Sei sulla pagina 1di 282

1

2
libriClassici

3
A Gabriele, Dario e Saul,
compagni di tante avventure

Prima Edizione: Gennaio 2018


© 2001, Federico “Dj Mayhem” Bianchini per l’ideazione, il testo, la ste-
sura e la rielaborazione
© 2001, Gabriele Tindaro Leone per le nozioni lovecraftiane, i riferimenti
storici e bibliografici e il testo
© 2018, Federico “Dj Mayhem” Bianchini per la revisione,
l’impaginazione e la grafica di copertina
Copertina di Brenkee, https://pixabay.com/en/weeping-angel-doctor-who-
scary-1279880/
2018 Librogame's Land, www.librogame.net

Il presente libro è da intendersi ad uso esclusivamente personale, ne è vieta-


ta qualsiasi tipo di vendita e la modifica anche parziale

4
IL CUSTODE
PARTE I

I TRE DIPINTI
FEDERICO BIANCHINI
GABRIELE TINDARO LEONE

5
www.librogame.net

6
INDICE
Pag.
o Introduzione 9
o Prologo 11
1. Il Richiamo di Cthulhu 14
2. La Casa 34
3. L’alchimista 45
4. I tre dipinti 59
5. La Chiesa di San Cristoforo 64
6. I Libri 72
7. Paura e Follia 93
8. L’Odine Esoterico di Dagon 108
9. Sotto la Città 152
10. Innsmouth e dintorni 202
11. Ny Har Rut Hotep 242
• Appendice I: Note 256
• Appendice II: Dizionario 258
• Appendice III: Cronologia 273

7
8
Introduzione

Quella dei Giochi di Ruolo (Role Playing Game) è una ma-


nia che dagli anni '90 ha rivoluzionato il settore dei giochi
intelligenti, essa soddisfa due diverse esigenze: il gusto per
l'avventura fantastica e il piacere di riunirsi con degli amici
per una serata di gioco.
Il Gioco di Ruolo (GdR abbreviato) funziona in tale modo:
in ogni gruppo è necessario un Master, o Narratore, il quale
deve leggere un manuale base prima che cominci il gioco.
Quando il Master ha imparato le regole e il sistema di gio-
co, riunisce il gruppo di giocatori ed espone brevemente le
nozioni di base e il contesto della vicenda: a quel punto ogni
giocatore assume il ruolo di un Personaggio (PG) da lui
creato attraverso le regole, e l'avventura ha inizio.
A differenza dei giochi da tavolo, qui non c'è limite alla li-
bertà dell'immaginazione: i partecipanti inventano e rac-
contano una storia avventurosa a loro piacimento, arric-
chendola di colpi di scena, decidendo la condotta da tenere,
stringendo alleanze, esercitando a seconda dei casi l'intelli-
genza, l'audacia e la forza.
Il fascino dei GdR è proprio questo: ogni giocatore si im-
medesima nella storia come se fosse vera, e tende a pensare
e ad agire come se si trovasse veramente nelle vesti del suo
personaggio.
Il mondo dei GdR spazia su tanti e differenti generi, dal
classico fantasy al genere di fantascienza, dal giallo al fu-
mettistico e così via, per ognuno dei quali esistono decine e
decine di diversi sistemi di gioco più o meno complicati, di-
vertenti o ingegnosi.
Questo racconto è incentrato sul GdR denominato Il Ri-
chiamo di Cthulhu, basato sulle storie, le ambientazioni e i
personaggi creati dallo scrittore Howard Phillips Lovecraft,
ancora oggi considerato uno dei più grandi scrittori del ge-
9
nere horror-fantastico; le storie e la mitologia cosmica cre-
ata da Lovecraft intorno a Cthulhu e ai Grandi Antichi co-
stituiscono ormai un classico nella letteratura horror e fan-
tastica mondiale. Mitologia che narra di orrende e ciclopi-
che divinità giunte dagli abissi stellari in epoche remotissi-
me e nascosti in luoghi inaccessibili e impervi, come isole
sprofondate negli oceani, caverne di altissime cime, antiche
città dimenticate nei deserti o i ghiacci dell’Antartide, ado-
rate da oscuri e malvagi adepti con riti e cerimonie immon-
de e segrete.
Nel Richiamo di Cthulhu il Master, a differenza di tutti gli
altri GdR, assume un altro nome: quello di Custode…

"Colui che assume l'onerosa veste di Custode è l'arbitro e il


moderatore del gioco. Lui solo conosce per intero la trama
della storia e la svela ai giocatori passo dopo passo, secon-
do le conoscenze acquisite dagli investigatori. Ed è lui ad
assumere il ruolo di tutti i mostri, degli antagonisti e dei
personaggi non giocanti (PNG) con i quali gli Investigatori
hanno a che fare. Il Custode ha la fondamentale responsabi-
lità di preparare e gestire le avventure, senza sbavature o
contraddizioni. Non deve mai proporre sfide troppo banali,
né troppo ardue; deve stimolare i giocatori, farli divertire,
non annoiarli o avvilirli!" 1

10
PROLOGO

Dalla relazione del prof. Boltraffio, primario del reparto di


psichiatria dell’ospedale San Raffaele di Milano.
Fare un completo profilo psichiatrico del paziente che ho in
cura da alcune settimane a questa parte è più complicato di
quanto non credessi, dalle prime informazioni che ho avuto
dal questore e dai medici che per primi avevano visitato lui e
i suoi compagni, credevo di trovarmi di fronte un giovane
schizofrenico, affetto da diversi problemi neurologici in se-
guito ad una lunga ed estenuante vicenda della quale portava
ancora le ferite sul volto e sul corpo, invece ho
l’impressione che questo ragazzo in realtà non sia un folle
che non è più in grado di distinguere la realtà
dall’immaginazione bensì che si tratti di un “sopravvissuto”.
C’è voluto molto tempo per raccogliere tutte le informazioni
su quanto è accaduto a lui ed al suo gruppo di amici, abbia-
mo cercato di ricostruire assieme quanto è accaduto loro, e
capire cosa li abbia atterriti a tal punto dal portarli sull’orlo
della follia; e mi è difficile comprendere, nonostante anni di
studi e diverse esperienze su svariate categorie di persone
affette da disturbi psichici, se egli è davvero completamente
impazzito, essendo convinto totalmente che quanto da lui
narrato sia la pura realtà, oppure che non lo sia per niente, e
che i disturbi che ha mostrato non siano altro che la conse-
guenza di un profondo shock causato dalla consapevolezza
di una realtà inimmaginabile di cui egli è testimone, un so-
pravvissuto, appunto.
Il mio dubbio nasce dalla semplice constatazione che se fos-
se pazzo mi sarebbe impossibile credere che sia stato in gra-
do di costruire tutta la vicenda nella sua testa, la sua incredi-
bile storia è talmente contorta ed articolata che è altamente
improbabile che il paziente sia potuto essere, durante le nu-
merose sedute, sempre coerente e lineare nella sua trasposi-
11
zione, senza mai contraddirsi, dimenticarsi dei particolari o
confondendo vicende e personaggi, e trovando motivazioni
plausibili, benché assurde, alle condizioni in cui egli e i suoi
tre amici sono stati ritrovati.
L’unica spiegazione possibile è che abbia effettivamente
vissuto di persona gli eventi raccontati, e la cosa, lo confes-
so, mi terrorizza.
Queste sono state le sue parole il giorno che ci siamo visti la
prima volta, quando gli chiesi di incominciare a raccontare
per filo e per segno cosa gli fosse accaduto: “Questa non è
una vicenda come le altre, dottore, non mi sono inventato
una storia d’orrore da raccontare la notte al campeggio at-
torno ad un fuoco, non è nemmeno un racconto di fantasia
nato dopo chissà quale sogno od incubo, né una sorta di
leggenda derivata dalla cultura popolare; è qualcosa di
molto più concreto, reale, come il tuono in una notte di tem-
pesta, come le ombre che strisciano su uno scalcinato muro
di mattoni, come una vecchia casa abbandonata alla perife-
ria del paese da cui provengono inquietanti sussurri nelle
notti di novilunio.
La storia mia e dei miei tre amici è stata una cosa del gene-
re, tangibile e concreta, ma allo stesso tempo così irreale e
spaventosa nel suo orrore da essere un incubo da cui non ci
si poteva destare.
La nostra è stata una terribile avventura nella quale, ne so-
no consapevole, ho perduto parte del senno e della ragione,
una storia a cui nessuno ancora crede, o vuole credere.
Io non desidero convincerla che quanto le racconterò sia
realmente accaduto, perché so di non potervi riuscire, ma
mi sentirò soddisfatto se in lei, alla fine, sorgerà un minimo
dubbio sull’esistenza degli Altri Dei.”
Ho raccolto in questa relazione il racconto per intero del pa-
ziente, dove egli ha assunto un nome fittizio, di fantasia, alla
stessa stregua dei suoi amici, come solitamente fa un gruppo
12
di giocatori di giochi di ruolo quando vive un’avventura,
personaggio in cui egli si è immedesimato sì, ma senza as-
sumere una seconda personalità come accade per gli schizo-
frenici.
La seguente è la trascrizione del suo racconto per intero che
ho registrato durante le sedute, in modo che sia chiaro sia ai
miei illustri colleghi che ai responsabili delle indagini, con
cosa abbiamo realmente a che fare.

Prof. G.A. Boltraffio– Milano, 28 gennaio 2001

13
1. IL RICHIAMO DI CTHULHU
Abitavamo tutti e quattro a Borgo Sforza, un paesino
dell’hinterland milanese bagnato dal Naviglio della Marte-
sana, un fangoso e paludoso fiume che dall’Adda scende ed
arriva ad attraversare la grande città; ci sono molte leggende
su di esso, ad esempio nelle sue acque diversi anni fa, duran-
te una spaventosa alluvione, qualcuno afferma di aver vedu-
to esseri vagamente umani, ricoperti di squame e dagli arti
palmati, uscire dall’acqua per raggiungere una vecchia ca-
scina abbandonata sulla riva del fiume.
Borgo Sforza si raggiunge per mezzo di una linea secondaria
delle Ferrovie, lungo la quale viaggiano treni merci o a bas-
sa percorrenza, solitamente a gasolio e con non più di tre
vagoni.
Dopo gli anni sessanta, quelli della massiccia immigrazione,
sono stati costruiti quartieri popolari ed enormi palazzi che
presto inghiottirono l’originale quartiere del Borgo, dove
ancora i tetti a mansarda si stringono l’un l’altro e
s’incurvano in soffitte nelle quali pare che un tempo si rifu-
giassero le streghe.
Nella “Borgo Vecchia” è rimasto il vecchio santuario, risa-
lente al 1600, bombardato durante la II guerra mondiale e
poi ricostruito di sana pianta; in questa zona, affollata di tetti
e irta di guglie, si racconta che un tempo si dava convegno
una malefica setta segreta che evocava cose tenebrose dagli
abissi, e pare che solo l’intervento di un esorcista riuscì a
scacciare l’orrore che era stato evocato; in ultimo c’è il vec-
chio cimitero del santuario, un cortile pieno di erbacce, ar-
busti e rovi spinosi, il cui confine è delimitato parzialmente
da alcune parti di cancellata nera, ormai consunta e incurva-
ta, è rimasta solo qualche lapide spezzata e alcune croci di
metallo dopo il bombardamento del ’43, non si sa quasi
niente dei cadaveri sepolti, nemmeno i nomi, ma secondo
alcuni vecchi sono tombe di bambini morti durante la peste
14
“manzoniana”.
Io vivo in un palazzo costruito negli anni ottanta, quando
incominciò la vera e propria esplosione dell’hinterland, e
queste storie le ho sentite raccontare dai alcuni amici i cui
genitori abitavano già qui nel dopo guerra, o da qualche
vecchio che abita nella Borgo Vecchia, e a cui piace rievoca-
re il passato.

In questa incredibile avventura di Role Playing Game hanno


preso parte con me tre miei amici: Tindiana Jones, professo-
re archeologo, il dottor Randolph Carter, occultista, e Ab-
dullah, un rozzo turco venditore di tappeti senza fissa dimo-
ra, mentre io avevo assunto il nome di Paul Kevin Araja, di
professione detective.

****

Erano i primi mesi del 2000 e vedevo in giro strane pubbli-


cità, scritte sui muri della stazione, banner pubblicitari in
internet nelle main page di siti dedicati all’horror e i giochi
di ruolo, ma anche in tv, su le reti piccole a circuito privato,
soprattutto a tarda sera, all’interno di trasmissioni cult sulla
letteratura fantastica, giochi di ruolo dal vivo, cinema horror
e fantascienza.
Era un tipo di pubblicità alquanto insolito direi, visto che
raggiungeva sì una quantità di persone enorme tra un canale
e l’altro, ma solo in pochi erano in grado di capire a cosa si
riferisse, ed io e i miei amici eravamo tra quelli.
Trovare banner pubblicitari con scritte del tipo: “Cthulhu for
President” o “R’lyeh sta sorgendo”, e ancora “Il Custode ti
vede” ai più non significavano nulla, ma chi, come noi, co-
nosce bene i miti creati da H.P.Lovecraft e i suoi numerosi
racconti, è rimasto piuttosto sorpreso ed incuriosito.
Ci domandavamo cosa diavolo potesse significare quella
15
pubblicità che all’inizio era limitata solo a quei titoli inquie-
tanti ma che, col tempo, si delinearono con l’aggiunta di sot-
totitoli, indirizzi web, numeri di telefono, e-mail ecc.
Si trattava della pubblicità del gioco di ruolo del Richiamo
di Cthulhu in versione Live, organizzato da un fantomatico
Necronomicon Group che aveva sede a Boston e che inten-
deva coinvolgere più persone possibile, una specie di reality
show su grande scala.
Non appena apparve l’indirizzo di un sito web
(www.thecallofcthulhulive.com) andai immediatamente a
visitarlo per capirne di più, mi ritrovai in un sito che conte-
neva versioni in almeno 30 lingue, dall’inglese al tedesco,
dall’italiano allo spagnolo, dal giapponese all’arabo e così
via.
Come avevo immaginato il sito trattava di una particolare
avventura del Richiamo di Cthulhu da giocare dal vivo, mol-
to estesa e molto ingegnosa che intendeva coinvolgere un
gran numero di persone, ben diretta e studiata tanto che la
realtà si sarebbe confusa con l’avventura, o almeno è quanto
assicuravano gli organizzatori e gli sponsor.
Come ogni gioco di ruolo che si rispetti non poteva esserci
un unico vincitore, ma secondo un certo numero di criteri
ognuno avrebbe ricevuto dei punti e alla fine il vincitore sa-
rebbe stato colui che avrebbe totalizzato il maggior numero
di punti, e a lui sarebbe andato l’ambitissimo premio che
consisteva in un premio in denaro e in una vacanza per 4
persone nel New England lovecraftiano a visitare i luoghi in
cui era vissuto lo scrittore ma anche quelli descritti nei suoi
numerosi racconti.
Sembrava una specie di “Grande Fratello” all’aperto, mi
chiedevo chi e come ci avrebbero controllati, chi avrebbe
tirato le fila e, soprattutto, se ci sarebbero state delle teleca-
mere o dei microfoni a guardarci e ad ascoltarci a nostra in-
saputa.
16
C’era poi un elenco di negozi, librerie o locali dove era pos-
sibile iscriversi, in tutte le province d’Italia, qui a Milano
c’era un negozio che non avevo mai sentito prima, si chia-
mava Arkham e si trovava al 26 dell’Alzaia Naviglio Gran-
de.
L’indomani il mio amico Tindiana trovò uno strano messag-
gio sulla bacheca di Camelot, un negozio dei più svariati
oggetti ed artefatti, dalle miniature di creature d'incubo a
quelle di prodi cavalieri in armatura, da manuali di giochi
proibiti a libri e scritti antichi di molteplici autori che si sono
alternati nelle ere.
Il messaggio era su un foglio di carta sbiadita ed ingiallita,
l'inchiostro nero aveva creato delle piccole macchie, ma la
scrittura, benché tremolante, era in un certo modo compren-
sibile e recitava così: Cthulhu Live, come mai lo avete im-
maginato - Arkham, n°26 Alzaia Naviglio Grande, il che
coincideva con quanto avevo scoperto io.
Ci trovavamo in università quando Tindiana ci riferì la noti-
zia, eravamo seduti sui muretti dei colonnati secolari che
adornavano uno dei chiostri della nostra antica università
che, per quanto ci riguarda, non ha nulla da invidiare alla
Miskatonik University di Arkham.
Avevamo già partecipato a manifestazioni come Cthulhu
Live, divertenti da un certo punto di vista, ma scarne da
quello dell'atmosfera e dall'ambientazione, per ovvi motivi
quando lo spazio disponibile è limitato a due corridoi e tre
stanze, invece che un parco buio e nebuloso, o vicoli deserti
e disadorni.
-Perché non andare a vedere?- propose il mio amico Ran-
dolph, -Forse è la volta buona per entrare nel Kadath-.
-Hai davvero così tanta voglia di andarci?- gli domandai.
-Di tornarci-. rispose lui,
-Quello era un altro Randolph Carter, l’alter ego di Love-
craft-.
17
-Se vuoi di racconto tutto per filo e per segno-.
-Potrei farlo anch'io senza esserci stato-.
-Impossibile-, s'intromise Tindiana, -tu non ti ricordi mai
niente-.
I miei compari risero e io, d'altra parte, non potevo nemme-
no ribattere in quanto era tutto vero.
-Ci andiamo oggi pomeriggio?- domandai poi, gli altri an-
nuirono e fummo tutti d'accordo.
Era un uggioso pomeriggio di settembre, usciti dalla metro-
politana percorremmo a piedi il lungo Naviglio, le sue acque
si muovevano placide lungo il proprio corso, in quella zona
gli alberi erano rari, c'erano piuttosto diversi edifici di un
paio di piani dai tetti spioventi che in alcuni punti arrivavano
quasi a toccarsi con quelli dell'altra parte del fiumiciattolo,
largo pochi metri.
Portoni e balconi mostravano il corso degli anni, costoloni e
bassorilievi di marmo denotavano ancora uno stile neo ro-
manico dell'inizio del secolo, alcune di quelle case avevano
ancora di fronte all'ingresso un piccolo pozzo nel quale, un
tempo, aprendo un pannello di metallo limitrofo al fiume, lo
riempiva d'acqua, che veniva utilizzata per lavare i panni o
altro.
Molteplici erano i ponticelli che collegavano le due sponde,
erano talvolta di pietra, lavorati ed intarsiati ai lati, solita-
mente con lo stemma degli Sforza, ma anche con altre figu-
re; altre volte i corrimano erano di ferro battuto, andato a
sostituire probabilmente i parapetti danneggiati.
I negozi posti in quegli edifici erano i più svariati, dai corni-
ciai ai falegnami, dai venditori di oggetti magici a vecchie
librerie di volumi ammuffiti dalle quali usciva l'odore delle
pagine marcescenti, ma anche povere taverne e bar di bassa
lega, artisti di strada e chiromanti, molti negozi di quadri,
gallerie d’arte e botteghe artigianali.
Tra queste botteghe trovammo l'Arkham, che potremmo se-
18
gnalare sotto la categoria delle vecchie librerie, anche se
vendeva un po' di tutto, dagli artefatti magici alle candele,
da statuette a quadri di creature innominabili.
Dentro c'era una gran confusione, alcuni libri erano in terra
posti uno sopra l'altro, e del ciarpame vario era disseminato
negli angoli dove gli scaffali non arrivavano.
La porta, aprendosi, toccò una piccola campanella, così da
avvertire il proprietario che eravamo entrati.
Da un uscio che dava ad un'altra camera, dalla quale si in-
travedevano altri scaffali e libri disseminati ovunque, uscì
un uomo anziano, o meglio, un uomo di incomprensibile età
la cui pelle raggrinzita ne aveva alterato i lineamenti, aveva
strani occhi stretti e lunghi, orecchie dai lunghi lobi, il naso
sottile e il mento appuntito.
I suoi vestiti erano parecchio vecchi, stile anni '20, strani gu-
sti, l'uomo comunque ci chiese cosa desiderassimo.
-Salve, abbiamo letto del gioco di ruolo live, vorremmo i-
scriverci-. dissi.
-Oh, sì, siete qui per Il Richiamo di Cthulhu. Venite, segui-
temi-. seguimmo il vecchio nell'altra stanza, un pochino più
grande, dove ci fece sedere su delle sedie di paglia sfilaccia-
te ed impolverate.
-Bene, bene, disse. Altri giovanotti in cerca di avventura.
Avete già partecipato ad altre avventure simili?-
-Beh, alcune volte, ad Immaginaria-. rispose Tindiana.
-Bene, bene-, continuò il vecchio, -dimenticatevi tutto, per-
ché questa nostra versione sarà talmente reale che arriverete
a non capire se state ancora giocando o meno. Parteciperan-
no diverse persone in tutta Europa e persino in America, dal
New England, perché l'avventura sarà di proporzioni masto-
dontiche, ognuno avrà il suo ruolo e, ad esclusione di chi già
conoscete, non saprete chi altro vi partecipi, ma dovrete ca-
pirlo dalle situazioni che si mischieranno alla vita quotidia-
na-.
19
-Cosa?- domandò Abdullha con aria interrogativa quanto la
nostra.
-L'avventura non durerà una sola sera, inizierà alla mezza-
notte del 31 Ottobre è terminerà quando qualcuno raggiun-
gerà il proprio scopo e capirà l’intreccio dell’intera vicenda-.
-Fico-. commentai a bassa voce. -E chi farà il Custode, lei?-
Il vecchio rise: -Certo che no, voi non saprete chi è il Custo-
de, perché non prenderà parte all'avventura in quanto sarà
lui a guidarla, in tutto e per tutto-.
-Ma chi ha organizzato questa cosa? Ho letto di un Necro-
nomicon Group, ma non ne avevo mai sentito prima, si tratta
forse della Necronomicon Press, o chi altro?- domandai.
-Beh, uno degli scopi del gioco sarà anche questo. Voglio
che sia chiara una cosa: una volta iniziata l'avventura non ci
si può tirare indietro fino al raggiungimento dello scopo o
alla fine prematura, ovviamente, perché altrimenti verrebbe
a mancare un personaggio e come un effetto domino tutto
cadrebbe-.
-Diavolo, quanto costerà partecipare ad una cosa del gene-
re?- chiesi.
-Nulla, l'avventura è gratuita-.
Ci guardammo perplessi.
-Ci permette un minuto?- domandai, l'uomo uscì e noi quat-
tro rimanemmo soli.
-Che ne dite?- feci guardando i miei compari anche loro
perplessi.
-Non vorrei fosse un imbroglio o qualcosa del genere-. disse
Randolph.
-Con tutta la pubblicità che c’è in giro? Ne dubito-. ribattei.
-Beh-, ribatté Tindiana, -a me sembra tutto in perfetto stile
lovecraftiano, dal vecchio con qualche rotelle in meno, a
quanto ci ha detto, sarà una nuova trovata di qualche gruppo
di maniaci della letteratura di Cthulhu-.
-In effetti non chiedono soldi né niente-. fece Abdullha.
20
-Eppure c'è qualcosa che non mi convince… d'altra parte
credo che non ci capiterà più una simile occasione, e final-
mente potremo vivere un'avventura come si deve senza stare
ad un tavolo davanti ad una scheda tirando dei dadi-.
-Inoltre c’è in palio una vacanza nel New England-. aggiunsi
io.
-Beh-, disse Randolph, -se siamo tutti d'accordo… accettia-
mo?-
-Ok-. riposero gli altri, e così richiamammo il vecchio.
-Se non ha altro da aggiungere noi pensiamo di accettare-.
dissi al libraio.
-Bene, bene, ditemi nome ed occupazione-. disse il vecchio
prendendo nota su un foglio di carta ingiallito.
–Quali?- iniziai.
-Quelli della vostra avventura-. rispose.
-Ah, ho capito: Paul Kevin Araya, detective-.
-Bene. Gli altri?-
-Prof. Tindiana Jones, archeologo-.
-Dott. Randolph Carter, occultista-.
-Abdullah Fatinlha, venditore di tappeti-.
Il vecchio sorrise, armeggiò su un tavolino con carta e penna
e poi ci allungò una specie di tessera:
-Tenete questa tessera, sarà la vostra carta di identità, non
perdetela o abbandonatela per alcun motivo. Ora veniamo
all'equipaggiamento-.
Il vecchio si chinò e prese uno scatolone sotto uno degli
scaffali impolverati e sovraccarichi di volumi e altre cianfru-
saglie, lo posò sul tavolo e rovistò creando un confuso ru-
more metallico, tirò poi fuori una vecchia pistola mezza ar-
rugginita e me la lanciò: -Tieni, detective, è un Revolver 45,
occhio che hai solo sei munizioni-. presi la pistola al volo e
la osservai sbalordito, sembrava proprio vera, ma non era
possibile.
-Per te c'è anche questo, fa attenzione, mi raccomando. Que-
21
sto di munizioni ne ha solo quattro-. il vecchio mi passò uno
shotgun calibro 12, anche questo sembrava vero.
A Randolph diede un Revolver 22 e ad Abdul un coltello da
caccia, mentre a Tindiana, ovviamente, una frusta.
-Tenete, ho anche alcune fondine-. presi una fondina ascella-
re ed una da spalla.
-Guardate se c'è altro che può servirvi, ad eccezione delle
armi, quelle che avete vi bastano-. Ancora stupiti guardam-
mo nello scatolone, io preso una torcia a sigaro che avrei in
caso appiccicato tra le due canne dello shotgun e gli altri
qualche altro oggettino utile.
-Tutto questo-, disse infine il vecchio mettendo via lo scato-
lone, -dovrete conservarlo e utilizzarlo solo dopo la mezza-
notte del 31 Ottobre, quando tutto avrà inizio.
-Ma sono vere le armi?- domandai ancora incredulo.
-Certo che lo sono, preferisci una pistola ad acqua per difen-
derti?-
-E se per caso ci dovesse fermare la polizia?-
-Sei un detective, no? Ti ho appena dato il porto d'armi as-
sieme alla carta d'identità-.
Controllai, ed in effetti c'era un porto d'armi a nome di Paul
Kevin Araya, sorrisi, e capii che faceva tutto parte del gioco
e che quelle armi dovevano essere per forza finte, o per lo
meno inutilizzabili.
-Come inizierà l'avventura?- domandò Randolph.
-Oh, al solito modo, ve ne accorgerete, state tranquilli, il Cu-
stode sa il fatto suo-.
Misi l'equipaggiamento nello zaino, poi salutammo il vec-
chio ed uscimmo da quello strano quanto inquietante luogo,
senza chiaramente aver capito a cosa stavamo per andare in
contro.

22
***
La sera del 31 Ottobre, guarda caso la Notte di Ognissanti in
cui le streghe si riuniscono per i loro magici e blasfemi riti,
eravamo al Carpathian, un locale dark addobbato con lapidi,
croci, bare di legno, e schifezze varie, le cameriere erano
vestite di nero e truccate da vampire e fattucchiere e si aggi-
ravano tra i tavolini, delle piccole bare dal coperchio di ve-
tro attraverso il quale erano visibili scheletri e cadaveri (finti
spero), con vassoi pieni di bicchieri di birra e alcolici vari.
Si parlava delle solite cose: ragazze, heavy metal, concerti
vari, giochi di ruolo… e alla mezzanotte esatta una delle
cameriere si avvicinò al nostro tavolo e ci porse un biglietto:
-Un tizio mi ha lasciato questo per un certo Araya, ha detto
che era uno di voi quattro-.
La cosa ci colse di sorpresa, ci guardammo senza dire nulla,
io lo presi e annuii, dicendo alla ragazza che Araya ero io.
In quel momento il dj del locale mise su "The Call of Cthul-
hu" dei Metallica 2, senza farci caso aprii il biglietto con i
miei amici che si facevano sempre più vicini, e lessi quanto
scritto: -Lo sentite? È il richiamo di Cthulhu-.
Solo dopo averlo letto Randolph riconobbe la canzone: -The
Call of Cthulhu…ma come diavolo è possibile?-
-Beh-, dissi io alzando il bicchiere di birra pieno a metà, -
direi di fare un brindisi a questa avventura, visto che da ora
in poi tutto non sarà più lo stesso, o almeno credo-. i miei
amici alzarono le loro birre e insieme brindammo: -Al
Grande Cthulhu!-
Finii la birra con un ultimo sorso e mi alzai in piedi: -Forza,
dobbiamo lavorare-.
Dopo avere pagato uscimmo fuori dal locale, l'aria era fresca
e tirava un leggero venticello, non c'era quasi nessuno in gi-
ro per quella zona, c'eravamo solo noi e le macchine par-
cheggiate caoticamente lungo la strada e sui marciapiedi, i
palazzi erano dei silenti edifici popolari con più di venti pia-
23
ni agglomerati in isolati sempre più stretti, quasi da voler
inghiottire la strada e le vie che li separavano.
Non so se fosse la suggestione o la mia perseverante paura
del buio a farmi sentire osservato, fatto sta che quella sensa-
zione me la sentivo addosso, forse c'era qualcuno che ci
guardava da dietro alcuni alberi secolari, le cui chiome
giungevano a toccare le nodosi radici che avevano da tempo
rotto l'asfalto attorno a loro in cerca di libertà, oppure dai
balconi non molto lontani dei vecchi edifici di inizio secolo,
recanti ancora lo stemma degli Sforza sul parapetto, mentre
altri avevano addirittura dei doccioni spettrali che fissavano
arcignamente la strada sotto di loro.
Ma più probabilmente il Custode si celava dietro lo sguardo
famelico di un gatto randagio che gironzolava senza meta
per le vie della città addormentata.

-E’ pure la notte di Halloween questa-, dissi mentre torna-


vamo indietro con la macchina, -la notte delle streghe-.
-Beh, non poteva essere altrimenti-. rispose da dietro Ran-
dolph.
Tornando poi a casa, attraverso le vie ormai deserte del Bor-
go Vecchio, assopito nella notte, udimmo uno strano suono,
cupo e lontano a cui però non demmo molta importanza.
Quando poi parcheggiamo la macchina e scendemmo
dall’auto si udiva ancora il lontano echeggiare di quel suono
sinistro.
-Che diavolo sarà?- fece Tindy allungando le orecchie.
-Non lo so-, risposi, -diamo un’occhiata?- guardai i miei a-
mici, loro guardarono me annuendo.
Ci incamminammo così nel villaggio silente e addormentato
verso la fonte di quel lamento cupo e minaccioso.
–Sembra provenire dal vecchio cimitero-. disse Abdul mente
ci avvicinavamo.
–Chissà perché non avevo dubbi-. ribattei.
24
Il vecchio cimitero era quello di Borgo Vecchia, costruito
nell’ottocento e ancora in piedi nonostante i bombardamenti
delle due guerre mondiali, non era molto grande, ma di notte
faceva il suo effetto, con quel suo muro irto di guglie e stra-
ne figure in bassorilievo, mentre dall’interno si vedevano le
cupole a ogiva e i pinnacoli delle tombe di famiglia e della
cappella funebre, e svariate specie di rampicanti, rovi e ar-
busti che coprivano gran parte del selciato interno e dei mu-
ri.
Il massiccio cancello nero in ferro battuto, solitamente serra-
to da un solido catenaccio, era socchiuso, la catena con luc-
chetto era solamente appoggiata nelle inferiate, da lì lo stra-
no suono era più chiaro, era una litania cadenzata che faceva
venire i brividi.
–Non so perché ma tutto questo mi fa venire in mente le
canzoni dei Dark Funeral o dei God Dethroned, con i loro
intro del diavolo da messa nera-. commentai a bassa voce
mentre aprivo lentamente il cancello e ci ficcavo dentro la
testa per vedere qualcosa.
Il cimitero era fiocamente illuminato dai lumini posti sulle
lapidi e le tombe, si vedeva pochissimo da quel punto, cio-
nonostante non si vedeva nessuno, ma non smaniavo dalla
voglia di entrare, inoltre una fitta nebbiolina si stava alzando
e ricopriva quasi interamente il terreno brullo e ricoperto di
lapidi, aumentando ancora di più l’atmosfera tetra e lugubre
di quel luogo.
-Cosa vedi?- mi domandò Randolph.
-Niente, non c’è nessuno, o almeno non si vede nessuno-.
-Eppure quel suono arriva da qui, non lo senti?-
-Sì, che lo sento, dannazione, anche se ora sembra più flebi-
le, ma ti dico che non c’è nessuno-.
-Proviamo ad entrare-.
-Ok, ma facciamo attenzione-.
Aprii un po’ di più il cancello entrando nel cortile di ghiaia
25
del vecchio cimitero, vecchie croci in ferro battuto, e lapidi
quasi cancellate erano disseminate su tutto il terreno, alcune
erano nascoste da cespugli di rovi, altre stavano sprofondan-
do lentamente nella terra.
Faceva freddo, erano ormai le due del mattino, e il fiato si
condensava in piccole nuvolette, e potevamo scegliere se
tremare dal freddo o dalla paura.
L’aria era ferma e pesante, fetidi vapori uscivano dalle tom-
be aperte e sentivo qua e là dei sospiri e flebili sussurri, oltre
che quella lugubre litania.
Facemmo lentamente alcuni passi verso la sorgente del suo-
no, camminando lungo il sentiero che passava tra tombe, la-
pidi e croci, non bastò quella tetra atmosfera a spaventarci,
ci si mise anche un vecchio gufo a farci sobbalzare il cuore.
Il suono ci conduceva verso la muro di cinta opposto
all’entrata, dove erano costruite le vecchie tombe di fami-
glia, veri e propri tuguri di pietra, con statue di angeli e santi
in bassorilievo, vetrate con inferiate, e alte cupole spioventi.
D’un tratto Tindy inciampò e cadde contro una vecchia lapi-
de ormai consunta dal tempo, ci bloccammo immediatamen-
te, temendo che qualcuno ci avesse sentiti, ma la litania con-
tinuava incessantemente. Aiutammo Tindy ad alzarsi, e nel
farlo lessi casualmente il nome inciso sulla vecchia lapide:
Vincenzo Apicce, N. 11 Nov 1819 M. 12 Apr 1862.
-Diavolo-, esclamò il Tindy, -è come se fossi inciampato nel
vuoto, mi è sembrato che qualcuno mi avesse afferrato la
caviglia-.
-Può darsi-, risposi io, -guarda di chi è la lapide-.
-Appicce… oh, diavolo..-.
Quel nome ormai antico ma ancora pieno di una carica di
terrore faceva impallidire al solo nominarlo, per quello
Tindy si era ammutolito e Randolph era rimasto a bocca a-
perta senza proferire parola, mentre Abdul ci chiedeva chi
diavolo fosse.
26
-Era un taglialegna-, gli raccontai, -abitava a Varetta, su in
qualche valle lombarda. Aveva rapito e fatto a pezzi dei
bambini nella sua baracca in mezzo al bosco, e quando lo
presero egli disse che aveva agito per conto delle sorelle Be-
nante, tre vecchie che erano state accusate tempo prima di
stregoneria da dei bambini, quegli stessi bambini erano stati
poi uccisi barbaramente da Appice.
I cacciatori che lo trovarono mentre stava smembrando la
sua ultima piccola vittima lo massacrarono a fucilate-.
-E che diavolo ci fa qui da noi la sua tomba?-
-Credo che sua madre abitasse qui al Borgo, ma c’è solo
questa lapide, per quel che ne so la bara è vuota-.
-E perché?-
-Sembra che quando i cacciatori tornarono nel bosco dopo
essere andati a chiamare gli aiuti non trovarono più la casa
di Appice, era come svanita, ingoiata dal bosco, e non per
niente la gente ci sta ben alla larga-.
-Ehi-, fece Randolph, -ho trovato qualcosa-. raggiunsi il mio
amico chino sul selciato, mi mostrò una macchia colorata e
altre gocce che andavano in direzione della cappella funera-
ria del cimitero.
–Sembra cera rossa-. disse Randolph con una punta di timo-
re, -Qualcuno stava facendo una piccola processione, era la
loro litania il lamento che udivamo, ed ora sono dentro la
chiesetta, ed il suono si è affievolito-.
-Credevo che la cappella fosse chiusa da un’eternità-. bisbi-
gliò Tindiana.
–Infatti-. gli risposi intuendo il suo pensiero.
-Credete che qualcuno stia operando una messa nera o qual-
cosa del genere?- ci domandò Abdul.
–Tutto lo fa supporre, dopotutto è la notte di Ognissanti-.
fece Randolph alzandosi.
-Io mi sto cagando sotto-, confessai, -andiamocene alla svel-
ta. Se ci prendono quelli ci sgozzano all’istante-.
27
-Ha ragione-, mi spalleggiò Abdul, -qui finisce male se ci
beccano-.
-Diamo solo un’occhiata-, disse Randolph, -che vi costa?-
Avevo le gambe che tremavano, il mio sesto senso mi urlava
di scappare immediatamente da quel posto maledetto, faceva
freddo, sentivo voci e sospiri tutt’attorno, una leggera corti-
na di nebbia si stava formando sul terreno, eppure la passio-
ne per l’ignoto e il mistero furono più forti e seguii il mio
amico.
Recintata da una vecchia cancellata sulla quale abbondavano
le erbacce si ergeva la vecchia cappella funeraria, fatta di
mattoni che con il passare dei decenni si erano anneriti e
consunti. Era in uno stato di totale abbandono e decrepitez-
za, alcuni degli alti contrafforti di pietra erano crollati, le
finestre fuligginose in stile gotico erano pressoché intatte,
benché mancassero di parecchie colonnine divisorie di pie-
tra.
Anche il vecchio rosone posto al di sopra della porta con ar-
co ad ogiva era ormai consumato e decrepito, il portone, di
legno massiccio, era stato corroso dal tempo e dalle numero-
se piogge che lo avevano marcito e mangiucchiato.
In ultimo c’era una piccola croce di ferro sull’alto del tetto
spiovente, che sovrastava tutto il cimitero di Borgo Vecchia.
Varcammo senza alcun problema la bassa cancellata, anche
perché in alcuni punti mancavano le inferriate o erano state
divelte, più ci avvicinavamo alla chiesetta più la litania si
faceva chiara. Abdul e Tindiana rimasero al di là della re-
cinzione, fremendo mentre io e Randolph ci avvicinammo
alle finestrelle poste sul lato della cappella.
Le rientranze dove erano state poste le finestre erano ad al-
meno due metri e mezzo di altezza, essendo io piuttosto alto
allungai le braccia e riuscii ad afferrare il bordo della rien-
tranza e, aiutandomi anche con i piedi, mi tirai su, mentre
Randolph chiamò Abdul perché lo prendesse in spalla.
28
Credo che non scorderò mai quanto vidi quella notte, alme-
no quanto non dimenticherò tutti i momenti a venire di quel-
la folle avventura.
Tra le vecchie panche di legno e la polvere secolare c’era
una dozzina di persone ammantante ed incappucciate che
cantavano quella lugubre litania tenendo in mano ognuno
una candela rossa, mentre quello che presumetti essere il sa-
cerdote compiva uno rito blasfemo cospargendo l’altare di
sangue di un gallo nero, dopo che vi erano state poste sopra
delle particole, suppongo consacrate, ed erano stati scribac-
chiati col sangue dei segni mistici.
Alle sue spalle le statue di due santi erano state deturpate e
oltraggiate, mentre dalla statua della Madonna Addolorata
era stato estratto il pugnale conficcato nel cuore, e non mi
sarei meravigliato se si fosse trattato del medesimo pugnale
con cui il sacerdote aveva sgozzato il gallo.
Mentre stavo già pensando di andarmene di tutta fretta Ab-
dul e Randolph ebbero la brillante idea di ribaltarsi nel tenta-
tivo di prendere l’uno sulle spalle dell’altro, il tonfo e le im-
precazioni echeggiarono nel silenzio surreale del cimitero, e
il cuore mi mancò di un battito quando vidi i cultisti voltarsi
verso di noi.
Mollai immediatamente la presa: -Via! Via!- esclamai men-
tre anche gli altri due, consci del guaio in cui ci eravamo
cacciati, si alzarono e presero a correre come se avessero
avuto il diavolo alle spalle.
Sentimmo, ma non ci voltammo per verificare, che gli acco-
liti uscirono di fretta dalla chiesa per inseguirci, noi eravamo
terrorizzati, dovevamo uscire al più presto da lì e poi chiude-
re con il catenaccio il cancello, questo non li avrebbe ferma-
ti, ma ci avrebbe dato sicuramente il tempo di tornare a casa.
Il Tindy era davanti a noi, lo seguivamo a ruota, ma inco-
minciavo a pensare che nemmeno lui sapesse dove stesse
andando, d’improvviso lo vidi scomparire dopo essersi ad-
29
dentrato in un folto fogliame tra due pilastri, seguendolo alla
cieca mi trovai di fronte ad una buca dove il terreno era ce-
duto e aveva fatto cadere il mio amico, frenai appena in
tempo, ma l’impeto con cui Abdul e Randolph mi travolsero
nella loro disperata fuga fece precipitare tutti e tre di sotto.
Cademmo nel vuoto per quasi quattro metri atterrando su un
pavimento di terra che attutì la caduta, ci coprimmo la bocca
con la mano per non far udire i nostri colpi di tosse dai culti-
sti che, grazie al buio e al fitto fogliame di quella zona del
cimitero non ci individuarono.
Ci alzammo massaggiandoci le botte e leccandoci le ferite,
chiedendoci l’un l’altro se stessimo bene, Abdul tirò fuori
dal marsupio una piccola torcia a sigaro che teneva sempre
con sé, eravamo spaventati terribilmente, contusi ed infred-
doliti, ma almeno il pericolo immediato era passato, ora bi-
sognava uscire da lì.
-Tutto bene?- Domandai massaggiandomi la spalla, gli altri
annuirono, a parte qualche livido era tutto a posto.
–Voi e la vostra idea del diavolo!- s’arrabbiò Tindiana.
–Dove accidenti siamo?- domandò Abdul.
–Credo sia una tomba sotterranea, una volta le costruivano
per le famiglie più importanti, per nascondere eventuali pre-
ziosi o tesori-. rispose Randolph.
-Ok, ma come usciamo?-
-Le pareti sono lisce-, dissi dando un’occhiata ai lati della
tomba, -di arrampicarsi non se ne parla, e l’uscita è troppo in
alto anche per me, senza contare che abbiamo quei pazzi alle
calcagna-.
-Di qua c’è un corridoio-. fece Tindiana indicando una galle-
ria buia ad est.
-E qua un sarcofago-. aggiunse Randolph avvicinandosi ad
un avello di pietra appoggiato al muro.
-Lascia stare il sarcofago e andiamocene di qui, ne ho avute
abbastanza per stanotte-. ribatté il Tindy.
30
Abdul si fece avanti con la piccola pila illuminando lo stret-
to corridoio di pietra, le pareti sono umide e fangose, l’aria
stagnante toglieva il respiro e una distesa di ragnatele mi
sfiorava continuamente il volto.
Sulle pareti c’erano decine e decine di lapidi con nomi e da-
te semicancellate, sembrava una vera e propria necropoli.
Dopo poco il corridoio si biforcava in direzione nord e sud.
–E ora?- chiese Tindiana.
–Andiamo a destra-. feci io.
-E perché?-
-Perché nei librigame ad ogni bivio sono sempre andato a
destra e me la sono sempre cavata-.
-Sì, barando-. aggiunse Randolph.
–Dobbiamo fare la conta? L’uscita del cimitero sta a destra,
per cui io suggerisco di andare a destra-.
Abdul proseguì in testa al gruppo voltando a sud, dopo poco
la luce della pila individuò una scala di pietra sul fondo del
corridoio che ci rallegrò il cuore, ma non eravamo arrivati
che a pochi metri dagli scalini che uno strano rumore prove-
niente dal corridoio diametralmente opposto ci fece sobbal-
zare.
-Avete sentito?- domandò allarmato Randolph,
-Che diavolo era?- fece Abdul.
-A me sembrava un pianto-. dissi io, poi echeggiò nel buio
di quella necropoli un pianto di bambino che ci fece lette-
ralmente rabbrividire.
-Oh, diavolo!- esclamai spaventato, –Via! Via! Andiamo!-
I miei amici non se lo fecero ripetere, Abdul arrivò in cima
alle scale e aprì una botola appoggiata sull’apertura, tirò fuo-
ri la testa per vedere se c’era pericolo e ne uscì alla svelta.
–Via libera, forza!-
Io, che chiudevo il gruppo, scongiuravo gli altri di fare in
fretta, perché sentivo qualcosa avvicinarsi prepotentemente
dalle tenebre, finalmente uscii anch’io all’aria aperta, chiu-
31
demmo la botola e tirammo un sospiro di sollievo.
Ci trovavamo lungo il sentiero che costeggiava il Naviglio,
in lontananza si vedeva la sagoma della Cascina Forca, più
vicino le case limitrofe al torrente e la strada che ci avrebbe
portato a casa.
-Ma che diavolo era?- fece Randolph con voce tremante, -a
me sembravano le urla di un bambino-.
-Già, come uno di quelli uccisi da Appice-. dissi rabbrivi-
dendo per le mie stesse parole.
-Non dire queste boiate-. fece Abdul cercando di nascondere
il suo grande spavento.
-Io dico di andarcene, e alla svelta-. suggerì Tindiana, ci
guardammo e senza dir nulla annuimmo.
Dopo aver tirato il fiato ed esserci calmati ci incamminando
cautamente verso casa, restando ben lontani dal cimitero,
eravamo tutti sporchi, impolverati e acciaccati, ma per lo
meno eravamo ancora interi, anche se non avrei dormito per
qualche notte dopo quello spavento.
Fu notizia di due giorni dopo della profanazione della chiesa
del vecchio cimitero, ne parlarono al tg3 Lombardia e sulle
reti locali, era stato don Gianni, parroco di Borgo Vecchia a
trovare la cappella aperta, e le statue deturpate.
Gli inquirenti seguivano due piste: quella dei riti satanici,
anche se, a loro detta, poco probabile e quanto meno diffici-
le; mentre la seconda, più probabile, una ragazzata da sabato
sera, supportata questa ipotesi dalla testimonianza da una
persona che nella notte di due giorni prima stava passando
davanti al vecchio cimitero ritornando a casa e aveva visto
un gruppo di quattro ragazzi entrarvi di soppiatto.
-Figurati se non c’è mai uno stronzo che si fa i cazzi suoi-.
fu il commento di Abdul quando ci ritrovammo a casa di
Randolph quella sera per giocare ai giochi di ruolo.
–Ci manca soltanto che accusino noi-. fece Tindiana.
-Ne dubito-, dissi io, -come potrebbero? E poi ricordati che
32
stai parlando della giustizia italiana, non beccano mai nes-
suno, figurati quando non hanno prove-.
-Credo anch’io che possiamo stare tranquilli-, aggiunse
Randolph, -e comunque non abbiamo fatto niente-.
-Chissà chi diavolo erano?- fece Abdul.
-Saranno i soliti insospettabili-, gli risposi, -avvocati, medi-
ci, banchieri, hai presente Rosmary’s baby di Roman Po-
lansky?-
-No-.
-Stai parlando con uno che non ha mai visto Guerre Stellari
e Indiana Jones-. mi rammentò ridendo Randolph.
–Ah, già, è vero. Comunque solitamente i satanisti seri sono
appunto le persone insospettabili, di certo non gli zozzoni
come Marco Dimitri o Efrem Del Gatto. Infatti si dice che
questa gente abbia venduto l’anima al diavolo in cambio di
denaro e potere, e chi ne ha di più dei ricchi e dei potenti?-
-Il tuo ragionamento non fa una piega-.
-Anche se è vero che non tutti i ricchi e potenti abbiano ven-
duto l’anima al diavolo-.
-Me lo auguro-. sospirò infine Abdul.
-A che giochiamo?- fece Randolph.
-Io non ho ancora finito l’avventura per il Signore degli A-
nelli-. disse subito Abdul.
-Figurati-, dissi io, -io ne preparata una per Dark Cham-
pions, se siete pronti al massacro…-
-Ok-. risposero gli altri tirando fuori dal proprio raccoglitore
la scheda del personaggio di Dark Champions.
Tutti attorno al tavolo, davanti alla scheda, all’astuccio e ai
numerosi dadi, iniziammo una nuova avventura.

