die-
91
10 tro i vetri come fantasmi, o uscivano per andare alla messa. Gli estranei
sapevano il valore, a parte anche l'eredità, di quelle donne, e d'altronde
non si presentavano soltanto come cacciatori di dote, ma mettevano sul-
la bilancia la spada di Brenno della loro operosità. Le zitelle erano ben
felici di lasciare nei lugubri palazzi il loro titolo di “donna” per abitare le
15 case linde e di cattivo gusto della nuova gente, che già cominciavano a
86 Nel verso della sesta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |12| LU-
NEDI – s. Modesto martire».
87 In A, D1, M, IL2: Pes. In C, Ad, IL1, Cs: Boi.
88 In D1: quella.
89 In D1: civili (← civile).
90 In A, D1, Cs, M: celibato,. In C, Ad, IL1, IL2: celibato;.
91 In A, D1, Cs, M, IL2: messa. In C, Ad, IL1: Messa.
92 In A: Don Peppino, don Pietrino, don Franceschino. In D1: Don •Serafino (>Peppino<), Don
•Gabriele (>Pietrino<), don •Pasqualino (>Franceschino<). In C, Ad, IL1: Don Serafino, Don
Gabriele, Don Pasqualino. In Cs: Don Serafino, don Gabriele, don Pasqualino. In M, IL2: Don
Peppino, Don Pietrino, Don Franceschino.
93 In A, Cs: venti anni. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: vent’anni.
507
DINO MANCA
94 Nel recto della settima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |13|
MARTEDI – s. Leonzio vescovo».
95 In A, Cs, M, IL2: Nuoro era, per i nuoresi. In D1, C, Ad, IL1: Nuoro era per i nuoresi.
96 In A la lezione estraneo segnata a matita da mano non autorale (estra[neo) corrisponde all’ultima
riporta al dattiloscritto e al rapporto lettura (A)-trascrizione (D1). Una cattiva lettura dell’autografo
da parte della segretaria, infatti, ha generato un’immagine visiva e concettuale erronea (e fuori
contesto linguistico) della lezione riportata su D1.
100 In A, Cs, M, IL2: cércine. In D1, C, Ad, IL1: cercine.
508
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
quelle notti non ci siano107 le nuvole? ―108 Ancora se ne vantava. Gli ab-
beveratoi ai tre ingressi del paese c'erano sempre stati, e gli stessi conta-
dini, che arrivavano coi gioghi assetati per le lunghe salite, provvedevano
109
10 a pulirli, liberandoli dal muschio e dal lichene. Insomma, tutto era a
110
posto, e ciascuno era a suo posto, nel bene comune. Ma gli estranei
avevano capito, proprio perché erano estranei, e avevano tirato fuori le
donne dai loro sepolcri, che l'amministrazione di Nuoro non era in que-
ste piccole cose, ma in ben altro: nel potere che si acquistava. Essere
111
15 sindaco significava anzi tutto vedersi i nuoresi, e Don Salvatore,112
Don Pietrino,113 Don Franceschino,114 venire avanti col cappello in ma-
no a chiedere qualche cosa, e antivedendo il futuro, gli estranei sapevano
che essi avrebbero avuto sempre più bisogno di qualcosa dall'ammini-
101 In A, M, IL2: Don Pietro. In D1 (mano aliena): Don •Priamo (>Pietro<). In C, Ad, IL1, Cs:
Don Priamo.
102 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
Don Priamo.
106 In IL1: E.
107 In A, Cs, IL2: siano. In D1, C, Ad, IL1, M: sono.
108 In A, Cs: le nuvole? Ancora. In deroga al modus restituendi, confermiamo la lezione del dattilo-
509
DINO MANCA
115 In A la lezione avevano segnata a matita da mano non autorale (avevano[) corrisponde all’ultima
parola della carta numerata 8 di D1.
116 Nel recto dell’ottava carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |15| GIO-
510
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
sposto una tavola a parte per lui e per il suo seguito, ma non aveva volu-
to sedersi fino a quando tutti i tavoli non fossero stati riuniti. La sua pa-
rola si spegneva122 leggermente nella gola, ma non era sentimento: era
che queste cose davano pregio alla vita, in cui credeva perché viveva; co-
123
5 sì // dava pregio la notizia che a Milano un medico aveva iniettato su
un suo figliolo un siero contro non so quale malattia, o che a Torino un
deputato aveva costretto una guardia a infliggergli una multa per un fallo
che aveva commesso, o che era stata ottenuta per via di incroci una
nuova razza di pecore che dava cento litri di latte per capo (le pecore
124
10 sarde arrivavano a venti, nelle buone annate), o che una nave era af-
fondata nell'Atlantico, e il comandante aveva rifiutato di scendere nella
scialuppa, neppure per ultimo. Non tutti ascoltavano questi discorsi, ma
Don Salvatore125 parlava in fondo solo per se stesso, ripeteva quel che
aveva letto126 senza dubitare un momento che potessero essere panzane.
