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INTRODUZIONE

di Elisabetta Menetti

Matteo Bandello è uno scrittore sorprendente. È un fra-


te dell’ordine dei predicatori, cresciuto nel convento mi-
lanese di S. Maria delle Grazie, ma nelle Novelle raccon-
ta tormentate storie d’amore e complicati intrecci ses-
suali, dominati da una forte sensualità a volte comica e
grottesca, a tratti irrefrenabile. È un umanista, cultore
della misura e della grazia, ma inquadra un mondo fero-
ce e disordinato, insensato e irrazionale dove prevalgo-
no omicidi, suicidi, stupri, tradimenti e sentimenti malin-
conici ossessivi. È un cortigiano, educato alle corti dei
Bentivoglio, degli Este, dei Gonzaga e infine segretario
del capitano Cesare Fregoso e della moglie Costanza
Rangone, ma nelle sue «istorie» un minaccioso rumore
di fondo inquieta e travolge il fallace mondo delle corti,
dei giardini, dei conviti e delle argute conversazioni. È
uno scrittore di novelle, che chiama anche «istorie», al-
cune delle quali si rivelano ai suoi stessi occhi «disone-
stissime», «mirabili» tuttavia «vere». «Casi strani» che
animano le discussioni e accendono la curiosità degli
ascoltatori e dei lettori del tempo.1

1
Sempre di riferimento restano i suggerimenti interpretativi di
M. Guglielminetti (Sulla novella italiana. Genesi e generi, Lecce, Mi-
lella, 1990), lo studio bandelliano di G. Mazzacurati (All’ombra di
Dioneo. Tipologie e percorsi della novella da Boccaccio a Bandello,
a c. di M. Palumbo, Firenze, La Nuova Italia, 1996) mentre per il

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Sebbene Bandello onori la memoria di Giovanni


Boccaccio in più luoghi del suo ampio novelliere, si di-
chiara onestamente «lombardo», rivendicando con or-
goglio l’espressività, ancora magmatica e «rozza», della
sua lingua materna ricavata dalla vitalità degli scambi
linguistici e narrativi dei ducati settentrionali.2
Il timbro della sua affabulazione matura tra le terre
del Po e dei suoi affluenti: dal paese natale di Castelnuo-
vo Scrivia al ducato di Milano e al Monferrato, dal duca-
to di Torino (spesso denominato Piemonte), al marche-
sato di Saluzzo fino al ducato di Mantova e alla Repub-
blica di Venezia, con una messa fuoco di Verona, sugge-
stivo teatro di uno dei «plot» più fortunati della narrati-
va occidentale: la tragica storia d’amore di Giulietta e
Romeo, ripresa e rielaborata da Shakespeare nel suo
imperituro Romeo and Juliet.
La fortuna europea di Bandello è immediata, grazie
alle traduzioni francesi di Boaistuau e Belleforest che
selezionano con successo i tratti più originali della sua
prosa d’invenzione come il sentimento tragico, il model-
lo culturale della conversazione cortigiana e, soprattut-
to, la commistione tra verità della «istoria» e «mirabile»
della finzione, primo germoglio della narrazione verosi-
mile della nostra modernità.
Questa combinazione di temi, ambienti, storie e ri-
flessioni moraleggianti diventa il paradigma compositi-

quadro storico letterario e biografico resta imprescindibile: A.Ch.


Fiorato, Bandello entre l’Histoire e l’écriture. La vie, l’expérience so-
ciale, l’évolution culturelle d’un conteur de la Renaissance, Firenze,
Olschki, 1979. Inoltre mi permetto di rinviare al mio: Enormi e diso-
neste: le novelle di Matteo Bandello, Roma, Carocci, 2005.
2
M. Pozzi, La frontiera orientale del Piemonte, in Gli uomini, le
città e i tempi di M. Bandello. II Convegno internazionale di studi
Torino-Tortona-Alessandria-Castelnuovo Scrivia 8-11 novembre
1984, a c. di U. Rozzo, Tortona, Cassa di Risparmio di Tortona,
1985, pp. 3-14.

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introduzione   7

vo sul quale si esercitano i letterati francesi (Philippe


Desportes, Henri Hestienne, Jacques Yver, Bénédicte
Poinsenot), ispirando al contempo il teatro elisabettiano
inglese (da Shakespeare a John Webster e Philip
Massinger)3 e poeti, scrittori e drammaturghi spagnoli,
come le Novelas ejemplares di Cervantes o il teatro di
Lope de Vega.4
Addentrarsi tra le Novelle di Bandello è come passeg-
giare tra i diversi luoghi delle corti rinascimentali con
l’impressione di trovarsi proiettati nel vivo della storia.
Un sentiero che non mostra solo la limpida e solida archi-
tettura degli ideali del Rinascimento, ma si inoltra nell’in-
sieme, a volte caotico, di valori assoluti e del loro sovver-
timento, di chiari e di scuri, di labirinti e di sotterranei in
cui si aggira, forse un po’ spaesato, l’uomo moderno.

Le lettere di dedica e l’architettura del novelliere

In tutto le novelle sono 214, accompagnate da altrettan-


te lettere di dedica.5 Ogni unità narrativa è formata da

3
Si vedano le riscritture e traduzioni: The tragical histoire of
Romeus and Juliet, written first in italian by Bandell, and now in
english by Arthur Brooke, London, by Richard Tottel, 1562; W.
Painter, ThePalace of Pleasure, vol. I, Londra, R. Tottel & W. Jo-
nes, 1566; vol. II, Londra, H. Bynneman for N. England, 1567.
4
Si vedano sulla dimensione europea: A.Ch. Fiorato, Bandello
entre l’Histoire e l’écriture, cit., pp. 626-628; Id., Présentation in M.
Bandello, Nouvelles, édition d’A.Ch. Fiorato, M.J. Leroy et C.
Paul, Imprimerie Nationale Editions, 2002, pp. 56-61. Per la Spa-
gna: E.Ch. Riley, La teoria del romanzo in Cervantes, Bologna, il
Mulino, 1988 e F. Rico, Romanzo picaresco e storia del romanzo in
Dal primato allo scacco. I modelli narrativi italiani tra Trecento e
Seicento, a c. di G.M. Anselmi, Roma, Carocci, 1998, pp. 13-30.
5
Nella presente edizione si propone una scelta antologica commen-
tata di 45 lettere dedicatorie e 45 novelle sull’intero corpus bandellia-
no, secondo le linee interpretative esposte in questa Introduzione.

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8   novelle

una lettera dedicatoria e da una novella, a formare una


sorta di dittico narrativo. L’antologia proposta da Ban-
dello è divisa in quattro parti, non numericamente omo-
genee. E precisamente: 59 dittici (nella prima parte), 59
(seconda parte), 68 (terza parte) e 28 (quarta parte). La
veste editoriale, dunque, è data dalla successione di uni-
tà narrative autonome, composte da queste due diffe-
renti ma complementari forme testuali.
La narrazione comincia nella lettera, che rivela le
condizioni del narrare e finisce con la novella. Lo sguar-
do che Bandello rivolge alla realtà che lo circonda si co-
glie dalla prima soglia testuale, costituita da una lettera
che lo scrittore scrive ai suoi dedicatari. Da questa posi-
zione privilegiata egli rielabora materiali narrativi anti-
chi e moderni, che assembla e riusa in modo nuovo.6
La lettera di dedica è un’illusione spazio-temporale
grazie alla quale il suo autore ricostruisce tempi, spazi e
occasioni del narrare.7 Quando Bandello si rivolge al de-
dicatario o alla dedicataria, inizia a tessere una trama
narrativa che assomiglia ad una rete che cattura il letto-
re e lo tiene sospeso tra l’universo storico o storicamen-
te accertabile (i nomi dei cortigiani e delle cortigiane, il
luogo di ritrovo, le abitudini alimentari, le conversazio-
ni, la natura circostante) e l’universo finzionale di cui

6
P. Cherchi, Funzione del paratesto nelle Epistole di Guevara e
nelle Novelle di Bandello in «Paratesto. Rivista internazionale», I,
2004, pp. 41-54.
7
Per un’introduzione generale alla cultura del tempo: Matteo
Bandello novelliere europeo, Atti del convegno internazionale di
studi, 7-9 novembre 1980, a c. di U. Rozzo, Tortona, Cassa di Ri-
sparmio di Tortona, 1982; Gli uomini, le città e i tempi di Matteo
Bandello, cit.; G. Patrizi, Le «Novelle» di Matteo Bandello, in Let-
teratura italiana. Le Opere II. Dal Cinquecento al Seicento, Einau-
di, Torino 1993, pp. 517-540; M. Guglielminetti: Perché Bandello in
«Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale», n. I giu-
gno, 2005, pp. 23-29.

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tutti questi elementi, abilmente intrecciati a topoi lette-


rari, fanno parte, ricreando così il mondo immaginario
delle corti dei primi anni del Cinquecento.
Una fictio di cui il lettore è parte attiva quando,
aprendo la raccolta, entra nella nobile cerchia dei dedi-
catari. Il lettore è il fondamentale punto di sutura tra il
mondo reale e il mondo inventato nel momento in cui
cede all’incantesimo di Bandello, che gli consente di far
parte delle sue confidenze epistolari.8 Era del resto il
piacere che provava Stendhal, quando scriveva che pro-
prio «les épîtres dédicatoires» dipingevano perfetta-
mente «la façon d’être de ce beau pays vers le 1510».9
L’ambivalenza tra realtà e finzione nelle lettere dedi-
catorie aveva catturato anche Balzac, sedotto da questa
forma introduttiva che Bandello chiama «scudo» e Bal-
zac traduce come «protection» di cui desidera esplicita-
mente imitare il modello: «J’ai pensé que je pouvais,
comme il Bandello, mettre un de mes récits sous la pro-
tection d’une virtuosa, gentilissima, illustrissima contes-
sa Serafina San Severina».10
Questo miraggio si percepisce dalla prima novella del
novelliere, che per ampiezza e per elaborazione si può
considerare un proemio a tutte le quattro parti delle
Novelle. Il primo dittico dell’intera raccolta unisce con
un unico tratto narrativo la storia antica e la storia con-

8
È quella che Schaeffer chiama feintise: Jean-Marie Schaeffer,
Pourquoi la fiction?, Editions du Seuil, Paris, 1999, p. 140.
9
Stendhal, Correspondance inédite, Paris, Lévy 1885, I, pp. 122-
123 per cui si veda la nuova edizione tradotta in francese per l’Im-
primerie Nationale di A.Ch. Fiorato (Bandello, Nouvelles, Edition
d’Adelin Charlese Fiorato, Marie-José Leroy et Corinne Paul, Pa-
ris, 2002, p. 60).
10
La citazione offerta da Fiorato nella sua edizione francese è
prelevata dalla dedica a Employés (La Pléiade, VI, pp. 863-864),
segnalata da René Guise (così in Bandello, Nouvelles, cit., p. 82
nota 99).

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temporanea, mentre gli eventi passati sono presentati


come uno specchio dei tempi presenti.
La lettera è ambientata intorno al secondo decennio
del Cinquecento nella casa milanese di Ippolita Sforza
Bentivoglio, alla quale è dedicata anche tutta la raccolta
(cfr. infra, I, 1): lo scrittore la descrive come una raffina-
ta interprete di testi antichi, ma anche come una donna
magnanima, che lo ha incoraggiato nella sua vocazione
narrativa. L’argomento di conversazione è politico e ri-
guarda il difficile accordo matrimoniale che Bandello
cerca, inutilmente, di stipulare tra una delle figlie di Ip-
polita Sforza Bentivoglio e il giovane Roberto Sanseve-
rino, figlio della contessa Barbara Gonzaga. L’accordo
va a monte a causa dell’interferenza della potente fami-
glia Cybo. L’insuccesso, discusso fra i cortigiani in pre-
senza dello stesso Bandello, offre a Lodovico Alamanni
l’occasione di raccontare sotto forma di novella il cele-
bre episodio dell’assassinio, il giorno di Pasqua del 1216,
di Buondelmonte Buondelmonti (di parte guelfa), col-
pevole di aver tradito il patto matrimoniale con la fami-
glia Amidei (di parte ghibellina). È una storia-specchio,
frutto della rielaborazione di altre fonti letterarie e cro-
nachistiche (da Dante a Machiavelli) che, al pari
dell’esperienza appena vissuta da Bandello come inter-
mediario matrimoniale, può dimostrare quale rischio
gravissimo possa correre chi abbia la sventura di inne-
scare conflitti insanabili su questo insidioso terreno del
potere politico.11
La novella ha, poi, un valore esemplare iperbolico,
quasi ironico: meglio desistere che provocare addirittu-

11
Così Fiorato: «Au seuil de son recueil, il a donc voulu se pré-
senter à ses lecteurs sous l’aspect d’un négociateur habile et avisé
travaillant entre 1515-1516 pour le compte des Bentivoglio, dans
le rôle d’un moine coutisan fortement intégré» (Bandello entre
l’Histoire e l’écriture, cit., p. 221).

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ra la guerra tra guelfi e ghibellini! Il grande affresco del


mondo delle corti, che Bandello dipinge con tutti i colo-
ri che ha a disposizione, inizia con un’amara lezione di
realismo politico. La memoria letteraria agisce come ef-
ficace antidoto dei veleni contemporanei.12
Si apre così il sipario sull’Italia delle corti come spa-
zio geo-politico dall’equilibrio instabile e dai poteri vio-
lentemente contrapposti, che inquietano il tranquillo
umanista di corte.
Nella relazione tra presente e passato, che Bandello
stabilisce con sicurezza sin dal primo dittico narrativo (I,
1), si individua il progetto generale dell’opera: la forma-
zione di un architesto, formato da una lettera di dedica
ed una novella per 214 unità narrative, che si incarica di
conservare la memoria frammentaria delle élites signo-
rili e di registrare le «istorie», le «favole» e i «casi strani»
di un popolo. Sono il disordine e l’imprevedibilità a
gover­nare il nostro agire umano, poiché sembra di viv-
ere in una «piacevol gabbia piena d’infiniti di varia spe-
cie di pazzi», in cui anche quelli che sembrano saggi
sono capaci di fare «le più solenni e maggior pazzie e i
più bei stracolli del mondo» (I, 34).
L’organizzazione strutturale del novelliere accoglie
in modo speculare la molteplicità dei casi umani e il
mutevole susseguirsi di situazioni sempre diverse.
L’assenza di un percorso univoco consente alla narrazio­
ne di scorrere per rivoli, che a volte si intrecciano e a
volte scorrono paralleli. La varietas tematica (la beffa, la
controbeffa, gli amori felici e infelici, l’avventura e persi­
no la critica rivolta a rappresentanti di certi ordini reli-
giosi) rispecchia la tradizionale molteplicità, propria del
genere novellistico, ma la struttura paratestuale non

12
S. Carapezza, Novelle e novellieri. Forme della narrazione
breve nel Cinquecento, Milano, Edizioni Universitarie di Lettere
Economia Diritto, 2011, in particolare pp. 79-80.

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ricalca l’archetipo, ossia il Decameron di Giovanni Boc-


caccio.
La formula a dittico (lettera-novella) implica una
doppia relazione tra autore, testo e ricezione. Nella let-
tera di dedica Bandello si ritaglia, come abbiamo visto,
uno spazio autonomo di riflessione e da questa soglia si
rivolge sia al dedicatario sia ai lettori, svolgendo alcuni
ragionamenti di introduzione o di commento alla vicen-
da narrata nella novella.
La dispositio degli argomenti tra lettera e novella
presenta un ampliamento dello schema tripartito della
epistolografia classica e della retorica antica, che preve-
deva un exordium, la narratio e una conclusione.13 An-
che nella dedica bandelliana si riconoscono questi tre
piani compositivi, che, peraltro, costituiscono la base an-
che delle tecniche argomentative della predicazione.14
Ma vediamo più in dettaglio la morfologia di questa
lettera, che è anche dedica e racconto.
Il primo piano compositivo (exordium) è dedicato al-
la presentazione di un argomento di riflessione, che
Bandello sottopone al dedicatario (ed ai lettori) di solito
mediante una sentenza o una nota biografica o il richia-
mo ad un avvenimento recente o più genericamente
facendo riferimento ad un tema legato all’esperienza
personale. Segue poi un secondo piano compositivo
(narratio), in cui viene presentato il contesto della re-
citazione della novella che lo scrittore sta per donare al

13
A. Battistini, E. Raimondi, Le figure della retorica. Una storia
letteraria italiana, Torino, Einaudi, 1990, pp. 31-32.
14
C. Delcorno, Introduzione a Bernardino da Siena, Prediche
volgari, Milano, Rusconi, 1989, pp. 41-51; C. Delcorno, La predica
di Tedaldo in «Studi sul Boccaccio», XXVII, 1999; Id., Il “parlato”
dei predicatori. Osservazioni sulla sintassi di Giordano da Pisa in
«Lettere Italiane», LII, 2000, 1, pp. 3-50. Si veda inoltre: P. D’Achil-
le, Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana. Ana-
lisi di testi dalle Origini al secolo XVIII, Roma, Bonacci, 1990.

