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STUDI DI FILOLOGIA

LINGUISTICA E LETTERATURA
ITALIANA

a cura di
Dino Manca

VOLUME II
FILOLOGIA DELLA LETTERATURA DEGLI ITALIANI
Collana di
Filologia, linguistica e critica letteraria

EDIZIONI CRITICHE/10 STRUMENTI/11

DIRETTORE
Dino Manca

COMITATO SCIENTIFICO Tania Baumann - Università di Sassari Duilio Caocci -


Università di Cagliari Maria Carosella - Università di Bari Paolo Cherchi - Università
di Chicago Silvia Chessa - Università di Perugia Antonio Di Silvestro - Università di
Catania Maurizio Fiorilla - Università di Roma Tre Marta Galiñanes Gallén - Univer-
sità di Sassari Maria Teresa Laneri - Università di Sassari Gianluca Lauta - Università
di Cassino Gabriella Macciocca - Università di Cagliari Marco Manotta - Università di
Sassari Luigi Matt - Università di Sassari Alessandro Pancheri - Università di Chieti-
Pescara Daniele Piccini - Università per Stranieri di Perugia Giambernardo Piroddi -
Università di Sassari Simone Pisano - Università per Stranieri di Siena Bruno Pische-
dda - Università di Milano Loredana Salis - Università di Sassari Antonio Soro - Uni-
versità Tor Vergata di Roma Giovanni Strinna - Università di Sassari Fiorenzo Toso -
Università di Sassari

I volumi pubblicati sono passati al vaglio da studiosi competenti per la specifica disciplina. La
valutazione è fatta sia all’interno che all’esterno del comitato scientifico. Il comitato scientifico si
avvale di almeno due revisori per la pubblicazione di ogni testo. Il meccanismo di revisione, tra
pari, offre garanzia di terzietà, assicurando il rispetto dei criteri identificanti il carattere scientifico
delle pubblicazioni.

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EDES - Editrice Democratica Sarda


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ISBN 978-88-6025-559-4

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2021
STUDI DI FILOLOGIA
LINGUISTICA E LETTERATURA
ITALIANA

a cura di
Dino Manca

VOLUME II

FILOLOGIA DELLA LETTERATURA DEGLI ITALIANI


La gente di Nuoro sembra un corpo di guardia di un castello malfamato:
cupi, chiusi, uomini e donne, in un costume severo, che cede appena quanto
basta alla lusinga del colore, l'occhio vigile per l'offesa e per la difesa, smodati
nel bere e nel mangiare, intelligenti e infidi. Come da quelle marionette serene
possono essere venuti fuori questi personaggi da tragedia?

Salvatore Satta
[Il giorno del giudizio, II, p. 518]
Il presente volume è il risultato dell’attività di studio e di ricerca scientifica
svolta nell’ambito del progetto dal titolo Filologia della letteratura dei Sardi fi-
nanziato dall’ISTITUTO SUPERIORE REGIONALE ETNOGRAFICO DELLA SAR-
DEGNA (ISRE).

IMMAGINE DI COPERTINA: MS. autografo de Il giorno del giudizio di Salvatore Satta con-
servato presso il «Centro Studi Fondo Autografi Autori Sardi, Moderni e Contempo-
ranei» (CENSAS) dell’Università degli Studi di Sassari.
INDICE

VOLUME PRIMO

ANTONIO SORO
«Nonne duodecim horae sunt diei?». Ispirazione giovannea 1
e sapienziale per la similitudine di Pd X, 139-144

FIORENZO TOSO
Poesia patriottica genovese dell’età barocca: Invia ra Muza 17
à ro bosco per cantà dre arme di Gian Giacomo Cavalli

MARTA GALIÑANES GALLÉN


Lo sobrenatural como instrumento de poder en 57
loas palaciegas hispanosardas

GABRIELLA MACCIOCCA
Lingua e memoria nel Romanticismo italiano con 75
un richiamo all’«esprit de la littérature» di Madame de Staël

MARTA PARIS
Leopardi dalle canzoni «patriottiche» a La ginestra: 95
l’amor proprio del genere umano come il vero amore

GIUSEPPE CANZONERI
Emigrazione e ritorno negato ne I Malavoglia e nelle Novelle per un anno 127

GIAMBERNARDO PIRODDI
Dalla princeps all’appendice. Percorsi di evoluzione del testo 137
di un romanzo deleddiano «bello e forte»

DINO MANCA
Le due giustizie di Grazia Deledda: dal manoscritto alla stampa. 161
Innovazioni di mano incerta e questioni restitutive

MAURO SARNELLI
La Semirâma di Alessandro Cerè-Ottorino Respighi: intrecci allusivi
191
fra teatro, musica, letteratura e Simbolismo rosacrociano
MARCO MANOTTA
Non si sa come di Luigi Pirandello: preliminari all’interpretazione 231

FEDERICO MURZI
Il disagio della poesia: per un’analisi preliminare sul Pirandello poeta 277

GIAMBERNARDO PIRODDI
Aleramo, Percoto, Deledda, Pietravalle. Esempi d’intellettualità 321
femminile fra letteratura e paraletteratura

VOLUME SECONDO

VALENTINA MARONGIU
La poesia in versi e in prosa di Piero Jahier: Con me I-VII 345

ANTONIO SORO
«Era l’amore?». Per l’interpretazione di Credo di Eugenio Montale 383

ANTONIO DI SILVESTRO
Per Pavese traduttore di Shelley: nuove acquisizioni sul Prometeo slegato 401

ROBERTO LOI
La distopia del reale irrazionale tra la contro-fattualità di Morselli 423
e la memorialistica di Levi

DINO MANCA
Il giorno del giudizio di Salvatore Satta. Proposta di edizione critica 465
dei primi due capitoli con studio linguistico introduttivo.

LUIGI MATT
Longaevi nel temenos: elementi latini e greci nella prosa
543
di Giorgio Manganelli

ALESSANDRO CADONI
Traumi? Note sparse su Trevi, Lagioia e alcuni romanzi
degli anni Dieci 569
ROSARIA CAROSELLA
Mille modi irriverenti e ironici di raccontare la vita: la parabola 593
narrativa plurigenere e plurilingue di Carlo D’Amicis

ROSARIA CAROSELLA
Vite «spatriate». Personaggi, lingue, luoghi e trame nei romanzi 639
di Mario Desiati
IL GIORNO DEL GIUDIZIO DI SALVATORE SATTA.
PROPOSTA DI EDIZIONE CRITICA DEI PRIMI DUE CAPITOLI
CON STUDIO LINGUISTICO INTRODUTTIVO.1

Dino Manca

Il giorno del giudizio, «testamento spirituale» di Salvatore Satta, è


forse l’opera che più di altre rievoca, per modalità e soprattutto
temi trattati, Cosima, il romanzo autobiografico di Grazia Deledda:
entrambi postumi, incompiuti,2 scritti durante gli ultimi anni, se-
gnati dalla malattia,3 contenenti memorie romanzate, schermate au-
tobiografie (soprattutto per la Deledda, meno per Satta)4 sul perio-
do dell’infanzia e della giovinezza che catapultano il lettore in un
tempo lontano, in un palcoscenico popolato di vivi e di morti. 5

1 Lo studio linguistico si trova altresì pubblicato in: MANCA 2018, pp. 187-213.
2 Il romanzo sattiano si interrompe nella «Parte seconda»: «Forse ho concepito un di-
segno troppo vasto. Ne sono addolorato perché si tratta non di gloria o di fama, estra-
nea totalmente al mio spirito, ma di impedire ad un mondo di morire. Vedremo quel
che succederà» (Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Albanese, 20 novembre 1971).
3 «Mi restano pochi anni da vivere…e in questi anni devo fare qualcosa che giustifi-

chi la mia esistenza. Cosa sarà lo ignoro; ma non può essere questo mestiere. Non si
può arrivare a Dio con le sudate carte, che egli non leggerebbe, come non leggono i
giudici dei concorsi» (Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Albanese, 15 giugno 1970).
4 L’opera di mimetizzazione e di arbitrario camuffamento dei toponimi e degli an-

troponimi presenti nell’autografo e nel dattiloscritto non fu fatta, come già scritto, da
mano autorale ma dai familiari di Satta per ragioni di privacy e di tutela giuridica.
5 Peraltro entrambi i romanzi incontrarono analoghi problemi filologici relativi alla

restituzione del testo e agli interventi emendatori dei curatori postumi. Grazia Deledda
morì a Roma il 15 agosto 1936. Dopo qualche settimana il direttore della «Nuova An-
tologia» Luigi Federzoni, a seguito dell’iniziativa intrapresa dall’allora redattore capo
Antonio Baldini e dietro sua sollecitazione, si interessò del materiale manoscritto la-
sciato dalla scrittrice. Il primogenito Sardus, allora trentaseienne, aveva infatti trovato
in un cassetto della sua casa romana, dentro una custodia di «carta turchina», un auto-
grafo di 277 carte sciolte, senza titolo e senza la parola «fine». Si trattava di un elabora-
to inedito contenente memorie romanzate della madre sul periodo nuorese, una sorta
di schermata autobiografia tradotta in finzione letteraria, il cui intreccio si dipanava sul
filo di una narrazione di sé fatta in terza persona. Quindici giorni dopo la dipartita, il 30
agosto, il settimanale illustrato di Roma «Quadrivio», a corredo di un articolo intitolato
Grazia Deledda davanti alla morte, propose in prima pagina ai suoi lettori una parziale ri-

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DINO MANCA

L’io narrante, custode delle antiche memorie, ripesca dal mare


dell’oblio la storia del proprio paese e della propria gente, susci-
tando, con la naturalezza del racconto, la suggestione del mito e
dell’epopea quotidiana di un’umanità primitiva, gettata in un mon-
do unico, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e
dell’esistenza assoluta («sono ad ogni riga alle prese col mistero. Questa
gente […] è l’incarnazione del mistero»). Una memoria che secondo la
dinamica dei centri concentrici finisce coll’inglobare la memoria
corale di Nuoro; una memoria familiare, sociale e storica insieme:
Nuoro, utero materno, terra delle origini, punto di partenza e pun-
to d’arrivo, circolarità ed eterno ritorno («quella misteriosa cosa che Le

produzione facsimilare dell’ultima carta del manoscritto. Il 16 settembre la «Nuova An-


tologia», dopo un non trascurabile intervento revisorio del figlio Sardus e un primo
importante lavoro di editing del Baldini, iniziò la pubblicazione a puntate del romanzo,
col titolo Cosima, quasi Grazia (settembre-ottobre 1936). Otto mesi dopo, nel maggio
del 1937 ― ulteriormente e significativamente riveduta e corretta, oltre che dal suo
primo curatore annotata ― l’opera uscì per i tipi della Treves, che nell’agosto dello
stesso anno ne licenziò una seconda edizione, non difforme dalla prima se non per
l’aggiunta di alcune pagine di note. Da quel momento il testo fissato da T (vera e pro-
pria edizione purgata) conobbe vicende ed evoluzioni diverse. Nel 1944 con Il segreto
dell’uomo solitario la Arnoldo Mondadori Editore ripropose all’attenzione del pubblico
della nuova Italia ― impegnato nello straordinario lavoro di ricostruzione economica,
sociale e civile del paese ― l’opera della Deledda. Dopo dieci anni, nel settembre del
1947, la collana «il Ponte» rieditò, secondo la redazione Treves, il romanzo postumo
impreziosito da otto illustrazioni di Aligi Sassu. Conforme a quella lezione fu anche la
successiva versione inserita nell’ottobre del 1950 nel terzo volume della raccolta della
Mondadori di Romanzi e novelle («Omnibus»). Solamente con l’edizione del 1964, curata
da Eurialo De Michelis per i «Classici contemporanei italiani» (M), il testo restituito
conobbe una nuova revisione in senso conservativo. Il curatore ritornò infatti alla le-
zione dell’autografo, emendando le numerose innovazioni apportate dai revisori po-
stumi ― in rivista e soprattutto in volume ― «sia per attenuare la crudezza dei riferi-
menti a persone vere sia per riportare il racconto alla terza persona in molti luoghi
(non tutti) dove si era sostituita la prima sia infine per abbellire il testo, cui mancò
l’ultima revisione dell’autrice». In realtà anche il lavoro critico di De Michelis, la cui
edizione possiamo cautamente considerare interpretativa, per quanto meritorio
nell’essere riuscito a restaurare buona parte di quella verità testuale alterata dagli innu-
merevoli interventi seriori, è risultato essere ancora perfettibile per talune scelte emen-
datorie. Si tenga conto che al testo ristabilito nel ’64 fecero riferimento tutte le più im-
portanti pubblicazioni successive, dalla edizione curata da Natalino Sapegno per i «Me-
ridiani» Mondadori sino a quelle per gli «Oscar Mondadori» curate da Vittorio Spinaz-
zola. Sull’argomento: DELEDDA 2016 [2021], pp. XXV-XXX.

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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

ho detto, è la storia della mia famiglia che è la storia di Nuoro e della Sarde-
gna»). Un viaggio a ritroso fatto attraverso i sentieri più reconditi
della mente e dell’anima; un’opera di ripiegamento su se stessi, alla
ricerca della propria vita, per scoprirne il senso, il filo rosso, in un
momento in cui si è imboccato il viale del tramonto, appunto («i
giorni se ne vanno, io resto», ha scritto Apollinaire). Nel passato, in
interiore homine, l’Io cerca la sua dimensione immortale contro il vol-
to nudo del destino («il passato richiede una speranza o una fede che non
riusciamo ad avere […] passato di cui sono intriso. Per liberarmene dovrei
rendere in canto tutte queste cose: il canto sia pure di una prèfica»). La me-
moria, àncora di salvezza, balsamo e lenimento di un presente in-
quieto, straordinario antidoto contro la fuga dei giorni, in virtù di
ciò diventa l’unica possibilità che rimane per poter risorgere, in arti-
culo mortis:

Ho fretta perché fra tre giorni parto per la Sardegna. Sono arrivato alle soglie
della disgregazione fisica (e quindi mentale). […] Mi fermerò solo sei giorni, ma
io so che respirerò l’aria dei miei grandi padri, e questo renderà più intensa, più
urtante la cura.6

6 Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Albanese. La lettera si trova pubblicata in: DE


GIOVANNI 1984, p. 135. Analogo ragionamento e uguali parole abbiamo scritto in altri
anni quando analizzammo prima l’opera di Giulio Angioni (Se ti è cara la vita) e dopo di
Giuseppe Dessì (Michele Boschino). A proposito di Giulio Angioni scrivemmo: «Ma esi-
ste un’altra memoria, proiezione simbolica dell’altra. Una memoria più sociale, più sto-
rica: quella di Fraus, seno materno, terra delle origini, potenza rigeneratrice, punto di
partenza e punto d’arrivo (circolarità ed eterno ritorno), luogo comunque protettivo e
irripetibile. Vi si legge la Storia de una zenìa malassortada: gli anni della guerra, i bombar-
damenti, la fame, gli sfollati, la fine del fascismo, la ricostruzione, il dramma
dell’emigrazione, il Piano di Rinascita Economica e Sociale, il fallimento, il sogno in-
franto di una terra senza futuro. Tutto si rapporta al passato, recente e lontano, mitico
e archetipo. La concezione del tempo e dello spazio, la raffigurazione e la percezione
degli ambienti, la descrizione antropomorfizzante degli oggetti e della natura, l’azione e
il vissuto dei personaggi, partecipano di un destino comune, di una condizione interio-
re e nel contempo di una visione del mondo; concorrono a determinare il senso globa-
le del testo. […] La commemorazione dei defunti e la descrizione del cimitero, luogo
della memoria sociale e collettiva, si presentano come l’occasione, per il narratore, di
riallacciare un rapporto coi due mondi: quello dei morti e quello dei vivi, in un continuum
fra passato e presente. Anche se “i morti restano o ritornano se in casa resta o torna qualche
vivo a ricordarli. È così che l’esistere di ognuno dipende dall’esistere degli altri…”, ovverosia, sat-

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DINO MANCA

E questo in parte spiega perché Satta amasse la Deledda e in


modo particolare il romanzo Cosima; romanzo che, crediamo, non
gli sia rimasto indifferente nel momento del concepimento e della
stesura de Il giorno del giudizio:

La casa era semplice, ma comoda… [Cosima]


La casa è grande, è bella, comoda… [Il giorno del giudizio]

Come in altri contesti situazionali e linguistici abbiamo avuto


modo di dire, la questione dirimente, per gli autori isolani a partire
dalla Deledda, fu come tenere insieme cultura osservata (il mondo
sardo) e cultura osservante (sardo-italica), come costruire un narra-
tore capace di raccogliere lo straordinario bagaglio conoscitivo di
un autore implicito figlio del suo mondo e profondo conoscitore
dei suoi linguaggi; un narratore che, ponendosi a una distanza mi-
nima dall’universo rappresentato, sapesse nello stesso tempo rac-
contare l’anima e il vissuto della propria gente a un pubblico
d’oltremare. Una completa estraneità linguistica, culturale e morale
rispetto al mondo narrato avrebbe, infatti, reso inautentica e so-
prattutto incomprensibile l’operazione letteraria. Anche per questo
talvolta, per accrescere la naturalezza della resa «mimetica»
dell’ambiente, alcuni autori novecenteschi in lingua italiana – non
del tutto indifferenti al modello deleddiano – hanno attinto (anche
in anni recenti) dal ricco giacimento etnolinguistico, intraprenden-
do la strada del mistilinguismo, della mescidanza e dell’ibridismo;
opzioni certamente più adeguate e rispondenti alla messa in scena
di un microcosmo sardofono. Non c’è dubbio che una tendenza

tianamente, “… bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri
come in un giudizio universale”. La memoria, dunque, diventa la costante, il vero tòpos se-
mantico. La stessa natura del romanzo è funzionale al tema trattato, ansie ne rimane
fortemente condizionata. Una struttura temporale caratterizzata da un sistematico on-
divagare fra racconto primo e racconto secondo smaterializza, polverizzandolo, il tempo nar-
rativo e lo traduce in un tempo interiore, quale metafora di una condizione di diaspora
dell’io narrante. Il tempo storico si confonde col tempo psicologico, soggettivo e pulvi-
scolare» (Cfr. MANCA 1995, pp. 64-67).

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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

così diffusa non poteva non trovare scaturigine anche dallo scarto
esistente tra oralità e scrittura, tra parlato e modello letterario e dal
conflitto tra sistemi linguistici diversi. Ancor di più questa interfe-
renza comunicativa si manifestò tra gli scriventi sardi in italiano,
lingua per molti d’inappartenenza.7
Anche Salvatore Satta a modo suo getta un ponte tra i due
mondi e le due culture. Anch’egli innesta sul tronco della lingua di
derivazione toscana elementi autoctoni (calchi, sardismi, soluzioni
bilingui), espressioni e locuzioni nuoresi (rilevati con il carattere
corsivo e affiancati dalla traduzione o da una spiegazione), proce-
dimenti formali della colloquialità e termini pescati dal contingente
lessicale della lingua sarda; per corrispondere all’intento mimetico
di traducere, trasportare, un universo dell’oralità primaria dentro un
sistema linguistico altro (quello della tradizione letteraria italiana
scritta). Il giorno del giudizio attesta questo plurilinguismo.8 Non
mancano infatti, oltre l’italiano e il sardo, anche latinismi, francesi-
smi e lessemi che rimandano al sostrato castigliano e catalano (al-
ternòs, bostè, barandilla, celliere, estanco, loco, mariposa, amicos de posada) e
il suo testo, microcosmo babelico, risulta permeato di elementi in-
digeni che coesistono in un rapporto simbiotico col mutante codi-
ce italiano e con le sue strutture organizzative più profonde. Il
nuorese è per lui la lingua del «cuore», del «parlar materno» e «pa-
terno», delle radici del soggetto conoscente e poetante, la prima
lingua che autenticamente veicola, prima dell’italiano, il suo mondo
e il suo vissuto. Il sardo non è un orpello codificatorio, un escamota-
ge retorico e stilistico o un inserto puramente esornativo. In molti

7 Le questioni in oggetto sono state dal sottoscritto già ampiamente trattate in prece-

denti lavori. Cfr. MANCA 2005, pp. XXXII-VII; MANCA 2010, pp. XXIX-LIX; MANCA
2011, pp. 49-75; MANCA 2015, pp. 246-247; MANCA 2015b, pp. 182-186; MANCA 2018,
pp. 163-213; MANCA 2021, pp. 841-960.
8 Sulle questioni linguistiche relative a Il giorno del giudizio si vedano: PITTAU 1990, pp.

343-354; DE FELICE 1990, pp. 261-272; LAVINO 1990, pp. 355-366; ESPA 1990, pp.
299-316.

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DINO MANCA

luoghi del testo sembra quasi che il narratore ‘pensi’ in sardo e che
il suo universo semantico sia primariamente sardo:

aveva la morte appresso, come ce l’abbiamo tutti.


[iuchiat sa morte iffattu, che a tottus]

senza quel danaro […] aveva poco da essere intelligente.


[chene cussu dinare aiat pacu de essere intelligente]

l’orto era passato in altre mani per un pezzo di pane


[s’ortu fit colau in manos de attere pro unu cantu ’e pane]

Che sia nel cielo


[In su chelu siat]

era sardo per beffa


[fit sardu pro beffe]

Veniva chiamato onorevole, non aveva capito se sul serio o per beffa
[Lu muttiana onorevole, no aiat cumpresu si abberu o pro beffe]

era morto di repente


[fit mortu de repente]

non c’era pericolo che egli


[non b’aiat periculu chi issu]

gli rinfacciava la vita sua


[li iffacchilliabat sa bida]

viveva in un’ala dei vasti dominari


[su dominariu era la casa padronale]

Certamente una prima questione linguistica e filologica insieme


riguarda, come già scritto nelle pagine precedenti, l’onomastica e la
toponomastica, o meglio le modifiche apportate dagli eredi in D1 per
ragioni di prevalente opportunità giuridica. Diamo qui solo qual-
che esempio di toponimi e antroponimi modificati spesso in modo

470
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

fuorviante e arbitrario9 (come peraltro hanno già segnalato altri


studiosi) dai curatori postumi, che nell’innovare non di rado hanno
determinato gravi incongruenze a causa di improbabili sovrapposi-
zioni di luoghi e di persone realmente esistite, ingenerando nel let-
tore inevitabile confusione e disorientamento:

Ogolìo > Locoi; Su Tuvu > Sa ’e Musu; Via Angioy > Via Asproni; Badde-
manna > Isporòsile;10 Lollobeddu > Loreneddu; Salvatore Satta Carroni > Se-
bastiano Sanna Carboni; Antonietta Satta Carroni > Vincenza Sanna Carboni;
Rosa Galfrè > Nicolosa Vugliè; Predischedda > Pedduzza; Ramazzotti > Mari-
notti; Faedda > Fadda; Ganga > Manca; Pedassu > Poddanzu;11 Zizzedda >
Peppedda; Giovanni Guiso > Giuseppe Chisu; Antonio Corbu > Pascale Gur-
ture; Banneddu Lucca > Banneddu Zucca; Giovanni Antonio Musina > Gio-
vanni Maria Musiu; Marianna Sechi > Marianna Zedda; Pascale Sole > Pascale
Martis; Pietro Cocco > Pietro Catte; Pietro Mastino > Paolo Masala; Pietro
Secchi > Cosimo Marche; Riccardino Campanelli > Robertino Caramelli; Prete
Corda > Prete Medde; Prete Merche > Prete Porcu; Canonico Satta > Canoni-
co Sanna; Canonico Daddi > Canonico Monni.12

9 Tra gli esempi antroponimici qui segnaliamo il discutibile passaggio da un Bustianu

(Sebastiano) – nome tipicamente nuorese – a Bainzu (diminutivo di Gavino) con Gavi-


nu, Gabinu, Gabinzu, Gaine e gli ipocoristici Baingio, Baingiu, Binzeddu, decisamente più
diffusi nell’area settentrionale e meridionale dell’Isola.
10 Nella realtà Don Salvatore aveva proprietà in entrambe le località. Anche questo

ha ingenerato non pochi fraintendimenti ed equivoci. Infatti «la terra che egli aveva strap-
pato alla furia di un rigagnolo che scendeva tranquillo dal Monte incombente» per chi conosce il
territorio non poteva essere Isporòsile ma Baddemanna.
11 Nell’opera di alterazione e contaminazione del testo compiuta dai curatori postu-

mi, di una certa gravità restitutiva ci pare l’emendazione della lezione Pedassu, servo di
Don Salvatore, in Poddanzu, servo di Don Sebastiano. Il curatore prima e l’editore poi
non si sono infatti resi conto che tra i personaggi che popolavano il microcosmo narra-
tivo di autentica creazione autorale esisteva già un Poddanzu, con ruoli, pragmatiche e
identità differenti.
12 Tra i nomi e i soprannomi originali, non modificati, segnaliamo: Antoni Mereu;

Antonio Fodde; Maria Secchi; Baingio (frate); Baliodda; Buziuntu; Canonico Mura; Cano-
nico Solinas; Carobbi (sarto); Casizolu; Chischeddu (sagrista); Dionisi (banditore); Dirripez-
za; Fileddu; Franziscu Pedazzu; Franziscu Sole; Giossanto (frate); Maestro Piras; Maria Sec-
chi; Mariani; Mastro Ferdinando (il muratore); Milieddu (becchino); Monsignor Canepa;
Palazzeschi (commissario); Palimodde; Pascale Farranca; Paulu Monne; Peditortu; Peppedded-
da; Poddanzu (persona altra rispetto al fedele servo di Don Salvatore poi modificato in
Don Sebastiano); Pozeddu (campanaro); Prete Mele; Raffaele “Cilolaicì”; Recoteddu; Sa
Tataja; Zia Tatana Faragone; Seddone; Sisaia; Torroneddu; Tortorici (edicolante); Zia Ispor-
zedda; Zia Mariantonia; Ziu Longu (bidello); Zizitu Nurra (avvocato).