33
2. LA CASA
Solitamente in un gioco di ruolo le nostre avventure iniziano
o con un inaspettato colpo di scena che ci trova coinvolti in
qualche pazza avventura oppure, come accadde quel giorno,
con una richiesta di aiuto di una persona.
Ero davanti all'università a parlottare con i miei amici, era-
vamo alla pausa per il pranzo, stavo raccontando al Tindy
del film che avevo visto la sera prima quando una ragazza
mi si avvicinò e mi chiamò per nome: -Detective Araya?-
La guardai sorpreso: -Sì?- confesso che ero molto incuriosi-
to e divertito dalla situazione, non capita certo tutti i giorni
di avere una doppia vita e per giunta avventurosa come quel-
la di un detective.
-Buon giorno, mi chiamo Lisa Legnani, e avrei bisogno del
suo aiuto-.
La ragazza aveva alcuni anni più di me, recitava bene la sua
parte, a differenza mia non si era lasciata sfuggire un sorriso
o un risolino, e sembrava davvero angosciata, volli così non
essere da meno.
Vidi i miei amici ridacchiare, ma la ragazza non vi fece ca-
so.
-Certo, andiamo a parlarne in un bar?- la ragazza annuì, a-
veva dei capelli biondi piuttosto corti ed occhi azzurri, non
era particolarmente affascinante, anzi, ma, d'altra parte, non
dovevamo girare un film hollywoodiano.
Alcuni minuti dopo eravamo seduti ad un tavolino di un bar,
lei prese un succo di frutta e io una spremuta d'arancia.
-Sono tutto orecchi, miss-.
Dopo un sorso del succo Lisa incominciò a raccontarmi cosa
la affliggeva: -Sarò breve, detective, mio padre due settima-
ne fa è stato internato in un ospedale psichiatrico, comple-
tamente impazzito, e senza alcun motivo apparente. È sem-
pre stato un uomo tranquillo, acculturato, non ha mai avuto
screzi con chicchessia e poi, d'improvviso, è andato fuori di
34
matto. L'ho trovato in casa sua, steso sul pavimento, con la
schiuma alla bocca, che delirava frasi sconnesse e senza sen-
so, e col terrore negli occhi. L'avevo sentito due giorni pri-
ma per telefono, mi ha detto che aveva appena iniziato un
nuovo lavoro di restauro ed era lucidissimo e calmo come
sempre e poi…-
-Restauro?-
-Mio padre è un pittore, restaura quadri antichi, spesso per la
Pinacoteca di Brera, ma anche per il Vaticano-.
-Capisco, e lei vorrebbe che capissi cosa gli è accaduto?-
-Esatto, se riuscisse a capire la causa, forse riusciremo a tro-
varne la cura-. devo dire che la ragazza era molto brava,
sembrava davvero disperata, e nell'esporre il racconto pianse
qualche lacrima.
Lisa tirò fuori dalla borsetta un mazzo di chiavi e un fogliet-
to.
-Le ho scritto il mio numero di telefono e l'indirizzo della
casa di mio padre su questo biglietto e queste sono le chiavi.
L'avverto che la casa è piuttosto vecchia, faccia attenzione
alle scale di legno e ai corrimano, non vorrei che si facesse
male se qualcosa dovesse cedere. Allora? Che mi dice?-
-Beh, non ho molto di meglio da fare… accetto-.
-Grazie, detective, spero che riesca davvero a scoprire qual-
cosa-.
-Lo spero anch'io-.
-Ecco, tenga-, la ragazza mi allungò due bigliettoni da 100€,
-questo è un anticipo, a lavoro fatto ne avrà altri 300. è
d’accordo?-
-D’accordissimo, certo-.
Pagammo il conto e poi ci separammo fuori dal bar dandoci
appuntamento ad un paio di giorni più tardi, o prima se a-
vessi scoperto qualcosa di importante.
Controllai bene i soldi, erano autentici oppure c’erano in gi-
ro degli ottimi falsari, sembrava proprio un gioco serio.
35
La prima cosa che feci una volta tornato in università fu
quella di raccontare agli altri tre l'incontro con Lisa, sarem-
mo entrati in azione quella sera con appuntamento per le 21
sotto casa mia.
Tornai a casa verso le 18, il sole era tramontato già da un
paio di ore, c’era un freddo pungente e una fitta foschia a-
leggiava nell’aria.
Ero un po’ eccitato per l’inizio dell’avventura, anche perché
non avevo la minima idea di cosa fare, di come comportar-
mi, ma qualcosa mi sarei inventato, dopo tutto era solo un
gioco.
Dopo cena andai in camera a prepararmi, mi infilai la fondi-
na ascellare nella quale misi la pistola, vera o finta che fos-
se, nello zaino c'era già lo shotgun, oltre a quello vi infilai
varia roba: un taccuino, l'astuccio con dentro penne, matite,
taglierino e altro ancora, una torcia elettrica, un registratore
portatile, nastro adesivo, un metro, un mini kit attrezzi
dell'ACI con dentro brugole, cacciaviti e chiavi montabili,
una felpa e una macchina fotografica usa e getta con 27 scat-
ti, più il Secondo Almanacco della Paura di Dylan Dog col
Vademecum del Cacciatore di Fantasmi (sperando di non
doverlo usare), stivali, kiodo di pelle e via, l'avventura co-
minciava, e lo sentivo in ogni punto del mio corpo.
Mi trovai attorno alle 21 con Randolph e Abdullah, ci scam-
biammo un paio di parole e poi salimmo in macchina per
andare a prendere Tindiana, forse il più agitato di tutti.
Durante il viaggio lungo le strade di Milano raccontai nel
dettaglio l'incontro con Lisa, quel pomeriggio non avevo a-
vuto poi molto tempo, le mie impressioni e quant'altro, an-
che i miei compagni erano nervosi, carichi di adrenalina, già
formulavamo le prime ipotesi: possessione, shock, evoca-
zione di un Errante Dimensionale…
-Non mi pare il caso-. mi disse Randolph visto che avevo
nominato io la creatura, -Se ci fosse davvero un Errante Di-
36
mensionale direi: è stato un piacere, e grazie-. continuò.
-Ma và-, riprese Abdul mentre guidava, -al massimo avran-
no messo un fantoccio di gomma che scoreggia dalla bocca-.
-Di che fantoccio stai parlando?- domandò Tindiana già ca-
lato nel personaggio e perciò estraneo alla realtà (se realtà
era).
-Dov'è questo diavolo di posto?- richiese il turco.
-Sui Navigli, in via Magolfa, ma perché stiamo facendo gui-
dare ad un turco venditore di tappeti?-
-Perché tuo padre non ti ha lasciato la macchina-. mi rispose.
-Pensa a guidare-. lo redarguì Randolph dal sedile posterio-
re, -che se non troviamo parcheggio dobbiamo fare al solito
due chilometri a piedi-.
-Facciamo un salto da Supergasp o al Giornalaccio prima?-
insisté il turco.
-Allora-, gli rispose Tindiana, -nei racconti di Lovecraft gli
arabi non fanno una bella fine e i turchi sono della stessa
razza, se non vuoi essere da meno al mito va avanti così-.
-Diavolo se la fate seria-.
-Hai voluto fare il turco zozzone? E ora stai zitto-. chiusi il
discorso.
Ci toccò parcheggiare abbastanza lontano da via Magolfa, in
piazzale Caro, vicino ad un parchetto posto di fronte ad una
vecchia chiesa di inizio secolo, adiacente alla quale erano
stati costruiti dei condomini ormai decadenti.
Nel buio più totale illuminato solo da qualche lampione,
prendemmo gli zaini dal baule e poi ci incamminammo, fa-
ceva parecchio freddo, eravamo sicuramente attorno agli
0°C, se non addirittura sotto.
-E come faremo a sapere se abbiamo capito qualcosa o me-
no?- domandò di nuovo Abdul,
-Non lo so-, risposi, -credo che non lo sapremo-.
-Se riusciamo ad andare avanti con la storia significa che
siamo sulla strada giusta, altrimenti la prenderemo in quel
37
posto e non sapremo mai nulla-. fece Randolph.
Dall’Alzazia Naviglio Pavese prendemmo l’imboccatura per
via Magolfa, la via faceva una curva a sinistra che ci riportò
indietro, non c’era molta gente lì in giro, alcuni proprietari
di locali stavano pulendo l’ingresso, qualcun altro stava la-
vando le vetrine, e così via, c’era un innaturale silenzio, che
sarebbe stato rotto nel giro di un paio d’ore, quando la folla
che riempie questa zona di Milano si riversa nei locali e nel-
le strade.
La nostra meta era il numero 32, che stava proprio in fondo
alla via, da dove spuntavano degli alberi secolari e piante
erbacee attaccate ai muri di cinta e ai cancelli.
La casa era una via di mezzo tra un vecchio cascinale e una
casa di inizio secolo, molto grande e decrepita, un enorme
cancello nero bloccava la prima entrata, ma, essendo io piut-
tosto alto, riuscivo lo stesso a intravedere qualcosa: c’era un
piccolo vialetto limaccioso e di ghiaia dietro al portone, alla
cui destra c’era una cancellata piena di rovi intricati che fa-
ceva probabilmente da recinzione con la proprietà accanto,
sulla sinistra c’era una parete esterna della casa, con una
porta, sul proseguo, lungo la parete, c’erano vari attrezzi get-
tati in terra da chissà quanto, una carriola arrugginita, una
pala col manico rotto, e altro che non riuscivo a distinguere,
dopo pochi metri la parete terminava e dal buio si intuiva la
presenza di una cortile posteriore.
Sulla porta ci colpì la presenza di una vecchia luce al neon,
ancora accesa, anche se era talmente sporca che non illumi-
nava un granché.
Provammo la chiave che Lisa mi aveva dato col cancello,
ma questo non si aprì e così ci spostammo.
Il muro che dava sulla via era composto da diverse finestre
cieche e una porta murata che recava l’insegna arrugginita e
difficilmente leggibile di un bar.
Più in là c’era un altro cancello, da lì si vedeva, oltre alla
38
terza parete (quella est) della casa, una casupola, proprio a-
diacente al vialetto d’ingresso.
Sembrava più un grosso ripostiglio, era fatta di assi di legno,
alta circa cinque metri, lunga sei o sette e larga non più di
due, alcune delle finestrelle cigolavano per via del vento e
quel rumore non faceva altro che aumentare l’atmosfera di
irrealtà e paura che già circondava la casa come un alone di
tenebra.
La chiave apriva il lucchetto di quel cancello che, con un
cigolio, si aprì, rivelando la stradina di pietre che aggirava il
capanno di legno e conduceva alla casa, ora immersa nel bu-
io più totale. Presi la torcia elettrica dallo zaino, gli altri fe-
cero altrettanto, ma lì per lì non mossi un passo, ero fermo
davanti a quella stradina di ghiaia che portava nel buio più
profondo, contigua ad una strana ed inquietante costruzione,
dove, nel buio delle piccole finestre al piano rialzato, vedevo
tante cose che non c’erano… avevo paura, e non poca.
La presenza dei miei amici di dava un po’ più di sicurezza, e
mi decisi ad incamminarmi, ma non in testa: -Mandiamo a-
vanti il turco-, dissi, -tanto lui è scettico-.
Come in ogni nostro Role Playing si decideva sin dall’inizio
l’ordine di movimento, chi stava in testa e chi in coda, per
fortuna io stavo quasi sempre in coda, e questo mi aveva più
volte salvato la pelle.
Stabilito l’ordine ci incamminammo lungo il viottolo, sor-
passata la costruzione di legno mi voltai per darle un’ultima
occhiata ed ebbi la spiacevole impressione di essere osserva-
to dal buio dell’interno.
La porta era di legno massiccio, uno di quei portoni anni ’20
con battenti in ferro e bassorilievi amorfi, cercai la chiave ed
aprii la serratura.
–Prego-, dissi ad Abdul, -dopo di te-.
Abdul aprì la porta, dentro c’era un buio abissale, eravamo
tutti molto vicini, intimoriti, ma nessuno voleva che gli altri
39
lo capissero.
Fatto un passo nella casa puntammo le torce contro la parete
e trovammo un interruttore; la luce portò sollievo a tutti
quanti, l’interno della casa non aveva nulla di anormale, era
un semplice ingresso poco arredato, impolverato sì, ma non
di secoli, c’erano alcuni dipinti sulle pareti, si notava
l’amore per la pittura del padre di Lisa.
–E ora?- chiese Abdul.
–Non so-, dissi, -cerchiamo il quadro?-
Randolph si diresse verso la scala: -Andiamo di sopra a ve-
dere, avrà pure uno studio o qualcosa di simile questo tizio-.
-Ma non ti ha detto niente la ragazza? Un’indicazione, un
minimo di qualcosa…- fece Tindiana.
–Ehi, sei tu il laureato, io sparo e basta, figurati se mi viene
in mente di fare certe domande così intelligenti-.
Salimmo piano le scale in legno che scricchiolavano sotto i
nostri piedi, quando Randolph, che stava in testa, si fermò.
–E ora che c’è?- domandai, lui si voltò, lo sguardo serio e
teso: -Ho una strana sensazione, come se fossimo osservati-.
-Sarà Il Custode-. disse Abdul.
–Dico sul serio-.
-E’ vero-, lo appoggiò Tindiana, -lo sento anch’io-.
A quel punto intervenni io: -Ragazzi, non fate così che mi
prende paura. Va avanti e chiudi con le boiate-.
Ad un certo punto sentimmo come dei piccoli scoppiettii e
poi la luce se ne andò.
–Ecco, lo sapevo io-. esclamai.
-Piantala di piagnucolare e tira fuori la torcia-. mi disse
Randolph.
Tutti e quattro prendemmo le torce elettriche e proseguimmo
al piano superiore.
Nel buio spettrale illuminato a sprazzi solo dalle nostre luci
sentivo su di me una forte oppressione, quasi soffocante, il
sesto senso mi urlava di scappare da lì al più presto possibi-
40
le, ma come potevo abbandonare così i miei amici?
Trovammo lo studio di Legnani, il quadro non c’era, tro-
vammo però sulla scrivania degli appunti su un certo Ther-
mogorothus, qualche nome, date, niente di che, sia Tindiana
che Randolph ne avevano sentito parlare, era un alchimista
del quindicesimo secolo che si dilettava anche in pittura,
forse era proprio suo il quadro che il pittore stava restauran-
do.
Un improvviso soffio d’aria fece volare gli appunti sul pa-
vimento, noi rimanemmo immobili, le imposte erano chiuse
e non c’era alcuna corrente d’aria…
-Cos’è stato?- domandò Tindiana intimorito quanto me.
–Un colpo d’aria-. rispose il turco.
–Lo so, ma se non c’è corrente…-
-Ti credo è saltata la luce-.
-Ora lo ammazzo-.
-Sta buono-, mi fermò Randolph, -andiamo di sotto, forse
aveva un luogo più appartato dove dipingeva-.
Scendendo dietro ai miei amici non potevo non sentire qual-
cosa alle mie spalle, forse solo il buio, o forse qualcos’altro
ancora che dal buio usciva ogni tanto per nutrirsi della pau-
ra.
Trovammo giù di sotto una porta che conduceva in cantina: -
Ecco, lo sapevo io, la cantina-. pigolai.
–Dai-, disse Tindiana, -prima troviamo questo quadro, prima
ce ne andiamo di qua-.
Mandammo di nuovo Abdul davanti, lui non credeva a fan-
tasmi, spiriti e cose così, ma aveva paura come noi tutti.
Con nostro stupore la luce della cantina funzionava, era solo
una lampadina che pendeva dal soffitto ammuffito, niente
più, ma era bastata a darci del sollievo temporaneo.
Giù di sotto c’era una stanza di circa 10x8m, dove Legnani
teneva tutto il suo materiale di lavoro e varie tele coperte da
delle lenzuola impolverate.
41
C’era ancora un quadro posto su un piedistallo di legno.
–Sarà quello-. dissi avvicinandomi, ma più mi avvicinavo
più avevo una terribile sensazione, le mani mi tremavano
mentre le allungavo per levare il telo che copriva il quadro,
avvertivo una pesantissima sensazione di angoscia e terrore,
come fossimo ad un passo dall’inferno.
Afferrai un lembo del lenzuolo e di scatto tirai scoprii il
quadro…
La vista della tela, quell’immagine, una terribile ed ango-
sciante crocifissione a testa in giù, tenebrosa, cupa, con uno
sfondo di buie creature i cui occhi insanguinati baluginava-
no, e i cui denti riflettevano un sogghigno, i volti straziati
degli uomini, l’ombra nascosta di un amorfo tentacolo, il
cielo coperto da nuvole nere gonfie di pioggia e tempesta,
davanti ad un sole rosso di cui si vedevano solo alcuni raggi
emergere dalla tenebra, producendo un effetto luce/ombra
apocalittico, ci atterrì e quella pesante sensazione
d’oppressione che ci attanagliava fin dal primo momento in
cui eravamo entrati esplose in quel momento, sentimmo la
terra tremare, i muri gonfiarsi come se respirassero, le dia-
boliche creature informi uscire dal quadro come demoni u-
sciti dall’inferno.
Un male eterno proveniente da chissà quali eoni aveva intri-
so l’intera casa, ogni suo angolo più remoto, ogni suo più
piccolo granello di polvere, ogni sua molecola sprigionava
un’angosciante e suppliziante sensazione di terrore e paura,
presenze diaboliche e mefistofeliche che danzavo al chiaro
di luna, fuochi che divampavano nell’oscura soffitta dove
una congrega di streghe inneggiava al demonio, assillanti
ombre che dalla tenebra ci avvolgevano e ci attanagliava-
no…
La paralisi dettata dalla paura venne scossa dalle nostre urla
di terrore, scappammo a gambe levata dal quel posto male-
detto, corremmo a perdifiato fino fuori nel cortile e poi an-
42
cora in strada e ci fermammo solo poco fuori, in una piazzet-
ta dove c’erano varie macchine parcheggiate.
Stravolti, terrorizzati, ci sedemmo in terra ad asciugarci le
lacrime per il più grande spavento della nostra vita.
Io avevo il cuore che batteva a mille e anche gli altri non e-
rano da meno, pallidi, esausti e ancora con le gambe che
tremavano.
–Beh, l’hanno studiata veramente bene-, dissi tra un ansimo
e l’altro, -chissà che risate si staranno facendo alle nostre
spalle-.
-Almeno abbiamo un indizio-. fece Tindiana, -
Thermogorothus…-
-Questo gioco sta diventando un po’ troppo pesante per i
miei gusti-, dissi ancora con la voce che tremava, -qualcuno
poteva anche farsi male-.
-Ha ragione-, mi appoggiò Randolph, -è un miracolo che
nessuno sia caduto e abbia battuto la zucca-.
-Ancora non capisco come ci siano riusciti… io ho sentito
davvero una presenza diabolica là dentro, porca miseria, e
per poco non me la sono fatta sotto-.
-Ci hanno suggestionati per bene-, disse Randolph, -la casa
che pare uscita da Evil Dead, la luce che salta, il pittore che
impazzisce per il quadro che stiamo cercando, ci aggiungi
qualche effetto sonoro da film horror e il gioco è fatto-.
-Io non so quanto sia stato suggestionato, ma qualcosa di
strano l’ho visto in quel quadro-, insistetti, -e credo che sta-
notte avrò problemi ad addormentarmi-.
-Diavolo, è solo un gioco-. fece Abdul.
–Ma se te la sei fatta sotto per primo-, gli risposi, -non avevo
ancora alzato il telo del quadro che stavi già correndo sulle
scale-.
-Basta adesso-, intervenne Tindiana, -forse è un gioco, o for-
se no, fatto sta che ci siamo dentro, e non possiamo uscirne,
almeno non ancora. Io direi domani di andare alla Biblioteca
43
di Brera e cercare qualcosa sul conto di quel Thermogoro-
thus-.
-La stai prendendo molto sul serio, eh Tindy?- fece Abdul,
-Sta attento tu a non prenderla troppo alla leggera-.
-Ma è solo un gioco del cavolo! È tutta una montatura, lo
sapete meglio di me, è come Immaginaria, solo fatta meglio-
.
-Già, proprio così-. Tindiana rispose in quel modo, ma il
volto lo tradiva, anche lui, come me, sospettava qualcosa,
ma era troppo assurdo per crederci, certo che l’avevano con-
geniata veramente bene.
Raggiunta la macchina tornammo a casa, dandoci appunta-
mento al giorno dopo, ma ognuno di noi, quella sera, vedeva
nel buio qualcosa di strano, di malefico e di terrificante, e
nessuno chiuse occhio, nonostante non fosse altro che un
gioco, o no?

44
3. L’ALCHIMISTA
Dopo un’accurata ricerca e grazie alle conoscenze storiche e
biblioteconomiche sia di Tindiana che di Randolph, tro-
vammo un saggio del professor G.T. Len, storico americano
di origine polacca che parlava ampiamente di Thermogoro-
thus:
“… da questo punto di vista, particolarmente inquietante è
la vita di Peter Tagtgren, meglio conosciuto come Thermo-
gorothus, nato da una piccola famiglia finlandese nel borgo
di Sibbo a poche miglia da Helsinki verso la fine del XVI
secolo, secondo alcune fonti intorno al 1580, secondo altre
alcuni anni prima nel 1577. Rimasto orfano in tenera età,
venne allevato da una ricca famiglia di mercanti svedesi
presso i quali suo padre era stato per molti anni il precetto-
re dei figli.
Questo gli permise di crescere a stretto contatto con la real-
tà politica e sociale del suo tempo. Ricordo a questo propo-
sito che a quel tempo la Finlandia faceva parte della Svezia
e la maggior parte dell’Élite del regno era costituita da sve-
desi, mentre i finlandesi erano in larga misura contadini e
operai, solo più tardi accresceranno il proprio prestigio di-
venendo soldati di professione.
[...] durante uno di questi viaggi giovanili ebbe modo di re-
casi presso al corte inglese dove potrebbe aver incontrato
John Dee, il medico di corte, nonché alchimista e negro-
mante, ma al riguardo non esistono prove certe. [...]
Intorno alla maggiore età, molto probabilmente nel 1600,
Thermogorothus intraprese un viaggio intorno all’Europa
insieme ai figli del suo tutore: si diresse da prima in Fran-
cia da dove poi passò in Italia. Qui, certa è la sua perma-
nenza prima Milano, poi Firenze e infine a Roma. Rimasto
affascinato dall’ambiente artistico della penisola, soprattut-
to da maestri quali Leonardo e Michelangelo, studiò archi-
tettura e pittura, riuscendo a diventare discepolo del Cara-
45
vaggio. Risalirebbero a questo periodo i suoi primi contatti
con gruppi esoterici, sembrerebbe inoltre che in quegli an-
ni, nello Stato Pontificio, agisse un gruppo eretico che a-
vrebbe fatto capo a una delle famiglie cardinalizie più im-
portanti e influenti di Roma. Un suo contatto con questa
congrega potrebbe spiegare perché, nonostante il clima di
sospetto e intolleranza religiosa creato dalla Controriforma,
egli non fu minimamente sfiorato dai numerosi processi per
stregoneria ed eresia che in quei tempi insanguinavano la
città.
Quando nel 1607 lasciò l’Italia si trasferì direttamente a
Praga. Il regno di Boemia in quegli anni era governato
dall’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, che pur essendo edu-
cato alla fede cattolica aveva una mentalità aperta e colti-
vava interessi scientifici e artistici internazionali e sovra
confessionali, fece della sua corte un luogo pittoresco, dove
si radunarono alcuni fra i più famosi artisti e scienziati
dell’epoca, fra i quali il pittore Arcimboldi, o i matematici
Brahe e Keplero. Accanto a questi giunsero a corte anche
personaggi più oscuri e inquietanti.
L’Imperatore non faceva mistero di avere interessi anche in
campi come astrologia, l’alchimia o l’occultismo facendo
richiamare al Hradschin, il castello di Praga, alcuni fra i
più ricercati, soprattutto dall’Inquisizione, sapienti del tem-
po o, come ufficialmente molte fonti narrano, concedesse la
sua protezione a tutti gli intellettuali che si trovassero a
passare o a permanere nel suo regno. Così anche Thermo-
gorothus poté raggiungere la capitale boema e vivervi per
alcuni anni coltivando i suoi studi in campo esoterico.
Fu qui che conobbe, fra gli altri, un oscuro figuro di origini
svedesi conosciuto col nome di Legione (secondo Dupin in-
vece si tratterebbe di uno pseudonimo usato dall’alchimista
danese Ole Wurm, meglio conosciuto come Olaius Wormiu,
ma questa è solo una supposizione priva di prove tangibili).
46
[...] Ufficialmente era conosciuto come pittore, ma al ri-
guardo sorsero strane voci secondo le quali preferisse sog-
getti macabri; secondo alcuni numerosi erano i suoi quadri
che raffiguravano condannati a supplizi capitali o roghi di
presunte streghe e maghi, oppure ritratti di criminali.
Diversi esponenti della comunità ebraica della città si rifiu-
tarono di avere contatti con lui, altre voci lo implicano nella
scomparsa di alcuni bambini, voci poiché la maggior parte
di cronache dell’epoca furono distrutte durante la Guerra
dei Trent’anni.
[...] Quando Rodolfo II morì, nel 1612, molti degli esponen-
ti della corte furono arrestati e molti altri furono costretti
alla fuga. Fu allora che Thermogorothus ritornò in Svezia
dove grazie alle conoscenze e alle ricchezze della famiglia
di adozione riuscì a farsi ammettere a corte, dove divenne il
protetto di uno dei collaboratori del cancelliere Oxenstier-
na.
[...] Si trasferì in alcune territori della Lapponia venendo in
contatto con tribù che praticavano ancora i vecchi riti pa-
gani [...], una di queste tribù aveva una credenza simile a
quella fra molti pellirosse: ossia che raffigurando
l’immagine di un uomo se ne potesse rubare l’anima.
[...] Proprio per la sua lontananza dalla corte si riuscì a
salvare ancora una volta la vita: nel 1619 alcuni cortigiani
furono arrestati e condannati a morte per eresia e strego-
neria, fra di essi vi era molto probabilmente il mecenate di
Thermogorothus, il quale, informato degli avvenimenti, fug-
gì in Germania decidendo di approfittare delle devastazioni
della guerra per continuare i suoi studi. Richiamato da Le-
gione, che già vi abitava, si stabilì a Lemgo, nella Vestfalia,
dove pare abbia scritto il suo unico trattato di alchimia: il
“Vobiscum Satanas”.
[...]Fra il 1628 e il 1637, poi nel 1656, e dal 1665 al 1681,
proprio Lemgo fu teatro di una delle più sanguinarie cacce
47
alle streghe del tempo. Rudolf Kasperk, un cronista testimo-
ne dei fatti del primo processo, riferisce notizie più detta-
gliate: alcune streghe interrogate dalle autorità fecero ripe-
tutamente i nomi dei due maghi, riconosciuti come alcuni
fra i fuggiaschi della corte praghese, fu inviato un drappello
di guardie ad arrestarli, ma giunti alla casa nella quale i
due risiedevano non vi trovarono alcuno.
Stranamente, riporta il cronista, due guardie impazzirono
durante quella perquisizione e pochi giorni dopo una terza
morì nel sonno fra atroci sofferenze. Nell’abitazione, oltre a
vario materiale ”magico”, furono ritrovati anche alcuni fra
i quadri e il Libro: pare fosse articolato in due parti, di cui
gli inquisitori ritrovarono solo la prima, la quale sembri
trattare solo di pittura e architettura.
Ma i domenicani che lessero l’opera la giudicarono ugual-
mente blasfema, facendola mettere all’Indice. Inoltre tutti i
quadri ritrovati furono bruciati sul rogo dopo essere stati
benedetti.
[...] Nell’agosto del 1631 Thermogorothus fu catturato da
alcuni soldati svedesi nei pressi di Dresda, riconosciuto fu
processato e arso sul rogo la notte della Vigilia di Natale
dello stesso anno. [...] di lui rimango solo alcuni quadri:
L’Arlecchino, La Crocifissione di S. Pietro e Valpurga, tutti
caratterizzati da tonalità scure e atmosfere inquietanti che
risentono molto dell’influenza di artisti come Bosch e
dell’arte medievale, che anticipano le visioni oniriche e sul-
furee di alcuni pittori del Romanticismo.
In tutte le sue opere alcuni ricercatori hanno individuato
delle strane ombre che sembrerebbero raffigurare volti op-
pure figure amorfe; una in particolare sembra aver colpito
la fantasia d’alcuni ricercatori: un gioco di chiaro – scuro
nelle rovine rappresentate nell’Arlecchino mostrerebbe un
misterioso essere tentacolare [...]. Naturalmente i critici
d’arte ritengono queste supposizioni di pseudo occultisti che
48
tentano di “dare un alone di mistero ad un mediocre pittore
del Seicento” (C. I. Cargon) [...]. Cosa che invece è chiara
ed evidente è che nelle opere di Thermogorothus sono rap-
presentati simboli cabalistici, alchemici e mistici, alcuni dei
quali di sconosciuta origine come [...].” 3
-Misericordia…- questa fu l’esclamazione collettiva al ter-
mine della lettura.
Possibile che fosse tutto vero?
Possibile che anche quel libro facesse parte del gioco?
Thermogorothus era esistito veramente allora, beh, poteva
anche darsi, perché no?
Ma quel quadro?
Era sicuramente una copia, non poteva che essere così…
-Il restauro del quadro era stato commissionato dalla pinaco-
teca di Brera, vero?- domandai.
–Ah ah-. annuirono gli altri.
–Beh, già che ci siamo, perché non andiamo a chiedere cosa
ne sanno?-
-Ma sei scemo? Ma figurati se è vero-. fece Abdul.
–Vero o meno, fa parte del gioco, era prevedibile che chie-
dessimo informazioni alla pinacoteca. E poi, io sono un de-
tective…-
-Beh-, mi appoggiò Tindiana, -il discorso non fa una grinza,
perché no?-
-Dunque-, fece Randolph, -facciamo il punto: la pinacoteca
ha commissionato il restauro del quadro di un alchimi-
sta/stregone a Legnani, lui è impazzito, forse per una strego-
neria, comunque per la stessa cosa che ha spaventato noi ieri
sera; di questo alchimista sono rimasti tre quadri ed un libro,
o almeno credo. Forse è il caso di cercare i due quadri che
mancano e il libro, qua a Brera penso che ne sappiano qual-
cosa, che ne dite?-
-Possiamo dividerci-, disse Tindiana, -io e te pensiamo a
trovare notizie sul libro, e magari anche su quel Legione, e
49
loro due sui quadri-.
D’accordo su come agire ci separammo, tenendoci comun-
que in contatto tramite i telefoni cellulari per qualsiasi eve-
nienza.
Lasciati i due intellettuali alle prese con i libri della vastis-
sima biblioteca, io e Abdul ci dirigemmo verso la pinacote-
ca, situata in un palazzo seicentesco nel cui cortile venne
posta, nel 1809, una statua del Canova raffigurante Napole-
one nelle veste di Cesare vittorioso.
Cercammo di eludere la sorveglianza per parlare col diretto-
re o qualcuno che potesse darci notizie a riguardo del quadro
di Thermogorothus, ma ci individuarono immediatamente e,
alle domande insistenti di due guardie, mostrai loro il mio
tesserino di detective privato, incrociando le dita.
–Sono un detective, vorrei parlare col direttore se è possibi-
le-.
Le guardie si guardarono l’un l’altra e poi ci fecero segno di
seguirle.
–Incredibile, ti hanno creduto-. esclamò sottovoce il mio
compare.
–Perché non avrebbero dovuto?- gli risposi, -Ho detto la ve-
rità-.
-Questa storia mi fa venire il mal di testa-.
Arrivammo davanti ad un ufficio, una delle guardie ci disse
che il direttore era fuori città per una conferenza, ma che a-
vremmo comunque potuto parlare col suo vice.
Ringraziai le guardie e, seguito da Abdul, entrai nell’ufficio.
Un uomo sui quarant’anni era seduto dietro ad una scrivania
colma di fogli di carta, libri, penne, matite, taccuini, riviste
d’arte e ciarpame vario, stava parlando al telefono animata-
mente con qualcuno, ci fece segno con la mano di sederci, e
dopo poco riattaccò.
–Buon giorno, io sono William Montini, il vice direttore del-
la pinacoteca, posso esservi utile?-
50
-Il mio nome è Araya, questo è il mio aiutante Fathinlha, e
sono un detective privato, sono stato assunto dalla signorina
Lisa Legnani, suppongo che ne conosciate il padre-.
-Oh, sì, lavora per noi, o meglio, lavorava per noi come re-
stauratore, ma poco tempo fa ha avuto un esaurimento ner-
voso, o qualcosa di simile, ma questo lei lo sa già, vero?-
-Infatti, la figlia crede che la causa dell’improvvisa pazzia
del genitore sia dovuta proprio al restauro da voi commis-
sionatogli-.
Montini rise: -Non vorrete di certo crederle? È solo un qua-
dro-.
-Un quadro dipinto da un alchimista stregone, per quel che
ne sappiamo-.
-Davvero?-
-Non lo sapeva?-
-Beh, non mi metto di certo a leggere la storia di ogni singo-
lo pittore di cui acquistiamo i quadri, perlomeno non quella
di autori similsconosciuti-.
-Per cui lei non sa nulla di Thermogorothus-.
-Se si tratta dell’autore del quadro no, mi spiace. L’unica
cosa che posso dirle è la sua provenienza-.
-Grazie-.
Montini si mise al computer a cercare in alcuni file, dopo
poco trovò quello giusto: -Ecco qua: Thermogorothus:
L’Arlecchino, La Crocifissione di S. Pietro e Valpurga, sono
tre quadri, tutti provenienti da Lione-.
-Che ne è de L’Arlecchino e di Valpurga?-
-Non sono ancora esposti al pubblico, perché… beh, se ave-
te visto La crocifissione di San Pietro potete immaginarlo
facilmente, si tratta di opere che definire indecenti sembra
poco, inoltre la pinacoteca ha sempre preferito esporre qua-
dri di autori più importanti e conosciuti di questo Thermogo-
rothus. D’altra parte il Consiglio del museo ha deciso di or-
ganizzare una mostra sul tema Magia e pittura, e sembrava
51
opportuno mostrare anche i lavori di questo artista. Quanto
al resto credo, se non erro, che siano stati acquisiti dalla bi-
blioteca in epoca napoleonica, penso per donazione, succes-
sivamente sono passati alla pinacoteca-.
-Si potrebbero vedere gli altri due quadri?-
L’uomo sembrò piuttosto preoccupato, -Mi dispiace ma so-
no al sicuro nei magazzini del palazzo, lo spazio studiato per
la mostra di cui vi parlavo non è ancora ultimato, questione
di giorni, per vederli serve un permesso scritto dell’ufficio
dei beni culturali della Lombardia e poi l’approvazione del
Direttore. Credo sia una cosa un po’ lunga. Sa, motivi di si-
curezza-.
-Per caso tenete anche delle riproduzioni cartacee dei dipin-
ti? Non so, per i cataloghi o studi…?-
-Certo, ne avete bisogno?-
-Se fosse così gentile da darcene una copia..-.
Montini sembrava sempre più insofferente alle mie continue
richieste, ma acconsentì.
Chiamò un’impiegata al telefono e le chiese di cercare le
stampe di cui avevamo bisogno, dopodiché aspettammo.
-Mi dica, è successo qualcosa di strano a chi ha trasportato i
quadri per la mostra?-
-Non che io sappia, erano chiusi in una cassa di legno, ma
perché mi fate queste domande, credete davvero alla storia
che quei dipinti possano fare impazzire?-
-Sherlock Holmes sosteneva che eliminato l’impossibile,
l’eventualità rimanente, per quanto improbabile, non può
che essere la soluzione… o una cosa così-.
-Ma Sherlock Holmes non esiste-.
-Come tutta questa storia-. bofonchiò Abdul, ma il vicediret-
tore non sentì.
-Recupererete il quadro dalla casa di Legnani per la mo-
stra?-
-E’ quello che desidereremmo fare, ma non siamo ancora
52
riusciti a metterci in contatto con la figlia del Legnani, e
senza il suo permesso ovviamente non possiamo entrare in
casa sua e prelevare il quadro, nonostante ci appartenga. Ad
ogni modo, se vuole un mio parere, la mostra è già abba-
stanza inquietante con i dipinti con cui l’abbiamo allestita,
venite a vederla, è molto affascinante, sempre che amiate il
genere dell’occulto e della magia-.
-Certamente verremo a vederla-. dissi.
Finalmente arrivò l’impiegata con una cartelletta di cartone,
all’interno della quale c’erano le tre riproduzioni dei quadri.
Mi alzai in piedi e Abdul fece lo stesso: -La ringraziamo
molto, vicedirettore, se scopriremo qualcosa le faremo sape-
re-.
-Grazie-. rispose lui stringendoci la mano, salutammo anche
l’impiegata e, presa la cartelletta, uscimmo dall’ufficio.
Mentre io e Abdul eravamo alle prese col vicedirettore del
museo, Tindiana e Randolph avevano occupato una intera
sezione della biblioteca, quella relativa all’occultismo e alla
stregoneria, una della più vecchie, su di un tavolo posto tra
gli scaffali posero decine di vecchi libri, di autori del secolo
scorso che potevano avere a che fare con l’alchimia e Ther-
mogorothus, e dopo più un’ora di ricerche, ebbero i primi
risultati: -Guarda qua-, disse Tindiana all’amico tenendo in
mano la ristampa di un libro del secolo scorso sulle logge
massoniche, -forse ho trovato qualcosa, parla di una delle
logge fondate dal Conte di Cagliostro-.
Il testo, una traduzione italiana dell’originale francese, reci-
tava così: L’ideologia moratoria ebbe nel Settecento una
travolgente e rapida propagazione, come testimonia
l’irrefrenabile incremento di ordini e riti ispirati ad antiche
fonti sapienziali e ad accattivanti filosofie esoteriche. La fu-
sione di gnosi e rito misterico, chiaramente percepibile fin
dal procedimento iniziatico, aveva dato vita ad un insieme
di verità di difficile codificazione, sopravvissute alla rovina
53
e all’oblio delle grandi civiltà del passato che le avevano
originate, raggiungibili solo da alcuni prescelti.
Per questo la tradizione massonica fu insignita di
un’aureola salvifica in grado di appagare l’intimo bisogno
degli accoliti che, in quanto eletti, svolgevano il delicato
compito di sottrarre la conoscenza dei segreti allo scempio
dei profani: l’adesione alla massoneria comportava
l’apprendimento di cognizioni di carattere teurgico-
cabalistico che consentivano di sviluppare una certa padro-
nanza dell’occulto[…].
A Londra (1776) Cagliostro aveva aderito alla loggia "La
Speranza", ottenendo prestigio e notorietà: strinse solide
amicizie con gli stranieri e i borghesi che il fascinoso mon-
do massonico aveva attratto, venendo a contatto con le idee
di tolleranza religiosa e di libertà intellettuale propugnate
dalla massoneria inglese e con i segreti dei cavalieri tem-
plari, custoditi dalla massoneria degli "alti gradi". Pren-
dendo spunto da un antico manoscritto latino di un alchimi-
sta scandinavo, diede inizio alla massoneria di rito egizia-
no, basata su pratiche rituali che avevano come scopo la
rigenerazione del corpo e dell’anima.
Della loggia potevano fare parte tutti gli iscritti alla masso-
neria ordinaria, sia uomini che donne: Cagliostro, il Gran-
de Cofto, era a capo della loggia, mentre Lorenza, divenuta
la contessa Serafina, reggeva le assemblee femminili con il
titolo di "Regina di Saba".
Il successo riscosso fu enorme: Cagliostro, che nel frater-
nizzare massonico aveva visto un canale di promozione e
legittimazione sociale con il quale non interferivano la pro-
venienza territoriale, l’ideologia politica o le attività con-
nesse al ceto, aveva saputo tingere di mistero gli avvenimen-
ti riguardanti la sua vita, costruendosi un passato fatto di
epoche remote, avventurosi viaggi al limite dei territori co-
nosciuti, ricerche ed esperimenti basati sulla cabala ebrai-
54
ca, sulla negromanzia e sulla teurgia.
Considerevole diffusione ebbero in quegli anni l’elixir di
lunga vita, il vino egiziano e le cosiddette polveri rinfre-
scanti con i quali Cagliostro compì alcune portentose gua-
rigioni curando, spesso senza alcun compenso, i numerosi
ammalati che, nel 1781, gremivano la residenza di Stra-
sburgo. Il comportamento filantropico, la conoscenza di al-
cuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemi-
ci, la capacità di infondere fiducia e, al tempo stesso, di tur-
bare l’interlocutore, penetrarlo con la profondità dello
sguardo, da tutti ritenuto quasi soprannaturale: queste le
componenti che contribuirono a rafforzare il fascino perso-
nale e l’alone di leggenda e di mistero che accompagnarono
Cagliostro fin dalle prime apparizioni.
Poliedrico e versatile, conquistò la stima e l’ammirazione
del filosofo Lavater e del gran elemosiniere del re di Fran-
cia, il cardinale di Rohan, entrambi in quegli anni a Stra-
sburgo. Tuttavia, Cagliostro raggiunse l’apice del successo
a Lione, dove giunse dopo una breve sosta a Napoli e dopo
aver risieduto più di un anno a Bordeaux con sua moglie. A
Lione, infatti, egli consolidò il rito egiziano, istituendo la
"madre loggia", la “Sagesse Triomphante”, per la quale
ottenne una fiabesca sede e la partecipazione di importanti
personalità.
[…]Un misterioso quanto inquietante progetto, suscitato da
delle pagine del libro in latino, lo portò a ricercare per
mezza Europa tre quadri dipinti, pare, dallo stesso autore
del libro, un alchimista scandinavo conosciuto col nome di
Thermogorothus, al quale si attribuivano terribili racconti e
leggende. Dopo svariate ricerche attraverso i contatti dis-
seminati nel continente, Sagesse Triomphante riuscì ad im-
possessarsi delle tre tele, che divennero oggetto di studi e di
pratiche esoteriche per diversi anni della vita del Conte.[…]
La Chiesa dogmatica, quella che Cagliostro aveva forse in-
55
consapevolmente contrastato, intervenne implacabilmente,
facendo ricorso a tutti gli strumenti di persecuzione, primo
fra tutti il Sant’Uffizio, di fronte al quale si cercò di sminui-
re fortemente proprio l’attività massonica al fine di sfuggire
alle accuse di sedizione, magia, deismo ed eresia.
Se la difesa di Cagliostro fosse stata condotta cercando di
avvalorarne idee e dottrine, probabilmente non sarebbe
giunta fino a noi la tradizione che lo vuole ciarlatano e mal-
levadore. Prima di venire coinvolto nell’”affaire du collier
de la reine” Cagliostro terminò la traduzione in lingua ma-
dre del libro maledetto, poiché era a conoscenza del fatto
che la Chiesa ne era alla ricerca per sottrarglielo e bruciar-
lo, in quanto già ritenuto blasfemo un secolo prima.
Dei suoi studi sul libro e le tele, in cerca di “una nuova di-
mensione”, come disse lui, non si sa molto di più, se non un
suo desiderio, mai esaudito però, di ritrovare un secondo
libro, di un autore pure lui scandinavo che era stato compa-
gno di studi dell’alchimista di cui Cagliostro stava impa-
rando le nozioni negromantiche e mettendo in pratica gli
studi[…]
Ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta
sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l’inizio del
processo. Al consiglio giudicante, presieduto dal Segretario
di Stato cardinale Zelada, egli apparve colpevole di eresia,
massoneria ed attività sediziose.
Il 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta,
nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli
strumenti massonici. In seguito alla pubblica rinuncia ai
principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la gra-
zia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel
carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni
dell’inaccessibile fortezza di San Leo, allora considerato
carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. […]4
-È probabile che il libro sia proprio quello di Thermogoro-
56
thus, così alla fine del 1700 era finito nella mani di Caglio-
stro-, disse Tindiana, -e poi finito in quelle della Chiesa che
l’ha così distrutto, addio libro, a meno che non troviamo
qualcosa a proposito della versione tradotta di Cagliostro,
ma chissà dove-.
-Non è detto-, disse Randolph, -ho cercato tra alcuni libri
riguardanti manoscritti eretici del 1600 ed ho trovato delle
notizie interessanti: diversi libri messi al bando dalla Chiesa
non vennero mai distrutti come invece si fece sapere, perché
divenissero segretamente oggetto di studi da parte di un or-
dine segreto di sacerdoti, la Confraternita del Sonno, che si
occupava di leggere e studiare tali manoscritti, per carpire i
segreti del diavolo. Ragion per cui è presumibile che il libro
esista ancora, senti qua: Fondata nel 1500 in accordo col
governo spagnolo, nessuno, a parte gli adepti di questa setta
dimenticata, ne erano a conoscenza, esisteva un voto di si-
lenzio, la loro esistenza era tenuta nascosta anche alla San-
ta Sede, la setta aveva un enorme potere di autorità e non si
mettevano mai in discussione le sue decisioni.
I libri messi all’indice venivano, prima di essere bruciati,
visionati dalla Confraternita del Sonno, la quale, dopo uno
studio sommario decideva se il manoscritto non era di alcu-
na utilità, e perciò destinato al rogo come l’autore, oppure
degno di uno studio più approfondito, perché depositario di
pratiche esoteriche e scritti diabolici di notevole interesse
per la lotta contro Satana 5. –
Randolph chiuse il libro e continuò: -La Confraternita si riu-
niva segretamente qui a Milano, nella chiesa di San Cristo-
foro, una piccola basilica del 1200 che nessuno avrebbe mai
immaginato come luogo di studio di manoscritti proibiti da
parte di una setta clericale e…-
Improvvisamente ci fu un tonfo alle loro spalle che li fece
sussultare, un libro era caduto, forse, Randolph si avvicinò
allo scaffale dietro di loro, e trovò infatti un libro sul pavi-
57
mento del corridoio adiacente a quello dove stavano loro,
ma che non c’era nessuno in giro, il libro era caduto da solo.
Randolph si chinò per raccogliere il libro e nel farlo sentì un
soffio d’aria accarezzargli il viso, voltò lo sguardo da dove
proveniva l’aria, ma c’era solo uno dei tanti scaffali pieni di
libri.
–Che c’è?- domandò Tindiana.
–Niente-, rispose Randolph, -niente. Dicevo che forse po-
tremmo trovare ancora qualcosa in quella chiesa-.
-È un’idea-.