15 Il giornale non era come oggi un'impresa commerciale, era (anche il
Giornale d'Italia,127 non che il Corriere della Sera,128 che non pubblicava mai
una fotografia, ma in Sardegna non arrivava) un residuo di enciclopedia,
una fonte di sapere, l'unica129 fonte in un piccolo paese, ed era impossi-
bile non credere a quel che diceva. Perché altrimenti l'avrebbero detto?
20 Vi era nel fondo come un prolungamento del secolo dei lumi, in Don
122 Nell’apparato filologico Cs riporta come variante sostitutiva spegneva su spezzava. Pur cum dubio,
noi leggiamo invece, come da apparato, spegneva su strozzava.
123 Nel verso dell’ottava carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |16| VE-
Sera”.
129 In A la lezione l’unica segnata a matita da mano non autorale (l’u[nica) corrisponde all’ultima
511
DINO MANCA
7. giocare migliaia] giocare >‹le›< migliaia 11. sordo] •sordo (>[−]<) 17. e accumu-
lata secondo] e >[−]< accumulata •secondo (>‹su›<) 17-18. se necessariamente si]
•se necessariamente si (>‹si›<)
130 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano.
131 In A, D1, Cs, M: ottocento. In C, Ad, IL1, IL2: Ottocento.
132 Nel recto della nona carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |17| SA-
512
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
loro figlioli, ciò che egli faceva di cuore, diventando loro compare, e
passando con loro dal lei al voi, secondo l'usanza. Di qui la commozione
per il Re o per quel ministro, di cui aveva letto sul giornale, ma anche
qualcosa di più serio: una specie di nostalgia della povertà, di concezione
5 della povertà come esperienza o esercizio spirituale, di esaltazione del
lavoro manuale di fronte al lavoro della penna //138 e della mente, che
non poteva esaurire la sua profonda umanità perché era redditizio. Il suo
sogno sarebbe stato se i figli man mano che crescevano e si avviavano
agli studi, con grande successo, si dedicassero a qualche mestiere fuori
10 delle ore di scuola. Non lo diceva apertamente, ma raccontava tutte le
sere, e anche quella sera, che i figli dei miliardari americani si guadagna-
vano il pane facendo gli strilloni. L'aveva appreso dal giornale, e la sua
voce assumeva il tono di una lezione e di un oscuro rimprovero. Era al-
lora che Donna Antonietta139 usciva dal suo silenzio, perdeva140 ogni ri-
15 tegno, ridiventava se stessa: perché era lei che lavorava in cucina con
l'aiuto di una povera donna che veniva solo per il cibo, era lei che vede-
va i figli assottigliarsi sui libri, e uno sopra tutto, Filippo,141 le dava tanta
preoccupazione perché cresceva magro, delicato, con la pancia sempre
in disordine, e non riusciva a fargli smettere di studiare. ― Ma quelli là,
20 urlava, hanno tutte le comodità, non sono come noi. ― Distrutto nel
suo sogno, Don Salvatore142 si alzava, riprendeva il suo lume, e volgen-
dosi verso quella massa scura dimenticata in un angolo, diceva solenne:
― Tu stai al mondo soltanto perché c'è posto. ― E se ne andava senza
2. con loro] |con loro| (>‹da›<) 11-12. si guadagnavano il pane facendo gli stril-
loni.] |si guadagnavano il pane facendo gli strilloni.| (>facevano gli strilloni<)
138 Nel verso della nona carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio
vico.
142 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
513
DINO MANCA
143 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano. Nel recto della decima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si
legge: «gennaio |19|LUNEDI – s. Mario martire».
144 In A: donna Antonietta. In M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza
vico.