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suo dedicatario. Vengono qui identificate le coordinate


biografiche e spazio temporali della narrazione: sono ri-
cordati le cortigiane e i cortigiani presenti e anche
l’ambiente in cui l’autore li ha incontrati (giardino,
palazzo, campo militare o chiostro).
Animata, a volte, da qualche breve dialogo in «presa
diretta», questa zona di compensazione narrativa con-
tiene la circostanza temporale in cui Bandello incontra i
suoi narratori; tuttavia questo avviene non senza qual-
che diffrazione o gioco finzionale con la realtà storica,
come si vedrà. Una breve nota sul narratore della no-
vella e la precisazione sulla funzione dell’autore come
semplice trascrittore chiude questa importante fase pro-
emiale.
Una terza sequenza (corrispondente alla conclusione)
è riconoscibile, poi, nella formula di dedica vera e pro-
pria di Bandello al suo dedicatario, che definisce «scu-
do» delle sue novelle e al quale si dichiara sempre devo-
tissimo. A questi tre piani compositivi della lettera pro-
emiale se ne aggiungono altri due, propri della novella:
il proemio del narratore e, infine, la novella.
Questi cinque piani compositivi, divisi tra dedica (i
primi tre) e novella (gli ultimi due), formano il dittico
narrativo, che viene ripetuto con questa partitura inter-
na (più o meno estesa o addirittura contratta). Le due
parti (lettera e novella) sono tenute insieme da questa
catena di piani compositivi, che dalla voce dell’autore
nella lettera passa gradualmente alla voce del narratore
nella novella.15
In altre parole, Bandello come autore raccoglie e
pubblica per i lettori del libro i «casi mirabili» che ha
incontrato nella sua vita, come personaggio sceglie ogni
volta un destinatario privilegiato (il dedicatario) e come

15
G. Genette, Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einau-
di, 1986.

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narratore descrive l’ambiente cortigiano, riproduce i


dia­loghi tra le parti e abbozza le personalità degli altri
narratori. Inoltre come personaggio partecipa al circolo
novellistico: ascolta le conversazioni e trascrive le no-
velle nel suo libro della memoria.16
La lettera di dedica, dunque, non si esaurisce nel ge-
nere dell’epistola e non è solo una dedica. È un insieme
eterogeneo di frammenti del discorso e di metaracconti,
che introducono altri racconti. Il disegno complessivo,
che regge tutta la raccolta, è l’insieme interconnesso di
questi dittici narrativi, così saldamente uniti dai cinque
piani compositivi.
Le Novelle sono un polimero narrativo, composto da
una catena di 214 coppie di testi, variegate nel contenu-
to ma ripetitive nella dispositio. È un’opera che non ha
la salda geometria di un solido ma si offre piuttosto co-
me una irregolare rete di racconti, le cui tessere proven-
gono da un laborioso processo di selezione e di riuso di
forme narrative brevi e di forme della prosa anche non
propriamente novellistiche come il trattato amoroso, la
narrazione storica, il romanzo sentimentale, l’epistolo-
grafia e il sermone.17

16
E. Testa, Simulazione di parlato. Fenomeni dell’oralità nelle
novelle del Quattro-Cinquecento, Firenze, Accademia della Cru-
sca, 1991; G. Alfano, Nelle maglie della voce. Oralità e testualità da
Boccaccio a Basile, Napoli, Liguori, 2006; Id., Sovraincisioni. Ora-
lità e scrittura nella novella del Rinascimento in Atlante della lette-
ratura italiana Einaudi, vol. II Dalla Controriforma al Romantici-
smo, a c. di E. Irace (in corso di stampa presso Einaudi).
17
Per un inquadramento: Dal primato allo scacco. I modelli
narrativi italiani tra Trecento e Seicento, cit.; Favole, parabole, isto-
rie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinasci-
mento. Atti del Convegno di Pisa 26-28 ottobre 1998, a c. di G. Al-
banese, L. Battaglia Ricci, R. Bessi, Roma, Salerno Editrice, 2000;
R. Bragantini Vie del racconto. Dal Decameron al Brancaleone,
Napoli, Liguori, 2000.

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Nella fabbrica della scrittura bandelliana l’intelaiatu-


ra dell’eterogeneo materiale narrativo avviene per scar-
ti e riscritture, dove quelle che potrebbero essere consi-
derate solo scorie di un lavoro artigianale sono parte
integrante di una nuova idea di finzione letteraria.
Le quattro parti delle Novelle, dunque, inglobano, ri-
elaborano e ricollocano in modo nuovo la varietà delle
forme della prosa d’invenzione, la molteplicità dei temi,
la diversità dei registri retorici e lessicali di un’eteroge-
nea e feconda tradizione narrativa umanistica, nata dal-
la metamorfosi dell’archetipo decameroniano.

Un mondo senza cornice

L’organizzazione antologica del novelliere bandelliano


reca in sé il segno di una crisi e la necessità di un nuovo
disegno.18
La successione per unità narrative autonome svela,
innanzitutto, l’impossibilità di riscrivere un nuovo Deca-
meron, cioè di offrire un testo plurimo (le novelle) con-
centrato in un punto (la cornice). Il percorso della briga-

18
Sull’organizzazione macrostrutturale delle antologie novelli-
stiche dopo Boccaccio: M. Guglielminetti, La cornice e il furto.
Studi sulla novella del ’500, Bologna, Zanichelli, 1984; R. Braganti-
ni, Il riso sotto il velame. La novella cinquecentesca tra l’avventura
e la norma, Firenze, Olschki, 1987 e Id., Avvio minimo all’analisi di
una riscrittura narrativa: Bandello e Centorio in Feconde venner le
carte. Studi in onore d Ottavio Besomi, a c. di T. Crivelli, con una
bibliografia degli scritti a c. di C. Caruso, Bellinzona, Casagrande,
1997. Si vedano inoltre: B. Laroche, L’espace de la cornice du De-
cameron aux Cene in L’Après Boccace. La nouvelle italienne aux
XV et XVI siècles, Université de la Sorbonne Nouvelle, Paris, 1994,
pp. 11-41; L. Badini Confalonieri, Il cammino di Madonna Oretta.
Studi di letteratura italiana dal Due al Novecento, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 2004.

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ta decameroniana, difatti, contiene all’interno del testo


le molteplici direttrici narrative proiettate dalla prima
alla decima giornata.19
Come è stato notato da molti commentatori, nell’edi-
ficio narrativo del Decameron come modello da imitare
si apre fin da subito una crepa, che produce spostamenti
e dislocazioni. Dal Sacchetti al Sermini a Masuccio Sa-
lernitano, passando attraverso tutta la sperimentazione
novellistica quattrocentesca, si vede il progressivo cedi-
mento della trave portante di questo modello, che è, ap-
punto, il racconto di cornice.20 All’altezza del Bandello il
movimento tellurico è già avvenuto, ma occorre rico-
struire un nuovo piano urbanistico.21

19
Sulla cornice del Decameron si vedano: L. Battaglia Ricci,
Boccaccio, Roma, Salerno Editrice, 2000; L. Surdich, Boccaccio,
Roma-Bari, Laterza, 2001; Autori e lettori di Boccaccio. Atti del
Convegno Internazionale di Certaldo (20-22 settembre 2001) a c.
di M. Picone, Firenze, Franco Cesati Editore, 2002; Introduzione al
Decameron, a c. di M. Picone e M. Mesirca, Firenze, Franco Cesati
Editore, 2004. Importante dal punto di vista metodologico: Lessi-
co critico decameroniano a c. di R. Bragantini e P.M. Forni, Torino,
Bollati Boringhieri, 1995; F. Tateo, Boccaccio, Roma-Bari, Laterza,
1998. Si vedano inoltre: F. Bruni, Boccaccio. L’invenzione della let-
teratura mezzana, Bologna, il Mulino, 1990; V. Kirkham, The Sign
of Reason in Boccaccio’s Fiction, Firenze, Olschki, 1993.
20
A. Fontes-Baratto, Le Décaméron comme modéle impratica-
ble: la crise du rapport auteur-public dans le Novellino de Masuc-
cio Salernitano in L’écrivain face à son public en France et en Italie
à la Renaissance. Actes du Colloque Internationale de Tours (4-6
décembre 1986), a c. di A.Ch. Fiorato et J.C. Margolin, Paris, Li-
brairie philosophique Vrin, 1989, in particolare alle pp. 265-266.
21
Per quanto riguarda il complicato destino del genere novelli-
stico nella trasformazione dei generi e dei modi narrativi si veda-
no: S. S. Nigro, Le brache di San Griffone. Novellistica e predicazio-
ne tra ’400 e ’500, Bari, Laterza, 1989; D. Pirovano, Modi narrativi e
stile del «Novellino» di Masuccio Salernitano, Firenze, La Nuova
Italia, 1996; inoltre dello stesso studioso per un utile confronto
con le novelle bandelliane: Id. Riscritture bandelliane. I rapporti

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Bandello, infatti, abbandona con decisione la «corni-


ce» e cerca tra le morfologie narrative sopravvissute al
dopo-Boccaccio una nuova ispirazione.22 Compie, così,
una attenta selezione di modi, temi e stilemi narrativi
decameroniani, operando sul modello tagli, prelievi,
scarti e riusi che unisce ad altre scelte e ad altri modelli,
peculiari della novellistica quattrocentesca. Nella me-
moria narrativa bandelliana le cose escluse, sfuocate e
gettate nell’ombra non sono meno importanti dei pre-
lievi testuali diretti, delle forti e deboli intertestualità.
L’eliminazione, quindi, dalla struttura antologica di
un elemento metanarrativo così autorevole come la cor-
nice decameroniana, il riuso di altri materiali, la commi-
stione e la sovrapposizione di antiche e nuove finalità
del racconto rivelano la modernità della poetica bandel-
liana ma anche la difficoltà di adattare il genere narrati-
vo alla nuova realtà sociale, politica e culturale del pri-
mo Cinquecento.23
Significativo è l’esordio: la prima prova narrativa di
Bandello è stampata nel 1509 ed è la riscrittura in latino
di una novella decameroniana, la novella di Tito e Gisip-

tra le «Novelle» e l’«Historia de duobus amantibus» di Enea Silvia


Piccolimini in «Filologia & Critica», XXVII, 2002, pp. 3-43. Si ve-
dano ancora: G.M. Anselmi, La codificazione dei generi letterari:
un problematico campo di tensioni in Mappe della letteratura euro-
pea e mediterranea. I Dalle origini al Don Chisciotte, a c. di G.M.
Anselmi, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 307-314; A. Mau-
riello: Dalla novella “spicciolata” al “romanzo”. I percorsi della
novellistica fiorentina nel secolo XVI, Napoli, Liguori, 2001; F. di
Legami, Le «Novelle» di Gentile Sermini, Roma-Padova, Anteno-
re, 2009.
22
L. Di Francia, La novellistica. Storia letteraria d’Italia, Milano,
Vallardi, 1924-25. Per le novelle bandelliane è sempre di impre-
scindibile riferimento: A.Ch. Fiorato, Bandello entre l’Histoire e
l’écriture, cit.
23
C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, To-
rino, Einaudi, 1967, p. 231.

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18   novelle

po (X, 8): la Titi Romani Aegesippique amicorum histo-


ria.24 Il primo racconto – che non trova spazio nelle No-
velle – è una traduzione e una riscrittura in latino di un
testo narrativo canonico e dai tratti esemplari, che rac-
conta la nobile amicizia tra Tito e Gisippo.
Il fulcro di questo primo cantiere novellistico bandel-
liano è ricco di suggestioni: l’archetipo narrativo (il De-
cameron di Boccaccio), l’archetipo umanistico (il De in-
signi obedientia et fide uxoria di Francesco Petrarca, pri-
mo traduttore in latino di una novella boccacciana, quel-
la di Griselda, X, 10) e l’umanesimo quattrocentesco,
rappresentato qui dall’intertestualità tra questo primo
testo bandelliano ed il corpus testuale di grande fortuna,
attribuito a Leonardo Bruni: un insieme articolato di te-
sti che contiene una lettera dedicatoria del Bruni a Bin-
daccio Ricasoli (datata 15 gennaio 1437), una novella in
volgare (Seleuco, Antioco e Stratonica) e una traduzione
in latino umanistico di una novella decameroniana, la
novella di Tancredi e Ghismonda (Decameron, IV, 1).25

24
M. Bandello, Titi Romani Aegisippique Atheniensis amico-
rum historia in latinum versa per F. Mattahaeum Bandellum Ca-
stronovensem (…), Milano, Gottardus De Ponte, 1509. Si veda:
Matthaei Bandelli, Opera latina inedita vel rara, a c. di C. Godi,
Padova, Antenore, 1983.
25
Per la varia e complessa circolazione di questi manoscritti e
per la controversa attribuzione bruniana della novella in volgare
sono fondamentali gli studi di M. Martelli: Considerazioni sulla
tradizione della novella spicciolata in La Novella italiana, Atti del
Convegno di Caprarola, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 215-244
e Id., Il ‘Seleuco’, attribuito a Leonardo Bruni, fra storia ed elegia
in Favole, parabole, istorie, cit., pp. 231-255. Sulla novella umani-
stica si vedano inoltre: R. Bessi, La ‘Griselda’ del Petrarca in La
novella italiana, cit., pp. 83-102; Ead., Il modello boccacciano nella
spicciolata toscana tra fine Trecento e tardo Quattrocento in Dal
primato allo scacco, cit., pp. 107-123; Ead., ‘Bonaccorso di Lapo
Giovanni’: novella o pamphlet? in Favole, parabole, cit., pp. 163-
187. Gli studi di Rossella Bessi sono stati recentemente ripubbli-

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introduzione   19

Il corpus attribuito a Leonardo Bruni è centrale nella


genesi della struttura del futuro novelliere bandelliano.
Tra queste carte Bandello trova probabilmente l’ispira-
zione per immaginare l’architettura della sua nuova an-
tologia di «istorie».
L’intertestualità tra la lettera dedicatoria del Bruni a
Bindaccio Ricasoli e la dedica del Bandello al Sauli
(1509) e, successivamente, la presenza della stessa no-
vella bruniana in volgare (Seleuco, Antioco e Stratonica)
nella novella 55 della Seconda parte delle Novelle rive-
lano il lavoro di intersezione di testi narrativi dell’uma-
nesimo quattrocentesco che sono all’origine della fon-
dazione del dittico bandelliano, come metamorfosi pri-
ma umanistica e poi cortigiana del principio narrativo
decameroniano.26

cati: R. Bessi,Umanesimo volgare. Studi di letteratura fra Tre e


Quattrocento, Firenze, Olschki, 2004. Cfr. anche G. Albanese, Da
Petrarca a Piccolomini: codificazione della novella umanistica in
Favole, parabole, istorie, cit., pp. 257-308. Sulla complessità, inol-
tre, della ricezione del Decameron vedano: Luca Marcozzi, La no-
vellistica del Quattrocento: orientamenti di ricerca (1996-2003) in
«Bollettino di Italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filo-
logia e linguistica», n.s., anno I, 2004, pp. 135-161; M. Parma, Fortu-
na spicciolata del “Decameron” fra Tre e Cinquecento. Per un cata-
logo delle traduzioni latine e delle riscritture italiane volgari in
«Studi sul Boccaccio», XXXI, 2003, pp. 203-270 e Fortuna spiccio-
lata del “Decameron” fra Tre e Cinquecento. II. Tendenze e caratte-
ristiche delle rielaborazioni in «Studi sul Boccaccio», XXXIII,
2005, pp. 299-364.
26
Per la presenza della fonte bruniana in Bandello: L. Bartoli,
Note filologiche sulle novelle “spicciolate”del Quattrocento in
«Filologia e Critica», XX, 1985, in particolare p. 40. Per il plagio
tra la lettera proemiale al Sauli di Bandello e le due senili (XVII,
3 e 4) di Petrarca, che contengono la riscrittura in latino della
novella boccacciana di Griselda (De insigni obedientia et fide
uxoria): G.Albanese, Per la storia della fondazione del genere no-
vella tra volgare e latino. Edizioni di testi e problemi critici in La
novellistica volgare e latina fra Trecento e Cinquecento. Risultati e