471
DINO MANCA

Per altro i nomi di luogo, di persona (con ipocoristici e accre-


scitivi), i cognomi e soprattutto i soprannomi della fauna umana
che popola l’universo narrativo, ci riportano in modo diretto, sen-
za mediazioni o circonlocuzioni, alla lingua e alla storia stessa della
città, della sua gente e del suo territorio:

Balubirde, Biscollai, Caparedda, Corte, Convento (Cumbentu), Lardìne, Marrèri, Sa


bena, Sa Costera, Sa Serra, Tanca del Prato (Su Pradu), Sèuna, bia Majore, Santu Pre-
du, Sa ’e Manca (il cimitero), Monte Jaca, Istiritta, Ponte di Ferro (Pont’e ferru); Mu-
ghìna, Solitudine (Solidae), Obisti, Ulìana, Sas Birghines, Baliodda (tonto, cretino),
Buziuntu (buzzo, ventre unto), Chischeddu (Franceschino), Boelle (Raffaele), Casi-
zolu (pera di cacio), Dirripezza (malconcio, con le pezze ai piedi), Fileddu (dimi-
nutivo di filu, spago), Longu (lungo), Milieddu (diminutivo di miliu, belato), Milor-
do, Mucubirde (moccio verde), Franziscu Sole, Don Missente (Don Vincenzo), Pali-
modde (spalle molli), Peditortu (piede storto), Peppeddedda, Maria Zoseppa, Maria Iu-
banna, Recotteddu (diminutivo di recottu, ricotta), Sisàia (blatta, scarafaggio), Anto-
nio Corbu (Antonio Corvo, che in un improbabile e discutibile slittamento se-
mantico diventa per i curatori postumi Pascale Gurture, Pasquale avvoltoio), ma-
stru Ganga Predischedda (maestro Ganga Pietruzza),13 Seddone (accrescitivo di seda,
sella), Torroneddu (diminutivo di torrone), Nanneddu Titùle (Giovannino sporco),
Zizitu Nurra (Franceschino Nurra), tittiu (zio), zia Isporzedda (dal bocciolo del
fiore), sos Chiseddos, Pozeddu (diminutivo di pozu, poggio), Zesarinu, boe porporì
(frasi di incitamento: bue rossastro), boe montadì! (bue mantellato), Milesos (vendi-
tori di arance di Milis).

Analogamente si appalesa il ricco e variopinto contingente


lessicale relativo ai nomi comuni, ai mestieri, agli oggetti, al
vestiario, alle azioni, allo status sociale, alle indicazioni temporali,
all’immaginario e al fantastico:

13 Anche in questo caso il curatore postumo incorre in una svista palese. Egli, infatti,
cambia il cognome del personaggio (Ganga diventa Manca) e il suo soprannome (Predi-
schedda, Pietruzza, da preda, pietra, diventa Pedduzza, Pellicina, da pedde, pelle) attribuen-
do però al secondo il significato del primo: Maestro Manca, e gli impedisce di ridiventare Pe-
dduzza (Pietruzza) […] la pancia che descriveva un perfetto cerchio sulle fragili gambette gli aveva
procurato – come mi pare di aver detto – il nome di Pedduzza (Pietruzza) col quale è passato nella
vita. Peraltro Ad nel capitolo XII inspiegabilmente riporta a testo la primitiva lezione
Predischedda, ingenerando anche nel lettore non necessariamente sardofono ulteriore
confusione.

472
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

biddas (paesi), tanca (terreno chiuso), tanchita (piccola tanca), fochile (focolare),
teraccas (serve), vestire da cosinu (vestire da borghese), còrbula (cesta), zippone (it.
ant. gippone, giuppone, giubbetto), su toccu pasau (il rintocco lento), Coeddu (il
diavolo), sas sùrbiles, (streghe, meglio donne vampiro), domus de jana (casa della
fata), sas canisteddas (i canestri di foglie di palma), sa jaca (cancello rustico di le-
gno), sa lorica (l’anello di ferro affisso ai muri delle case per legarvi gli animali
domestici), Sa Tataja (la balia), s’annu ’e su connottu, istancu (tabacchino), mastruca,
barandilla (verandina, ringhiera), corridores (poggioli), mastru ’e linna (falegname),
mastru ’e muru (muratore), mastru ’e pannu (sarto), mastru ’e iscarpas (calzolaio), stra-
da (sgabello, sedile di pietra), piccapietre (calco da piccapedreri, tagliapietre), fichi
moreschi (calco dal sardo per ficu murisca, ficodindia).

Ampiamente scandagliato in senso marcatamente etnolinguisti-


co risulta essere, inoltre, l’ambito dell’arte culinaria, dei cibi e dei
dolci della tradizione sarda e nuorese e della festa:

sos culurjones (ravioli ripieni), sos maccarrones cravaos (gnocchetti “inchiodati”,


schiacciati con l’unghia), sas sebadas (dolci di formaggio racchiuso da due sfoglie
di pasta con lo strutto, in sardo seu o sebu, dal lat. SEBUM), sas casadinas (dolci di
formaggio fresco, dal sardo casu, lat. CASEUS).

Non mancano poi gli inserti poetici di autori sardi (Canonico


Solinas):

So solu
mischinu
chin dolu
continu

(Son solo - povero me - con duolo - incessante)

E inserti di blasfema e parodistica versificazione in lingua sarda:

Benitu siat su frore


Fruttu de puru sinu

(Benedetto sia il fiore - frutto di puro seno)

che diventa:

473
DINO MANCA

Benitu siat s’ascriore


fruttu de puru binu

(Benedetto sia il rutto - frutto di puro vino)

Ed ancora:

Sa fide la professo
chind’una timinzana
de cussu ’e zia Tatana
Faragone…

Professo la fede
con una damigiana
di quello (del vino) di zia Tatana (Sebastiana)
Faragone…

E una tale consuetudine tutta mimetica, di riprodurre, modu-


landole, le cadenze linguistiche del mondo nuorese non poteva
non investire l’aspetto dialogico, scenico e drammatico del raccon-
to anche sattiano, ovvero gli atti linguistici di cui sono emittenti e
riceventi i personaggi, cuore e motore dell’universo semantico, e
specularmente le attribuzioni, le qualità e la sfera pragmatica in cui
essi sono coinvolti:

Ghettadommos, ghettadommos…
[Distruggicase, Distruggicase…]

Perché hanno messo fuori dal mondo Banneddu Lucca?


[Proite c’ana bocau dae su mundu Banneddu Lucca?]

Cieco, sei, che non vedi dove metti i piedi!


Cònchinu ses, chi non bies in ube pones sos pedes!

E se ti piace, prenditelo!
E si ti piachet, picatilu!

Bonas dies, ziu Bustianu [Corrales] (Buon giorno, zio Sebastiano).


Bene bénniu (Benvenuto). E che novità a Ozieri [E ite nobas in Othieri]…

474
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Così siamo [Gai semus], replicava quello.


Come, così! [Comente gai!]…

Sicuri si è in mani di Milieddu.


Sicuros semus in manos de Milieddu.

Tu sei al mondo perché c’è posto


Tue ses in su mundu ca b’at locu

Cercare pane migliore di quello del grano


Chircare pane menzus de cuddu de trìdicu

Io vi dico che questo Ricciotti Bellisai è un’immondezza


Deo bos naro chi custu Ricciotti Bellisai est un’arga ’e muntonarju

Signore, prendetemi con voi.


Deus meus, piccaeminche.

Voi non farete nulla […] Mettetevelo bene in mente


Bois non fachìe nudda […] Poniebollu bene in mente.

[…] zia è morta, e salute a noi finché lei non ritorna.


[tzia est morta, e salude a nois finzas a cando non torrat.]

Morto, morto quello che ti dava le giacche…


Mortu, mortu cussu chi ti dabat sas zanchettas…

E cosa vuoi che io faccio?


[E ite cheres chi faca?]

Cosa sono queste voci che vai spargendo?


[Ite sun custas boches chi ses isparghende?]

Quel che fa il padrone è ben fatto.


[Cussu chi fachet su mere est cosa bene fatta.]

[…] per nulla non si fa nulla.


[pro nudda non si fachet nudda.]

Tieniti la lingua in bocca


[Teneti sa limba in bucca]

475
DINO MANCA

Mettetegli la faccia nel sedere, a quella vena.


[Ponìeli sa cara in culu, a cussa bena].

Per questo ti ho educato, figlio di bagascia, avanzo di prigione….


[Pro custu t’appo educau, fizu ’e bagassa, restu ’e galera…].

[…] questa è una gabbia di matti.


[custa est una gabbia ’e maccos.]

Vi hanno fatto la magia […]


[Bos an fattu maghìa]

La stessa voce narrante, che rimanda a una forte e radicata


identità autorale, anche nelle parti discorsive e narrative – oltre che
in quelle dialogiche – attinge dal sostrato sardo e dalla sabidorìa po-
polare utilizzando appellativi o allocutivi pescati dal serbatoio
linguistico nuorese, calchi e adattamenti lessicali («Davanti
alla signora Nicolosa si toglieva la berretta» < in nuorese berrìtta;14
«All’ora fissata per l’interro» < s’ora ’e s’interru;15 «il lungo bàculo luci-
dato» < bàculu;16 «Nel cimitero, meglio nel camposanto» < campusantu;
«Ma gli estranei avevano capito» < istranzos; «ma che venisse diret-
tamente dal cantaro» < cantaru;17 «Fileddu, quell’eremitano» < remita-
nu;18 «faceva la parlata nella piazzetta» < parlada;19 «sulla strada di
pietra presso la porta» < istrada;20 «invetriato, appunto si diceva [del
pane carasau]» < imbridiau;21 «Non aveva voluto far nulla per imbo-

14 sa berrìtta: copricapo di orbace o di semplice panno nero.


15 s’ora ’e s’interru: l’ora della sepoltura, del funerale.
16 su bàculu designava il bastone da appoggio, dal latino BACULUM (BACULUS), italiano

antico bàcolo, bàculo, in nuorese in senso figurato anche come sostegno morale, ses su
bàculu de sa betzesa, così come nello spagnolo, ser el bàculo de la vejez.
17 su cantaru: sorgente, dal latino CANTHARUS.
18 remittanu: accattone, pezzente (italiano antico eremitano).
19 sa parlada in pratta era il comizio politico.
20 s’istrada designava il lastrone di granito che stava fuori dalle abitazioni e che serviva

da sedile e da appoggio.
21 pane imbridiau o imbridiare su pane: da bridu, vetro, si diceva dell’ostia di pane carasau

resa lucida come il vetro dopo l’aspersione con l’acqua e l’infornatura.

476
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

scare i figli» < imboscare sta per nascondere; «la gente venuta di fuori,
dal remotissimo continente» < continente;22 «e il più ostile a lui era quel
merdoso ultimo» < urtimu merdosu; «Non si udì l’appello di un cane» <
appeddu;23 «urlava chiamando la giustizia» < sa zustissia;24 «Fanno il
ballo tondo» < ballu tundu»;25 «aveva lavorato da piccolo come picca-
pietre» < piccapredas;26 «i principali della grande dinastia dei Corrales»
< printzipales;27 «Ponte di Ferro» < Ponte ’e ferru;28 «al quale con più

22 su continente indicava tutto ciò che stava al di là del mare.


23 appeddu: abbàio, da appeddare, abbaiare (lat. APPELLARE).
24 Il termine nella società e nella cultura agro-pastorale si connotava di valenze com-

plessivamente negative. La giustizia era cattiva per definizione (zustissia mala!, giustizia
cattiva!), paragonata in molti casi alla morte (pro che rughere in manos de sa zustissia, menzus
mortu, piuttosto che cadere nelle mani della giustizia, meglio la morte). Le ragioni di ciò
andrebbero ricercate nel passato e nella storia dell’Isola: una storia che si è contraddi-
stinta per il succedersi vorticoso di dominazioni, di atti coloniali, di incursioni pirate-
sche (ma, giova ricordarlo, altresì di antiche e originalissime civiltà). La giustizia è stata
per secoli quella voluta dai dominatori, dai «colonizzatori zuntos dae su mare per conqui-
stare, depredare e imporre forme di governo e leggi estranee ai bisogni dei Sardi»
(MARCI, 1992). La giustizia era rappresentata dallo Stato (la giustizia del «Re»), e lo Stato
veniva sentito dalla maggioranza spesso come un’entità altra, aliena, nemica della co-
munità e incapace – se non appunto con la repressione (soldati, carabinieri, magistrati)
– di conquistarsi quel consenso e quella legittimazione popolare che stanno alla base
del vincolo di subordinazione a un potere supremo, detto sovranità, e senza il quale vie-
ne meno un elemento costitutivo dello Stato stesso. Lo Stato, considerato autoritario,
onnicomprensivo, lontano dai reali bisogni della gente, era fonte di quel centralismo
che andava creando una sua cultura, una sua mentalità, un unico punto d’osservazione
e che forgiava i topoi degni, mentre tutto il resto decadeva a ruolo marginale, periferico,
destituito in ultimo di propria dignità. L’incapacità dunque di comprendere un universo
antropologico peculiare e complesso, con proprie regole, propri valori, propri criteri
distintivi, propri reticoli di inclusione ed esclusione, proprie leggi (si pensi alla Carta de
Logu che aveva regolato la vita dei Sardi per circa quattrocento anni) e proprie consuetu-
dini (frutto di un secolare processo di adattamento alle condizioni naturali, economiche
e sociali) e l’errore di aver creduto di poter decifrare e capire quel mondo attraverso
codici e sistemi segnici d’inappartenenza, hanno creato col tempo quell’interferenza
comunicativa fra potere costituito e società sarda che non di rado è stata foriera di in-
giustizie e tragedie. Cfr. MANCA 1997, p. 283.
25 su ballu tundu: tradizionale ballo sardo.
26 piccapredas: letteralmente ‘prendipietre’, da piccare (prendere) e predas (pietre). Sorta

di carpentiere edile specializzato, tra le altre cose, nel selezionare e nel tagliare le pietre,
diverso dal muratore (mastru ’e muru) e dal manovale aiutante del muratore (manibale ma-
stru ’e muru). Verosimilmente dal catalano picapreder.
27 printzipale: su printzipale era il possidente, il benestante, il padrone (anche su mere),

dal latino PRINCIPALIS.

477
DINO MANCA

diritto si poteva leggere la vita» < leghere sa bida);29 calchi fraseologi-


ci («uno di essi è passato» < unu de issos est passau;30 «amico di posa-
ta» < amicu de posada; «Ancora se ne vantava» < Galu si nde bantabat;
«come Dio l’ha fatta» < comente Deus l’at fatta; «il ricordo di un col-
po che lo aveva fulminato» < s’ammentu de unu raju; «era stata una
punta di arcobaleno» < est istau unu puntale de arcu ’e chelu; «erano
uomini che sapevano» < fin omines chi ischian; «in casa […] era sceso
un forestiere» < in domo fit falau un istranzu; «per farsi il bastardo» <
pro si fachere su burdu; «si impiccassero tutti» < mancari s’impicchen tot-
tus; «era male incamminato» < fit male incaminau;31 «Aveva voglia
[…] Cossu poltrone, un mezzo pittore morto di fame […]» <
nd’aiat gana Cossu mandrone, mesu pintore mortu ’e gana; «Dio mi
perdoni se c’è offesa» < Deus mi perdonet si b’at offesa) e sintatti-
ci – con inversione dell’ordine («– Il gregge, mi hanno rubato», «–
Cieco, sei») – modi di dire, proverbi («Con quel suo rispondere a
chi gli diceva che era ricco, che ricco è il cimitero», «Ogni olianese
possiede, come dicono, parte di vigna e parte di forno») o analogie,
similitudini e paragoni proverbiali («con la testa di moro [chin sa
conca ’e moru]», «con la faccia di latte [chin sa cara ’e latte]», «con la
faccia nera come la pece [chin sa cara nighedda che piche]»; «con la testa
a pera [chin sa conca ’e pira]»; «lucido come uno specchio [lùchidu che
ispricu]»; «Il vino […] scendeva nella gola come un ruscello [su binu
falabat in gula che ribu]»; «trottare come un cavallo [trottare comente unu
cabaddu]»; «sono corso qui come un matto [so curtu inoche comente unu
maccu]»; «lavorava come un folle [traballabat che maccu]»; «era come
un’ombra [fit che umbra]»; «l’aveva accolta come una figlia [si l’aiat
(ac)cullìa comente una fiza]»; «come una lumaca [che croca]»; «come un
fiore [che frore]»; «un antico melograno che terminava la proprietà:
nessuno coglieva i frutti che si aprivano sulla pianta con una risata»
[su risu ’e sa melagranada, chi s’est aperta e non s’est tancada]), sorta di in-
28 Ponte ’e ferru: nel centro storico di Nuoro alla fine della via Majore.
29 leghere sa bida: leggere la vita, criticare, rinfacciarne gli aspetti peggiori.
30 unu de issos est passau: uno di loro è morto.
31 fit male incaminau: o fit piccande caminu, si dice di persona che sta per morire.

478
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

tercalari e/o espressioni formulaiche (in svariati luoghi del te-


sto, ad esempio, occorre «Lo sa Dio perché… [Ia l’ischit Deus proite
o Deus l’ischit]»), tentativi di riprodurre intonazioni o di ricalcare gli
andamenti ritmici e i moduli linguistici legati all’oralità. Il paragone
proverbiale è una modalità rappresentativa tipica dell’oralità, quasi
una sorta di tratto codificatorio (se non di vero e proprio stilema)
del sostrato sardo che ha condizionato anche il segno letterario in
lingua italiana di molti autori isolani, compreso Satta. Esso è gene-
ralmente un testo conosciuto dalla comunità, quasi un cliché rappre-
sentativo il cui suo secondo termine di paragone rimanda quasi
sempre all’universo antropologico condiviso da emittente e desti-
natario («Bella che frore», bella come un fiore, «a conca ’e melone», con
la testa a forma di melone, «abochinande che maccu», gridare come un
matto). Chi parla o chi scrive può tuttavia creare nuove similitudi-
ni, nuovi accostamenti semantici e nuove immagini. Il giorno del giu-
dizio risulta esserne significativamente infarcito:

Nuoro, chiusa come un fortilizio; Nuoro […] s’apposta come un brigante


all’angolo della strada, o come un esattore che vuole le sue gabelle; Nuoro non
era che un nido di corvi, eppure era, come e più della Gallia, divisa in parti tre;
si ergeva l’immensa rupe di una delle cime dell’Orthobene, come un gigante
pietrificato; lo scemo di Nuoro, che andava appresso ai signori come un cane, e
come un cane perdeva la testa se lo lasciavano solo, finché la madre affamata lo
riportava nel suo tugurio, proteggendolo proprio come una cagna; emerse […]
una figura spettrale, seguita come un cane, da un ragazzotto; questa si è fatta da
sé attraverso i secoli, come l’uccello si fa il suo nido; gli si rivoltò come uno
scorpione; si erse come un serpente gridando che non era nulla; e come un ser-
pente che via via si ingrossasse l’avvinghiò nelle sue spire; era solo come un
fungo; per le cui strade brancolava come un cieco; brancolando come una cieca;
abbandonò le pecore, e corse come un pazzo verso il paese; Il suo cervello la-
vorava come un mulino; lavorava come una bestia; Era come una parola che
non riuscisse ad aprirsi il varco per la gola strozzata; La vita di caserma lo aveva
spogliato come una biscia; Egli si sentiva come un cinghiale braccato;
l’Ospedale li avrebbe barattati all’asta, che è come un disperdere le ceneri al
vento; Ma Antonio Cossu sapeva chi l’aveva ucciso, come Abele conosceva
Caino; Antoni andava errando per le strade come un cane perduto; Irrompeva-
no infine nella città murata, come il sangue plebeo nelle vene di un nobile fati-
scente; Il carro sardo […] ondeggia come una nave nella tempesta; il lungo bà-

479
DINO MANCA

culo lucidato dal tempo, stretto nella mano come un inutile scettro; il ramo
aveva messo radici […] e in breve aveva steso come un baldacchino sul pozzo;
la casetta del forno, che era come un altare; Il vigneto si stendeva come un
grande libro aperto; il pino era cresciuto come un gigante; la madre di Don
Franceschino, che era come un vessillo; Il maestro […] si ergeva come un Dio
pedagogo e terribile; egli passava di sghembo, come un allucinato; si ritrovaro-
no in dodici, davanti a una mensa ornata come un altare; giaceva sul grande
ovale d’argento come un cuscino; Il sogno non era solo il bambino che tendeva
dalle fasce, come un nuovo Ercole; Nei casolari si faceva un gran discorrere di
quest’uomo che parlava come un messia; La notizia che quel maestrucolo face-
va un discorso si sparse come un fulmine per tutta Nuoro; E come un gladiato-
re tese la mano verso la farmacia; gli fu rinfacciato dai figli come un tradimento;
Tu sei pazzo come tuo padre; l’accompagnò nel resto della vita come un presa-
gio; Mussolini li aveva attirati come un piffero magico; come in una di quelle
assurde processioni […] sfilano […] gli uomini della mia gente.

Analogo ragionamento si può fare per la ridondanza


pronominale tipica della produzione orale informale che nel
caso di Salvatore Satta si traduce in varie forme di
ipercorrettismo e che soprattutto rivela nelle unità narrative,
descrittive e discorsive – e non solamente in quelle colloquiali e
dialogiche – quanto il sostrato linguistico sardo abbia interferito
con l’italiano e quanto riccamente abbia influenzato il suo
dettato e la sua prosa («se li sono affittati», «il vescovo se lo
chiamò», «ed egli se lo pigliava», «se lo mettevano in mezzo», «se lo
portava nella sua capanna», «se lo portava appresso», «non se lo
chiedevano i quattro», «se li sono affittati», «si metteva a
pentirsi», «Da un fratello e una sorella che gli erano morti»). Allo
stesso modo l’uso sistematico dell’aggettivo mezzo (come metà
dell’intero o di un tutto) seguito da sostantivo, aggettivo o
participio, in senso ironico, deriva in buona parte dall’idioma
nuorese («mezzo addormentato», «mezzo demente», «mezzo
pittore», «mezzo maestro», «mezzo spagnolo», «mezzo agresti»,
«mezzo nudo», «mezzo ufficiale», «mezzo bettola e mezzo
caffè», < mesu durmiu, mesu maccu, mesu tortu, mesu mastru). Così
come dai moduli e dalle formule dell’oralità deriva il diffuso
utilizzo nel romanzo del costrutto «il fatto è che» (su fattu est chi;

480
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

fatt’istat chi):

il fatto è che la casa di un notaio non può essere come la casa di un contadino;
il fatto è che il pastore non ha nulla a che fare col contadino; il fatto è che a un certo
punto; il fatto è che Don Sebastiano; il fatto è che tra Don Sebastiano e Donna
Vincenza; il fatto è che i lampioni a petrolio; il fatto è che i morti fanali; il fatto è che
appena la campana ritmava il galoppo; il fatto è che aveva qualcosa di solenne e
ripugnante; il fatto è che chiedeva assistenza.

Se spostiamo l’attenzione investigativa e analitica dal piano


prettamente linguistico a quello narratologico e della semiotica del-
la narratività, notiamo che l’orientamento di senso non cambia. Le
tecniche della rappresentazione (prospettiva, distanza, voce, istanza
narrativa, funzioni) ci restituiscono infatti il profilo di un narratore
completo, eclettico e multiforme, che riveste più ruoli e gioca su
più piani comunicativi il suo rapporto col narratario e con la storia.
La primaria funzione narrativa si alterna, infatti, magistralmente con
quella comunicativa (propria del narratore conversatore), testimoniale
(tipica del narratore che evidenzia una sua testimonianza o ricor-
do), ideologica (quando il suo intervento nei confronti della storia
prende la forma di un commento o di un giudizio) e metanarrativa e
di regia (quando si riferisce alle modalità stesse del raccontare).32 La
fonte di emittenza non stringe patti col lettore («mi sono messo a scri-
vere una sera […] come dittava dentro, senza un programma o una trama o
un’idea»), o meglio, spesso li infrange e non di rado, mediante la
modalità del colloquio (che si alterna con quella della narrazione
classica) rievoca la figura del narratore orale:

Qui devo avvertire onestamente che quel che dico può essere tutta una fantasia perché l’ho
appreso da bambino nei racconti di Don Salvatore, se pure non me lo sono sognato […]; Ci-
riaco (così si chiamava, se vi ricordate) era l’unico uomo in quella casa di donne […];
Ma lasciamo andare Pozeddu che non c’entra, in questo momento, perché siamo nella
chiesa di Santa Maria […]; La difficoltà più grande che io trovo in questo ritorno al pas-
sato è quella di mantenere le prospettive […]; Come tutti gli scapoli nuoresi, che erano

32 Cfr. A. MARCHESE 1987, pp. 157-183.

481
DINO MANCA

legione (mi pare di averlo già detto) odiava i preti […]; Io però divago con questi ricordi
che si affollano alla mia mente, e non ho tempo da perdere […]; Ma io devo frenare queste
onde di ricordi che si accavallano in un assurdo disordine… Scrivo queste pagine che nessuno
leggerà, perché spero di avere tanta lucidità da distruggerle prima della mia morte, nel-
la loggetta della casa che mi sono costruito nei lunghi anni della mia laboriosa
esistenza. È un’alba di mezzo agosto, un’ora in cui l’estate ancora piena cede alla
passione dell’autunno. Fra poche ore tutto sarà diverso, ma intanto io vivo questo
annuncio di una stagione che è più propriamente la mia […]; Riprendo, dopo molti
mesi, questo racconto, che forse non avrei dovuto mai cominciare. Invecchio rapida-
mente, e sento che mi preparo una triste fine, poiché non ho voluto accettare la prima
condizione di una buona morte, che è l’oblio. […] Oggi poi, di là dai vetri di questa
stanza remota dove io mi sono rifugiato, nevica: una neve leggera che si posa sulle vie e
sugli alberi come il tempo sopra di noi […]; Forse evocata da questa gelida fan-
tasia della natura mi viene incontro stamani una figurina dimenticata, e della quale
non avrei pensato di dover parlare […]; E forse mentre penso la loro vita, perché scrivo
la loro vita, mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno
del giudizio, per liberarli in eterno dalla loro memoria […]; Mi riavvicino a queste
pagine dopo parecchi mesi da quando ho lasciato per sempre la zia Gonaria nel letto
coniugale della sperduta cantoniera. Essa mi aveva improvvisamente chiamato
mentre svolgevo il mio tranquillo racconto: mi aveva chiesto di liberarla della
sua vita, ed io l’ho accompagnata nella sua fuga. Ho sofferto molto, tanto che
non riesco nemmeno a rileggere quello che ho scritto. Né posso accompagnarla nel suo
ritorno […]; e poi se volete saperlo, ogni sardo, per quanto si ritenga superiore,
persino i tronfi sassaresi e gli spagnoleschi cagliaritani, guarda a Nuoro come al-
la sua seconda patria.