146 In A, M, IL2: Don Pietrino Nieddu. In D1 (mano aliena): Don •Gabriele Mannu (>Don Pie-
514
II1
Nuoro non era che un nido di corvi, eppure era, come e più della
2
5 Gallia, divisa in parti tre. La storia di Nuoro (se storia si potevano
chiamare le notizie che canonico Sale,3 in fama di dotto, aveva raccolto
negli archivi dell'episcopio: del resto canonico Sale4 non era nuorese, era
di Dorgali, e bastava vedere, anche senza sentirlo parlare, il suo viso lun-
go e magro, gli occhi astuti e sbiaditi, il mento lungo sotto le labbra por-
10 porine, da febbricitante. Un rettile, lo definiva, quasi a voce alta, Cano-
nico Marchi,5 quando lo vedeva passare) non andava di là da due, tre-
cento anni. La vera capitale, sembra impossibile, non era allora Nuoro,
era Galtellì,6 il paesetto della Baronia7 lungo il Cedrino, appena arretrato
dal mare. Ne rimane la traccia nel titolo della diocesi, che non è di Nuo-
8 9
15 ro, ma di Galtellì e Nuoro, e Galtellì prima di Nuoro. Pare anzi che
1 Nel verso della decima carta contenente l’incipit del secondo capitolo, a stampa, in alto si legge:
«gennaio |20|MARTEDI – ss. Fabiano e Sebastiano».
2 In A, Cs, M: in parti tre. In D1, C, Ad, IL1, IL2: in tre parti.
3 In A, M, IL2: Sale. In D1 (mano aliena): •Fele (>Sale<). In C, Ad, IL1, Cs: Fele.
4 In A, M, IL2: Sale. In D1 (mano aliena): •Fele (>Sale<). In C, Ad, IL1, Cs: Fele.
5 In A: Canonico Marchi. In M, IL2: canonico Marchi. In D1 (mano aliena): Canonico •Floris
D1 cada in errore per una cattiva lettura dell’autografo (legge altrove anziché alture). Per emana-
zione l’errore si è trasferito alle prime edizioni a stampa. Solo il ritorno ad A, dunque, consente
di ristabilire la lezione autentica.
515
DINO MANCA
venuto decise di prendere] •appena venuto decise di prendere (>un bel giorno pre-
se<)
12 In D1: assurdi (← assardi). Refuso.
13 Nel recto della undicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |21|
MERCOLEDI – s. Agnese vergine».
14 In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: settimana portava.
15 In D1: •da (>tra<).
16 In A dopo la lezione erravano si trova un segno a matita di mano non autorale (erravano[) che
516
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
aveva avuto una certa rifioritura perché un proprietariotto del luogo, ve-
stito in costume,28 aveva osato bussare alla sua porta, ed essa aveva avu-
to la saggezza di non dire di no.
1. portarla] •portarla (>la portò<) 6. anche se] anche >[−]< se 7. a] a (← ai) ac-
canto] •accanto (>[−]<) 9. un] |un| (>‹una›<) 10. un] •un (>[−]<) 13. di donne] di
|donne| (>Satta, di Guiso<) 15. forse] /forse/ 16-17. vestito in costume,] /vestito
in costume,/
logica nel contesto linguistico (si trova davanti […] a tuguri). Verosimilmente chi ha esemplato il
testo (D1) ha considerato la lezione emendata dall’autore una variante espuntiva (>ai<) e non
invece una variante sostitutiva (a ← ai). La cattiva lettura ha trovato emanazione nelle seriori
edizioni a stampa con l’eccezione di Cs.
23 In A, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): •Sanna (>Satta<). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.
24 In A: Guiso. In D1 (mano aliena): •Bellisai (>Guiso<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: Bellisai.
25 In A, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): •Sanna (>Satta<). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.
26 In A: Guiso. In D1 (mano aliena): •Gallisai (>Guiso<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: Bellisai.
27 In D1: forse|,|
28 In D1: costume|,|
517
DINO MANCA
518
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
2. del] del (← dell‹e›) selve della] /selve della/ 5. la] la (← le) 7. Balubirde]
|Balubirde| (>Valverde<) 8. per] /per/ 9. si chiama] |si chiama| (>ha<) 10. di
quell'altura] •di quell'altura (>[−]<) 11. che prima di] •che prima di (>‹aveva fuggito
le›<) 12-13. connubio è] connubio ><+>< è 16. è che “Nuoro” sia la] è che >•la
parola (›[−]‹)< “Nuoro” sia /la/ 17. che hanno] che >in realtà vi siano tre Nuoro,<
hanno 18. Nuoro] Nuoro (← nuoro)
519
DINO MANCA
dine, tutte a un piano, di una o, le più ricche, di due stanze, col tetto di
tegole arrugginite,56 lo spiovente verso la cortita dal pavimento di terra
come Dio l'ha fatta, il cortile chiuso da un muro a secco come si chiu-
dono le tanche, l'apertura verso la strada sbarrata da un tronco messo di
20 traverso, e davanti a questa singolare porta quel capolavoro di arte
Isporósile. Nella varietà nuorese del sardo la seconda o del toponimo in oggetto si pronuncia
chiusa, quindi come già in D1 si usa l’accento acuto.