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20   novelle

Non potendo e non volendo imitare la cornice del


Decameron, Bandello segue l’esempio bruniano, frazio-
nando la cornice-portante in frammenti più piccoli, che
svolgono la stessa funzione metanarrativa. Nel Bruni,
infatti, una brigata di gentiluomini e dame si riunisce in
un «pratello non di grande spatio, ma molto ornato e di
piacevole residentia». Il «signor della villa» propone di
leggere il Decameron (e in particolare la tragica novella
di Ghismonda) e, dopo la lettura e un breve commento,
un umanista dal nome segreto («uno nostro cittadino, il
cui nome taceremo al presente, ma egli è uomo di gran-
de studio in greco e in latino e molto curioso de l’anti-
che storie»)27 propone di raccontare un’altra novella
dalla fine felice e contraria alla prima, ossia un gesto di
amore paterno. È la nota storia «familiare» di Antioco,
Seleuco e Stratonica, prelevata dagli storici antichi (Va-
lerio Massimo, Plutarco e Appiano) e già ricordata con

prospettive di una ricerca interuniversitaria in «Medioevo e Rina-


scimento», XII, n.s. IX, 1998, p. 16. Per l’insieme dei prelievi ban-
delliani nella fondazione del dittico narrativo e per un’analisi più
dettagliata di questi testi e di altri della tradizione novellistica
quattrocentesca qui solo brevemente citati: E. Menetti, Enormi e
disoneste, cit., pp. 71-84.
27
La citazione è tratta dal testo, riportato da Martelli, sulla ba-
se del Magliabechiano IX 2 della Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze (Il ‘Seleuco’ attribuito a Leonardo Bruni, cit., p. 250).
L’edizione sulla quale si fonda la presente analisi risale a due se-
coli fa: Novella di Messer Lionardo d’Arezzo (Novella IV) in Li-
bro di novelle e di bel parlar gentile nel quale contengono Cento
Novelle antiche con l’aggiunta di quattro più moderne, Torino, Da-
vico e Picco, 1802, pp. 250-262. Nella tradizione a stampa cinque-
centesca la novella è presente alla Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze: Questa sì è una novella bellissima di Antioco (per Simo-
ne di Niccolò di Nardo, 1511). Per le edizioni del dittico bruniano
si veda N. Marcelli, Appunti per l’edizione di un dittico umanistico:
la latinizzazione del «Tancredi» boccacciano e la «Novella di Se-
leuco» di Leonardo Bruni in «Interpres», XIX, 2000, pp. 18-41.

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introduzione   21

valore esemplare da Petrarca nel Triumphus Cupidinis


(109-126) e, qui infine, trasformato in novella.
La brigata del Bruni è il Decameron scomposto e fra-
zionato, la cui radice narratologica resta tuttavia intatta
e ancora assai vigorosa. Essa presta ai moderni umanisti
una base solida sulla quale disporre sotto forma narrati-
va le nuove divagazioni morali, storiografiche, politiche.
Dalla sperimentazione della novella umanistica quat-
trocentesca, di cui l’epistolografia fa parte, nasce l’idea
bandelliana di catturare il mondo nell’insieme reticola-
re e irregolare degli oltre duecento dittici narrativi. Pro-
prio da questi testi lo scrittore preleva la tessera per for-
mare il secondo dei piani compositivi, con cui struttura
la lettera di dedica e il proemio della novella. La presen-
za, infine, della novella di Seleuco nelle Novelle confer-
ma questa ipotesi genetica (cfr. infra, II, 55).
Nella riformare l’antologia del racconto breve Ban-
dello non propone una visione unitaria e condivisa, co-
me nel Decameron. Le micro-cornici formate dalle al-
trettante brigate, che Bandello registra nelle sue lettere
di dedica, si adattano assai meglio all’eterogeneo arcipe-
lago delle corti rinascimentali.
I narratori bandelliani sono la moltiplicazione di
quelli boccacciani; dispersi nelle corti italiane e d’oltral-
pe, i cortigiani, i frati, i capitani, gli umanisti e le donne
letterate che raccontano novelle si muovono tra l’irreal-
tà stilizzata della corte umanistica e la realtà caotica e
conflittuale che svela l’aspetto mutevole, imprevedibile
ed ambiguo di un mondo pluricentrico e instabile.28
Ecco perché le novelle di Bandello non possono di-
sporsi ordinatamente intorno ad un evento capitale, co-
me è stata la Peste Nera del 1348 per il Decameron. Gli

28
G. Mazzacurati parla suggestivamente di «metropoli inesi-
stente»: Dopo Boccaccio: percorsi del genere novella dal Sacchetti
al Bandello in All’ombra di Dioneo, cit., pp. 138 e 142-143.

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22   novelle

avvenimenti che sconvolgono il mondo politico dei du-


cati italiani dei primi cinquant’anni del Cinquecento so-
no contraddittori e confusi, se visti nei tanti istanti di cui
si compongono. Bandello non è uno storico ma è un nar-
ratore di novelle che vive nel momento in cui scrive di
questi istanti.29 E non gli è possibile, come a Boccaccio,
immaginare un percorso salvifico e sovraordinato, capa-
ce di ricostruire e proporre un’interpretazione del mon-
do in armonia con le volontà e le convinzioni di una nuo-
va societas, ancora tutta drammaticamente da realizzare.
Del materiale decameroniano, insomma, la cornice è
il primo scarto, che Bandello compie con decisione e
con consapevolezza, per descrivere il nuovo mondo che
vede cambiare ogni giorno sotto i suoi occhi.
Nella mancata riproducibilità della geometria deca-
meroniana tra macrotesto (la cornice) e microtesti (le
cento novelle) e nella proposta di una narrazione poli-
centrica (le 214 lettere e 214 novelle) vi è quindi sotteso
il tragico periodo delle guerre d’Italia del primo Cin-
quecento. La carta dei conflitti, che determinano i confi-
ni geografici delle Novelle, viene disegnata tra la batta-
glia di Pavia (1525) e la guerra di Piemonte (1536-1538),
mentre il sacco di Roma (1527) resta sullo sfondo.
Nel libro della memoria di Bandello si conserva l’ur-
genza della vita; ed è il principale fascino che esso spri-
giona. Tra i temi mescolati e disordinatamente raccolti è
possibile vedere l’immagine dello scrittore che, nella fu-
ga, tenta di raccogliere i libri e gli scritti, senza tuttavia
riuscire a sottrarli del tutto alle scorribande dei soldati
spagnoli (cfr. infra, II, 11). E nelle sue lettere di dedica
lo si può vedere intento a ricostruire con nostalgia

29
È quello che B. Westphal chiama «tempuscule», relazione
possibile tra l’istante e la durata, concetto applicato però alla per-
cezione postmoderna del tempo (La geocritique, Paris, Les Edi-
tions de Minuit, 2007, p. 32).

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introduzione   23

quell’eleganza e quella cultura umanistica delle corti


italiane che è stato costretto ad abbandonare intorno al
1542, per rifugiarsi nelle più tranquille campagne di Ba-
zens, in Aquitania, al seguito della piccola corte di Co-
stanza Fregoso.

La trasparenza del tempo

Nelle Novelle i tempi della storia e quelli del racconto


sembrano inafferrabili come le gocce di mercurio.30 Si ha
l’impressione di essere di fronte ad un miraggio in cui si
muovono in perfetta trasparenza il presente della corte
ed il passato delle tante «istorie», antiche o più moderne.
Nelle lettere si vede agire la corte, nelle novelle si en-
tra nel campo illusorio dell’invenzione. In entrambe le
soglie testuali si ha l’impressione di un movimento con-
tinuo di luce e di colori, di una sovrapposizione di tempi,
di una mutevolezza dei fenomeni.
L’illusione ottica è creata dal gioco che lo scrittore
intrattiene con le molte dimensioni temporali intrappo-
late dalla sua arte narrativa. I modelli di riferimento
suggeriscono i confini cronologici entro cui egli dispone
il racconto. Tra lettera e novella avviene, infatti, la quasi
perfetta saldatura tra il Cortegiano di Baldassar Casti-
glione e il Decameron.
Bandello, che aveva pochi anni meno del Castiglione,
si pone deliberatamente alla confluenza di queste due
opere fondative della narrativa occidentale e della cultu-
ra umanistica e rinascimentale, che egli ritaglia e adatta
alla nuova confezione editoriale.31

30
G. Manganelli, Che cosa non è un racconto in Il rumore sotti-
le della prosa, a c. di P. Italia, Milano, Adelphi, 1994, p. 35.
31
G. Bàrberi Squarotti, L’onore in corte. Dal Castiglione al Tas-
so, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 129-158; G. Patrizi, Le «Novel-

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24   novelle

Il fenomeno illusorio cui dà vita consiste nella coesisten-


za del tempo passato nel tempo presente: dalla soglia del
presente (la lettera) l’autore vede in trasparenza il passato
più recente (la storia del Quattrocento soprattutto) e quello
più antico.32 Il passaggio è continuo e le sovrapposizioni tra i
tempi rendono il quadro estremamente mutevole e vivo.33
Nelle lettere si affacciano alcune tra le personalità
più importanti del mondo rinascimentale e tuttavia non
mancano le comparse, i personaggi poco conosciuti o,
forse, persino inventati. Appaiono così Ludovico il Mo-
ro, Leonardo da Vinci, Baldassar Castiglione con moglie
(Ippolita Torelli), Ippolita Sforza Bentivoglio, Isabella
d’Este, Elisabetta Gonzaga e il ramo dei Gonzaga di
Mantova (la numerosa famiglia di Gianfrancesco
Gonzaga e Antonia del Balzo) e i cortigiani francesi tra
cui spicca la presenza del dottissimo Giulio Cesare Sca-
ligero e la regina narratrice, Margherita di Navarra.

le» di Matteo Bandello in Letteratura italiana. Le Opere II. Dal


Cinquecento al Seicento, Einaudi, Torino, 1993; V. Dornetti, Matteo
Bandello e le corti lombarde, Crema, Arti grafiche, 2000. Di prossi-
ma pubblicazione per la rivista del «Centro Studi di Matteo Ban-
dello» (nell’ambito del convegno dal titolo: Le mirabili istorie di
Matteo Bandello. V Convegno Internazionale di Studi, Castelnuo-
vo Scrivia-Tortona 24-25 settembre 2010) si segnala di A.M. Ca-
brini: Letteratura e cultura di corte nel Novelliere bandelliano.
32
Sulla «trasparenza» si veda il saggio di M. Mocan, La traspa-
renza e il riflesso. Sull’alta fantasia in Dante e nel pensiero medie-
vale, Milano, Bruno Mondadori, 2007, p. 140. Sull’esercizio della
filosofia come experimentum imaginationis e sull’idea di «traspa-
renza» delle immagini nella filosofia averroistica: E. Coccia, La
trasparenza delle immagini. Averroè e l’averroismo, introduzione
di G. Agamben, Milano, Bruno Mondadori, 2005.
33
Per tutti questi aspetti il rimando è ovviamente a P. Ricoeur,
Tempo e racconto, Milano, Jaca Book, 1994. Per il tema della nar-
razione della storia e dell’appropriazione del passato attraverso la
narrazione: P. Jedlowski, Il racconto come dimora. Heimat e le me-
morie d’Europa, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, pp. 18 ss.

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introduzione   25

Bandello si immerge poi nei rivoli delle diverse aggre-


gazioni familiari o nelle più sincere amicizie giovanili
(come Mario Equicola, Leandro Alberti o Niccolò Ama-
nio) o nell’ambito militare tra capitani di ventura e si-
gnori, amici e sodali di Cesare Fregoso (come il cognato
Guido Rangone o Raimondo e Francesco Torre di Vero-
na), riuscendo a far rivivere tutti i suoi ricordi, sparsi sul-
la mappa della sua formazione (Castelnuovo Scrivia, Mi-
lano, Verona, Mantova, Pinerolo, l’Aquitania) e della sua
immaginazione. La memoria dello scrittore assembla
spezzoni di altre memorie, mentre ricostruisce geografia
e storia dei suoi tanti personaggi, dedicatari compresi.
Un esempio è la novella dedicata al Castiglione, che
ricorda la tragica storia della giovane moglie di Niccolò
III d’Este, chiamata Parisina.
Lo scrittore immagina che la novella sia raccontata
da una discendente, Bianca d’Este, in occasione di un
suo soggiorno milanese in un periodo indeterminato,
probabilmentre tra il 1519 e il 1524 (si veda infra, I, 44).
La triste fine di Parisina, decapitata per volere del mari-
to a causa del tradimento con il figlio naturale Ugo, av-
viene un secolo prima (1425), ma è ricordata sotto for-
ma di novella a Milano entro un circolo novellistico cor-
tigiano che conta la presenza di una nota poetessa, Ca-
milla Scarampi, che, dopo aver raccontato varie novelle,
passa la parola a Bianca d’Este. È l’occasione, in realtà,
per agganciare alla contemporaneità il tragico esempio
di una giovane donna innamorata che si scontra con il
potere, rappresentato da un uomo più anziano (in que-
sto caso Niccolò III d’Este, noto poligamo).
È, questo, il «plot» narrativo preferito da Bandello, che
affiora più volte nelle Novelle attraverso l’infelicità della
giovane Giulietta (è la celebre novella del dittico II, 9) o
attraverso il racconto della violenza su donne indifese
(come Giulia da Gazuolo, I, 8) o più in generale della cie-
ca vendetta del più forte che proviene da un repertorio

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26   novelle

narrativo di lunga durata come dimostrano le eroine del


Decameron, da Ghismonda (IV, 1) a Griselda (X, 10).
Bandello, qui, sottopone il tragico fatto di cronaca al-
le eroine del suo tempo in una cornice dalla scenografia
tutta decameroniana, dedicata al Castiglione, maestro
del vivere cortigiano. Una vera storia prelevata dalle
cronache del tempo, dunque, viene raccontata dalla di-
scendente del marchese di Ferrara entro un circolo
umanistico femminile, che si comporta in tutto come la
«lieta brigata» del Decameron. Un tale artificio, che ruo-
ta intorno alla personalità del Castiglione, non è la sem-
plice registrazione di una situazione realmente accadu-
ta. È, piuttosto, il frutto di una rielaborazione complessa
e tutta finzionale di una memoria collettiva.
La trasparenza tra le due istanze temporali (il 1425 che
affiora nella memoria di Bianca d’Este intorno agli anni
Venti del Cinquecento) e la dimensione spaziale (la Fer-
rara del Quattrocento vista da Milano e nella contempo-
raneità dei lettori delle Novelle) costituiscono la sostanza
di questo artificio, giocato sul filo della memoria.
La narrazione è, quindi, il luogo privilegiato in cui si
sommano i tempi storici nel nuovo, trasparente tempo
del racconto bandelliano.
Forse anche per via del fascino sprigionato dal mirag-
gio del passato, rivisto nel presente di Bandello, la tragi-
ca novella di Ugo e la Parisina conoscerà altri nobili ri-
scritture tra Leopardi (L’appressamento della morte,
1816), Byron (su musica di Donizetti, 1833) e D’Annun-
zio (Parisina, 1912), su musica di Mascagni.34
Le Novelle, dunque, fingono la presa diretta di una
realtà contemporanea, che viene riproposta attraverso il

34
A. Guidotti, Scrittura, gestualità, immagine. La novella e le
sue trasformazioni visive, Pisa, Edizioni Ets, 2007, p. 58; V. Bonan-
ni, Archeologie letterarie: Balzac, Bandello e la tradizione della no-
vella, Padova, Unipress, 2005.