58
4. I TRE DIPINTI
Dopo poco li raggiungemmo nella sala di lettura, dietro ad
uno dei tavoli più isolati e ci raccontammo le nostre scoper-
te.
–Io direi-, disse Tindiana, -di tenere questa ala defilata della
biblioteca come punto di ritrovo e di lavoro, qui non c’è
quasi mai nessuno e potremo lavorare tranquillamente. Ora,
diciamo che sono due le cose da fare: andare a San Cristofo-
ro e studiare i tre dipinti. Che facciamo, ci dividiamo anco-
ra?-
-Io direi di no-, dissi –più che altro perché dividendoci ci
priveremmo di una parte di divertimento data dalla possibili-
tà che non scegliamo, o no?-
-Il ragionamento non fa una piega-. rispose Randolph.
–Ok, iniziamo dalle stampe?-
Tutti d’accordo ci rimettemmo attorno al tavolo, sul quale,
oltre ai libri consultati da Tindiana e Randolph, c’erano a-
stucci con matite, dadi (tanti), penne, fogli di carta per ap-
punti sparsi un po’ in giro e, ora, le tre stampe.
I quadri, riprodotti in 30x40cm su carta plastificata,
all’apparenza non avevano nulla di singolare, eccezion fatta
per il genere tetro e cupo che le distingueva, c’erano, in ef-
fetti, su tutti e tre i dipinti, una serie di ombre sulla sfondo,
in controluce si intravedevano i contorni di figure amorfe e
tentacolari, ma nel buio dell’intera scena rappresentata era
difficile capire di cosa si trattasse.
Il primo che guardammo fu quello intitolato Valpurga, nome
che si attribuisce alla notte compresa tra il 30 Aprile e il
primo di Maggio, nella quale il folklore vuole che le streghe
celebrino il sabba, il convegno orgiastico notturno in cui
streghe e stregoni invocano il diavolo tramite danze e ban-
chetti, e nel quale, tal volta, vengono sacrificate innocenti
vittime.
Il quadro non rappresentava però il Sabba, né streghe o dia-
59
voli, bensì qualcosa di molto più allucinante e terrificante,
una scena apocalittica dominata dal gioco di luci (rosso san-
gue) ed ombre, che raffigurano le guglie di una cattedrale,
con i suoi doccioni, le torri e i campanili, sulle quali si di-
stinguono, assieme ai contorni di inquietanti individui sul
margine dei cornicioni, quelli di croci dove sembrano ago-
nizzare uomini impalati, la fine che aspettava a chi osava
varcare i confini di quella chiesa malvagia costruita in tempi
remoti su fosse comuni di streghe, demoni e vampiri, divo-
rata da un male abissale e silente ancora più antico degli E-
gizi e dei Sumeri, dell’uomo di Cro Magnon e
dell’Australopiteco, e che in eoni di vita ha tormentato mi-
lioni e milioni di uomini, corrompendoli e schiavizzandoli.
Il secondo era un dipinto apparentemente innocuo, un sim-
patico Arlecchino seduto su una pietra cubica, ma se lo si
guardava più a fondo si potevano osservare meglio i contor-
ni grossolani, i colori forti, contrastanti, ma soprattutto il
sogghigno del viso e lo sguardo di lucida follia dietro alla
maschera posta sul volto, l’espressione di un demonio ance-
strale e feroce, empio e sibillino. Di fatti, come ci ricordò
Tindiana, una delle origini più accreditate della maschera
veneziana era quella di uno spirito diabolico aborrito dai
normanni.
Il terzo ed ultimo era il quadro che avevamo già visto in casa
di Legnani con le conseguenze che ho già narrato.
Dopo un’ulteriore ora passata a studiare nei minimi partico-
lari le tre stampe ottenendo magri risultati, mi venne
un’idea: -Potremmo utilizzare uno scanner, con gli effetti di
un computer potremmo sicuramente ricavare maggiori in-
formazioni. Ce n’è uno a disposizione proprio nell’aula a
fianco-.
Prendemmo così le nostre cose e ci trasferimmo a pochi me-
tri di distanza, dove c’era un aula provvista di alcuni compu-
ter, ovviamente tutti impegnati.
60
–Ehi, Abdul, tu che hai la faccia brutta, caccia via qualcuno-
. dissi al mio compare, quello bofonchiando qualcosa si av-
vicinò ad un ragazzo che adoperava il pc per navigare in
internet nei siti VM 18 e lo fece sloggiare facilmente.
–Ben fatto-. ci complimentammo mentre prendevo posto da-
vanti alla tastiera. Nel giro di una decina di minuti avevamo
i tre dipinti nel computer sottoforma di file bitmap alla mas-
sima risoluzione, niente ci sarebbe potuto più sfuggire.
Adoperando il programma di Photoshop© studiammo atten-
tamente le tre foto, evidenziandone alcuni particolari, ruo-
tandoli, ribaltandoli, rimpicciolendoli e ingrandendoli, di
tutto e di più, dopo una mezz’ora qualcosa cominciava a de-
linearsi: nel buio dello sfondo non c’erano solo figure amor-
fe, ma anche delle linee precise, sinuose ed articolate, a-
primmo così le tre foto contemporaneamente e, dopo alcuni
tentativi risultò evidente che le linee combaciavano.
–Mondo boia…- esclamai stupefatto, la figura formata dalle
linee sembrava essere una pianta geografica, o qualcosa di
simile, nonostante avessimo rischiarato al massimo la foto, i
contorni erano appena percettibili, ad ogni modo, dopo un
po’ di arte grafica, cambiammo il colore cupo delle linee in
bianco candido che, su uno sfondo nero inchiostro, risaltava
benissimo.

Stampammo il risultato della nostra ricerca e ancora non ci


credevamo, non era molto chiara come pianta, erano eviden-
ti i confini, ma le linee all’interno di essa erano poco deci-
frabili, difficilmente erano strade, forse percorsi particolari,
ma di cosa? Per dove? E poi c’erano dei segni, la cui inter-
pretazione andava molto ad immaginazione, forse sul libro
c’era una specie di legenda, o addirittura il significato di tut-
to quanto.
Una cosa era certa, avevamo fatto una bella scoperta, il Cu-
stode doveva darcene atto. Ci complimentammo l’un l’altro
61
per l’operato, l’avventura cominciava ad entrare nel vivo e
l’emozione ad aumentare, sembrava tutto così surreale, ep-
pure era la realtà, o una presunta tale, mi stavo divertendo
come non mai, e lo stavo facendo con i miei migliori amici.

La giornata cominciava ad annuvolarsi, eravamo a pranzare


in un fast-food, tanto per rifarci della mattinata intensa che
avevamo avuto. Io avevo provato a chiamare Lisa un paio di
volte ma il telefono era sempre staccato.
–Certo non si può dire che non l’abbiano ben studiata questa
avventura-, dissi mangiando un doppio cheesburger, -basti
pensare tutta la gente che sono riusciti a coinvolgere, come
ci saranno riusciti?-
-Io dico che è una specie di trasmissione televisiva, oppure
un film-, suggerì Randolph, -sai, ci mettono in mezzo a que-
sta avventura, ci seguono e ci riprendono senza che ce ne
accorgiamo, fanno in modo che gli eventi seguano il suo
corso e quando alla fine impazziremo come ogni racconto
lovecraftiano vuole, faranno manifesti e pubblicità di ogni
tipo del genere: “Nell’Aprile 2002 quattro studenti sono im-
pazziti durante un gioco di ruolo. Un anno dopo vengono
ritrovati in un pozzo senza fondo al cimitero Monumentale il
loro diario e i loro appunti.”-
-Ma nessuno di noi tiene un diario-. commentai.
–Lo so, ma non fa nulla, lo scriveranno loro e ci faranno un
film, quello che stanno girando ora, e una volta ottenuto il
successo noi ritorneremo sani-.
-Beh, se ci pagano a me sta anche bene-. intervenne Abdul.
–Io credo che siate tutti fuori strada-, disse Tindiana serio in
volto, -non avete pensato per un solo istante che possa esse-
re tutto vero?-
-Io sì-, risposi –in quella casa era tutto tremendamente reale-
.
-Non solo la casa, tutto quanto potrebbe essere reale, persino
62
l’avventura. Forse il gioco di ruolo non è altre che il miele
per le api: ci dicono che è solo un gioco, sfruttano la passio-
ne di quelli come noi per Lovecraft e i suoi racconti, dopo-
diché ci usano come pedine in una partita dove c’è in gioco
qualcosa di più che dei punti esperienza e una scheda con
dei punteggi scritti a matita-.
-Come in un librogame: se la pensi come il razionale Ran-
dolph va al paragrafo 210, se invece ti senti più vicino al
romantico quanto folle prof. Jones va al paragrafo 117-,
scherzai, -dai Tindy, piantala con le boiate. Io non sono del-
la sua idea alla Blair Witch Project, ma addirittura essere
una pedina in mano agli Dei Antichi mi sembra un po’ ec-
cessivo, certo, ammetto che mi piacerebbe che fosse così
come dici tu, ma per me è un’eventualità estremamente im-
probabile che non riesco nemmeno a prendere in considera-
zione-.
-Perché, tu credi veramente che se lascio il gioco mi accada
davvero qualcosa di tremendo?- fece Abdul a Tindy,
-Provaci-.
-Se pensi che creda a queste boiate…-
-Che tu ci creda o no, caro amico mio, a loro non interessa-.
Mi alzai in piedi: -Qualcuno vuole altre patatine?-
-Prendimi una coca-. Randolph mi allungò un paio di euro e
andai alla cassa, mentre la discussione al limite del reale
proseguiva tra continue divergenze di opinione.

63
5. LA CHIESA DI SAN CRISTOFORO
Quando quella mattina lessi sul giornale della metropolitana
che alla pinacoteca di Brera apriva i battenti una interessante
quanto inquietante mostra pittorica riguardante “magia ed
esoterismo”, con quadri e dipinti di artisti del XVII e XVIII
secolo in prevalenza scandinavi, capii che si trattava della
famosa mostra in cui sarebbero stati esposti i due rimanenti
quadri di Thermogorothus.
Ne parlai poi ai miei amici e suggerii di andare a vederla,
benché non fosse necessario ai fini dell’avventura, ma cer-
tamente ci interessava molto da vicino.
-Al di là dell’avventura a me interessava comunque andarla
a vedere-. disse il Tindy mentre ne discutevamo sotto uno
dei chiostri dell’università.
-Non sarebbe la prima volta che andiamo a visitare mostre
simili-, aggiunse Randolph, -dopo quella al museo delle tor-
ture, quella sui vampiri, una mostra del genere non possiamo
perdercela. Se poi troviamo qualcosa che potrebbe aiutarci
nel gioco, ben venga-.
-Speriamo non costi troppo-. bisbigliò Abdul.
-Dimentichi che conosco il vicedirettore?- mi pavoneggiai.
-Già, così ci farà pagare doppio-.
-Meglio comunque aspettare un paio di giorni, così abbiamo
il tempo di andare a San Cristoforo-. suggerii.
-Sì, lo credo anch’io-, mi assecondò Randolph, -così potre-
mo verificare se durante la mostra succedono cose strane o
meno-.
Era ormai ora di rientrare in aula, così ci dividemmo per se-
guire i nostri corsi dandoci appuntamento all’ora di pranzo.
Era una giornata nuvolosa, la classica giornata milanese di
traffico intenso e tempo uggioso, il cielo minacciava pioggia
ma ancora non se ne vedeva, in compenso tirava un po’ di
vento e l’aria aveva quell’odore acre e malsano che precede
l’arrivo della pioggia.
64
Uscimmo dalla fermata della metropolitana di Porta Genova,
une delle vecchie stazioni delle Ferrovie Nord, situata af-
fianco alla Darsena del Naviglio, dove tutti i week end c’era
la gran baldoria e confusione di bancarelle e mercanti di o-
gni genere per la Fiera di Senigallia.
Questa zona del Naviglio Grande un tempo era frequentata
da pescatori e mercanti che utilizzavano il percorso fluviale
per spostarsi, mentre ora era diventato un luogo pieno di lo-
cali e pub notturni, negozi e librerie, pizzerie e ristoranti,
che lo trasformavano la sera in una sorta di Broadway mila-
nese, con tanto traffico, chiasso, musica e spettacoli vari.
Qui, uno dei quartiere più vecchi di Milano, esistono ancora
vicoli labirintici dove i tetti a mansarda si attanagliano l’un
l’altro e si inarcano in soffitte nelle quali, si dice, si rifugia-
vano le fattucchiere ai tempi dell’inquisizione.
Emozionati, ma anche con un certo timore entrammo nella
chiesa facendoci il segno della croce e guardandoci attorno,
sicuri di essere spiati in qualche modo, anche se non capi-
vamo come; l’interno era piuttosto buio, in un angolo, di
fronte alla statua del santo, c’erano accese delle candele,
delle donne anziane, erano genuflette a pregare nelle panche
davanti all’altare, il reverendo intanto era seduto in fondo a
leggere il breviario, nella sala c’era un silenzio tombale.
–Che facciamo?- domandai a bassa voce.
–Vediamo di trovare delle porte o dei corridoi-. suggerì
Randolph.
Dopo una breve ricerca trovammo probabilmente quello che
cercavamo: a lato del coro c’era una porta chiusa a chiave,
l’unica di quelle che avevamo trovato e che si erano rivelate
essere semplici stanze con sedie, statue mezze rotte e ciar-
pame vario.
Era necessario un piano.
Dopo alcuni minuto ne ebbi uno: -Proviamo ad aspettare che
il prete chiuda la chiesa, noi ci nasconderemo da qualche
65
parte e una volta chiusi dentro potremo cercare la chiave,
magari è nella sacrestia-.
-E se poi rimaniamo veramente chiusi dentro?- domandò
Abdullah.
–Beh, il prete chiuderà per una o due ore al massimo, e la
riaprirà per la messa delle 20.30.
–Sei sicuro che ci sia la messa alle otto e mezza?-
-Sì, l’ho letto in bacheca poco fa-.
-Ci tocca rischiare-. disse Tindy.
–Bene-, fece Randolph, -cerchiamo un nascondiglio e incro-
ciamo le dita-.
Senza farci vedere entrammo in una delle stanzine della
chiesa e attendemmo che il prete se ne andasse, l’attesa fu
snervante ma, per fortuna, breve, dopo venti minuti il prete,
uscite le donne, chiuse la porta principale e poi la sacrestia,
lasciandoci soli nel tempio.
Una volta sicuri che fossimo soli uscimmo dalla stanza e ci
dirigemmo verso la sacrestia, chiusa verso l’esterno, ma non
verso l’interno, dove, tra l’altro, la porta era spalancata.
Cercammo nei cassetti e negli armadi, sulla scrivania e nei
comodini, c’erano decine di chiavi, e mentre io e Randolph
le cercavamo, passavamo i vari mazzi agli altri due che le
provavano una alla volta.
Mi sentivo un po’ come un ladro, e la fretta, con la paura di
essere scoperto avendo una giustificazione surreale, non fa-
ceva che farmi innervosire ancora di più, e la chiave non si
trovava. Trovammo però, quasi per caso, un doppio fondo
nell’armadio, Randolph sollevò il pannello e da lì presi un
piccolo cofanetto di metallo nero con uno strano simbolo
inciso sopra, lo aprii e dentro vi trovai una chiave, sicuri che
fosse quella giusta la passai ad Abdul che corse a provarla e,
meraviglia delle meraviglie, aprì la porta.
In fretta e furia risistemammo tutto, e riordinammo, nel caso
il prete tornasse in anticipo.
66
Quindi, emozionati e trepidanti, scendemmo le scale che
portavano in una specie di cripta, sotto c’era una sala illumi-
nata da centinaia e centinaia di candele, disseminate ovun-
que, ma, ciò che più ci colpì e ci riempì il cuore di meravi-
glia e allo stesso tempo di paura, era la sterminata collezioni
di libri e manoscritti archiviati in innumerevoli scaffali.
Alla prima occhiata intuimmo che i libri erano suddivisi per
epoche, dal periodo paleocristiano fino ad oggi, girammo un
poco in quella sterminata biblioteca, presi un manoscritto a
caso nella sezione del diciannovesimo secolo e mi trovai tra
le mani il mefistofelico Unasprechlichen Kulten (Tr. dal te-
desco “Culti Innominabili“), scritto da Friedrich Wilhelm
Von Juntz attorno al 1840, conosciuto ai più come il Libro
Nero, per quel che ne sapessi ne esistevano solo cinque o sei
copie.
Il libro era autentico, era impossibile che si trattasse di un
falso, era impossibile che tutta quella biblioteca facesse solo
parte del gioco, centinaia e centinaia di libri proibiti, volumi
di magia nera e stregoneria, libri blasfemi e diabolici, eretici
e sovversivi, libri scritti a mano in ere antecedenti alla nostra
e rilegati con copertine di pelle ormai consunte dal tempo e
dalla polvere dei secoli, incominciavo a credere anch’io,
come il Tindy, che forse non stavamo semplicemente gio-
cando…
In quella vastissima biblioteca trovai altri libri eretici passati
alla storia come Conclusiones philosophiae e Cabalisticae
et theologicae di Pico della Mirandola, dove alcune sue tesi
furono condannate nel 1486 dalla Chiesa durante il papato di
Innocenzo VIII; il De occulta philosophia di Heinrich Cor-
nelius Agrippa von Nettesheim, ed antichissime opere di
Taziano (il Discorso ai Greci e il Diatessaron); di Eunomio,
la professione di fede ad Theodosium che scrisse nel 383 e
la serie dei Lapsi di Novaziano (Libellatici, Sacrificati, Turi-
ficati, Traditores). C’erano poi alcuni libri sull’inquisizione
67
delle streghe come il Memorable Providences di padre In-
crease Mather, famoso inquisitore puritano, ed altri libri del
genere come Fortalicium fidei, scritto nel 1459 dal france-
scano Alfonso de Spina, Flagellum Haereticorum Fascina-
riorum del domenicano Nicholas Jacquier nel 1458, ma so-
prattutto il famigerato Malleus Maleficarum (martello delle
streghe), scritto in Germania dai domenicani Heinrich Krä-
mer e Jakob Sprenger intorno al 1485.
Mentre anche gli altri erano stupefatti e cercavano di spie-
garsi, come me, tutto questo, il Tindy trovò, tra gli scaffali
impolverati, gli oggetti della nostra ricerca, i libri di Ther-
mogorothus e di Legione.
Sbalorditi ed emozionati seguimmo il nostro amico che posò
i libri su uno dei tavoli di legno presenti nella sala, oltre ai
due libri sopraccitati c’era anche la versione italiana di Ca-
gliostro del “Vobiscum Satanas”, il che ci avrebbe alleggeri-
to il lavoro.
Demmo una veloce occhiata ai tre libri, le pagine erano in-
giallite e consunte, ciononostante traspiravano una antichità
diabolica che ci attanagliò lo stomaco: il libro di Thermogo-
rothus era piuttosto lungo, suddiviso in due parti: la prima
riguardava i suoi studi alchemici e i dipinti, la seconda pro-
babilmente riti e formule di magia nera, poiché vi erano di-
segnati segni mistici e strane litanie in qualche lingua morta
che neppure Cagliostro era riuscito a tradurre, e, a seguire,
delle descrizioni di luoghi e città irreali, raggiungibili, cito
attraverso 18 immense gallerie principali e infinite gallerie
secondarie, tunnel contorti, budelli ripiegati su se stessi,
gallerie che raggiungono i più remoti angoli dell'universo o
dimenticate pieghe del tempo che collegano il cielo e la ter-
ra o spalancano le porte dell'inferno6, la cosa inquietante
erano le città e i luoghi descritti dall’alchimista, fra le tante:
Baharna, Celephais, Inganok e il Deserto del Leng, posti
immaginari teatro di diversi racconti di Lovecraft ambientati
68
nel Reame del Sogno.
Tutto aveva ora un senso, probabilmente negli studi di
Thermogorothus avremmo trovato la chiave per il Reame
del Sogno, molto lovecraftiana come idea, senza contare che
diversi libri in quella biblioteca erano frutto solo della fanta-
sia dello scrittore, ma non quello che avevamo in mano, non
il Vobiscum Satanas, e nemmeno la Grande Danse Maca-
bre, libri tra l’altro, di cui avevamo trovato notizia su libri
storici.
Ci guardammo negli occhi: non sapevamo cosa fare: se sol-
levarci o spaventarci terribilmente. Mettemmo i tre libri nel-
lo zaino del Tindy, decisi a lasciare in fretta quel luogo, ma
qualcosa attirò la mia attenzione, uno strano suono, che pro-
veniva dal fondo della sala e, per la prima volta
nell’avventura, presi in mano la pistola, nella speranza che
facesse il suo dovere.
–Che c’è?- mi domandò Randolph.
–Ho sentito qualcosa, là-. gli altri si ammutolirono, non sen-
tii più nulla, ma mi avvicinai lo stesso nella zona più in om-
bra dell’intera sala, seguito a ruota dai miei amici.
Avevo il cuore che batteva a mille, sapevo di dover correre
via, di scappare da quel luogo infernale posto sotto una basi-
lica devota a Nostro Signore, ma non ci riuscivo.
Dopo alcuni passi trovammo la fonte di quel suono, era
l’acqua che scorreva sopra la nostra testa, tirammo un sospi-
ro di sollievo.
Chiudemmo la porta e risistemammo la chiave nel cofanetto
e poi nel doppiofondo, alcuni minuti più tardi il prete tornò
ad aprire la basilica, noi sgattaiolammo fuori dalla solita
stanza e tornammo all’aria aperta, provati da tutta quella
tensione dataci dalle incredibili quanto misteriose scoperte
che avevamo fatto.
Quando uscimmo dalla chiesa aveva cominciato a piovere,
prevedendo ciò ci eravamo portati ombrello e k-way, il
69
Tindy si assicurò che i libri fossero in un sacchetto di plasti-
ca ben chiuso e dentro allo zaino, un po’ d’acqua avrebbe
potuto rovinare le pagine vecchie e consunte dei libri.
Dei tuoni crepitavano nel cielo, e i lampi illuminavano per
una frazione di istante tutta la città.
-Sarà meglio andarsene-, suggerì Abdul, -comincia a piovere
di brutto-.
-Che tiro hai fatto per capirlo?- lo schernì Tindiana mentre
io già correvo con il cappuccio alzato del mio k-way verso
le zone di marciapiede riparate dai balconi sovrastanti.
–Allora!- li chiamai, -Vi muovete?-
Mentre i miei amici mi raggiungevano io li precedevo cam-
minando lungo quel viottolo limitrofo al Naviglio, la cui ac-
qua ora era tempestata dalla pioggia incessante.
In breve tempo arrivammo alla metropolitana e da lì fino a
casa, dopo più di mezz’ora passata sul treno che passava sot-
to la città fino a Crescenzago, dopodiché la metrò viaggiava
in superficie, attraverso la periferia di Milano prima e
l’hinterland dopo, e dai finestrini potevamo vedere le luci
della città che si allontanano mentre la pioggia cadeva senza
sosta.
A Borgo sforza la pioggia era meno forte, cadeva fine fine,
ma l’acqua del nostro fangoso fiume era piuttosto mossa,
erano ormai le nove e mezza di sera e decidemmo di divi-
derci.
-Io devo andare dalla donna-, fece Randolph, -e sono già in
ritardo. Ci becchiamo domattina, andiamo alla biblioteca,
ricordatevi i libri-.
-Certo-. rispose Tindiana.
Arrivammo fin sotto casa di Randolph e poi ci lasciammo.
-Che fai tu, torni a casa?- mi chiese Tindiana.
-Vado a riascoltarmi Brave New World, continuiamo doma-
ni, e tu sta attento a quei libri-. gli risposi.
E così ci separammo definitivamente tutti e tre, dandoci ap-
70
puntamento al mattino dopo, anche se quella notte dormim-
mo tutti con un occhio aperto.

71
6. I LIBRI
Mi svegliai presto quella mattina, aveva smesso di piovere,
ma aveva tuonato tutta la notte, ero trepidante di scoprire il
segreto di quei libri, il mistero s’infittiva sempre più ma noi
piano piano lo stavamo scoprendo, e forse era questa la cosa
che mi preoccupava più di ogni altra cosa.
In tutti i GdR ci sono sempre dei nemici da sconfiggere, ed
una cosa è farlo con una scheda, una matita e dei dadi da
lanciare, ed un'altra e con una pistola, sempre se avremmo
dovuto combattere a quel modo, ma tutto lo lasciava presa-
gire.
Presi in mano la pistola a tamburo, sembrava proprio vera,
persino i proiettili lo sembravano, anche se, a dir la verità, io
non ne avevo mai visti di veri se non in tv.
Mi vestii velocemente indossando la fondina ascellare sotto
al gilet, presi lo zaino, salutai mia madre e poi uscii di casa,
ma sulla porta ella mi fermò: -Avrei un favore da chiederti-.
-Vado di fretta, mà-.
-E’ per il 50° della ricostruzione del santuario, mi hanno da-
to un cd-rom con le foto e le raffigurazione del santuario o-
riginale, dovresti inserirmele sul computer sotto le didasca-
lie-.
-Ok, lasciami il cd sulla scrivania, ci penso quando torno-.
-Grazie, buona giornata-.
-Ciao-.
Mi ritrovai con gli altri alla metropolitana, anche loro ave-
vano dormito poco quella notte, ma ognuno di noi non ve-
deva l’ora di aprire quei vecchi ed impolverati libri.
Rieccoci così alla biblioteca di Brera, al riparo da occhi in-
discreti (ma non dal Custode, credo), cercammo di studiare
libri e dipinti all’unisono, certi che erano collegati in qual-
che maniera.
Per prima cosa guardammo la versione di Cagliostro, tradot-
ta dal latino in italiano arcaico.
72
Diversi erano i punti salienti:
“[…] Le leggende di molti popoli narrano di una fitta rete di
tunnel che collegano i luoghi più remoti, superando monta-
gne e oceani, di lunghissimi passaggi come quello che per-
mette al Dalai Lama di raggiungere in pochi istanti i grandi
templi in sud America o certe valli innevate della Prussia
del nord, di una sorta di rete di comunicazione sotterranea
che attraversa l’Europa, lungo la quale sono stati costruiti
edifici sacri o scavate sepolture.
Dal mio illustre compagno di studi conosciuto col nome di
Legione ho appurato che esistono diciotto immense gallerie
generali e infinite gallerie secondarie, simili a una rete di
vene e capillari.
Tunnel contorti, budelli ripiegati su se stessi come gigante-
schi anelli di Moebius tetradimensionali, che uniscono
l’isola di Pasqua al deserto dei Gobi, Londra a Xanadu, Pa-
rigi al Polo Sud. Gallerie che raggiungono i più remoti an-
goli dell’universo o dimenticate pieghe del tempo, che col-
legano il cielo e la terra o spalancano le porte dell’inferno.
Ero pur’io a conoscenza di codeste leggende, seppure non
in tal maniera, poiché io sapevo che le gallerie ivi sopra
menzionate non esistono sul piano materiale ma sono altresì
una rappresentazione allegorica di certe correnti di natura
sconosciuta che percorrono il sottosuolo.
Ciò che io però non sapea è che una serie di codesti tunnel
esiste in realtà, collegando i punti più remoti del pianeta, e
che un’altra serie esiste in una forma metafisica, in attesa
che sia attivata. Anticipo ora ciò che più avanti tratterò con
maggiore dettaglio: per prima cosa è necessario trovare un
punto internodale, ovvero uno dei punti in cui le principali
gallerie si incrociano e, individuato il luogo, è necessario
celebrare un rito sacrilego, nel quale, all’interno di una
stella a cinque punte si reciti una formula impronunciabile
stringendo nella mano un antichissimo artefatto di proprietà
73
di una stirpe di Faraoni, tale artefatto è conosciuto col no-
me di Vetro del Leng. […]” 7
Quel nome rievocato dalle pagine antiche di quel manoscrit-
to blasfemo ci fece balzare il cuore in gola, benché sapessi-
mo che il Vetro del Leng fosse solo un oggetto inesistente,
inventato, frutto della fantasia di un grandissimo scrittore
quale fu Lovecraft, il dubbio ci attanagliò.
Questo vetro è una lastra ovale di vetro opaco che la tradi-
zione vuole che sia giunta dal deserto del Leng, il cui orrore
è così grande che non può essere descritto con parole uma-
ne.
-Questa è la prova che tutta una finzione-, disse Randolph -
un libro non può accennare al Vetro del Leng, perché lo ha
inventato Lovecraft centocinquant’anni dopo-.
-Mai avuto dubbi-. sostenne Abdul, mentre Tindiana non era
per nulla convinto, anzi, quella scoperta lo fece più sicuro
nel verso opposto.
–Io invece sono del parere contrario-.
-Tindy, ma come diavolo fai a dire una cosa simile, è lam-
pante che è tutto un gioco di ruolo, come in effetti credeva-
mo che fosse!- esclamò Randolph, terrorizzato forse dal fat-
to che il nostro amico avrebbe potuto renderlo più insicuro
di quanto già non fosse.
–È un po’ che ci sto pensando-, spiegò Tindiana, -e ora che
abbiamo trovato il libro e letto alcune pagine ho incomincia-
to a fare alcune associazioni di idee: come sai Lovecraft fin
da piccolo leggeva libri di ogni genere e di ogni epoca nella
smisurata libreria del nonno, e che sin da piccolo aveva sof-
ferto di atroci emicranie, nonché di strane manie a dir poco
folli, se a questo aggiungiamo che sia il padre che la madre
sono morti in manicomio o comunque andando fuori di mat-
to, io non ritengo impossibile che nella suddetta libreria fos-
se presente una copia in inglese del Vobiscum Satanas o,
perché no, della Grande Danse Macabre, dal quale poi Lo-
74
vecraft ha ripreso i temi e i luoghi descritti dai due alchimi-
sti: lo Sconosciuto Kadath, l’Altopiano del Leng, Baharna,
Ulthar e così via, più altri argomenti tanto inquietanti ed i-
nenarrabili che hanno reso folli i genitori di Lovecraft e poi
lui stesso-.
-È una teoria a dir poco fantasiosa-, rispose Randolph , -non
credi?-
-Ma pur sempre una teoria. Tu che dici?-
Tindiana si era rivolto a me: -Io non so che dire…- ero in
effetti piuttosto confuso, -di fronte a queste cose vorrei tanto
crederci, ma mi risulta impossibile farlo; andiamo, questo
vuol dire credere nell’esistenza dei Grandi Antichi, del Ne-
cronomicon e del testo di R’Lyeh-.
-Io ci credo-.
-Mai avuto dubbi anche su questo-. aggiunse Abdul.
–Beh-, aggiunsi, -se ci crediate o no il gioco sta facendo
comunque il suo effetto, ed è questo ciò che desideravamo
no? Per cui direi di andare avanti, questa storia sta incomin-
ciando a prendermi-.
Ci dividemmo il lavoro così: io mi occupai dei dipinti e del-
la mappa che avevamo ricavato, Tindy del Vobiscum Sata-
nas e gli altri due, più Randolph che Abdul, della Grande
Danse Macabre.
Non so dire quanto tempo passammo tra i banchi della bi-
blioteca, prendendo appunti ad ogni scoperta che facevamo,
mentre scoprivamo sempre più un terribile quanto inquietan-
te segreto, che proveniva dagli abissi del tempo, eoni di
tempo addietro, quando la prima cellula di vita ancora non si
era formata, quando, secondo il Necronomicon, sul nostro
pianeta vivevano forme di vita spaziali denominati sempli-
cemente Gli Antichi, ai quali si attribuisce la scintilla per la
vita terrestre, per errore o divertimento.
I tre quadri, come immaginavo, contenevano un terribile se-
greto, un segreto ben nascosto, che eravamo riusciti a trova-
75
re solo grazie alla tecnologia moderna e dunque impossibile
per la gente del XVIII secolo, qui di seguito riporto la parte
più interessante del capitolo a riguardo, davvero inquietante:
“[…] Dopo anni di studi e ricerche, sempre in viaggio tra
corti e monasteri, rifugi di montagna e fattorie, tra i bassi-
fondi di Varsavia e quelli di Castiglia, tra gli scantinati del-
le botteghe a Parigi e le segrete di Praga, in fuga dalla San-
ta Inquisizione e da chissà cos’altro, io e il mio compagno
Legione siamo riusciti a trovare i punti internodali delle di-
ciotto gallerie generali che attraversano il nostro pianeta,
metà dei quali si trovano proprio qui in Europa, ben custo-
diti dal sigillo della Santa Sede. […] La Chiesa, venuta
anch’essa a conoscenza dell’esistenza di queste gallerie già
in tempi remoti, ha cercato di chiudere gli accessi costruen-
do su di essi le sue più grandi basiliche e cattedrali, cosa
che ancora non gli è riuscita di fare nel resto del mondo ci-
vilizzato.
[…] Su suggerimento del mio compagno di studi Legione,
ho sfruttato le mie capacità, nonché la mia grande passione
per la pittura e, dopo avere disegnato su una pergamena i
punti internodali d’Europa, l’ho nascosta, attraverso un
particolare tecnica di mia invenzione, in tre dipinti che sicu-
ramente la Santa Inquisizione metterà all’indice e per que-
sto non li brucerà, come dice di fare, ma li conserverà per-
ché siano studiati e fatti oggetto di ricerche sull’origine del
male, perché è questo ciò che dipingerò, il male:
l’Arlecchino, figura ai più conosciuta come burlonesca e
infantile, mentre è invece la rappresentazione di un demone
di cui parlano le leggende normanne, spietato e sanguina-
rio; la Crocifissione di San Pietro, crocifisso a testa in giù il
santo ha dato l’imprinting del simbolo anticristiano per ec-
cellenza, la croce ribaltata; Valpurga, insieme ad Ognissan-
ti è la notte dei diavoli e delle streghe, dove l’inferno apre le
porte per mostrarsi al mondo […].” 8
76
Di scatto mi alzai dalla sedia e mi diressi verso l’ala della
vastissima biblioteca riguardante la geografia e gli atlanti
geografici, tra gli scaffali impolverati trovai, dopo aver pas-
sato in fretta alcuni libri, quello che stavo cercando, una
mappa abbastanza grande dell’Europa, velocemente andai a
fotocopiarla per poi scannerizzarla meglio.
Sedutomi quindi al computer confrontai la mappa
dell’Europa e quella disegnata dall’alchimista, notai che al-
cuni confini potevano combaciare e così sistemai col pro-
gramma le dimensioni della mappa appena scannerizzata, in
modo da trovare il giusto assetto con quella dei dipinti.
Dopo non poca fatica trovai le giuste proporzioni e riuscii a
sovrapporre la pianta ricavata dai dipinti con quella
dell’Atlante e con somma gioia scoprii che coincideva con
l’Europa e parte di Africa ed Asia, precisamente la zona che
andava dalla Scandinavia al Nord Africa da nord a sud, e
dall’Atlantico all’Asia Minore da est ad ovest.
C’erano una dozzina di croci disegnate sulla mappa, ognuna
in corrispondenza di una città, in Italia ce n’era una proprio
all’altezza di Milano, le croci erano collegate l’un l’altra da
linee più o meno fitte che proseguivano anche negli altri
continenti non rappresentati. Un altro tassello del puzzle era
stato risolto, ora non mi rimaneva che tradurre quei simboli
e il gioco era fatto.
Tornai dai miei amici, anch’essi assorti nello studio, ripresi
il Vobiscum Satanas in mano e lessi rapidamente il capitolo
riguardante i quadri: “La mappa che ho accuratamente na-
scosto nei miei tre dipinti indica dodici dei diciotto punti
internodali dei tunnel presenti nel nostro pianeta, e i loro
congiungimenti.[…]Ognuno di essi è stato marchiato con
una croce, poiché la Chiesa Romana, già informata della
presenza di questi varchi, ha cercato di sigillarli ponendovi
sopra le proprie Basiliche, Santuari e Cattedrali.[…]
Qui di seguito ho posto una legenda: ogni croce segnata
77
sulla mappa ha posto vicino ad essa un numero, tale numero
è riportato su queste pagine assieme al nome della città e
della chiesa posta a sigillo del varco. […]” 9 Scorsi velo-
cemente la legenda per andare a leggere il numero a cui fa-
ceva riferimento la croce su Milano: “7 – Mediolanum, Ba-
slica S. Ambrosivs.[…]”
Il varco era proprio qua vicino, sotto la Basilica di
Sant’Ambrogio, e nessuno, ad esclusione della Confraternita
del Sonno probabilmente, ne era a conoscenza.
Anche i miei compagni stavano facendo incredibili quanto
terrificanti scoperte: dal libro di Legione, oltre a simboli ar-
cani, celebrazioni di riti sacrileghi e blasfemi c’era un capi-
tolo molto interessante che si allacciava con quanto scoperto
dal Vobiscum Satanas, il capitolo si intitolava “Dei Cunicoli
Subterranei”, e recitava così: Io Legione, depositario della
sapienza antiqua et servo di colui il cui nome porta cono-
scenza, tramando questo affinché il vero Verbo sia per sem-
pre rimembrato. Di questo io fui testimone oculare e per sei
volte sei ringraziai Loro, ecco ciò che ai miei occhi fu mo-
strato.
Nelle profondità della terra, sotto le nazioni delli homini et
sotto le superfici delli mari, dove l’antiqua sapienza attende
da immemori secoli i tempi del Risveglio, dove la Terra
stessa vive et pulsa, come in corpo di animale vivente et
pianta, si trovano vene et tubi che recano sanguine et linfe
che danno nutrimento et vita a ogni minuscola parte
dell’Essere, sic dal Cuore del nostro astro, singolo fra infi-
niti, cunicoli et gallerie portano liquidi et linfe nei vari luo-
ghi del pianeta, a volte questi condotti giungono in superfi-
cie e simili a ferite spargono intorno il loro contenuto fisico,
al quale si è solito dare il nome di lava, mentre quelli sono
chiamati vulcani. […]
Vi sono anche altri condotti, destinati a fluidi e correnti in-
corporee, che possono essere percepite non con i sensi fisi-
78
ci, sebbene in alcuni casi possa essere visto sotto forma di
piccoli lampi, ma con quello che alcuni chiamano Potere o
Spirito.
Codesti cunicoli attraversano ogni parte del globo terrac-
queo et in taluni punti può avvenire che due o più di codesti
si incontrino, e scaturendo in superficie, rendono partico-
larmente sensibile il loco al magnetismo sia di tipo animale
che di tipo minerale. Da sempre li homini hanno saputo ri-
conoscere codesti punti d’incontro e fin dai tempi antichi,
ergendovi sopra templi e luoghi di culto. Le Piramidi in E-
gitto, il Tempio di Salomone a GeruSamme, la grande torre
di Babele, l’Oracolo della Pittia, il Gran Cerchio di pietre
in Bretagna, i templi di Ball e Tanit sulle coste africane, gli
altari consacrati al Dio-Serpente nelle americhe, la grande
collina sacra nell’isola australe* : tutti questi sorgono su
punti d’incontro. Dopo che l’eresia del nazareno prevalse, i
servi di Roma cercarono di impossessarsi di questi luoghi o
scacciandone i culti e maledicendone il nome o erigendo
chiese e cattedrali.
In pochi di questi luoghi, sfuggiti al controllo dei cristiani,
si continuarono a praticare gli Antichi Culti. […]
-Aspetta un momento-, disse Tindiana interrompendo la let-
tura di Randolph, -che diavolo è la grande collina sacra
dell’isola australe?-
-Non so, forse l’ Ayers Rock, non credi?-
-Sì, può darsi, ma il continente australe fu scoperto nel ’600,
con i viaggi di esplorazione dell’olandese Tasman, e già
prima era ipotizzata la presenza di una “grande isola austra-
le”, grazie alle testimonianze ed agli avvistamenti di altri
navigatori europei. In ogni caso il libro fu redatto alcuni de-
cenni prima dalla scoperta del Continente, come diavolo po-
teva Legione conoscere il luogo?-
-Ti sei fregato dal solo amico, questa è una prova ulteriore
del fatto che questo è solo un gioco-.
79
-Piantatela con queste boiate e andiamo avanti-. dissi stanca-
to da quelle inutili discussioni.
Due sono le cose che molti ignorano: già molto prima che
l’homo si ergesse orgoglioso sulli altri animali, creandosi
vacui et falsi dei o conservasse un ricordo distorto di quelli
veri, Altri, epoche addietro, costruirono templi et altari ai
Veri Dei, quando i cieli cambiarono, così dice il sacro testo
e così io vidi grazie al Cristallo, le città di nero basalto
sprofondarono negli abissi del mare, ma i loro abitanti sopi-
ti da un sonno che è morte ma al tempo stesso vita, attendo-
no che gli astri siano nuovamente favorevoli per ritornare.
Altro è che lungo queste correnti di Potere, quando il mon-
do era ancora giovine furono scavate delle gallerie, dai ser-
vitori degli Dei, queste si protendono per miglia e miglia,
nelle profondità abissali della terra, collegando fra loro i
luoghi d’incontro.
In alcuni di essi sono stati aperti dei passaggi che permetto-
no di accedere ai cunicoli, consentendo a chi conosce i per-
corsi e le figure esatte di raggiungere in poco tempo luoghi
distanti mesi di viaggio, ma a chi questa Conoscenza è ne-
gata si avveda bene a non avventurarsi per queste vie: alcu-
ne sono trappole et ivi vi dimorano cose oscure e segrete,
che non sopportando la luce del giorno vi si rifugiano et ne
sono i guardiani ed e meglio che non siano disturbate prima
dei Tempi. Alcuni fra i cunicoli si aprono su mondi estranei
e lontani, dove gli Dei Antichi sono ancora presenti o ne
viene onorata sei volte sei la memoria.
Se vorrai giungere in queste lande dovrai cercare i portali
alla cui entrata è inciso il Sacro Simbolo, attraversandolo
pronuncia le parole: Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah
wgah’ngl fthagn!! Allora le porte degli abissi si apriranno e
potrai attraversare senza ombra di timore nel cuore, ma se
attraverserai un portale su cui è stato inciso il Falso Sigillo,
potrai solo invocare una pietosa e rapida morte dell’anima,
80
poiché, un destino atroce e inenarrabile è stato destinato ai
profanatori ed ai blasfemi che non conoscono la Vera Sa-
pienza.
-Beh, a quel che sembra abbiamo fatto una interessante sco-
perta-. commentai.
-In effetti avevo già sentito parlare di questa leggenda legata
a condotti e tunnel che attraversano la terra, ma non pensavo
certo a questo-. disse Randolph.
-Cerchiamo di fare il punto di quanto abbiamo scoperto-,
riprese Tindiana, -il Vobiscum Satanas parla in alcuni capi-
toli di questi tunnel che attraversano la Terra, ma senza en-
trare nel particolare, mentre La Grande Danse Macabre ri-
prendendo questi studi, parla dei tunnel, alcuni fisici, scavati
o ricavati da caverne naturali, che collegano gli angoli più
remoti del nostro pianeta, e altri extradimensionali, in grado
di condurre, appunto, in un’altra dimensione, e per aprire
questi tunnel è necessario innanzitutto conoscere il luogo
esatto di entrata, e qui è necessario essere in possesso di un
particolare oggetto ed eseguire un rito blasfemo disegnando
complesse figure sul pavimento e pronunciando frasi indici-
bili ed incomprensibili. Giusto?- annuimmo, -Dovremmo
però conoscere l’esatta ubicazione di questi luoghi, altrimen-
ti è inutile-.
-Che scemo-, dissi io ricordandomi della mia scoperta, -ero
così preso ad ascoltarvi che non vi ho detto cosa ho scoper-
to: ho la mappa delle 18 gallerie e conosco tutti i punti inter-
nodali, ed uno è proprio qui a Milano, sotto Sant’Ambrogio!
Era tutto nascosto dentro i dipinti, eccezionale vero?-
I miei amici erano a bocca aperta.
-Si potrebbe dire che abbiamo chiuso il caso-. disse Abdul, -
A questo punto abbiamo abbastanza informazioni da dare
alla tua cliente, e così potremmo chiudere la partita senza
aspettare che ci succeda qualcosa-.
-Ha ragione-, riprese Randolph, -ma non vedo perché fer-
81
marci proprio sul più bello, abbiamo fatto una scoperta fan-
tastica; gioco di ruolo o meno è probabile che queste leg-
gende siano vere, e la cosa mi eccita da matti-.
-Anche a me-, ribatté Tindiana, -ma proseguirei comunque
con i piedi per terra, ricordati che ci sono in giro tanti nemici
ad osservarci, non solo il Custode-.
-Lo so-, continuò diventando improvvisamente serio Ran-
dolph, -me ne sono accorto-.
-Torniamocene a casa-, suggerii, -per oggi ne abbiamo avuto
abbastanza-.
D’accordo con me, mettemmo via la roba e uscimmo dalla
biblioteca.
Appena fuori dall’edificio notammo una certa confusione
proveniente dall’ingresso della pinacoteca, incuriositi ci av-
vicinammo, alcuni carabinieri tenevano lontana la folla di
curiosi, sembrava stessero portando via un paio di uomini,
due stranieri, sfortunatamente nessuno seppe dirci cosa era
successo.