52 In A la lezione dilaga, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (dila[ga), corrispon-
DOMENICA – Settuagesima».
55 In A, Cs, IL2: quell’istmo. In D1, C, Ad, IL1, M: quest’istmo.
56 In D1: arrugginite (← arruginite)
520
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
astratta che è il carro sardo. Il carro sardo diventa un carro quando gli
sono aggiogati i buoi, che ora dormono accovacciati sulle stanche gambe
lungo la strada, o, se vi è spazio, dentro la cortita: allora è, più57 che un
carro, uno strumento di guerra, per gli incredibili viottoli delle campagne
58
5 che l'acqua ha dilavato nei secoli, mettendo a nudo macigni di granito,
che sono scale. Il carro sardo si inerpica su quelle gobbe cigolando, on-
deggia //59 come una nave nella tempesta, rimane un poco in bilico, e
poi precipita fragorosamente dall'altra parte, per affrontare altri sassi, al-
tri macigni. È fatto per questo, e infatti nei secoli, nei millenni ha lascia-
10 to nel cammino i solchi dei suoi cerchioni di ferro, che sono come le
piaghe della sua fatica, della fatica dei bovi che lo scavalcano puntando
sulle corte gambe oblique, dei massari che pungolano i bovi, e pare che
spingano e tirino anch'essi, chiamandoli responsabilmente per nome (boe
porporì,60 boe montadì!) con grida che a sera risuonano per tutta la valle.
15 Giustamente dicono quelli del Comune: che bisogno c'è di riparare le
5. l'acqua] •l'acqua (>ala terra b•le<) nudo macigni] nudo >[−]< macigni 9. e in-
fatti nei] •e infatti nei (>e per questo<) 10. nel] nel (← sul) 11. scavalcano]
•scavalcano (>[−]<) 12. sulle corte gambe oblique,] sulle corte (← sui corti) •gambe
521
DINO MANCA
passare per le fessure della “coda”63 il64 chiaro della luna. Può essere
un'invocazione e una preghiera, può essere una maledizione o un incan-
tesimo, può essere nulla, anzi è assolutamente nulla. Nelle notti d'estate,
il contadino si stende sulle assi bruciate dal sole, con la berretta ripiegata
5 sotto la testa, e dorme.
Se fosse stato per Séuna65 [Don Pietrino Nieddu]66 avrebbe //67 po-
tuto dispensarsi dall'andare a Roma, a prendere la laurea di ingegnere. Il
muratore di Séuna68 (il maestro del muro, come lo chiamano) riceve dal-
la povertà il senso delle prospettive e delle proporzioni, tanto è vero che
10 quando torna un arricchito e si fa una casa da ricco, vien fuori una sto-
natura: è come una donna che abbia lasciato il lungo costume, e metta in
mostra le gambe storte. I seunési69 sono tutti contadini, dal primo all'ul-
timo, fanno paese nel paese, e si dice che costituiscano il nucleo origina-
rio dell'insediamento. Nuoro, insomma, sarebbe nata da Séuna:70 ed io
71
15 sono disposto a crederci perché a Séuna c'è la più vecchia chiesa di
Nuoro, le Grazie, che non è poi che una di quelle stesse casette, sor-
montata da un frontone, con una campanella nel comignolo. Lo stesso
prete che la officia è un contadino, e vive delle quattro rape che coltiva
nell'orto, e di qualche elemosina (figuriamoci!), poiché non ha cura d'a-
20 nime.
In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele Mannu. In M, IL2: Don Pietrino Mannu.
67 Nel recto della quattordicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio
522
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
stesso cavallo che nel cuore della notte annuncia fatali ritorni. Il fatto è
che il pastore non ha nulla a che fare col81 contadino. Il pastore appar-
tiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica. La differenza tra il
pastore e il contadino è che quello conduce una casa che cammina, que-
20 sto una casa che sta ferma. Se per l'uno la terra sulla quale vendemmia
1. pastore] pastore >[−]< 6. alle finestre] |alle finestre| (>alle fin<) 11-12. la cuci-
na…le scale] /la cucina appena si entra a destra, l'inutile sala da pranzo,/ |le scale|
(>stanze<) 13. con le sedie] |con| (>e ‹con›<) >[−]< le sedie 19. quello] •quello
(>[−]<)
In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele Mannu. In M, IL2: Don Pietrino Mannu.