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introduzione   27

filtro delle moltissime fonti storiche e letterarie: la cro-


naca italiana e francese, il mondo umanistico (Pontano e
il Piccolomini tra altri citati), le fonti storiche (Guicciar-
dini fra tutti), novellistiche, trattatistiche vengono ripre-
se e rimescolate in questo repertorio del narrabile.
Il procedimento delineato per la novella di Ugo e la
Parisina è esemplare del modo di raccontare del Ban-
dello. Che la narrazione sia dedicata ad un personaggio
illustre o sia dedicata ad un personaggio dalla celebrità
più opaca, il meccanismo narrativo risulta identico.
Un altro esempio ci trasporta direttamente tra le con-
versazioni della famiglia Torre e di Cesare Fregoso, a
Verona. Siamo nella II, 10 e la dedica è a Francesco Tor-
re, mentre il narratore è Raimondo Torre.35
L’ambiente cortigiano si materializza davanti agli oc-
chi del lettore quasi come una scena teatrale: si alza il
sipario e appare uno sfondo di giardini ed eleganti con-
viti. La generosità del capitano Cesare Fregoso viene
ricordata insieme con le sue imprese militari a favore
del re di Francia Francesco I.
Il locus amoenus del Decameron, come sempre, si ma-
terializza tra i cortigiani. La sequenza degli alberi da
frutto («Quivi sono naranci, cedri, limoni, pomi granati
bellissimi, per non raccordar tante altre sorti di frutti») è
tutta letteraria e il giardino sembra magico, sospeso tra
gli dei e il Decameron («vi si gode poi l’amenità del pi-
scoso e bellissimo lago che ne l’una e l’altra sponda Po-
mona, Bacco e Flora pomposamente adornano»). Tutta-
via si ha la percezione di una testimonianza.
Cesare Fregoso e il suo gruppo di letterati e umanisti
raccontano le guerre d’Italia e le rielaborano attraverso
il filtro novellistico. Ma ecco l’«io» del Bandello che nel-
la lettera gestisce le voci della sua brigata:

35
Per la novella che accompagna questa dedica si veda più
avanti al paragrafo dal titolo: La sovversione del comico.

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28   novelle

Io mi ritirai in una molto onorata compagnia ov’era il si-


gnor Cesare, e sentii che parlavano del Decamerone del
Boccaccio e d’alcune novelle di quello, raccontando le bef-
fe fatte da Bruno e Buffalmacco al povero Calandrino e a
quel valente medico, maestro Simone da Villa. Era quivi il
gentilissimo dottor di leggi messer Lodovico Dante Aligeri,
il qual disse molte cose in commendazione del Boccaccio,
nomandolo suo compatriota, perciò che esso Aligeri, come
chiaro si sa, è disceso per linea maschile da uno dei figliuoli
del famoso e dottissimo Dante che in Verona rimase al ser-
vigio dei signori de la Scala.

Il conte Raimondo da la Torre vostro zio, uomo di molte


buone doti ornato, seguendo il parlar di messer Lodovico
narrò una piacevol novella, la quale il signor Cesare mi co-
mandò che io scrivessi. Il che avendo fatto, ancor ch’io cre-
da che piú volte voi l’abbiate udita raccontare, m’è paruto
convenevole tale quale descritta l’ho, che sia vostra.

Al Decameron Bandello, dunque, aggiunge un altro rac-


conto, vero e finto insieme, che riguarda l’attualità più
urgente, con un elogio al coraggio e alla capacità milita-
re del suo capitano.
L’«io» dello scrittore gestisce le voci narrative: pre-
senta la brigata e il narratore, lasciando l’impressione di
essere presenti alla narrazione di Raimondo Torre, di
cui Bandello si dice solo un trascrittore («egli è circa un
anno che in questo medesimo luogo il valoroso e splen-
didissimo signor Cesare che quivi con quei capitani ed
altri gentiluomini e vaghe donne ragiona, e ad un’altra
bella compagnia venuta da Vinegia fece un largo e
splendido convito). L’effetto di diffrazione temporale
tra il presente della dedica e il racconto della novella,
sovrappone i ricordi e mescola le sensazioni tra autore
(Bandello) e i suoi narratori.
È questa la finzione mirabile di un modello narrativo,
che rivive nella contemporaneità. I cortigiani recitano la

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introduzione   29

brigata di Boccaccio ma sono lo specchio di un’altra re-


altà, del tutto diversa: una realtà storica di dispersione e
di disgregazione, esattamente come è disgregato e ferito
il novelliere, smembrato in 214 novelle e in 214 dediche.
La dispersione e lo spaesamento sono nel ricordo del
narratore:

Io medesimamente tutte le volte che mi occorre veder o


sentir ragionar dei nostri de la Torre, che cacciati fuor di
Milano di cui erano signori e per l’Italia in varii luoghi di-
spersi, mantengono ancora per tutto l’antica lor nobiltà,
non posso fare che non mi rallegri, parendo pure che la na-
tura ed il sangue m’inchini e tiri ad amarli. Vedo altresì voi,
signor Cesare, onorare, accarezzare e volentier veder tutti i
vostri Fregosi che per l’Italia ne l’arte militare rappresenta-
no il valore dei vostri antichi.

Prima ancora della novella si apre questo nuovo raccon-


to, che si muove tra i fumi e i fragori della guerra. Le
armi si incontrano con le muse ed in questa finzione an-
che il capitano Fregoso recita il Decameron.
Memoria, mirabile e «istoria», dunque, organizzano
l’impaginazione del narrare bandelliano. Una «mirabile
istoria» che fa rivivere l’incanto del Decameron in un
giardino rinascimentale o in un accampamento militare
o in un chiostro. E che è capace, infine, di trasformare un
capitano in un uomo narrativo.
Più volte Bandello si sofferma sulla necessità di tra-
mandare la memoria pulviscolare dei tanti avvenimen-
ti di un mondo contemporaneo, sempre più confuso,
privo di struttura, contraddittorio, irrazionale e disor-
dinato.36
Si afferma così una narrazione senza cornice e sen-

36
D. Maestri, Il filtro del tragico: fatti di guerra e di cronaca nera
nelle dedicatorie di Bandello in «Matteo Bandello», 2, 2007, pp.
213-230.

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30   novelle

za decima giornata, che sono i luoghi incantati dell’im-


maginario decameroniano dove una ristretta cerchia
di intellettuali (l’élite culturale della lieta brigata) so-
gna un nuovo ordinamento sociale sopravvissuto alla
Morte.37 Le guerre d’Italia, invece, hanno trasformato
l’ars narrandi e hanno modificato l’asse novellistico: il
potere della parola ornata è minacciato dagli altri po-
teri. Raccontare un mondo straziato dai conflitti fran-
co-spagnoli significa per Bandello prestare la propria
voce a tutte le «altre voci» e a tutte le narrazioni pos-
sibili di cortigiani e cortigiane, di poeti e poetesse ma
anche di frati, capitani e soldati che non si illudono di
riuscire a intervenire positivamente sulla realtà che li
circonda.
Le Novelle, dunque, sono il risultato narrativo delle
guerre d’Italia. Sono i «mille accidenti», i frammenti
sparsi e gli spaesamenti di uno scrittore che racconta la
propria storia nel susseguirsi di tante «istorie» senza sa-
pere come andrà a finire.

Favola o istoria?

Due fondamentali momenti della vita dello scrittore se-


gnano l’impianto teorico della raccolta. Una prima fase
milanese, collocata nei primissimi anni della sua forma-
zione, va dalla riscrittura in latino della novella di Boc-
caccio (la Titi Romani Aegisippique Atheniensis amico-
rum historia in latinum, 1509) alla novella di Seleuco,
contenuta nel dittico II, 55, ambientata durante il perio-
do sforzesco, in cui è al servizio di Ippolita Sforza e
Alessandro Bentivoglio (cfr. infra, Breve vita di Matteo

37
G. Bàrberi Squarotti, Il potere della parola: studi sul Decame-
ron, Napoli, Federica&Ardia, 1983; M. Picone, Il principio del no-
vellare: la prima giornata in Introduzione al Decameron, cit., p. 64.

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introduzione   31

Bandello). È la fase umanistica che costituisce la base


delle trame novellistiche legate ad una narratio colta,
pedagogica e sapienziale. Il Decameron viene riletto con
l’interesse dell’umanista e del predicatore, come dimo-
strano i due dittici-chiave per la poetica dello scrittore: I,
29 e II, 59.
Il primo dittico (I, 29) è un esempio di conversione
alla novellistica di temi patristici. Ambientato presso la
corte dei Gonzaga di Gazzuolo dimostra l’abilità del
Bandello nel trasformare un tema, assai frequentato nel-
le opere dei Padri della Chiesa e importantissimo per la
cultura monastica – il multiloquio, la verbositas ossia un
aspetto del più articolato peccato della lingua – nelle for-
me retoriche della conversazione cortigiana. Una riela-
borazione compiuta a cavallo di due diversi generi lette-
rari (la lettera di dedica e la novella) sulla scorta di alcuni
passi patristici e di alcune immagini tratte dalle prediche
di Bernardino da Siena, tenute sul Campo di Siena nel
1427. Il breve racconto, che giunge a coronamento della
predica bandelliana sul multiloquio, subisce una ulterio-
re metamorfosi da exemplum a facezia (cfr. infra, I, 29).
Il secondo dittico (II, 59) presenta una lettera di dedi-
ca in cui un gruppo di cortigiani riflette sul Decameron e
una novella comico-grottesca la cui rubrica recita:
«Sciocca semplicità d’un tedesco che avendo mandato il
padrone a Corneto glielo manifesta con sue sciocche pa-
role». La lettera ambientata tra il 1520 e il 1525 è la di-
scussione fra cortigiani sull’apparizione fantastica del
personaggio decameroniano Nastagio degli Onesti, in
cui si nota l’interpolazione di testi umanistici quattro-
centeschi, ma che rivela l’interesse teorico del nostro
scrittore per un dibattito ancora tutto aperto sulla dico-
tomia tra «favola» e «istoria» o sul racconto menzogne-
ro (la visione) e il racconto veritiero. La novella, invece,
è una caricatura della frenesia sessuale mediante un re-
pertorio stilistico dell’osceno che si contrappone non

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32   novelle

solo alla stessa dedicatoria ma allo spazio mentale sa-


pienziale e umanistico dell’intera raccolta.
Questo periodo di formazione, suggellato dalla no-
vella-proemio dedicata a Ippolita Sforza (I, 1) giunge a
maturità nel 1528, anno in cui Bandello diventa segreta-
rio di Cesare Fregoso.
Un altro fulcro creativo, ricavabile da una serie di
testi di tipo teorico, sembra collocarsi dopo il 1542, a
Bazens. È il momento della riflessione e della raccolta
delle novelle per la stampa, che avviene per le prime
tre parti nel 1554. In questo arco temporale lo scritto-
re, giunto nelle terre d’Aquitania, porta a termine il
lavoro cominciato in Italia, che ricorda come una pri-
ma parte della vita rocambolesca, vissuta tra il chio-
stro, le corti e gli accampamenti militari di Pinerolo
(cfr. infra, Dedica ai Lettori della Prima Parte, Dedica
ai Lettori della Seconda Parte e Dedica ai Lettori della
Terza Parte).
Il dittico II, 24, per la sua collocazione temporale, rap-
presenta molto bene questa seconda fase. Ambientata a
Bazens, la lettera è dedicata a Costanza Fregoso, mentre
il narratore della novella è Giulio Cesare Scaligero.
Nella dedica Bandello afferma che la novella è stata
raccontata subito dopo il suo arrivo a Bazens e, verosi-
milmente, prima della morte di Margherita di Navarra
(avvenuta nel 1549). Tuttavia proprio per la natura cele-
brativa del nuovo circolo culturale francese, in cui si
esprimono due voci narranti d’eccezione (lo Scaligero e
Margherita di Navarra), nessun elemento testuale esclu-
de che il dittico sia stato scritto anche dopo (quindi do-
po il 1541 e in una data più vicina alla stampa del 1554)
e, comunque, al di fuori della registrazione in «tempo
reale» di una conversazione narrativa cortigiana. Le fi-
nalità strettamente poetiche, che chiariscono i principi
del novelliere (la varietà dei casi, la necessità della me-
moria, il valore esemplare del narrare e il gioco tra veri-

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introduzione   33

tà e finzione), conferiscono a questo dittico una funzio-


ne di mediazione e di collegamento tra un prima e un
dopo. (cfr. infra, II, 24).
Ad ogni modo in questa seconda fase è riconoscibile
una più matura ripresa dei temi di teoria poetica, favori-
ta dal contesto culturale francese che, proprio in quegli
anni, estendeva le proprie indagini alla cronaca, alla sto-
riografia ed al rapporto tra poesia ed etica, di cui Ban-
dello, umanista italiano, si era nutrito fino a quel mo-
mento. In generale si è trattato di uno scambio proficuo
e di una verifica, in terra francese, delle proprie convin-
zioni poetiche, tanto più consolidate in umanisti come
Giulio Cesare Scaligero o come Jean Bouchet, il rhétori-
queur autore degli Annales d’Aquitaine, opera esplicita-
mente citata nella IV, 15.38
Queste due fasi coincidono, come è naturale, con la
biografia dello scrittore (cfr. infra, Breve vita di Matteo
Bandello), ma nelle quattro parti delle Novelle sono me-
scolate tra loro. Difficile, quindi, non cadere nella sua
trappola finzionale che nella disseminazione dei 214 dit-
tici nelle Quattro Parti ama confondere e sovrapporre
testi e contesti spazio-temporali.
Prima di tutto, infatti, Bandello finge.
Finge una forma epistolare catturata nel vivo della
storia. Finge una forma di narrazione cortigiana, regi-
strata nella sua dimensione orale. In questa vera e pro-

38
Sul circolo francese si vedano: G. Mazzacurati, Giulio Cesare
Scaligero e l’istituzione del poeta in La circulation des hommes et
des oeuvres entre la France et l’Italie à l’époque de la Renaissance.
Actes du Colloque International (22-24 novembre 1990), Paris,
Université de la Sorbonne Nouvelle, 1992, pp. 149-164; G. Patrizi,
Retoriche antierasmiane: Bandello e Scaligero, in Du Pô à la Ga-
ronne. Recherches sur les échanges culturels entre l’Italie et la Fran-
ce à la Renaissance. Actes du Colloque International (Agen 26-28
septembre 1986), Agen, Centre «Matteo Bandello», 1990, pp. 127-
143.

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34   novelle

pria arte della finzione Bandello prosegue, a suo modo,


la strada segnata da Boccaccio nel XIV Libro delle Ge-
nealogie con la messa a punto di una tassonomia termi-
nologica del «gioco» narrativo. I termini della questione
intorno ai quali ruota la poetica della narrazione fin dal-
le origini e, quindi, anche nelle Genealogie sono fabula e
historia.
Per Boccaccio fabula è conversazione, narrazione
orale, dialogo o scambio: ha origine da for-faris e si col-
lega a confabulazione, termine che spiega con un altro
lemma significativo: collocutio.39 Locutio è potenzialità
linguistica e comunicativa, unico e vero terreno di in-
contro tra veritas e fictio. Fabula, dunque, è una facoltà
immaginativa della locutio, che crea fictiones cioè illu-
sioni.40
La fictio bandelliana, che dà vita al dittico narrativo,
nasce sulla soglia della confabulatio, intesa in questo ca-
so come conversazione cortigiana. È l’idea di mettere
per iscritto il sentito dire come prova incerta e difettosa
dell’esistenza reale di episodi, forse realmente avvenuti,
e di fatti curiosi o novità che alimentano la varietà del
mondo, vissuto e immaginato.
Il racconto novellistico, sospeso tra i poli teorici ora-
ziani dell’utile e del dilettevole, è un genere di incerta
codificazione, proprio perché i principi poetici sottesi

39
«Fabula igitur ante alia a for faris honestam sumit originem
et ab ea confabulatio, que nil aliud quam collocutio sonat» (Gene-
alogie, XIV, IX, § 4). Per un’analisi dei passi rimando al mio: Boc-
caccio e la fictio in «Studi sul Boccaccio», XXXVIII, 2010, pp. 69-
87.
40
Come è stato notato da molti commentatori, Boccaccio si
serve della terminologia classica latina di Cicerone (De inventio-
ne, I, 19, 27), Quintiliano (Institutio oratoria, IV, II, 31), Orazio (De
arte poetica, vv. 333-334) e della Rhetorica ad Herennium (I, VIII,
13) per superare le convenzioni e i precetti della retorica medie-
vale.