Andammo a mangiare un panozzo al Burger King di piazza


Duomo e una volta riempita la pancia ci recammo in univer-
sità, che stava proprio a due passi.
Quella sera mi guardai tutti i Tg regionali, da quello di rai3 a
quelli delle reti private come Italia7, Canale6, Antenna3 ecc,
nella speranza che qualcuno parlasse dell’incidente alla pi-
nacoteca, e fu proprio l’emittente privata di SeiMilano a
proporre il servizio.
Da quanto disse l’inviato due uomini che si erano recati alla
pinacoteca per assistere alla mostra su “magia ed essoteri-
smo” erano stati sorpresi mentre cercavano di deturpare al-
cune tele del XVII secolo dopo una specie di rito propiziato-
rio o di esorcismo, a detta dei presenti.
I due uomini, di cui non erano state comunicate le generali-
tà, erano di origini scandinave, probabilmente norvegesi, i
82
carabinieri hanno rilasciato poche ed enigmatiche dichiara-
zioni, in quanto ipotizzavano sì un insano gesto di pazzia,
ma molto strano visto che i due uomini erano due professori
universitari in visita nella nostra città, ritenevano per cui che
ci fosse altro dietro quel gesto folle.
Il vicedirettore della pinacoteca, Montini, comunicò che,
nonostante questo episodio, la mostra sarebbe proseguita,
certamente con maggiori metodi di sicurezza, ma il museo
non se la sentiva di certo di chiudere una mostra simile che
sin dai primi giorni aveva attirato centinaia di visitatori ed
estimatori da ogni parte di Italia e non solo.
L’episodio era comunque inquietante, almeno per me che
sapevo che genere di quadri erano affissi alla mostra, chia-
mai poi i miei amici e li avvisai di quanto avevo sentito,
nessuno di loro si sorprese della notizia, almeno quanto me,
ed ora eravamo ancor più incuriositi da quella particolare
esposizione di dipinti e quadri maledetti.
Fummo tutti d’accordo per andare al museo a vedere questa
fantomatica mostra, pronti a carpire qualsiasi indizio ci po-
tesse essere utile.
Randolph quella mattina era andato al Castello Sforzesco a
parlare con una guida del museo egizio per quanto riguarda-
va un esame, ci chiese di raggiungerlo là per poi andare con
la metrò alla pinacoteca.
Io e il Tindy andammo assieme partendo dall’università,
mentre Abdul, che non aveva avuto lezione, ci avrebbe rag-
giunto da casa.
Era una fredda e nebbiosa mattinata, nel primo pomeriggio
la nebbia si era alzata, ma una fitta coltre di nubi sovrastava
l’intera città, stringendoci nella giacca a vento, uscimmo
dalla metrò e ci dirigemmo verso l’entrata del Castello Sfor-
zesco, che con la sua mole imponente, la sua austerità e i
suoi torrioni ciclopici emanava ancora una certa inquietudi-
ne per chi lo guardava dal basso.
83
Dopo poco che aspettammo giunse Randolph, mancava so-
lamente Abdul che arrivò alcuni minuti più tardi.
-Certo che ce n’è di gente matta in giro-. disse sorridendo.
-Ti stupisci?- domandai.
-Ho attraversato il Parco Sempione, di solito a quest’ora non
ci sono drogati e spacciatori, ma a quanto pare i pazzi sono
sempre in giro, anche con ‘sto freddo-.
-Chi hai visto?-
-Stavo camminando lungo la strada ciottolata che attraversa
il parco e d’un tratto mi si avvicina una tizia tutta vestita di
nero, sembrava a lutto, aveva anche un velo nero che le co-
priva il viso-.
-Chi era? La vedova inconsolabile di Fantozzi?- arguì Ran-
dolph.
-Può essere, comunque non mi sono accorto di lei fino a
quando non me la sono trovata a fianco che mi stava pren-
dendo sottobraccio. Io sono rimasto sorpreso e mi sono spo-
stato di scatto. Poi questi mi ha chiesto se potevo accompa-
gnarla alla sua villa che sta dentro al parco, che era sola e
che aveva bisogno di compagnia-.
-E tu non ci sei stato? Una volta tanto che ti capita una cosa
del genere-. fece Randolph.
-Ma sei scemo? Quella era pazza, come se ci sono ville den-
tro al Sempione, ho accelerato il passo e poi non l’ho più
vista-.
Quella storia mi fece venire in mente una vecchia diceria.
-Dici che era vestita di nero e con un velo sul volto?- chiesi
con voce tremante.
-Sì, tutta nera. Non le si vedeva il viso-.
-E voleva che l’accompagnassi nella sua villa-.
-Sì, ma che te ne importa, è solo una delle tante matte che
gironzolano per il parco-.
-Non lo so-, risposi, -la conoscete la leggenda della Dama
Nera?- i miei amici si fecero improvvisamente seri. –E’ una
84
delle poche leggende sui fantasmi di Milano. Pare che pro-
prio fra i vialetti del Parco ed i cortili del Castello, si aggiri
il Fantasma di una dama, completamente vestita di nero, con
il volto nascosto, secondo alcuni da una maschera di cuoio,
secondo altri da un velo anch’esso nero. La Dama appari-
rebbe nottetempo accompagnata da un profumo di violetta,
prenderebbe sottobraccio i passanti e li accompagnerebbe
per i viali del Parco, fino ad arrivare, ad una svolta della
curva, ad una grandiosa villa. Nella casa, tutte le stanze sa-
rebbero parate a lutto, compreso il grandioso letto a baldac-
chino, dove la Dama consumerebbe una notte d’amore con il
suo occasionale amante. Dopo aver saziato le sue brame, la
Dama riaccompagnerebbe il passante per i viali del Parco,
riportandolo ove lo aveva incontrato. Coloro i quali hanno
tentato di ritornare sui loro passi, per ritrovare la misteriosa
villa parata a lutto, non sono più riusciti a raggiungerla.
Pochi ardimentosi, invece, alla fine della notte d’amore,
hanno cercato di svelare l’identità della Dama, spostando il
velo, o levandole la maschera, che le ricopre il volto e…
raccontano di essersi trovati davanti ad un orrendo teschio-.
-Le solite boiate-. commentò Abdul, -I fantasmi non esisto-
no-.
-Il fatto che tu non ci creda non vuole dire che non esistono-,
risposi, -lo sappiamo che tu sei scettico, ma io ci credo, cer-
to, non dico che sicuramente tu abbia incontrato la Dama
Nera della leggenda, ma la tua storia è simile a quella di chi
dice di averla vista-.
-Io ho visto una donna vestita di nero, nient’altro, nessun
fantasma-.
-Stiamo solo perdendo tempo-, s’intromise Tindiana, -forse
è meglio andare-.
-Ok-.
Ci dirigemmo nuovamente alla metropolitana e da lì alla pi-
nacoteca, dove arrivammo attorno alle 15, c’era una piccola
85
folla di persone in coda per entrare a visitare la mostra, quel-
lo che ci colpì era la netta operazione di due differenti grup-
pi di visitatori: una parte sembrava composta da uomini let-
terati, professori, studiosi, tutti vestiti in giacca e cravatta,
con la valigetta in mano, gli occhiali sul naso, i capelli grigi;
gli altri erano individui dall’aspetto sinistro, dalla pelle oli-
vastra, vestiti con abiti mediorientali o asiatici, turbanti, par-
ticolari calzari, stranamente silenziosi, come se volessero
farsi notare il meno possibile.
Assieme a queste due categorie di persone entrammo
nell’ala della pinacoteca in cui era stata allestita la mostra,
l’arredamento stesso che era stato scelto era un po’ di cattivo
gusto, c’erano drappi funebri appesi alle pareti, piccole sta-
tue o soprammobili di inquietanti e grottesche figure amorfe,
pentacoli e croci appese sulle colonne, feticci voodoo, frasi
in latino che ricordavano mistici incantesimi e via di seguito,
le stesse luci delle sale erano soffuse, mentre i dipinti erano
illuminati da piccole lampadine poste sopra e sotto il quadro.
Per fortuna nessuno aveva pensato di inserire in sottofondo
la musica dei Globin.
I vari dipinti erano stati suddivisi in piccoli gruppi a seconda
della loro origine, nel primo settore c’erano quadri di pittori
mediterranei, a carattere prevalentemente blasfemo-
cristiano; si proseguiva poi con quadri sempre più cupi e te-
tri, con svariati pittori teutonici e dell’Europa dell’est.
L’inquietante mostra di quadri blasfemi, tetri, magici, deli-
ranti e agghiaccianti continuava con alcuni pittori del Nuovo
Mondo, ma non avevamo ancora visto nulla in confronto a
quanto ci aspettava nella sala dove erano esposti i quadri sa-
crileghi degli alchimisti, druidi e incantatori delle gelide ter-
re del Nord Europa.
Questi dipinti raffiguravano prettamente paesaggi oscuri e
tetri, come foreste fitte in cui i rami nodosi degli alberi si
attorcigliavano gli uni con gli altri, sempre ambientati di
86
notte o durante una giornata di tempesta, con il cielo grigio e
minaccioso. Inquietati e non ben definite sagome nere si ag-
giravano per questi tetri e lugubri paesaggi, ombre, spiriti,
animali deformi e creature informi, occhi diabolici che bril-
lavano al buio; ma anche luoghi magici di culto come templi
antichi, o rovine dimenticate in luoghi inaccessibili, in cui
strane figure incappucciate ed ammantate si riunivano per
celebrare oscuri e blasfemi riti, alla luce del crepuscolo o
durante le notti senza luna. Non meno frequenti erano ani-
mali “maledetti” come gatti neri, corvi, galli neri, che pote-
vano stare acquattati nell’ombra, fissando con occhi diaboli-
ci lo spettatore del dipinto, oppure in volo in stormo, appo-
stati sulle guglie o i doccioni di antiche rovine o cattedrali
decadenti.
In quella mostra d’incubo trovammo i due quadri di Ther-
mogorothus (la Crocifissione di San Pietro evidentemente si
trovava ancora in casa di Legnani) coperti da una sottile la-
stra di vetro, come una sorta di protezione, ma da cosa?
Mentre giravamo tra i quadri di quella mostra terrificante
notavamo alcune persone comportarsi in maniera strana di
fronte ad alcuni dei dipinti, alcune persone sembrava che
pregassero in qualche sorta di lingua morta, altri addirittura
tenevano in mano pendagli o feticci sacri sussurrando litanie
incomprensibili, mentre c’era chi, invece, scappava via ur-
lando come se avesse visto il demonio in persona, una sen-
sazione di cui eravamo ben a conoscenza.
-Ce ne possiamo anche andare ora-. suggerì Abdul.
-Sì-, lo appoggiò Randolph, -non vorrei che la situazione
degenerasse. Abbiamo visto abbastanza-.
Tutti d’accordo uscimmo fuori dal museo, l’aria fresca e la
luce, seppure di meriggio, ci furono di conforto, avevamo
superato una bella prova di sanità restando là dentro tutto
quel tempo.
-Ehi, dov’è che sta il pittore?- mi chiese Randolph.
87
-Sua figlia mi ha detto che l’hanno portato al Besta, il Neu-
rologico-.
-Potremmo farci un salto-.
-Vuoi andare a vederlo?- gli domandai.
Randolph annuì, e anche gli altri erano dello stesso parere.
-Ma non avete da studiare?-
-Tu pensa a farci strada-. rispose Abdul.
Scossi la testa e m’incamminai verso la metrò di Lanza se-
guito dai miei amici.

-Come sarebbe a dire non è qua?- chiesi sorpreso


all’infermiera in accettazione.
-L’hanno trasferito in un altro edificio, non lo sa che il Neu-
rologico non è un ricovero psichiatrico?-
-E allora dove sta?-
-Ora ti faccio vedere-.
L’infermiera mi mostrò su una piantina dove si trovava
l’edificio in cui era stato trasportato il Legnani, sempre lì in
zona Cittàstudi.
Uscimmo così dal Neurologico e ci incamminammo verso
l’altro edificio ad alcuni isolati di distanza, quando lo tro-
vammo ci soffermammo ad osservarlo.
-Non so perché, ma mi ricorda decisamente l’Arkham A-
sylum di Gotham City-. commentò Randolph nello squadra-
re l’imponente ed grigio edificio di epoca fascista che ci sta-
va di fronte.
Attraversammo l’altissimo portale di ingresso ed entrammo
nell’edificio, c’era una sala d’aspetto lugubre e fredda, dalla
quale partivano tre corridoi diversi ed una rampa di scale
diretta al primo piano. Sulle sedie in plastica della sala
c’erano solo tre donne anziane malvestite e dall’aria confusa
che se ne stavano in silenzio.
Ci avvicinammo a quella che sembrava l’accettazione.
-Buon giorno-. salutai.
88
Un’infermiera sui quarant’anni con la sigaretta in bocca e
una rivista davanti agli occhi, fece finta di sentire senza al-
zare lo sguardo.
–Sì?-
-Mi chiamo Araya, dovremmo vedere un vostro paziente,
ricoverato alcuni giorni fa. Si chiama Buono Legnani-.
-Un attimo che controllo-. la donna mise via la rivista, con-
trollò alcune cose su un vecchio computer ormai superato e
poi si rivolse nuovamente a me.
-Come ha detto che si chiama?-
-Io? Araya..-.
-Sì, lei può passare, ma da solo, i medici sono stati precisi su
questo e la figlia ha dato il permesso solo a lei di vedere il
padre e a nessun altro. Ora le chiamo un infermiere che
l’accompagni-.
-Grazie-.
Mi voltai verso i miei amici: -Sentito? Solo io-.
-Mi puzza di trappola-. disse Abdul.
-Qui puzza tutto-. commentò Randolph.
-Guarda che ti ho sentito giovanotto-. disse severamente da
dietro il vetro l’infermiera, Randolph si nascose dalla sua
vista e fece finta di nulla.
Pochi minuti dopo arrivò un infermiere, un uomo di
mezz’età dall’aria stanca e la barba incolta, si rivolse a noi
come un automa: -Il signor Araya?-
-Sono io-. risposi.
–Mi segua-.
Accennai un saluto ai miei amici che andarono a sedersi nel-
la piccola sala d’aspetto, e poi seguii l’infermiere per i cor-
ridoi immensi di quel luogo tetro e gelido.
Mentre camminavamo ebbi una strana sensazione, quei cor-
ridoi altissimi il cui soffitto era coperto da enormi ragnatele,
le pareti bianche sudice, le enormi finestre sbarrate da infe-
riate, l’eco lontano di urla e grida, di frasi sconnesse e deli-
89
ranti proveniente da dietro le porte delle stanze, l’aria fredda
e maleodorante di quel posto, e quell’uomo silente dallo
sguardo fisso e assente che mi faceva da guida, mi fecero
rabbrividire.
Salimmo diverse scale, arrivammo al terzo o al quarto piano,
credo, e tutti i corridoi, anche quelli che conducevano ad
ambulatori, uffici, stanze, celle, erano identici, in tutto
l’edificio si respirava un’aria di decadimento, di malattia, di
lucida follia.
Talvolta nel nostro percorso incrociammo alcuni pazienti
che vagabondavano senza meta e senza controllo, con
sguardi persi, movimenti incerti e irregolari, tic nervosi, al-
cuni di loro improvvisamente di mettevano ad urlare senza
alcun motivo e allo stesso modo si fermavano.
Erano tutti personaggi lugubri, dal volto o il corpo semide-
forme, persone anziane, dementi, affette da Alzeimer, mi-
crocefali, storpi, mi trovavo in una sorta di corte dei miraco-
li, composta dai inquietanti quanto misere e sfortunate figure
note come Freaks o fenomeni da baraccone, che Browning
negli anni ’30 portò sul grande schermo in un film a loro in-
titolato sconvolgendo l’opinione pubblica di allora per l’uso
come attori di veri “scherza della natura”.
Non mi sentivo per niente al sicuro in quel luogo, e
l’infermiere che era con me per primo non mi dava sicurez-
za, ci lasciammo alle spalle quelle sfortunate persone per
entrare nel padiglione in cui era ricoverato Legnani, e lì,
benché non li vedessi, fui ancor di più angosciato e terroriz-
zato dai pazienti rinchiusi nelle loro celle, le urla strazianti,
di pazzia e i loro vagiti, i loro pensieri folli e ossessivi e-
cheggiavano in tutto il piano, senza che nessuno facesse nul-
la per farli smettere.
L’infermiere si fermò di fronte ad una delle porte, dalla fine-
strella posta sulla porta potei vedere Legnani seduto sul letto
con in dosso una camicia di forza, sembrava tranquillo, si
90
dondolava sul materasso in avanti e indietro.
-Se gli parlo mi capisce?- chiesi all’infermiere, quello però,
con il suo sguardo vuoto, non disse nulla, limitandosi ad al-
zare le spalle.
Aprì la porta della stanza, e, assicurandomi che non mi
chiudesse dentro, mi avvicinai al pittore.
-Buon giorno signor Legnani, mi chiamo Araya, come sta?-
L’uomo rimase con lo sguardo fisso nel vuoto, la bava che
pendeva dalla bocca e continuando a dondolare lentamente.
-Sono un detective, sono stato incaricato da sua figlia di
scoprire cosa le è successo. Mi capisce?-
D’un tratto Legnani incominciò a parlare, a bassa voce ripe-
teva qualcosa, una sorta di litania confusa, non capivo cosa
dicesse, né se era importante, ma provai ad avvicinarmi.
Biascicava due o tre parole consecutivamente, come in una
specie di trance, la voce era quasi gutturale e mi metteva a
dir poco a disagio e quando carpii le sue parole feci un balzo
all’indietro, appiattendomi contro la porta, quelle parole che
continuavano a vorticagli nel cervello e che lui ripeteva co-
me cercando di liberarsene, erano un segno sì della sua folli-
a, ma anche un avvertimento per chi, come noi, si stava ad-
dentrando in qualcosa che andava al di là dell’umana com-
prensione.
-Il caos… il caos che striscia… sta attento… al caos che
striscia…- quel flebile sussurro tremolante che udii uscire
dalle labbra del pittore fu per me molto più di un semplice
ritornello uscito dalla bocca di un pazzo rinchiuso in un ge-
rontocomio, era anche il primo passo dentro una folle avven-
tura dove non esistevano limiti, di alcun genere.
Avvertii immediatamente una spossante sensazione di ango-
scia, di oppressione, come se un’ombra ciclopica fosse en-
trata nella piccola stanza in cui ci trovavamo sovrastandoci
con la sua presenza, la sua mole enorme ed informe, le cui
pendici sibilavano e si accartocciavano.
91
Non resistetti un secondo di più in quel luogo, uscii dalla
camera e, senza nemmeno attendere l’impassibile infermie-
re, mi incamminai velocemente attraverso il dedalo di corri-
doi, piani, sale e doppie porte che mi separavano dall’uscita
di quel posto malsano e delirante, superando, non senza ti-
more, quei sinistri e deformi personaggi che avevo incrocia-
to salendo in quel padiglione.
Rischiai per un attimo di perdermi, ma per fortuna riuscii ad
imboccare il corridoio giusto e giunsi al pian terreno in un
paio di minuti, raggiunsi i miei amici che mi stavano aspet-
tando nella piccola sala all’ingresso.
Non appena li vidi feci cenno loro di uscire, senza attendere
altro tempo.
Una volta fuori mi sentii meglio, come liberato di un peso
che gravava sulla mia schiena, feci dei profondi respiri e mi
ricomposi.
-Che diavolo ti è successo? Sei pallido, sudato e ansimante-.
mi chiese Randolph una volta fuori sul marciapiede.
Raccontai loro chi avevo incontrato e cosa aveva detto Le-
gnani, se Tindiana impallidì all’istante, Randolph rimase so-
lo sorpreso, e Abdul indifferente.
-E’ evidente che si riferiva a Nyarlathotep-, commentò
l’occultista, -ma perché?-
-Preferirei non saperlo-. risposi facendo profondi respiri.
Avendone abbastanza per quella giornata ce ne tornammo a
casa, ci stavamo facendo prendere troppo da quella insolita
partita, io e Tindiana soprattutto, ma chissà che i nostri timo-
ri non ci avrebbero salvati permettendoci di stare sempre in
allerta.
Quella sera ero troppo stanco per uscire e andai a guardare
la tv in cucina, su una rete privata che prendevo un po’ male
trasmettevano “Il fantasma dell’opera” degli anni ’20 con il
mitico Lon Chaney.

92
7. PAURA E FOLLIA
Preso com’ero da questa affascinante, ma sempre più inquie-
tante, avventura, non mi ero accorto che attorno a noi qual-
cosa di tremendo stava accadendo, me ne accorsi la mattina
seguente, ascoltando il giornale radio: il servizio dava la no-
tizia di un altro efferato episodio che aveva i giovani come
protagonisti, un ragazzo, uno studente universitario di Ro-
ma, si era suicidato, il motivo era ancora sconosciuto, anche
perché tutti, parenti ed amici, lo ritraevano come una perso-
na mite, e tranquilla.
La notizia non mi avrebbe colpito più di tanto se non fosse
stato la modalità del suicidio, talmente orrenda da far rab-
brividire un appassionato di film horror, e soprattutto che
quel suicidio seguiva la morte di un amico del suicida, al
momento l’unica spiegazione di quell’insano gesto.
Immediatamente uscii di casa per andare a prendere il gior-
nale mentre mia madre stava ancora preparando la colazio-
ne, e non persi tempo ad acquistare e leggere l’articolo ine-
rente all’episodio:
Roberto A. si è tolto la vita in una maniera talmente orribile
che fa pensare ad un momento di follia del ragazzo, per mo-
tivi non ancora chiari. Certo è che il ragazzo era rimasto
molto colpito dalla morte, avvenuta due giorni fa, del suo
amico, Francesco T., morte di origine violenta, alla quale la
polizia non ha saputo dare ancora una parziale ricostruzio-
ne. […]
La polizia ritiene che le due morti siano legate, poiché ci
sono diversi particolari che le legano: 1) Le due morti sono
state entrambe terribili e misteriose: Francesco è stato tro-
vato riverso sul pavimento della sua camera, la gola squar-
ciata da quelli che sembrerebbero artigli, ma che la polizia
ritiene possa essere un nuovo tipo di coltello, con porte e
finestre chiuse dall’interno e senza alcuna traccia di im-
pronte o altro, Roberto, dopo avere urlato di terrore, secon-
93
do la deposizione del fratello, ha preso un rasoio e si è ta-
gliato la gola; 2) Roberto prima di uccidersi stava lavoran-
do a degli appunti appartenenti all’amico ucciso; 3) I due
erano appassionati di letteratura d’orrore e nelle loro stan-
ze sono stati trovati libri e riviste inerenti a streghe, magia
nera e culti diabolici; 4) Infine, ciò su cui la polizia sta la-
vorando, ci sono le testimonianze di alcuni amici che so-
stengono che i due da alcuni giorni asserivano di essere en-
trati a far parte di una strana avventura d’orrore con altre
persone che non conoscevano.
L’articolo proseguiva poi con una ammonimento all’intera
società adulta, a causa della quale ai giovani di adesso non
basta più morire lungo le strade per l’alta velocità o di altri
sballi come l’alcol, la droga, l’ecstasy e altro ancora, ma
succede che impazziscono e trucidano una povera suora nel
nome diavolo, i genitori, la fidanzata, la migliore amica o sé
stessi, senza alcuna paura delle conseguenza, con una luci-
dità folle e inquietante che ci fa rabbrividire e alla quale
non riusciamo più mettere freno.
Il giornalista aggiungeva inoltre che anche altri paesi ci
fanno tristemente compagnia con simili delitti da parte dei
giovani, dalla Spagna alla Polonia, dalla Norvegia alla
Grecia, i giovani fanno parlare di sé in diverse circostanze
per omicidi o suicidi dettati da un’insana follia che nessuno
si spiega.
Le mani mi tremavano mentre leggevo quell’articolo, per
non allarmare mia madre presi subito le mie cose e andai
alla stazione della metropolitana guardandomi costantemen-
te attorno, sicuro di essere osservato dal Custode che ora più
che mai ritenevo esistesse veramente, che forse tutto non era
più un gioco di ruolo, ma qualcosa di molto più reale, e ciò
mi spaventava molto.
L’idea di Abdul di fermarsi poteva essere dapprima la solu-
zione migliore, ma io non ne ero convinto, l’uomo
94
dell’Arkham ci aveva avvertiti di non interrompere
l’avventura di punto in bianco, perché ne avremmo pagato le
conseguenze… facevo quelle considerazioni come se si trat-
tasse di una cosa reale, ma lo era? …o no?
Ero confuso, terribilmente confuso, tutto era così irreale e
pazzesco che sembrava impossibile che stesse accadendo,
credere che tutto fosse vero, e diverse cose lo facevano sup-
porre, significava anche credere nell’esistenza dei Grande
Antichi, di Cthulhu, di Nyarlathotep e tutte le altre divinità
inventate da Lovecraft, incominciavo a dubitare del fatto che
le avesse davvero create lui.
Arrivai in università presto come al solito, c’era già in giro
un gran numero di studenti che girovagavano tra i cortili, i
chiostri e i vari corridoi dell’università, stavo ancora aspet-
tando i miei amici quando tra i colonnati echeggiò un urlo e
un successivo caos di voci e grida con tutti che correvano in
direzione della facoltà di storia, mi mossi anch’io veloce-
mente e arrivai dove un gruppo di studenti sempre più nu-
meroso faceva cerchio ad altri che cercavano di soccorrere
un terzo, mentre c’era chi sbraitava di chiamare
un’ambulanza, chi di fare largo, ed altri che, guardando in
alto, dove c’era una finestra aperta, cercavano di ricostruire
la scena.
Mi feci avanti cercando di vedere il corpo, purtroppo esani-
me, del ragazzo.
Tirai fuori il (falso) tesserino dicendo di essere della polizia
e mi feci avanti, nessuno ebbe da obiettare, il ragazzo aveva
la testa aperta in due, il sangue era tutto il pavimento del
cortile, mentre gli sfilavo la giacca con la scusa di coprirgli
il volto, gli frugai nelle tasche e il cuore mi mancò di un
colpo quando mi ritrovai tra le mani la carta di identità che
aveva dato anche a me il tizio dell’Arkham, anche lui era del
gioco.
Sentivo che stavano per arrivare i soccorsi e la polizia, così
95
mi alzai e me andai, dicendo che stavano arrivando i para-
medici.
Non fu necessario fare domande, nelle ore seguenti non si
parlò d’altro: quel ragazzo, secondo i testimoni oculari, si
sarebbe messo ad urlare improvvisamente in aula, mentre
era seduto al banco, e quindi si è gettato già dalla finestra.
-Ho paura che siamo finiti in una storia più grande di noi-.
dissi ai miei compari quando ci incontrammo.
–In effetti incominciano ad esserci troppe coincidenze-,
ammise Randolph, -ma deve pur esserci una spiegazione-.
-Certo che c’è-, rispose Tindy pulendosi chi occhiali, -quel
ragazzo è morto perché doveva morire: o perché lo ha deciso
la storia o perché lo ha deciso il Custode-.
-Pianta con queste boiate!- esclamò Abdul, -È solo uno stu-
pido gioco di ruolo, ben costruito, non c’è che dire, ma pur
sempre un gioco, e noi possiamo ritirarci come e quando ci
pare-.
-Non ne sono molto sicuro, forse questi ragazzi che sono
morti hanno scoperto che non era solo un gioco e cercando
di levarsi sono impazziti-.
-Certo, sono impazziti, così!- ironizzò Abdul.
–Lo so che è difficile crederci, ma temo che sia vero-, conti-
nuò Tindy, -i quadri, i libri, la chiesa… diavolo, li hai visti
pure te, sarebbe troppo per un semplice gioco di ruolo-.
Abdul non rispose.
–Non parli perché hai paura che abbiamo ragione, non è co-
sì?- domandai.
–Non dico niente perché sono solo boiate! Sai che ti dico,
che ne ho abbastanza, io mi levo!-
-Ma non fare lo scemo-, lo redarguì Randolph, -vuoi lasciar-
ci proprio ora, sul più bello? Abbiamo scoperto l’esistenza
di quei tunnel sotto la città, io credo che almeno un’occhiata
gliela dovremmo dare, o no?-
Stavo per dire qualcosa quando lo sguardo mi cascò dietro le
96
spalle di Randolph, avanti a me, dove vidi Lisa Legnani che
si guardava in giro.
–Anche questa è una bella coincidenza-. dissi alzandomi
dalla panchina, -Arrivo subito-.
Mentre mi dirigevo verso di lei mi vide e mi sorrise, io non
le restituii il sorriso, dopotutto era cominciato tutto da lei.
–Buon giorno, detective-. mi salutò stringendosi nel cappot-
to tutta infreddolita.
Accennai un saluto, la presi per un braccio e la portai in una
zona semideserta.
–Che c’è?- domandò liberandosi il braccio.
–Che c’è mi domandi? Ho appena visto morire un ragazzo,
si è buttato già di testa dal secondo piano-.
-Ho sentito-.
-E forse avrai sentito che non è l’unico ragazzo a finire ma-
le, guarda caso fanno tutti parte della nostra bella avventura-
.
-Non capisco cosa vuoi dire-.
-Sì invece che lo sai, ma che ognuno continui a recitare la
propria parte, altrimenti… non è così? -Tu non hai la mini-
ma idea di cosa stai dicendo-.
-Ah davvero? Beh, allora andiamo avanti tranquillamente,
non voglio certo che tu sia la prossima a morire per colpa
mia. Dunque: abbiamo scoperto che il quadro che tuo padre
stava restaurando era di un alchimista del 1600, un tizio ac-
cusato di stregoneria e che è morto tra le fiamme
dell’inquisizione. È uno di una terna di quadri nei quali ab-
biamo trovato una mappa nascosta, per decifrare la quale
abbiamo dovuto cercare il suo libro, messo all’indice assie-
me a quello di un compagno del nostro alchimista. Questi
libri, oltre a parlare di stregoneria e culti esoterici, parlano di
una serie di tunnel sotterranei che collegano i punti più e-
stremi del nostro pianeta nonché, attraverso dei rituali magi-
ci, altre dimensioni. Un punto internodale dove sarebbe pos-
97
sibile aprire uno di questi portali è proprio sotto la basilica
di Sant’Ambrogio e credimi, sta bene dove sta-.
-Siete stati bravi, vi siete guadagnati la paga fino all’ultimo
soldo, e ora cosa farete?-
-Abbiamo intenzione di verificare che questo luogo sotto
Sant’Ambrogio esista davvero, dopo la fatica che abbiamo
fatto a scoprirlo… certo che le indagini sulla follia di tuo
padre sono ormai finite, e non puoi nemmeno fare causa al
museo perché non ne sapevano niente, mi spiace-.
-Beh, almeno mio padre è impazzito per una scoperta gran-
diosa, non è così?-
Annuii compassionevole guardando il volto enigmatico della
ragazza.
–Beh, questo è il saldo-, disse dandomi una busta contenente
sei biglietti da 50€, -le auguro buona fortuna-. presi i soldi e
la vidi andarsene senza dir nulla.
Mi ritrovai dopo con i miei amici, la situazione era sempre
più drammatica, i nostri pensieri erano molteplici, confusi e
pieni di paura, uno scenario sconvolgente si stava delinean-
do sotto i nostri occhi, e che non riuscivamo ad affrontare se
non cercando di raccogliere più notizie, più dettagli, più in-
formazioni possibili, per comprendere che cosa realmente
stavamo affrontando, se solo un ingegnoso ed articolato si-
stema di gioco e non un folle piano di qualche setta esoterica
millenaria che aspirava a chissà cosa.