79 In D1: gente|,|.
80 In A la lezione portichetto, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (por[tichetto),
523
DINO MANCA
1. contadino] |contadino| (>pas<) 7. che ha] che >egli< ha 11. Virgilio] >Solo<
Virgilio 17-18. e accatastata, ma la legge è legge, il fatto è fatto,] •e accatastata (>e
‹regolata› ma<), ma la legge è •legge, (>‹una e sa se›<) il fatto è |fatto,| (>‹un› altro,<)
19. la sua proprietà] •la (>la<) sua ||proprietà||
per questo, quando vai per la campagna e credi di essere solo, cento occhi invisibili ti guardano,
>[−]< e ti seguono. ‹+++›<||. Unità narrativa analoga è riproposta a testo poco più avanti: Se
nella deserta campagna il pastore ha mille occhi che guardano chi crede di andare nella solitudine, in città ci sono
mille occhi che guardano lui.
524
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
re.
San Pietro è il prolungamento cittadino dell'ovile, c'è anche nell'aria
l'odore delle pecore e delle capre. La sera è tutto uno sferragliare di zoc-
coli sul selciato, perché i padroni intabarrati nel costume tornano a casa
5 con le bisacce ricolme (i servi pastori tornano ogni quindici giorni per
cambiarsi e rifornirsi di pane). Nell'ombra due mani prendono le bisac-
ce, e la porta si chiude dietro il padrone.
Le case sono grandi perché servi e padroni vivono insieme,
man//giano87 dallo stesso tagliere, si scaldano allo stesso fuoco, e questo
10 rende più servi i servi, e più padroni i padroni. Quando la porta si è
chiusa dietro il padrone, non è facile che si riapra. I colpi nella notte non
dicono nulla di buono, e chi vuole che gli88 si apra non ha bisogno di
bussare. Se nella deserta campagna89 il pastore ha mille occhi che guar-
dano chi90 crede di andare nella solitudine, in città ci sono mille occhi
15 che guardano lui, servo o padrone che sia, perché tutti sono soggetti allo
stesso destino. E poi c'è la giustizia, con la quale è meglio non impicciar-
si. Tra l'altro, che91 cosa è la giustizia? Giustizia è l'autorità, il potere che
uno ha sopra un altro, e l'autorità non si discute; e se ti condanna sei ben
condannato. Ma perciò giustizia è anche sottrarsi, se è possibile, all'auto-
20 rità, come è giustizia far fuori, se occorre, un eventuale testimone (se ha
già reso la testimonianza, allora la giustizia sarebbe lui). Insomma, sia
4. costume] costume (← lo) 11. non è facile] •non è facile (>‹è meglio non›<) 12.
chi vuole che gli si apra non] •chi vuole che gli si apra (>‹comunque se si riapre›<)
non (← ‹si›) 14. in città] ||in città|| (>a San Pietro<) 15. soggetti] •soggetti (>lega-
ti<) 17. cosa è la giustizia? ] cosa è >a Nuoro< la giustizia? l'autorità, il potere
che uno ha] •l'autorità, il potere che uno ha (>‹essere condannati se›<) 18. e l'autori-
tà] e >non importa affatto se sia ‹umanamente› giusta.< l'autorità (← L’autorità) 19.
Ma perciò giustizia] Ma /perciò/ giustizia
87 Nel verso della quindicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio
|30| VENERDI – s. Martina vergine».
88 In A la lezione gli, segnata subito dopo a matita da mano non autorale (gli [ ), corrisponde
525
DINO MANCA
come sia, quando bussano nella notte, la porta che si apre è quella di die-
tro, che dà nell'orto e nell'aperta campagna. Il pastore sa di essere sem-
pre innocente per se stesso, ma non di esserlo di fronte all'autorità.
È a San Pietro che abita, e non può che abitare a San Pietro, la dina-
5 stia dei [Porcheddos]. Nelle loro case — saranno quattro o cinque i
92
Corrales.