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introduzione   35

(historia e fabula, cioè verità e finzione) cambiano a se-


conda della ricezione dell’interpres.41
Anche Bandello dissemina nelle lettere di dedica ri-
flessioni teoriche, come si è già visto nella lettera dedi-
catoria II, 59, concentrandosi sul rapporto tra verità del-
la storia raccontata e la sua trasformazione finzionale.
Lettera e novella, infatti, si presentano come la tra-
scrizione veritiera e fedele del sentito dire. Ma ciò che
Bandello scrive è il frutto di un’ondivaga trasmissione
di memorie: la sua, quella dei narratori e quella dei let-
tori che, insieme, ricreano ambienti, personaggi e azioni
tra la verità della «istoria» e la sua finzione. Sono, come
dice, «ragionamenti piacevoli e di leggera speculazione»
ricordati con verosimiglianza, categoria del narrare rica-
vata dall’«istoria» o racconto veritiero e dal «mirabile»
o racconto che stupisce per la sua «enormità» o eccezio-
nalità. I termini della finzione narrativa bandelliana
vengono, più o meno, presentati così dallo stesso autore:
la storia è ricca di «casi strani e mirabili» che sono acca-
duti e che sono veri, nonostante a volte appaiano inve-
rosimili o addirittura «favole».
Il limite è la menzogna: per Bandello, dunque, «favo-
la» si riveste di una connotazione prevalentemente di-
spregiativa o canzonatoria in quanto falsità (si veda ad
esempio infra il commento alla III, 10).42 L’antica ambi-

41
Sulle Confabulationes del Bracciolini si veda ancora Mazza-
curati, Giulio Cesare Scaligero, cit., p. 110. Sulla complessa defini-
zione di fabula in Codro e sull’universo della narratio rispetto alle
questioni sollevate è sempre di riferimento G. Anselmi, Le frontie-
re degli umanisti, Bologna, Clueb, 1988, p. 47.
42
L’ambivalenza del termine – scaturigine di tutte le accuse di
immoralità e di falsità nei confronti delle «favole» o delle finzioni
dei poeti – è alla base dell’evoluzione della parola fabula in rela-
zione a historia dalla Chanson de geste al romanzo barocco. Si ve-
da: S. Sarteschi, Valenze lessicali di “novella”, “favola”, “istoria”
nella cultura volgare fino a Boccaccio in Favole, parabole, istorie,

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36   novelle

guità tra finzione e menzogna si riattiva in modo decisivo


su questo termine, che in Bandello perde la più ampia
connotazione boccacciana di una facoltà immaginativa
creatrice di illusioni poetiche, radicalizzandosi nel signi-
ficato negativo di invenzione falsa.43
La trascrizione delle conversazioni e delle novelle de-
ve quindi avvenire entro i limiti consentiti dalla «vera
istoria» che chiama esattamente «istoria adornata» (cfr.
infra commento alla I, 51), un’espressione che, non a ca-
so, diventerà un marchio nei romanzi del Seicento e del
Settecento, come si può notare, tanto per fare un esem-
pio tra molti, nel frontespizio dell’Heroina intrepida del
Frugoni, in cui si legge: «historia curiosissima del nostro
secolo, adornata da Francesco Fulvio Frugoni, 1673».
La verità della «istoria», sulla scorta della categoria
del «possibile» prelevata dalla Poetica di Aristotele, è di
primaria importanza per la credibilità di ciò che raccon-
ta. Nella dedica alla trentacinquesima novella della se-
conda parte, ambientata a Bazens, lo scrittore afferma

cit., pp. 85-108. Sulla «realtà di paradosso, costituzionalmente ibri-


da» dell’historia fabularum si veda l’Introduzione di G. Brunetti al
numero 45 di «Francofonia» (Autunno 2003) dedicato al tema
Memoria, storia, romanzo. Intersezione e forme della scrittura
francese medievale (la citazione è a p. 11).
43
Sui passi delle Genealogie sono sempre di riferimento gli stu-
di di L. Battaglia Ricci e in particolare: «Una novella per esempio».
Novellistica, omiletica e trattatistica nel primo Trecento in «Studi
sul Boccaccio», XXVIII, 2002, in partic. p. 123. Si vedano inoltre le
riflessioni di C.Villa nella Discussione dal titolo Dante e il mondo
classico in Seminario dantesco Internazionale International Dante
Seminar 1. Atti del primo convegno tenutosi al Chauncey Confe-
rence Center, Princeton, 21-23 ottobre 1994, a c. di Z.G. Baranski,
Firenze, Le Lettere, 1997, p. 141. Si veda infine: M. Palumbo, Fin-
zione e verità del racconto in La letteratura e la storia. Atti del IX
Congresso Nazionale dell’ADI, Bologna-Rimini 21-24 settembre
2005, a c. di E. Menetti e C. Varotti, volume 1, Bologna, Archetipo-
libri, 2007, pp. 207-223.

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introduzione   37

che un fatto accaduto «ancor che paia una favola» deb-


ba essere comunque raccontato; soprattutto se il caso
mirabile è stato raccontato da «persona degna di fede»
(cfr. commento infra, II, 35).
Nelle Novelle, dunque, Bandello definisce la via del
romanzo moderno, mettendo alla prova un verosimile,
che nasce dall’innesto del mirabile sulla istoria. La realtà
storica, in definitiva, viene collocata dallo scrittore tra i
confini incerti del «probabile» e del «possibile», senza
rinunciare al mirabile.44 Egli comincia, quindi, a speri-
mentare e a teorizzare l’illusione del vero storico me-
diante la studiata contaminazione del mondo storico
con il mondo finzionale. Il mirabile della quotidianità (e
quello della tradizione novellistica) è il terreno di prova
della sua credibilità.
All’altezza delle sue vere e mirabili istorie non è la
pura divagazione fantastica la meta ambìta del narrato-
re. Ma è una verosimiglianza mirabile, che risulta più
credibile se consente la riflessione morale e umanistica
sui casi della vita. E diventa credibile rappresentando
un contesto in cui i testimoni – che sono personalità sto-
riche – coincidono con i personaggi di finzione nella
narrazione della lettera di dedica.
Il livello di verità del mirabile tra il vero della «isto-
ria» e il falso della finzione si attesta, ancora una volta,
nella libertà interpretiva di ogni lettore.
Nella III, 1 Bandello scrive a Genevra Bentivoglio e
le rivela uno strano caso avvenuto a Milano, che aveva
sentito raccontare da suo cugino, considerato natural-
mente «uomo degno di fede». È il racconto di una stra-

44
La continuità di queste riflessioni bandelliane si estende dal
Tasso al Manzoni. Tasso definisce un «obligo perpetuo» per il poeta
«servare il verisimile», mentre Manzoni riprende il filo del discorso
con i suoi «componimenti misti»: S. Zatti, L’ombra del Tasso. Epica
e romanzo nel Cinquecento, Milano, Bruno Mondadori, 1996.

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38   novelle

na ossessione amorosa, finita con l’amante sepolto vivo,


che, come il personaggio boccacciano di Andreuccio da
Perugia, riesce poi a scamparla. Anche in questo «caso»
la verità si perde nel gioco prospettico del sentito dire e
delle molte voci in campo: tra narratori, ascoltatori, let-
tori e scoperte intertestualità. Ad ogni modo, Bandello
scrive a Ginevra che si può anche non credere alla verità
di quanto è stato raccontato. Ma che alla fine «quando
una cosa può essere, io non istarei mai a questionare
ch’ella non fosse stata; onde i filosofi hanno una regola:
che ogni volta che sia proposta un caso possibile, che
quello si deve accettare».
Il rapporto tra fictio e veritas viene mantenuto saldo
dalla presenza normativa della lettera di dedica, che è
una finzione verosimile di un’epistola cortigiana e vale
come attestazione di veridicità. Attraverso lo schema
del sentito dire Bandello amplia notevolmente il venta-
glio del più classico argumentum verso una nuova idea
di verosimiglianza, dove l’universo finzionale contami-
na l’universo storico che vi è sotteso.45
Il racconto di Bandello, erede di una lunga rielabora-
zione umanistica, si complica di avventure, di casi d’amo-
re violenti e tragici che si dirigono verso soglie impensa-
te, paradossali, assurde e, a volte, poco credibili dei tanti
personaggi delle sue novelle.
Lo straordinario nasce così dall’ordinario e mutevole
svolgimento della vita.
La sfida lanciata da Bandello ai suoi lettori è legitti-
mare questa illusione, che nasce dalla palese falsificazio-
ne dei «documenti» storici. Attraverso le dediche Ban-

45
Sulla ricaduta terminologica di questa nuova ars narrandi e
sull’ambiguità semantica dei termini «istoria» e «novella» si ri-
manda al recente saggio di S. Carapezza: Aspetti metaletterari delle
lettere dedicatorie in «Matteo Bandello. Studi di letteratura rina-
scimentale», n. III, 2010, pp. 201-243 e in partic. p. 208.

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introduzione   39

dello attira la finzione nella moltiplicazione dei dati sto-


rici, più o meno comprovati. I Bentivoglio, i Fregoso, i
Gonzaga e tutti i dedicatari delle Novelle sono esistiti
ma nelle dediche interagiscono con situazioni e perso-
naggi totalmente inventati.
Bandello finge la verità e gioca a tutto campo con la
finzione: accorpa testi della tradizione patristica per co-
struire una dedica sul multiloquio (cfr. infra, I, 29), prende
in prestito passi di Marsilio Ficino per disquisire su umori
e sentimenti (cfr. infra, II, 47), gioca sul filo della memoria
tra il 1497 e il 1550 con l’episodio di Leonardo da Vinci,
rappresentato come narratore spontaneo, quando invece
la novella è un vero e proprio collage testuale della vita di
Filippo Lippi scritta dal Vasari (cfr. infra, I, 58).46
In un simile contesto, infine, persino un personaggio
inventato è esemplarmente vero: l’Agilulfo del Decame-
ron (III, 2) diventa un esempio di saggezza come se vita
e letteratura si unissero in un sodalizio inestricabile nel-
le parole del dottissimo Scaligero, poco sopra ricordato:
«se questo barone e la donna sua avessero letta o udita
la novella d’Agiluffo, certamente non incorrevano in
tanti inconvenienti come fecero, perché si sarebbero
d’un’altra maniera governati» (cfr. infra, II, 24).
Bandello scrive «istorie» mirabili e realistiche insie-
me: presenta le circostanze e persino i testimoni non so-
lo del caso narrato ma della stessa condizione della reci-
tazione narrativa.47

46
A. Mauriello, Artisti e beffe in alcune novelle del ’500 (Lasca,
Doni, Fortini) in «Letteratura e arte», 3, 2005, pp. 81-91. Sulla da-
tazione di questo dittico si rimanda all’intervento di E. Mattioda
(Bandello e le arti figurative) al convegno del «Centro Studi Mat-
teo Bandello e la cultura rinascimentale» (Le mirabili istorie di
Matteo Bandello), cit.
47
Tutte queste riflessioni hanno come punto di riferimento
l’imprescindibile studio di Auerbach sul realismo nella letteratura
occidentale: E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura oc-

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40   novelle

A questo apparato complesso di testimonianze aggiun-


ge una certificazione di verità. È la ripetuta e formulare
richiesta a tutti i suoi dedicatari di fare da scudo contro
chi solleva dubbi sulla verità di quanto va raccontando.
La richiesta di un sigillo di verità è una vera e propria
formula, che chiude quasi ogni lettera. Così ad esempio
si congeda dall’amico Sigismondo della Torre: «Vi pia-
cerà adunque, essendo alcuno che dicesse non esser così,
con l’autorità vostra far a la mia scrittura scudo». Un si-
gillo che serve a legittimare l’universo di finzione delle
sue invenzioni nella speranza, alla fine, di essere creduto
come fedele testimone di un mirabile sentito dire.
Tra le alchimie teoriche bandelliane (e nella fram-
mentazione confusa delle novelle) nasce il nucleo del
romanzo storico europeo come luogo dell’immaginario
in cui stipulare il miglior patto narrativo tra racconto in-
ventato (e falso) e vero storico, che dopo secoli di incu-
bazione germoglierà nelle opere di Scott, Stendhal, Bal-
zac e del nostro Manzoni.48

La sovversione del comico

Bandello sa introdurre questioni morali come un predi-


catore ma può raccontare come un giullare.
Ars praedicandi e tecnica giullaresca si mescolano in
una felice commistione istrionica tra le dotte riflessioni

cidentale, voll. I e II, Torino, Einaudi, 1956; in particolare per que-


sto argomento si vedano nel volume I le pp. 152-153. Sul tema del-
le trasformazioni del racconto storico nella letteratura d’invenzio-
ne si veda in particolare di A. Battistini, Verità storica e sua iperbo-
le letteraria in Confini dell’umanesimo letterario. Studi in onore di
Francesco Tateo, a c. di M. De Nichilo, G. Distaso, A. Iurilli, Roma,
Roma nel Rinascimento, 2003, vol. II, pp. 101-114, p. 105.
48
Cfr. A. Cadioli, La storia finta. Il romanzo e i suoi lettori nei
dibattiti di primo Ottocento, Milano, Il Saggiatore, 2001.

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introduzione   41

del chiostro, della corte ed i rumori più scomposti della


piazza. Lo scrittore riesce a sfruttare le tecniche retori-
che sermocinali, che traduce in conversazione cortigia-
na, senza rinunciare all’invenzione linguistica della cul-
tura carnevalesca e grottesca popolare, tipica della reci-
tazione giullaresca.49
Lo spazio del narrare bandelliano è ampio tanto
quanto la sfera dell’oralità che viene catturata. Nelle
Novelle si mescolano voci difformi, prelevate dal pulpi-
to, annotate nella corte o rubate nella piazza.
L’osmosi linguistica con il mondo circostante innesca
una naturale metamorfosi della morfologia stilistica e
lessicale di questo scrittore di novelle, itinerante e in-
quieto.50
Essere «lombardo» per Bandello significa marcare
una differenza di libertà espressiva rispetto alla tradi-
zione toscana, che tuttavia conserva e riusa nella sua vi-
vace sperimentazione linguistica.51

49
Fondamentali le suggestioni tratte dal saggio di C. Delcorno,
Professionisti della parola: predicatori, giullari, concionatori in Tra
storia e simbolo. Studi dedicati a Ezio Raimondi, Firenze, Olschki,
1996, pp. 1-21. Sulle tangenze tra la novellistica e la prosa sermoci-
nale è di riferimento: Letteratura in forma di sermone. I rapporti
tra predicazione e letteratura nei secoli XIII-XVI, a c. di G. Auzzas,
G. Baffetti, C. Delcorno, Firenze, Olschki, 2003.
50
La capacità di metamorfosi della novella come una «colonia
di spugne» è analizzata da G. Mazzacurati, Dopo Boccaccio: per-
corsi del genere novella dal Sacchetti al Bandello in All’ombra di
Dioneo, cit., p. 88.
51
Cfr. M. Pozzi, Novella, trattato e cronaca in Matteo Bandello
in“Leggiadre donne…”Novella e racconto breve in Italia, a c. di F.
Bruni, Venezia, Marsilio, 2000, in partic. p. 88. Così A.Ch. Fiorato
sullo stile irregolare apuleiano: «et, alors que le poétiques de l’épo-
que portent plus que jamais au pinacle la rhétorique de Cicéron,
Bandello prend la défense du style “irregulier” et fleuri d’Apuléè et
de l’écriture prolixe et négligé de Tite-Live, des provinciax comme
lui» (A.Ch. Fiorato, Présentation in Bandello, Nouvelles, cit., p. 55).