Ormai nemmeno più nella titanica biblioteca di Brera ci sen-


tivamo più al sicuro, da dietro gli scaffali, gli angoli, nelle
stanze più piccole e vecchie, più isolate e silenziose, poteva
celarsi una minaccia o un pericolo, sicuramente le notti suc-
cessive sarebbe state davvero lunghe.
Cercammo tra libri di saggistica, ma anche tra riviste e gior-
nali internazionali, nella smaniosa ricerca di qualcosa che
nemmeno noi sapevamo esattamente cosa, che avremmo ri-
98
conosciuto però una volta trovata.
Al termine di un’estenuante giornata trovammo un po’ di
articoli presi in ogni dove, e che assieme a quanto già sape-
vamo, non causò altro che suscitare maggiore terrore, mag-
giore confusione, follia e paura…
“Giochi di Ruolo": Suicida a 19 anni
Uno studente diciannovenne prende quattro in chimica e si
impicca. Un suo amico, pochi giorni prima, si era buttato
sotto un treno. Un avvocato rivela: "Entrambi apparteneva-
no ad un gruppo dedito ai giochi di ruolo, quelli in cui biso-
gna immedesimarsi in situazioni limite, diventare killer o
suicidi. Potrebbero aver perso il controllo", e chiede il se-
questro di alcuni periodici specializzati. Il papà dello stu-
dente, però, non è d'accordo..” 10
“…ebbi la fortuna di avere accesso ai suoi UNAUSSPRE-
CHLICHEN KULTEN nell’edizione originale, il cosiddetto
Libro Nero, pubblicato a Düsseldorf nel 1839, poco prima
che un destino tremendo cogliesse l’autore.
I collezionisti di opere rare conoscono quest’opera soprat-
tutto attraverso la scadente edizione economica pubblicata
illegalmente a Londra da Bridewall nel 1845, e l’edizione
accuratamente censurata della Golden Goblin Press di New
York, che è del 1909. (…) il volume (…) era una delle copie
tedesche non censurate, dalla pesante copertina di pelle e
dalle borchie di ferro arrugginito. Non credo che oggi, al
mondo, esista più di una dozzina di tali volumi, perché la
tiratura non fu assai alta e, quando si incominciò a parlare
del modo in cui era morto l’autore, molti di coloro che pos-
sedevano il libro lo bruciarono in preda al panico.
Von Juntz trascorse tutta la vita (1795-1840) a indagare tra
argomenti proibiti: viaggiò in tutte le parti del mondo, riu-
scì a farsi ammettere in numerose società segrete, e lesse
innumerevoli libri e manoscritti poco noti ed esoterici, nelle
versioni originali: nei capitoli del Libro Nero, che varia da
99
una sorprendente chiarezza di esposizione all’ambiguità più
tenebrosa, vi sono affermazioni ed allusioni in grado di ge-
lare il sangue ad ogni uomo raziocinante.
Quando si legge ciò che Von Juntz osò dare alle stampe, ci
si chiede, inquieti, che cosa non osò pubblicare. Quali ar-
gomenti tenebrosi, ad esempio, erano contenuti nelle pagine
scritte fittamente che formavano il manoscritto inedito al
quale aveva lavorato incessantemente per mesi prima della
morte, e che giacevano sparpagliate e strappate sul pavi-
mento della stanza chiusa a chiave e sbarrata nella quale
egli fu trovato morto, con i segni di dita artigliate sulla go-
la? Non si saprà mai, perché l’amico più intimo dell’autore,
il francese Alexis Ladeau dopo aver trascorso una notte in-
tera a rimettere insieme i frammenti del manoscritto e a leg-
gerli, li bruciò e si tagliò la gola con un rasoio.…” 11
“… E come, infine, non accennare a un fenomeno singola-
rissimo, pur se extraletterario, che ha visto la mitologia Lo-
vecraftiana, la sue divinità cosmiche e ctoniane, divenire da
finzioni narrative effettivi oggetti di culto? E’ stato Kenneth
Grant, capo di varie organizzazioni magiche e soprattutto
dell’OTO, Ordo Templi Orienti che fu di Aleister Crowley,
coniugare il sistema magico di quest’ultimo con il Pantheon
del Sognatore di Providence. L’idea è presentata, sviluppa-
ta, organizzata, con sempre maggiori confronti e approfon-
dimenti in sei volumi, divisi in due trilogie, apparsi in
vent’anni, dal 1972: The Magical Revivel, Aleister Crowley
and Hidden God, Cult Of Shadows; Nightside of Eden, Ou-
tside the Circles of Time, Hecate’s Fountain.” 12
“Periodicamente il giornalismo italiano riscopre il satani-
smo. Accanto ai fatti di cronaca nera tradizionali spicca,
due o tre volte all'anno, qualche articolo dedicato al sacrifi-
cio rituale della setta satanica di turno. Setta che rimane
puntualmente senza nome come senza nome rimangono gli
adepti e i "sacerdoti". Il tema è tanto caro agli autori (e ai
100
lettori) che alle proverbiali tre "S" che fanno vendere i
giornali - sesso, sangue, soldi - si potrebbe affiancare una
quarta che, quando appare, le raccoglie tutte: la "S" di Sa-
tana.
Negli ultimi anni un solo caso si è distinto per la chiarezza e
per ampiezza di informazione. Il 23 gennaio 1996 vennero
arrestati Marco Dimitri, fondatore della setta Bambini di
Satana, Piergiorgio Bonora e Gennaro Luongo, due suoi
stretti collaboratori, con l'accusa di ratto a fine di libidine e
violenza carnale. Le presunte vittime erano una minorenne e
un bimbo di appena tre anni. Gli atti sessuali sarebbero sta-
ti compiuti durante i rituali del gruppo. Per più di un anno i
satanisti bolognesi furono al centro dell'attenzione di mass
media e pubblico. Scoppiò un vero e proprio "caso satani-
sta". Giornali e televisione seguirono con estrema attenzio-
ne tutti gli sviluppi giudiziari della vicenda. Si creò una sor-
ta di moda satanista, per cui spesso si associavano omicidi
perpetrati in modalità non convenzionali al mondo degli
adoratori del Diavolo. Gli italiani scoprirono un territorio
fino ad allora esplorato solo tramite la fiction. Si sa, "ciò
che si vede nei film non è realistico", invece ora proprio
quella finzione diveniva realtà a tutti gli effetti. Gli italiani
seguirono le indagini, si stupirono dei legami dei satanisti
con la Bologna "bene", fecero le proprie conclusioni e a-
spettarono con impazienza la sentenza che, il 20 giugno
1997, assolse però gli imputati "perché il fatto non sussiste".
“Ti pareva…”, pensai.
Ma l'atmosfera si era ormai caricata di zolfo. Mentre la
Corte di Assise di Bologna decideva su un caso preciso e
circostanziato l'Italia usciva invece da una processo ben più
ampio: si era confrontata con il satanismo e con le proprie
paure. La scoperta di legami tra i Bambini di Satana e altri
gruppi satanisti in giro per l'Italia fece risorgere l'idea di un
complotto satanista di scala nazionale (riflesso nostrano di
101
un ben più vasto e importante complotto mondiale). A que-
sta idea contribuirono, e contribuiscono soprattutto ora, la
mancanza di informazioni precise - chi è che compie questi
rituali? le ossa rinvenute sono di persone uccise durante le
cerimonie? quali e quanti gruppi satanisti sono presenti in
Italia? - e la ricorrenza di elementi iconografici e ambienta-
li ormai consueti: profanazione di cimiteri e tombe, rinve-
nimento di mozziconi di ceri e candele, simbologia anticat-
tolica (come croci rovesciate o resti di "cene" rituali), sim-
bologia prettamente satanista/magica (corna, effigi di teste
di capro, disegni e frasi incomprensibili ma dal chiaro valo-
re rituale).”13
La ricerca continuò e trovammo numerosi articoli legati ad
omicidi, atti di vandalismo e profanazioni causati da sette
diaboliche o ancestrali, soprattutto nel nostro paese, ma la
scoperta più interessante fu data dal caso, perché, facendo
cadere una serie di libri, trovai un libro piuttosto recente, del
1992, scritto da Edward T. Hunter, un giornalista gallese,
che aveva compiuto uno studio ed una ricerca
sull’incredibile numero di sparizioni di persone
nell’occidente europeo.
Hunter tramite diverse fonti, soprattutto archivi di giornali
locali e denuncie alla polizia, era riuscito a calcolare un nu-
mero impressionante di persone che scomparivano misterio-
samente e delle quali non si avevano più notizie: ogni anno,
in nazioni come l’Inghilterra, l’Italia, la Francia, la Spagna o
la Germania, sparivano più di 1000 persone, nel nulla, non
un biglietto, un indizio, una richiesta di riscatto, una motiva-
zione ad una fuga, il nulla più assoluto, e la sua teoria a ri-
guardo era piuttosto inquietante.
“Le mie ricerche, che mi hanno condotto per mezza Europa
in un viaggio che è durato parecchi anni, non hanno portato
a conclusioni certe, ma solo a congetture e deduzioni senza
prove concrete. I numerosi casi che ho seguito mi hanno
102
portato a dividere le sparizioni in due casi sostanziali, en-
trambi estremamente inquietanti: nel primo le vittime sono
state rapite da una delle numerosissime sette diaboliche, e-
soteriche, magiche che infestano tutto il mondo civilizzato, e
che riescono con incredibile bravura a rimanere costante-
mente nell’ombra, sia perché ogni singolo adepto riesce a
celare la sua doppia identità, sia perché, alle soglie del
2000, il mondo moderno, evoluto e tecnologico, si rifiuta di
credere che possa esistere una simile realtà, per cui nega a
priori l’esistenza di tali sette; il secondo caso è molto com-
plesso da spiegare, io stesso ho dovuto effettuare numerose
ricerche bibliografiche per verificare l’attendibilità di alcu-
ni scritti e teorie che parlano di misteriosi varchi che sono
in grado di condurre in parti estreme del nostro pianeta e,
grazie ad alcuni artefatti magici e riti, in altre dimensioni.
[…]” 14
L’autore menzionava i libri e gli studi di Thermogorothus e
di Legione, e addirittura Lovecraft, il quale, secondo Hunter,
doveva essere entrato in possesso di alcuni stampati illegali
in inglese dei libri blasfemi, probabilmente attingendo dalla
biblioteca di famiglia, (all’incirca ciò che avevamo supposto
noi, seppure con molta fantasia) e da essi ha tratto ispirazio-
ne per il suo mito cosmico degli Antichi, il ciclo di Cthulhu
e, soprattutto, quello del Reame dei Sogni.

Quella sera, andando a letto, ripresi tra le mani il Primo Al-


manacco della Paura di Dylan Dog, risalente ormai al 1991,
dove, in coda al fumetto, venne inserito un dossier dedicato
proprio a Lovecraft, e fu proprio quel dossier a farmi cono-
scere il grande scrittore di Providence.
Dicevo che avevo ripreso l’almanacco per rileggermi un po’
di notizie interessanti, quando, leggendo la sezione dedicata
ad Abdul Alhazred e il Necronomicon trovai una notizia che
avevo dimenticato, e che apriva un nuovo scenario nella no-
103
stra avventura, perché, per una volta, le mie supposizioni
non andavano lontane dalla realtà.
Ad ogni modo il dossier recitava così: Di recente sono state
tentate alcune fantasiose ricostruzioni del malefico testo: la
prima è quella di L.S. De Camp, apparsa come Al Azif
(1973); l’autore inglese Colin Wilson ha poi intorbidato ul-
teriormente le acque con un saggio che “dimostra” come
Lovecraft avesse semplicemente finto che il Necronomicon
non esistesse, ma che in realtà lo conosceva benissimo gra-
zie a suo padre, adepto di una società esoterica fondata da
Cagliostro15. Certo, Wilson poteva aver lavorato molto di
fantasia, ma tutti conoscono che dietro ad una leggenda c’è
sempre uno spiraglio di verità. Se davvero Lovecraft era en-
trato in possesso del Necronomicon, o meglio, della sua tra-
duzione inglese di John Dee, allora nulla ci vietava di pensa-
re che una ulteriore traduzione inglese del Vobiscum Satanas
e de La Grande Danse Macabre fosse entrata nella bibliote-
ca del giovane Lovecraft, e da qui aver preso spunto per far-
cire i suoi miti d’orrore cosmico.
Trovai inoltre un passo oltremodo interessante, in una fine-
stra sul rapporto tra Lovecraft e Martin Mystere:
Nell’episodio “La casa ai confini del mondo”, il Detective
dell’impossibile non solo si imbatte nel pittore Pickman, ma
scopre che Lovecraft ha visitato più volte una misteriosa ca-
sa da cui si può accedere ad altre dimensioni. Particolare
curioso numero uno: il documento in codice che il “cattivo”
tenta di decifrare con l’aiuto di un computer non è del tutto
inventato: secondo la rivista spagnola Mundo Disconosciu-
to, Lovecraft avrebbe scritto davvero un trattato (in codice)
sulle “porte intradimensionali” che si possono aprire con
determinati riti 15.
La cosa non mi sorprese a questo punto, visto che probabil-
mente Lovecraft stava cercando di riesumare i riti blasfemi
citati nel libro di Legione.
104
Lasciammo trascorrere alcuni giorni, nei quali non accadde-
ro fatti significativi, ma ad ogni modo iniziavamo sempre
più a temere la situazione in cui ci eravamo addentrati. Era-
vamo curiosi di scoprire se sotto la Basilica esistesse vera-
mente quel luogo ancestrale e magico, ma rimandavamo
continuamente la spedizione, ognuno adoperando diverse
scuse, quello che credevo però era che c’era una lotta dentro
di noi, dove si battevano da una parte l’interesse e la passio-
ne per l’occulto, il mistero e l’antico, di cui una scoperta del
genere odorava tanto, e dall’altro la paura che fosse tutto ve-
ro.
In quei freddi giorni di Novembre, a cui fecero poi seguito le
nebbiose e gelide giornate di Dicembre, ci limitammo a rac-
cogliere ulteriori dettagli sulla nostra ricerca, articoli di
giornali, capitoli di libri, saggi, e cose del genere.
Trovai un articolo molto interessante, sulla rivista Occulto,
di un criminoso ed occultista italiano di nome Giuseppe Co-
sco, un articolo che sembrava suggellare alcune nostre teo-
rie:

H. P. LOVECRAFT E LE PORTE DELL'ABISSO


La vita di Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) fu tutta
all’insegna di un’immaginazione sfrenata che, esasperata
dall’odio verso l’esistenza banale di quel vivere che ignora,
per fortuna, una realtà terribile, finì col trovare le porte se-
grete che si aprono su mondi di orrore dove: <<mostri nati
vivi si occultano nel sottosuolo e si moltiplicano, dando luo-
go a una stirpe d'ignoti demoni>> (H.P.L., Commonplace
Book, d. 1919).
In fondo si può benissimo considerare Lovecraft come un
romantico, che disprezzava il mondo reale e la banalità e
futilità della vita umana. […]
Gli dèi di Lovecraft sono tutti demoni di una religione abis-
sale del caos, che lui scorge dietro le porte sigillate della
105
percezione che gli si spalancano innanzi agli occhi. Là, la
materia eterna degli dèi è invischiante, è terrore sacro, non
concede salvezza ma fagocita nell’Abisso. Le divinità sono
risvegliate dalle sue narrazioni-litanie, che sono un cordone
ombelicale che si estende nelle voragini proibite di quella
stirpe diabolica. Quello di Lovecraft è un universo senza
alcun ordine e senza salvezza per l’umanità. […]
La realtà, che si presenta davanti al solitario di Providence,
è, a dir poco, agghiacciante, così terribile che Lovecraft ar-
riva a convincersi che l’ignoranza è la salvezza del genere
umano. […]
Quali porte varcò H. P. Lovecraft? Da dove ha origine il
suo apocalittico universo? E come spiegare le notevoli affi-
nità delle storie dello scrittore di Providence col Culto di
Crowley? […]
Grant asserisce che Lovecraft può essere compreso soltanto
in un contesto misterico. Serge Hutin si dice convinto che:
<<la descrizione di certi rituali magici effettuata da Love-
craft sono il resoconto di esperienze realmente vissute>>
(G.De Turris e S.Fusco, L’ultimo demiurgo e altri saggi lo-
vecraftiani, Chieti 1989). Benché suggestiva tale ipotesi, è
decisamente da accantonare. […]
Eppure, è anche vero che Lovecraft ha lasciato resoconti
estremamente interessanti nei suoi scritti, che sembrano at-
testare profonde conoscenze esoteriche. Da dove traeva
questo sapere? Dai suoi sogni? E’ possibile anche che le
sue narrazioni nascessero dall’esperienza di bilocazioni
spontanee, veri e propri viaggi astrali, una sorta di "Grand
Jeu" che il nostro solitario esploratore effettuava durante il
sonno visitando mondi ignoti. L’ipotesi non è peregrina.
[…]
La fantasia è indispensabile per questo tipo di esplorazioni.
[…]
E una spiccata e acutissima fantasia in Lovecraft è indubi-
106
tabile. Ma come questo potere, latente in ogni individuo, si
manifestò improvvisamente in Lovecraft? Quali elementi
psicologici e sotto quali spinte stimolarono così potentemen-
te questa misteriosa facoltà? E’ necessario, a questo punto,
studiare il personaggio più approfonditamente, dal punto di
vista psicologico, per cercare di comprenderlo appieno e di
decifrare il suo complesso ed enigmatico mondo interiore.
[…]
Prove tremende segnarono la vita dello scrittore, lo spinse-
ro sempre di più a concepire una natura malvagia e distrut-
tiva, celata dietro un mondo futile e banale popolato da una
grande moltitudine di persone banali. […] Infelice e geniale
si sentiva a disagio nel mondo che sentiva intollerabile e
irreale, come fosse un sogno e, la maggior parte della gente,
prigioniera di quell’illusione. Doveva scappare, ad ogni co-
sto, aprirsi varchi al di là dei confini del mondo
dell’attualità. L’immaginazione lo proiettava, allora, verso
confini misteriosi. La notte, nel sonno, la sua anima, final-
mente, si separava dal corpo e valicava quei confini ed e-
splorava nuovi e terribili mondi. Solo così riusciva a sop-
portare la pena della vita il solitario eploratore di Provi-
dence.
Poi negli ultimi 5 anni della sua vita, percepì che il flusso
creativo si andava via via spegnendo. Non sentiva più le eb-
brezze dei quei viaggi misteriosi. Forse ormai aveva deciso
di recarsi stabilmente in uno di quei luoghi che visitava
quasi ogni notte. Abbandonare per sempre le contingenze e
le illusorietà di questo mondo futile e distruttivo. Agli amici
diceva sempre con più insistenza che aveva smesso di scri-
vere. […]
Dopotutto è vero che l’opera conclusa conclude. Così vola-
va via quest’anima inquieta attraversando le stesse porte
dell’abisso, come aveva fatto tutta la vita, ma questa volta
per sempre.16
107
8. L’ORDINE ESOTERICO DI DAGON
Nel recente piano di riqualificazione del Naviglio della Mar-
tesana la Provincia di Milano assieme ai comuni bagnati dal
fiume (Milano, Cologno, Vimodrone, Cernusco, Borgo
Sforza, Cassina, Bussero, Gorgonzola e via di seguito) si
adoperò per la costruzione di una pista ciclabile e di nume-
rosi parchi che lo costeggiassero, riportando vita ed interesse
da tempo perduti a causa dell’abbandono e il degrado creati-
si in alcuni punti vitali di quello che era ancora un vecchio
sentiero che costeggiava il Naviglio.
L’opera, tutt’ora in corso, ma ufficialmente terminata nella
primavera del 2000, permettere di collegare Milano con tutti
i comuni limitrofi che costeggiano il Naviglio fino alle chiu-
se dove il corso d'acqua si unisce all’Adda, uno dei maggiori
fiumi Lombardi.
Quello che non si sa, e che è ben tenuto nascosto, è che in
alcuni tratti del Lungo Naviglio, specialmente nella nostra
zona, durante la pavimentazione della ciclabile e la piantu-
mazione, ci sono stati sinistri episodi, incidenti e misteriosi
avvistamenti, soprattutto nel tardo pomeriggio, quando le
ombre uscivano già poco dopo le 17.
Alcuni operai sostengono di avere sentito strani rumori pro-
venire dal fondo del fiume, e di aver visto delle bolle emer-
gere dal fondo, come se qualcuno, o qualcosa, stesse respi-
rando sott’acqua. Ovviamente nessuno credette al loro rac-
conto, ma non molto dopo altri operai, affermarono di aver
visto sotto la superficie dell’acqua l’ombra di qualcosa che
nuotava, enorme e veloce, ma che non assomigliava vaga-
mente ad un pesce, ma di quelle dimensioni non se n’erano
mai visti nel fiume.
Subito vennero rievocati le leggende e i racconti della spa-
ventosa alluvione di decenni prima, quando strane creature
vennero viste risalire il fiume.
108
Queste che vennero definite solo dicerie e strane fantasie
rimasero tali, ciononostante sono pochi gli impavidi che
percorrono il lungo-Naviglio la sera, illuminato con lampio-
ni nel tratto da Milano fino a Gorgonzola, dove finisce la
ciclabile, ma totalmente all’oscuro nel restante tratto fino a
Trezzo d’Adda, dove permane ancora il vecchio sentiero tor-
tuoso fatto di terra, ciottoli e sassi, immerso, per lunga parte
del tragitto, nel verde delle numerose piante ed alberi che
compongono il Parco dell’Adda, una vasta zona verde della
zona sud-est della provincia di Milano.
Spesso anch’io ero andato con i miei amici in bicicletta lun-
go quei sentieri fino all’immissione del Naviglio nell’Adda,
talvolta anche proseguendo verso il Villaggio Crespi, pas-
sando per un vecchio cimitero dove sorgono decine di tombe
e lapidi di bambini; non notammo mai nulla di anormale, o
misterioso, anche perché eravamo di solito propensi a partire
la mattina dopo colazione e tornare a pranzo o nel primo
pomeriggio, quando il sole era ancora alto.
C’era una sola cosa che è degna di nota, il cui ricordo mi
spinse a ritornarvi in quei giorni di avventure e mistero, una
vecchia cascina abbandonata dal nome sinistro di Cascina
Forca, isolata nelle campagne e limitrofa al torrente, dove la
sera nessuno si avventurava, perché si dice in giro che vi si
riunisca una setta diabolica o comunque dedita a riti esoteri-
ci e pagani.
Le volte che vi eravamo passati davanti avevo sempre senti-
to una strana sensazione di paura, ma una volta ci volemmo
fermare per dare un’occhiata, non entrammo nel cortile
principale, anche perché temevamo che ci fosse qualcuno
dentro, ma restammo fuori, dove c’era un vecchio pozzo do-
ve si attingeva l’acqua e una piccola cappella sconsacrata,
mi arrampicai al davanzale di un’apertura, e vidi, attraverso
il vetro opaco, che dentro c’era una gran sporcizia, polvere e
delle strane macchie.
109
Mi lasciai subito andare e atterrai con l’intenzione di andar-
mene immediatamente da quel luogo, seguito a ruota dal
mio amico che aveva appena visto degli strani segni pitturati
su un lato della cappella, una pentacolo circondato da altre
scritte incomprensibili e due diabolici occhi rossi che sem-
bravano fissare con malvagità chiunque li guardasse.
Il mio amico, pallido in volto, salì in sella alla bicicletta sen-
za dir nulla se non: -Muoviti! Muoviti! Andiamocene subito
di qui!- per poi raccontarmi tutto solo più tardi, quando rag-
giungemmo un parco affollato dove si calmò, resosi conto di
essere ormai al sicuro.
Mi era tornato alla mente quell’episodio ed avevo intenzione
di verificare una cosa, era più una curiosità, pericolosa, ma
solo una curiosità, e così chiesi la collaborazione del mio
amico Tindiana Jones.
–Hai presente quando i giocatori pensano di percorrere ad
una pista inaspettata per il master?-
-Certo, voi lo fate di continuo-.
-Perché non proviamo anche questa volta?-
-Cioè?-
-Beh, se siamo effettivamente nel gioco come vorrebbero
farci credere, allora esistono tutte le creature inventate da
Lovecraft, ad eccezione di quelle presenti solo nel Reame
del Sogno, ed anche tutte le sette adepte ai culti ancestrali
degli Dei Antichi e simili-.
-Aha-.
-Ho pensato che di conseguenza alla cascina Forca potrebbe
esserci proprio una di queste sette, quella dell’ “Ordine Er-
metico del Crepuscolo d’Argento” o il “Culto della saggezza
Stellare” o altri, perché non andiamo a dare un’occhiata?-
-L’ultima volta che siamo stati alla Forca per poco non mi
veniva un infarto-.
-Ehi, siamo o non siamo gli eroi di questa avventura?-
-E’ questo che mi preoccupa, nei racconti di Lovecraft gli
110
eroi fanno sempre una brutta fine-.
-Chissà, forse potremmo anche scoprire quali siano le crea-
ture che ogni tanto vengono avvistate nel Naviglio, se come
dici tu dobbiamo pensare come personaggi e non come gio-
catori allora tutte queste fantasie sono reali, io sono un de-
tective e tu uno stimato archeologo dell’avventura, e non
due semplici studenti di Milano. Questa è la nostra occasio-
ne, non lasciamocela sfuggire-.
-Ok, ma niente boiate, dirigo io-.
-D’accordo. Facciamo domani sera?-
-E la chiesa?-
-Oh, quella può aspettare, da lì non scappa di certo. Inoltre
credo sia il caso di prenderci un po’ di respiro da questa sto-
ria. Se il Custode lo vorrà succederà qualcosa che ci obbli-
gherà ad andarci, altrimenti aspettiamo un po’-.
-Ok, e agli altri lo diciamo?-
-Non è necessario, loro non sono mai venuti alla Forca, non
credo possa interessarli e comunque è meglio che si riposi-
no. Senza contare che mi è bastato il casino che hanno com-
binato al cimitero l’altra notte-.

Il mattino dopo ci ritrovammo tutti in università, ci la-


sciammo poi per seguire le rispettive lezioni e quando ci ri-
trovammo, verso mezzogiorno, trovammo Randolph piutto-
sto agitato, volle che lo seguissimo in un luogo appartato e
lontano da occhi ed orecchie indiscrete, così ci sistemammo
in un angolo della biblioteca occupato da scaffali colmi di
vecchi tomi cui nessuno si era mai interessato.
–Credo che qualcuno ci stia spiando-, bisbigliò nervosamen-
te, -è più una sensazione, ma credo di non sbagliarmi, qual-
cuno ci segue, sono in diversi, è chiaro, in modo che passino
inosservati, ma me ne sono accorto lo stesso-.
-Se fosse vero: perché farci spiare?- domandai.
-Per controllarci?- ipotizzò Abdul.
111
-Non il Custode, lui vede tutto e conosce tutto, non ne a-
vrebbe bisogno-.
-Questo se il Custode fosse una divinità, ma non lo è, proba-
bilmente è questo il suo modo di controllare il gioco-. conti-
nuò il turco.
-Credo anch’io che si tratti di altri giocatori che per determi-
nati motivi ci spiano e di pedinano-,ribatté Tindiana, -e fin-
ché non ne conosciamo il motivo è bene stare all’erta, è più
facile che siano nemici che amici-.
-Diavolo-, commentò Randolph, -ora dovrò stare attento an-
che quando andrò al cesso-.
-Esatto-. gli risposi.
–Ma chi potrebbero essere?- domandò ancora Randolph.
-Non ne sappiamo ancora abbastanza di questa storia per sa-
perlo-, disse Tindiana, -forse dietro alle nostre indagini c’è
un segreto ben più grande di tre quadri ed un libro messi
all’indice. Non mi stupirei se ci fossero altri gruppi che ne
sono a conoscenza e che sono pronti a tutto pur di carpirci il
segreto-.
-Credi che agli effetti del gioco ci toccherà combattere real-
mente?- gli chiesi seriamente.
-Temo di sì, ci hanno dato delle armi proprio per questo-.
-Ehi-, intervenne Abdul, -ma non starete dicendo sul serio
spero. Ci sarà una qualche diavolo di regola che determina
lo svolgimento dei combattimenti-.
-Non di certo la morra cinese come ad Immaginaria-. rispo-
si.
–Dei ragazzi sono morti in circostanze misteriose-, aggiunse
Tindiana-, questo lo hai visto anche tu, dobbiamo stare at-
tenti, molto attenti. Forse tu credi di essere solo in uno stu-
pido gioco di ruolo ben congeniato, ma altri invece credo di
vivere una avventura reale-.
-Io torno a casa, per oggi ho finito le lezioni-, dissi, -se ci
fossero novità o problemi cerchiamo sui cellulari-.
112
-Ok-. risposero gli altri.
Ci salutammo, presi lo zaino ed uscii dall’università, stando
sempre attento a chiunque mi si avvicinava, anche solo per
camminare sul marciapiede o superarmi alla banchina della
stazione. Anche sul treno diretto a casa avevo la sensazione
che qualcuno mi osservasse, beh, se c’era qualcuno in cerca
di guai gli avrebbe trovati di certo; ad ogni modo arrivai alla
fermata di Borgo Sforza senza alcun problema e da lì
m’incamminai verso casa.