526
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
i suoi servi, segue per le terre e per i guadi tutte le orme: nulla, nulla, as-
solutamente nulla. Quel gregge non esiste, ma soprattutto non è mai esi-
stito. Si capisce che i Porcheddos98 non hanno la bacchetta magica,99 e
mille pecore (che poi, nel bilancio finale diventano cento, duecentomila,
5 senza contare i buoi e le vacche) non si possono rubare se non le ruba
tutta la Sardegna. Ma questa è la magia dei Porcheddos:100 di aver fatto
ladri tutti i sardi, o almeno tutti i barbaricini (gli altri sardi, del resto, non
contano). I giornali di Sassari, di Cagliari, anche //101 quelli del continen-
te, avevano gridato allo scandalo, alla rovina dell'isola, anzi dell'econo-
102
10 mia isolana che era fondata sulla pastorizia, e l'autorità era intervenuta
con leggi feroci contro l'abigeato, catalogando il bestiame, descrivendolo
in un “bollettino” di cui il pastore doveva andare munito. Ma che cosa
avevano ottenuto? Che un miserabile che aveva rubato il giogo di un
contadino veniva gettato in galera per cinque anni. Miserabile, perché il
15 giogo del contadino non si ruba, né c'era bisogno di leggi per questo.
Una volta avevano rubato il giogo a ziu Cancàrru,103 che aveva cinque
figli. Sùbito104 Bustianu [Porcheddu]105 aveva aperto una colletta, e tutto
1-2. segue…assolutamente nulla.] •segue per le terre e per i guadi tutte le orme: nul-
la, nulla, assolutamente nulla. (>e può essere sicuro che delle pecore non c’è neppure la
più piccola orma.<) non esiste] non |esiste| (>è mai<) 8. di Sassari, di Cagliari,
anche] •di Sassari, di Cagliari, anche (>del continente<) 10. l'] l'(← il) 11-12. l'abi-
geato…andare munito.] l'abigeato, (← l'abigeato.) /catalogando il bestiame, descri-
vendolo in un “bollettino” di cui il pastore doveva/ || •andare (>essere<) munito.||
14. gettato] •gettato (>‹sbattuto›<) 17. Sùbito] •Sùbito (>Per primo<) aperto]
•aperto (>‹aperto›<) tutto] >aveva< tutto (← tutta)
IL2: Corrales.
101 Nel verso della sedicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «note».
102 In A la lezione dell’economia, dopo segnata a matita da mano non autorale (dell’economia [ ), cor-
527
DINO MANCA
1. un altro giogo al] •un altro (>un ← il<) giogo •al (>del<) 3. del tempo] del tempo
>[−]< 7. presso i loro] presso >tutti< i loro 11. loro] /loro/ 13. mano] mano
>‹ferm›< 14. Bonas] |Bonas| (>‹Bus›<) 15. Ozieri] •Ozieri (>Pattada<) Pattada]
•Pattada (>Ozieri<)
da.
109 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M,
IL2: Corrales.
110 In D1: le. Errore servile.
111 In D1: báculo (← baculo).
112 Nel recto della diciassettesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
Bonas dies, ziu •Bainzu (>Bustianu<) (Buon giorno, zio •Bainzu (>Sebastiano<)). In C, Ad, IL1:
«Bonas dies, ziu Bainzu (Buon giorno, zio Bainzu)». Cs: ― Bonas dies, ziu Bainzu (Buon giorno,
zio Gavino). L’autore propone a testo un dialogo bilingue (sardo/italiano). Chi successivamente
interviene sul testo dattiloscritto modificando i nomi, anziché tradurre, come da logica autorale,
anche il nome emendato (Bainzu > Gavino), nella verosimile incertezza preferisce replicare, an-
che nella parte tradotta in italiano, il nome proprio in sardo (Bainzu). Stupisce che anche alcuni
editori seriori (C, Ad, IL1) ripropongano meccanicamente e pedissequamente l’illogica soluzione
trasmessa da D1.
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
114 In A, Cs: Buddusò o Bonorva, rispondeva. In D1: Buddusò (← Buldusò) o Bonorva (← Bo-
norvia), rispondeva. In Ad, IL1: Buddusò o Bonorva» rispondeva. In M, IL2: Buddusò o Bonor-
va ― rispondeva.
115 In A, M, IL2: ziu Bustià. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustià<). In C, Ad, IL1, Cs: ziu
Bainzu.
116 In A, Cs: ― Così siamo, replicava. In Ad, IL1: «Così siamo» replicava. In M, IL2: ― Così sia-
mo ― replicava. Ad e IL1 restituiscono i discorsi diretti tra virgolette basse (o caporali). Da ora in
poi ci pare supervacaneo segnalarlo.
117 In D1: •avete (>anche<)
118 In A, Cs, IL2: con se stesso. In D1, C, Ad, IL1, M: a se stesso.
119 In A, M, IL2: Don Bainzu. In D1 (mano aliena): Don •Bustiano (>Bainzu<). In C, Ad, IL1:
Cs: Ziu Bainzu. A, M, IL2 vanno a capo mentre D1, C, Ad, IL1, Cs non vanno a capo.