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42   novelle

L’ostentata modestia nei confronti della propria com-


petenza retorica è, in realtà, una presa di posizione nei
confronti del progetto linguistico avanzato da Pietro Bem-
bo nelle Prose della volgar lingua (1525). Se la novella è
specchio della vita reale, la lingua deve aderire al tema
trattato e all’ambiente, cambiando a seconda del conte-
sto.
Parlando delle belle donne milanesi lo scrittore nota
che «il parlar milanese ha una certa pronunzia che mira-
bilmente gli orecchi degli stranieri offende. Tuttavia elle
non mancano con l’industria al natural diffetto supplire,
perciò che poche ce ne sono che non si sforzino con la
lezione dei buon libri volgari e con il praticare con buo-
ni parlatori farsi dotte, e limando la lingua apparare uno
accomodato e piacevole linguaggio». È un’osservazione
che coglie assai bene il processo di trasformazione lin-
guistica nella cultura milanese, e in questo caso femmi-
nile, di quegli anni.
Bandello, come Manzoni più tardi, cerca una nuova
lingua letteraria che corrisponda alla geografia linguisti-
ca dell’Italia settentrionale. Una lingua che sia in osmosi
con la realtà viva della contemporaneità e che trattenga
liberamente l’eredità della tradizione letteraria e uma-
nistica toscana.
L’impegno stilistico bandelliano punta soprattutto
sull’invenzione e sulla sorpresa, che si realizza in modo
particolarmente vivo ed originale nel registro comico e
grottesco e nell’impiego caricaturale di alcune espres-
sioni popolari, di natura iperbolica.
L’aspetto più sperimentale della prosa bandelliana si
rivela, infatti, negli estremi. Mentre nelle lettere di dedi-
ca il registro è nel complesso elegante, dotto e umanisti-
co, nelle novelle si dispiega una festosa ricchezza lessica-
le popolare, che a volte entra volutamente in contrasto
con la prima, come si è già visto nella II, 59.
Sono le novelle più irriverenti, comiche e grottesche a

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introduzione   43

rivelare la straordinaria varietà linguistica di Bandello


in cui l’irregolarità sintattica si associa alla simulazione
del parlato. La ricerca di fonti linguistiche popolari, ver-
nacolari ed eterolinguistiche si avventura coraggiosa-
mente nel sottosuolo interiore, nei trivialismi e nelle
metafore sessuali più ardite e divertenti.
Alla moglie del Castiglione (Ippolita Torelli) Bandello
dedica una delle novelle più audaci del novelliere: la II, 2.
Nella novella le minacce di don Faustino, il celebre autore
della beffa del grifone per godere della sua «inzuccherata
Orsolina», è vivacissima e ricca di movimento. Resta im-
pressa nei lettori la scena dei fedeli che in chiesa si scam-
biano occhiate amorose (resa comica dagli «occhi levati»
che vanno «in qua e in là» e dalla metafora verbale, «ba-
lestrare»), mentre l’infingardo predicatore promette di
svergognarli tutti e di convincerli ad un più consono com-
portamento, minacciando di colpirli con il messale, il bre-
viario, e persino con la croce ed i candelieri:
«Io v’avviso, figliuoli miei,» diceva egli «che il primo che io
in chiesa vedrò con gli occhi levati andar in qua e in là bale-
strando, io a la presenza di tutti lo svergognerò e gli trarrò
nel capo o messale o breviario che in mano averò. Non ri-
sparmierò la croce, non candelieri, né ciò che a le mani mi
verrà, così vi veggio scostumati e mal viventi».

Tutta la beffa di Faustino si regge sulla ambivalenza


grottesca del grifone che si collega alla metafora sessua-
le di natura folclorica: «becco duro e forte» e «beccare».
Qui l’allegoria del grifone, prelevata da uno spaventoso
sermone di san Bernardino da Siena, viene rovesciata e
rinnovata comicamente dal linguaggio metaforico tri-
viale di origine popolare (cfr. commento infra, II, 2).
Il registro basso-comico bandelliano è ricco e variegato,
robustamente costruito su desinenze accrescitive del cor-
po erotico maschile («pendolone», «il Marcone») o fem-
minile («pelliccione») e su sicure riprese metaforiche de-

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44   novelle

cameroniane (il «diavolo in inferno», il «pivuolo», il «mor-


taio», il «pestello»).52 Il linguaggio equivoco delle novelle
erotiche è tutto un fluire di metafore che si ancorano a
diversi campi del vivere quotidiano e che provengono an-
che da una tradizione metaforica e lessicale popolare, già
registrate da altri novellatori post-boccacciani come Sac-
chetti, Masuccio Salernitano, Sercambi e Sermini.
Diffuse nelle Novelle le metafore equine («cavalcare
per lo piovoso» II, 11; «dare un pasto al cavallo» con le
relative razioni di fieno, «provenda»), le metafore della
macina e del mugnaio e tutte quelle relative al giardino,
dal corpo della donna (un giardino che si coltiva o si an-
naffia) a quello dell’uomo (il «guardiano degli orti»).
Queste incursioni comiche e caricaturali, che riguar-
dano la sfera sessuale, si sommano ad altre che proven-
gono dall’espressività stilistica tipica delle prediche.
Tra il giullare e il predicatore si crea un’alleanza
espressiva che, al di là dei temi ovviamente differenti, si
riconosce nella concezione concreta, viva e festosa della
parola.
Anche i frati raccontano novelle.
Nella dedica III, 12 (cfr. infra) lo scrittore ricorda una
gita nei dintorni di Napoli nell’estate del 1506, poco pri-
ma della morte dello zio, Vincenzo Bandello, Maestro
Generale dell’ordine dei domenicani dal 1501. È con al-
tri domenicani, fra i quali Eustachio Piatesio, noto teo-
logo domenicano e, a detta di Matteo, anche buon nar-
ratore. I frati si muovono ovviamente nella cornice del
Decameron, mentre si raccontano piccole storie per pas-
sare il tempo. Tra queste storie Bandello ne ricorda una
dall’argomento spinoso: riguarda l’acceso dibattito teo-

52
Sempre di riferimento il saggio di V. Branca, Espressivismo
linguistico come contemporaneizzazione e straniamento in Boc-
caccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze, Sansoni,
1986.

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introduzione   45

logico tra francescani e domenicani sulla Concezione di


Maria. Il dittico è la trasformazione in novella di un
«conflitto disputatorio», che viene rappresentato come
una divertente e surreale gara tra predicatori che si con-
tendono l’uditorio in merito al concepimento della ma-
dre di Gesù.
Nella I, 35 (cfr. infra) un predicatore è descritto come
«molto appariscente, grande di persona e bello di viso e
d’aspetto tutto ridente e giocondo» e, infine, molto amato
dal pubblico femminile («era chiamato il bel predicator de
le donne»). Qui viene analizzato, in particolare, il carattere
istrionico dei predicatori che si misura soprattutto nella lo-
ro vivacissima gestualità: «sapete esser la costuma di questi
predicatori quando sono là su, far più atti che non fa una
bertuccia, ed ora voltarsi a destra ed ora a sinistra con i più
sconci gesti del mondo». Si comportano quasi come scim-
mie e sembrano piuttosto «giocolatori che frati, con un
batter di mani e di piedi che fa fuggir i cani fuor di chiesa».
La mimica era un aspetto peculiare non solo dei giullari
ma anche dei predicatori, in particolare francescani, e non
a caso il domenicano Bandello sceglie un celebre buffone
per ridere delle pratiche gestuali dell’ordine dei Minori.53
Nella IV, 20 (cfr. infra) il Gonnella, buffone della cor-
te di Niccolò III d’Este e già personaggio delle novelle
del Sacchetti, riesce a trasformare una solenne proces-
sione di frati minori nel giorno del Corpus domini in
uno spettacolo comico. Cospargendo di liquido irritante
il luogo dove i frati «a suono di nachere rendeno ogni
ora il loro tributo» (e cioè nelle latrine) riesce a conta-
minarli al punto che la solenne processione si trasforma
in una irresistibile sfilata di istrioni e di giullari, poiché i
poveri frati non possono camminare senza grattarsi con-
tinuamente le «parti deretane» davanti a tutti.

53
J.C. Schmitt, Il gesto nel Medioevo, Bari, Laterza, 1990.

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46   novelle

Come si può notare da questi esempi il capovolgi-


mento del sacro nel profano avviene attraverso una pro-
fonda conoscenza delle tecniche espressive sermocinali,
dalla verbosità ingannevole al «conflitto disputatorio» e
dalla gestualità alla riscoperta del corpo.
Con il personaggio di Gonnella lo scrittore sperimen-
ta la prosa vernacolare mediante il ricorso ad un espres-
sivismo forte, di marca «bassa» e popolare che prende il
sopravvento e si amplia a dismisura fino a diventare una
vera e propria esplosione di corpi e di umori. Gonnella è
il buffone di corte per eccellenza: divertentissimo e tut-
tavia malinconico, muore di spavento per una contro-
beffa del suo signore.
Antieroe dell’immaginario folclorico e popolare, il
buffone pianifica un’altra beffa , questa volta contro lo
stesso marchese, incentrata sulle feci, sul ventre e sulla
carnevalesca immagine dell’uomo di potere colpito in
modo irriverente e dissacrante nella sua gravità e auto-
revolezza gerarchica.54
Nella notte in cui si consuma l’ultimo atto della beffa,
il medico si trova a dormire a «panza in su», russa rumo-
rosamente («sornacchiava») a bocca aperta. Gonnella,
aiutato da certe pillole lassative, con un «gran rimbombo
di ventre» gli scarica il «mal tempo sul viso», facendo ca-
dere più di «sette dramme» in bocca al malcapitato. La
«lordura» in cui si ritrovano i due beffati (il medico e il
marchese) diventa l’argomento principale della narra-
zione (cfr. infra, IV, 23).
Il turpiloquio e, in generale, il lessico colorito e «bas-
so» sostengono il racconto di beffa, che tende a divertire
il pubblico non tanto per la furbizia del buffone di corte
ma, piuttosto, per le situazioni caricaturali, eccessive e,

54
Di riferimento, ovviamente: M. Bachtin, L’opera di Rabelais
e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medie-
vale e rinascimentale, Torino, Einaudi,1979, pp. 343-348.

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introduzione   47

sostanzialmente, da taverna che contiene. L’oscenità,


portata all’eccesso, deve stupire e divertire.
Il Carnevale invita alla sovversione. E così nella II, 48
(cfr. infra) l’amato narratore Filippo Baldi, ospite a Ba-
zens, racconta una «faceta novella» in osservanza del
periodo che richiede «giuochi festevoli e parlari piace-
voli». Una prostituta, ospite nella cella di un frate, si rin-
fresca, per sbaglio, il viso con una ampolla di inchiostro,
imbrattandosi tutta di nero. Il frate, che si era assentato
per la preghiera del mattino, tornato nella sua cella si
trova di fronte ad «un demonio infernale» e, terrorizza-
to, chiama tutti i confratelli a raccolta per fare un esorci-
smo, salvo poi scoprire il comico equivoco.
Tutta la novella è costruita sulle azioni insensate dei
«fratacchioni», che si avvicinano alla donna recitando sal-
mi e orazioni, e sulla dinamica viva e teatrale della loro
fuga di fronte allo stupore della donna, che cerca in tutti i
modi di farsi riconoscere. Alla fine, capito l’inganno, i fra-
ti aiutano la giovane a lavarsi in un’atmosfera di gioiosa
sensualità («con acqua fresca e sapone tanto la lavarono
e fregarono che ella tornò bianca come prima»). La fine,
allegra e spensierata, si realizza nel totale rovesciamento
di ogni regola conventuale e nel sovvertimento dei ragio-
namenti cortigiani e umanistici sul caso e sulla fortuna,
contenuti nella dedica di accompagnamento.
In un’altra «bella novelletta» scritta per il primogeni-
to di Cesare Fregoso, un abate, eccellente musicista, rac-
coglie una sfida impossibile: comporre un pezzo musica-
le con i grugniti di maiali. Riuscirà persino a vincere la
sfida, proponendo alla corte un perfetto concerto di
«musica porcellina» (cfr. infra, II, 30).
Alcune novelle comiche bandelliane si rivelano come
la versione più marcata ed oscena del grottesco boccac-
ciano. Nella III, 30 (cfr. infra) Bandello per consolare un
amico, ferito al braccio da un colpo di archibugio, gli
racconta la surreale novella di uno strano prete di Mont­

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48   novelle

pellier, castrato a causa di una malattia. Pensando di non


poter dire la messa senza i propri testicoli, prende l’abi-
tudine di portarli sempre con sé in una borsetta accura-
tamente «avvolti in un poco di carta». Un giorno una
bambina ruba per scherzo questa borsetta e, scambiati i
testicoli per squisiti fichi, se li mangia.
In altri luoghi del novelliere l’accumulazione aggetti-
vale stordisce per la suggestiva commistione lessicale e,
a volte, è una vera e propria cascata di parole, come nel
caso dei buffoni di corte, definiti nella IV 26 «urbani,
faceti, lepidi, festivi, salsi, mordaci, piacevoli, adulatori,
fallaci, insulsi, contenziosi, loquaci, susurroni, simulatori
e dissimulatori, perché tutti tengono uno poco negli atti
loro di questa e quella parte».
Il gusto per un lessico che restituisce la concretezza del-
la vita è nella creatività delle associazioni: un certo marito
è così sciocco che è capace solo di dire «parole spolveriz-
zate» mentre non c’è uomo tanto stupido (ossia bandellia-
namente: di «ingegno così rintuzzato né uomo tanto mate-
riale o sì fieramente da melensaggine stordito») che non
sia sensibile ai cambiamenti imposti dal sentimento amo-
roso. L’amore, a questo ipotetico soggetto, «gli apre gli oc-
chi de la mente, lo desta, lo scuote, e l’offoscato e adom-
brato ingegno in modo gli alluma e rischiara che subito il
fa divenir avveduto, scaltrito e malizioso» (II, 2).
Nella III, 61 un certo frate Filippo (dell’ordine fran-
cescano, ovviamente) prima di giungere all’insensata
decisione di tagliarsi via «il diavolo fra le gambe» che lo
infastidisce come una «cavicchia di ferro», tenta invano
di «sedurre» una monaca con la sporcizia delle sue bra-
ghe «stranamente ricamate alla damaschina» e con certi
«parpaglioni su, che averebbero fatto stomaco a Guccio
porco». La precipitosa corsa dei suoi confratelli, spaven-
tati a morte dall’autoevirazione di Filippo, è resa viva-
cissima dal «picchiar la porta del monastero» come se
tutto il mondo «abissasse» (cfr. infra, III, 61).

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introduzione   49

Lo scrittore sa benissimo che la prova stilistica è ardua,


proprio perché occorre grande «eloquenza» per esprime-
re in modo «dilettevole» e persino «bello» la sfera più in-
tima dell’umanità: «Sarà forse chi mi dirà che io non sono
mica il Boccaccio, la cui eloquenzia può ogni novella, ben
che triviale e goffa, far parer dilettevole e bella» (IV, 23).
Non sono poche le citazioni di personaggi decameronia-
ni nelle novelle bandelliane e tra queste Guccio porco (I,
40 e III, 61) e la sua preda Nuta (I, 40), Ciutazza (che con la
Nuta si contende la palma della bruttezza, II, 47), Bruno,
Buffalmacco e Calandrino (II, 10 e IV, 24), Ciappelletto (I,
55), Cimone (II, 41), Alatiel (II, 56), il giudice Chinzica e
Bartolomea (I, 12), frate Alberto (che diventa Rinaldo nel-
la II, 26), la vedova e lo scolare (IV, 23) e altre presenze più
o meno rilevanti.55 Ma sulle novelle di beffa il rispettoso
confronto di Bandello con il maestro diventa più competi-
tivo, tenace e, a tratti, persino polemico.
La II, 47 (cfr. infra) è a questo proposito esemplare.
La lettera di dedica è incentrata sulla teoria dei tempera-
menti ed è scritta su un canovaccio ficiniano, mentre la
novella, frammentata da tessere boccacciane, rappresen-
ta l’irriverente rovesciamento della riflessione, tutta
umanistica e medico-scientifica, ostentata nella lettera.
Bandello ricorda con serietà filosofico-scientifica tutte le
possibili ricadute degli umori nei sentimenti amorosi
mentre nella novella viene narrata la ridicola beffa ordi-
ta da una gentildonna ai danni di un invadente e non gra-

55
Una sintesi delle ricorrenze boccacciane in N. Borsellino,
Schede per Bandello narratore: boccaccismi e machiavellismi in
Matteo Bandello novelliere europeo, cit., pp. 231-241; E. Menetti, Il
Decameron e le Novelle di Bandello: riusi e variazioni in «Studi sul
Boccaccio», XXXIV, 2006, pp. 245-271. Su questo si veda il bel sag-
gio di R. Rinaldi, Controcanto. Per alcune citazioni esplicite nelle
novelle di Matteo Bandello in Parole rubate. Rivista internazionale
di studi sulla citazione, Fascicolo n. 2/Issue no.2, Dicembre
2010-December 2010 (http://www.parolerubate.unipr.it).