Oppure una tale figura viene ripristinata anche attraverso for-


me varie di discorso indiretto o trasposto con le quali l’io narrante imita
il personaggio e ne modula l’atto locutorio, in una riuscita sovrap-
posizione di punti di vista, facendosi esso stesso personaggio:

a chi gli diceva che era ricco, che ricco è il cimitero […]; ed era stata tre o
quattro volte a Tunisi, dove le donne del popolo scappavano quando restavano
incinte, per farsi il bastardo […]; Don Salvatore, a tavola, masticava il brodo,
come egli diceva ai figli […].

Nel romanzo sattiano le due lingue, l’italiano e il sardo (o il suo


sostrato), coesistono in un rapporto di feconda e riuscita interdi-
pendenza, senza gerarchie che denuncino complessi d’inferiorità di

482
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

sorta. Satta sa bene che la Storia, straordinario terreno di verifica


per la cultura e la politica, ci ha insegnato che la civiltà sarda è un
conglomerato etnico, risultato di un incontro di popoli, lingue e
culture e che la nostra è un’identità veicolata da almeno due idio-
mi: il sardo, con le sue varietà, e l’italiano, già – come scrive lui
stesso – da «prima che l’Italia fosse Italia»:

Don Salvatore non fumava: beveva un bicchiere dell’acqua del pozzo, sempre
gelida e cristallina. E la loro vita passata presente e futura fluiva nell’antichissimo
linguaggio, che già nei figli mostrava le contaminazioni […]; Parlava sempre italiano, anche
quando le donne tendevano a rispondere in sardo, perché la lingua ricercata e lontana
lo rendeva più astratto […]; Quell’avvocato e quel notaio di Nuoro, che parlava-
no coi loro padri un sardo più raffinato del loro olzaese o orunese, o gavoino […]
Certo, nuoresi non potevano diventare, se non altro per via della lingua, che dopo
vent’anni, trent’anni conservava ancora le tracce del paese d’origine […]; Ma un
certo giorno, dopo trent’anni, era apparso a Nuoro un giovane tarchiato e con
la faccia larga, quale i nuoresi non avevano, e neppure parlava correttamente la lingua
di Nuoro […]; nelle vene di Donna Antonietta scorreva mezzo sangue piemonte-
se, e per quanto, come abbiamo visto, sardizzata fino a non conoscere altra lingua,
quel sangue, o la mistura di quel sangue, operava sulla volontà e le impediva di
non esistere […]; Bisognava cominciare dalle grammatiche, e prima di tutto
dall’italiana, poiché era la propria lingua […]; Veniva da San Pietro Zesarinu,
che non era nuorese, ma di Dorgali e perciò quel poco che diceva lo diceva nel
linguaggio soffiato, quasi arabo, di quella gente […]; Perché quelle migrazioni di popoli
che sempre le guerre producono si erano riverberate anche su Nuoro, e se era-
no partiti gli internati ebrei e gli impiegati che erano rimasti per sfuggire alle re-
strizioni del continente, erano anche misteriosamente approdati non solo dai
paesi della Sardegna, ma dalle regioni d’Italia e specialmente dal meridione tor-
me di avventurieri che non si sapeva che cosa cercassero. Nuoro impassibile in-
ghiottiva tutti, li riduceva alla sua misura, e dopo qualche tempo dimenticavano la
loro lingua, e parlavano come gli emigrati d’America […]; Quel maledetto straniero era
come se maneggiasse il picco in luogo della zappa: ogni colpo, una ferita. Dove
voleva arrivare? Avevano in un primo tempo cercato di avvicinarlo, perché in
campagna l’uno non può vivere senza l’altro, ma un po’ per il diverso linguaggio, e
molto per la diffidenza del miserabile, rifiutò ogni contatto.

483
NOTA AL TESTO

Il testo de Il giorno del giudizio è giunto sino a noi tramite un autografo


(A) ― contenuto in due agende degli anni 1970 e 1971 ― e due trascrizioni
dattiloscritte (D1 e D2) eseguite dalla segretaria, vivente l’autore.
Nel 1988 la famiglia di Salvatore Satta affidò il manoscritto alla Biblio-
teca «Sebastiano Satta» di Nuoro, dove rimase fino al 1992. Le agende di
pelle marrone sono tuttora conservate presso il Centro Studi sul Fondo
Autografi Autori Sardi Moderni e Contemporanei (CENSAS) del Dipar-
timento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università degli Studi di Sas-
sari. La redazione del testo, strutturato in 20 capitoli, secondo modalità e
tempistiche diverse, con accelerazioni e rallentamenti, interruzioni e ri-
prese, interpolazioni e innesti, durò 28 mesi circa, fermandosi all’incipit di
una «Parte seconda».1 Le condizioni di salute dell’autore influirono sulla
genesi del romanzo

[…] Se riuscissi a riprendere questa vita, per se stessa, per ciò solo che è stata
vita, farei un capolavoro: ma mi mancano le forze in tutti i sensi.2

Mentre il primo dattiloscritto è completo, il secondo è lacunoso.3 In


entrambi sono presenti innovazioni di mano autorale verosimilmente ese-
guite senza un preventivo e/o contestuale confronto con l’autografo. Le
alterazioni da dattiloscrittura – riguardanti taluni esiti interpuntivi, il mu-
tamento di parole, la dislocazione di brevi segmenti di testo, salti di riga,
innovazioni di natura omeoarchica – sono passati inemendati durante l’ul-
tima lettura d’autore e tramandati dalle edizioni postume.

1 Sulla descrizione dell’autografo e dei due dattiloscritti, sul modus emendandi autorale,

sulla tipologia delle varianti e sulla fenomenologia degli interventi si rimanda all’edizione
critica integrale in corso di approntamento.
2 Lettera di Salvatore Satta a Bernardo Abanese, 23 ottobre 1970. Cfr. COLLU 2017, p.

269.
3 In D2 mancano le prime 94 carte.

484
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Pubblicato postumo nel 1977 da Cedam (C)4 ― casa editrice padovana,


specializzata in opere di diritto ed economia ― rieditato da Adelphi (Ad)
nel 19795 e vent’anni dopo dalla nuorese Ilisso (IL),6 il romanzo uscì nel
2003 ― a cura di Giuseppe Marci per i tipi del Centro Studi Filologici
Sardi (Cs) ―7 in forma di edizione critica (con apparato diacronico-evo-
lutivo, nota al testo, introduzione e glossario delle cose notevoli). Tre anni
dopo la casa editrice Il Maestrale (M) licenziò, a cura di Aldo Maria Mo-
race, una nuova edizione commentata e con un nuovo testo critico.8

Non c’è dubbio che il lavoro di restitutio textus abbia in quegli anni
posto gli editori dinanzi a non poche spinose questioni ecdotiche e a nu-
merose controverse lezioni che, per ragioni spesso indipendenti dalla loro
volontà ricostruttiva, restano ancora editorialmente irrisolte.
La sostanziale incompiutezza del romanzo, la non sempre chiara e de-
finitiva volontà autorale (anche nell’organizzazione spaziale del dettato),
alcune difformità intercorrenti tra testimoni (A, D1 e D2), le discutibili
interpolazioni e gli interventi emendatori eseguiti in molti luoghi del testo
da mani aliene, i refusi e i non pochi travisamenti degli antroponimi, mo-
dificati secondo discutibili e non di rado fallaci criteri di «assonanza» e di
«significato», l’impossibilità da parte degli studiosi di consultare tutta la
tradizione superstite (pensiamo alla mancata disponibilità, in qualche
caso, della versione dattiloscritta)9 e soprattutto l’operazione censoria
condotta prima e imposta poi dagli eredi ― per comprensibili ragioni di
opportunità, discrezione e tutela giuridica (antroponimi e toponimi fu-

4 Cfr. SATTA 1977. L’edizione Cedam fu esemplata sul dattiloscritto e non sul mano-

scritto.
5 Cfr. SATTA 1979.
6 Cfr. SATTA 1999.
7 Cfr. SATTA 2003, p. 42. Da ora in avanti per le citazioni utilizzeremo questa edizione,

tranne che per quei luoghi del testo che non seguono la lezione dell’autografo.
8 Cfr. SATTA 1999b.
9 «Tale fase di studio è ora resa possibile dalla disponibilità della versione dattiloscritta

(chi scrive ha potuto operare su una copia fotostatica, sfortunatamente priva della Parte
seconda) che offre risposte se non a tutti, almeno a numerosi interrogativi.» (cfr. MARCI
2003, p. XIX).

485
DINO MANCA

rono sostituiti con improbabili nomi di fantasia in D1 prima della pubbli-


cazione) ― hanno infatti costretto i curatori postumi a licenziare lavori,
per quanto meritori, tuttavia incompleti da un punto di vista restitutivo in
quanto filologicamente compromessi e inficiati ab origine.10
Anche l’editore di M, che pure reintegra molti nomi di persona e di
luogo, ciononostante non restaura nella sua completezza il testo critico
(conoscendo ancora qualche limitazione imposta dalla privacy),11 ma so-
prattutto non appronta, come invece aveva già fatto Marci, una vera edi-
zione critica (in M, infatti, non c’è alcun apparato filologico-diacronico,
pensato per ospitare le varianti d’autore rappresentate nei loro passaggi
evolutivi, che renda edotto il lettore delle operazioni ecdotiche ed edito-
riali compiute).12
Analogo ragionamento vale per la riedizione Ilisso del 2017 (IL2), cu-
rata da Ugo Collu, che nonostante emendi numerosi refusi e chiarisca a
testo taluni importanti fraintendimenti restitutivi portati dalla tradizione,13

10 «Dopo la sua morte, e in vista della edizione Cedam, i familiari operano un secondo
intervento: cancellano quasi tutti i nomi segnati da Salvatore Satta (corrispondenti a per-
sonaggi effettivamente esistiti) e li sostituiscono con nomi di fantasia. La stessa opera-
zione compiono nel caso di alcuni micro-toponimi che avrebbero consentito l’individua-
zione di località definite col loro nome reale e, di conseguenza, del proprietario. En-
trambe le modificazioni conservano ancora oggi la loro ragion d’essere, tanto è vero che
il manoscritto è stato cortesemente messo a disposizione di chi scrive con l’unica condi-
zione che, sussistendo le originarie ragioni di discrezione per le quali erano stati modifi-
cati, non venissero resi pubblici i nomi attribuiti dallo scrittore ai suoi personaggi: di
conseguenza anche in questa circostanza, e cioè nell’edizione critica del manoscritto,
vengono adottati i nomi sostitutivi, introdotti nel dattiloscritto e poi proposti nelle di-
verse edizioni dell’opera a cominciare dalla prima.» (cfr. MARCI 2003, p. VIII).
11 Nell’edizione curata da Morace non risultano essere stati ripristinati i cognomi delle

più importanti famiglie nuoresi (Bellisai, Mannu, Corrales) oltre quelli di importanti perso-
naggi del luogo (maestro Mossa, farmacista Piga).
12 «È stato adottato un criterio conservativo quanto più è stato possibile, tenendo ov-

viamente conto del fatto che si tratta di un’edizione non riservata agli studiosi […] Sono
stati reintegrati anche gli antroponimi originari, ivi compresi i soprannomi, salvo quando
la privacy e le norme sulla tutela giuridica hanno richiesto il permanere di quelli introdotti
per la prima edizione» (MORACE 1999, p. XXX)
13 Cfr. SATTA 2017 [IL2]: «Prete Laguzzi viene ‘camuffato’ con prete Delussu, ma non

ci si avvede che poche righe in avanti si trova che «quello, come diceva il nome, era di
origine continentale» (e Delussu non sembra proprio continentale). Francesco Congiu
Pes diventa Cossu Boi nel capitolo I, ma poi torna nel XVII come Francesco Casu. Così
Ignazia è sostituita da Gonaria, ma nel capitolo XVIII ricompare insieme a Gonaria. Lo

486
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

stesso capita a Laguzzi che nel capitolo XVII riappare nel giro di tre righe insieme a
Delussu. E poi Antonio Corbu (corbu-corvo) ‘travestito’ in Pascale Gùrture (gùrture-
avvoltoio) che manda all’aria l’ironia a seguire alludendo al “corvo”: «Viaggi sempre con
la bombetta in capo come se fossi un ministro». […] C’è poi qualche interferenza volon-
taria di mano esterna a stravolgere con evidenza la volontà dell’Autore come quel “pa-
cata” lentezza del capitolo VII. Sia il Manoscritto che il Dattiloscritto sono chiari: vi si
trova “pagata” lentezza; ma, di più, il testo ne dà giustificazione poche righe prima, dove
descrivendo i tipi di funerale (a tre preti o con l’intero capitolo) puntualizza «se la famiglia
li voleva e li pagava». Merita un cenno, inoltre, il grave errore, da chi scrive sottolineato
più volte, che trova rimedio nel suddetto lavoro filologico-critico; e cioè quella espres-
sione che sembrava una ripetizione ingiustificata e contraddittoria a chiusura dei “mes-
saggi” di Giggia e poi di Peppeddedda a Ignazia (Gonaria) nel capitolo XVIII: Quel che
deve avvenire, avviene senza rimedio, senza che Dio ci possa far nulla. L’indomani
avrebbe aperto la stanza, e si sarebbe compiuto il suo destino. I tre “messaggi” Ignazia
li riceve “prima” dell’apertura della stanza dello zio canonico Antonicco. E in particolare
l’episodio di Peppeddedda non può essere inserito – come avviene in tutte le edizioni
del romanzo – durante la fuga conseguente proprio alla tragedia vissuta dalla sventurata
dopo l’apertura di quella stanza. Quando Ignazia si trova nella cantoniera dove è stata
soccorsa, la stanza è già stata aperta e il suo destino si sta compiendo. Materialmente,
una banalità: un foglio volante nell’Agenda, inserito erroneamente nel punto sbagliato.
Per la narrazione, un inciampo pesante e lesivo del contenuto. Ancor più imbarazzante
se si tiene conto inoltre che le pagine della follia di Ignazia sono uno tra i più significativi
pilastri nell’economia concettuale del romanzo. In quella stanza Ignazia aveva riposto i
paramenti sacri dello zio canonico Antonicco, come si lasciano le ostie consacrate nel
tabernacolo di un altare. L’apertura della stanza le ha svelato l’orrore più sconvolgente
che le poteva capitare. Topi e ragnatele, solo polvere, brandelli e tanfo: ecco i resti del
suo dio. La tragica conseguenza ce la ricorda Nietzsche: la cancellazione dell’orizzonte;
e senza riferimento alcuno precipitiamo continuamente da tutte le parti, voliamo dentro
un nulla senza fine. Le pagine dei tre messaggi che Ignazia capta durante la notte tor-
mentosa di quella vigilia («l’indomani avrebbe aperto la stanza» del suo destino) sono tra
le più ispirate di tutto il romanzo. I messaggi le annunziano tutti la stessa fine: l’approdo
all’insensato e definitivo vuoto della vita e della morte. Prima la fine, sotto il tavolo di
una bettola, della vita inutile di maestro Ganga, «liberato finalmente dal vizio»; poi il
silenzio siderale all’urlo di aiuto di Giggia verso il cielo «privo di stelle e di Dio»; e ancora
il rifiuto alla insistente implorazione da parte della delirante Peppeddedda di una tazza
dell’acqua miracolosa di Obisti. Punti interrogativi carnali, domande radicali viventi
senza risposta: vite senza senso. E lo stesso avverrà per Ignazia, «senza che Dio ci possa
far nulla». Ma un altro messaggio, più profondo e sottile, insinua la voce narrante tra
quelle righe. L’invocazione di aiuto di Giggia e l’arsura struggente di Peppeddedda avreb-
bero dovuto richiamare Ignazia ai “resti” del Dio vivo, smarrito nell’idolatria di un dio
di pezza: «Se [all’urlo di Giggia] fosse scesa, avesse aperto la stanza chiusa da vent’anni,
vi avesse messo dentro quella sventurata…»; se avesse mandato alla implorante Peppe-
ddedda l’acqua miracolosa della modesta fonte di Obisti…, forse avrebbe potuto così
intercettare l’onda smarrita e ancora sintonizzarsi con Dio dentro se stessa… Satta lo
accenna come riflettesse tra sé, aprendo tra le ombre inquietanti uno squarcio d’azzurro:
l’urlo di Giggia e l’arsura di Peppeddedda non erano «altri che lei, con la sete che l’aveva

487
DINO MANCA

tuttavia ― ancorché faccia un significativo passo in avanti rispetto alle


precedenti edizioni ― non risolve ancora del tutto la questione del re-
stauro degli antroponimi originari14 e soprattutto, come già M, non pub-
blica alcun apparato genetico a giustificazione delle scelte fatte in sede di
costituzione del testo.15

La questione, come ben si comprende, per la sua complessità e spe-


cificità richiederebbe, per essere affrontata, un saggio a parte. In questo
contesto argomentativo ci limitiamo pertanto ad anticipare le linee guida
di quella che sarà una nuova edizione critica del romanzo attraverso la
proposta esemplificativa di restitutio textus dei primi due capitoli con appa-
rato diacronico. La pubblicazione, infatti, di una nuova edizione genetica
si presenterà quale risultato di un lavoro di ricerca, raccolta, descrizione e
comparazione delle fonti (manoscritte e a stampa), di ricostituzione del
testo nella sua integrale forma originaria (o comunque il più possibilmente
vicina alla volontà autorale), grazie alla scelta delle varianti d’autore, all’in-
dividuazione ed emendazione delle interpolazioni e delle innovazioni tra-
smesse dalla tradizione postuma, all’interpretazione e alla ricostruzione
congetturale, quando possibile, delle lezioni lacunose. L’edizione si carat-
terizzerà, perciò, non solo per lo studio, la descrizione dell’autografo e dei
dattiloscritti e la ricostruzione del dettato originale (non escludendo
quindi né antroponimi, né toponimi), ma ― come da prassi ― anche per
l’esplicitazione del percorso ecdotico che condurrà il filologo a tale resti-
tuzione. Il curatore informerà il lettore, infatti, del lavoro compiuto e del
metodo seguito durante l’approntamento dell’edizione, con l’allestimento
di apposite e ben determinate sezioni e/o unità di contenuto.
Al testo critico si aggiungerà, dunque, a piè di pagina un apparato filo-
logico diacronico, di tipo genetico, che registrerà il percorso correttorio
significativo superstite. In esso troveranno posto le varianti d’autore (e

divorata tutta la vita». Queste pagine ineffabili reclamavano da sé la loro correttezza se-
quenziale». Cfr. COLLU 2017, pp. 273-275.
14 «Il ‘travestimento’ è stato tuttora mantenuto per alcuni antroponimi ritenuti ancora

sotto tutela». Ivi, p. 273.


15 «Il presente lavoro di restauro e pulitura, tuttavia, non esibisce qui, non essendo la

sede appropriata, l’apparato implicito che lo permette e giustifica». Ivi, p. 275.

488
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

solo quelle), ordinate, nei successivi passaggi correttori, secondo un crite-


rio cronologico (dalla lezione originaria a quella finale).

Il testo sarà restituito secondo criteri conservativi e, dopo rigoroso e


sistematico lavoro di confronto tra lezioni omotètiche (di A, D1 e D2),
rispettando il più possibile l’ultima volontà dell’autore e prediligendo co-
munque la lezione dell’autografo ogniqualvolta una tale volontà non ri-
sultasse essere tràdita con inequivocabile chiarezza nei due dattiloscritti.
Se, ad esempio, D1 e D2 presentassero difformità di dettato rispetto all’au-
tografo di natura ed estensione tali da rendere inverosimile la possibilità
di una svista o dimenticanza autorale in sede di revisione o di correzione,
è ovvio che tali modifiche dovranno esser fatte risalire alla volontà dell'au-
tore.16 Più problematica sarà la presenza di varianti minori che possono
anche essersi insinuate nella copia dattiloscritta, a dispetto dell'autore,
nella meccanica ascolto↔trascrizione (o più probabilmente in quella let-
tura↔trascrizione), nel passaggio dall’originale alla sua copia, per una cattiva
lettura-ricezione del modello da parte della segretaria. Nell’incertezza in
tali casi si opterà per la lezione di A.
Pertanto, laddove non vi fosse il riscontro dell’innovazione, quando
minima, in entrambi i dattiloscritti (in ragione di un eventuale, ancorché
non indiscutibile, principio di maggioranza),17 o quando l’innovazione, ap-
portata a penna, in sede di dattiloscritto non fosse di mano autorale, l’edi-
tore, a parità (e/o equipollenza) di autorità stemmatica, preferirà restituire
sempre la lezione di A:

soffiando dall'alto nel lungo tubo18 di vetro entro il quale arde la fiamma.
Un altro lume più grande ardeva nella stanza da pranzo, questo con un piede

16 Sappiamo che i testi dattiloscritti sono stati, se non sistematicamente sorvegliati,

tuttavia riletti e comunque in minima parte corretti dall’autore. Cfr. BESSI-MARTELLI


1984, p. 83.
17 Anche perché D2 è un dattiloscritto lacunoso.
18 In A: nel lungo tubo. In D1: nel suo lungo tubo. In D2: lacuna. A testo: nel lungo

tubo.

489
DINO MANCA

di bronzo che accoglieva un vaso, simile a un'urna, ornato di trasparenti scene di


caccia, su uno sfondo lievemente azzurro. Un lume come quello varrebbe oggi19
chissà quanto:

In caso contrario, per la legge della maggioranza e perché sarebbe


meno probabile essere sfuggita per ben due volte all’autore, si promuo-
verà a testo la lezione presente in D1 e confermata da D2:

le “lòriche”20

Diverso e incontestabile sarà ovviamente il caso di quelle innovazioni


e/o correzioni direttamente introdotte a penna nel dattiloscritto dalla
mano autorale:21

1-2. che neppure i preti riuscivano a tradurre.]22 che •gli studenti (>nessuno
ri<) del ginnasio non riuscivano a tradurre. A che •neppure i preti (>gli studenti
del ginnasio non<) riuscivano a tradurre. D1 3. per arrivare si doveva salire]23
per arrivarci si saliva A per arrivare si /doveva/ salire (← saliva) D1

Saranno, inoltre, generalmente rispettati con alta fedeltà diplomatica i


capoversi, i paragrafi, le pause, gli specchi di scrittura e, in ragione di ciò,
riportate alla configurazione originaria tutte le innovazioni che hanno al-
terato la primitiva organizzazione spaziale del dettato, in alcune seriori
edizioni a stampa (C, Ad, IL). Saranno recuperate, inoltre, talune lezioni
che sono state oggetto di travisamento da parte dei curatori postumi e
conservate tutte quelle d’autore arbitrariamente modificate.

19 In A: varrebbe oggi. In D1: oggi varrebbe. In D2: lacuna. A testo: varrebbe oggi.
20 In A: “loriche”. In D1 D2: “lòriche”. A testo: “lóriche” (ovviamente con regolariz-
zazione secondo gli usi moderni del segno diacritico, nel rispetto della differenza
tra accento grave, ò, e accento acuto, ó, tra apertura e chiusura).
21 In A: cenci. In D1 (mano aut.): •panni (>cenci<). In D2: lacuna. A testo: panni.
22 In C, Ad, IL1, M, IL2: che neppure i preti riuscivano a tradurre. In Cs: che gli

studenti del ginnasio non riuscivano a tradurre. Promuoviamo a testo l’innovazione


tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu perché, in quanto di mano autorale, dello
scrittore ne attesta l’ultima volontà.
23 In C, Ad, IL1, M, IL2: per arrivare si doveva salire. In Cs: per arrivarci si saliva.

Promuoviamo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu per-
ché, in quanto di mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima volontà.