123 Nel verso della diciassettesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
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DINO MANCA
8. col quale] |col quale| (>cui ‹ha›<) 15. ― Zaime] >Ah <+>,< ― Zaime 18. ave-
va] aveva (← avevano)
ziu Bainzu.
127 In A, Cs, M: Quel che fa il padrone è ben fatto. In D1: |“|Quel che fa il padrone è ben fat-
ziu Bainzu.
130 In A, Cs: ― No, no. Mi. In D1, C, M, IL2: ― No, no, mi. In Ad, IL1: «No, no, mi. Peraltro
D1, C, Ad, IL1 non vanno a capo, mentre M e IL2, pur restituendo nel luogo specifico la lezione
di D1 (― No, no, mi), incomprensibilmente vanno a capo come A.
131 In A, Cs: Insomma, non. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: Insomma non.
132 In A, Cs, M, IL2: marcatore. In D1 (mano aliena): mercante (← mercatore). In C, Ad, IL1:
mercante.
133 Nel recto della diciottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
11. veniva] •veniva (>viene<) scendevi] scendevi (← scendi) 14. tre, quattro] •tre,
quattro (>due o tre<) 16. campagne al] campagne >[−]< al 18. il pastore] •il pasto-
re (>[−]<) 19. diventa sua] diventa >la< sua 20. là dal] •là dal (>‹fuori del›<) 21.
non sarà la] non sarà (← è) •la (>certo questa<)
cheddu<). In C, Ad, IL1: ziu Bainzu Corrales. In Cs: Ziu Bainzu Corrales. In M, IL2: ziu Bu-
stianu Porcheddu.
137 In A, Cs: Tanto è vero che. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: Tanto è vero, che.
138 In A la lezione pastore, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (pa[store), corri-
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DINO MANCA
15. dei paesi] /dei paesi/ 19. Ponte] Ponte (← ponte) 20. parte] •parte (>a<)
141 Nel verso della diciottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|4| MERCOLEDI – s. Gilberto vescovo».
142 In A, D1, M, IL2: Banneddu Lucca. In C, Ad, IL1, Cs: Banneddu Zucca.
143 In A: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1: ziu Bainzu.
IL2: Corrales.
145 In A, M, IL2: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): Ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1,
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
tro la ruota delle sue sottane //150 orlate di rosso, e si disperde infine a
Montelongu, che è già campagna, in vista del Monte. Per farla breve ― e
questo è quello che importa ― San Pietro finisce dove comincia il lungo
corso151 appena lastricato di Nuoro, simbolo della terza Nuoro, la Nuo-
5 ro del tribunale, del municipio, delle scuole, dell'episcopio, di Don Salva-
tore,152 di Don Pietrino,153 di Don Franceschino,154 dei “signori”, ricchi o
poveri che fossero.
Se i confini di San Pietro non erano materialmente certi, la gente di
San Pietro li conosceva benissimo, e mai uno di lassù avrebbe osato var-
155
10 care la soglia del Corso (l'antica via Majore). Ci poteva capitare156 qual-
che [Porcheddu],157 se aveva da fare con l'avvocato, per sé o per i servi o
i compari. Ma nessuno di quei pastori che puzzavano di formaggio, nes-
suno di quei giovinastri che schiamazzavano avvinazzati158 durante la
notte, che attendevano di maturare per diventare ladri, e intanto non ve-
15 devano due soldi insieme, nessuno si sarebbe mescolato con quei signori
4. appena] •appena (>‹di›<) simbolo della terza Nuoro, la] •simbolo della (>la<)
terza Nuoro, >[−]< la 11-12. per sé o per i servi o i compari.] |per sé o per i servi o
i compari.| (>ma<) 14. maturare] •maturare (>crescere<) 18. nell'istancu] nell'istan-
cu (← nello istanco)
150 Nel recto della diciannovesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|5| GIOVEDI – s. Agata vergine».
151 In A, D1, Cs: corso. In C, Ad, IL1, M, IL2: Corso.
152 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
Corrales.
158 In A la lezione avvinazzati, segnata subito dopo a matita da mano non autorale (avvinazzati [ ),
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DINO MANCA
160 In A, D1, M, IL2: Don Benedetto. In C, Ad, IL1, Cs: Don Gaetano.
161 Nel verso della diciannovesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|6| VENERDI – s. Silvano vescovo».
162 In A, D1, Cs, M: “sa tanca”. In C, Ad, IL1, IL2: sa tanca.
163 In A, D1, Cs, M: “tanca”. In C, Ad, IL1, IL2: tanca.
164 In A, Cs, M, IL2: Macomèr. In D1, C, Ad, IL1: Macomer Don Gaetano.
165 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica
167 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano.