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50   novelle

dito innamorato, di nome Simpliciano. Nella dedica lo


scrittore riprende un intero passo ficiniano per spiegare
la costituzione umorale del corpo e i comportamenti
umani. La còlera negra è un umore «infiammato» che ge-
nera guerra.56 Se uno, poi, è di «complessione sanguigna»
e «l’altro per gli occhi e per le nari e in ogni sua azione
spira còlera», viene generato un amore contrastato, che
oscilla dal piacere al dolore.
Tra un malinconico e un sanguigno si genera a volte
un legame indissolubile. Ma tra un temperamento colle-
rico ed uno malinconico, invece, possono nascere solo
conflitti. In questo funesto incontro si trova il fulcro del-
le tragedie passionali, dei «mille mali» dell’umanità. Per
il Ficino è una «pestilentia sopra tutte mortale» e per
Bandello è una «perniziosissima peste».
Nella novella corrispondente il rovesciamento è tota-
le. Nella gara intrapresa con il modello boccacciano
emerge la mostruosità della vecchia serva, che viene so-
stituita alla donna desiderata (madonna Penelope) per
disgustare e allontanare definitivamente lo stolido Sim-
pliciano. La donna offerta con l’inganno a Simpliciano si
chiama Togna: la sua ripugnanza viene ampliata sulla
base della rappresentazione di due celebri serve boccac-
ciane, protagoniste di inopinati intrecci erotici: la Nuta
di Guccio Imbratta (Decameron, VI, 10) e la Ciutazza
del proposto di Fiesole (Decameron, VIII, 4).
Togna è «unta e bisunta» e il suo grasso può iperboli-

56
Secondo Marsilio Ficino (El libro dell’Amore, Oratione VI,
IX, 22-25) la collera è «calda e secca, la malinconia è secca e fred-
da: quella nel corpo tiene el luogo del fuoco e questa el luogo del-
la terra (…). E collerici, per l’impeto dell’omore focoso, s’adven-
tano nello amare come in uno precipitio; e malenconici, per la pi-
gritia dell’omore terrestro, sono allo amore più tardi, ma per la
stabilità di decto omore, dato che hanno nelle reti, lunghissimo
tempo vi si rinvolgono» (M. Ficino, El libro dell’Amore, a c. di S.
Niccoli, Firenze, Olschki, 1987, p. 137).

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introduzione   51

camente ingrassare una «caldaia di cavoli», proprio co-


me Nuta, così «unta e affumicata» da poter condire «il
calderon d’Altopascio» (Decameron, VI, 10, 21-23).
L’orribile serva bandelliana condivide la sua bruttezza
non solo con Lanfusa ma, come viene rivelato, supera di
settemila volte quella di «Ciutaccia».
Bandello aggrava le disfunzioni del suo personaggio,
amplificando il dettato boccacciano. Mentre Ciuta «sen-
tiva del guercio, né mai era senza mal d’occhi», Togna
non solo è «guercia da un occhio» ma «l’altro occhio di
continovo gli colava», e mentre Ciuta aveva la «bocca
torta» e «le labbra grosse», Togna aveva «la bocca bavo-
sa, con un fiato puzzolente sovra modo» e, poco dopo,
ancora, il narratore ribadisce ancora che aveva «due la-
broni grossi da schiava e il fiato fieramente le putiva».
L’evidente rovesciamento del consueto canovaccio
erotico struttura la situazione comica, che risulta focaliz-
zata non tanto sulla riscrittura di una novella di beffa ma
piuttosto sull’esagerazione della tecnica del rovescia-
mento, sulla insistita intenzione di descrivere con un les-
sico triviale un quadro comico consolidato dalla tradizio-
ne classica e novellistica. Così Simpliciano non si sazia di
«basciare e ribasciare senza fine» l’orribile Togna, senza
accorgersi dello scambio: «le basciava il petto e le poppe
lunghe e grosse e le ruvide e corte e gonfie mani, tuttavia
imaginandosi di basciar madonna Penelope».
Ancora una volta la meraviglia e il divertimento di
chi ascolta (e di chi legge) sono suscitati dalla sovrab-
bondante accumulazione di sostantivi e aggettivi che
descrivono le ridicole parti del corpo della vecchia.
Bandello, dunque, amplifica il linguaggio grottesco e,
più in generale, individua uno stile basso e umile, ancora
più aderente al parlato, meno artificioso e, perciò, legato
alla contemporaneità. Ne sono un esempio i protagoni-
sti della novella II, 10 (di cui abbiamo citato poco sopra
la lettera di dedica) che sono poeti, umanisti ed artisti

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52   novelle

molto conosciuti: Pietro Bembo, Andrea Navagero, Gi-


rolamo Fracastoro e il pittore Girolamo dai Libri.
In questo dittico Bandello sfida apertamente Boccac-
cio sui temi della beffa e della facezia. La polemica è
incentrata sulla scelta dei beffati: Bruno e Buffalmacco
di Boccaccio, «uomini d’ingegno», ordiscono le loro tra-
me contro persone semplici e «bambe», come Calandri-
no o maestro Simone. Assai più difficile – scrive il narra-
tore o Bandello – è beffare persone intelligenti e accor-
te, come il Bembo. Calandrino e maestro Simone sono,
insomma, come «pecora campi, oves et boves», laddove
il conte di Cariati, il Bembo e il Fracastoro sono, invece,
dottissimi, d’alto ingegno, virtuosi, accorti e potenti.
Il racconto della beffa giocata dal pittore veronese all’au-
stero Bembo è soprattutto l’occasione per dire la verità sul-
le proprie scelte stilistiche: egli non possiede la «larga e pro-
fluente vena del dire» di Boccaccio. Può, invece, affidarsi
alla semplicità della sua lingua lombarda: «io dirò semplice-
mente il caso come occorse senza fuco d’eloquenza e senza
altrimenti con ampliazioni e colori retorici polirlo».
La lingua letteraria d’invenzione delle Novelle non
guarda al passato ma è come un ponte gettato dalle
sponde del presente verso quelle del futuro.

Le novelle tragiche

Anche se non mancano le avventure in terre straniere,


(III, 68) è il mondo interiore il terreno più avventuroso
delle Novelle.
Nell’eterogeneità dei temi trattati nel corpus novelli-
stico bandelliano la polarità tragico/comico rientra nella
categoria più ampia del racconto che stupisce e che in-
duce ad una riflessione sulla complessità e sulla inson-
dabilità dell’animo umano.
La volontà di registrare nel novelliere l’enormità e la

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introduzione   53

straordinarietà di un mondo senza misura (e senza cor-


nice) viene rivelata chiaramente nella II, 11 (vedi infra),
in cui lo scrittore traccia l’ampio perimetro morale della
sua narrazione sulla base dello schema apologetico boc-
cacciano (Conclusione, 27):

Confesso io adunque molte delle mie novelle contener di


questi e simili enormi e vituperosi peccati, secondo che gli uo-
mini e le donne gli commettono; ma non confesso già che io
meriti di essere biasimato. Biasimar si deveno e mostrare col
dito infame coloro che fanno questi errori, non chi gli scrive.

Un campo magnetico attrae il comico grottesco e il tra-


gico orroroso, due temi opposti fra loro. È il campo ma-
gnetico dell’abnorme, dello straordinario, del fatto
«enorme» e tuttavia possibile, verosimile, forse anche
vero ma al contempo «mirabile».
La istoria tragica si accompagna e si oppone al suo
rovesciamento. E, così, se il comico è eccessivo e scanda-
loso nelle molte manifestazioni basso-corporee, il suo
contrario è un tragico dall’«enormità» inaudita e spa-
ventosa,
L’ambivalenza comico/tragico è anche ambivalenza
dell’irrazionale, vera novità narrativa di Bandello.57
L’esplosione degli istinti, come fulcro del tragico, as-
sume una nuova connotazione, anche pedagogica, peral-
tro subito recepita dal primo traduttore francese.58 La

57
Cfr. M. Santoro, L’irrazionale nel territorio dell’umano: Ban-
dello in Fortuna, ragione e prudenza nella civiltà letteraria del Cin-
quecento, Napoli, Liguori, 1967 e A.Ch. Fiorato, Présentation in M.
Bandello, Nouvelles, cit., p. 27.
58
«C’est pourquoy j’ay choisi ces histoires, à fin que la jeunesse
voye que ceux que suyvent le chemin damnable d’iniquité, ne fail-
lent guere après les grandes transgressions et l’execution des pe-
chez plus enormes (…)»: The French Bandello, a selection. The
original text of Four of Belleforest’s Histoires tragiques, translated

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54   novelle

ricezione francese della categoria dell’abnorme si uni-


sce ad un maggior impegno pedagogico e moralistico,
che, seppur presente nel dettato bandelliano, non impe-
disce al nostro scrittore di raccontare l’estremo, anche
nei dettagli più raccapriccianti. 59
Lo stretto legame tra la storia tragica, tratta dalla
«storia vera», come si è visto, e il suo possibile insegna-
mento morale avrebbe segnato il successo europeo delle
Novelle.
Le histoires tragiques tradotte dalle Novelle bandel-
liane da Pierre Boaistuau e, in seguito, da François de
Belleforest e da Arthur Brooke, avrebbero incontrato il
gusto letterario del tempo.60 Il fascino delle novelle tra-

by Geoffrey Fenton and William Painter Anno 1567. Edited with


an introduction by Frank S. Hook, University of Missouri, Colum-
bia, 1948, p. 155.
59
Si veda per la dimensione europea: A.Ch. Fiorato, Oltralpe et
Outre-Monts. Regards croisés et l’Europe à la Renaissance, Sup-
plemento al n. 139 di «Studi francesi», gennaio-aprile 2003, Torino,
Rosenberg & Sellier, 2003. Per la moralizzazione francese delle
novelle bandelliane: Id., Le «Bandel» ou la moralisation d’un con-
teur de la Renaissance italienne en France in Heurs et malheurs de
la littérature italienne en France. Actes du Colloque de Caen, 25-
26 mars 1994, a c. di M. Colin, Centre de Recherche en langues
romanes Universités de Caen, 1995.
60
Per quanto riguarda la traduzione Boaistuau-Belleforest si ve-
dano: R. Sturel, Bandello en France au XVI siècle in «Bullettin Ita-
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Les deux premiers tomes de la version française de Bandello in «Re-
vue du XVI siècle», 1931, pp. 104-112; R.A. Carr, Introduction in P.
Boaistuau, Histoires tragiques, ed.critique par R.A. Carr, Paris, Li-
brairie Honoré Champion, 1977; M. Simonin, François de Bellefo-
rest traducteur de Bandel dans le prèmier volume des “Histoires tra-
giques” in Matteo Bandello novelliere europeo, cit., pp. 455-471; Id.
Belleforest ethnologue ou du travail de la réalité dans les Histoires
Tragiques in Du Po à la Garonne. Recherches sur les echanges cultu-
rels entre l’Italie et la France à la Renaissance. Actes du Colloque
International d’Agen (26-28 september 1986), a c. di J. Cubelier de

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introduzione   55

giche bandelliane consiste nel riproporre in modo più


attuale il modello tragico della quarta giornata del De-
cameron, rivisto anche attraverso la rilettura del teatro
tragico di Seneca.61
Drammatico, infatti, era il confronto tra una società
rinascimentale, continuamente sottoposta a penosi con-
flitti e cambiamenti e la sua élite intellettuale, concentra-
ta nella costruzione di un mondo ideale, governato dalla
ragione.62 Seguendo un ritmo rapsodico, fondato sull’epi-
sodio mirabile, il narrare tragico bandelliano si rivela, al
suo punto più alto e drammatico, come eccesso, come
momento terribile e fuori dall’ordinario di una vita
umana perduta, lacerata, malata.
Fatti vituperosi, enormi, strani, spaventosi e disone-
stissimi: questi gli aggettivi che lo scrittore usa per defi-
nire alcune sue «istorie». L’eccesso è l’ultimo grado
espressivo del tragico sperimentato da Bandello.
Nell’ampia gamma stilistica delle Novelle l’abnorme
si rivela come una funzione critica rilevante e, a volte,
diventa il fulcro stesso dell’invenzione.
Il mondo tragico bandelliano è un mondo malato, po-
polato di donne crudeli, ossessive e assassine, di uomini
folli (si veda il pazzo di II, 32) malinconici (colpiti da

Beynac et M. Simonin, Centre Matteo Bandello di Agen, 1990, pp.


337-352; L. Tortonese, Bandello, Boaistuau e la novella di Didaco e
Violante in La Nouvelle française à la Renaissance, étude réunies
par L. Sozzi et présentées par V.L. Saulnier, Gèneve, Slatkine, 1981,
pp. 461-470; L. Sozzi, L’«histoire tragique» nella seconda metà del
Cinquecento francese, Torino, Genesi Editrice, 1991.
61
Così R.A. Carr, Introduction in P. Boaistuau, Histoires tragi-
ques, cit., p. LXIII.
62
Si veda W. Moretti, Cortesia e furore nel Rinascimento italia-
no, Bologna, Patron, 1970, in particolare le pp. 80-97. Per la ricerca
della medietas oraziana nel pensiero rinascimentale: G.M. Ansel-
mi, La saggezza della letteratura. Una nuova cronologia per la let-
teratura italiana, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 62 ss.