490
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Per una più chiara e completa restituzione della tradizione testuale e


una migliore leggibilità del percorso emendatorio ― vista la campagna
correttoria messa in essere da Satta in alcune fasi dell’elaborazione mano-
scritta e dattiloscritta e considerata la consistente presenza di difformità
nel passaggio dall’autografo alle stampe ― l’editore, già in questa proposta
esemplificativa di edizione critica dei primi due capitoli, farà uso di due
apparati, in entrambi i casi essenziali ed economici, entrambi allogati a piè
di pagina: l’apparato genetico, che accoglierà il processo correttorio esclusi-
vamente autorale, e a seguire, in un secondo blocco, l’apparato di note espli-
cative, che accoglierà sia le note di commento sia le interpolazioni e gli
interventi postumi dei curatori.24
Gli esponenti numerici presenti nel testo a margine rinvieranno alle
note dell’apparato diacronico, invece le note esplicative e di commento
faranno seguito al riferimento numerico che troverà corrispondenza e ri-
scontro, ad esponente, direttamente nel segmento testuale. Si terrà conto
dettagliato nell’introduzione e in parte nella nota al testo di fenomeni cor-
rettori ricorrenti (varianti prevalentemente grafiche e formali) che per ra-
gione di leggibilità e di spazio si eviterà di collocare a piè.25

Gli altri interventi riguarderanno l’emendazione di sviste, forme er-


ronee dovute alla distrazione e/o realizzate currenti calamo. Sbagli da noi
considerati non frutto di «volontà errante» ma semmai di «assenza di vo-
lontà» dell’autore. Si è emenderà, dunque e in altri termini, laddove si ri-
terrà che lo scrittore (per sua distrazione, o negligenza, o per accidente
fisico o condizione situazionale, oppure per cause comunque indipen-
denti dalla sua volontà) non abbia voluto scrivere quello che ha scritto. In
questo caso, dunque, la lezione sarà considerata emendabile. Quando sarà
possibile si interverrà con lezioni congetturali di restauro, soprattutto in

24 In Cs il curatore ha invece ritenuto più opportuno allogare in un unico indistinto

apparato, posto a piè di pagina, sia le varianti d’autore che gli interventi dei curatori
postumi
25 Gli argomenti trattati si trovano altresì in: MANCA 2018, pp. 163-213.

491
DINO MANCA

apparato, in qui luoghi del testo ad altri curatori apparsi illeggibili. Gli in-
terventi riguarderanno, infine, la regolarizzazione secondo gli usi moderni
dei segni diacritici e dei sintagmi di legamento.

L’apparato sarà positivo: verrà prima il riferimento numerico, la le-


zione accolta a testo (in tondo e in grassetto), a destra parentesi quadra
chiusa «]», seguiranno errori, lezioni rifiutate o lezioni varianti (in tondo):

2. non sono mille] non sono >[−]< mille 3. con] •con (>dell’a<) 7. miseri] •miseri
(>poveri<) 8-9. era quello] era |quello| (>quello<) 10. Di un paese] |Di un
paese| (>Di tutti, di<) ♦ Perciò] |Perciò| (>Non<) 13. si compensavano] si
compensavano >nella< 15. Nessuno…neanche] •Nessuno poteva sottrarsi a que-
sto destino, neanche (>Nessuno poteva sottrarsi a questo destino, neppure<) 17.
Diviso da] Diviso (← Divisi) da >due< 18-19. forse…un ponte] forse San Pie-
tro>, forse Séuna< aveva (← avevano) un'altra vita (← altre vite). >A< San Pietro
•gettava coi suoi patriarcali delitti un ponte (>il delitto era come un ponte gettato<)

♦ futuro:] futuro: (← futuro;) 20. e non si curava di essere.] •e non si curava di


essere. (>neppure<)

Le diversificazioni redazionali e gli interventi correttori, discussi


nell'apparato genetico in modo congetturale, saranno segnati nel modo
seguente:

>a< per delimitare la cassatura di una porzione di testo:

19. ancestrale fondata] ancestrale >come< fondata

16. giocattoli] giocattoli>,<

Quando la cassatura è accompagnata dalla soprascrittura (o sotto-


scrittura) di una variante, la lezione rifiutata, sempre tra uncinate capo-
volte, ed entro parentesi tonde (quadre quando è già dentro tonde) viene
fatta precedere dalla variante soprascritta (o sottoscritta) cui è premesso
un puntino (ad esponente se soprascritta, a deponente se sottoscritta):

8. deridevano] •deridevano (>disprezzavano<)

492
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Quando della lezione più antica è necessario indicare le varie succes-


sioni redazionali si farà ricorso alle lettere abc:

16. si spandevano] •si spandevano (>a‹ammuffivano› b•ostendevano<)

Quando, poi, la cassatura è accompagnata dalla variante di sostitu-


zione in linea, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate capovolte, ed
entro parentesi tonde – viene fatta precedere dalla variante in linea fra:

11-12. si guadagnavano il pane facendo gli strilloni.] |si guadagnavano il pane


facendo gli strilloni.| (>facevano gli strilloni<)

Analogamente, quando, infine, la cassatura è accompagnata dalla va-


riante di sostituzione a margine, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate
capovolte, ed entro parentesi tonde – viene fatta precedere dalla variante
marginale fra || ||:

||Corrales|| (>Porcheddos<) D1

Sono inoltre utilizzati i seguenti simboli e le seguenti convenzioni gra-


fiche:

← per indicare il passaggio da una prima (che si segnala tra parentesi tonde)
ad una seconda lezione ricalcata su quella interamente o parzialmente (che si farà
precedere) o comunque corretta in vari modi su quella; si è adoperata la stessa
tecnica quando la correzione ha interessato la sola punteggiatura:

11. scendevi] scendevi (← scendi)

[—] per indicare una lezione illeggibile:

11. sordo] •sordo (>[−]<)

‹abc› entro parentesi uncinate piccole si è segnalata l’integrazione congettu-


rale:
6. a Torino] a Torino >‹in centro›<

<+++> tre lettere indecifrabili dopo correzione su ricalco su altra o altre.

493
DINO MANCA

|a| per delimitare una inserzione in linea (anche di ordine interpuntivo):

1. lusinghe] lusinghe|.|

/b/ per delimitare una aggiunta nell’interlinea superiore:

20. mezzo pittore] /mezzo pittore/

|| b || per delimitare una inserzione marginale integrativa o sostitutiva:

9. sentire] ||sentire||

// cambio di pagina nel manoscritto (appare nel testo):

E infatti // nel cimitero

CONSPECTUS SIGLORUM E EDIZIONI DI RIFERIMENTO

A manoscritto autografo

D1 primo dattiloscritto

D2 secondo dattiloscritto

C S. SATTA, Il giorno del giudizio, Padova, Cedam, 1977

Ad S. SATTA, Il giorno del giudizio, Milano, Adelphi, 1979

M S. SATTA, Il giorno del giudizio, a c. di A. M. Morace, Nuoro, Il Maestrale, 1999

IL1 S. SATTA, Il giorno del giudizio, Nuoro, Ilisso, 1999

Cs S. SATTA, L’autografo de Il giorno del giudizio, ed. critica a c. di G. Marci, Centro di Studi
Filologici Sardi/Cuec, Cagliari, 2003

IL2 S. SATTA, Il giorno del giudizio, a c. di U. Collu, Nuoro, Ilisso, 1999

494
IL GIORNO DEL GIUDIZIO1

5 Don Salvatore Satta Carròni,2 alle nove in punto, come tutte le sere,
spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva let-
to fino all'ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si appre-
stò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo,
di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l'unica viva nella
10 grande casa, anche perché l'unica riscaldata da un vecchio caminetto.
Don Salvatore3 era nobile, se è vero che Carlo Quinto aveva distri-
buito titoli di piccola nobiltà agli autoctoni sardi che avevano innestato
gli olivastri nelle loro campagne (la grande nobiltà con tanto di predicato
era quasi tutta cagliaritana, ed era praticamente straniera all'isola): ma il
4
15 doppio cognome era solo un'apparenza, altro non essendo il Carroni
che il nome della madre, aggiunto al Satta,5 il vero e unico nome di fa-
miglia, un poco per l'usanza spagnola, un poco per la necessità di distin-
guere le persone, nella poca varietà dei nomi determinata dalla scarsa
popolazione. Ogni bifolco in Sardegna ha due cognomi, anche se poi,
20 sull'uno e sull'altro prevale di solito un soprannome, che, se la fortuna

aiuta, diventa il contrassegno temuto di una pastorale dinastia. Tipico

9. di studio per la] di studio />e di giochi</ per la

1 In alto sopra l’indicazione temporale a stampa dell’agenda («gennaio | — 1 | GIOVEDI - † Ot-


tava di Natale»), scritto da mano autorale con inchiostro blu e in parte sottolineato, si trova il
riferimento crono-topico relativo al verosimile inizio di composizione del romanzo con firma:
«Fregene – 25 (← 26) luglio 1970, ore 18 | S. Satta». Sotto l’indicazione temporale a stampa si
legge, vergato con inchiostro blu, sottolineato, il titolo: «Il giorno del giudizio». D1 e D2 non ri-
portano il titolo.
2 In A: Don Salvatore Satta Carròni. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano Sanna (>Salvatore

Satta<) Carboni (← Carroni). In: D2, M, IL2: Don Salvatore Satta Carroni. In C, Ad, IL1, Cs:
Don Sebastiano Sanna Carboni.
3 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


4 In A, D2, M, IL2: Carroni. In D1 (mano aliena): Carboni (← Carroni). In C, Ad, IL1, Cs: Car-

boni.
5 In A, D2, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): Sanna (← Satta). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.

495
DINO MANCA

esempio i [Porcheddos].6 Il tempo e la necessità han finito col dare una


certa legittimità //7 al doppio cognome, e infatti “Salvatore Satta Carro-
ni”8 circoscriveva in lettere tonde lo stemma sabaudo nel timbro ufficia-
le d'ottone, che Don Salvatore9 chiudeva ogni sera gelosamente in un
10 11
5 cassetto della scrivania. Poiché Don Salvatore era notajo; notaio nel
capoluogo di Nuoro.
Chi fosse poi questa Carroni12 che aveva lasciato il suo nome in un
timbro, nessuno avrebbe potuto dire. La madre di Don Salvatore13 do-
veva essere morta presto, e nulla è più eterno, a Nuoro, nulla più effime-
10 ro della morte. Quando muore qualcuno è come se muoia tutto il paese.
Dalla cattedrale − la chiesa di Santa Maria, alta sul colle − calano sui
7051 abitanti registrati nell'ultimo censimento i rintocchi che dànno14
notizia che uno di essi è passato: nove per gli uomini, sette per le donne,
più lenti per i notabili (non si sa se a giudizio del campanaro o a tariffa
15 dei preti: ma un povero che si fa fare su toccu pasau, il rintocco lento, è

poco men che uno scandalo). L'indomani, tutto il paese si snoda dietro

3. lo stemma sabaudo nel] /lo stemma sabaudo/ nel (← il) 4-5. in un cassetto del-
la scrivania.] |in un cassetto della| (>nella<) scrivania. 5-6. notaio nel capoluogo
di Nuoro.] /notaio/ nel •capoluogo (>borgo<) di Nuoro. 7. nome] nome (← [—])
9. a Nuoro, nulla] •a Nuoro, (>in Sardegna,<) >e< nulla 12. che] •che (>funebri<)

6 In A, D2: Porcheddos. In D1 (mano aliena): ||Corrales|| (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs,


M, IL2: Corrales. Cs va a capo.
7 Nel verso della prima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |2| VE-

NERDI – Ss. Nome di Gesù».


8 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore Satta Carroni. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano Sanna

Carboni (>Salvatore Satta Carroni<) Carboni (← Carroni). In C, Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano
Sanna Carboni.
9 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


10 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


11 In D1, D2, C, Ad, IL1, M, IL2: notaio.
12 In A, D2, M, IL2: Carroni. In D1 (mano aliena): Carboni (← Carroni). In C, Ad, IL1, Cs: Car-

boni.
13 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


14 In IL1: danno.

496
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

la bara, con15 un prete davanti, tre preti, l'intero capitolo (poiché Nuoro
è sede di un vescovo), il primo frettoloso e gratuito, gli altri con due, tre,
quattro soste prima del camposanto, quante uno ne chiede, e veramente
l'ala della morte posa sulle casette basse, sui rari e recenti palazzi. Poi,
5 quando l'ultima palata ha concluso la scena, il morto è morto sul serio, e
anche il ricordo scompare. Rimane la croce sulla fossa, ma quella è affar
suo. E infatti //16 nel cimitero, meglio nel camposanto dominato da una
rupe che sembra una parca, non c'è una cappella, un monumento. (Oggi
non è più così: da quando la morte ha cessato di esistere è tutto pieno di
10 tombe di famiglia: sa ’e Manca, quella di Manca, come si chiamava, cre-
17

do dal nome del proprietario anticamente espropriato, è diventata oltre


le costose muraglie, oltre gli assurdi colonnati, la continuazione della cit-
tà imborghesita). E così questa Carroni18 si era dissolta nel nulla, nono-
stante i cinque figli che aveva messo al mondo, e di lei non ricordavano
15 neppure il nome di battesimo, protesi com'erano ciascuno nell'avventura

della propria vita. Del resto, oltre questa faticosa avventura, erano vivi
essi stessi, sentivano come vive le persone che il destino aveva legato al
loro carro, mogli, figli, servi, parenti?
Don Salvatore19 afferrò il lume a petrolio, grande globo bianco su un
20
20 piede iridato, e s'inoltrò per il vano della scala. Il buio era immenso, e
col passo incerto un occhio tondo di luce vagava rapidissimo sul soffit-

4. rari] •rari (>pochi<) 5. il morto è morto] il morto è >‹veramente›< morto 9. co-


sì:] così: (← così;)  è tutto] •è tutto (>‹ognuno›<) 10. come si chiamava,] /come si
chiamava,/ 13. si era] |si era| (>‹era›<) 18. parenti?] |parenti?| (>‹parenti?›<) 20.
piede] |piede| (>‹fusto›<)

15 In A in questo luogo del testo si trova una semicirconferenza realizzata a matita da mano non
autorale e seriore contenente la lezione «con». Come già rilevato dall’editore di Cs, si suppone
trattarsi di un segno per memoria posto nel manoscritto da chi ha dattiloscritto il testo, corri-
spondente all’ultima parola della prima carta di D1.
16 Nel recto della seconda carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |3| SA-

BATO – s. Genoveffa vergine».


17 In D1: |’|e Manca:
18 In A, D2, M, IL2: Carroni. In D1 (mano aliena): Carboni (← Carroni). In C, Ad, IL1, Cs: Car-

boni.
19 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


20 In D1 l’accento è aggiunto a penna con inchiostro blu da mano altra e seriore.

497
DINO MANCA

to. Vent'anni prima egli aveva costruito quella casa, su un terreno com-
prato da certi miserabili napoletani che il vento aveva spinto fino a Nuo-
ro, e il vento aveva respinto chissà dove. L'impresa non era stata sempli-
ce, con sette figli maschi da gettare nel futuro, e partendo si può dire da
5 zero, in un mondo che di speranza non voleva assolutamente sentirne.
Ma essere notajo21 in un paese è un privilegio inestimabile, perché, come
si diceva, una procura fa bollire la pentola; e oltre quel ridicolo atto che è
la procura (3 lire e 5022 di onorari) c'erano i testamenti, c'erano le vendite
che già //23 cominciavano a farsi per iscritto, poiché la parola perdeva
24
10 valore, c'erano i contratti che quei signori del continente venivano a
stipulare per il taglio dei boschi e la devastazione dell'isola. Costoro era-
no gente meravigliosa, che trasformava in oro quei che toccava (qualcu-
no però finiva coi restare nell'isola, preso dalla sua demoniaca tristezza).
Non pareva vero ad essi, abituati a quei notai affaristi del continente, di
25
15 trovare un notajo che si qualificava romanticamente depositario della

fede pubblica, e procurava loro gli affari, trattava26 i prezzi coi proprieta-
ri, e tutto questo senza pretendere un soldo (anzi rifiutando ogni offerta)
oltre la tariffa dell'atto. Non importa: ciò che conta non è guadagnare
molto, è spendere poco, anzi non spendere affatto, se possibile, e possi-
20 bile era per via dei capretti, degli agnelli che la buona gente mandava in
regalo. Una volta, la prima e l'ultima volta, si era lasciato attrarre nel cir-
colo degli ufficiali (Nuoro era anche sede di una guarnigione), e si era
seduto a un tavolo da gioco. Dopo mezz'ora − inadatto com'era – aveva
perduto trenta lire. Aveva aspettato che la mano tornasse27 a lui (la digni-

3-4. era stata semplice] era /stata/ semplice 8. 50] 50 >‹cm›< 16. e procurava] e
[—] procurava  coi proprietari] /coi proprietari/ 18. oltre] |oltre| (>‹al d›<)

21 In A, Cs: notajo. D1, D2, C, Ad, IL1, M, IL2: notaio.


22 In D2: 50 cm.
23 Nel verso della seconda carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |4|

DOMENICA – s. Tito vescovo».


24 In D2: c'erano (← c’e-)
25 In A, Cs: notajo. D1, D2, C, Ad, IL1, M, IL2: notaio.
26 In A in questo luogo del testo si ripete il segno a matita di mano aliena precedentemente ri-

scontrato. Il segno corrisponde all’ultima parola dello specchio di scrittura della seconda carta di
D1.
27 In A, D2, Cs, M, IL2: tornasse. In D1, C, Ad, IL1: toccasse.

498
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

tà sopra tutto28) e allora si era alzato, resistendo a tutte le lusinghe. Tor-


nato a casa, per tre notti di séguito29 aveva fatto di suo pugno le copie
destinate all'amanuense, fino a compensare le trenta lire. Così, dicevano i
maligni, le aveva pagate l'amanuense. Ma che importa? Qualcuno deve
5 sempre pagare.
Se con un soldo si compra un mattone, la casa vien su da sé. Già,
30
// sarebbe troppo bello. Il fatto è che la casa di un notaio non può es-
sere come la casa di un contadino di Séuna,31 con la sua corte,32 il suo ru-
stico patio, la catasta della legna, le “lóriche”33 per il giogo, e in fondo la
10 cucina col focolare in mezzo alla stanza: questa si è fatta da sé attraverso
i secoli, come l'uccello si fa il suo nido. Don Salvatore34 ha bisogno di un
ingegnere, e l'ingegnere è là nella casa di fronte, la casa signorile forse
più vecchia di Nuoro, chiusa come un fortilizio, piena di donne e di
matti, con le finestre sempre chiuse, le porte che si aprono solo per se-
35 36
15 gnali convenuti. Don [Pietrino Nieddu], come tutti i [Nieddu], era

ricco e viveva in miseria: ma era stato a Roma, aveva studiato, ed era


tornato ingegnere, in un paese dove da cent'anni non si costruiva una
casa. Quel terreno dei miserabili napoletani, quel notaio intraprendente
si offrivano alla sua pigrizia ancestrale fondata sulla diffidenza di se stes-
20 so prima che degli altri (rispondeva sempre di no prima di sapere che

1. lusinghe] lusinghe|.|>‹dopo›< 9. le “loriche” per il giogo,] /le “loriche” per >il


[—]< il giogo,/ 14. con] |con| (>che<)  per] |per| (>‹per›<) 15. come] >‹pe›<
come  era ricco e] •era ricco e (>‹come tanti nuoresi›<) 19. ancestrale fondata]
ancestrale >‹come›< fondata

28 In IL1: soprattutto.
29 In A: sèguito. In D1, D2, C, Ad, Cs, IL1, M, IL2: seguito.
30 Nel recto della terza carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |5| LUNE-

DI – s. Amelia vergine».
31 In A, D1, Cs, M, IL2: Séuna. In D2, C, Ad, IL1: Sèuna.
32 In D2: corte. In C, Ad, IL1: corte.
33 In A, Cs: «loriche». In D1: “lòriche” (← “loriche”). In D2: lòriche. In C, Ad, IL1: lòriche. In M:

“lóriche”. In IL2: “lòriche”.


34 In A, D2, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C,

Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.


35 In A, D2: Pietrino Nieddu. In D1 (mano aliena): •Gabriele Mannu (>Pietrino Nieddu<). In C,

Ad, IL1, Cs: Gabriele Mannu. In M, IL2: Pietrino Mannu.


36 In A, D2: Nieddu. In D1 (mano aliena): •Mannu (>Nieddu<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: Man-

nu.

499
DINO MANCA

cosa si volesse da lui) come un banco di prova e una sfida. E così stese
disegni su disegni, calcoli su calcoli. Tutto bene, ma egli aveva in mente i
palazzi di Roma, le scalee dove gli antichi salivano a cavallo (aveva letto),
e così invece di una casa fece una scala, un vano immenso nel quale a
5 ogni piano si aprivano dei buchi che erano stanze, una dentro l'altra, de-
stinando al sacrificio e alla insofferenza la crescente famiglia. Vero è che
la gente stupiva, guardando di là dalla soglia, di quell'atrio inutile e im-
menso, e comincia//va37 a favoleggiare di chissà quali ricchezze, anche
se il capomastro andava dicendo che senza il suo provvidenziale inter-
38
10 vento Don Salvatore sarebbe dovuto entrare carponi nel suo palazzo,
tanto bassa era stata concepita dall'ingegnere l'architrave che reggeva la
porta.
Per questo, la discesa serale dallo studio al piano terreno era quasi un
viaggio, e per questo l'occhio tondo del lume a petrolio vagava su e giù
15 per le volte, al vacillare del passo. Ma finalmente si odono le risa, gli

strilli, le liti, e Don Salvatore39 può spegnere il lume, soffiando dall'alto


nel lungo tubo40 di vetro entro il quale arde la fiamma.
Un altro lume più grande ardeva nella stanza da pranzo, questo con
un piede di bronzo che accoglieva un vaso, simile a un'urna, ornato di
20 trasparenti scene di caccia, su uno sfondo lievemente azzurro. Un lume
come quello varrebbe oggi41 chissà quanto: ma i Satta,42 nel loro male-
detto istinto di dissoluzione, non hanno lasciato la più piccola traccia del
loro passato. La morte è eterna ed effimera in Sardegna non solo per gli

2. in mente] |in mente| (>‹visto›<) 3. le scalee] le >‹immense›< scalee 9. andava


dicendo] /andava/ dicendo (← diceva) 10. nel] nel (← nella) 11. dall'ingegnere] ||
dall'ingegnere|| 14. l'occhio] l'(← il) occhio 15. odono] odono (← ode)

37 Nel verso della terza carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |6| MAR-
TEDI – † Epifania di N. S.».
38 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano. In A la lezione segnata a matita da mano non autorale e seriore in cor-
rispondenza della sua sillaba finale (Salvato[re) corrisponde all’ultima parola della carta numerata
3 di D1.
39 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


40 In A, Cs: nel lungo tubo. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: nel suo lungo tubo.
41 In A, Cs, M, IL2: varrebbe oggi. In D1, C, Ad, IL1: oggi varrebbe.
42 In A, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): •Sanna (>Satta<). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.

500
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

uomini ma anche per le cose. Ardeva, quel lume, su un grande tavolo


ovale, che occupava quasi tutta la stanza (la credenza di mogano coi
piatti buoni esposti di sopra, e in un angolo la scodella coi soldoni di
rame e le lire d'argento della spesa domestica; di sotto le grandi ostie del
5 pane in enormi pile, che ogni quindici giorni si rinnovavano, era inca-
strata nel muro divisorio dall'attigua cucina); ma la luce che illuminava i
visi dei sette ragazzi, l'ultimo //43 poco più che decenne, non veniva da
quel lume, ma dalle elci ardenti del caminetto, dall'unica fonte di calore
di tutta la casa. Donna Antonietta,44 moglie e madre, stava in un angolo,
45 46
10 avvolta nei suoi panni neri, come si conveniva ai suoi cinquant'anni,
esausta, ingrossata dalle maternità, il capo sempre chino sul petto. Cia-
scuno di quei figli era ancora come dentro le sue viscere, e nel suo silen-
zio ascoltava le loro voci come i moti segreti e misteriosi di quando era-
no nel suo seno. Essi erano la sua vita, non la sua speranza. Perché
47
15 Donna Antonietta era una donna senza speranza.

L'entrata di un padre nella stanza dei figli spegne in un mormorio le


loro grida e le loro risate, specie quando i figli sono molti, e il padre deve
mantenerli e allevarli col suo lavoro, che glieli rende presenti e scono-
sciuti. Il pasto della sera era finito da un pezzo, se pur era mai comincia-
20 to, perché ciascuno mangia quel che vuole o quel che trova, e all'ora che
crede, o si formano tanti piccoli gruppi familiari, tante amicizie interne,

2. di mogano] /di mogano/ 4. domestica] •domestica (>quotidiana<)  ostie] •ostie


(>pile<) 7. poco più che decenne] •poco più che decenne (>quasi [−] nella [−]<) 11.
capo sempre] •capo sempre (>[−]<) 12. ancora] •ancora (>[−]<)

43 Nel recto della quarta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |7| MER-
COLEDI – s. Luciano martire».
44 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


45 In A, Cs, IL2: cenci. In D1 (mano autorale): •panni (>cenci<). In C, Ad, IL1, M: panni.
46 In A, Cs: convenivano. In D1 (mano autorale): conveniva (← convenivano). In C, Ad, IL1, M,

IL2: conveniva.
47 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.