168 In D1: affi|t|tarla
169 In A, D1, C, Ad, IL1, Cs: Bertini. In M, IL2: Bertino. Si tratta di Stefano Bertino, nato a Gra-
glia, che si trasferì a Nuoro dal Piemonte dopo l’Unità. I Bertino abitavano nella casa progettata
dall’architetto Giacomo Galfré, anche lui piemontese, nonno materno dello scrittore, davanti al
corso Garibaldi (antica via Majore), costruito dall’impresa Bertino.
170 Nel recto della ventesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio |7|
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nel lungo cornicione frontale: Deiparae virgini a nive sacrum, che neppure i
preti riuscivano a tradurre.177 Santa Maria della neve e il tribunale stava-
no l'una davanti all'altro, e per arrivare si doveva salire178 una strada am-
pia, selciata a dovere, passare l'arco del seminario, oltre il quale si ergeva
179
5 l'immensa rupe di una delle cime dell'Orthobene, come un gigante pie-
trificato. Nei giorni di Corte d'Assise e nelle grandi feste religiose //180
era una variopinta processione, e ciascuno andava lassù col suo segreto
fardello.
Santa Maria era forse all'origine del centro storico, come oggi si usa
10 dire, cioè del borgo abitato dai signori. Signori non vuol dire ricchi, è so-
lo il contrario di rustico, e la differenza, ma grande, è data dall'abito civi-
le che ha vinto il costume.
Quanti saranno stati i cittadini del borgo, tra il Corso lastricato, la via
della stazione con una doppia carreggiata181 di granito sul selciato, le pic-
15 cole sconnesse vie adiacenti, non troppo diverse da quelle di San Pietro,
1-2. che neppure i preti riuscivano a tradurre.] che •gli studenti (>nessuno ri<) del
ginnasio non riuscivano a tradurre. A che •neppure i preti (>gli studenti del ginnasio
non<) riuscivano a tradurre. D1 3. per arrivare si doveva salire] per arrivarci si saliva
A per arrivare si /doveva/ salire (← saliva) D1 4. passare l'arco] •passare l'
[>|sormontata dall’|(>che si<)<] arco 5. di una delle] |di una delle| (>dell’<) ♦
Orthobene] Orthobene A O|rtho|bene D1 6. feste religiose] feste •religiose (>pa-
squali<) 13. saranno] saranno (← sar‹emo›) ♦ i cittadini] i cittadini >[−]< ♦ lastri-
cato] || lastricato|| 14. di granito] /di granito/ 17. nell'astratto] nell'astratto (>nel
grande<)
177 In C, Ad, IL1, M, IL2: che neppure i preti riuscivano a tradurre. In Cs: che gli studenti del
ginnasio non riuscivano a tradurre. Promuoviamo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a
penna con inchiostro blu perché, in quanto di mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima
volontà.
178 In C, Ad, IL1, M, IL2: per arrivare si doveva salire. In Cs: per arrivarci si saliva. Promuovia-
mo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu perché, in quanto di
mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima volontà.
179 L’inserzione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu è di mano autorale.
180 Nel verso della ventottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
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2. non sono mille] non sono >[−]< mille 3. con] •con (>dell’a<) 7. miseri] •miseri
(>poveri<) 8-9. era quello] era |quello| (>quello<) 10. Di un paese] |Di un paese|
(>Di tutti, di<) ♦ Perciò] |Perciò| (>Non<) 13. si compensavano] si compensava-
no >nella< 15. Nessuno…neanche] •Nessuno poteva sottrarsi a questo destino,
neanche (>Nessuno poteva sottrarsi a questo destino, neppure<) 17. Diviso da] Divi-
so (← Divisi) da >due< 18-19. forse…un ponte] forse San Pietro>, forse Séuna<
aveva (← avevano) un'altra vita (← altre vite). >A< San Pietro •gettava coi suoi pa-
triarcali delitti un ponte (>il delitto era come un ponte gettato<) ♦ futuro:] futuro: (←
futuro;) 20. e non si curava di essere.] •e non si curava di essere. (>neppure<)
rale (San Pietro>, forse Séuna< [) corrisponde all’ultima parola della carta numerata 23 di D1.
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