Tindy passò a chiamarmi dopo cena, il cielo era già buio e le


vie di Borgo Sforza erano illuminate dai numerosi lampioni,
decidemmo di raggiungere la Cascina a piedi, innanzitutto
per poterci avvicinare silenziosamente e poi perché avrem-
mo potuto avvistare qualcosa di interessante percorrendo il
lungo Naviglio.
–Preso tutto?- domandai al mio amico, lui annuì mostrando
lo zaino.
-Allora andiamo-.
Dopo poco ci trovammo ad attraversare la Borgo vecchia,
qui i lampioni erano più radi e le case più piccole e ravvici-
nate tra di loro, passammo anche davanti al vecchio Santua-
rio, e poco dopo, vicino al fiume, di fronte alla Taverna del
Porto, lì da decine e decine di anni, da quando ancora c’era
un discreto traffico commerciale lungo il Naviglio e Borgo
Sforza era una tappa forzata per molte barche.
Davanti alla bettola c’erano alcuni vecchi che ci guardarono
senza proferire parola, noi tirammo dritto e finalmente giun-
gemmo alla pista che costeggiava il torrente.
A differenza di alcuni paesi come Cernusco, Cassina o Gor-
gonzola, da noi il Naviglio attraversava una zona di campa-
gna lungo la quale ogni tanto incontravamo vecchie cascine
ancora abitate, c’era un gran silenzio lì attorno, interrotto
talvolta dal suono prodotto dall’acqua che batteva contro
113
alcuni massi o contro gli argini di pietra, sentivamo in lonta-
nanza l’eco dei rumori delle macchine che attraversavano la
strada provinciale, ma niente di più.
I lampioni posti lungo il percorso erano abbastanza radi ed
emanavano una fioca luce, quando non la emanavano per
niente, non c’era nessuno da quelle parti, quasi tutti sapeva-
no che aggirarsi lì attorno di sera non era consigliabile, e
dopo poco incominciai a domandarmi per quale diavolo di
motivo volevo vedere cosa accadeva in quella cascina disa-
bitata.
I contorni della cascina erano piuttosto informi, a causa del
buio che la circondava, ma si vedeva che era piuttosto gran-
de, un complesso di abitazioni, fienile, rimessa, pollaio, cor-
tile e cappella, un muro alto circa un metro e mezzo la cir-
condava là dove non c’era il muro portante di un edificio, in
alcune zone però il muretto era crollato, qualcuno lo aveva
sostituito con una rete metallica ormai arrugginita e consun-
ta, dalla quale si poteva intravedere il cortile trascurato e in
pieno stato di abbandono, con macerie, rottami ed erba alta
quasi un metro.
Per dare un’idea sul lato nord c’era un complesso di tre edi-
fici adiacenti, alti almeno una decina di metri: da ovest si
partiva con un’abitazione di due piani, da dove si notava una
vecchia porta di legno ormai a pezzi, e delle finestre dai ve-
tri rotti o dalle persiane sganciate; si vedevano poi tre archi
alti fino al tetto, passando sotto ai quali si accedeva ad un
porticato posto di fronte al fienile; accanto ad esso c’era
un’ulteriore abitazione, sul cui tetto primeggiava un vecchio
e piccolo campanile, che serviva più ad avvisare dell’ora del
rancio che di un’eventuale funzione eucaristica, per quella
c’era appunta la cappella, posta al di fuori della cinta mura-
ria.
Sul lato ovest c’era solo il muro ed il cortile principale, men-
tre ad est c’era l’entrata ed un vecchio pollaio; mentre a sud
114
c’era ancora un edificio in rovina dal tetto crollato. Attraver-
sammo il fiume attraverso un ponticello per raggiungere la
sponda nord del fiume, lungo la quale era stata costruita la
cascina.
-Dici che c’è qualcuno?- mi domandò un po’ insicuro il mio
amico.
–In teoria dovrebbe essere disabitata, da almeno una decina
d’anni, ma conosci anche tu le dicerie sulla Cascina Forca-.
-Chissà poi perché si chiama così-.
-Beh, per quel che ne so è stata costruita sul luogo dove met-
tevano al patibolo i condannati a morte nell’ottocento, ma
qui entriamo nella leggenda-.
-E io che te lo chiedo pure-.
Il grande cascinale metteva una certa inquietudine già di
giorno, figurarsi al buio, e con il vento che scuoteva le fron-
de creando quel caratteristico suono che si sente sempre nei
thriller e nei film horror.
Passando davanti al lato sud lanciammo un’occhiata al corti-
le, la torcia elettrica però non lo illuminava più di tanto e
comunque non si vedevano altro che erba alta e macerie va-
rie. Passammo anche il muretto e poi il muro portante
dell’edificio sud, fino ad arrivare ad una sorta di fossa con
tetto montato sopra, ad un’altezza non superiore ai due me-
tri, una volta qui c’era un condotto che lo collegava al vicino
fiume e l’acqua passava fino a riempire la fossa e veniva u-
sata per lavare i panni, o almeno credo.
Prima di entrare demmo un’occhiata alla cappella sconsacra-
ta, ma passando di fronte all’entrata della cascina, diedi uno
sguardo dentro, al cortile immerso nella tenebra, e a quelle
finestre, le porte, gli archi, da dove sentivo provenire un or-
rore ancestrale, che mi fece rabbrividire, e il terrore iniziò a
percorrere tutto il mio corpo, in quel momento volli scappa-
re.
La cappella era a pianta ottagonale con un apotema di circa
115
due metri, forse meno, interamente in mattoni, sul tetto a
spiovente di tegole consunte spuntava una croce in metallo,
piccola ed arrugginita, inclinata verso il basso, in procinto di
cadere a terra alla prossima intemperie.
La porta era in ferro battuto, sbarrata con una spranga ed un
vecchio catenaccio arrugginiti, impossibile quindi entrarvi,
c’era la finestrella alla quale mi ero già affacciato una volta,
mi arrampicai ancora una volta, e con la torcia illuminai
l’interno, ma senza vedervi nulla di particolare, ero in uno
stato totale di abbandono.
-Qui non c’è niente-, dissi raggiungendo Tindiana, -
andiamo?-
-Sei sicuro di voler entrare?- mi chiese indicando la cascina
derelitta immersa nella tenebra.
-No, per niente, anzi me la sto facendo sotto, ma il mistero e
l’occulto mi attraggono e mi affascinano, è più forte di me, e
comunque ho questa pronta all’uso-. tirai fuori la mia pisto-
la, e dopo essermi assicurato che fosse carica procedemmo.
Entrambi avevamo una paura del diavolo, ma varcammo
comunque la soglia di quel luogo maledetto, che emanava
malvagità da ogni dove.
–Ehi, guarda qui-. dissi al mio amico illuminando con la tor-
cia il terreno, -L’erba è stata calpestata, qualcuno è passato
qui di recente, diavolo!-
-Sì, ma può benissimo essere stato diverso tempo fa. Va a-
vanti, ma fa attenzione-.
Annuii, le gambe erano diventate pesanti come il marmo, e
sudavo freddo, la presenza del mio amico e l’arma in pugno
di davano un certo sollievo, ma teneva a bada la paura con
una certa difficoltà.
Ci avvicinammo alla porta del primo edificio sul lato nord,
dove conduceva la scia di erba battuta, la porta di legno era
ormai marcita, tutti i cardini, tranne quello più in basso, si
erano staccati, e la porta pendeva anormalmente, spalancata.
116
Entrai dentro accertandomi prima di non sentire alcun rumo-
re che non fosse il respiro affannato del mio amico o quello
delle foglie scosse dal vento, poi illuminai il pavimento, la
polvere lo copriva interamente, per cui era impossibile che
qualcuno fosse entrato lì dentro nelle ultime ore, se non
giorni. Nell’ingresso c’era una scala che conduceva al piano
superiore e un varco a nord che portava in una stanza.
Proseguimmo oltre l’apertura a nord e ci trovammo in
un’ampia stanza dove c’erano dei tavoli e delle sedie divelte
e marcite, l’intonaco delle pareti stava cadendo ed una e-
norme chiazza di umido sul soffitto indicava che il tetto so-
pra era sfondato e la pioggia entrava nella casa; in quel mo-
mento pensai anche al fatto che con ogni probabilità la casa
era pure pericolante e piena di topi.
–Qui non c’è niente-, dissi al mio amico, -solo polvere e de-
triti-. facemmo marcia indietro e tornammo all’ingresso, de-
cidemmo di non salire vista la precarietà dei pavimenti e
delle scale e poi, sicuramente, non avremmo trovato nulla di
interessante.
Tornammo fuori nel cortile, l’edificio sud ora ci guardava
con quelle finestre senza imposte né vetri, sembrava sogghi-
gnare con quella porta diroccata e semiaperta che si ritrova-
va; distolsi lo sguardo, l’immaginazione avrebbe potuto gio-
carmi brutti scherzi se avessi continuato ad osservarla, avrei
potuto vedere cose che non esistono veramente.
Tindiana mi diede una pacca sulla spalla per destarmi: -
Proseguiamo?- Annuii.
Facendoci strada nell’erba alta entrammo nel portico, largo
due metri e lungo almeno dodici, puntai la torcia sul soffitto,
le travi di legno erano anch’esse marcite e spezzate, e le
numerose tegole rotte sul pavimento testimoniavano che il
tetto era ormai in procinto di cadere.
Ci trovammo così di fronte ad un enorme e massiccio porto-
ne di legno rinforzato, alto sei metri e largo quattro,
117
quell’imponenza e quelle dimensioni ciclopiche mi spaven-
tarono oltremodo, il pensare che dietro a quel portone c’era
qualcosa di così enorme, immerso nel buio, fosse anche un
macchinario, mi inquietava parecchio e pregai Tindy di non
entrare lì dentro.
–E’ solo un fienile-, disse lui, -ci sarà forse della paglia e
magari un trattore in pessime condizioni… certo e parecchi
topi-.
-E allora che serve entrare?-
-E se fosse qui dentro che si riuniscono?-
-No, non credo, guarda le incrostazioni sui catenacci e sui
cardini, questo portone è chiuso da decenni, e credimi, io lo
lascerei chiuso ancora per un bel po’-.
-Come vuoi-.
Ci avvicinammo così al terzo edificio, quella che sembrava
l’abitazione più grande del complesso cascinale, ci accor-
gemmo che anche in prossimità di quella casa c’erano segni
del passaggio recente di qualcuno.
La porta di legno era integra e pure chiusa.
Abbassai lentamente la maniglia mente il cuore mi batteva
sempre più forte, con un sinistro cigolio si aprì verso
l’interno, eravamo in una specie di anticamera/soggiorno,
c’erano ancora i resti di qualche mobile e credenza, ma era-
no tutti logori e sfondati, due porte scardinate erano posizio-
nate una sul lato destro e una sul sinistro.
Una rapida occhiata evidenziò che la porta sulla destra dava
sulle scale che portavano al primo piano, dove c’erano pro-
babilmente le stanze da letto, entrammo così nella porta di
sinistra, accedendo ad un secondo soggiorno in fondo al
quale c’erano i resti di un lavandino e di una stufa, c’era un
odore particolare in quella stanza, molto acre e forte, che per
poco non mi fece vomitare: -Diavolo, che schifo c’è qui
dentro?- disse portandomi una mano sul naso e la bocca.
–Forse qualche gatto morto-. rispose Tindiana anche lui con
118
un fazzoletto alla bocca.
–No, sembra più… pesce andato a male. Andiamocene-.
Stavo per uscire dalla stanza quando qualcosa attirò la mia
attenzione, illuminai meglio il pavimento:
-Non ti sembra strano?-
-Cosa?- mi chiese Tindiana.
-Qui dentro è tutto distrutto, marcito o rovinato-.
-Chiaro-.
-E allora che ci fa qui un tappeto come quello?- feci indi-
cando un tappeto di due metri per uno e mezzo.
Mi avvicinai e lo guardai meglio: -Avrà si e no cinque anni
questo tappeto-, constatò il Tindy, -non è nemmeno sfilac-
ciato, è solo pieno di polvere-.
-Sai cosa penso?-
-Credo di sì-.
Alzai il tappeto e scoprimmo una botola.
–E allora!- esclamai sottovoce. –Altri punti esperienza per il
detective!-
–Sei sicuro di volerla aprire?-
-Non sarà certo il Vaso di Pandora-.
-Ricordati che questa è un’avventura del Richiamo di Cthul-
hu-.
-Certo che me lo ricordo, ma ora aiutami, questo affare pesa
un quintale-.
Alzammo la botola con quattro mani e poi l’appoggiamo lì
in terra, la puzza nauseabonda di pesce era più forte la sotto.
Illuminai il condotto: -Più che una camera nascosta sembra
un vecchio pozzo-. dissi illuminando le pareti di pietra del
condotto che scendeva di almeno quattro metri.
–Può darsi che il pozzo risalga a prima della costruzione del-
la cascina, e poi lo hanno tenuto per attingere l’acqua del
Naviglio da qua-.
-Conviene scendere-.
-Io la dentro non scendo. Sto per vomitare-.
119
-Anch’io, ma non ci possiamo fermare proprio ora-.
Non sapevo esattamente quel che facevo, ma una cosa era
certa, stavo per cacciarmi in qualche guaio, eppure, nono-
stante la paura e la puzza terribile non avevo la minima in-
tenzione di tornare indietro.
Assicuratomi che non ci fosse nessuno atterrai di sotto e la
vista di quanto vidi mi paralizzò completamente.
C’era una specie di spiaggia fangosa là sotto, in fondo alla
quale, a sud, un acquitrino la collegava probabilmente al
fiume, delle colonne di terra e pietra sostenevano il soffitto
di pietra, vidi poi che in alcune direzioni partivano dei tun-
nel, delle gallerie tentacolari che passavano sotto la città.
Ma non fu questo a spaventarmi più di tanto, bensì quello
che trovammo là sotto.
Tindiana scese dietro di me e anche lui rimase a bocca aper-
ta a quella visione.
In quello che sembrava il punto centrale di quel luogo bla-
sfemo c’era una specie di obelisco, un monolite di una stra-
na pietra bianca, forse un’arenaria, sulla superficie della pie-
tra c’erano alcune rozze iscrizioni e delle rozze figure scol-
pite, geroglifici incomprensibili, ciononostante alcune im-
magini erano piuttosto chiare, benché non capissi il loro si-
gnificato: c’erano forme confuse di animali marini, pesci,
molluschi, crostacei, bivalvi, polpi, calamari e cetacei, ma
anche strani essere pisciformi, che ricordavano il dio greco
Tritone, ritratti mentre nuotavano negli abissi del mare o
mentre rendevano omaggio a qualche altare o statua som-
mersa nelle acque, ciò che più risultava incomprensibile era
che queste creature venivano anche raffigurate in lotta con
delle balene o delle orche poco più grandi loro.
–Sembrerebbero Abitatori del Profondo-. disse Tindiana
studiando i bassorilievi.
-Cosa?!- esclamai a bassa voce.
-Vuoi dire che qua c’è qualcuno che adora quei pesciazzi
120
della malora?-
-Non ne sono certo, ma probabilmente è una setta del tutto
simile all’Ordine Esoterico di Dagon17. Però non credo che
celebrino ancora dei riti, in giro è tutto spoglio, c’è solo que-
sto monolite; forse il culto risale ad alcuni anni fa-.
-Meno male, l’ultima cosa che ora vorrei è incontrarmi con
una banda di pazzi furiosi che adorano delle divinità ance-
strali-.
Puntai la torcia verso uno dei tunnel: -Dove credi che con-
duca?-
-Non lo so, forse li avevano scavati durante la seconda guer-
ra mondiale per sfuggire ai tedeschi o ai fascisti, o magari
anche prima, quando c’erano gli spagnoli-.
-Oppure per dei traffici tipo il contrabbando-.
-Può essere, ma non credo lo sapremo mai-.
L’occhio poi mi cadde in terra, c’era un foglietto di carta
consunto e bruciacchiato, lo presi in mano, era scritto a pen-
na, era quasi tutto bruciato, ma si leggeva ancora qualche
parola: “…trov…n…sed…ani…via Lagrange…” ed il resto
mancava.
Vi anche in un angolo vicino all’imboccatura del tunnel, do-
ve la puzza di pesce era sempre più forte, che c’era una spe-
cie di fossa: -Ehi, sembra che la puzza arrivi da qua, che
schifo-. Tappandomi naso e bocca mi avvicinai e puntai la
torcia verso quel buco e ciò che vidi mi riempì d’orrore, non
tanto per quello che trovai, ma per la conseguente deduzione
logica che mi attraversò la mente.
–Dannazione, andiamocene subito-, esclami al mio amico, -
forse siamo ancora in tempo-.
-Cosa?- Tindiana si spaventò nel vedermi così agitato ed in
quel momento sentii un lontano gorgoglio provenire
dall’acquitrino.
–Oh diavolo, muoviti! Ci sono dei pesci in quella fossa!
Questo posto è una tana, lo capisci?! Una tana!-
121
Tindiana corse verso il condotto verticale del pozzo, mentre
sentivo qualcosa ergersi dall’acqua, ero terrorizzato, stringe-
vo in una mano la torcia e nell’altra la pistola, Tindiana sta-
va salendo la scala di ferro, e mi incitava a muovermi, ma io
ero lì sotto, paralizzato, e vidi nell’ombra quella cosa vaga-
mente umana, aveva mani e piedi palmati, labbra orribil-
mente rigonfie e flaccide, gli occhi vitrei e sporgenti, una
enorme pinna dorsale più altre orribili caratteristiche che
non riesco più a ricordare, nel momento in cui spalancò la
sua orrenda e deforme bocca per emettere un verso disuma-
no sparai istintivamente un colpo di pistola, e poi un altro,
sentii la creatura cadere in acqua, non so se per scappare o
perché l’avessi colpita, ad ogni modo misi via l’arma e mi
arrampicai su per il pozzo, e poi corsi a perdifiato assieme al
mio amico fuori dalla casa e dal cortile, attraversammo il
pontile, e continuammo a correre fino a raggiungere Borgo
Vecchia, e lì ci fondammo nella taverna senza pensarci un
secondo.
I pochi presenti ci guardarono di traverso, qualcuno rise,
qualcun altro bofonchiò qualcosa, altri non si voltarono nep-
pure.
–Che vi è successo, ragazzi?- ci domandò la padrona da die-
tro il bancone, -Siete bianchi come cenci-.
Lentamente, riprendendo fiato, ci avvicinammo al bancone e
ci sedemmo.
–Siamo stati alla Forca-. le risposi ansimando.
–E siete scesi giù per il pozzo…- continuò un vecchio dietro
di noi.
Noi ci girammo, annuii: -Sì, siamo scesi giù-.
-A me dissero che ero pazzo quando vi andai quarant’anni
fa, la Forca non era ancora abbandonata, ma chi ci abitava
non era gente comune, avevano acquistato la cascina dopo la
guerra, nessuno sapeva da dove venissero, ma in molti rite-
nevano che portassero disgrazia.
122
Dopo il loro arrivo incominciarono ad accadere strane ed
inquietanti cose a Borgo Sforza, molti di noi erano qua in
quel periodo-, disse indicando gli altri vecchi della taverna, -
e lo sanno bene quanto me che quelle persone, quei ragazzi-
ni e quelle bambine che scomparvero non erano né scappate
di casa né cadute disgraziatamente nel fiume, bensì che era-
no state portate via.
Sotto la Forca si riuniva una misteriosa setta che adorava
non so quale divinità marina, e in determinati periodi
dell’anno sacrificavano giovani vite durante dei riti blasfe-
mi-.
-Hai bevuto troppo stasera, vecchio-. lo derise una uomo se-
duto ad un tavolo, ma il vecchio si alzò in piedi riprendendo-
lo:
-Taci tu! Che ne sai? Non eri nemmeno nato! Io lo so per
certo perché ci sono stato, quando fu mia sorella minore a
scomparire! Ricordo che organizzammo una squadra di ri-
cerca con parenti ed amici, lo cercammo dappertutto ma
senza alcun successo, poi qualcuno ci disse che aveva visto
dei movimenti sospetti alla Forca, uno strano via vai di per-
sone mai viste prima, e un gruppo di queste portava con sé
un sacco dove qualcosa dentro si muoveva disperatamente, e
il sacco era abbastanza grande per tener una ragazzina di 10
anni. Ci recammo così alla Cascina Forca, e sfondammo la
porta, non c’era nessuno in casa, da nessuna parte, quelle
persone erano come scomparse. Ma il cielo volle che in-
ciampai nell’anello di una botola nascosta, la aprimmo e
trovammo l’imboccatura del pozzo, in fondo al quale prove-
nivano luci, rumori, voci, e altri ancora.
Quando scendemmo giù trovammo una dozzina di individui,
qualcuno era bardato con degli strani paramenti scuri, altri
sorreggevano fiaccole, un tizio incappucciato recitava delle
strane cantilene irripetibili, mentre mia sorella era stata lega-
to sulla riva di quell’acquitrino, da dove, in quel momento,
123
emersero degli strani esseri metà uomini e metà pesci.
Dio abbia pietà per lo scempio che combinammo: mio pa-
dre, mio zio, i miei cugini, io stesso, uccidemmo quella gen-
te con i forconi e le zappe, con i coltelli e i fucili; ho ancora
nei miei occhi l’immagine di mia sorella che veniva abbran-
cato da una di quelle creature e veniva portato sott’acqua,
senza che noi potessimo fare niente per lui. Ed è tutto vero,
dannazione! E voi lo sapete! William! Tu c’eri, non puoi es-
sertene dimenticato!- un uomo, sul fondo della sala, gli ri-
spose: -Io ricordo solo una grande confusione, tuo padre ed
il mio che sparavano e quei tizi, e che qualcosa prese mia
cugina e la trascinò in acqua, ma niente di più. Ad ogni mo-
do, abbiamo già tutti pagato abbastanza per quello che ac-
cadde quella notte-.
Conoscevo il vecchio di nome, le dicerie a Borgo Vecchia
sulla sua famiglia sono molte, avevo già sentito quella sto-
ria, anche se non in modo così preciso, e sapevo anche tutti i
partecipanti a quell’eccidio in seguito furono oggetti di ter-
ribili sventure: il vecchio perse la moglie la notte stessa del
matrimonio per un ictus, il cugino William ebbe due figli
disabili che non arrivarono ai vent’anni, i loro padri perirono
uno travolto dalla propria mietitrebbia in maniera inspiega-
bile, e l’altro una decina di anni dopo in maniera misteriosa
prendendo delle medicine sbagliate che non doveva nemme-
no avere in casa.
Questo non fece che aumentare la fama di casa maledetta di
Cascina Forca, ma sono storie che si raccontano per spaven-
tare i ragazzini, che poi divenuti grandi non ci fanno più ca-
so, ma la storia era vera, eccome se lo era.
Dopo il racconto del vecchio tutti tornarono alle loro fac-
cende, chi a bere una birra in compagnia, chi a giocare al
biliardo, chi ancora tornò a casa, noi fummo tra questi.
A casa andai subito a farmi una doccia, avevo i vestiti che
puzzavano di quell’odore tremendo di pesce, tanto che mia
124
madre mi chiese fossi caduto nel Naviglio; quella notte non
chiusi occhio.
Fu il mattino seguente che sentii al Gazzettino Padano una
notizia davvero interessante: quella mattina gli operatori del-
le chiuse del fiume Adda a Vaprio d’Adda avevano trovato
la carcassa di uno strano animale mai visto prima nel punto
in cui il Naviglio s’immette nel fiume. Sembrava un enorme
pesce antropomorfo, dotato di pseudoarti, benché squamosi
e palmati; l’animale era stato prelevato dai NAS di Milano e
portato via, ma con ogni probabilità si trattava di un tipo di
pesce geneticamente modificato da qualche laboratorio in-
dustriale finito per sbaglio nel canale della Martesana.
Il fatto di aver ucciso quella creatura mi sollevò un po’, ciò
non esclude però che ci possano essere altri Abitatori del
Profondo nei canali di Milano, avevo in mano
quell’indirizzo, via Lagrange, era il caso di andare a vedere,
di giorno stavolta.
Quando ci trovammo nuovamente in università presi da par-
te i miei amici, ci sedemmo ad uno dei tavoli in un’aula stu-
dio e raccontai a Randolph e Abdul della sera prima, loro un
po’ se la presero perché eravamo andati alla cascina senza
dir loro nulla, ma io ribattei che vi eravamo andati solo per
fare un giro, niente di più.
Ad ogni modo la nostra scoperta aveva dell’incredibile, an-
che se Abdul non credeva che avessi un Abitatore del Pro-
fondo, ma più un grosso pesce geneticamente modificato,
come era stato detto alla Radio.
–Non credo sia più il caso di parlare di queste cose qui in
università-, disse poi Randolph, -ora sono certo di essere se-
guito e spiato, con ogni probabilità sono addirittura miei
compagni di corso-.
-Ne sei sicuro?-
-Sì, temo di sì. Da un po’ di tempo si comportano in modo
strano e mi fanno domande altrettanto strane. Questa storia
125
incomincia a starmi sui nervi-.
-L’importante è mantenere la calma-, intervenne Tindiana, -
forse possono vederci ma di certo non possono sentirci, per
cui, sangue freddo e niente boiate-.
-Ho trovato una cosa ieri sera, sotto la Forca-, dissi tirando
fuori il biglietto bruciacchiato, -c’è su un indirizzo: via La-
grange-.
-E dove sta?- domandò Randolph.
-Guarda caso è perpendicolare all’alzaia del Naviglio Pave-
se-.
-Credi che l’Ordine di Dagon si ritrovi lì da quelle parti o-
ra?-
-Non lo so, ma vorrei andare a controllare, se ci fosse un
gruppo dell’Ordine Esoterico di Dagon qui a Milano a me
interesserebbe. E poi potrebbe essere legato in qualche mo-
do alle nostre ricerche, è sempre qualcosa che ha a che fare
con i Miti di Lovecraft mi pare-.
-Sì, lo so, ma se andiamo a ficcarci nella storia di qualcun
altro credo che il Custode ne possa avere a male-.
-Se così fosse ci avrebbe impedito di scoprire il sotterraneo
della Cascina-.
-Non lo so, io dico che rischiamo troppo-.
-Io vado, se qualcuno vuole venire è il ben venuto-.
-Io vengo-. disse Tindiana.
–Io pure-. replicò Randolph.
–Ragazzi, io ho un esame tra poco-, bofonchiò Abdul, -
questo gioco per me è durato pure troppo-.
-Non ti preoccupare, tu rimani qui, ci sentiamo per stasera-.
poi mi rivolsi agli altri: -Ci vediamo a pranzo-. mi alzai e mi
diressi verso la mia aula di lezione.
Mentre ascoltavo la lezione sentii dopo poco tuonare e poi
vidi la pioggia battere sulle finestre, il tempo si stava gua-
stando, e non avevo nemmeno l’ombrello, per fortuna quan-
do uscimmo dall’università, dopo le 13, non pioveva più, ma
126
il cielo era ancora annuvolato e il vento soffiava piuttosto
forte: -Sicuro di voler andare?- mi chiese Randolph.
-Perché no? Ogni giorno è buono per morire-.
-Diavolo, perché sto a seguirti?-
-Non lo so, dimmelo tu-. risi, mentre con le mani nelle ta-
sche ci incamminammo verso la fermata di Missori, dietro
Pz. Duomo.
La metropolitana era il solito caos, non come la mattina o la
sera dopo le 17, ma c’era comunque un gran numero di ra-
gazzi che tornavano a casa da scuola.
Dopo poche fermate di metropolitana arrivammo nei pressi
dell’alzaia del Naviglio Grande, a Porta Genova, salimmo su
in superficie, l’acqua del Naviglio era piuttosto torbida quel
giorno, e si potevano vedere le piccole onde circolari che
alcune gocce, cadendo, formavano nell’acqua. I pochi alberi
della zona erano piegati dal vento e l’aria aveva quel caratte-
ristico sapore che si sente solo dopo un acquazzone prima-
verile come era appena accaduto.
Ci incamminammo verso via Lagrange, distante circa sei-
cento metri da dove ci trovavamo, costeggiammo il Naviglio
Pavese e i numerosi locali notturni ancora chiusi e arrivam-
mo alla nostra strada, un’anonima via con pochi negozi ed
un bar che apriva la sera, per il resto erano abitazioni, palaz-
zi alti fino a 6 piani.
-Ed ora?- mi domandò Randolph.
-Non lo so, il numero civico era stato bruciato, cerchiamo
una casa o un edificio lugubre, non credo che l’Ordine si ri-
trovi in una casa di lusso da 6 milioni d’affitto al mese.
–Tipo questa?- urlò Tindiana che era già andato a avanti di
una ventina di metri, al numero civico 4, anche se si leggeva
a malapena.
–Sì, tipo questa-. risposi dopo averlo raggiunto.
Ci trovavamo di fronte ad una vecchia casa degli anni trenta,
schiacciata tra due palazzi del secondo dopo guerra, aveva
127
una cancellata nera e un piccolo giardino trascurato davanti
alla facciata principale, era alta due piani più una soffitta na-
scosta dal tetto a spiovente irto di guglie; dall’aspetto sem-
brava abbandonata da diverso tempo.
–Non vorrai entrare?- fece Randolph.
-Perché, tu che sei venuto a fare?-
-Ma sei fuori? E se fosse semplicemente la casa di qualcu-
no?-
-Ma chi diavolo vuoi che viva in questa catapecchia? Persi-
no Pickman16 aveva gusti migliori-.
-Se entriamo e ci beccano ci potrebbero accusare di viola-
zione di domicilio, lo sai?-
Stavo guardando quale fosse il modo migliore per entrare
senza farsi del male, poi mi accorsi che il cancello era solo
accostato e lo aprii: -Anche se la porta è aperta?- risposi sor-
ridendo al mio amico.
–Senti-, gli dissi, -in questa avventura il detective sono io,
mentre tu sei il professore, a me l’azione a te il genio, per
cui non ti biasimo se non volessi entrare. Anzi, forse ci serve
proprio uno che ci faccia da palo, ti va?-
Randolph, visibilmente rasserenato annuì: -Ok, se ci sono
guai in vista ti faccio uno squillo sul cellulare-.
-D’accordo, lo imposto sul vibro, non si sa mai che suoni nel
momento meno opportuno-. poi guardai Tindiana: -Tu che
fai?-
-Aspetto che ti muova-. sorrisi al mio amico.
-Entriamo. Non c’è nessuno in giro-. con uno scatto felino
attraversai il giardino disadorno, in quel momento assaporai
quella magica sensazione mista di paura ed eccitazione, che
solo in quelle situazioni si potevano provare, sulla soglia di
una vecchia casa tetra e abbandonata, dove probabilmente
una setta compie riti sacrileghi in onore di una divinità ance-
strale; il presentimento del pericolo e del terrore scuotevano
tutto il mio corpo, ma l’euforia di un’avventura irreale mi
128
spingeva temerariamente dentro quel luogo che sprigionava
un’intesa aurea malvagia e diabolica che proveniva
dall’abisso della Terra.
C’era un piccolo portico davanti all’entrata della casa, ci
fermammo un attimo lì, accovacciati dietro una vecchia
panchina di legno sfondata, la porta era chiusa a chiave, se-
gno ambiguo, feci il giro e trovai su un lato una finestra a-
perta al pian terreno.
Vi ficcai dentro la testa con la torcia elettrica, la via era libe-
ra, velocemente entrai dentro quella stanza vuota e Tindiana
mi fu subito dietro.
Chiusi quelle che una volta erano delle tende per evitare che
qualcuno dal palazzo affianco potesse vederci e poi ci guar-
dammo attorno.
La stanza era piuttosto spoglia, doveva essere una camera da
letto, c’erano i resti di un cuscino, delle lenzuola ed un vec-
chio materasso, contro la parete c’era un vecchio mobile di
legno, vuoto e con i cassetti sfondati.
Sul soffitto però pendeva un cavo elettrico con una lampadi-
na attaccata, vidi l’interruttore sulla parete e lo premetti: la
luce si accese.
–Sei stato tu?- mi domandò allarmato il mio amico.
-Sì, credo di sì-. premetti ancora alcune volte il tasto spe-
gnendo e riaccendendo la luce: -La casa è abbandonata da
chissà quanto però c’è la luce-.
-Forse un collegamento abusivo-. ipotizzò Tindiana.
-Ok, ma chi l’ha fatto e perché?-
-L’Ordine Esoterico?-
-O comunque qualcuno che usa ancora la casa-. aprii lenta-
mente la porta della stanza che dava sul corridoio, non si
sentiva alcun rumore, la via era libera, e proseguimmo.
–Cosa cerchiamo?- mi domandò Tindiana.
-Qualche passaggio segreto, una botola, o solo delle scale
che portano in cantina-.
129
-Ok-.
Cercammo un po’ ovunque ma senza grandi risultati, an-
dammo persino a dare un’occhiata al piano di sopra, ma
senza successo, c’era solo un grande quantità di povere,
sporcizia e detriti.
–Mi sa che ho preso una topica, stavolta-. pensai, stavo or-
mai per arrendermi quando, passando da una stanza nel cor-
ridoio mi accorsi che qualcosa non quadrava.
–Ehi, Tindy, vieni qua. Mettiti qui davanti allo stipite, vedi
niente?-
All’inizio il mio amico non trovò nulla di strano, poi, guar-
dando prima dentro la stanza e poi fuori:
-La stanza è più profonda di almeno un metro-.
-Esatto, questo vuol dire che dietro a quella parete c’è un
passaggio-.
Elettrizzati da quella scoperta ci avvicinammo alla parete,
era un pezzo di muro lungo un metro e mezzo, non di più,
adiacente a quello che una volta era il bagno.
Tastammo un po’ contro la parete senza successo, non
c’erano tasti ne leve, poi Tindy trovò qualcosa:
-Guarda, sembrerebbe il buco di una serratura-.
-Fa vedere-. puntai la luce della torcia verso quel buchetto
nella parete, cercai di guardarci bene dentro:
-Sì, è proprio una serratura, è vecchia, deve risalire ai tempi
di costruzione della casa, non dovrebbe essere difficile scas-
sinarla-.
-Ne sei capace?-
-Ora lo scopriremo-.
Presi dallo zaino il set del perfetto scassinatore: un astuccio
dell’ACI completo di brugole, cacciavite montabile con sei
punte differenti e altri aggeggi utili.
-Fammi luce-.
Tindy mi teneva entrambe le pile contro la serratura mentre
io provavo a scassinarla con un paio di arnesi, non fu facile,
130
ma dopo qualche minuto spaccai la serratura e la porta si a-
prì.
–Dovevi scassinarla, non romperla-.
-Perché non ci hai provato tu sapientone?- dietro la porta
c’era una scala a chiocciola che portava di sotto.
-Perché il detective sei tu, ricordi? A me il genio a te
l’azione-.
Col cuore che batteva all’impazzata mi calai giù nel buio,
confortato però dal fatto che non sentivano alcun rumore o
voce provenire da là sotto, benché ci fosse una fonte di luce.
Di sotto trovammo una palude del tutto simile a quella sotto
la Forca, un litorale fangoso ed un acquitrino collegato al
Naviglio, solo che stavolta c’erano dei bracieri di ferro bat-
tuto accesi, delle statue e dei bassorilievi sulle pareti, oggetti
ed artefatti magici, un’ara che recava ancora le tracce
dell’ultimo sacrificio.
Partivano anche da lì sotto due tunnel, illuminati da delle
torce ad olio.
Mentre Tindy stava studiando i bassorilievi io trovai
un’interessante libreria in legno piena di libri antichi e di
manoscritti, non sono un grande esperto dell’occulto, quello
era Randolph, ma i titoli che lessi erano a me noti, altri inve-
ce avevano nomi che non promettevano niente di buono, li-
bri di magia nera, trattati d’alchimia e volumi di evocazioni
demoniache, alcuni originali, altri traduzioni latine di diversi
secoli fa: Nachthymnen del conte d’Abigor; il De Profundis
Mors Vas Cousumet dell’alchimista Abruptum; Tara di Sir
Proscriptor McGovern; il Compendio dei segreti di Fiora-
vanti; L’acerba di Cecco d’Ascoli; e il De arte cabalistica di
Johannes Reuchlin.
Quei libri infernali emanavo da sé una terribile aura di mal-
vagità recondita, leggere solo una di quelle pagine avrebbe
sicuramente causato seri problemi mentali a chiunque, per
cui non li toccai nemmeno, convinto che stavano bene lì
131
dov’erano.
D’un tratto il mio cellulare vibrò facendomi prendere uno
spavento terribile: -Dannazione! E’ una chiamata di Ran-
dolph! Ci sono guai in vista-.
Salimmo di sopra alla svelta, Tindy, davanti a me, corse a
vedere ad una finestra e si abbassò di colpo:
-Merda! I caramba!-
-Oh, diavolo! Qualcuno deve averci visti o sentiti. Che fac-
ciamo?!-
-Se usciamo finiamo nei guai-.
-Dici di scendere?-
-Hai altre soluzioni? Forse il tunnel si congiunge con quello
sotto la cascina-.
-Ma sono 15 km da qui a casa!-
-Lo so, ma vuoi farti arrestare? Se avremo fortuna riuscire-
mo a trovare un altro accesso-.
Qualcuno abbassò la maniglia della porta d’ingresso: -Via!-
Tornai giù per la scala a chiocciola e il mio amico mi fu die-
tro, mentre sfondavano la porta di casa richiudemmo dietro
di noi quella del passaggio nascosto.
Ci fiondammo nel cunicolo sotterraneo incuranti di eventua-
li pericoli a cui saremmo potuti andare in contro, ma al mo-
mento la cosa che ci premeva di più era di evitare l’arresto e
di tornare a casa. Non ci soffermammo a guardare le pareti
del cunicolo, impegnati com’eravamo a correre, cionono-
stante notai che c’erano diversi pittogrammi dipinti, imma-
gini del tutto simili a quelle già viste sul monolite, rituali in
onore di Dagon, la stirpe degli Abitatori del Profondo, e così
via. Pensare che una simile congrega si riunisse qui a Mila-
no aveva dell’incredibile, questo significava che i culti in-
nominabili narrati da Lovecraft nei suoi racconti erano in
effetti una sconcertante realtà.
Continuammo a percorre quel cunicolo senza sosta per di-
verso tempo, finché, dopo circa venti minuti, trovammo
132
un’apertura sul soffitto, forse il condotto di un vecchio poz-
zo, dall’alto entrava della luce da delle inferiate.
La vista dell’uscita ci tranquillizzò, anche se il terrore che
qualcuno o qualcosa uscisse dal buio della galleria era sem-
pre costante.
Aiutai Tindy a salire che si arrampicò per la scaletta di me-
tallo, poi io lo seguii saltando e afferrando il primo piolo.
Per fortuna la grata che tappava il condotto era solo appog-
giata, Tindiana la levò e uscì fuori, io frettolosamente lo imi-
tai, tra lo stupore dei passanti sbucammo fuori da un mar-
ciapiede, la gente passava guardandoci e facendo strani
commenti.
Io risi, eravamo riusciti a scamparla anche quella volta, diedi
un bel “cinque” al mio amico e ci complimentammo a vi-
cenda; eravamo in viale Padova, vicini alla ciclabile del Na-
viglio della Martesana che proseguiva dentro la città, se-
guendo la ciclabile saremmo arrivati a casa in un’ora circa, e
così ci incamminammo ancora una volta lungo le acque di
quel fangoso fiume che ospitava razze di esseri anfibi che
nulla avevano di questo mondo.
Dopo un’estenuante camminata arrivammo a Borgo Sforza
che erano ormai le 17, il cielo era ancora grigio e minaccia-
va tempesta, avevamo provato diverse volte a chiamare
Randolph ma il suo cellulare risultava sempre staccato.
–Che facciamo?- mi domandò Tindiana sotto casa sua,
-Ci sentiamo fra un’ora, se Randolph non è ancora tornato a
casa allora penseremo a qualcosa, tu intento prova a sentire
il turco, forse lui sa qualcosa-.
-Ok, a dopo-.

Lasciai il mio amico e camminai da solo per le vie bagnate


del mio paese verso casa, ero molto preoccupato per Ran-
dolph, forse lo avevano preso, diavolo, quello sì che era un
bel pasticcio.
133
In giro c’era poca gente, stavo per raggiungere il cancello di
casa mia quando mi sentii improvvisamente osservato, tirai
fuori alla svelta le chiavi del portone d’ingresso del condo-
minio, ma tre tizi vestiti di nero e con gli occhiali scuri sbu-
carono fuori dall’ombra: -Paul Araya?-
-Non proprio-. tentennai a rispondere, ma questi mi saltaro-
no addosso, e mentre uno mi gettava in terra e mi ammanet-
tava, l’altro mi teneva la pistola puntata alla testa, in quel
momento pensai solo: -Ecco, ora tocca a me-.
-Alzati-, tuonò quello che mi aveva ammanettato, -devi ve-
nire con noi-.
Io cercai di dimenarmi e di fuggire in qualche maniera, ma
riuscii solo a farmi riempire di botte. Col casino che era suc-
cesso diversa gente si era affacciata alla finestra, tra cui mia
madre che si mise ad urlare disperata che mi lasciassero an-
dare, e poi corse giù.
Mentre mi stavano facendo salire su un furgone nero uno
degli uomini disse a mia madre che erano dei servizi segreti
e che dovevano farmi solo delle domande, le diedero un bi-
glietto con un numero a cui rivolgersi e poi salirono sul fur-
gone, feci in tempo solo a gridare a mia mamma di non pre-
occuparsi e che sarei tornato presto.
Chiuso il furgone mi infilarono una benda sugli occhi e mi
ammanettarono al sedile.
In quel momento avevo molta paura, era una situazione dalla
quale non potevo uscire facilmente, probabilmente mi ero
troppo spinto in là, e non sapevo nemmeno se dietro tutto
c’era sempre il Custode.
–Dove mi portate?- domandai a bassa voce.
–Non ti preoccupare-, mi rispose quello vicino a me, -fa
quello che ti diremo e ti spediremo a casa prima di sera-.
-Volesse il cielo-.
Dopo circa mezz’ora senza che nessuno proferisse parola, il
furgone si fermò, mi fecero scendere e mi accompagnarono
134
dentro qualche edificio, tenevo ancora la benda in testa per
cui non saprei dire altro.
Quando mi sbendarono mi trovavo in piedi in una stanza-
ufficio, dietro di me c’erano due uomini che mi avevano
portato via e davanti, seduto dietro la scrivania, c’era un
uomo sui cinquant’anni, che indossava una camicia bianca
sopra la quale si vedevano le bretelle nere, ed una cravatta
nera, rimasi a dir poco stupefatto perché quella persona era
identica in tutto e per tutto all’attore americano James Wo-
ods.
–Fatelo sedere e toglietegli le manette-. disse con autorità ed
con un forte accento americano, i due uomini procedettero
subito a togliermi le manette, mi massaggiai i polsi indolen-
ziti e mi sedetti alla sedia di fronte al capo, agitato e spaven-
tato.
–Signore, deve esserci uno sbaglio…- cercai di dire, ma lui
mi bloccò con un cenno della mano:
-Parlerai solo quando te lo dirò io-.
Annuii.
–Bene, mi spiace se i ragazzi sono stati un po’ bruschi nel
portarti via, ma abbiamo fretta e di conseguenza pensiamo
ed agiamo in fretta. Il mio nome è Theron Marks III e dirigo
la Theron Marks Society, l’organizzazione fondata da mio
nonno negli anni venti per combattere le manifestazioni
cthuloidi nel mondo e i vari cultisti che adorano i Grandi
Antichi-.
Conoscevo la TM Society, ma non credevo esistesse vera-
mente.
–Veniamo a noi ora… Paul Kevin Araya, detective Privato,
cosa ci facevi dentro la sede dell’Ordine Esoterico di Dagon
in via Lagrange?-
-Niente di male, ero solo entrato per vedere se effettivamen-
te c’era la sede della setta, tutto qua-.
-E tu come diavolo sapevi che quella era la sede
135
dell’Ordine? Noi ci abbiamo impiegato degli anni a scovar-
la-.
Raccontai brevemente della nostra avventura alla Cascina
Forca, dell’Abitatore del Profondo e del resto.
–Così è stato solo un caso-, commentò, -beh, la tua informa-
zione ci sarà utile, ora conosciamo un’altra ubicazione
dell’Ordine. Cambiando discorso, cosa sai tu di Sagesse
Triomphante?-
-Non molto, so che era una loggia massonica fondata dal
Conte di Cagliostro. Nient’altro-.
-Sicuro? Sappiamo che la loggia esiste ancora e che sta cer-
cando dei dipinti e dei libri appartenuti a Cagliostro, non
sappiamo esattamente per quale motivo, ma siamo convinti
che li stiano cercando per evocare qualche divinità cosmica
o, peggio ancora, aprire un passaggio tra i nostri mondi-.
Capii che la TMS non sapeva nulla dei quadri e del libro di
Thermogorothus, noi eravamo stati più bravi a quanto sem-
brava.
–Le tracce che abbiamo seguito da Boston ci hanno condotti
qui a Milano, se tu avessi delle informazioni per noi te ne
saremmo grati. Dopotutto i nemici dei tuoi nemici sono tuoi
amici, o no?-
Non ne ero molto convinto. -Mi lascerete andare?- doman-
dai.
-All’istante-.
-Ho la vostra parola d’onore?-
-Guarda che i buoni siamo noi-.
-Certo, come in quei film dove prima sparate e poi fate le
domande-.
-Quella è la CIA-.
-Beh, siete tutti uguali voi uomini in nero e ho letto abba-
stanza fumetti di Martin Mystère per non fidarmi-.
-Fumetti di chi?-
-Niente, non importa-.
136
-Allora, cosa ci sai dire?-
Ritenni utile informarli di alcune nostre scoperte ma non di
tutto quanto, dissi al signor Marks dei tre quadri, dove sta-
vano e cosa nascondevano, dei due libri ma non dove si tro-
vassero, celai anche il segreto della Confraternita del Sonno
e della loro terribile libreria, alla fine Marks parve piuttosto
soddisfatto.
–Il tuo aiuto ci è stato prezioso, detective, tieni questo-, mi
passò un biglietto da visita, -se dovessi avere altre informa-
zioni o semplicemente per un aiuto non esitare a chiamare-.
presi il biglietto e lo misi in tasca.
–Lo farò. Posso andare?-
-Certo-.
Mi alzai dalla sedia, ma prima di andarmene chiesi una cosa
al capo: -Posso sapere come diavolo avete fatto a trovarmi?-
-E’ stato facile, prima ancora che chiedessimo qualcosa il
tuo amico aveva già fatto il tuo nome e quello del tuo com-
pagno-.
-Vatti a fidare degli amici-.
-Accompagnatelo a casa, ma non dimenticatevi di bendarlo-.
ordinò Marks ai suoi uomini, così mi infilarono di nuovo la
benda sugli occhi e mi riportarono a casa.
Arrivai a casa poco dopo le 19, i miei era stati terribilmente
in pensiero, ma io li tranquillizzai dicendo loro che stavo
aiutando il governo per una questione di sicurezza nazionale
e che non avevo combinato nulla di male.
Dopo cena chiamai Tindiana, anche lui era stato preso dalla
TM Society, ma non gli avevano chiesto nulla perché la mia
deposizione era stata sufficiente, Randolph invece si giusti-
ficò dicendo che aveva preso parecchia paura e che non ave-
va potuto fare altro che dire i nostri nomi, mentre il turco si
fece una grassa risata alle nostre spalle.
Ci trovammo poco dopo al giardino davanti al santuario, era
ormai buio e non c’era quasi nessuno per i viottoli del vec-
137
chio quartiere.
–Dobbiamo decidere cosa fare, -dissi agli altri, -gli ultimi
avvenimenti ci hanno un po’ travolti, per cui è lecito pensare
che qualcuno non se la senta di continuare, d’altra parte le
scoperte che abbiamo fatto hanno aperto le porte di interes-
santi e misteriose scoperte, ed io proprio non me la sento di
abbandonare tutto ora, dopo tutta la fatica che abbiamo fat-
to-.
-Senza contare che il Custode potrebbe non essere
d’accordo-. aggiunse Tindy, ma Abdul replicò subito: -Devi
finirla con queste minchiate del Custode, è tutta una messin-
scena ben congeniata, nient’altro, continui a comportarti
come se fosse tutto vero-.
-Ma lo è-.
-Basta voi due-, intervenne Randolph, -ha ragione lui, dob-
biamo deciderci, credetemi vorrei abbandonare anch’io
l’avventura, ma è più forte di me, non mi sono mai arreso e
non inizierò adesso, vorrei perlomeno scoprire cosa c’è sotto
S.Ambrogio-.
-Siete tutti pazzi-. insistette Abdul.
–Noi andiamo avanti, e tu che fai?- gli chiese Tindiana.
Abdul sbuffò: -Beh, se continuate tutti continuo anch’io, ov-
vio-.
-Bene-, conclusi, -allora è deciso, si continua-.
-Ho sentito prima le due Silvie, hanno detto che vanno al
Warlock e che se vogliamo possiamo raggiungerle. D’altra
parte è sabato sera-. queste fantomatiche Silvie sono due no-
stre amiche, un po’ particolari visto che una si concia come
una vampira ed è cintura nera di Tae Kon Do, mentre l’altra
era vice-campionessa nazionale di braccio di ferro, e pure lei
andava in giro sempre vestita di nero e con svariati pentacoli
attorno al collo.
–Ok, io però mi porto dietro l’aglio-. commentò il Tindy.
Prendemmo così la macchina e ci dirigemmo a Milano verso
138
i Navigli, convinti di passare una tranquilla serata in compa-
gnia.

Il Warlock è un locale dei tanti disseminati lungo la Ripa di


Porta Ticinise, è un locale prettamente heavy metal dalla
musica che si sente tutte le sere, e per questo frequentato
dalle nostre amiche e pure da noi ogni tanto, benché i dise-
gni sulle pareti ricordino più un locale di fricchettoni anni
60’, sospettiamo che in passato fosse una casa di tolleranza,
ma tant’è…
Dopo il consueto giro per negozi e bancarelle di fumetti, li-
bri e cd usati, raggiungemmo le nostre due amiche alla sud-
detta birreria.
C’era però qualcosa di strano nel loro atteggiamento, soprat-
tutto nella Silvia “cintura nera” (più comunemente denomi-
nata Silvietta, perché fisicamente è la metà dell’altra, anche
se io la chiamavo Gianna e facevo prima), che insisteva che
la chiamassimo Lilith, che, oltre ad essere il nome di una
demonessa, era lo pseudonimo con cui era conosciuta
nell’ambiente dei metallari suoi amici.
Altra cosa ne vennero fuori con la proposta di portarci in un
posto lì vicino dove c’erano una festa di loro amiche, a detta
loro molto carine e soprattutto disponibili, cosa che di solito
eccita decisamente dei ragazzi della nostra età, benché tro-
vassi la cosa decisamente strana.
–Non sarà una festa di vampire, spero?- dissi alla Silvietta,
lei mi fulminò con uno sguardo:
-E anche se fosse? Ti crea problemi?-
-Beh, dovrei andare a prendere il paletto in macchina-.
-Stupido-.
-Non preoccuparti-, s’intromise Tindy, -ho dietro il set ta-
scabile del piccolo ammazzavampiri-.
-Meno male che ci sei tu-.
-E dove sarebbe questo posto?-
139
-Proprio qua dietro-, ci indicò l’altra Silvia, -una nostra ami-
ca ha affittato una casa-.
I miei amici erano piuttosto eccitati all’idea di partecipare ad
una simile festa, confesso che io non ero da meno, però
qualcosa mi diceva che era tutto troppo strano, pensateci,
cose del genere capitano solo nei film porno…o nei film
horror.
Così, finita la birra, ci dirigemmo a piedi verso la tanto sma-
niata casa, ci spostammo dal Naviglio Grande su quello Pa-
vese, passammo davanti ai numerosi locali della cerchia,
sempre pieni di gente, e quando ci infilammo per via La-
grange mi venne un atroce sospetto, confermato quando ci
fermammo davanti alla casa dell’Ordine di Dagon.
–Siamo arrivati-. disse Lilith.
-Sicura che non sia il numero 14?- domandò il Tindy.
-O il 24?- replicai io.
-No, no, il 4-. rispose sicura la nostra amica suonando il
campanello.
-Oh, diavolo-.
Io, Tindy e Randolph ci guardammo, e ci riunimmo: -Questa
cosa mi puzza di trappola lontano un chilometro-. dissi a
denti stretti.
–Già anche a me-. fece Tindiana.
–Forse è solo una coincidenza-, ribatté Randolph, -non vor-
rai farci scappare questa occasione di ciulare solo per un
presentimento-.
-Ma sei fuori di cozza? Noi là dentro ci siamo stati, abbiamo
visto cosa c’è, anzi, cosa non c’è-.
-Dici che hanno riarredato la casa in poche ore solo per met-
tercelo nel culo?-
-Esatto-.
-Piantatela con queste boiate-, intervenne Abdul, -non ci ca-
piterà mai più un’occasione del genere. Io dico: entriamo,
ciuliamo, e se ci sono problemi teliamo via-.
140
-Un piano degno della Banda Bassotti-. commentai.
–Allora che aspettate?- ci chiamò Lilith.
-Di chi è la casa?- le domandai.
-Lugubre vero? Pensa che gliel’hanno affittata per niente, è
praticamente vuota-.
-Visto?- fece Randolph, -Per una festa di vampiri hanno pre-
so in affitto una casa adatta a loro: lugubre, mezza diroccata
e magari infestata da fantasmi. È solo una coincidenza-.
-Beh, in ogni caso, io ho la pistola nella fondina ascellare-.
-Ma vai in giro armato?-
-Dopo gli ultimi incontri ravvicinati sì-.
Seguimmo le nostre due amiche dentro il piccolo cortile e
poi nella casa, dentro avevano solo ripulito dalla polvere e
dai resti di mobili, la luce era data da svariate candele rosse
poste un po’ dovunque, nell’atrio c’era solo un tavolo con
sopra delle bevande e dei salatini, uno stereo ad alto volume
propagava per tutta la casa musica dark, black, death e
grind, ma i più gettonati, purtroppo, erano i dischi dei Cradle
of Filth.
In giro, per terra, negli angoli, c’erano ragazzi e ragazze ve-
stiti di nero, con pentacoli e croci ribaltate addosso, alcune
ragazze avevano il cerone in faccia con ombretto nero e ros-
setto sanguineo, molti flirtavano tra di loro, si baciavano,
anche tra ragazze, appena entrammo, venimmo accolti dalla
festeggiata ed alcune amiche, disse che gli amici delle sue
amiche erano anche amici suoi, e fu felice che ci fossimo
anche noi.
Mentre Randolph e Abdul, in coppia, cercarono subito un
paio di ragazze, io mi lanciai sul cibo guardandomi attorno,
mentre Tindiana diede un’occhiata in giro nelle varie stanze.
Il piano di sopra ci dissero che era inagibile ed era bloccato
da una porta chiusa a chiave, in apparenza sembrava tutto
normale, se non fosse che i partecipanti alla festa non erano
normali, ma per fortuna avevo visto un discreto numero di
141
film su Dracula e Amazzavampiri, l’intera serie di Buffy,
mentre Dal Tramonto all’Alba e il Vampires di Carpenter
facevano parte della mia videoteca.
Mentre ero intento a bermi una bevanda alcoolica spalle al
muro e sempre attento a quanto accadeva in giro, una ragaz-
za mi si avvicinò e accarezzandomi il kiodo mi disse: -Che
bel giubbino hai-.
-Vero?- risposi un po’ imbarazzato, questa ragazza, a diffe-
renza di altre, non aveva la faccia pitturata di bianco e nero,
aveva un trucco abbastanza normale, era carina e aveva lun-
ghi capelli neri, era anche piuttosto alta, forse per quello era
venuta da me, ero il più alto là dentro.
Indossava una lunga giacca di pelle nera e stivali neri, e
quando la aprì mostrò una minigonna vertiginosa di pelle
nera e un top che le premeva il seno esageratamente, al collo
però notai uno strano pendaglio, sembrava un pentacolo co-
me tanti, eppure era diverso, mi ricordava qualcosa, ma non
ricordavo cosa.
–Io mi chiamo…Paul, e tu?-
-Io no, mi chiamano Hydra, puoi farlo anche tu-.
-Dannazione, ma qui qualcuno un nome normale non ce
l’ha?-
-Ho sentito parlare di te-. sussurrò accarezzandomi le spalle
maliziosamente, io dovevo essere viola in faccia, e cercavo
di pensare ad altro.
Vidi i miei amici che flirtavano con un paio di ragazze e
Tindiana che parlava con Lilith, che ogni tanto gli infilava la
lingua in un orecchio.
–Chi ti ha parlato di me?- domandai con voce tremante per
l’imbarazzo.
–Oh, in università sei molto conosciuto-.
-Ah sì? Strano-.
-Che ne dici se andiamo su di sopra?- mi sussurrò
all’orecchio con voce calma e ferma.
142
Io non sapevo cosa dire, non ero abituato ad una situazione
del genere, ed in quel momento abbandonai ogni pensiero
sul pericolo ed annuii: -Ma sopra non è chiuso?-
-Ma io ho la chiave. Vieni-.
Hydra, altro nome che mi ricordava qualcosa, ma che in quel
momento non mi diceva nulla fuorché “sesso”, mi precedeva
dirigendosi al piano superiore, io riuscii, incrociando lo
sguardo con quello di Tindy, ad avvisarlo con dei cenni che
andavo di sopra, lui rise e mi fece il segno del “pollice in
alto”.
Hydra mi portò su di sopra, accese la luce del corridoio,
c’era un terribile odore di chiuso: -Non preoccuparti per
l’odore, tra poco non lo sentirai più-. mi disse aprendo la
porta di una camera da letto, vidi con sorpresa che la camera
era arredata di un letto matrimoniale integro e dalle lenzuola
pulite, più un vecchio armadio sul fondo della stanza.
Hydra si levò giacca e stivali e si inginocchiò sul letto, ero
ancora in piedi e tutto vestito, era una situazione troppo a-
normale per me, tanto che mi venne la nausea, proprio
quando stavo per fare sesso con una ragazza del genere.
Lei mi allungò le braccia: -Avanti non avere paura, non ti
faccio male-. scacciai la tensione e mi tolsi il kiodo, appog-
giandolo su una vecchia sedia nell’angolo, mi tolsi anche la
fondina con dentro la pistola, appena la appoggiai sulla sedia
Hydra si alzò e mi venne incontro, aiutandomi a spogliarmi,
ero decisamente eccitato, eppure, era tutto troppo bello per
essere vero, ma ad un tratto…
-Oh, misericordia!- esclamai, -Non ho un preservativo!-
-Non importa, prendo la pillola-.
-La pillola non serve contro le malattie veneree-.
-Guarda che non sono una ragazza di facili costumi-.
-Ah, non lo metto in dubbio-. mentii vergognosamente.
-Ma è solo per precauzione, se aspetti vado sotto dal mio
amico che ne ha sempre qualcuno dietro-.
143
-No, non posso aspettare-. il suo tono divenne austero.
–Cosa?- mi prese per il colletto della camicia e mi baciò fo-
cosamente, dopo di ché mi sbatté sul letto con una forza im-
pressionante e mi salì sopra a cavalcioni.
Spense la luce mente io, sbalordito da quella inaspettata rea-
zione, cercai di alzarmi, ma lei mi ributtò giù sul letto e mi
tolse la camicia strappandola via letteralmente, sembrava
un’altra.
–Ehi, ma che ti prende?-
-Fa silenzio!- il tono della voce, così profondo e gutturale,
gli occhi infiammati con cui mi guardava, mi riempirono di
terrore, capii all’istante del grave errore che avevo commes-
so.
–Ho deciso che sarai tu a darmi un figlio, il primo di una
nuova razza-, esclamò con quella voce che pareva provenire
dagli abissi della terra, -e tu sarai costretto ad adorarmi per
resto della tua vita!- ero bianco dalla paura, sconvolto, sentii
la mano di Hydra posta sul mio torso, trasformarsi in una
tozza mano palmata dotata di artigli.
–Oh diavolo!!-
Urlai di terrore mentre mi sembrava di vedere davanti a me
Hydra trasformarsi in un orrendo ibrido, metà donna metà
pesce, continuava a tenermi sdraiato sul letto, graffiandomi
con i suoi artigli ed in quel momento non riuscivo a far altro
che urlare. In breve attimo di lucidità, mentre cercavo for-
sennatamente di liberarmi, il mio sguardo cadde sul penda-
glio a stella che Hydra aveva ancora al collo, se il suo peso
mi teneva ancorato al letto, era anche vero che avevo le
braccia libere, le afferrai il pendaglio e le piantai una delle
punte nel collo con tutta la forza della disperazione che ave-
vo.
Hydra emise un latrato abominevole mentre si spostava por-
tandosi le mani alla gola, io mi buttai immediatamente a ter-
ra, e mi lanciai contro la sedia a prendere la pistola, ma
144
Hydra, intuendo il pericolo, si buttò contro un’anta
dell’armadio, la sfondò e la sentii cadere non so dove.
Passato il pericolo, mi ripresi, accesi la luce e guardai dentro
l’armadio, vidi che c’era un passaggio che conduceva giù
nell’acquitrino, evidentemente era dove avrebbe voluto por-
tarmi una volta “usatomi”.
Non persi un attimo di più, mi infilai velocemente il kiodo,
presi il cellulare e inviai un sms di aiuto a Mr.Marks, dopo-
diché scesi giù da basso, dove la musica era ancora a tutto
volume e nessuno aveva sentito niente, la mia apparizione
precipitosa ed inaspettata fece convergere tutti gli sguardi su
di me, guardai i miei amici: -Dobbiamo andarcene da qui, e
subito-.
-Ma che diavolo ti è successo?- esclamò Tindiana vedendo-
mi ferito e sconvolto.
–Quello che succederà anche a voi tra poco!- strillò Lilith
prendendo il mio amico da dietro per il collo ed immobiliz-
zandolo, improvvisamente metà delle persone dentro la casa
afferrarono gli altri invitati, come noi totalmente all’oscuro
di quanto stava accadendo, Abdul si prese una sediata in te-
sta, mentre Randolph lottava con la tizia con cui aveva amo-
reggiato fino a poco prima.
Per paura di poter veramente far del male a qualcuno, rinfo-
derai la pistola e indossai il tirapugni che avevo in tasca,
stendendo in un solo colpo una delle ragazze che mi arrivò
addosso con la bava alla bocca con l’intento di prendermi a
bastonate.
Vidi le stesse nostre amiche lottare contro di noi, una che
teneva bloccato Tindiana, e l’altra che saltava sulla schiena
del povero Abdul, steso in terra con la faccia in una ciotola
di arachidi.
Mi feci largo in quel caos di ossa spezzate, capitomboli, pu-
gni, calci, urla, grida di aiuto e di rabbia, ne stesi un altro
prima di poter raggiungere Randolph, che si era appena di-
145
vincolato dalla sua avversaria, la afferrammo insieme, uno
per un braccio e uno per l’altro e la sbattemmo contro al mu-
ro, pensando in quel momento più a salvarci la pelle che a
non esagerare.
Puntai la pistola contro la tempia della nostra amica che sta-
va martoriando Abdul, l’ultima cosa che avremmo voluto
era fare del male proprio a lei e a quell’altra che stava cer-
cando di resistere alla ribellione di Tindiana.
–Spostati-. le intimai.
-Non mi ucciderai, non ne hai le palle-. mi sfidò.
-Hai ragione, ma credimi, se non lo lasci un buco della gam-
ba te lo faccio davvero-.
Silvia cadde nel mio bluff e si alzò, le ordinai di mettersi
contro la parete, mentre si spostava uno degli invitati, lan-
ciato in aria da uno degli adepti (ormai era chiaro che lo fos-
sero) la investì e le fece sbattere violentemente la testa a ter-
ra, rendendola inoffensiva.
Randolph aiutò Abdul ad alzarsi, ancora stordito e confuso: -
Ma che diavolo sta succedendo?-
-Un casino-. vidi che gli adepti stavano portando uno ad uno
le loro prede giù per il passaggio segreto, probabilmente per
sacrificarli o darli in pasto ad alcuni Abitatori del Profondo.
La situazione non era delle migliori, le accolite stavano a-
vendo la meglio su di noi, in un batter d’occhio ci trovammo
circondati da sei di loro armate di coltelli, cocci di bottiglia e
bastoni spezzati, determinate a portarci di sotto in offerta a
Dagon.
–Padre Dagon e madre Hydra saranno soddisfatti di noi-,
disse una con la bava alla bocca,
-vivremo finalmente nell’immortalità e nell’eterna bellezza-.
-Che facciamo?- mi chiese Randolph con voce tremante
mentre anche Tindiana veniva portato di sotto.
-Aspettiamo la cavalleria-.
In quel momento sfondarono la porta gli uomini in nero del-
146
la TMS, scatenando un caos terribile, a differenza nostra
quelli non usarono mezzi termini e presero a manganellate
gli adepti della setta, finalmente presi con le mani nel sacco,
e poi si calarono di sotto attraverso il pozzo, mentre alcuni
di loro portavano via i feriti.
Dal caos del fumo per le candele che si erano ribaltate e a-
vevano acceso dei piccoli fuochi, della musica ancora ad al-
to volume e della lotta, emerse la figura di Theron Marks III,
con la sigaretta in bocca e volto marmoreo: -Ben fatto, de-
tective-, mi disse, -ma si può sapere che diavolo ci fai anco-
ra qui?-
-A quanto pare sono una calamita per i guai-.
-Adesso potete stare tranquilli, ci penseranno i miei uomini-.
-Cosa farete agli adepti?- Domandò Randolph.
-Questo non vi è dato saperlo, mi spiace-.
-Ci sono due nostre amiche nel gruppo, per questo…-
-Cosa? Vostre amiche?- tappai immediatamente la bocca a
Randolph intuendo che ci avrebbe presi per complici della
setta.
-Il mio amico esagera, siamo finiti in questo posto attratti da
delle ragazze, tutto qua-.
-Uh, è evidente che vi tenevano d’occhio, loro sapevano che
voi sapevate, per questo vi hanno attirato qui-.
-Esatto-.
Finalmente dal pozzo saltò fuori Tindiana, tutto pieno di li-
vidi e graffi.
–C’è mancato poco che quella disgraziata mi staccasse un
braccio-. disse ripulendosi sommariamente.
-Dovete vedere cosa c’era sotto, avevano preparato tutto per
uno dei loro immondi riti-.
-Hai per caso visto uno degli Abitatori?- gli domandai.
-No, solo cultisti-.
-Eppure dovevano esserci, e la ragazza che era con me?-
-No, non c’era, forse è fuggita per il cunicolo-.
147
-Se è fuggita per quella via la prenderemo-, affermò sicuro
Mr.Marks, -ora tornatevene a casa, qui ci pensiamo noi-.
Uscimmo immediatamente dalla casa, mentre una folla di
curiosi si era riunita lungo la via, noi ne approfittammo per
confonderci nella calca e andarcene via.
Tutti un po’ pesti e feriti tornammo alla macchina: -Ma che
diavolo è preso a quelle due?- esclamò furibondo Abdul, -
Per poco non mi spezzava la schiena-.
-E’ evidente che hanno preso parte anche loro al gioco e le
hanno usate per attirarci nella trappola-. sostenne Randolph.
-Gioco un accidente!- continuò il sempre più furibondo Ab-
dul, -Qualcuno poteva veramente farsi male, avevano coltel-
li e bastoni, lo hai visto-.
-Tu dici? Guarda qua-. gli dissi mostrando le tre lacerazioni
che avevo ancora sul petto.
–Ma che diavolo hai fatto?- esclamò Randolph.
-Tu che insisti che è solo un gioco, la bella tipa che mi ha
portato di sopra d’improvviso si è trasformata in uno di que-
gli orrendi ibridi-.
-Ma non dire boiate, ti avrà drogato e chissà cosa hai visto-.
-Insisti?! Ti sembro drogato? E’ vero che la luce era spenta,
ma ti dico che quella ragazza era un Abitatore del profondo
del diavolo che voleva essere ingravidata dal sottoscritto e
rendermi suo schiavo…- il mio amico sorrise divertito, -E
non ridere, dannazione!-
Intervenne diplomaticamente Tindiana cercando di analizza-
re l’accaduto: -Beh, per qual che ne sappiamo queste creatu-
re hanno un blasfemo desiderio di accoppiarsi con uomini e
donne della nostra specie, unione dalla quale nascono orren-
di ibridi, e talvolta vengono adorati dagli stessi uomini con i
quali si accoppiano-.
-Visto?- feci io.
-Questo però non prova il fatto che tu sia stato con una di
queste creature-, intervenne Randolph, -non metto in dubbio
148
che ti abbia aggredito, ma può darsi che c’era della droga
nelle bevande, e l’essere così condizionato dall’avventura ha
giocato a tuo sfavore. Lei non si è veramente trasformata,
hai creduto tu di vederla trasformarsi, e poi c’era anche buio,
l’hai detto tu-.
-Non provare a fare i tuoi diavolo di tiri di psicologia con
me, io so cosa ho visto e nessuno mi farà cambiare idea.
Stanno succedendo delle cose molto strane qui, e lo scettici-
smo generale dato dalla nostra cultura millenaria ci impedi-
sce di credere che possano essere reali-.
-Reali come il Grande Cthulhu?-
-Esatto-.
-Questa storia ti sta facendo andare fuori di testa-.
-E’ inutile parlare con voi, attaccatevi alle vostre convinzio-
ni e pregate di non vedere mai quello che ho visto io questa
sera-.
-Stai esagerando, ritorna in te-.
-Ehi, tu non hai visto la morte in faccia, io sì, dannazione,
quella mi avrebbe fatto a pezzi se non le avessi infilato quel
pendaglio in gola… a proposito, Tindy, che simbolo è una
stella a cinque punte con una specie di occhio al suo inter-
no?-
-Con una fiamma al posto dell’iride?-
-Non ricordo, forse-.
-E’ il segno degli Antichi-.
-Ecco, lo sapevo. Lo aveva al collo quella ragazza-.
-Piuttosto-, intervenne Randolph, -cosa ne sarà delle due
Silvie?-
-Non lo so, ma dire a Marks III che siamo loro amici non è
stata un gran furbata-.
-Vuoi dire che quello era il capo della Theron Marks
Society?-
-Esatto-.
-Vedi, questa è la contro prova, la TMS è di Boston, e lui
149
parla in italiano-.
-Già, anche tu che ti chiami Randolph Carter ed io che mi
chiamo Paul Kevin Araya, ed inoltre lui parla pure accenta-
to, non so se l’accento è quello del New England, ma di si-
curo è americano-.
-Oh, quello lo facciamo anche noi ogni tanto quanto dob-
biamo impersonare personaggi stranieri-.
-Per l’appunto-.
Randolph mi guardò con aria sospetta: -Dove diavolo vuoi
arrivare?-
-Non lo so più nemmeno io. Ma al momento ti rispondo so-
lamente “a casa”-. finimmo lì la discussione e ce ne tor-
nammo a casa, stanchi, spossati e oltremodo confusi, per
parte mia quella notte non chiusi occhio.