501
DINO MANCA

che procedono per proprio conto.48 Donna Antonietta49 si scaldava alle


cinque una tazza di latte, quando ancora non c'era nessuno,50 e vi im-
mergeva mezza ostia di pane. Don Salvatore51 da cinque52 anni non ce-
nava affatto, e anzi da questa decisione era cominciata la dissoluzione
5 del pasto serale. Da qualche tempo sentiva, nel colmo del lavoro, dei ca-
pogiri, e le cure del dott. Ganga,53 il medico di famiglia, alcoolizzato co-
me la metà dei nuoresi, ma intelligente, non avevano servito a nulla. Al-
lora un bel giorno era partito, niente //54 di meno che per Sassari, 120
Km.55 di distanza, senza dir nulla a nessuno, ed era rimasto via due gior-
10 ni, gettando tutti nella disperazione. Finalmente era tornato, e come sa-
luto aveva detto che non avrebbe cenato più. Consiglio del clinico. Le
strida di Donna Antonietta56 salirono al cielo, ma non sfiorarono neppu-
re il cuore di Don Salvatore.57 Cessarono i capogiri e cessarono le cene, e
fu da allora che egli prese a trascorrere l'ora del pasto serale nello studio
58
15 dove lo abbiamo trovato. Il vuoto intorno a Donna Antonietta si fece

più ampio. Così anche quella sera si avviò al caminetto, e passando mise

11. non] •non (>, per ‹cen›<) 12. sfiorarono] sfiorarono (← st)

48 In A, Cs: proprio conto. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: conto proprio. Anche in questo caso si
conserva la lezione di A contro quella di D1 anche perché l’istituto dell’inversione ricorre in altri
luoghi del testo dattiloscritto (cfr. nota 39) nella forma e con gli esiti della lectio facilior, ossia della
banalizzazione della lezione dell’autografo, quindi verosimilmente risultato del lavoro di norma-
lizzazione e semplificazione linguistica inconsapevolmente fatto dalla segretaria durante gli atti di
lettura-memorizzazione-trascrizione della pericope.
49 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


50 In D1: nessuno|,|
51 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


52 In A la lezione cinque subito dopo segnata a matita da mano non autorale ( [ ) corrisponde

all’ultima parola della carta numerata 4 di D1.


53 In A, D1, C, Cs, M, IL2: dott. Ganga. In Ad, IL1: dottor Ganga.
54 Nel verso della quarta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |8| GIO-

VEDI – s. Massimo martire».


55 In A, D1, Cs: Km. In C, Ad, IL1 M, IL2: km.
56 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


57 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


58 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.

502
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

due dita gelate tra la camicia e il collo d'uno dei figli.


Era un gesto atteso, che faceva sussultare i figli più piccoli, e irritava
ormai i più grandi. Ed era certo uno scherzo, ma nel fondo si sentiva il
compiacimento di mettere in mostra il suo sacrificio, o almeno la sua
5 virtù, di ricordare il freddo che egli soffriva mentre gli altri se ne stavano
al caldo (e per merito suo). ― Basterebbe che ti facessi portare un bra-
ciere ―59 diceva dal suo silenzio Donna Antonietta;60 ed era una cosa
ovvia, ma che appunto per questo non andava detta. Si sedeva allora an-
ch'egli al tavolo, con le spalle rivolte al caminetto, che dorava la sua testa
10 calva, e cominciava a parlare.
Parlava di solito delle cose che aveva letto sul giornale. Non di cose
politiche, s'intende.61 La politica, a quei tempi, per le persone del suo ce-
to, che erano nate per lavorare, per raccogliere il frutto prezioso e costo-
so del lavoro borghese, letteralmente //62 non esisteva. La politica era il
15 governo in carica, quelle lontanissime favolose persone che si chiamava-

no ministri, e che per il solo fatto di essere ministri avevano tali meriti
che si sottraevano a ogni giudizio. Del resto, chi faceva politica a Nuo-
ro? Quei quattro, cinque avvocati che si presentavano eternamente can-
didati, ciascuno con la sua scheda personale,63 il nome e cognome sor-

1. dei figli.] dei figli <+>. 2. e] •e (>[−]<) 4. di mettere] di |mettere|(>chi<)  o


almeno] |o almeno| (>di<) 7. Donna] Donna (← donna) 13-14. e costoso] /e co-
stoso/ 19. ciascuno] •ciascuno (>•nel collegio (›‹ciascuno›‹) uninominale<)

59 In A, Cs: ― Basterebbe che ti facessi portare un braciere,. In D1, C, M, IL2: ― Basterebbe che
ti facessi portare un braciere ―. In Ad, IL1: «Basterebbe che ti facessi portare un braciere». In
questo caso, relativo al restauro del sintagma di legamento, in deroga al modus restituendi, confer-
miamo la lezione del dattiloscritto, come già C, M, IL2.
60 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


61 In A, Cs: politiche, s'intende. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: politiche s'intende. Conserviamo la

lezione di A, anche perché la pausa interpuntiva ne rafforza il senso, altrimenti ambiguo.


62 Nel recto della quinta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |9| VE-

NERDI – s. Giuliano martire».


63 In D1: personale|,|

503
DINO MANCA

montato da un simbolo per gli analfabeti (l'avv. Pinna64 aveva un aratro,


l'avv. Cardia65 un quadrifoglio che non riusciva a portargli fortuna), non
facevano propriamente politica, aspiravano a parlare in un'aula più am-
pia di quella del tribunale, a essere, magari!, uno di quei ministri. Solo i
5 preti ― lo si percepiva oscuramente, e come riflesso di un'ondata lon-
66 67

tana ― portavano un candidato che non era avvocato, né tra gli avvocati
lo avrebbero trovato, ma non riuscivano mai a farlo eleggere. Uomini
come Don Salvatore68 non solo non si mischiavano con la politica, ma
non votavano neppure, perché gli uomini del suo ceto avevano il dovere
69 70
10 di non votare. Come notajo Don Salvatore raccoglieva i nomi, quat-
trocento, cinquecento, dei proponenti, e la scala dello studio era in quei
giorni una processione, e ci rimetteva anche la carta bollata, perché im-
parzialmente non si faceva pagare da nessuno. Donna Antonietta71 dice-
va che sarebbe stato ugualmente imparziale se si fosse fatto pagare da
72
15 tutti, e anche questo era ovvio, ma perché ovvio non andava detto. //

Ma c'era, in questa assenza, qualche cosa di più profondo, di più gra-


vido di destino. Don Salvatore73 era nuorese, e avrebbe avuto un albero

3. aspiravano] >ma< aspiravano  un'aula] un'•aula (>‹aula›<) 5. e come] /e/ come


7. non riuscivano mai a farlo eleggere.] •non riuscivano mai a farlo eleggere. (>‹ve-
niva regolarmente trombato›.<) 15. non] •non (>[−]<)

64 In A, M, IL2: l’avv. Pinna. In D1 (mano aliena): l’avv. •Manca (>Pinna<). In C, Cs: l’avv. Man-
ca. In Ad, IL1: l’avvocato Manca.
65 In A, M, IL2: l’avv. Cardia. In D1 (mano aliena): l’avv. •Corda (>Cardia<). In C, Cs: l’avv.

Corda. In Ad, IL1: l’avvocato Corda.


66 In A la lezione percepiva segnata al suo interno a matita da mano non autorale (perce[piva) corri-

sponde all’ultima parola della carta numerata 5 di D1.


67 In A, Cs: e come riflesso. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: e come il riflesso. Probabile integrazione

esplicativa e antiletteraria della segretaria. Nel dubbio conserviamo la lezione di A.


68 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


69 In A, Cs: notajo. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: notaio.
70 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


71 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In C,

Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


72 Nel verso della quinta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |10| SA-

BATO – s. Aldo eremita».


73 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.

504
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

genealogico, tutto di nuoresi, se avesse potuto concepire il passato.


Quelli che facevano politica, i candidati,74 erano tutti dei paesi: di Oru-
ne,75 di Gavoi, di Olzai, di Orotelli, persino di Ovodda, quei minuscoli
centri (biddas,76 ville) lontani quanto le stelle l'uno dall'altro, che guarda-
5 vano a Nuoro come alla capitale; paesi di pastori, di contadini, di gente
occupata a contare le ore della giornata, ma i cui figli avevano scoperto
l'alfabeto, questo mezzo prodigioso di conquista, se non altro di reden-
zione dalla terra arida, avara. Gli zii, come si chiamavano questi rustici
anziani, dalle grandi barbe, entravano a Nuoro avvolti nei costumi nuo-
10 vi, come in un salotto, e vi andavano per testimoniare o per parlare con
l'avvocato o col notajo77 (quando non vi erano condotti ammanettati),
una,78 due volte all'anno, traendosi appresso i figli. Questi, vestiti da civi-
li, ridicoli ai loro stessi occhi, vergognosi a poco a poco dei padri, di
fronte a quei signori non meno sfaccendati ma che sedevano ai tavolini
15 del caffè come esercitando un loro diritto di casta, vedevano le immense

vetrine nelle quali si spandevano dolciumi o giocattoli o libri, si espone-


vano manichini senza testa vestiti di abiti fatti, tutti corrosi magari o
ammuffiti, ma che erano il segno di una cosa mai vista e neppure imma-
ginata, la ricchezza del danaro, tanto diversa da quella delle pecore e del-

1. se avesse potuto concepire] se >non< avesse •potuto concepire (>‹aborrito il›<)


2. Quelli] •Quelli (>‹I borghesi›<)  paesi:] paesi: (← paesi ‹vicini›) 6. i cui] |i cui|
(>‹che›<) 12. traendosi] •traendosi (>[−] ‹conducendosi›<) 13. vergognosi a] vergo-
gnosi a (← e) 16. si spandevano] •si spandevano (>a‹ammuffivano› b•ostendevano<)
 giocattoli] giocattoli>,< 17. corrosi] •corrosi (>[−]<) 19. del danaro] •del danaro
(>‹borghese›<)

74 In D1: candidati|,|
75 In D1 il toponimo Orune risulta essere aggiunto a penna da mano aliena (in linea dopo paesi: di)
in uno spazio lasciato bianco nel corso della dattiloscrittura, verosimilmente perché chi aveva
esemplato il testo, non avendo in un primo tempo decodificato la lezione autorale, in quel luogo
ne aveva lasciato in sospeso la stesura, in attesa di una verifica seriore probabilmente avvenuta
con lo stesso autore.
76 In A, D1, C, Cs, M: biddas. In Ad, IL1, IL2: biddas. Uniformiamo e regolarizziamo restituendo

in corsivo tutte le lezioni in lingua sarda.


77 In A, Cs: notajo. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: notaio.
78 In D1: •una (>ma<). Da una verosimile prima cattiva lettura dell’autografo (ma per una).

505
DINO MANCA

le capre. Quell'avvocato //79 e quel notaio di Nuoro, che parlavano coi


loro padri un sardo più raffinato del loro olzaese o orunese, o gavoino,80
erano uomini che sapevano, anche se essi non capivano quel che diceva-
no, e sapevano perché erano nuoresi. Si formava così nella loro mente l'i-
5 dea che bisognava diventare nuoresi per essere qualcuno, e quest'idea li
spingeva a studiare, ad andare al ginnasio, al liceo e a correre anche81 la
grande avventura dell'università, se possibile con l'aiuto del Collegio del-
le Province, che era tutto quel che restava del Regno di Sardegna, altri-
menti barattando il campicello paterno. Ma anche a Torino, o a Sassari,
10 o a Roma la meta era sempre Nuoro, la meta o il campo di battaglia, non
importa. Irrompevano infine nella città murata, come il sangue plebeo
nelle vene di un nobile fatiscente: intelligenti, astuti, sprezzati ma non
sprezzanti, avevano sui nuoresi un solo ma grande vantaggio, sapevano
quel che volevano. Certo, nuoresi non potevano diventare, se non altro
82
15 per via della lingua, che dopo venti, trent’anni conservava ancora le

tracce del paese d'origine: ma l'asse del lavoro si spostava sempre più
verso questi estranei (tra l'altro, si portavano appresso la litigiosa cliente-
la dei loro paesi) e chi lavora ha sempre ragione su chi insegue83 le sue
chimere, e intanto non lavora. Aveva voglia Francesco Congiu Pes,84
85
20 detto Congiu poltrone, un mezzo pittore morto di fame, che nessuno

5. diventare] |diventare|(>essere n<) 10-11. non importa.] •non importa. (>‹era tut-
to lo stesso›<) 16. ma l'asse del lavoro] ma >c’era •un (>[−]<) varco nascosto nella
tetra muraglia delle case civili di Nuoro, ed erano le donne< l'asse del lavoro 17-18.
clientela] •clientela (>[−]<) 20. mezzo pittore] /mezzo pittore/

79 Nel recto della sesta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |11| DO-
MENICA – La Sacra Famiglia».
80 In D1 la lezione gavoino è stata aggiunta a penna da mano aliena in uno spazio lasciato bianco

nel corso della dattiloscrittura, come già accaduto per il toponimo Orune (cfr. nota 69).
81 In A la lezione anche segnata a matita da mano non autorale dopo la prima sillaba (an[che) corri-

sponde all’ultima parola della carta numerata 6 di D1.


82 In A, Cs: trent’anni. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: trenta anni.
83 In D1: insegue (← insegna). Da una verosimile prima cattiva lettura dell’autografo (insegna per

insegue).
84 In A, D1, M, IL2: Francesco Congiu Pes. In C, Ad, IL1, Cs: Francesco Cossu Boi.
85 In A, D1, M, IL2: Congiu. In C, Ad, IL1, Cs: Cossu.

506
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

ha saputo mai come vivesse, di rispondere a chi //86 gli offriva qualche
lavoro: “I Pes87 non hanno mai lavorato”. Ma poi questi furbi, timorosi
di fronte ai nuoresi, anche ai più miseri, sapevano come si faceva a di-
ventarlo. Nelle lisce muraglie di quelle88 antiche corrose case civili,89 c'era
5 un varco invisibile, ma sicuro, ed erano le donne. Ne erano tutte piene,
perché pareva che i nuoresi, quelli degni, avessero la vocazione del celi-
bato,90 in realtà il matrimonio diventa impossibile a chi non riconosce la
semplicità della vita. Così deridevano quelle donne ricche e pallide che
sognavano e intristivano nella clausura, e apparivano qualche volta die-
91
10 tro i vetri come fantasmi, o uscivano per andare alla messa. Gli estranei
sapevano il valore, a parte anche l'eredità, di quelle donne, e d'altronde
non si presentavano soltanto come cacciatori di dote, ma mettevano sul-
la bilancia la spada di Brenno della loro operosità. Le zitelle erano ben
felici di lasciare nei lugubri palazzi il loro titolo di “donna” per abitare le
15 case linde e di cattivo gusto della nuova gente, che già cominciavano a

sorgere nella periferia. E Don Peppino, don Pietrino, don Franceschi-


no92 che cosa potevano fare se non aprire la porta ai richiedenti, magari
per subito richiuderla? La vita era in mano loro. Certo nessuno di loro
avrebbe potuto trattare una causa come la trattava un avvocato di Nuo-
20 ro: ma grazie, questi ci mettevano vent'anni (ci dovevano mettere venti
anni,93 perché le cause sono una cosa seria) là dove quelli con quattro

2. timorosi] •timorosi (>‹superbi›<) 4. civili] .civili (>adi ‹nobili› b•ricche<) 8. deride-


vano] •deridevano (>disprezzavano<) 14. nei lugubri] nei >‹loro›< lugubri

86 Nel verso della sesta carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |12| LU-
NEDI – s. Modesto martire».
87 In A, D1, M, IL2: Pes. In C, Ad, IL1, Cs: Boi.
88 In D1: quella.
89 In D1: civili (← civile).
90 In A, D1, Cs, M: celibato,. In C, Ad, IL1, IL2: celibato;.
91 In A, D1, Cs, M, IL2: messa. In C, Ad, IL1: Messa.
92 In A: Don Peppino, don Pietrino, don Franceschino. In D1: Don •Serafino (>Peppino<), Don
•Gabriele (>Pietrino<), don •Pasqualino (>Franceschino<). In C, Ad, IL1: Don Serafino, Don

Gabriele, Don Pasqualino. In Cs: Don Serafino, don Gabriele, don Pasqualino. In M, IL2: Don
Peppino, Don Pietrino, Don Franceschino.
93 In A, Cs: venti anni. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: vent’anni.

507
DINO MANCA

sciabolate aggiustavano tutto. //94


Nuoro era, per i nuoresi,95 una di quelle grandi e tristi donne, e solo
un estraneo96 poteva intuire la somma di potere che in essa si nasconde-
va, cioè che cosa volesse dire averne in mano l'amministrazione. Don
97
5 Salvatore, in fondo, e quelli che come lui operavano per l'edificazione
di una casa e di una famiglia non potevano capire la cosa pubblica, per la
semplice ragione che si98 identificavano con essa: e anche i poveri, anche
la grande massa di quelli che avevano scelto l'ozio come la loro occupa-
zione, non avrebbero potuto sentire diversamente. Certo, 7051 persone
10 avevano comuni bisogni a cui qualcuno doveva provvedere. Ma in defi-
nitiva, di che cosa si trattava? Dell'acquedotto con quel po' po' di spesa
che comporta (per non dire delle acque che vengono sottratte alla cam-
pagna) non era il caso di parlare. Non bastavano quelle mirabili99 fonti
alla periferia del paese, Obisti, Istiritta, dalle acque freschissime che nel
15 crepuscolo le serve (sas teraccas) portavano a casa nelle anfore posate lievi

sulla testa, appena protetta da un cércine?100 Ancora oggi, che ci sono


tanti acquedotti, i veri nuoresi disdegnano quell'acqua che passa nei tubi,
e mandano a prendere l'acqua antica sul monte. L'illuminazione? Certo,
con la vita che cambia, non si poteva continuare a procedere per le stra-

3-4. nascondeva] •nascondeva (>‹accentrava›<) 8. di quelli] •di quelli (← quei) (>‹adi


[−] b•di quei nuoresi›<) 9. avrebbero potuto sentire] •avrebbero potuto (>poteva-
no<) ||sentire|| 11. Dell'acquedotto con quel] Dell'acquedotto con quel (←
Nell’acquedotto non c’era<) 13. Non bastavano] •Non bastavano (>‹Nessuno›<) 14.
che nel] che >l< nel 15. lievi] •lievi (← ‹lievemente›) (>[−]<) 18. l'acqua] l'acqua
(← l’‹aq›)

94 Nel recto della settima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |13|
MARTEDI – s. Leonzio vescovo».
95 In A, Cs, M, IL2: Nuoro era, per i nuoresi. In D1, C, Ad, IL1: Nuoro era per i nuoresi.
96 In A la lezione estraneo segnata a matita da mano non autorale (estra[neo) corrisponde all’ultima

parola della carta numerata 7 di D1.


97 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


98 In D1: /si/.
99 In A, Cs, M, IL2: mirabili. In D1, C, Ad, IL1: miserabili. L’analisi dell’eziologia dell’errore ci

riporta al dattiloscritto e al rapporto lettura (A)-trascrizione (D1). Una cattiva lettura dell’autografo
da parte della segretaria, infatti, ha generato un’immagine visiva e concettuale erronea (e fuori
contesto linguistico) della lezione riportata su D1.
100 In A, Cs, M, IL2: cércine. In D1, C, Ad, IL1: cercine.

508
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

de coi tizzoni accesi, quando si usciva di notte (e si usciva solo quando


c'era bisogno). E infatti Don Pietro,101 il fratello di Don Salvatore,102
quando era stato sindaco, se n'era occupato.103 Era rimasta anzi memo-
rabile //104 la seduta perché il consiglio voleva limitare l'illuminazione a
105
5 petrolio alle sole notti in cui non c'era la luna. Ma Don Pietro aveva
chiuso la bocca a tutti osservando: ― e che cosa ne sappiamo noi se in
106

quelle notti non ci siano107 le nuvole? ―108 Ancora se ne vantava. Gli ab-
beveratoi ai tre ingressi del paese c'erano sempre stati, e gli stessi conta-
dini, che arrivavano coi gioghi assetati per le lunghe salite, provvedevano
109
10 a pulirli, liberandoli dal muschio e dal lichene. Insomma, tutto era a
110
posto, e ciascuno era a suo posto, nel bene comune. Ma gli estranei
avevano capito, proprio perché erano estranei, e avevano tirato fuori le
donne dai loro sepolcri, che l'amministrazione di Nuoro non era in que-
ste piccole cose, ma in ben altro: nel potere che si acquistava. Essere
111
15 sindaco significava anzi tutto vedersi i nuoresi, e Don Salvatore,112
Don Pietrino,113 Don Franceschino,114 venire avanti col cappello in ma-
no a chiedere qualche cosa, e antivedendo il futuro, gli estranei sapevano
che essi avrebbero avuto sempre più bisogno di qualcosa dall'ammini-

101 In A, M, IL2: Don Pietro. In D1 (mano aliena): Don •Priamo (>Pietro<). In C, Ad, IL1, Cs:
Don Priamo.
102 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


103 Pietro Satta fu sindaco di Nuoro dal 1900 al 1901.
104 Nel verso della settima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |14|

MERCOLEDI – s. Ilario vescovo».


105 In A, M, IL2: Don Pietro. In D1 (mano aliena): Don •Priamo (>Pietro<). In C, Ad, IL1, Cs:

Don Priamo.
106 In IL1: E.
107 In A, Cs, IL2: siano. In D1, C, Ad, IL1, M: sono.
108 In A, Cs: le nuvole? Ancora. In deroga al modus restituendi, confermiamo la lezione del dattilo-

scritto, che inserisce il trattino alla fine del discorso diretto.


109 In D1, C, Ad, IL1: Insomma tutto.
110 In A, D1, Cs: a suo posto. In C, Ad, IL1, M, IL2: al suo posto.
111 In A, Cs: anzi tutto. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: anzitutto.
112 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


113 In A: Don Pietro. In D1 (mano autorale): Don Pietrino (← Pietro). In D1 (mano aliena): Don
•Gabriele (>Pietrino<). In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele. In M, IL2: Don Pietrino.
114 In A, M, IL2: Don Franceschino. In D1 (mano aliena): Don •Pasqualino (>Franceschino<).

In C, Ad, IL1, Cs: Don Pasqualino.

509
DINO MANCA

strazione. Significava concedere questo qualcosa: ed era tanto più impor-


tante, perché il potere, contro le apparenze, si manifesta più col dare che
col togliere. Poi c'era un'altra cosa che i nuoresi non avevano115 avverti-
to: che la città o borgo che fosse non erano soltanto loro, ma erano la
5 gente venuta di fuori, dal remotissimo continente, il sottoprefetto, il
comandante della guarnigione, il capitano dei carabinieri, il presidente
del //116 tribunale,117 impiegati, va bene, ma attraverso loro Nuoro non
era più o non era soltanto Sardegna, era un frammento dell'Italia, comu-
nicava con l'Italia, e gli orizzonti si facevano più vasti. La conquista
10 dell'amministrazione era anche la strada aperta alla politica, a Roma, a
Roma. In breve, i nuoresi si trovarono118 amministrati, rappresentati da-
gli estranei, e in fondo non se ne dolsero. Era un fastidio di meno.
Don Salvatore119 non parlava di politica, ma riferiva del Re che per il suo
compleanno aveva ospitato cento bambini poveri al Quirinale, e il pran-
120
15 zo era stato servito dalla Regina e dalle principesse. Don Salvatore

non era monarchico se non in quanto c'era il re,121 né pensava neppure


che potesse non esserci: ma che il Re, in nome del quale redigeva gli atti
sulla carta bollata (e non gli veniva in mente che il bollo fosse una tassa
o un'imposta; era ciò che dava valore alla sua professione) si umiliasse ai
20 poveri in questo modo lo commoveva profondamente, come lo com-
moveva il racconto di quel ministro che era stato in visita al suo collegio,
gli avevano preparato un gran pranzo, e aveva trovato che avevano di-

1. Significava concedere questo qualcosa:] Significava>, ed era tanto più importan-


te< concedere |questo qualcosa:|(>qualcosa,<) 9-10. La conquista dell'ammini-
strazione] La conquista dell'amministrazione (← Conquistata l’amministrazione)
><+><

115 In A la lezione avevano segnata a matita da mano non autorale (avevano[) corrisponde all’ultima
parola della carta numerata 8 di D1.
116 Nel recto dell’ottava carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |15| GIO-

VEDI – s. Mauro abate».


117 In A, Cs: tribunale,. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: tribunale;.
118 In D1: trovarono (← trovavano).
119 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


120 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


121 In IL1, IL2: Re.

510
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

sposto una tavola a parte per lui e per il suo seguito, ma non aveva volu-
to sedersi fino a quando tutti i tavoli non fossero stati riuniti. La sua pa-
rola si spegneva122 leggermente nella gola, ma non era sentimento: era
che queste cose davano pregio alla vita, in cui credeva perché viveva; co-
123
5 sì // dava pregio la notizia che a Milano un medico aveva iniettato su
un suo figliolo un siero contro non so quale malattia, o che a Torino un
deputato aveva costretto una guardia a infliggergli una multa per un fallo
che aveva commesso, o che era stata ottenuta per via di incroci una
nuova razza di pecore che dava cento litri di latte per capo (le pecore
124
10 sarde arrivavano a venti, nelle buone annate), o che una nave era af-
fondata nell'Atlantico, e il comandante aveva rifiutato di scendere nella
scialuppa, neppure per ultimo. Non tutti ascoltavano questi discorsi, ma
Don Salvatore125 parlava in fondo solo per se stesso, ripeteva quel che
aveva letto126 senza dubitare un momento che potessero essere panzane.
15 Il giornale non era come oggi un'impresa commerciale, era (anche il

Giornale d'Italia,127 non che il Corriere della Sera,128 che non pubblicava mai
una fotografia, ma in Sardegna non arrivava) un residuo di enciclopedia,
una fonte di sapere, l'unica129 fonte in un piccolo paese, ed era impossi-
bile non credere a quel che diceva. Perché altrimenti l'avrebbero detto?
20 Vi era nel fondo come un prolungamento del secolo dei lumi, in Don

3. spegneva] •spegneva (>s‹tro›zzava<) 6. a Torino] a Torino >‹in centro›< 8-9. era


stata ottenuta per via di incroci una nuova razza di pecore che dava] era stata
•ottenuta per via di incroci una nuova razza di pecore che dava (>vista, con un nuovis-

simo cannocchiale, un’opera sicuramente umana su Marte<)

122 Nell’apparato filologico Cs riporta come variante sostitutiva spegneva su spezzava. Pur cum dubio,
noi leggiamo invece, come da apparato, spegneva su strozzava.
123 Nel verso dell’ottava carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |16| VE-

NERDI – s. Marcello papa».