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56   novelle

«umor fantastico»), violenti contro se stessi e contro le


loro donne. Un mondo inquietante, che viene catturato
dallo scrittore in una rete narrativa diremmo noi oggi
noir.
Fatti enormi e vituperosi, come la decapitazione del-
la contessa di Challant (cfr. infra, I, 4) che tuttavia pos-
sono ancora corrispondere alle finalità del suo racconto
novellistico: delectare e movere. Avvenimenti dramma-
tici che stupiscono per l’inaspettato succedersi delle
azioni e che, nello stesso tempo, destano pietà e terrore,
secondo la formula aristotelica del tragico, ben nota al
Bandello.
Entra in gioco, così, un aspetto sostanziale della mor-
fologia del narrare tragico bandelliano: ed è quello
dell’ambivalenza tra l’ethos umanistico e il pathos dei
racconti.
Esiste, insomma, nelle Novelle un punto di rottura
che rivela lo spaesamento dello scrittore nei confronti di
un’umanità esposta alla vita, ignara della virtù ed estra-
nea alla saggezza umanistica.
Il dotto e piacevole gioco narrativo della brigata cor-
tigiana talvolta si blocca e gli ingranaggi tra dedica e no-
vella non coincidono più. Nel racconto dei personaggi
tragici si misura la disillusione dell’umanista ed emerge
la realtà vera o la «vera istoria». Al di fuori dei circoli
cortigiani ribolle una disumanità che assedia feroce-
mente le fortificazioni umanistiche.
Nella II, 35 la novella, rielaborata dall’Heptameron di
Margherita di Navarra, è estrema: il doppio incesto, in-
dotto subdolamente dalla madre di un nobile della Na-
varra. Egli prima ingravida, senza saperlo, la madre e,
anni dopo, sposa la figlia, che è anche sua sorella. È un
caso estremo, immorale e tanto assurdo da costringere
lo scrittore a fare una piccola premessa sulla questione
della verosimiglianza di quanto sta per raccontare.
Sotto le geometriche riflessioni delle dediche, dun-

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introduzione   57

que, si muovono gli istinti più bassi. Bandello percepisce


nelle profondità oscure dell’animo umano una crudeltà
gratuita e inaudita che è anche cieco egoismo e sopraf-
fazione del più forte sul più debole. La disumanità, inte-
sa come l’esatto opposto dell’humanitas, guadagna nel
libro della memoria bandelliano uno spazio mentale più
vasto e spaventoso.
Ecco alcuni esempi.
Il tragico-patologico rappresenta le follie e le malinco-
nie di donne e uomini smarriti in se stessi. La gelosia irre-
frenabile e violentissima è uno dei mali oscuri che tormen-
tano i sentimenti di molti personaggi.63 Dopo una lettera
di dedica, indirizzata al filosofo Lancino Curzio e ispirata
ad una visione libera della condizione femminile, Bandel-
lo aggiunge una novella di cronaca nera, che dimostra co-
me la realtà sia molto diversa dagli ideali umanistici e cor-
tigiani (cfr. infra, I, 9). La triste storia matrimoniale di Ca-
terina, accoltellata per gelosia dal marito, è resa più cupa
dalla presenza disonesta e corrotta di un frate francesca-
no, che agisce nel disprezzo dei sacramenti cristiani.
La gelosia è la prima causa del gesto criminoso ed è la
vera protagonista delle novelle tragiche bandelliane. In
questi «pietosi accidenti» l’esercizio della virtù è prova
assai ardua, ma anche in questi momenti l’uomo deve
dimostrare di «governare con la ragione» questo «mor-
bo pestifero», questo «verme gelato» che avvelena la
vita degli uomini.
La gelosia fomenta odi, istiga violenze, distrugge e uc-
cide. È un «furore» cieco, che chiama a sé le più oscure
passioni: «collera», «stizza», «ira». È una forma di «paz-
zia», una manifestazione di «umor malinconico», che ge-
nera angoscia e solitudine.
A questa forza oscura, che risiede nel profondo di ogni

63
A.Ch. Fiorato, Scrittura narrativa e patologia nelle Novelle del
Bandello, in Gli uomini, le città, cit., pp. 301 ss.

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58   novelle

animo, Bandello dedica ampio spazio nelle sue riflessioni:


spesso la definisce come una forma di follia, che sconvol-
ge gli uomini e le donne, fino a costringerli a gesti sconsi-
derati e violentissimi, ai limiti del macabro e dell’orrore.
Chi soffre resta imprigionato nel proprio dolore.
La follia d’amore, cupa e sorda, possiede una forza
che paralizza e annienta ogni volontà.
La I, 50, dedicata a Francesco Maria Molza, è ambien-
tata a Lione. Nella novella si racconta lo strano caso del-
la prostituta Malatesta, innamorata perdutamente di un
giovane servitore della corte del governatore della città
(cfr. infra, I, 50). Lo sguardo del narratore si apre, così,
sui sobborghi cittadini, sulla vita quotidiana delle corti-
giane francesi e sulla follia d’amore di questa giovane,
forte e indomita, che per un banale litigio giunge a suici-
darsi nel modo più assurdo. La novella successiva (cfr.
infra, I, 51) inquadra eventi della storia più grande (le
guerre d’Italia, dominate dal capitano Gian Giacomo
Trivulzio) attraverso la più ristretta prospettiva di even-
ti privati e marginali. È, difatti, la storia della depressio-
ne di un soldato albanese, devoto al Trivulzio e ormai a
riposo, che si accanisce per gelosia contro la bella mo-
glie, di origine greca. I due sventurati si trovano a Man-
tova, teatro della follia uxoricida del soldato.
Nella III, 59 (cfr. infra) la compresenza del tragico e del
comico è particolarmente pronunciata: l’esordio della no-
vella è improntata al grottesco, mentre la fine è spietata e
tragica. Nella lettera, dedicata alla poetessa Veronica
Gambara, lo scrittore introduce l’argomento del tradi-
mento coniugale con saggezza ed equilibrio; virtù comple-
tamente disattese dai protagonisti della novella che segue,
dove la colpevole protagonista prima viene torturata dal
marito e poi viene gettata nel Po, dentro un sacco.
Raccapriccianti visioni di corpi offesi e mutilati ap-
paiono improvvisamente nella narrazione ed i cadaveri
vengono descritti con cura medico-analitica. Ad essi si

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introduzione   59

sovrappongono immagini di suicidi, di torture, di scene


violente, procurate da insensati seviziatori e anche se-
viziatrici.64 È il tragico macabro-orroroso ossia il rac-
conto di cadaveri e di torture, come avviene nella pre-
cisa descrizione del viso e del corpo di un cadavere
femminile in decomposizione (cfr. infra, II, 24) o
nell’azione di tortura che Violante infligge all’amante
(cfr. infra, I, 42).
L’amplificazione del particolare sanguinoso, il rac-
conto iperrealistico delle piaghe e del dolore fisico fan-
no parte della retorica della violenza e dell’abnorme che
lo scrittore sperimenta in modo nuovo. Una retorica
della violenza che può avere origine nella giustificazio-
ne esemplare e moraleggiante della dedica, ma che in
alcuni casi diventa un aspetto stilistico del tutto svinco-
lato da una tensione etica.
Quando il racconto tragico si fa orroroso, l’inquadra-
mento sapienziale della dedica, altrimenti utile, diventa
inefficace e superfluo. I tentativi di interpretare le azioni
delittuose appaiono inutili, mentre lo sgomento prende
il sopravvento. Lo scrittore, infatti, colloca la sua narra-
zione tra poli così lontani (l’enormità stupefacente e la
morale) da apparire, a volte, inconciliabili. Il lungo rac-
conto del cadavere in decomposizione, ad esempio, non
si risolve di certo nella sola intenzione moraleggiante o
pedagogica.
La diffrazione tra dedica e novella che avviene tra
comico e tragico (ma anche tra ordine e disordine
dell’intera raccolta) rende le Novelle un’opera sospesa
e aperta.

64
Sul «corpo ambiguo» nelle Novelle mi sono soffermata nel
mio Enormi e disoneste, cit. pp. 156-166; cfr. C. Lucas, «Vera trage-
dia» e corporeità in alcune novelle di Bandello in «Matteo Bandel-
lo. Studi di letteratura rinascimentale», n. II, a c. di D. Maestri e L.
Pradi, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2007, p. 203.

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60   novelle

L’interesse narrativo non è nel conforme, ma nel dif-


forme; non è nella norma ma nello scarto. Bandello de-
sidera raccontare e ricordare il carattere tragico, disone-
sto, orribile e patetico dell’esistenza umana più ancora
di quanto aveva fatto Masuccio Salernitano e di quanto
faceva Giraldi Cinzio, seguendo un nuovo corso tragico
che andava incrementandosi negli anni Quaranta del
Cinquecento con le sperimentazioni, tra gli altri, di Dol-
ce, Speroni, Aretino.65
L’irrazionale e surreale convivenza degli opposti si
registra anche nella contraddizione tra gli appelli alla
moralità, espressi nelle dediche, e la ricerca per le novel-
le di soggetti altri, malvagi o lussuriosi.
Questo antagonismo tra due diverse tensioni (rac-
contare il morale e raccontare il mirabile) si esercita in
modo più evidente nei racconti più surreali (come la no-
vella tragica e comica della bella donna lussuriosa che si

65
Per il rapporto tra Boccaccio e Bandello nelle novelle di tor-
tura: S. Blazina, Novelle di supplizio e di tortura: Bandello e Boc-
caccio in Matteo Bandello novelliere europeo, cit., pp. 261-274. Per
Masuccio Salernitano si vedano di M. Papio: Keen and violent re-
medies: social satire and the grotesque in Masuccio Salernitano’s
«Novellino», New York, Lang, 2000 e Masuccio Salernitano’s “gu-
sto dell’orrido” in The Italian Novella, a c. di G. Allaire, New York,
Routledge, 2003, pp. 119-136. Sul ricorso al racconto tragico che
suscita meraviglia si veda per quanto riguarda il teatro di Giraldi
Cinzio: C. Lucas, De l’horreur au “lieto fine”. Le contrôle du di-
scours tragiques dans le théatre de Giraldi Cinzio, Roma, Bonacci
Editore, 1984, in particolare a p. 60 dove la studiosa sottolinea co-
me il Giraldi nel Discorso associ quasi sistematicamente le parole
«pietà» e «terrore» a «meraviglia»: «Giraldi donne tout de poids à
la meraviglia qu’il conçoit la tragédie comme une succession
d’événements inattendues, du premier au dernier acte». Si veda
inoltre P. Mastrocola, L’idea del tragico. Teorie della tragedia nel
Cinquecento, Torino, Tirreniza Stampatori, 1996; Teatro del Cin-
quecento. La tragedia, a c. di R. Cremante, Milano-Napoli, Ricciar-
di, 1997.

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introduzione   61

invaghisce di un lebbroso, I, 37) e in quelli più eclatanti


e violenti che suscitano pietà e orrore.
Lo scrittore tenta di stupire e commuovere con la de-
scrizione dell’indicibile, dell’incomprensibile o del male
assoluto. Appare, così, alle frontiere morali dell’umane-
simo una dimensione altra, oscura, fantastico-orrorosa
che egli non esita a testimoniare.
La saggezza non sempre protegge dalla malinconia,
sembra avvertire Bandello, perché l’«umor fantastico»
può rapire e trascinare le sue vittime in un labirinto in-
teriore senza via di uscita.
Tra dedica e novella si incontra l’inquietudine umana,
letteraria e morale di uno scrittore che su imitazione
dell’archetipo decameroniano vuole descrivere l’univer-
so umano, ma che, al contempo, tenta di conservare, a
volte senza riuscirvi, il senso della misura, che rappre-
senta il vero, ultimo confine dell’humanitas. Ma, nono-
stante le lettere di dedica, nei disordinati frammenti
narrativi delle Novelle emerge un’umanità livida, osses-
siva, criminale, violenta; un’umanità che precipita
nell’enormità delle azioni e che vive nei lacerti di vita,
nelle zone oscure dell’animo, nei caratteri deboli, im-
pauriti e follemente crudeli.
Anche l’universo femminile tragico è trascinato in
questo vortice.66
Nelle Novelle, si è visto, ci sono esempi di donne vitti-
me (Giulia da Gazuolo) ed esempi di donne carnefici
(Violante).
Tra questi due estremi, infine, si dispone un’ampia ca-
sistica amorosa femminile più pacata, sognatrice e solo
sentimentale.
Giulietta è la protagonista assoluta di questo ramo

66
F. Spera, Modelli femminili nel tragico cinquecentesco in
«Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale», a c. di D.
Maestri e L. Prati, n. II, cit., pp. 51-69.

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62   novelle

laterale delle storie «pietose», lacrimevoli e tragiche. È


l’eroina dell’amore atteso, sospirato e infine negato
dall’arroganza del potere e della politica, che innesca un
conflitto profondo tra le due forze che dominano l’uma-
nità, l’Amore e l’Odio.
La «pietosa istoria» di Giulietta e Romeo è ambien-
tata a Verona, è dedicata ad un umanista veronese (Gi-
rolamo Fracastoro) ed è la riscrittura sotto forma di ro-
manzo di una novella di Luigi da Porto.67 È un’elegia
che culmina in tragedia, focalizzata su Giulietta. È lei
che decide con il frate il piano della morte apparente ed
è lei a morire, alla fine, quasi con un atto supremo di
volontà: «ristretti adunque in sé gli spirti, con il suo Ro-
meo in grembo, senza dir nulla se ne morì».
Il dramma di Giulietta si consuma nei dialoghi e nei
monologhi tragici che lo scrittore recupera dal reperto-
rio della tradizione classica ma anche delle opere giova-
nili in prosa di Boccaccio. In questa novella tragica si ri-
uniscono i temi più longevi della nostra narrativa: amore
e morte, l’infelice vicenda di due giovani amanti e la lot-
ta tragica tra le famiglie e il fato, che inesorabilmente
chiude il sipario. Le lotte civili e l’odio politico costitui-
scono lo sfondo in cui nasce e muore l’amore tra i due
giovani.
Ecco il miraggio, catturato per sempre da Shakespea-
re: un contesto talmente verosimile da sembrare reale,
tanto che, ancora oggi, c’è chi si reca a visitare la tomba

67
Di riferimento per lo studio comparato dei due autori gli stu-
di di D. Perocco, a partire dall’edizione commentata: M. Bandello,
Giulietta e Romeo, a c. di D. Perocco, Venezia, Marsilio, 1993; Ead.,
Premessa ad un’edizione della novella di Da Porto in Feconde ven-
ner le carte. Studi in onore di Ottavio Besomi, a c. di T. Crivelli,
Bellinzona, Edizioni Casagrande, 1997 pp. 172-186; Ead., La prima
Giulietta. Edizione critica e commentata delle novelle di Luigi da
Porto e Matteo Bandello, Bari, Palomar, 2008.

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introduzione   63

di Giulietta (in realtà un lavatoio)68 o fa iscrivere i pro-


pri nomi nelle mattonelle del balcone.
Bandello riceve in eredità, rielabora e consegna ai
suoi lettori una «istoria» come se fosse veramente acca-
duta, creando le condizioni per una formidabile e impe-
ritura diffusione nel tempo e nello spazio di questa mo-
derna leggenda d’amore contro l’odio e la guerra, dove
una donna, infine, muore da eroina e sognatrice.

Un ringraziamento speciale va a mio figlio e a mio marito che


hanno reso il mio lavoro migliore.
Dedico queste pagine a mio padre, che non c’è più e mi
manca.

68
C. Ricci, Leggende d’amore in «Nuova Antologia», terza se-
rie, vol. XXXIX, 1892, pp. 339-355.

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edizioni recenti
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composte nè per l’adietro date in luce. In Lione, ap-
presso Alessandro Marsilii, 1573.
Histoires tragiques extraictes des oeuvres italiennes de
Bandel et mises en langue françoise, les six premières,
par Pierre Boaistuau surnommé Launay, natif de
Breitagne, dédiées à Monseigneur Matthieu de Mau-

040.intro.indd 65 9-06-2011 10:29:05


66   novelle

ny, abbé des Noyers. A Paris, pour Gilles Robinot, te-


nant sa boutique au Palais en la galerie par où on va à
la Chancellerie, 1559.
Continuation des Histoires tragiques extraictes de Bandel
mises en langue françoise, par Francois De Bellefo-
rest Comingeois, Paris, Gilles Robinot, 1559.
Dernier volume des histoires de Bandel, de nouveau tra-
duit d’italien en françois, Lyon, A. Marsilii, 1574.
Histoires tragiques extraictes des oeuvres italiennes de
Bandel et mises en langue françoise, les six premiè-
res, par Pierre Boaistuau etc., et les sujvantes Par
Francois De Belleforest Comingeois, 1580, voll. 7,
in 16°.
The tragical histoire of Romeus and Juliet, written first in
italian by Bandell, and now in english by Arthur
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Tottel & W. Jones, 1566; vol. II, Londra, H. Bynneman
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«centro studi matteo bandello e la cultura rinascimentale» e


pubblicazioni.
Centro Studi Matteo Bandello e la cultura rinascimen-
tale.

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74   novelle

Palazzo Podestarile, Via Solferino 3 – Castelnuovo Scri-


via (Alessandria).
Sito web: www.matteobandello.it.
«Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale»,
a c. di D. Maestri e A. Vecchi, n. I giugno, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 2005.
«Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale»,
a c. di D. Maestri e L. Prati, n. II, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 2007.
«Matteo Bandello. Studi di letteratura rinascimentale»,
n. III, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010.
In attesa di stampa gli Atti del Convegno, tenutosi a Ca-
stelnuovo Scrivia e a Tortona il 24 e il 25 settembre
2010, dal titolo: Le mirabili istorie di Matteo Bandello.

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NOTA AL TESTO

La presente edizione è una scelta antologica commenta-


ta di 45 lettere dedicatorie e 45 novelle su 214.
Il testo tiene conto delle edizioni recenti, tra le quali
l’edizione di Francesco Flora (anche per la numerazione
delle novelle della quarta parte) e l’edizione curata da
Delmo Maestri, per cui si rimanda alla Bibliografia.

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