Il giorno dopo lessi sul giornale una terrificante notizia: i


corpi straziati e dilaniati di alcuni uomini erano stati nella
notte dentro al Naviglio Pavese, gli uomini erano vestiti in
abiti scuri e non portavano documenti se non una strana tes-
sera di una agenzia sconosciuta.
A quanto pareva alcuni degli uomini di Marks avevano fatto
una brutta fine, ce n’eravamo andati via al momento giusto,
senza ombra di dubbio.
Provai quella stessa mattina a contattare Theron Marks, ma
il cellulare era sempre staccato e il numero di telefono fisso
era solo una segreteria, lasciai un messaggio ma dubito che
mi avrebbero richiamato, al momento avevano altre gatte da
pelare.
Provai a telefonare anche ad entrambe le Silvie ma al cellu-
lare non rispondevano e a casa preferivo non chiamarle.
A questo punto è solito dire che la trama si complica.

Nonostante la passione, il desiderio dell’avventura e il fasci-


no del mistero cominciavo a pensare di non recarmi a
150
Sant’Ambrogio, sarebbe stato pericoloso e l’avventura al
momento non ci obbligava ad andarvi, il mio lavoro di inda-
gini si era concluso, Lisa Legnani mi aveva congedato dal
mio impegno, avevo finito.
Quanto era di recente accaduto lo consideravo un “regalo”
del Custode per aver pensato qualcosa al di là della nostra
singola avventura, non potevo pensare altrimenti, troppe
coincidenze e casualità, che potevano essere anche fatali da
quanto avevo visto.
L’unica cosa che mi impediva di prendere il telefono e av-
vertire i miei amici che l’avventura era terminata era la ter-
ribile paura che un giorno, a distanza anche di tanti anni, a-
vrei dato probabilmente la vita per poter tornare indietro e
scegliere di andare a vedere cosa nascondeva
Sant’Ambrogio e se davvero esistevano i cunicoli e i portali
descritti da Thermogorothus e Legione, invece di non ri-
schiare e terminare illeso la mia avventura.

151
9. SOTTO LA CITTÀ
Quando ci ritrovammo discutemmo a lungo sul da farsi, se-
duti sui blocchi di pietra sparsi lungo alcuni colonnati dei
cortili interni dell’università, il cielo era grigio e minacciava
pioggia, l’atmosfera era quella lugubre e cupe degli ultimi
giorni, il tempo era veramente dannato in quelle settimane,
ma in primavera era una cosa normale.
-Che facciamo allora? Continuiamo?- domandai ai miei a-
mici.
-Sarebbe stupido non farlo-, disse Randolph, -dopo quello
che abbiamo scoperto io vorrei andare in fondo, e magari il
Custode si aspetta che facciamo proprio questo-.
-Io dico è pericoloso-, intervenne Tindiana, -proprio perché
il Custode si aspetta che noi proseguiamo dovremmo fer-
marci qui, il nostro compito è praticamente finito, ai fini del
gioco abbiamo raggiunto il nostro scopo, nessuno avrebbe
motivo di eliminarci se ci facessimo indietro-.
-Ma perché non continuare? Dopo tutto il mazzo che ci sia-
mo fatti, senza contare le botte che ho preso, non mi va di
averle buscate per niente. E poi guadagnando ulteriori punti
esperienza potremmo vincere il viaggio-. protestò Abdul.
-Io credo che Tindy pensi che sia pericoloso-, dissi, -ci sono
troppi lati misteriosi ed inquietanti in tutta questa storia, le
botte che ci siamo presi erano vere, come le cose strane che
abbiamo visto, dai libri, ai dipinti, dalle case maledette alla
biblioteca della Confraternita del Sonno, tutto troppo preci-
so, troppo elaborato, troppo reale per essere solo un gioco.
Ed io dubito di far parte ad una nuova trasmissione come
Survivor, Grande Fratello o simili. E allora perché tutto que-
sto?-
-Non lo so-, rispose scocciato Randolph, -forse una qualche
manovra commerciale, il lancio di qualche nuovo prodotto
di qualche multinazionale, oppure forse lo sfizio di un mi-
liardario eccentrico appassionato di Lovecraft che non sa più
152
come divertirsi, ma cosa importa dico io? Che te ne frega?
Stiamo giocando, ci stiamo divertendo come non mai, e una
componente di rischio non fa che rendere il gioco più ecci-
tante. Io dubito categoricamente che sia tutto reale, una sorta
di messa in scena per prendersi gioco di noi-.
-Non per prendersi gioco di noi-, lo corresse Tindiana, -ma
per giocare con noi, come fossimo playmobil-.
-Credo che tu stia esagerando-, disse Abdul, -è solo
un’avventura, un gioco di ruolo, e allora giochiamo, diavo-
lo-.
-Anche la vita è un gioco-, dissi, -e puoi giocare sapendo
che puoi vincere o perdere, ma che senso a non giocarla?-
-Platone?- azzardò Randolph.
-Michel Platini-. risposi sorridendo.
-Concludiamo-, disse Tindiana, -cosa volete fare? Qualsiasi
cosa si decida io l’accetterò, visto che sembro in minoranza-
.
-Continuiamo-. si pronunciò Randolph.
-Ci sto anch’io-. gli fece eco Abdul.
Gli altri guardarono me, visto che si conosceva già la rispo-
sta di Tindiana.
-Non credo avremmo molte occasioni nella nostra vita come
questa, anche se non sono molto sicuro della mia scelta, io
dico di andare avanti-.
-Bene-, aggiunse Tindiana, -anche se mi sembra più stupidi-
tà che coraggio vengo con voi-.
-Allora è deciso-. conclusi.