124 In A, Cs, M, IL2: a venti, nelle. In D1, C, Ad, IL1: a venti nelle.
125 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


126 In D1: letto (← detto).
127 In A, D1: Giornale d'Italia. In C, IL1, Cs, M, IL2: Giornale d'Italia. In Ad: “Giornale d'Italia”.
128 In A, D1: Corriere della Sera. In C, IL1, Cs, M, IL2: Corriere della Sera. In Ad: “Corriere della

Sera”.
129 In A la lezione l’unica segnata a matita da mano non autorale (l’u[nica) corrisponde all’ultima

parola della carta numerata 9 di D1.

511
DINO MANCA

Salvatore130 e negli uomini del suo ceto, verso la fine dell'ottocento,131


che si manifestava in un sereno e assolutamente inconsapevole ateismo,
senza avversione per la religione, e neppure per i preti, che pure a Nuo-
ro erano uno stuolo, nutrito di una certezza nel potere dell'uomo sulle
132
5 forze della natura. L'ateismo è un momento statico della vita: // e la
133
vita allora era statica, simile al piano di una scacchiera, su cui si posso-
no giocare migliaia di partite, ma le combinazioni non sono infinite.
L'infinito era forse, chissà, in qualcuno di quei ragazzi, se mai avesse
sentito crescendo di non potersi ridurre a pedina, o a fante, e neppure a
10 re. O era in quella povera donna senza speranze che ascoltava dal suo
silenzio le chiacchiere di Don Salvatore134 con qualche sordo, inascoltato
commento.
Ma poi vi era un'altra componente in Don Salvatore135 e nei suoi vani
discorsi: ed era la democrazia, anche questa naturalmente inconsapevole,
136
15 ma certa. Don Salvatore poteva ormai considerarsi ricco, o almeno
avviato alla ricchezza, ma sentiva che se questa era legittima perché frut-
to del suo lavoro, e accumulata secondo un ordine provvidenziale, se
necessariamente si lasciava dietro di sé torme di poveri, a Nuoro e nel
mondo, questo non faceva differenza nell'umanità della persona. Quei
137
20 poveri potevano, e dovevano, essere i ricchi di domani. Che facesse
elemosine, è dubbio: però dava lavoro a tanta gente nelle sue piccole
bonifiche, e gli operai gli chiedevano la carità che tenesse a battesimo i

7. giocare migliaia] giocare >‹le›< migliaia 11. sordo] •sordo (>[−]<) 17. e accumu-
lata secondo] e >[−]< accumulata •secondo (>‹su›<) 17-18. se necessariamente si]
•se necessariamente si (>‹si›<)

130 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano.
131 In A, D1, Cs, M: ottocento. In C, Ad, IL1, IL2: Ottocento.
132 Nel recto della nona carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |17| SA-

BATO – s. Antonio abate».


133 In D1, C, Ad, IL1, IL2: scacchiera su.
134 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


135 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


136 In A, D1, M, IL2: Don Salvatore. In C, Ad, IL1, Cs: Don Sebastiano.
137 In D1, C, Ad, IL1: dovevano essere.

512
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

loro figlioli, ciò che egli faceva di cuore, diventando loro compare, e
passando con loro dal lei al voi, secondo l'usanza. Di qui la commozione
per il Re o per quel ministro, di cui aveva letto sul giornale, ma anche
qualcosa di più serio: una specie di nostalgia della povertà, di concezione
5 della povertà come esperienza o esercizio spirituale, di esaltazione del
lavoro manuale di fronte al lavoro della penna //138 e della mente, che
non poteva esaurire la sua profonda umanità perché era redditizio. Il suo
sogno sarebbe stato se i figli man mano che crescevano e si avviavano
agli studi, con grande successo, si dedicassero a qualche mestiere fuori
10 delle ore di scuola. Non lo diceva apertamente, ma raccontava tutte le
sere, e anche quella sera, che i figli dei miliardari americani si guadagna-
vano il pane facendo gli strilloni. L'aveva appreso dal giornale, e la sua
voce assumeva il tono di una lezione e di un oscuro rimprovero. Era al-
lora che Donna Antonietta139 usciva dal suo silenzio, perdeva140 ogni ri-
15 tegno, ridiventava se stessa: perché era lei che lavorava in cucina con

l'aiuto di una povera donna che veniva solo per il cibo, era lei che vede-
va i figli assottigliarsi sui libri, e uno sopra tutto, Filippo,141 le dava tanta
preoccupazione perché cresceva magro, delicato, con la pancia sempre
in disordine, e non riusciva a fargli smettere di studiare. ― Ma quelli là,
20 urlava, hanno tutte le comodità, non sono come noi. ― Distrutto nel
suo sogno, Don Salvatore142 si alzava, riprendeva il suo lume, e volgen-
dosi verso quella massa scura dimenticata in un angolo, diceva solenne:
― Tu stai al mondo soltanto perché c'è posto. ― E se ne andava senza

2. con loro] |con loro| (>‹da›<) 11-12. si guadagnavano il pane facendo gli stril-
loni.] |si guadagnavano il pane facendo gli strilloni.| (>facevano gli strilloni<)

138 Nel verso della nona carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio

|18|DOMENICA – s. Liberata vergine».


139 In A, M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza (>Antonietta<). In

C, Ad, IL1, Cs: Donna Vincenza.


140 In A la lezione perdeva, segnata a matita da mano non autorale (per[deva), corrisponde all’ultima

parola della carta numerata 10 di D1.


141 In A, M, IL2: Filippo. In D1 (mano aliena): •Ludovico (>Filippo<). In C, Ad, IL1, Cs: Ludo-

vico.
142 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.

513
DINO MANCA

nemmeno augurare la buona notte.


Così finiva quella serata, una delle tante serate della vita familiare, del-
la famiglia che Don Sal//vatore143 e donna Antonietta144 in tanti duri
anni di discussione avevano pure creato. I figli se ne andavano nelle ge-
145
5 lide stanze da letto, all'ultimo piano, Filippo aiutava la madre ad alzarsi
dalla sedia, e la reggeva su per le scale che le diventavano faticose. Salva-
tore, che ripeteva il nome paterno, doveva provvedere a chiudere la fi-
nestra, che dava sulla strada. Per curarsi della facciata, quella bestia di
Don Pietrino Nieddu146 aveva fatto la finestra tanto alta che si eran do-
147
10 vuti poi fare due gradini di legno per potersi affacciare. Salvatore148 si
arrampicava come poteva, sostava un momento prima di tirare a sé le
persiane. Nella notte profonda, Nuoro si stendeva percorsa da un vento
gelido. Rotolava lontano un carro sul selciato. Non una voce. Due cara-
binieri in pattuglia,149 rigidi e annoiati, venivano su per il corso.150 Faceva
151
15 quasi paura.

2-3. della famiglia che] |della famiglia che| (>che<)

143 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano. Nel recto della decima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si
legge: «gennaio |19|LUNEDI – s. Mario martire».
144 In A: donna Antonietta. In M, IL2: Donna Antonietta. In D1 (mano aliena): Donna •Vincenza

(>Antonietta<). In C, Ad, IL1: Donna Vincenza. In Cs: donna Vincenza.


145 In A, M, IL2: Filippo. In D1 (mano aliena): •Ludovico (>Filippo<). In C, Ad, IL1, Cs: Ludo-

vico.
146 In A, M, IL2: Don Pietrino Nieddu. In D1 (mano aliena): Don •Gabriele Mannu (>Don Pie-

trino Nieddu <). In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele Mannu.


147 In D1: dovuti (← dovuto).
148 In A, D1, M, IL2: Salvatore. In C, Ad, IL1, Cs: Sebastiano.
149 In D1: pattuglia (← pattaglia).
150 In IL1, IL2: Corso.
151 In A, in basso a destra, scritto con inchiostro blu da mano autorale, si legge: «2/8 70.».

514
II1

Nuoro non era che un nido di corvi, eppure era, come e più della
2
5 Gallia, divisa in parti tre. La storia di Nuoro (se storia si potevano
chiamare le notizie che canonico Sale,3 in fama di dotto, aveva raccolto
negli archivi dell'episcopio: del resto canonico Sale4 non era nuorese, era
di Dorgali, e bastava vedere, anche senza sentirlo parlare, il suo viso lun-
go e magro, gli occhi astuti e sbiaditi, il mento lungo sotto le labbra por-
10 porine, da febbricitante. Un rettile, lo definiva, quasi a voce alta, Cano-
nico Marchi,5 quando lo vedeva passare) non andava di là da due, tre-
cento anni. La vera capitale, sembra impossibile, non era allora Nuoro,
era Galtellì,6 il paesetto della Baronia7 lungo il Cedrino, appena arretrato
dal mare. Ne rimane la traccia nel titolo della diocesi, che non è di Nuo-
8 9
15 ro, ma di Galtellì e Nuoro, e Galtellì prima di Nuoro. Pare anzi che

fosse proprio un vescovo Roich, uno spagnolo o mezzo spagnolo evi-


dentemente,10 a disporre che la sede episcopale fosse trasferita sulle altu-
re,11 trenta chilometri più in dentro, nel luogo ove doveva sorgere Nuo-
ro. La Baronia era d'inverno un giardino. E se il fiume diventava pazzo,

7. canonico] canonico (← Canonico) 9-10. sotto le labbra porporine, da febbrici-


tante.] •sotto le >su< (>sulle<) le labbra •porporine, da febbricitante. (>troppo sotti-
li<) 14. della diocesi] •della diocesi (>del vescovado<) 16-17. evidentemente]
/evidentemente/ 18. doveva] •doveva (>[−]<)

1 Nel verso della decima carta contenente l’incipit del secondo capitolo, a stampa, in alto si legge:
«gennaio |20|MARTEDI – ss. Fabiano e Sebastiano».
2 In A, Cs, M: in parti tre. In D1, C, Ad, IL1, IL2: in tre parti.
3 In A, M, IL2: Sale. In D1 (mano aliena): •Fele (>Sale<). In C, Ad, IL1, Cs: Fele.
4 In A, M, IL2: Sale. In D1 (mano aliena): •Fele (>Sale<). In C, Ad, IL1, Cs: Fele.
5 In A: Canonico Marchi. In M, IL2: canonico Marchi. In D1 (mano aliena): Canonico •Floris

(>Marchi<). In C, Ad, IL1: canonico Floris. In Cs: Canonico Floris.


6 In D1: Galtellì (← Galtelle). Cattiva lettura della lezione di A da parte della segretaria.
7 In C: Baronìa.
8 In D1: Galtellì (← Galtelle).
9 In D1: Galtellì (← Galtelle).
10 In D1: evidentemente|,|.
11 In A, Cs, M, IL2: sulle alture. In D1, C, Ad, IL1: altrove. Anche in questo caso crediamo che

D1 cada in errore per una cattiva lettura dell’autografo (legge altrove anziché alture). Per emana-
zione l’errore si è trasferito alle prime edizioni a stampa. Solo il ritorno ad A, dunque, consente
di ristabilire la lezione autentica.

515
DINO MANCA

di quando in quando, e straripava, e inondava i campi e isolava gli assur-


di12 villaggetti che erano sorti, chissà come e chissà perché, nella vasta
piana, quando si ritraeva e si componeva in una mite corrente, e qua e là
sostava //13 in chiazze azzurre, che parevano pezzi di cielo, lasciava a
5 compenso tra i sassi una terra sottile, umida, che era già grano, orzo,
erano sopra tutto le fave e quei meloni dalla polpa azzurrina che span-
devano il nome di Baronia per tutta la Sardegna. Che profumi tra i can-
neti, nella macchia popolata di lepri e di pernici, quando tornava il sole a
risuscitare i ceppi morti e abbandonati dei bassi vigneti. Il guaio era che
10 il paradiso in Baronia durava tre mesi: dopo, il sole diventava cattivo, si
metteva a pentirsi della gioia che aveva portato tra gli uomini, impazziva
anche lui. In una settimana, portava14 il deserto. E quel che è peggio
(poiché il caldo si può sopportare) uscivano da15 quelle gore alle quali tra
ciuffi di oleandri si era ridotto il Cedrino eserciti di zanzare portatrici di
15 morte. I contadini crollavano con la falce nel pugno, le porte e le fine-

stre si chiudevano come davanti a un invasore, le donne ischeletrivano, i


bambini dei poveri erravano16 per le strade, incartapecoriti e con17 le
pance grosse di nove mesi. Sulla Baronia era scesa la maledizione. E così
Mons. Roich,18 uomo pratico come tutti i forestieri, appena venuto deci-

1. straripava, e inondava i campi e isolava] straripava|,|•e (>‹fuori›<) inondava (←


inondando) i campi e isolava (← isolando) 3. piana] •piana (>[−]<) 5. tra i sassi] •tra
>[−]< i sassi (>[−] ‹di una sassaia›<)  era già grano,] •era già grano, (>‹attendeva so-
lo›<) 6. le fave e quei meloni] /le/ fave e quei meloni >azzurri< 7. di Baronia]
|di| (>delle<) Baronia (← Baronie) 9. i ceppi morti e] |i| (>quei<) ceppi morti |e|
(>che<) 10. il paradiso] •il paradiso (>l’inverno<)  diventava] diventava (← ridi-
ventava) 11-12. impazziva anche lui.] >[−]< impazziva /anche lui/.  portava]
•portava (>regnava<) 19. Mons. Roich] •Mons. Roich (>‹uno straniero›<)  appena

venuto decise di prendere] •appena venuto decise di prendere (>un bel giorno pre-
se<)
12 In D1: assurdi (← assardi). Refuso.
13 Nel recto della undicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |21|
MERCOLEDI – s. Agnese vergine».
14 In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: settimana portava.
15 In D1: •da (>tra<).
16 In A dopo la lezione erravano si trova un segno a matita di mano non autorale (erravano[) che

corrisponde all’ultima parola della carta numerata 12 di D1.


17 In D1: con (← col)
18
In IL1: Monsignor Roich. In IL2: mons. Roich

516
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

se di prendere la mitria e portarla al fresco.


Io credo che questa storia (o altra simile, non importa) sia vera. Gal-
tellì19 oggi è nulla, una grinza, una scrostatura in mezzo al feroce calcare
di Monte Columbu. Ma chi arrivi a superare i nugoli20 di mosche e di
21
5 polvere si trova davanti a una chiesa // e a un campanile che sono ri-
masti anche se il vescovo se n'è andato, e sono del più puro stile roma-
nico; a tuguri22 sudici e miserabili, ma accanto ai quali sono ancora in
piedi palazzi corrosi, deserti, con due tavole in croce al posto delle fine-
stre, ma con un portale scolpito o almeno con un' architrave di pietra
10 vulcanica, sulla quale volendo si può decifrare un anno lontano; e al di là
di un'inferriata rugginosa si può vedere o sognare quello che ai bei tempi
fu un patio. Senza contare che in qualcuna di queste vecchie case, o nelle
loro dipendenze, si possono intravvedere fioche ombre di donne che
sono o furono delle Satta,23 delle [Guiso],24 le vere Satta25 e le vere [Gui-
26 27
15 so] forse, anche se povere e rassegnate. Una di queste anzi, di recente,

aveva avuto una certa rifioritura perché un proprietariotto del luogo, ve-
stito in costume,28 aveva osato bussare alla sua porta, ed essa aveva avu-
to la saggezza di non dire di no.

1. portarla] •portarla (>la portò<) 6. anche se] anche >[−]< se 7. a] a (← ai)  ac-
canto] •accanto (>[−]<) 9. un] |un| (>‹una›<) 10. un] •un (>[−]<) 13. di donne] di
|donne| (>Satta, di Guiso<) 15. forse] /forse/ 16-17. vestito in costume,] /vestito
in costume,/

19 In D1: Galtellì (← Galtelle).


20 In D1: nugoli (← nuguli). Refuso.
21 Nel verso della undicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |22|

GIOVEDI – s. Gaudenzio vescovo».


22 In A, Cs: a tuguri. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: tuguri. Confermiamo la lezione di A perché più

logica nel contesto linguistico (si trova davanti […] a tuguri). Verosimilmente chi ha esemplato il
testo (D1) ha considerato la lezione emendata dall’autore una variante espuntiva (>ai<) e non
invece una variante sostitutiva (a ← ai). La cattiva lettura ha trovato emanazione nelle seriori
edizioni a stampa con l’eccezione di Cs.
23 In A, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): •Sanna (>Satta<). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.
24 In A: Guiso. In D1 (mano aliena): •Bellisai (>Guiso<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: Bellisai.
25 In A, M, IL2: Satta. In D1 (mano aliena): •Sanna (>Satta<). In C, Ad, IL1, Cs: Sanna.
26 In A: Guiso. In D1 (mano aliena): •Gallisai (>Guiso<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: Bellisai.
27 In D1: forse|,|
28 In D1: costume|,|

517
DINO MANCA

Nuoro, con tutta l'albagia dei suoi casoni governativi, neppure se li


sogna la chiesa, i palazzi o i ruderi di Galtellì.29 Dunque deve essere pro-
prio vero quello che dicono. Eppure rimane un mistero. Due, tre secoli
fa Nuoro non esisteva neppure come un nucleo di capanne: nessuna del-
30
5 le carte antiche della Sardegna, che pure riportano i nomi rimasti oscuri
di Ollolai, Orani, persino Orzullè,31 porta il nome di Nuoro. Questo
vuol dire che Mons. Roich ha messo la prima pietra, come //32 han fatto
a Brasilia o a Camberra,33 e ha popolato la nuova capitale coi suoi preti e
i suoi parrocchiani di Galtellì.34 Ora, se io guardo la gente di Galtellì,35 e
10 sono i resti di quella di allora, se io vedo gli uomini asciutti, sottili, col
giubbone rosso aperto da un lato sul petto, il passo leggero e quasi dan-
zante, se ascolto il loro parlare sfumato e quasi aspirato, mi sembrano,
Dio mi perdoni se c'è offesa, delle marionette, e se fossi36 musicista ne
verrebbe fuori un balletto, altro che questo libro. E poi sono buoni, miti,
15 e le loro donne nella effimera giovinezza hanno i seni tanto prorompenti

che li imbrigliano con due cordicelle. La gente di Nuoro sembra un cor-


po di guardia di un castello malfamato: cupi, chiusi, uomini e donne, in
un costume severo, che cede appena quanto basta alla lusinga del colore,
l'occhio vigile per l'offesa e per la difesa, smodati nel bere e nel mangia-
20 re, intelligenti e infidi. Come da quelle marionette serene possono essere
venuti fuori questi personaggi da tragedia? Io mi spiego il mistero pen-
sando che, come accade ancor oggi quando l'organizzazione sociale viola

1. casoni] •casoni (>palazzi<) 2. la chiesa,] /la chiesa,/ 8. ha] |ha| (>l’ha<) 9. di


Galtellì, e] di (← che) Galtellì, •e (>e che<) 11. giubbone] |giubbone| (>giubbot-
to<) 12. aspirato] •aspirato (>strisciante<) 16. cordicelle] •cordicelle (>coppe<) 18.
severo,] /severo,/ 21. il] |il| (>la<)

29 In D1: Galtellì (← Galtelle).


30 In D1: d/e/lle. Refuso.
31 In D1: Orzullè (← Orzulle).
32 Nel recto della dodicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |23|

VENERDI – s. Emerenziana vergine».


33 In D1: Canberra (← Camberra). Emendazione di mano verosimilmente non autorale. Conser-

viamo la lezione di A. In C, Ad, IL1, IL2: Canberra e. In Cs: Camberra, e. In M: Camberra e.


34 In D1: Galtellì (← Galtelle).
35 In D1: Galtellì (← Galtelle).
36 In A dopo la lezione fossi si trova un segno a matita di mano non autorale (fossi[) che corri-

sponde all’ultima parola della carta numerata 13 di D1.

518
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

le leggi di natura, e ti crea province, regioni, o altre diavolerie37 ammini-


strative, all'avvento del38 vescovato si siano mossi dalle selve della circo-
stante Barbagia quegli uomini agresti che, come dice il poeta, si cibano
di carne e miele, e si siano insediati intorno al prelato e al suo capitolo
5 con la loro forza e le loro capanne. Vero è anche che negli immediati
dintorni di Nuoro si trova qualche domus de jana (casa //39 della fata), e
c'è addirittura verso Balubirde (che gli italiani hanno tradotto Valverde,
ma non c'entra per nulla) una costa traforata di queste piccole case di fa-
te che con mirabile corrispondenza si chiama Sas Birghines40 (le vergini).
10 Ci poteva essere dunque tra le selve di quell'altura un insediamento prei-
storico che prima di monsignor41 Roich aveva fuggito le terribili coste, e
al quale la curia si è giustapposta, in pacifica convivenza; e da questo
connubio è venuta42 fuori Nuoro. Insomma, tutte le ipotesi sono possi-
bili, e che Nuoro sia nata ieri, o43 che sia più antica di Roma, fungendo
44
15 Monsignor Roich soltanto da modesto e fatale pronubo della storia.

Ma forse la più giusta è che “Nuoro”45 sia la risultante burocratica dei


successivi padroni, che hanno accatastato la Sardegna, e in realtà vi fos-
sero (e vi siano46 state fino alla calata dei barbari di oggi) tre Nuoro, le
parti tre cui accennavamo in principio.

2. del] del (← dell‹e›)  selve della] /selve della/ 5. la] la (← le) 7. Balubirde]
|Balubirde| (>Valverde<) 8. per] /per/ 9. si chiama] |si chiama| (>ha<) 10. di
quell'altura] •di quell'altura (>[−]<) 11. che prima di] •che prima di (>‹aveva fuggito
le›<) 12-13. connubio è] connubio ><+>< è 16. è che “Nuoro” sia la] è che >•la
parola (›[−]‹)< “Nuoro” sia /la/ 17. che hanno] che >in realtà vi siano tre Nuoro,<
hanno 18. Nuoro] Nuoro (← nuoro)

37 In D1: diavolerie (← diovolerie,). Refuso.


38 Cs legge del corretto su dello.
39 Nel verso della dodicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |24|

SABATO – s. Babila vescovo».


40 In A: Sas Birghines. In D1: Sas Birghines (← Sas Birghiores). In C, Ad, IL1: Sas Birghines. In

Cs, M, IL2: Sas Birghines.


41 In A, D1, Cs, M: monsignor. In C, IL1: Mons. In Ad: Monsignor. In IL2: mons.
42 In D1: venuta (← venuto).
43 In A, D1, Cs: o. In C, Ad, IL1, M, IL2: e.
44 In A, Cs, M: Monsignor. In D1, C, Ad, IL1, IL2: Mons. In IL2: mons.
45 In Ad, IL1: Nuoro.
46 In A, Cs, IL2: siano. In D1, C, Ad, IL1, M: sono.

519
DINO MANCA

Nuoro è situata nel punto in cui il monte Orthobene47 (più sempli-


cemente il suo Monte)48 forma quasi un istmo, diventando altopiano: da
un lato l'atroce valle di49 Marreri,50 segnata dal passo dei ladri, dall'altro la
mite, se qualcosa può essere mite in Sardegna, valle di Isporósile,51 che
52
5 finisce in pianura, e sotto la grande guardia dei monti di Oliena, dilaga
fino a Galtellì53 e al mare. Protetta //54 dal colle di Sant'Onofrio, che
Dio sa che santo doveva essere, se non ha lasciato la minima traccia di
sé, neppure in un nome di battesimo, Nuoro comincia dalla chiesetta
della Solitudine, che sorge su quell'istmo,55 scende dolcemente verso il
10 Ponte di Ferro, dove par che finisca, e invece ricomincia subito dopo
una breve salita per morire davvero poco prima del Quadrivio, un nodo
dal quale si dipartono le paurose strade verso l'interno.
È in quest'ultimo tratto che sorge la prima parte di Nuoro. Si chiama
Séuna, e sorge per modo di dire perché è un nugolo di casette basse, di-
15 sposte senz'ordine, o con quell'ordine meraviglioso che risulta dal disor-

dine, tutte a un piano, di una o, le più ricche, di due stanze, col tetto di
tegole arrugginite,56 lo spiovente verso la cortita dal pavimento di terra
come Dio l'ha fatta, il cortile chiuso da un muro a secco come si chiu-
dono le tanche, l'apertura verso la strada sbarrata da un tronco messo di
20 traverso, e davanti a questa singolare porta quel capolavoro di arte

1. nel] |nel| (>alle<) 5. e sotto] |e sotto|(>sotto<) 8. Nuoro] Nuoro›,‹ 10. Ponte


di Ferro] Ponte di Ferro (← ponte di ferro) 17. arrugginite] •arrugginite (>ruggino-
se<)  cortita] •cortita (>acorte b•cortita di pochi metri<) 18. il cortile chiuso] •il corti-
le (>la corte<) chiuso (← chiusa) 20. a] |a| (>alla<)  quel] quel (← il)

47 In IL1, IL2: Ortobene.


48 In D1: Monte (← monte)
49 In D1: di (← dei)
50 In M, IL2: Marréri.
51 In A: Isporōsile. In D1: Isporósile (← Isporosile). In C, Ad, Cs, IL1, IL2: Isporòsile. In M:

Isporósile. Nella varietà nuorese del sardo la seconda o del toponimo in oggetto si pronuncia
chiusa, quindi come già in D1 si usa l’accento acuto.
52 In A la lezione dilaga, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (dila[ga), corrispon-

de all’ultima parola della carta numerata 14 di D1.


53 In D1: Galtellì (← Galtelle).
54 Nel recto della tredicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |25|

DOMENICA – Settuagesima».
55 In A, Cs, IL2: quell’istmo. In D1, C, Ad, IL1, M: quest’istmo.
56 In D1: arrugginite (← arruginite)

520
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

astratta che è il carro sardo. Il carro sardo diventa un carro quando gli
sono aggiogati i buoi, che ora dormono accovacciati sulle stanche gambe
lungo la strada, o, se vi è spazio, dentro la cortita: allora è, più57 che un
carro, uno strumento di guerra, per gli incredibili viottoli delle campagne
58
5 che l'acqua ha dilavato nei secoli, mettendo a nudo macigni di granito,
che sono scale. Il carro sardo si inerpica su quelle gobbe cigolando, on-
deggia //59 come una nave nella tempesta, rimane un poco in bilico, e
poi precipita fragorosamente dall'altra parte, per affrontare altri sassi, al-
tri macigni. È fatto per questo, e infatti nei secoli, nei millenni ha lascia-
10 to nel cammino i solchi dei suoi cerchioni di ferro, che sono come le
piaghe della sua fatica, della fatica dei bovi che lo scavalcano puntando
sulle corte gambe oblique, dei massari che pungolano i bovi, e pare che
spingano e tirino anch'essi, chiamandoli responsabilmente per nome (boe
porporì,60 boe montadì!) con grida che a sera risuonano per tutta la valle.
15 Giustamente dicono quelli del Comune: che bisogno c'è di riparare le

strade?61 Ma quando i buoi staccano, e il carro rimane lì nella notte, da-


vanti alle casette addormentate, non ha più nulla del carro. Poggia incli-
nato62 sul lungo timone, alza al cielo due inutili braccia levigate dallo stri-
sciare delle soghe, si scompone in assurde verticali e orizzontali, e lascia

5. l'acqua] •l'acqua (>ala terra b•le<)  nudo macigni] nudo >[−]< macigni 9. e in-
fatti nei] •e infatti nei (>e per questo<) 10. nel] nel (← sul) 11. scavalcano]
•scavalcano (>[−]<) 12. sulle corte gambe oblique,] sulle corte (← sui corti) •gambe

(>piedi<) oblique, /<+>/ 13. chiamandoli responsabilmente] •chiamandoli re-


sponsabilmente (>[−]<) 14. grida che a sera] •grida (>urla<) che /a sera/  valle.]
valle>[−]<. 16. notte] notte >piena di luna< 19. scompone] scompone (← st)

57 In A, Cs: allora è, più. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: allora è più.


58 In A, Cs, M, IL2: dilavato. In D1, C, Ad, IL1: lavato. La lezione di D1 (lavato) rispetto a quella
trasmessa dall’autografo (dilavato, nel senso di «eroso»), ci pare facilior, verosimilmente da imputa-
re a chi ha esemplato il testo. Anche questa banalizzazione, plausibilmente sfuggita all’autore in
fase di seriore verifica dell’elaborato dattiloscritto, concorre, insieme ad altre lezioni quanto me-
no dubbie, a persuaderci della discutibile affidabilità del dettato portato da D1.
59 Nel verso della tredicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |26|

LUNEDI – s. Paola matrona».


60 In D1: porporì (← porpori)
61 In IL1 e IL2 la domanda è inserita tra sintagmi di legamento.
62 In D1: inclinato (← inchinato).

521
DINO MANCA

passare per le fessure della “coda”63 il64 chiaro della luna. Può essere
un'invocazione e una preghiera, può essere una maledizione o un incan-
tesimo, può essere nulla, anzi è assolutamente nulla. Nelle notti d'estate,
il contadino si stende sulle assi bruciate dal sole, con la berretta ripiegata
5 sotto la testa, e dorme.
Se fosse stato per Séuna65 [Don Pietrino Nieddu]66 avrebbe //67 po-
tuto dispensarsi dall'andare a Roma, a prendere la laurea di ingegnere. Il
muratore di Séuna68 (il maestro del muro, come lo chiamano) riceve dal-
la povertà il senso delle prospettive e delle proporzioni, tanto è vero che
10 quando torna un arricchito e si fa una casa da ricco, vien fuori una sto-
natura: è come una donna che abbia lasciato il lungo costume, e metta in
mostra le gambe storte. I seunési69 sono tutti contadini, dal primo all'ul-
timo, fanno paese nel paese, e si dice che costituiscano il nucleo origina-
rio dell'insediamento. Nuoro, insomma, sarebbe nata da Séuna:70 ed io
71
15 sono disposto a crederci perché a Séuna c'è la più vecchia chiesa di

Nuoro, le Grazie, che non è poi che una di quelle stesse casette, sor-
montata da un frontone, con una campanella nel comignolo. Lo stesso
prete che la officia è un contadino, e vive delle quattro rape che coltiva
nell'orto, e di qualche elemosina (figuriamoci!), poiché non ha cura d'a-
20 nime.

4. ripiegata] /ripiegata/ 8. riceve] •riceve (>ha appreso<) 9. il senso delle prospet-


tive] il senso >‹divino›< delle prospettive 10. casa] •casa (>casetta<) 11. il] il (← un)
 e metta in mostra] •e metta in mostra (>e rivelando<) 13. si dice] •si dice (>dico-
no<)  il nucleo] il >primo< nucleo 16-17. sormontata] •sormontata (>[−]<) 18. la
officia è] la officia >non< è

63 In Ad, IL1: coda.


64 In A la lezione il, segnata subito dopo a matita da mano non autorale (il [ ), corrisponde
all’ultima parola della carta numerata 15 di D1.
65 In D1: Séuna (← Seuna).
66 In A: Don Pietrino Nieddu. In D1 (mano aliena): Don •Gabriele Mannu (>Pietrino Nieddu<).

In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele Mannu. In M, IL2: Don Pietrino Mannu.
67 Nel recto della quattordicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio

|27| MARTEDI – s. Elvira vergine».


68 In D1: Seuna.
69 In A, Cs: séunesi. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: seunesi.
70 In D1: Séuna (← Seuna).
71 In D1: Séuna (← Seuna).

522
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Comunque è certo che nessun pastore penserebbe mai di abitare a


Séuna,72 dove si troverebbe degradato e spaesato. I pastori si raccolgono
tutti dalla73 parte opposta, nell'altro paese nel paese, che si chiama San
Pietro, sebbene nessuna chiesa vi sia di questo nome. San Pietro, Santu
74 75
5 Predu, è il cuore nero di Nuoro. Séuna è la tavolozza di un pittore
che diventa quadro. Con le sue inquadrature bianche alle finestre, e il
cielo che sovrasta //76 libero e sereno, potrebbe essere un villaggio ma-
rino: basterebbe che ci fosse il mare. San Pietro non ha colori: ha case
già alte che dànno77 su vie strette che non son più vicoli, e per vedere il
78
10 cielo bisogna guardare in su. Qui [Don Pietrino Nieddu] potrebbe es-
sere passato benissimo, e aver fatto quei grandi atri di cemento, la cucina
appena si entra a destra, l'inutile sala da pranzo, le scale di pietra, le stan-
ze vuote, anche quando c'è gente,79 con le sedie allineate alle pareti: e
nelle cortite, che sono già corti, non c'è il carro, ma il cavallo, che attende
80
15 di essere inforcato, la sella appesa a un piolo sotto il portichetto, lo

stesso cavallo che nel cuore della notte annuncia fatali ritorni. Il fatto è
che il pastore non ha nulla a che fare col81 contadino. Il pastore appar-
tiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica. La differenza tra il
pastore e il contadino è che quello conduce una casa che cammina, que-
20 sto una casa che sta ferma. Se per l'uno la terra sulla quale vendemmia

1. pastore] pastore >[−]< 6. alle finestre] |alle finestre| (>alle fin<) 11-12. la cuci-
na…le scale] /la cucina appena si entra a destra, l'inutile sala da pranzo,/ |le scale|
(>stanze<) 13. con le sedie] |con| (>e ‹con›<) >[−]< le sedie 19. quello] •quello
(>[−]<)

72 In D1: Séuna (← Seuna).


73 In A, Cs: dalla. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: nella.
74 In IL1, IL2: Santu Predu.
75 In D1: Seuna.
76 Nel verso della quattordicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio

|28| MERCOLEDI – s. Valerio vescovo».


77 In A, Cs, M, IL2: dànno. In D1, C, Ad, IL1: danno.
78 In A: Don Pietrino Nieddu. In D1 (mano aliena): Don •Gabriele Mannu (>Pietrino Nieddu<).

In C, Ad, IL1, Cs: Don Gabriele Mannu. In M, IL2: Don Pietrino Mannu.
79 In D1: gente|,|.
80 In A la lezione portichetto, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (por[tichetto),

corrisponde all’ultima parola della carta numerata 16 di D1.


81 In A, Cs: col. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: con il.

523
DINO MANCA

ed ara è il fine, per l'altro è solo lo strumento; se il contadino, dopo che


ha zappato e potato le viti e gli ulivi, siede ai piedi di un albero e mangia
il pane intinto nell'olio, si riposa; il pastore quando siede anche lui nella
grande calura meridiana non si riposa,82 perché la sua intera vita è senza
5 riposo. Guarda le pecore che meriggiano, ma sa che a un certo punto
queste si muoveranno col loro lento dondolio, e nessuno le potrà ferma-
re, e andranno, ed egli le dovrà seguire, aiutato soltanto dai cani, che ha
avvezzato //83 alla guerra. E poi, anche quando siede, non può non ve-
dere quei pascoli immani che vanno da Monte Spada a Corte e a Lardi-
10 ne, a Sa Serra, dove sono altre greggi, altri pastori come lui, e i pensieri
camminano camminano, e solo il diavolo sa dove vanno a finire. Virgi-
lio, servitore del principe, poteva scrivere indifferentemente le Bucoliche
e le Georgiche.84 La proprietà pastorale non ha nulla a che fare con la
proprietà contadina. Questa,85 intanto, è raccolta in certe valli e in certe
15 pianure, è divisa in tanti appezzamenti di terra, e non ce n'è uno che as-

somigli all'altro. Bisogna chiedere il permesso, quando si entra, anche


per attraversarli. L'altra è dappertutto, è certamente divisa e accatastata,
ma la legge è legge, il fatto è fatto, e nessuna legge può impedire al pa-
store di considerare la sua proprietà in tutto quello che l'occhio può ab-
20 bracciare. E non solo la terra, ma le greggi, che in tanto sono tue in
quanto sei in grado di difenderle.86 Dio è col contadino, non è col pasto-

1. contadino] |contadino| (>pas<) 7. che ha] che >egli< ha 11. Virgilio] >Solo<
Virgilio 17-18. e accatastata, ma la legge è legge, il fatto è fatto,] •e accatastata (>e
‹regolata› ma<), ma la legge è •legge, (>‹una e sa se›<) il fatto è |fatto,| (>‹un› altro,<)
19. la sua proprietà] •la (>la<) sua ||proprietà||

82 In A, Cs, IL2: non si riposa. In D1, C, Ad, IL1, M: non riposa.


83 Nel recto della quindicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio
|29| GIOVEDI – s. Francesco di Sales».
84 In A, D1, Cs: le Bucoliche e le Georgiche. In C, Ad, IL1, M, IL2: le Bucoliche e le Georgiche.
85 In D1: Questa|,|.
86 In A, nel margine inferiore della carta, aggiunto da mano autorale e poi cassato, si legge: || >e

per questo, quando vai per la campagna e credi di essere solo, cento occhi invisibili ti guardano,
>[−]< e ti seguono. ‹+++›<||. Unità narrativa analoga è riproposta a testo poco più avanti: Se
nella deserta campagna il pastore ha mille occhi che guardano chi crede di andare nella solitudine, in città ci sono
mille occhi che guardano lui.

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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

re.
San Pietro è il prolungamento cittadino dell'ovile, c'è anche nell'aria
l'odore delle pecore e delle capre. La sera è tutto uno sferragliare di zoc-
coli sul selciato, perché i padroni intabarrati nel costume tornano a casa
5 con le bisacce ricolme (i servi pastori tornano ogni quindici giorni per
cambiarsi e rifornirsi di pane). Nell'ombra due mani prendono le bisac-
ce, e la porta si chiude dietro il padrone.
Le case sono grandi perché servi e padroni vivono insieme,
man//giano87 dallo stesso tagliere, si scaldano allo stesso fuoco, e questo
10 rende più servi i servi, e più padroni i padroni. Quando la porta si è
chiusa dietro il padrone, non è facile che si riapra. I colpi nella notte non
dicono nulla di buono, e chi vuole che gli88 si apra non ha bisogno di
bussare. Se nella deserta campagna89 il pastore ha mille occhi che guar-
dano chi90 crede di andare nella solitudine, in città ci sono mille occhi
15 che guardano lui, servo o padrone che sia, perché tutti sono soggetti allo

stesso destino. E poi c'è la giustizia, con la quale è meglio non impicciar-
si. Tra l'altro, che91 cosa è la giustizia? Giustizia è l'autorità, il potere che
uno ha sopra un altro, e l'autorità non si discute; e se ti condanna sei ben
condannato. Ma perciò giustizia è anche sottrarsi, se è possibile, all'auto-
20 rità, come è giustizia far fuori, se occorre, un eventuale testimone (se ha
già reso la testimonianza, allora la giustizia sarebbe lui). Insomma, sia

4. costume] costume (← lo) 11. non è facile] •non è facile (>‹è meglio non›<) 12.
chi vuole che gli si apra non] •chi vuole che gli si apra (>‹comunque se si riapre›<)
non (← ‹si›) 14. in città] ||in città|| (>a San Pietro<) 15. soggetti] •soggetti (>lega-
ti<) 17. cosa è la giustizia? ] cosa è >a Nuoro< la giustizia?  l'autorità, il potere
che uno ha] •l'autorità, il potere che uno ha (>‹essere condannati se›<) 18. e l'autori-
tà] e >non importa affatto se sia ‹umanamente› giusta.< l'autorità (← L’autorità) 19.
Ma perciò giustizia] Ma /perciò/ giustizia

87 Nel verso della quindicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio
|30| VENERDI – s. Martina vergine».
88 In A la lezione gli, segnata subito dopo a matita da mano non autorale (gli [ ), corrisponde

all’ultima parola della carta numerata 17 di D1.


89 In A, Cs, M, IL2: campagna. In D1, C, Ad, IL1: capanna. Verosimile errore di D1 legato alla

dinamica lettura-trascrizione dell’autografo.


90 In D1: chi (← che).
91 In A, Cs: Tra l'altro, che. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: Tra l'altro che.

525
DINO MANCA

come sia, quando bussano nella notte, la porta che si apre è quella di die-
tro, che dà nell'orto e nell'aperta campagna. Il pastore sa di essere sem-
pre innocente per se stesso, ma non di esserlo di fronte all'autorità.
È a San Pietro che abita, e non può che abitare a San Pietro, la dina-
5 stia dei [Porcheddos]. Nelle loro case — saranno quattro o cinque i
92

rami che discendono dal capostipite Bustianu,93 che chiamavano Deus


(Dio) per la sua maestà nel cavalcare — si entrava a //94 cavallo, proprio
come negli ovili: ma le case erano95 alte, tre, quattro piani, anche se la vi-
ta, rimasta nomade, si svolgeva tutta al piano terreno, come nella casa di
96 97
10 Don Salvatore, ma con altre presenze. I [Porcheddos], come gli altri
pastori, avevano camminato e camminavano ancora dietro le pecore, e
come gli altri avevano guardato quella sterminata campagna, con l'oc-
chio del pirata che guarda il mare: e lo sguardo loro si era tradotto in
azione, la misteriosa azione del ladro che è all'origine della proprietà.
15 Rubare, quel che noi chiamiamo rubare nell'artificioso presupposto che

esista una cosa mia e tua, e comunque nell'angusta visione di un porta-


foglio o di un gioiello, significa in Sardegna, o meglio a Nuoro, o meglio
a San Pietro, prendere un gregge di mille pecore, e dissolverlo nel nulla.
Il padrone immiserito gira a piedi tutta l'isola, manda a destra e a sinistra

2-3. sempre] /sempre/  ma non di esserlo] ma non >/mai/ <+++> stesso


<+++>< /di esserlo/  all’autorità] •all’autorità (>agli altri<) 7. si entrava]
>‹non›< si entrava 8. negli] |negli| (>nella<) 11-12. e come] |e come| (>‹come›<)
13. e] •e (>‹come›<) 14. la misteriosa azione del ladro che] •la misteriosa azione del
ladro che (>‹e così› la piccola azione del pastore che<) 17. significa] •significa (>è una
cosa<)

92 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2:


Corrales.
93 In A, M, IL2: Bustianu. In D1 (mano aliena): •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1, Cs: Bainzu.
94 Nel recto della sedicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «gennaio |31|

SABATO – s. Giovanni Bosco».


95 In A, Cs, M, IL2: erano. In D1, C, Ad, IL1: sono.
96 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


97 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2:

Corrales.

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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

i suoi servi, segue per le terre e per i guadi tutte le orme: nulla, nulla, as-
solutamente nulla. Quel gregge non esiste, ma soprattutto non è mai esi-
stito. Si capisce che i Porcheddos98 non hanno la bacchetta magica,99 e
mille pecore (che poi, nel bilancio finale diventano cento, duecentomila,
5 senza contare i buoi e le vacche) non si possono rubare se non le ruba
tutta la Sardegna. Ma questa è la magia dei Porcheddos:100 di aver fatto
ladri tutti i sardi, o almeno tutti i barbaricini (gli altri sardi, del resto, non
contano). I giornali di Sassari, di Cagliari, anche //101 quelli del continen-
te, avevano gridato allo scandalo, alla rovina dell'isola, anzi dell'econo-
102
10 mia isolana che era fondata sulla pastorizia, e l'autorità era intervenuta
con leggi feroci contro l'abigeato, catalogando il bestiame, descrivendolo
in un “bollettino” di cui il pastore doveva andare munito. Ma che cosa
avevano ottenuto? Che un miserabile che aveva rubato il giogo di un
contadino veniva gettato in galera per cinque anni. Miserabile, perché il
15 giogo del contadino non si ruba, né c'era bisogno di leggi per questo.

Una volta avevano rubato il giogo a ziu Cancàrru,103 che aveva cinque
figli. Sùbito104 Bustianu [Porcheddu]105 aveva aperto una colletta, e tutto

1-2. segue…assolutamente nulla.] •segue per le terre e per i guadi tutte le orme: nul-
la, nulla, assolutamente nulla. (>e può essere sicuro che delle pecore non c’è neppure la
più piccola orma.<)  non esiste] non |esiste| (>è mai<) 8. di Sassari, di Cagliari,
anche] •di Sassari, di Cagliari, anche (>del continente<) 10. l'] l'(← il) 11-12. l'abi-
geato…andare munito.] l'abigeato, (← l'abigeato.) /catalogando il bestiame, descri-
vendolo in un “bollettino” di cui il pastore doveva/ || •andare (>essere<) munito.||
14. gettato] •gettato (>‹sbattuto›<) 17. Sùbito] •Sùbito (>Per primo<)  aperto]
•aperto (>‹aperto›<)  tutto] >aveva< tutto (← tutta)

98 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2:


Corrales.
99 In D1: la bacchetta magica (← le bacchette magiche).
100 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M,

IL2: Corrales.
101 Nel verso della sedicesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «note».
102 In A la lezione dell’economia, dopo segnata a matita da mano non autorale (dell’economia [ ), cor-

risponde all’ultima parola della carta numerata 18 di D1.


103 In A Cs, M, IL2: Cancàrru. In D1, C, Ad, IL1: Cancarru.
104 In A Cs, M: Sùbito. In D1, C, Ad, IL1, IL2: Subito.
105 In A: Bustianu Porcheddu. In D1 (mano aliena): •Bainzu Corrales(>Bustianu Porcheddu<). In

C, Ad, IL1, Cs: Bainzu Corrales. In M, IL2: Bustianu Porcheddu.

527
DINO MANCA

San Pietro aveva comprato un altro giogo al povero contadino di Séuna,


anche più bello dell'altro.
Col passare del tempo (intanto le case dei [Porcheddos]106 cresceva-
no,107 di piano in piano, e con esse crescevano tante case minori, cresce-
5 va San Pietro) le pecore cominciarono a lasciare le orme. I disgraziati
proprietari di Ozieri, di Pattada, perfino del Campidano, seguivano mille
meandri da un capo all'altro dell'isola, sostando presso i loro “amicos de
posada”108 (poiché non c'erano alberghi si aveva in ogni paese una casa
ospitale, con diritto di reciprocità) e gira e gira e rigira, le orme portava-
109
10 no alle case dei [Porcheddos]. Entravano quei pacifici proprietari del
Logudoro, col loro costume nero, mortuario, la110 berretta ripiegata sulla
testa, i pantaloni stretti come bende, e il lungo báculo111 lucidato //112
dal tempo, stretto nella mano come un inutile scettro.
― Bonas dies, ziu Bustià (Buon giorno, zio Sebastiano).113
15 ― Bene bénniu (Benvenuto). E che novità a Ozieri (o a Pattada, o

1. un altro giogo al] •un altro (>un ← il<) giogo •al (>del<) 3. del tempo] del tempo
>[−]< 7. presso i loro] presso >tutti< i loro 11. loro] /loro/ 13. mano] mano
>‹ferm›< 14. Bonas] |Bonas| (>‹Bus›<) 15. Ozieri] •Ozieri (>Pattada<)  Pattada]
•Pattada (>Ozieri<)

106 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M,


IL2: Corrales.
107 In A, Cs, M, IL2: crescevano,. In D1, C, Ad, IL1: crescevano.
108 In A, D1, Cs, M: “amicos de posada”. In C: “amicos de posada”. In Ad, IL1, IL2: amicos de posa-

da.
109 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M,

IL2: Corrales.
110 In D1: le. Errore servile.
111 In D1: báculo (← baculo).
112 Nel recto della diciassettesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio

|1| DOMENICA – Sessagesima».


113 In A, M, IL2: ― Bonas dies, ziu Bustià (Buon giorno, zio Sebastiano). In D1 (mano aliena): ―

Bonas dies, ziu •Bainzu (>Bustianu<) (Buon giorno, zio •Bainzu (>Sebastiano<)). In C, Ad, IL1:
«Bonas dies, ziu Bainzu (Buon giorno, zio Bainzu)». Cs: ― Bonas dies, ziu Bainzu (Buon giorno,
zio Gavino). L’autore propone a testo un dialogo bilingue (sardo/italiano). Chi successivamente
interviene sul testo dattiloscritto modificando i nomi, anziché tradurre, come da logica autorale,
anche il nome emendato (Bainzu > Gavino), nella verosimile incertezza preferisce replicare, an-
che nella parte tradotta in italiano, il nome proprio in sardo (Bainzu). Stupisce che anche alcuni
editori seriori (C, Ad, IL1) ripropongano meccanicamente e pedissequamente l’illogica soluzione
trasmessa da D1.

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Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

Buddusò, o Bonorva),114 rispondeva ziu Bustià.115


― Così siamo, replicava116 quello.
― Come, così! I pascoli di Ozieri sono tra i più floridi della Sardegna.
Non è come qui, tutto pietre. E sete, sete tutto l'anno. Da otto mesi non
5 è caduta una goccia d'acqua. E d'inverno neve e gelo. Si gelano anche i
campani delle pecore. Quand’ero giovane, mi avevano richiamato ad
Ozieri. Mi sarei gettato a brucare l'erba. Del resto, avete117 il bestiame
lucido come uno specchio. Le vostre terre valgono tre volte le nostre. ―
Poi, abbassando la voce, e come parlando con se stesso,118 ma con un
10 masticato rimprovero: ― Io avrei anche comprato qualcosa, da voi, ma
voi non volete vendere ai nuoresi, perché dite che vi portiamo il furto e
la rapina... Peccato. ― E Don Bainzu,119 come sta? Deve avere i suoi an-
ni, ormai.
― È morto quest'anno. Non sapevate?
15 ― Peccato, peccato. Era un brav'uomo: che sia nel cielo. E Zaime, il
figlio di Gianuario?120
― È lui che m'ha detto di venire da voi, ziu Bustià.121
Ziu Bustianu122 naturalmente lo sapeva benissimo. //123

1. Bonorva] •Bonorva (>Pattada<) 11. vi portiamo] |vi portiamo| (>siamo<)

114 In A, Cs: Buddusò o Bonorva, rispondeva. In D1: Buddusò (← Buldusò) o Bonorva (← Bo-
norvia), rispondeva. In Ad, IL1: Buddusò o Bonorva» rispondeva. In M, IL2: Buddusò o Bonor-
va ― rispondeva.
115 In A, M, IL2: ziu Bustià. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustià<). In C, Ad, IL1, Cs: ziu

Bainzu.
116 In A, Cs: ― Così siamo, replicava. In Ad, IL1: «Così siamo» replicava. In M, IL2: ― Così sia-

mo ― replicava. Ad e IL1 restituiscono i discorsi diretti tra virgolette basse (o caporali). Da ora in
poi ci pare supervacaneo segnalarlo.
117 In D1: •avete (>anche<)
118 In A, Cs, IL2: con se stesso. In D1, C, Ad, IL1, M: a se stesso.
119 In A, M, IL2: Don Bainzu. In D1 (mano aliena): Don •Bustiano (>Bainzu<). In C, Ad, IL1:

Don Bustiano. In Cs: Don Bustianu.


120 In A la lezione Gianuario?, segnata subito dopo, a capo, a matita da mano non autorale (Gia-

nuario? ↔| [ ), corrisponde all’ultima parola della carta numerata 19 di D1.


121 In A, M, IL2: ziu Bustià. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustià<). ―. In C: ziu Bainzu. ―.

In Ad, IL1: ziu Bainzu». In Cs: ziu Bainzu.


122 In A, M, IL2: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): Ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1,

Cs: Ziu Bainzu. A, M, IL2 vanno a capo mentre D1, C, Ad, IL1, Cs non vanno a capo.
123 Nel verso della diciassettesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio

|2| LUNEDI – Purificazione di M. V.».

529
DINO MANCA

― Ah, ma allora, Mariantonia,124 porta il caffè e gli amaretti. È un


amico, e gli ho battezzato il figliolo che deve essere già grande ora.
E Mariantonia,125 la moglie di ziu Bustianu,126 la madre di tutti quei fi-
gli, entrava col vassoio e la caffettiera che era sempre pronta vicino al
5 fuoco, senza guardare l'ospite, testimone muta e sorda, perché sapeva
attenersi al principio fondamentale di vita, per sé e per gli altri: Quel che
fa il padrone è ben fatto.127
― Giusto Zaime, col quale sono amico di posata, mi ha detto: fidati
di lui, se non ti sbriga lui non128 ti sbriga nessuno.
10 Ziu Bustianu129 aggrottava la fronte. ― Ah, ti sei messo negli impicci
allora.
― No, no. Mi130 è capitato un guaio. Il gregge, mi hanno rubato. Era
tutto quello che avevo.
― Beh, non sarà stato proprio tutto. E cosa vuoi che io faccia?
15 ― Zaime mi ha detto di chiedere a voi, che voi siete potente.
Insomma, non131 era una cosa facile, con tutta quella marmaglia che
c'era in giro. E bisognava spendere, purtroppo, perché c'era da mandare
gente intorno, e per nulla non si fa nulla. Gli aveva detto un marcatore132
di bestiame che nelle campagne di //133 Mamojada aveva visto un gregge

8. col quale] |col quale| (>cui ‹ha›<) 15. ― Zaime] >Ah <+>,< ― Zaime 18. ave-
va] aveva (← avevano)

124 In A, D1, M, IL2: Mariantonia. In C, Ad, IL1, Cs: Mariangela.


125 In A, D1, M, IL2: Mariantonia. In C, Ad, IL1, Cs: Mariangela.
126 In A, M, IL2: ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1, Cs:

ziu Bainzu.
127 In A, Cs, M: Quel che fa il padrone è ben fatto. In D1: |“|Quel che fa il padrone è ben fat-

to|”|. In C, Ad, IL1, IL2: «Quel che fa il padrone è ben fatto».


128 In A, Cs: lui non. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: lui, non.
129 In A, M, IL2: ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1, Cs:

ziu Bainzu.
130 In A, Cs: ― No, no. Mi. In D1, C, M, IL2: ― No, no, mi. In Ad, IL1: «No, no, mi. Peraltro

D1, C, Ad, IL1 non vanno a capo, mentre M e IL2, pur restituendo nel luogo specifico la lezione
di D1 (― No, no, mi), incomprensibilmente vanno a capo come A.
131 In A, Cs: Insomma, non. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: Insomma non.
132 In A, Cs, M, IL2: marcatore. In D1 (mano aliena): mercante (← mercatore). In C, Ad, IL1:

mercante.
133 Nel recto della diciottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio

|3| MARTEDI – s. Biagio vescovo».

530
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

senza pastore. Quante potevano essere? Cento, duecento? Molte di più?


Il sacrificio doveva essere grosso, ma per Zaime avrebbe fatto questo
e134 altro. Vedremo. Intanto lasciasse mille, duemila lire, avrebbe cercato
di tirare col prezzo.
5 Dopo due giorni il gregge risorgeva dal nulla, come se una nuvola si
fosse aperta, e l'avesse depositato dolcemente nella grassa tanca ozierese.
E la fama di ziu Bustianu135 si spandeva per la Sardegna.
C'è il rovescio della medaglia, e le cose sono più facili da raccontare
che farle. Perché né Ziu Bustianu Porcheddu,136 né i suoi figli, né i suoi
10 servi potevano essere dimenticati dai carabinieri, e cento volte il portone
della Rotonda, la prigione circolare che ti veniva incontro appena scen-
devi dalla stazione, si era chiusa alle sue, alle loro spalle. Ma era come se
si chiudesse il portale della sua casa, e mai era sicuro della sua innocenza
come quando lo mettevano dentro. Tanto è vero che137 dopo tre, quat-
15 tro mesi dovevano buttarlo fuori per forza, perché la voce del suo arre-

sto correva per le campagne al suono di un tam-tam, e dopo due giorni


disponeva di tanti alibi che pareva avesse il dono dell'ubiquità. E poi, e
poi... Quando il pastore138 considera la terra, le greggi, la roba degli altri
come sue anche la vita degli altri diventa sua. L'uccidere e il rubare non
139
20 sono cose molto diverse, al di là dal codice.140 Certo nessuno uccide
senza una ragione, ma se c'è la ragione non sarà la fragile esistenza di un

11. veniva] •veniva (>viene<)  scendevi] scendevi (← scendi) 14. tre, quattro] •tre,
quattro (>due o tre<) 16. campagne al] campagne >[−]< al 18. il pastore] •il pasto-
re (>[−]<) 19. diventa sua] diventa >la< sua 20. là dal] •là dal (>‹fuori del›<) 21.
non sarà la] non sarà (← è) •la (>certo questa<)

134 In A, Cs: e. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: ed.


135 In A, M, IL2: ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1, Cs:
ziu Bainzu.
136 In A: Ziu Bustianu Porcheddu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu Corrales(>Bustianu Por-

cheddu<). In C, Ad, IL1: ziu Bainzu Corrales. In Cs: Ziu Bainzu Corrales. In M, IL2: ziu Bu-
stianu Porcheddu.
137 In A, Cs: Tanto è vero che. In D1, C, Ad, IL1, M, IL2: Tanto è vero, che.
138 In A la lezione pastore, segnata al suo interno a matita da mano non autorale (pa[store), corri-

sponde all’ultima parola della carta numerata 20 di D1.


139 In D1: diverse, (← diverse;)
140 In A: al di là dal codice. In D1, C, Ad, IL1, Cs, M, IL2: al di là del codice.

531
DINO MANCA

uomo che fermerà la mano. //141


Perché hanno messo fuori dal mondo Banneddu Lucca?142 Nessuno
lo saprà mai. Era un giovane tranquillo, senza nemici, un poco anche
inurbato, sebbene tutti i giorni andasse a cavallo a Lardine, per aiutare
5 suo padre nella mungitura. Qualche ragione ci sarà stata. Così di tanti
altri. Del resto nessuno avrebbe osato guardare le mani di Ziu Bustia-
nu,143 e neppure quelle dei figli. Nelle grandi sere d'estate egli, dopo aver
mangiato un po' di pane e formaggio, poiché era parco, si sedeva ai piedi
di un olmo che era cresciuto in fondo alla corte, e leggeva. Poiché aveva
10 imparato, non si sa dove, a leggere e a scrivere.
La dinastia dei [Porcheddos]144 non era un fatto isolato, come poteva
essere quella di un signore feudale, chiuso nel suo castello. Ziu Bustia-
nu145 esprimeva nient'altro che la volontà di vivere di San Pietro, quella
che mancava agli abitanti opposti di Séuna. In rustico, poteva rassomi-
15 gliare a quegli avvocati dei paesi che avevano conquistato, o credevano

di aver conquistato Nuoro: ma c'era la solita incolmabile differenza che


Ziu Bustianu146 era nuorese, e quelli non lo erano.
I confini di San Pietro erano incerti, non come quelli di Séuna, che
erano segnati dal Ponte di ferro.147 Io li metterei lungo quella linea spez-
20 zata che parte dalla caserma vecchia dei carabinieri, piega verso la piazza
di San Giovanni, che ne resta fuori, giunge all'imbocco del vicolo stret-
tissimo dove abita Maria Ruju,148 sempre seduta in mezzo al patio149 den-

15. dei paesi] /dei paesi/ 19. Ponte] Ponte (← ponte) 20. parte] •parte (>a<)

141 Nel verso della diciottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|4| MERCOLEDI – s. Gilberto vescovo».
142 In A, D1, M, IL2: Banneddu Lucca. In C, Ad, IL1, Cs: Banneddu Zucca.
143 In A: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1: ziu Bainzu.

In Cs: Ziu Bainzu. In M, IL2: ziu Bustianu.


144 In A: Porcheddos. In D1 (mano aliena): •Corrales (>Porcheddos<). In C, Ad, IL1, Cs, M,

IL2: Corrales.
145 In A, M, IL2: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): Ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1,

Cs: Ziu Bainzu.


146 In A, M, IL2: Ziu Bustianu. In D1 (mano aliena): Ziu •Bainzu (>Bustianu<). In C, Ad, IL1,

Cs: Ziu Bainzu.


147 In A, D1, M, IL2, Cs: ferro. In C, Ad, IL1: Ferro.
148 In D1: Maria |Ruju|.
149 In Ad, IL1: patio.

532
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

tro la ruota delle sue sottane //150 orlate di rosso, e si disperde infine a
Montelongu, che è già campagna, in vista del Monte. Per farla breve ― e
questo è quello che importa ― San Pietro finisce dove comincia il lungo
corso151 appena lastricato di Nuoro, simbolo della terza Nuoro, la Nuo-
5 ro del tribunale, del municipio, delle scuole, dell'episcopio, di Don Salva-
tore,152 di Don Pietrino,153 di Don Franceschino,154 dei “signori”, ricchi o
poveri che fossero.
Se i confini di San Pietro non erano materialmente certi, la gente di
San Pietro li conosceva benissimo, e mai uno di lassù avrebbe osato var-
155
10 care la soglia del Corso (l'antica via Majore). Ci poteva capitare156 qual-
che [Porcheddu],157 se aveva da fare con l'avvocato, per sé o per i servi o
i compari. Ma nessuno di quei pastori che puzzavano di formaggio, nes-
suno di quei giovinastri che schiamazzavano avvinazzati158 durante la
notte, che attendevano di maturare per diventare ladri, e intanto non ve-
15 devano due soldi insieme, nessuno si sarebbe mescolato con quei signori

del Corso, o sarebbe entrato in uno di quei negozi dove il Cagliaritano


(chissà come si chiamava) misurava col palmo la stoffa che vendeva, o
Marianna Sechi159 pesava con la stadera la pasta e il riso, o nell'istancu

4. appena] •appena (>‹di›<)  simbolo della terza Nuoro, la] •simbolo della (>la<)
terza Nuoro, >[−]< la 11-12. per sé o per i servi o i compari.] |per sé o per i servi o
i compari.| (>ma<) 14. maturare] •maturare (>crescere<) 18. nell'istancu] nell'istan-
cu (← nello istanco)

150 Nel recto della diciannovesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|5| GIOVEDI – s. Agata vergine».
151 In A, D1, Cs: corso. In C, Ad, IL1, M, IL2: Corso.
152 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


153 In A, M, IL2: Don Pietrino. In D1 (mano aliena): Don •Gabriele (>Pietrino<). In C, Ad, IL1,

Cs: Don Gabriele.


154 In A, M, IL2: Don Franceschino. In D1 (mano aliena): Don •Pasqualino (>Franceschino<).

In C, Ad, IL1, Cs: Don Pasqualino.


155 In A, Cs, M, IL2: osato varcare. In D1, C, Ad, IL1: osato di varcare.
156 In A: càpitare.
157 In A: Porcheddu. In D1 (mano aliena): •Corrale (>Porcheddu<). In C, Ad, IL1, Cs, M, IL2:

Corrales.
158 In A la lezione avvinazzati, segnata subito dopo a matita da mano non autorale (avvinazzati [ ),

corrisponde all’ultima parola della carta numerata 21 di D1.


159 In A, D1, M, IL2: Marianna Sechi. In C, Ad, IL1, Cs: Marianna Zedda.

533
DINO MANCA

(tabacchino) di Don Benedetto160 che vendeva sigari e carta bollata, ma


era nobile, come si vedeva anche dalla lunga barba, o si sarebbe seduto
al caffè dove i signori esercitavano il diritto di non far niente, o si sareb-
be affacciato alla barandilla (verandina), dove i più anziani e mo-
161
5 ri//gerati signori se ne stavano appoggiati a ricevere il fresco che ve-
niva niente di meno che dal giardino pubblico, che i più chiamavano an-
cora “sa tanca”,162 e in “tanca”163 infatti finiva dove cessavano le acacie
che un sindaco continentale aveva fatto piantare in file ordinate. La di-
stanza fra le tre Nuoro era molto più grande che fra la prima, la seconda
164
10 e la terza classe del trenino che univa Nuoro a Macomèr e al mondo
(che già era molto più grande di quella di adesso, perché ad esempio
Don Salvatore,165 che pure era nobile e ormai quasi ricco, mai avrebbe
viaggiato in prima, e neppure in terza, essendo la seconda il suo posto
naturale): era il frutto di uno spirito tribale, di una scelta, libera come il
15 battesimo.

Il corso166 si stendeva con una lieve pendenza dalla piazza di San


Giovanni, dove era il mercato, al Ponte di Ferro: a metà, prima di una
grande curva, e dopo la piazzetta della barandilla, c'era un tratto pianeg-
giante sul quale si affacciavano le case di pretesa, quella “del Registro”

1. sigari] •sigari (>tabacco<) 2. anche] |anche| (>dalla<) 4. e] |e| (>si<) 5. se ne]


/se ne/ 6. niente di meno che] |niente di meno che| (>dal<) 9. la prima,] la pri-
ma, (← la prima e) 10-11. mondo (che già] mondo (che già (← mondo: era <+++>)
13. e neppure in] •e neppure in (>essendo la sec<) 14-15. una scelta, libera come il
battesimo.] una >libera< scelta, •libera come il (>‹e ciò lo è lo stesso›<) battesimo. 17.
Ponte] Ponte (← ponte) 19. le case] /le/ le case

160 In A, D1, M, IL2: Don Benedetto. In C, Ad, IL1, Cs: Don Gaetano.
161 Nel verso della diciannovesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|6| VENERDI – s. Silvano vescovo».
162 In A, D1, Cs, M: “sa tanca”. In C, Ad, IL1, IL2: sa tanca.
163 In A, D1, Cs, M: “tanca”. In C, Ad, IL1, IL2: tanca.
164 In A, Cs, M, IL2: Macomèr. In D1, C, Ad, IL1: Macomer Don Gaetano.
165 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


166 In A, D1, Cs, M: corso. In C, Ad, IL1, IL2: Corso. In questo luogo inspiegabilmente M segue

la lezione di A (cfr. nota 151).

534
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

che Don Salvatore167 aveva comprato per affittarla,168 quella di Ber-


tin[o],169 uno dei continentali che trasformavano le pietre in oro, e fini-
vano col sardizzarsi (ma conservavano l'alta taglia settentrionale, che tra-
smettevano ai loro bastardi), quella di Tettamanzi, altro continentale, ma
170
5 di cui non // si serbava ricordo che nel nome del caffè, al piano terre-
no. Era un caffè grazioso, con piccole salette orlate di divani rossi, co-
me,171 salvando il rispetto, i caffè di Venezia. Proprietario del caffè e del-
la casa era adesso Giovanni Antonio Musina172, forse per via di madre,
ma che del continentale non aveva nulla: piccolo, grasso, con gli occhi
10 neri, la barbetta a punta, aveva solo una maledetta volontà di vivere, cioè
di giocare alle carte nelle sue salette. In questo tratto pianeggiante173 si
raccoglieva naturalmente tutta Nuoro, gli avvocati incontravano i clienti,
i proprietariotti dei paesi dal costume brillante spiavano i mercanti per
barattare astutamente i loro prodotti, l'olio e le mandorle della Baronia, il
174
15 vino di Oliena, il formaggio di Mamojada e di Fonni. E di qui doveva-
no passare, al mattino, tutti quelli che andavano dal dio terragnolo che175
era il tribunale,176 o dal dio anfibio che era la chiesa enorme, sproporzio-
nata, fatta costruire da un vescovo ricco, il quale vi aveva fatto scolpire

2. trasformavano] trasformavano (← avevano trasformat<) ♦ e finivano] •e finivano


(>ma aveva finito<) 4. quella di Tettamanzi] ||quella|| (>e il [−]< caffè<) di Tet-
tamanzi 6. salette] salette >[−]< 9. piccolo,] /piccolo,/ 19. un] /un/ ♦ il quale] •il
quale (>che<)

167 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,
IL1, Cs: Don Sebastiano.
168 In D1: affi|t|tarla
169 In A, D1, C, Ad, IL1, Cs: Bertini. In M, IL2: Bertino. Si tratta di Stefano Bertino, nato a Gra-

glia, che si trasferì a Nuoro dal Piemonte dopo l’Unità. I Bertino abitavano nella casa progettata
dall’architetto Giacomo Galfré, anche lui piemontese, nonno materno dello scrittore, davanti al
corso Garibaldi (antica via Majore), costruito dall’impresa Bertino.
170 Nel recto della ventesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio |7|

SABATO – s. Romualdo abate».


171 In D1: come|,|
172 In A, M, IL2: Giovanni Antonio Musina. In D1 (mano aliena): Giovanni •Maria Musiu (>An-

tonio Musina<). In C, Ad, IL1, Cs: Giovanni Maria Musiu.


173 In Cs, M, IL2 si va a capo.
174 In D1: |Mamojada|
175 In A la lezione terragnolo che segnata subito dopo a matita da mano non autorale (terragnolo che [)

corrisponde all’ultima parola della carta numerata 22 di D1.


176 Cs legge: Tribunale.

535
DINO MANCA

nel lungo cornicione frontale: Deiparae virgini a nive sacrum, che neppure i
preti riuscivano a tradurre.177 Santa Maria della neve e il tribunale stava-
no l'una davanti all'altro, e per arrivare si doveva salire178 una strada am-
pia, selciata a dovere, passare l'arco del seminario, oltre il quale si ergeva
179
5 l'immensa rupe di una delle cime dell'Orthobene, come un gigante pie-
trificato. Nei giorni di Corte d'Assise e nelle grandi feste religiose //180
era una variopinta processione, e ciascuno andava lassù col suo segreto
fardello.
Santa Maria era forse all'origine del centro storico, come oggi si usa
10 dire, cioè del borgo abitato dai signori. Signori non vuol dire ricchi, è so-
lo il contrario di rustico, e la differenza, ma grande, è data dall'abito civi-
le che ha vinto il costume.
Quanti saranno stati i cittadini del borgo, tra il Corso lastricato, la via
della stazione con una doppia carreggiata181 di granito sul selciato, le pic-
15 cole sconnesse vie adiacenti, non troppo diverse da quelle di San Pietro,

ma diversamente abitate? Io credo che non si andrebbe, se ci contassi-


mo, oltre le 1500-2000 persone. Sono poche nell'astratto mare della vita,

1-2. che neppure i preti riuscivano a tradurre.] che •gli studenti (>nessuno ri<) del
ginnasio non riuscivano a tradurre. A che •neppure i preti (>gli studenti del ginnasio
non<) riuscivano a tradurre. D1 3. per arrivare si doveva salire] per arrivarci si saliva
A per arrivare si /doveva/ salire (← saliva) D1 4. passare l'arco] •passare l'
[>|sormontata dall’|(>che si<)<] arco 5. di una delle] |di una delle| (>dell’<) ♦
Orthobene] Orthobene A O|rtho|bene D1 6. feste religiose] feste •religiose (>pa-
squali<) 13. saranno] saranno (← sar‹emo›) ♦ i cittadini] i cittadini >[−]< ♦ lastri-
cato] || lastricato|| 14. di granito] /di granito/ 17. nell'astratto] nell'astratto (>nel
grande<)

177 In C, Ad, IL1, M, IL2: che neppure i preti riuscivano a tradurre. In Cs: che gli studenti del
ginnasio non riuscivano a tradurre. Promuoviamo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a
penna con inchiostro blu perché, in quanto di mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima
volontà.
178 In C, Ad, IL1, M, IL2: per arrivare si doveva salire. In Cs: per arrivarci si saliva. Promuovia-

mo a testo l’innovazione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu perché, in quanto di
mano autorale, dello scrittore ne attesta l’ultima volontà.
179 L’inserzione tràdita da D1 e fatta a penna con inchiostro blu è di mano autorale.
180 Nel verso della ventottesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio

|8| DOMENICA – Quinquagesima».


181 In D1: careggiata.

536
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

sono molte nel concreto spazio in cui le persone acquistano un volto e


un nome; non sono mille, ma uno più uno più uno e così via, e ciascuna
deve vivere, vivere per conto suo e nello stesso tempo vivere con l'altro
e dell’altro.182 Questo in fondo era il grande problema di Nuoro. C'erano
5 preti, c'erano avvocati, medici, professionisti, mercanti, c'erano poveri
manuali, il ciabattino e il muratore, il maestro delle scarpe e il maestro
del muro, c'erano gli oziosi, i miseri e i ricchi, i savi e i matti, chi sentiva
l'impegno della vita e chi non lo sentiva, ma il problema di tutti era quel-
lo di vivere, di comporre col suo essere //183 lo straordinario e lugubre
10 affresco di un paese che non ha motivo di esistere. Di un paese, come
del mondo, forse. Perciò non vi era odio, non vi era amore: c'era la con-
testazione dell'altro, che diventava la contestazione di se stessi. L'odio e
l'amore si compensavano e si componevano nella necessità di conserva-
re gli altri per conservare se stessi.
15 Nessuno poteva sottrarsi a questo destino, neanche Don Salvatore,184
che pure era un onesto ragno che tesseva la sua tela, e conosceva gli altri
solo per le firme che mettevano sugli atti. Diviso da Nuoro da insor-
montabili barriere, forse San Pietro185 aveva un'altra vita. San Pietro get-
tava coi suoi patriarcali delitti un ponte verso il futuro: Séuna non era
20 che un carro e un giogo, e non sapeva e non si curava di essere.

2. non sono mille] non sono >[−]< mille 3. con] •con (>dell’a<) 7. miseri] •miseri
(>poveri<) 8-9. era quello] era |quello| (>quello<) 10. Di un paese] |Di un paese|
(>Di tutti, di<) ♦ Perciò] |Perciò| (>Non<) 13. si compensavano] si compensava-
no >nella< 15. Nessuno…neanche] •Nessuno poteva sottrarsi a questo destino,
neanche (>Nessuno poteva sottrarsi a questo destino, neppure<) 17. Diviso da] Divi-
so (← Divisi) da >due< 18-19. forse…un ponte] forse San Pietro>, forse Séuna<
aveva (← avevano) un'altra vita (← altre vite). >A< San Pietro •gettava coi suoi pa-
triarcali delitti un ponte (>il delitto era come un ponte gettato<) ♦ futuro:] futuro: (←
futuro;) 20. e non si curava di essere.] •e non si curava di essere. (>neppure<)

182 In D1, C, Ad, IL1: vivere con l'altro.


183 Nel recto della ventinovesima carta contenente il dettato, a stampa, in alto si legge: «febbraio
|9| LUNEDI – S. Apollonia vergine».
184 In A, M, IL2: Don Salvatore. In D1 (mano aliena): Don •Sebastiano (>Salvatore<). In C, Ad,

IL1, Cs: Don Sebastiano.


185 In A la lezione forse San Pietro>, forse Séuna< segnata subito dopo a matita da mano non auto-

rale (San Pietro>, forse Séuna< [) corrisponde all’ultima parola della carta numerata 23 di D1.

537
DINO MANCA

Ma l'infinita povertà di Séuna aveva un privilegio su quei potenti di


San Pietro. Quando moriva qualcuno, il morto doveva per forza passare
lungo il corso186 lastricato, percorrerlo tutto, perché il cimitero, Sa ’e
Manca, era dalla parte opposta, al di là di San Pietro, nei pressi della Soli-
5 tudine. E quando il morto passava, i signori del caffè Tettamanzi si alza-
vano e si scoprivano il capo. //

2. morto] •morto (>funerale<) 3. percorrerlo tutto, perché il cimitero] |percorrerlo


tutto,|(>‹il seguito›<) |perché il cimitero| (>e quei signori del caffè si alzavano e si
scoprivano il capo. Il cimitero<) 4. dalla parte opposta] /dalla parte opposta/ 5.
morto] /morto/ ♦ Tettamanzi] /Tettamanzi/

186 In A, D1, Cs, M: corso. In C, Ad, IL1, IL2: Corso.

538
Il giorno del giudizio di Satta. Proposta di edizione critica

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