Poco dopo, durante una lezione di storia dell’arte, ero quasi


addormentato sulla mia porzione di banco, nelle file più in-
dietro dell’aula, fuori pioveva a dirotto e non avevo
l’ombrello, il cielo era Publio, scosso da tuoni e lampi, era
davvero una stagione schifosa quella.
D’un tratto, mentre ero assorto con lo sguardo verso le fine-
153
stre dell’aula, la mia compagna di banco mi diede un piccolo
strattone: -Ehi, c’è un biglietto per te-.
-Cosa?- mi voltai confuso, e presi in mano il biglietto di car-
ta piegato più volte.
Incuriosito lo aprii e dentro vi trovai un messaggio che mi
gelò il sangue: “Non avete ancora finito, recatevi al Monu-
mentale per le ore 16, davanti alla tomba della famiglia
Bramante.”
–Di chi è? Chi te l’ha dato?- domandai alla mia vicina.
-Non lo so, è passato di mano in mano fin qui-. rispose lei.
Guardai un alto, ma non vidi nessuno muoversi, erano tutti
composti e seduti, ognuno al proprio posto, eravamo un cen-
tinaio in aula, sarebbe stato impossibile risalire al mittente,
sempre che fosse presente in aula.
Attesi con trepidanza il cambio dell’ora per ritrovarmi con i
miei amici e mostrare loro il biglietto.
-E che diavolo significa che non abbiamo finito?- protestò
Randolph.
-Non lo so, forse il Custode ha in mente qualcos’altro per
noi. Dovresti essere contento-. risposi.
-Non tanto, un conto è andare dove ci pare e piace, un altro è
seguire le direttive del Custode. E poi che andiamo a fare al
Monumentale?-
-Forse abbiamo un appuntamento con qualcuno-. suggerì
Abdul.
–O peggio potrebbe essere una trappola-, ipotizzò Tindiana,
-potrebbero attirarci lì per eliminarci, la cosa non mi piace
per niente-.
-E perché eliminarci?- domandò Abdul, poco convinto.
–Non lo so, forse perché stai sulle balle a qualcuno-.
-Piantatela con le boiate-, dissi io-, non credo sia una trappo-
la, se volessero eliminarci lo avrebbero già fatto. Nel bigliet-
to c’è scritto che non abbiamo terminato il nostro compito, e
non ho motivo di non crederci, magari abbiamo dimenticato
154
qualcosa. Penso sia come dice lui: incontreremo qualcuno,
per proseguire l’avventura-.
-Non mi va di andare in un cimitero in una giornata simile-.
protestò Tindiana.
–Tindy, è un gioco dell’orrore, credo sia una cosa normale-.
-Comincio ad averne abbastanza di cimiteri, cripte, sotterra-
nei e case abbandonate-.
-Che vuoi farci? La prossima volta giocheremo ad una parti-
ta di Manga Live-. feci io alzando le spalle.
-Questa storia comincia a darmi sui nervi-, disse irritato
Randolph, -mi tocca perdere un’altra lezione, speravo che
avessimo finito, così potevo riprendere a studiare in maniera
più regolare-.
-Ormai ci siamo dentro, vediamo cosa dobbiamo fare anco-
ra-. gli risposi.
Fu così che poco dopo le 15 ci incamminammo sotto l’acqua
diretti al cimitero Monumentale, visto che dalla stazione di
Porta Garibaldi al Cimitero ci toccò farla a piedi.
Il Tindy era l’unico ad avere con sé l’ombrello che si teneva
stretto mentre io cercavo di infilarci sotto almeno la testa: -
Fa un po’ di spazio, Tindy-. gli dicevo.
–Come? Ma tu non sei un uomo d’azione?-
-Un uomo vero ama sentire la natura sulla pelle-. mi disse
Randolph.
-Già e l’uomo saggio ama usare l’ombrello quando piove-.
Arrivammo all’entrata dell’imponente ed antico cimitero
Monumentale, una sterminata muraglia di mattoni circonda-
va l’intera area, mentre l’ingresso era costituito da una entra-
ta ad arco. Dentro il terreno era coperto da uno strato di
ghiaia, centinaia di costruzione contenevano migliaia di lo-
culi, mentre ogni tanto spuntavano delle tombe di famiglia
con archi ad ogiva, doccioni, croci, statue di santi o di ange-
li. Il cimitero era sterminato e trovare una tomba di famiglia
come ci era stato detto non sarebbe stato per niente facile.
155
Non c’era molta gente a quell’ora, solo alcune donne anzia-
ne e dei solitari visitatori di defunti.
-Che facciamo?- domandai.
-Io credo che la tomba si trovi nella parte più vecchia del
cimitero-. suggerì Randolph.
-Come fai a saperlo?- gli chiesi.
-Beh, è un luogo pittoresco, gotico, caratteristico ed è molto
di atmosfera, il luogo ideale per un incontro in un gioco di
ruolo dell’orrore-.
-Come dargli torto?- mi fece Tindiana.
Facendo molta attenzione percorremmo i viottoli sinistri del
cimitero, passando i loculi, le tombe e i numerosi sepolcri,
tra statue di angeli, di crocifissi e di madonne.
Nella vecchia zona del Monumentale c’erano diverse tombe
di famiglia, risalenti, le più vecchie, anche all’ottocento, ca-
riche di una sensazione di ancestralità, di antichità, ma an-
che di angoscia e dolore, nonché di morte.
Alcune erano provviste di colonne, architravi, croci in mar-
mo, doccioni, tetti spioventi, e porte a finestra dalle quali
s’intravedeva il buio sepolcrale dell’interno della tomba, che
metteva i brividi.
Alcuni arbusti qua e là, erbacce, alberi secolari morenti e
contorti non facevano che evocare ancor di più
quell’atmosfera tetra e lugubre del cimitero.
-Questo posto mette i brividi-, commentai guardando le
tombe familiari disseminate per quella vecchia ala del cimi-
tero, -ora dobbiamo trovare la famiglia Bramante. Dividia-
moci-.
Ci separammo per cercare la tomba dei Bramante, ma rima-
nendo a portata di voce, stavo passando le tombe vicino al
muro di cinta, quando sentii Randolph chiamarci: l’aveva
trovata.
Era una tomba di quelle con il tetto spiovente e una porta in
ferro battuto chiusa da un robusto catenaccio, sarà stata di
156
6x3m di base e alta almeno 6m, tetto compreso, anche se il
soffitto non superava i 3m.
-Leggete un po’ qui-. fece Randolph mostrando un’incisione
sulla porta di ferro.
–Cos’è? Uno scherzo?- sussultò Tindiana dopo averla letta, -
Qui c’è scritto che questa tomba è stata eretta nel 1926 dal
marchese Everardo Bramante-.
-E allora?- domandai confuso.
–Non hai letto l’epitaffio sulla volta?-
Alzai la testa per leggere l’epitaffio che mi era sfuggito in
precedenza: -“Non è morto ciò che in eterno può vivere, ma
in strani eoni anche la morte può morire”…oh-.
-Credevo che questo epitaffio l’avesse scritto Lovecraft-.
disse Abdul.
–Già, attribuito però ad Abdulh Alzared nel suo Necronomi-
con-. gli rispose Randolph.
–Vorrei sapere chi era questo marchese Bramante-. dissi ed
in quel momento una voce dallo smaccato accento america-
no mi rispose facendo balzare il cuore in gola mentre ci vol-
tavamo all’unisono.
-Era un noto letterario, amante della scienza, dell’occulto e
del mistero-. sotto un ombrello nero, con al seguito quattro
dei suoi uomini, c’era Theron Marks III.
-Curioso che ci siamo ritrovati qua davanti-. le parole di
Marks ci suonarono sospette.
-Non ci avete mandato voi il biglietto con l’appuntamento?-
gli domandai.
-No di certo-.
-Qualcuno ha voluto che ci incontrassimo qua-. fece Ran-
dolph.
-Così sembra, ma non capisco perché-. disse Marks, -Voi
avete qualche idea?-
-Sembra uno di quegli aiuti del master-, disse a noi tre Tin-
diana, sottovoce, -come quando il gruppo non ha più idee, o
157
crede di aver terminato l’avventura e gli sfugge qualcosa,
allora il master li mette nella condizione di ritornare sulla
strada giusta. Quello che non capisco è perché qui e con la
Marks Society-.
-Chi ha detto che era questo Marchese?- domandai a Marks.
-Un uomo dalla storia ambigua, c’è chi lo descrive come
uomo erudito, un filosofo, un uomo di grande cultura, faceva
l’antiquario, ma c’è anche chi parla di lui come un individuo
abietto, dedito a pratiche occulte e facente parte di una log-
gia massonica nata in Francia nell’ottocento…-
-…e fondata da Cagliostro-. aggiunsi.
–Esatto. Noi siamo giunti qui a seguito di accurate indagini
ma credo che voi mi nascondiate qualcosa-.
-No, io credo che questa tomba ci nasconda qualcosa-, inter-
venne Randolph, –per me non è un caso che ci abbiamo da-
to appuntamento davanti alla tomba di famiglia di ex accoli-
to della loggia di Cagliostro. Io credo che dovremmo entra-
re-.
-Vuoi profanare una tomba? Ma sei fuori?- gli dissi storcen-
do il naso.
-Non profaniamo la tomba, entriamo soltanto a vedere-.
-E cosa dovremmo vedere?- domandò Marks.
-Non lo so, forse c’è qualcosa, là dentro-.
-Oh, capisco-. fece Marks alzando gli occhi al cielo.
-Forse Randolph ha ragione-, lo spalleggiò Tindiana-, maga-
ri dentro è nascosto un libro, un testamento, delle carte, non
so, qualcosa che possa essere utile ai fini della partita-.
-Che partita?- domandò Marks.
-Niente, è solo un modo di dire-. dissi io sorvolando
l’argomento.
-Voi dite che qua dentro potremmo trovare qualcosa che ci
porti alla loggia di Cagliostro?- domandò nuovamente
Marks.
-Forse-. rispose Randolph.
158
-In effetti sento che mi manca poco per acciuffare quei mas-
soni, e credo anch’io che non sia un caso che qualcuno ci
abbia voluto indicare questo luogo per farci incontrare. Mi-
chael-.
Dopo aver pronunciato il nome un suo uomo avanzò bran-
dendo un enorme trinciante che teneva in una fondina sulla
gamba destra, coperta dall’impermeabile. In men che non si
dica il catenaccio vecchio e arrugginito cadde a terra e la
doppia porta di ferro battuto si aprì cigolando, mostrando
tutto il buio color pece del suo interno.
Non era di certo mia consuetudine entrare in una tomba,
men che meno in quella di un occultista dedito a chissà qua-
le arti quand’era in vita, stavo per entrare per primo, ma
quando presi la torcia elettrica mi vidi sorpassare da Marks
che, guardingo, mise per primo i piedi dentro il sepolcro.
Le nostre luci assieme illuminavano quasi completamente
l’interno della piccola tomba, al cui interno c’era una parete
di loculi, le cui lapidi erano ormai vecchie e consunte.
C’era una gran puzza di muffa e l’aria era piuttosto pesante,
Marks diede un’occhiata in giro, osservò bene le lapidi e le
pareti, poi si mise a tastare una parete laterale, apparente-
mente spoglia.
-Ma che diavolo fa?- mi domandò sottovoce Abdul.
-Cerca un passaggio-. gli risposi.
-Un passaggio? Qui dentro?-
-Non so se l’hai notato ma la camera dentro è più piccola
che fuori, ci deve essere un passaggio o una porta nascosta
in quella parete, manca almeno un metro-.
-Oh, diavolo-.
-Ci siamo-. disse Marks, lo vidi usare un cacciavite per far
leva su una piastrella che uscì di pochi centimetri dal muro,
al che Marks la ruotò di 180° e la respinse all’interno e si
fece indietro.
Tra lo stupore generale e la soddisfazione dell’americano, si
159
udì l’innesco di un meccanismo che fece scorrere di lato par-
te della parete rivelando un piccolo antro da cui scendevano
degli scalini di pietra.
Marks ordinò ad uno dei suoi di rimanere di sopra a fare la
guardia, e mentre lui scendeva con gli altri agenti della
Society, noi li seguivamo a ruota con in mano le nostre torce
elettriche.
I gradini di pietra scendevano come una scala a chiocciola,
scendemmo di cinque o sei metri, credo, per poi trovarci in
un corridoio di pietra al termine del quale trovammo una
massiccia porta di legno rinforzata.
L’aria era ancor più pesante là sotto e la paura di trovarci in
qualche guaio serio ci attanagliava lo stomaco, ciononostan-
te rimanemmo in silenzio, attendendo che Marks facesse o
dicesse qualcosa.
-C’è un’iscrizione sopra la porta-, disse Marks illuminando
il muro sovrastante la porta, -sembra francese: avant de
Cthulhu, avant de Azathoth, y ètais Nyarlathotep. Qualcuno
di voi conosce il francese?-
Noi ci guardammo in faccia, -Io parlo bene l’inglese-. disse
Randolph.
Marks lo guardò: -Prendi in giro?-
-Io il francese non lo conosco-, dissi, -ma la frase mi ricorda
i Funghi di Yuggoth-.
-Giusto-, seguì Tindiana, -prima di Cthulhu, prima di Aza-
thoth, c’era Nyarlathotep. Se non altro la prossima volta che
dovremmo tradurre dal francese avremmo qualche punto in
più-.
-Ma perché in francese?- domandai.
–Sagesse Triomphante è francese-, mi rispose Marks, -l’hai
dimenticato?-
-Va bene, ma ora come entriamo?- domandò Abdul.
-Johnny-. Al comando di Marks l’agente della TM Society si
fece avanti e tirò fuori una carta da gioco.
160
–Ma che diavolo vuol fare?- chiese Randolph.
Johnny infilò la carta nella porta all’altezza dei cardini mo-
vendo la maniglia, ma riuscì soltanto a rompere la carta, noi
ci mettemmo le mani in faccia, increduli di tanta idiozia.
-Mi spiace capo, a casa mi riesce sempre-. si scusò l’agente
mentre Marks lo fulminava con lo sguardo.
-Provo io-. dissi prendendo il grimaldello dallo zaino.
Mi avvicinai alla porta e infilai l’attrezzo da scasso nella ser-
ratura, non fu facile e anche con un po’ di fortuna riuscii a
far scattare il meccanismo e ad aprire la porta.
–Ma vieni!- esclamai, -Altri punti per il detective. Sento già
la brezza della costa del New England-.
I miei amici si complimentarono con me e poi lasciai l’onore
di entrare per primo a Marks, il quale era un po’ indispettito
del fatto che fossi riuscito dove aveva sbagliato il suo uomo.
Marks attraversò la porta e noi gli fummo subito dietro, le
luci delle nostre torce stavano illuminando una stanza,
c’erano delle candele su tavoli e credenze, le accendemmo
tutte e ben presto ottenemmo una chiara fonte di luce che
illuminava tutta la stanza.
Era grande circa un centinaio di metri quadrati, con numero-
si scaffali stracolmi di vecchi libri, per lo più di alchimia e
astrologia. C’era un enorme tavolo rotondo al centro della
stanza con una dozzina di sedie poste in circolo, erano tutte
di legno massico come il tavolo, e su questo erano incise dei
simboli mistici e magici.
Su una parete troneggiava un grande quadro raffigurante il
conte di Cagliostro, fondatore di Sagesse Triomphante.
Alcuni tomi erano posti su una scrivania tra carte ingiallite e
documenti vari, ne presi in mano qualcuno per leggerne il
titolo, riconobbi il Liber de arte distillandi de simplicibus
dovuto a Hieronymus Brunschwig, il Dialogues des Morts
di Fontanelle, Le nove porte del regno delle ombre (Novem
Portis) di Aristide Torchia ed anche il Secondo libro della
161
Commedia di Aristotele.
-A leggere continuamente questi libri quelli della loggia si
saranno ritrovati con una sanità mentale piuttosto bassa-.
commentai sorridendo.
-Ma che diavolo di posto è mai questo?- fece Randolph os-
servando meglio gli strani artefatti e le statuine raffiguranti
demoni e strane creature informi sparse in giro per la sala.
-Questo posto ha tutta l’aria di essere un luogo di ritrovo di
Sagesse Triomphante-, disse Marks osservando meglio il
tavolo intarsiato con quei simboli alchemici, -un loro covo-.
-Ma allora potrebbero arrivare da un momento all’altro-. fe-
ce allarmato Abdul.
-No, non credo-, rispose Marks, -questo posto ha l’aria di
essere abbandonato da anni-.
-Che ne sa lei che non pensino proprio di tornarci oggi?- ri-
badì il mio amico.
-Senti, se vuoi puoi anche andartene-.
Abdul lasciò perdere e si mise a guardare anche lui in giro.
-Perché il Custode ci avrebbe condotto fin qui?- pensai ad
alta voce.
-Per trovare qualcosa credo-. rispose Randolph.
-Ma cosa?- gli fece eco Tindiana.
-Qui c’è una specie di diario-, disse Marks chinandosi a terra
e sollevando un vecchio tomo pieno di polvere, -è scritto in
parte in italiano e in parte in francese-. lo sfogliò veloce-
mente sollevando un gran mucchio di polvere, -L’ultima pa-
gina è datata 20 ottobre 1932. Il giorno prima della morte
del vecchio Bramante-.
-Questo significa che nessuno è a conoscenza di questo po-
sto, forse nemmeno gli attuali seguaci di Sagesse Triom-
phante-. disse Tindiana.
–Voi come avete scoperto questo posto?- chiese a Marks.
-Abbiamo seguito una pista che ci ha condotti a due alchimi-
sti di nome Thermogorothus e Legione, i cui libri erano stati
162
messi all’indice dalla chiesa, ma il conte di Cagliostro riuscì
ad impossessarsi di uno dei libri e a tradurlo per la sua log-
gia massonica. Abbiamo poi svolto delle indagini su questa
Sagesse Triomphante e abbiamo scoperto del marchese
Bramante, il che ci ha condotto fin qui-. spiegò l’uomo in
nero.
-E’ una pista che avremmo potuto seguire anche noi-, disse
Randolph, -ma ci è sfuggita. Ecco il perché dell’aiuto. Allo-
ra la storia non è davvero terminata-.
-Abbiamo scoperto anche che Sagesse Triomphante è
tutt’ora qui in Italia, impegnata nella ricerca dei libri dei due
alchimisti, ma al momento nemmeno noi abbiamo scoperto
dove si trovano-. disse Marks sempre sfogliando il diario.
Noi ci guardammo sorridendo: -A dir la verità, noi sappiamo
dove si trovano-. disse Abdul.
-Davvero?- esclamò Marks.
-Li abbiamo noi-, continuò Tindiana, -li abbiamo presi da
una biblioteca segreta della Chiesa, contenente tutti i libri
che dovevano essere messi all’indice e che invece sono di-
ventati oggetto di studio di una confraternita di origine me-
dievale-.
-Dannazione!- esclamò Marks, -Battuto da dei pivelli!-
-Ehi, pivelli a chi?- gli rispose Abdul.
-State calmi-, fece Tindiana, -ora non dobbiamo che unire le
forze. Credo che qua dentro sia nascosto qualcosa di cui
nemmeno Sagesse Triophante conosce l’esistenza-.
Mentre quelli discutevano trovai qualcosa tra il mucchio di
libri impolverati, era un piccolo oggetto metallico a forma di
stella, con sopra delle strane incisioni, c’era una piccola ca-
tenina agganciata, ma non aveva assolutamente l’aspetto né
di un ciondolo né di un braccialetto. Lo infilai in tasca e pro-
seguii le ricerche.
Rimboccandoci le maniche setacciammo tutto la sala e dopo
quasi un’ora di ricerche, quando ormai eravamo esausti e
163
senza più speranza, mi accorsi di una piastrella smossa vici-
no alla parete.
Mi chinai e con un cacciavite feci leva per alzarla: -Ehi, ho
trovato qualcosa!- esclamai soddisfatto, sotto la piastrella
c’era un piccolo buco al cui interno trovai uno scrigno di le-
gno.
–New England, sto arrivando!-
Lo presi in mano, emanava uno strano profumo, era ricoper-
to di strani intarsi da far accapponare la pelle, tanto che ero
tentato di lasciarlo cadere in terra, ma mi feci forza e lo a-
prii, quello che trovammo al suo interno non solo ci turbò e
ci costrinse ad allontanarci immediatamente da quel luogo
sacrilego, ma ci pose di fronte ad inquietanti pensieri e dub-
bi.
Appena fuori aprii lo scrigno di legno e vi trovai una chiave
d’argento ed una bizzarra pergamena le cui iscrizioni nessun
linguista o paleografo sarebbe mai stato capace di decifrare
o identificare.
-Non è possibile-, esclamò Randolph sotto la pioggia, nei
pressi del cancello principale del cimitero,
-quella non può essere la chiave d’argento di Randolph Car-
ter…è ...è impossibile-.
-Certo, la chiave potrebbe essere una comune chiave
d’argento-, gli rispose Tindiana, -ma la pergamena l’hai vi-
sta anche tu e anche gli intarsi sullo scrigno sono gli stessi
che sono descritti nel racconto di Lovecraft18-.
-Lo so, ma sai che cosa significa quella chiave?- Randolph
era piuttosto turbato, come noi d’altronde, ed era difficile
trovare la calma e pensare a mente fredda di fronte a simili
eventi.
-Certo che lo so-.
-E come puoi credere che sia vera? È ovvio che fa parte del
gioco, ci hanno mandato apposta qui perché la trovassimo-.
-E’ ormai chiaro che siamo su due sponde diverse, amico
164
mio-, gli rispose Tindiana, -tu continua pure a far finta che
sia tutto un gioco, per quel che mi riguarda è tutto vero, e se
vuoi uscirne con le tue gambe sarà meglio che ci credi anche
tu-.
-Tu vaneggi, come puoi pensare che io creda che questa sia
la chiave che apre la porta per il mondo dei sogni?-
-Perché tutto lascia pensare che lo sia, ed anche il tuo perso-
naggio lo pensa, ma tu ti ostini a pensare come giocatore in-
vece-.
-Non ricominciate per l’amor del cielo-, dissi cercando di
dividerli prima che si scannassero, –dobbiamo mantenere i
nervi saldi e restare uniti soprattutto. Io ritengo che questa
divergenza di vedute non possa che fare bene al gruppo, a-
vremo una visione più ampia degli eventi, ma non possiamo
stare ogni volta a litigare per questo. Ok?-
Tindiana annuì e anche Randolph fu d’accordo.
Vedemmo poi raggiungerci Marks con i suoi uomini: -Se
non vi dispiace lo scrigno ed il suo contenuto lo teniamo
noi-. ci ordinò.
-E perché? L’ho trovato io-. affermai.
-Ragazzo, non siamo noi i vostri nemici, anzi, sembra che
stiamo dalla stessa parte, per cui vediamo di cooperare. Noi
abbiamo i mezzi e le risorse necessarie per analizzare scri-
gno, chiave e pergamena, sarebbe un peccato non approfit-
tarne-.
-Perdete il vostro tempo-, disse Tindiana, -le iscrizioni sulla
pergamena devono essere di origine aliena, non potete tra-
durle-.
-Tu dici? Non siamo più nel 1926, ragazzo, la tecnologia e
la scienza hanno fatto passi da gigante, soprattutto nell’area
51 del Nevada-. l’allusione agli studi sugli alieni era lam-
pante, dopotutto Marks aveva ragione e poi lo scrigno era
più sicuro in mano della TMS, e così, seppur non molto vo-
lentieri, gli consegnai lo scrigno con la chiave e la pergame-
165
na.
-Ne abbia cura-.
-Sarà come in mano vostra-.
-Le ho detto di averne cura-.
-Ok, ho capito. Ci vediamo ragazzi-.
-Un momento Mr.Marks-, lo chiamai mentre stava già an-
dando, -lei sa per caso dove abitava questo Everardo Bra-
mante?-
-Credi possa esserti utile saperlo?-
-Mi interesserebbe capire come è entrato in possesso della
chiave-.
Marks prese un biglietto dal portafoglio e me lo consegnò: -
A questo indirizzo troverai i suoi discendenti, ma per quel
che ne so la casa è rimasta la stessa, forse hanno tenuto le
sue cose, chissà, o magari hanno venduto tutto a qualche an-
tiquario-.
-Grazie, a presto-.
Marks e i suoi uomini ci lasciarono e noi, bagnati zuppi, tor-
nammo verso la metropolitana.
-Vuoi davvero andare dai discendenti di Bramante?- mi
chiese Randolph.
-Perché no? Forse scopriremo dove si è procurato la chiave,
non è cosa da poco. Comunque è ancora presto per andare
dai Bramante, rischieremmo di fare un giro a vuoto, che ne
dite di andare a fare un salto alla Basilica di Sant’Ambrogio
e tagliare la testa al toro?-
-E se poi troviamo veramente il punto internodale?- fece
Randolph. -Non siamo nelle migliori condizioni per prose-
guire-.
-No, certo, non ne avremmo nemmeno il tempo. Però po-
tremmo andare a cercarlo solamente, se lo troviamo allora ci
potremo tornare quando saremo al meglio, credo sia inutile
continuare a rimandare, vediamo se questo posto esiste o
meno-.
166
Tindiana guardò l’orologio: -Non sono nemmeno le cinque,
si può fare-.
-Ok-, fece Abdul, -ma facciamo in fretta-.
Anche Randolph fu d’accordo e così prendemmo la linea 1
per Sant’Ambrogio.
-Nella fretta ci siamo dimenticati di chiedere a Marks che
fini hanno fatto le due Silvie-. disse Randolph mentre era-
vamo seduti sul metrò in corsa.
-Prova a chiamare una delle due-, gli suggerii, -vedrai che
ora ti risponderanno-.
Il mio amico prese il cellulare e cercò dalla memoria il nu-
mero della Salvietta, quella che insisteva per farsi chiamare
Lilith, ma la conversazione non durò molto: -Ciao! Sì sono
io come…eh?… No guarda che noi…ma veramente siete
state voi… io non c’entro niente… mi spiace… oh diavolo
lo vuoi capire…- trick -…ha riattaccato-.
-Dopo averti coperto d’insulti-. aggiunse Abdul.
–Già, era piuttosto incazzata-.
-Lasciala perdere, l’importante è che stia bene-. dissi io.
-Le passerà-. aggiunse Tindiana.
Quel pomeriggio la basilica era quasi deserta, imponente e
maestosa Sant’Ambrogio era da sempre uno dei simboli di
Milano assieme al Duomo, dentro era ancora più grande di
quanto si possa immaginare vedendola dall’esterno, con cin-
que navate, diverse cappelle, numeri affreschi, una enorme
parte absidale e una cripta dove risiedono le spoglie del San-
to a cui la basilica è dedicata.
In silenzio e cautamente girovagammo per tutta la chiesa
senza trovare alcun passaggio che conducesse sotto la basili-
ca, ci concentrammo soprattutto nella cripta, ma l’unica por-
ta che trovammo, una porta di legno rinforzato risalente alla
costruzione della chiesa, non aveva alcuna serratura, né luc-
chetti o catenacci, sembrava chiusa dall’interno.
Non c’era nulla da fare, entrare era impossibile, almeno da
167
lì.
Erano ormai le 18, il sole era calato completamente, i miei
amici avevano tutta l’intenzione di andare a casa, io però
volevo andare dai Bramante.
-Non sei stufo?- mi chiese Abdul.
-Non ancora, ho tempo per stufarmi-. presi il foglietto e lessi
l’indirizzo: -Via Settembrini 11-.
-Davanti a Camelot-. fece Randolph riferendosi al negozio
di cui eravamo habitué.
-Io vado, chi viene con me?- i miei amici mi guardarono
perplessi. –Ok, è un’idea mia e ai fini del gioco non ha mol-
ta importanza, senza contare che c’è la possibilità non molto
remota che venga cacciato via, per cui vado da solo, se sco-
pro qualcosa ve lo faccio sapere-.
Così ci separammo, e nella sera che inoltrava presi la metrò
per la Centrale e da lì m’incamminai verso via Settembrini.
Al numero 11 corrispondeva un imponente e maestoso pa-
lazzo di mattoni, risalente probabilmente al risorgimento, le
finestre ed i balconi erano adornati con archi e stemmi di
casate, e in cima si poteva vedere un’autentica torre abitata,
con tanto di doccioni, merli, volte, scalinate e quant’altro.
Attraversai una cancellata nera che portava all’ingresso sfar-
zoso del palazzo, un uomo in divisa mi si fece avanti, era il
portiere.
-Buon giorno signore, è qui per qualcuno?- mi domandò
garbatamente.
-Sono uno detective privato-, dissi cercando di mascherare
la paura che mi cacciasse via, -avrei bisogno di parlare con il
signore o la signora Bramante, se è possibile-.
-Potrei vedere un documento, per favore?-
-Certo-. con la mano che tremava gli porsi la mia tessera di
investigatore, lui la guardò bene, poi me la consegnò.
-Prenda l’ascensore e salga all’ultimo piano, arrivederci-.
-Grazie-. Mi avviai verso il lussuoso ascensore camminando
168
sopra di un tappeto rosso, schiacciai il pulsante per l’ultimo
piano e salii, sempre più incredulo di quanto stava accaden-
do.
Uscendo dall’ascensore mi ritrovai in un corridoio adornato
con lampadari, quadri e cornici varie, mentre le pareti erano
sempre di mattoni scuri, gli stessi di cui era costituito il ca-
stello Sforzesco.
C’era una strana atmosfera in quel posto, mi ricordava molto
il palazzo del film “Rosemary’s baby”, e la cosa non era
molto piacevole.
Sembrava che l’intero piano appartenesse alla famiglia
Bramante, non feci in tempo ad avvicinarmi alla porta
d’ingresso che quella si aprì e un domestico mi si presentò
davanti: -Il Signor Bramante l’attende, ma la prega di essere
piuttosto rapido-.
-Come un fulmine-. assicurai entrando nel lussuoso appar-
tamento.
L’interno dell’appartamento era completamente ammoder-
nato e arredato con molto gusto, c’erano diverse opere scul-
toree, quadri ed artefatti preziosi, i mobili in legno sembra-
vano antichi e pregiati.
Mi venne in contro un uomo di mezza età, Leonardo Bra-
mante, il bis-nipote del defunto Everardo.
-In cosa posso esserle utile, detective?- mi chiese con molto
garbo.
-Ecco, non so se siete stati avvertiti, ma qualcuno è entrato
nella vostra tomba di famiglia, al Monumentale-.
-Cosa? Nella nostra tomba? Dice sul serio?-
-Sì, non sappiamo ancora chi sia stato, molto probabilmente
i soliti vandali, ma non è da escludere qualche predatore di
tombe, ci sono alcune famiglie che posseggono oggetti pre-
ziosi in questi sepolcri-.
-Sì, anche noi vi abbiamo posto qualcosa. E hanno portato
via qualcosa? Fatto danni?-
169
-Non sembra, è difficile a dirsi, lei era a conoscenza di una
stanza segreta sotto la tomba?-
-Stanza segreta? Vuole scherzare?-
-No, non direi. Credo fosse del suo avo, il marchese Everar-
do Bramante, dentro c’era una specie di sala, con scrivania,
libri antichi e cose del genere. Per questo sono qui, non vor-
rei che in realtà qualcuno cercasse qualcosa che apparteneva
al suo antenato, qualcosa che forse non era più nella tomba,
bensì qui. Avete forse conservato qualcosa di suo?-
-E’ una storia piuttosto strana-. disse Bramante prendendo
del whiskey da una bottiglia e versandolo in un bicchiere, -
Ne vuole un bicchiere anche lei?-
-No, grazie-.
-Sì, in effetti abbiamo tenuto parte delle sue cose, più che
altro perché hanno un discreto valore di antiquariato e non
solo. Il nonno aveva uno studio proprio qua sopra, nella tor-
re, ma dopo la sua morte nessuno ci è più entrato, io non
l’ho mai visto, mio padre sin da quando era piccolo mi ha
sempre proibito di entrarvi-.
-E come mai?-
-Non lo so, e comunque non c’è modo di entrarvi, la stanza è
chiusa da una chiave molto particolare, a forma di stella,
senza non c’è modo di accedervi. Le confesso che c’è stato
un periodo in cui ho provato di tutto per entrarvi, ma l’unico
sistema sarebbe stato quello di abbattere l’intera parete e da-
ta l’età di questi muri, avrei fatto più danni che altro, così ho
lasciato perdere, e col tempo non ci ho più pensato-.
-Posso vederla?-
-Certo, venga con me-.
Seguii il Bramante attraversando alcune stanze, poi salii una
piccola scala a chiocciola di pietra, da lì in poi le pareti non
erano più intonacate ma erano di vecchi mattoni scuri, sta-
vamo entrando nella torre. Da una anticamera circolare si
poteva proseguire verso una porta ed uscire sul terrazzo, o
170
raggiungere altre stanze. Tra un paio di librerie ammuffite
c’era una massiccia porta di pietra con strani simboli scolpiti
in bassorilievo.
-Ecco, questo è lo studio del nonno. Come può vedere, è i-
naccessibile-.
Osservai meglio la superficie della porta, vidi che al centro
c’era una fessura a forma di stella, d’un tratto mi ricordai
dell’oggetto metallico che avevo trovato nella tomba e lo
tirai fuori.
-E quello cos’è?- mi chiese Bramante.
-Credo fosse di suo nonno, l’ho trovato sul pavimento della
vostra tomba, probabilmente è caduto ai profanatori-. Bra-
mante bevve la storia e mi guardò con trepidazione mentre
infilavo l’oggetto nella fessura, la stella entrò, la girai e un
meccanismo scattò, mi feci indietro e la porta si aprì lenta-
mente verso l’interno.
-C’è riuscito…- fece sbalordito Bramante, mentre sorridevo
soddisfatto.
Dentro la camera era fiocamente illuminata dalla luce che
entrava dalle piccole finestrelle ad arco sulla parete esterna
della torre.
C’era molta puzza di chiuso ed entrammo con un fazzoletto
sulla bocca.
Lo studio del Bramante era sbalorditivo, la stanza circolare
aveva un diametro di almeno una dozzina di metri ed era al-
ta almeno sei/sette metri, le pareti erano coperte da altissime
librerie e scaffali contenenti testi, libri, mappe e volumi de-
cisamente antichi, ma anche oggetti, feticci, sculture, penda-
gli e quadri di gusto esoterico ed occulto. In un armadio
Bramante trovò delle strane vesti scure, ed abiti da cerimo-
nia.
Sulla scrivania invece trovai alcuni appunti di viaggio, e del-
le note molto interessanti. A quanto pare prima di morire il
vecchio Bramante aveva fatto un viaggio d’affari negli Stati
171
Uniti, precisamente a New Orleans, nell’anno 1932, per ac-
quistare un preziosissimo oggetto d’antiquariato. Bramante
descriveva il luogo di quell’incontro come una grande sala
adorna di arazzi dalle scene bizzarre e tappeti Bokhara
d’impressionante bellezza e antichità, nell’aria si spandeva-
no i fumi ipnotici dell’olibano, mentre in una nicchia tic-
chettava un curioso orologio a forma di bara, sul cui qua-
drante erano tracciati strani geroglifici e quattro lancette si
muovevano in maniera inconsueta.
-Di cosa è morto il suo bisnonno?- chiesi al Bramante.
-Ha avuto un attacco di cuore poco dopo il suo ritorno a casa
da un viaggio di affari-.
-Quanto dopo?-
-Credo addirittura il giorno dopo, ma non ne sono certo,
queste cose me le raccontava mio nonno da piccolo-.
-Beh, io devo andare-, dissi, -la ringrazio per l’aiuto, le farò
sapere se ci fossero sviluppi sull’indagine-.
-La devo ringraziare io, senza di lei non avrei mai aperto
quella dannata porta-.
Poco dopo uscii da quel suggestivo ed antico palazzo signo-
rile per rientrare nel caos della metropolitana. Arrivai a casa
che erano quasi le 19, e nel mio viaggio di ritorno ebbi mo-
do di riordinare le idee: con ogni probabilità Bramante par-
tecipa nel 1932 all’incontro tenutosi nella casa del più gran-
de mistico, matematico e orientalista del continente ameri-
cano di cui Lovecraft parla nel suo racconto Attraverso le
Porte della Chiave D’argento, in qualche modo riesce a far
suo lo scrigno con la chiave d’argento e a portarlo in Europa
per la Loggia di Cagliostro. Dopo averlo nascosto nella sala
sotto la tomba però non fa in tempo ad avvertire gli altri ac-
coliti perché, colto da un improvviso attacco di cuore, il
vecchio ed erudito antiquario muore, così lo scrigno con la
chiave rimane nascosto per decenni fino al nostro arrivo.
Pazzesco…
172
Appena rientrai in casa trovai mia madre intenta a preparare
parte del materiale per la ricorrenza del 50° della ricostru-
zione del nostro santuario, e solo quando la vidi mi ricordai
che alcuni giorni prima mi aveva chiesto qualcosa.
-Ciao, mà-. la salutai levandomi i vestiti bagnati.
-Ma sei tutto bagnato, non avevi con te l’ombrello?- mi
chiese portandomi uno straccio.
-Tu che dici?-
-Di un po’, mi hai già sistemato le foto del santuario che ti
avevo chiesto?-
-Oh cavolo, ecco cosa dovevo fare. Lo faccio subito-.
-Guarda che è domenica la ricorrenza-.
-Sì, sì, ora le sistemo-.
Asciugatomi e ripulitomi andai in camera mia e accesi il
computer, mia madre mi aveva portato un cd-rom con le
vecchie foto del santuario prese dagli archivi
dell’arcivescovado e scannerizzate da un amico. Io dovevo
inserire le foto all’interno di alcuni documenti word recanti
le rispettive didascalie.
Ora: chiamatela fortuna, chiamatelo fato, chiamatela come
vi pare, ma tra le varie foto e raffigurazione del santuario
antecedenti al bombardamento ce ne fu una che mi colpì.
-Io questa l’ho già vista-. pensai ad alta voce.
Poteva essere uno scherzo del destino, o più probabilmente
il Custode aveva calcolato tutto, e aveva destinato a noi una
parte principale proprio perché eravamo di Borgo Sforza.
Andai a prendere l’immagine di uno dei quadri di Legnani,
quello della Crocifissione di San Pietro e lo affiancai a quel-
lo della stampa del santuario originario: la chiesa sullo sfon-
do del quadro era identica al nostro Santuario…
Immediatamente chiamai i miei tre amici, dicendo che do-
vevo vederli immediatamente dopo cena, e che la cosa era
tanto urgente che non potevo attendere il giorno dopo.
Ci trovammo nel piccolo parco davanti a casa mia, grazie al
173
cielo aveva smesso di piovere, era ormai buio pesto, ed i
miei compari erano ansiosi di conoscere la mia scoperta.
Mostrai loro una stampa della raffigurazione del santuario
originale e tirai fuori anche quella del quadro, inutile dire
che rimasero a bocca aperta.
-Io non credo sia un caso-, dissi mentre si passavano le due
stampe, -siamo stati scelti noi per indagare sui quadri pro-
prio perché siamo di Borgo Sforza. Ed è facile immaginare
che dentro il santuario troveremo la chiave del mistero-.
-Ma il santuario è stato ricostruito, qualunque cosa ci fosse è
andata distrutta-. mi fece notare Abdul.
–No se si tratta di una passaggio-.
-Credi che sotto il santuario ci sia uno dei tunnel che condu-
cono sotto la basilica?- mi chiese Randolph.
-Non lo credo, ma lo spero, e comunque dubito si tratti di
una passaggio qualunque, Thermogorothus l’ha immortalato
su tela, in uno dei suoi dipinti più agghiaccianti, nasconde
sicuramente qualcosa di molto più inquietante-.
-Ragione in più per starci alla larga-. commentò Randolph.
-Non posso darti torto, ma davvero non vuoi andarci?-
Randolph mi guardò e sorrise: -Quando partiamo?-
-Ora la chiesa è chiusa, ma forse il passaggio è esterno, con-
viene andare a controllare, ad ogni modo sarebbe meglio
scendere domani nel passaggio, sempre che lo troviamo-.
suggerii.
-Dici che sia esterno?- mi chiese Abdul.
-Beh, dubito che abbia ricostruito il santuario esattamente
sui resti dell’altro, certo, il passaggio, se esiste, potrebbe an-
che essere dentro, ma sono anni che vado a messa la dome-
nica e spesso sono stato dietro l’abside e nelle altre camere
dietro la sacrestia, mai visto niente che facesse pensare ad
un passaggio, non c’è niente dentro la chiesa. Ne sono certo-
.
-Beh, andiamo a dare un’occhiata al cortile sul retro-, disse
174
Abdul, -le ultime volte che abbiamo fatto il vin brulet a Na-
tale mi è sembrato che ci fosse una botola o qualcosa del ge-
nere nascosta da qualche parte là dietro-.
D’accordo sull’andare a controllare l’effettiva presenza del
passaggio ci incamminammo verso Borgo Vecchia ed il
Santuario.
In cuor mio non sapevo se sperare che il passaggio ci fosse o
meno, era tutto così irreale, ma tremendamente affascinante.
Per strada c’era ancora un discreto via vai di macchine e
motorini, non era molto tardi infondo, ma questo non agevo-
lò il nostro lavoro, davanti al sagrato della chiesa si riuniva
infatti il solito gruppo di ragazzi sfaccendati e perditempo,
che non avevano niente di meglio da fare che gareggiare con
i motorini o giocare a calcio usando il portone del santuario
come porta, benché il nostro parroco gli avesse ripetutamen-
te redarguiti, e quelli per tutta risposta gli avevano incendia-
to lo stipite del portone.
Ad ogni modo non potevamo entrare nel cortile recintato dal
davanti, ci toccò così fare il giro e scavalcare la cancellata,
con qualche difficoltà per Tindiana e Randolph, non proprio
gli sportivi del gruppo.
Il cortile era immerso nel buio, avevamo con noi le nostre
torce, sempre utili in simili situazioni, camminando come
ladri tra le erbacce e gli arbusti del piccolo cortile control-
lammo il terreno cercando la famosa botola di cui aveva
parlato Abdul.
Non fu facile la ricerca, le erbacce erano fitte e spesse, gli
insetti ci ronzavano attorno, e avevamo una paura bestiale
che qualcuno ci sorprendesse, cosa avremmo raccontato?
-Eccola!- esclamò Abdul, -L’ho trovata-.
-Non gridare-, feci a denti stretti, -vuoi farci beccare?-
Il mio amico strappò alcune erbacce e liberò meglio
l’apertura nel terreno, più che una botola sembrava una gri-
glia di metallo.
175
-Sicuro? A me sembra un tombino-. gli dissi.
-Scemo, ti pare che mettano un tombino per le fogne qua
dietro?-
-Non mi sorprendo più di niente-.
-Voi che dite?- domandò Abdul.
-Non so-, rispose perplesso Randolph, -bisognerebbe solle-
vare la griglia e scendere-.
-Avanti, tocca a te-. dissi ad Abdul.
-Perché proprio io?-
-Perché hai trovato tu la botola-. mentre Abdul mugugnava
sollevammo la griglia utilizzando qualche attrezzo come le-
va, non fu molto difficile, anche se la griglia doveva essere
di ghisa e pesava un bel po’.
Lo stretto condotto era buio, la luce delle torce lo illumina-
rono e vedemmo che era profondo circa 5m, le pareti erano
rivestite di mattoni di pietra, e da un alto c’erano delle rien-
tranze, delle scanalature abbastanza profonde, come se for-
massero una scala a pioli.
-Forza, scendi-. dissi ad Abdul.
-Scendi tu, io là sotto non ci vado-. protestò il mio amico, -è
stata una tua idea di venire qui, per cui tocca a te. Voi an-
dare nel New England, no? E allora scendi-.
Non avevo né tempo né voglia di rispondere così mi decisi,
presi la corda che Tindy teneva nello zaino e me la legai in
vita: -Se cado, tenetemi-. dissi prima di scendere giù di sot-
to.
Mentre Abdul e Randolph mi tenevano con la corda Tindia-
na mi illuminava il condotto con la torcia elettrica, era pieno
di ragnatele là sotto, e io odio le ragnatele.
Dopo un minuti circa riuscii a scendere di sotto, avevo una
paura del diavolo, e quanto vidi non fece altro che alimenta-
re il mio terrore.
–Oh diavolo!- esclamai.
-Che c’è?!- fecero allarmati i miei amici.
176
-E’ pieno di topi quaggiù, e c’è una puzza tremenda-.
-Vorrà dire che torneremo con un po’ di napalm-. ripose
Tindiana ridendo, ma non c’era proprio niente da ridere.
Ero sbucato in un tunnel scavato nel terreno e nella roccia,
quando puntai la torcia davanti a me il cuore mi balzò in go-
la dappertutto c’erano ragnatele, topi…e scheletri umani,
decine, centinaia di scheletri umani disseminati per tutta la
galleria.
-Merda!! Fatemi uscire da qui!- gridai arrampicandomi su
per il pozzo aiutato dai miei amici che mi tiravano su con la
corda.
-Dio santo, sei bianco come un morto-, balbettò spaventato
Randolph, -che diavolo c’è la sotto?-
Mi sdraiai sul terreno, boccheggiante, tremavo ancora per
quanto avevo scoperto.
-Tieni, un po’ d’acqua-. Abdul mi passò la borraccia che si
portava sempre dietro e mi ne bevvi un sorso.
-Allora?- mi domandò nuovamente Randolph.
-Allora c’è che quella non è né una galleria, né un tunnel né
niente del genere, è una tomba, un cimitero!-
-Cosa?!- esclamarono i miei amici spaventati.
-Là sotto è pieno di scheletri, tutto il pavimento è ricoperto
di ossa umane, teschi e ragnatele. Dio santo, è terribile-.
-Ma com’è possibile?- domandò Randolph guardando Tin-
diana.
Il mio amico rimase in silenzio un attimo, poi gli occhi si
illuminarono: -Ma certo, la peste!-
-Peste?- domandai.
-La peste manzoniana. Scommetto che ai tempi quando la
peste arrivò fin qui la gente del paese pensò bene di seppelli-
re i cadaveri degli appestati in fosse comuni, ma invece di
scavarne una hanno scoperto il tunnel e lo hanno riempito in
gran segreto di tutti quei cadaveri. È l’unica spiegazione che
mi viene in mente-.
177
-Ma altamente probabile-. disse Randolph.
-E ora?- feci.
-Per andare avanti dovremmo attraversare quel cimitero di
appestati-, disse Tindiana, -non so come ma dovremo farlo-.
-Non sono molto convinto, sai?- fece Abdul.
-Ha ragione-, gli fece eco Randolph, -un conto è attraversare
una galleria segreta in piena notte, un altro è farlo con la gal-
leria disseminata di cadaveri-.
-Ma che te ne frega, tanto è solo un gioco-, lo schernì Tin-
diana ridendo, -se tanto mi da tanto quelli non sono veri ca-
daveri. Tu che dici?-
-Beh, può anche essere, però…-
-…perché rischiare? Vero? Sempre la solita storia, non ci
credete ma ne avete il terrore-.
-Invece di ricominciare a discutere-, dissi, -troviamo una so-
luzione. Non credo che questo cimitero vada avanti per mol-
to, forse solo un centinaio di metri-.
-E se invece fossero streghe bruciate dall’inquisizione?- dis-
se Randolph.
-Perché dovrebbero?- domandò Tindy.
-Perché ricordati che questa galleria era in un luogo sacro, e
chi ci seppellivano sotto chiese e cattedrali? Anche
Sant’Ambrogio è stato costruito su di un cimitero-.
-No, non credo, penso sia come ho detto prima, un cimitero
di appestati. Pensa, era un ottimo nascondiglio, chi mai li
avrebbe cercati sotto una chiesa? E poi di streghe qua non ne
hanno bruciate molte, e comunque non così tante quanti i
resti che ha visto lui-.
-Già, può darsi, ma il problema rimane-.
-L’unica è tapparsi il naso e andare avanti-. suggerì Tindia-
na.
-Io non attraverso un cimitero di appestati, sempre che ci sia
solo quello-. protestò Abdul.
-Prendila come una prova di coraggio-, gli dissi, -tu sai bene
178
che questo è un gioco di ruolo, a differenza di molti altri,
mette alla prova i giocatori sull’intelletto, il coraggio e la
spirito di avventura, e non sulla forza o l’abilità. Dobbiamo
vincere la paura e scendere. Insieme potremmo anche farce-
la, dopotutto si tratta di attraversare un tunnel di ossa am-
muffite e ragnatele, non può di certo ucciderci-.
-Ha ragione-, mi spalleggiò Tindiana, -è una prova come tut-
te le altre, è in situazioni come queste che viene fuori lo spi-
rito di gruppo, singolarmente credo che nessuno riuscirebbe
a fare un solo passo là sotto, ma assieme ci faremmo corag-
gio l’un l’altro-.
-Che dici, noi non abbiamo mai avuto uno spirito di gruppo-
. fece Randolph.
-Lo so, ma almeno per una volta dovremmo almeno fingere
che ci sia-. gli rispose Tindy.
Mentre i due discutevano io richiusi la botola e andai a con-
trollare che la via fosse libera per ritornare indietro.
Non fu facile convincere Randolph e soprattutto Abdul, ma
alla fine, come sempre, lo spirito d’avventura e l’intenzione
di portare a termine il gioco prevalsero, decidemmo così che
la sera successiva saremmo scesi nel tunnel, volenti o nolen-
ti.
Il giorno seguente, dopo le lezioni pomeridiane, con la piog-
gia che aveva incominciato a cadere subito dopo pranzo, ci
ritrovammo in uno dei chiostri del cortile, sistemammo i no-
stri libri di università in un armadietto per lasciar spazio a
cose più utili all’avventura, come torce elettriche, un piccolo
astuccio con cacciaviti e brugole, un mini kit di pronto soc-
corso che di solito tengo in macchina, più altre cose, com-
preso il manuale del gioco di ruolo e vari libri di e su Love-
craft.
Verso le 18 tornammo a Borgo Vecchia, con il solito treno
di pendolari, il santuario era deserto, non c’era nessuno in
giro, il cielo era coperto da una fitta coltre di nubi grigie, e
179
nonostante l’ora era già buio.
Non so dire le innumerevoli volte che ero stato al Santuario,
ma se prima lo riconoscevo solo come la casa del signore
eretta nel luogo in cui una volta si era manifestata la Ma-
donna, ora che ero a conoscenza del suo segreto le sue gu-
glie e i suoi archi mi sembravano più adunchi e minacciosi,
le finestre tetre e oscure e i portoni minacciosi.
Entrammo silenziosamente nel cortile, l’erba era tutta ba-
gnata, ed anche noi, nonostante i k-way eravamo piuttosto
fradici, prendemmo dei rami piuttosto grossi dall’albero di
susine lì nel cortile, ne avremmo avuto bisogno per farci
strada in mezzo a quello schifo.
Con noi avevamo portato un po’ di tutto, dalle torce alle ar-
mi, dalle raccolte dei racconti di Lovecraft al Manuale del
Gioco di Ruolo, dalle borracce dell’acqua a dei viveri, più
altre cianfrusaglie più meno utili. Ero molto, molto nervoso,
per l’eccitazione e per la paura di poter incontrare là sotto
qualcuno o, peggio, qualcosa...
Riaprimmo nuovamente la grata, ci augurammo buona for-
tuna a vicenda e, trattenendo il fiato, scendemmo giù uno
alla volta, discendendo quei pioli scavati nella roccia, e at-
terrando sul macabro suolo di ossa, fango e ragnatele.
Ritrovandomi nuovamente in quel luogo misterioso ed anti-
co mi riempì nuovamente di eccitazione e la passione per il
mistero oscurò per un po’ la paura che avevo in cuore.
Una volta tutti nella galleria potemmo calarci il cappuccio
del k-way dalla testa, accendemmo le torce e prendemmo in
mano i bastoni.
-Diavolo, che spettacolo-. esclamò Randolph alla vista di
tutti quegli scheletri e le ossa disseminate su pareti e pavi-
mento, intrappolate in nugoli di fango e ragnatele.
-Sarà meglio mettersi queste-. dissi mentre prendevo dal mio
zaino quattro mascherine da infermiere.
-E dove le hai rubate?- mi chiese Abdul.
180
-Non le ho rubate, lo sai che mio padre lavora nel campo
dell’infortunistica e della sicurezza sul lavoro, no? Me le
sono fatte procurare. Ma se vuoi respirare questa fantastica
aria malsana…-
-Accetto il dono, grazie-. infilammo tutti le mascherine, ci
sarebbero volute delle vere e proprie maschere antigas là
sotto, ma per quelle ci voleva più tempo e dovemmo accon-
tentarci.
Mossi i primi passi in quella macabra distesa di ossa umane,
io stavo davanti e facevo strada spostando le tele di ragnate-
la con il bastone, anche se un lanciafiamme sarebbe stato
decisamente più appropriato.
La traversata di quel tunnel è uno dei ricordi più terribili del-
la mia memoria e credo lo sia anche per i miei amici, i resti
di quei cadaveri erano disseminati per non più di 100m, ma
furono i 100m più lunghi della nostra vita.
Centinaia di corpi che una volta erano umani ammassati
l’uno sull’altro, morti di peste, e dati in pasto a ratti e vermi,
c’era una terribile aria malsana là sotto, e non mi riferisco
solo alla contaminazione dei germi della malattia che per
quattro secoli avevano aleggiato in quel tunnel, ma anche
agli spiriti di quei morti dimenticati e abbandonati in quel
maledetto cunicolo, e a vedere alcuni di quegli scheletri mi
venne da pensare che non tutti i corpi erano davvero morti
quando li avevano seppelliti per sempre in quel tugurio mar-
cescente.
In quel silenzio tombale in cui si sentivano solo il nostro re-
spiro affannato, i battiti dei nostri cuori impauriti, e il rumo-
re dei nostri passi incerti sul terreno limaccioso ricoperto di
ossa e vermi, mi pareva di udire l’eco lontano delle urla di
disperazione di quei morti, e nella mia mente si era creata
l’immagine di quegli uomini e quelle donne ricoperte di
stracci, dal volto e la pelle deformati dalla malattia invocare
pietà, e tendere invano le mani verso l’unica apertura di
181
quella fossa comune che si stava lentamente chiudendo per
sempre, un’immagine angosciante, raccapricciante, che cer-
cai di scacciare dalla mia mente prima di impazzire del tutto.
Gli ultimi cinque metri di quel cimitero li percorremmo a
tutta velocità, appena vedemmo la sua conclusione in una
vecchia e consunta grata di metallo che serrava il tunnel, una
grata dai cardini ormai marciti e che non avemmo difficoltà
a sfondare spingendo tutti assieme, mentre sentivamo ancora
dietro di noi le presenze angosciate e sofferenti di tutti quei
morti.
Passare quella grata fu una liberazione, percorremmo pochi
metri e poi ci fermammo a prendere fiato togliendoci le ma-
scherine, cercammo di liberarci dell’aria insalubre che ave-
vamo respirato sputando in terra, ma era una magra soluzio-
ne, perché quei cento metri li avremmo avuti scolpiti dentro
di noi per sempre.
-Tutto bene?- chiesi agli altri, i miei amici annuirono, e ci
rimettemmo subito in cammino, bramosi di lasciarci ben alle
spalle quel cimitero straziante.
La galleria era buia e silenziosa, sentivamo solo lo scorrere
dell’acqua sopra le nostre teste, la roccia delle pareti era in-
fatti molto umida e spesso incontravamo vere e proprie
chiazze d’acqua.
–Questi tunnel devono essere quelli costruiti dagli Sforza
per fuggire dalla città-, disse Randolph,
-ne avevo già sentito parlare, forse finiremo sotto il Castello-
.
-Io dico di no-, gli rispose Tindiana, -penso che arriveremo
sotto la Basilica di Sant’Ambrogio, come predetto-.
-Speriamo, altrimenti sarebbe tutta fatica sprecata-.
Camminare così alla cieca in attesa di non si sa cosa era
molto snervante, e la paura incominciò nuovamente a torna-
re fuori, se ci fosse accaduto qualcosa chi ci avrebbe tirato
fuori di lì?
182
Ogni tanto trovavamo altri tunnel che si congiungevano con
il nostro, non sapevamo dove potevano dirigersi, ma sem-
brava comunque che il nostro fosse il tunnel principale.
Dopo quasi un’ora di cammino in quel tunnel illuminato so-
lo dalle nostre torce ci fermammo un attimo a prendere fiato.
-Ma non ci sono aree ristoro in questo posto?- domandai re-
toricamente.
-Non credo che le avessero inventate-. mi rispose Randolph.
-Beh, dopo non so quanti secoli potrebbero anche fare un
po’ di manutenzione-. ribattei.
-Non è che il comune possa far molto con tutti gli evasori
fiscali che abbiamo-. fece Tindiana.
-E i pensionati che dobbiamo mantenere-. aggiunse Abdul.
D’un tratto udii qualcosa in lontananza: -Ssst, fate silen-
zio…- dissi fermandomi, -Spegnete le torce, presto-. senza
chiedere alcuna spiegazione i miei amici si zittirono
all’istante e spensero le torce, rimanendo immobilizzati.
-Ascoltate-, sussurrai, -sento qualcosa davanti a noi, qualco-
sa che striscia-. il buio in cui eravamo immersi ci impediva
di vedere il pallore dei nostri volti e la paura dipinta su di
essi, in lontananza si sentiva qualcosa che strisciava in terra,
qualcosa di tremendamente lungo e grosso, e di vivo!
Il suono grazie a Dio sembrava allontanarsi, poi udimmo
come un rumore di pietre che si muovevano e delle piccole
pietre che cadeva in terra, come se quella cosa stesse stri-
sciando dentro ad un buco nella parete, rimanemmo fermi
ancora per alcuni minuti dopo che quel rumore terminò.
Riaccesi la torcia e tirai un sospiro di sollievo.
-Merda-, fece Abdul, -me la stavo facendo sotto, ma che
diavolo era?-
-Non lo so, e non mi interessa scoprirlo-. gli risposi ripren-
dendo lentamente il cammino mentre ancora cercavo di ri-
prendermi dallo spavento di poter incontrarmi con quella
cosa che strisciava.
183
Una ventina di metri avanti a noi trovammo un buco tra il
pavimento e la parete, un buco non più largo di 30 cm, dal
quale partiva una sottile scia viscosa e nauseabonda, lungo
la quale era evidente anche il trasporto di pietrisco e polvere,
non fu difficile seguirla fino ad alcuni metri più avanti, dove
si infilava dentro un altro buco posto a metà della parete a
circa un metro da terra, e grande quanto l’altro, la pietra e i
calcinacci in terra mostravano che la cosa si aveva allargato
il buco per entrarvi in qualche modo.
-Ma che diavolo era?- ripeté nuovamente Abdul, scosso
quanto noi.
-Perché non la chiami e glielo chiedi?- gli dissi mentre ri-
prendevo ad andatura veloce il cammino.
-Hai inserito il passo Mary Posa?- fece il Tindy mentre sten-
tava a starmi dietro dato che il suo passo era lungo quanto la
metà del mio (per evidenti ragioni di statura).
-Esatto-. risposi.
Per passo “Mary Posa” si intende una cammina a lunghe fal-
cate e piuttosto rapida, il nome è dato dal fatto che spesso,
quando ci rechiamo al Mary Posa della metrò di Pz.Duomo,
incrociamo lo sguardo con altri metallari evidentemente di-
retti al suddetto negozio e per timore che arrivino prima di
noi soffiandoci il cd che stiamo per comperare adottiamo un
passo veloce e a larghe falcate, il passo “Mary Posa” appun-
to.
Ben contenti di lasciarci alla spalle quella cosa, qualunque
cosa fosse, precedemmo lungo il tunnel che ogni tanto cur-
vava, voltava, incrociava altri tunnel più piccoli, e sembrava
non finire mai, finché, dopo un paio d’ore di cammino:
–Guardate-, esclamai a bassa voce, -forse ci siamo-.
Col cuore in gola ci ammutolimmo e con piedi felpati ci di-
rigemmo verso l’uscita ma mai avremmo creduto di trovarci
di fronte ad una scena simile, che ci sconvolse letteralmente.
Le luci delle torce illuminarono a tratti quella che era una
184
camera di circa cento metri quadri, alta forse sei, intarsiata e
arredata in stile egizio: sulle pareti c’erano raffigurazioni e
scritte che ricordavano le camere mortuarie dei Faraoni,
scene di guerra, dipinti di strane e ciclopiche creature prove-
nienti dal cielo, intere armate spazzate via da mostri tentaco-
lari e informi, l’occhio di Ra, credo, che sovrastava le scene
apocalittiche, in più diversi geroglifici, alcuni dei quali ri-
portavano a fianco quella che sembrava una traduzione in
greco antico, o almeno così disse Randolph.
Nel centro della camera c’era una specie di altare, anch’esso
con simboli e decorazioni egizie, c’erano poi altri cinque
condotti che partivano nel buio, uno in particolare destò la
nostra attenzione perché era il più maestoso di tutti e portava
stipiti di legno con varie decorazioni e bassorilievi rappre-
sentanti teste di animali, o più probabilmente di divinità egi-
zie, come il lupo, il gufo, il serpente, il bue e altri ancora.
In alto, a circa una decina di metri c’era il soffitto a volta,
una cupola finemente dipinta con immagini di orrende crea-
ture marine che assalivano velieri e vascelli enormi ma che
per loro non erano più grandi di una mano.
Infine c’era una porta aperta dalla quale si potevano intrave-
dere delle scale che salivano di sopra. –Dio del cielo-, e-
sclamai, -ma dove siamo finiti?-
-Credo sia il punto internodale-, disse Tindiana mentre os-
servava alcuni affreschi puntando la torcia contro la parete, -
sotto la basilica-.
Mentre ammiravamo stupefatti quelle meraviglie, Randolph
ci chiamò perché era riuscito a tradurre una delle iscrizioni
sulla parete, dal greco all’italiano:
-Sette peccati capitali, sette modi per trionfare
Sette sacri sentieri per gli inferi, e il tuo viaggio ha inizio
Sette discese scoscese, sette speranze insanguinate
Sette sono i tuoi fuochi ardenti, sette i tuoi desideri… -
-E che diavolo significa?- domandai pur sapendo che non
185
avrei ricevuto risposta sensata.
-Non so, ma mi ricorda qualcosa-. fece il Tindy.
Continuammo il giro attorno a quel luogo magico, in un an-
golo trovammo una piccola libreria ed una scrivania entram-
be ricoperte da secoli di polvere e ragnatele, i libri e le carte
erano ormai marciti, inservibili, e forse era meglio così,
sembravano essere libri di magie ed incantesimi che è me-
glio non pronunciare, ed in mane sbagliate sarebbero stati
decisamente pericolosi.
Più tempo passavamo dentro quel posto più temevo che da
un momento all’altro potesse succedere qualcosa, non ero
per niente sicuro, da quegli altri tunnel poteva giungere
qualcun altro con intenzioni differenti dalle nostre.
Ora che eravamo giunti lì rimaneva da capire cosa ci stava-
mo a fare, doveva per forza avere un senso la nostra presen-
za lì sotto, dovevamo aspettare qualcuno? Qualcosa? Una
cosa era certa, i nostri nervi erano messi a dura prova.
Mentre Randolph continuava ad osservare le incisioni e le
scritte cercando di tradurre qualcosa, noi te frugavamo in
giro in cerca di qualcosa che ci potesse servire, e grazie ad
un caso fortuito Abdul trovò in un doppio fondo del cassetto
della vecchia scrivania, un vecchio libro dalla copertina di
pelle scura, ormai impolverata e rovinata, al suo interno le
pagine erano consunte ed ingiallite, centinaia di disegni e
scritte arcaiche, geroglifici, ma anche pagine in greco ed in
arabo, in una sezione del libro erano riportate delle mappe di
tunnel e gallerie che attraversavano la terra.
D’un sinistro rumore proveniente dalle profondità dei tunnel
ci intimarono di andarcene alla svelta.
-Speriamo che quelle scale portino su alla cripta della basili-
ca-. dissi dirigendomi verso la porta che dava sulle scale.
Le scale di pietra immerse nell’oscurità salivano per diversi
metri come scala a chiocciola, fino ad una massiccia porta di
legno rinforzato, stavo per tirare i paletti ed aprirla quando
186
Tindiana mi bloccò: -Aspetta-.
-Che c’è?-
-Un pensiero agghiacciante: guarda tutte queste incisioni
sulla porta, sembrano delle scritte-.
-E allora?-
-Beh, in alcune civiltà antiche, egizi inclusi, questo genere di
scritte erano una maledizione, una trappola. Pensaci: credi
davvero che abbiano messo qui una porta che si possa aprire
così facilmente?-
Mi voltai e guardai anche gli altri due.
-In effetti è da gioco di ruolo-, aggiunse Randolph, -ti mo-
strano la via all’apparenza più semplice ed invece nasconde
una trappola mortale. Purtroppo non saprei tradurre queste
scritte, magari non c’è scritto nulla di importante, ma il ra-
gionamento del Tindy è plausibile. Dopotutto la tomba di
Tutankamon è ancora un mistero, la famosa maledizione pa-
re abbia colpito chi l’ha scoperta. Io non conosco l’egizio
ma queste scritte e geroglifici incisi ci assomigliano. Ma a-
vrei paura anche se fosse mesopotamico-.
-Allora che si fa?- fece Abdul.
-Troviamo un’altra uscita-. suggerì Randolph.
-Forse gli altri tunnel che abbiamo incrociato portano da
qualche parte-. disse Tindy.
-Indubbiamente-, gli rispose Randolph, -ma dove?-
-Prendi quel libro che hai trovato-. dissi ad Abdul, il mio
amico posò lo zaino che aveva sulle spalle e tirò fuori il vec-
chio libro e me lo passò.
Diedi una rapida occhiata e ritornai alla sezione delle carti-
ne, mi pareva chiaro: -Sembrano i disegni di tutti i tunnel ed
i cunicoli che passano sotto la Terra, sono una specie di
mappa generale di queste gallerie-.
-Fa vedere-.
Randolph mi prese il libro di mano e lo sfogliò: -Ci sono di-
verse scritte, in greco, in arabo ed in una lingua astrusa, for-
187
se morta. Devo essere delle indicazioni, didascalie, descri-
zioni varie-.
-Ci sono trappole?- domandai.
-E come faccio a saperlo? Dovrei tradurre tutto-.
-Può essere un rischio addentrarsi tra questi cunicoli senza
aver tradotto la mappa-. suggerii, -Potrebbero esserci dei pe-
ricoli o delle trappole, e su quella mappa saranno sicuramen-
te indicati-.
-Ha ragione-, mi spalleggiò Tindiana, -per girare qua sotto
dobbiamo prima tradurre la mappa-.
-E allora come usciamo da qua?- fece Abdul.
-Per l’unica via sicura che conosciamo-. gli risposi, -Quella
che abbiamo fatto per arrivare fin qui-.
-E riattraversare quel cimitero di appestati?-
-Hai idee migliori?-
-Passare per quella porta. La storia della maledizione o della
trappola è troppo fantastica, mi sembra più una stronzata-.
Abdul stava già per mettere mano alla maniglia quando glie-
la afferrai: -Ricordati che nei film dell’orrore c’è sempre
qualcuno che fa qualcosa di veramente stupido, come scate-
nare maledizioni o far scattare trappole mortali per ingenui-
tà. Ora, siccome siamo una squadra, quello che fa ognuno di
noi si ripercuote inevitabilmente su tutti. È vero, può essere
solo una stronzata, ma guardala bene questa porta, tutti quei
segni, quei geroglifici, quelle incisioni, quegli arabeschi che
la coprono interamente non sono lì solo per ornamento.
Questa porta traspira maledizione ed orrori ancestrali da o-
gni angolo, non lo senti?-
-Io non sento un accidente, sai che non credo a queste cose-.
fece stizzito il mio amico ritraendo la mano, -ma se mi dite
che è meglio non aprirla, non la aprirò-.
Tirammo un sospiro di sollievo e dopo esserci messi
d’accordo facemmo marcia indietro e ritornammo giù nella
sala col tetto a volta.
188
-Deve essere stata abbandonata per secoli-, dissi tossendo, -
c’è una quantità incredibile di polvere e ragnatele qua sotto-.
Randolph era ancora davanti all’arco egizio della galleria
più grande, illuminava i disegni, i fregi ed i bassorilievi con
la torcia elettrica.
–Secondo voi cosa centra l’antico Egitto?- domandò, -
Lovecraft ha raccontato di antiche civiltà in diversi racconti,
ma perché qui troviamo la presenza dell’antico Egitto e non,
ad esempio, di Atlantide, di qualche civiltà asiatica, o,
com’era più plausibile, di quelle cosmiche come gli Antichi
o gli Shuggath?-
-Forse le hanno costruite loro queste gallerie-. suggerì Ab-
dul.
-Già-, disse Tindiana, -come hanno costruito le piramidi-. il
riferimento al grande mistero delle piramidi che ancora oggi
è insoluto non era casuale nelle parole del mio amico.
-Forse le carte che abbiamo trovato potranno dirci qualcosa-,
fece Randolph, -sarà meglio tornare a casa, e studiarle con
calma. Siamo rimasti anche troppo a lungo in questo posto
dimenticato da Dio-.
Concordi che era il caso di tornare indietro rientrammo nel
cunicolo che avevamo percorso all’andata e ripercorremmo
tutto il tragitto immersi nel silenzio e nella tenebra più asso-
luti, sempre col timore che all’istante qualcuno o qualcosa
manifestasse la propria presenza.
Il cammino del ritorno fu abbastanza tranquillo fino agli ul-
timi cento metri, quando, con uno scatto ad occhi e naso
chiusi, attraversammo di corsa il cimitero di ossa e teschi
umani per tornare finalmente all’aria aperta.
Respirammo l’aria salubre e fresca della sera a pieni polmo-
ni, dopo quelle ultime ore trascorse sotto terra, respirando
aria fetida e polvere, ci sentivamo davvero meglio, e la
pioggia che cadeva lentamente divenne un piacevole tocca-
sana.
189
Richiudemmo bene la grata, ci levammo di dosso alla bene
meglio la polvere e le ragnatele che si erano attaccate al k-
way grazie alla pioggia, solo le scarpe avrebbero avuto biso-
gno di una bella ripulita a casa.
Davanti alla chiesa non c’era nessuno così uscimmo dal
cancello principale e tornammo a casa.
Ora non ci rimaneva che studiare e decifrare parte del libro
che avevamo trovato, cosa della quale si sarebbero occupati
Randolph e Tindiana.
Arrivati al momento della separazione ci salutammo ed o-
gnuno andò nella propria direzione.
Era quasi mezzanotte, pioveva e per strada non c’era quasi
nessuno, camminavo lungo il marciapiede e pensavo a quel-
la bizzarra avventura in cui eravamo incappati, ero convinto
anch’io, come Tindiana, che non poteva essere solo un gioco
di ruolo bel congeniato, tutte le nostre scoperte risalivano a
tempi antichi, dai libri a cui cunicoli, dalle leggende ai di-
pinti, tutto reale e tangibile.
Non sapevo nemmeno io quale fosse lo scopo di tutto quanto
e perché noi vi fossimo coinvolti, e soprattutto chi fosse il
Custode, chi tirasse le fila.
Non mi ero fatto un’idea precisa, forse dietro tutto c’era
qualche organizzazione o magari la loggia massonica di Ca-
gliostro, che aveva macchinato tutto solo con lo scopo di
rimpossessarsi dei libri. Non è frequente che capiti che dove
alcune macro organizzazioni falliscono un piccolo gruppo
ben assortito di giovani capaci e con spirito di avventura
trionfi, ed era un po’ quanto stava capitando. Ma non
c’erano da dimenticare l’Ordine esoterico di Dagon o la
Theron Marks Society, composti sicuramente da individui
coinvolti nel gioco come noi, e le nostre amiche ne erano la
riprova, ma sicuramente guidati e condizionati da qualcun
altro.
Avevo letto e veduto di giovani che erano impazziti o erano
190
rimasti coinvolti in misteriosi incidenti, giovani che poteva-
no far parte anche loro dell’avventura, benché non sapessi
che ruolo ricoprissero, forse in diverse città erano stati creati
dei macro gruppi, e noi eravamo i protagonisti della zona di
Milano, dove si celava il mistero dei libri alchemici, forse in
altre città c’erano altri misteri da scoprire, e sette esoteriche
e segrete si erano riunite in gran segreto per inscenare alla
perfezione tutto quanto e trarre ogni beneficio dalle nostre
scoperte.
Era una possibilità contorta e poco probabile, ma non mi ve-
niva in mente altro.
L’unica cosa che mi preoccupava era che fossimo finiti in
qualcosa di molto più grande di noi.
Il mattino seguente ci ritrovammo tutti come sempre alla
stazione, un po’ assonnati e stanchi, ma sempre determinati
ad arrivare in fondo all’avventura.
Era una giornata strana, finalmente aveva smesso di piovere,
però il cielo era coperto da una fitta coltre di nubi.
Lo studio del libro ci occupò diverso tempo, per due giorni
Tindiana e Randolph studiarono, nella biblioteca sotto
l’università, frasi, disegni, schemi, graffiti, mentre io e Ab-
dul li aiutavamo compiendo ricerche biblioteconomiche su
loro richiesta, ed aiutandoli nello studio delle mappe.
Più il tempo scorreva più ci rendevamo conto che quanto
avevamo tra le mani poteva abbattere le barriere della fisica,
della scienza moderna e persino della matematica più com-
plessa che al suo estremo giunge a toccare la pura forma fi-
losofica.
Quella che avevamo in mano non era solo una mappa dei
cunicoli e dei tunnel che attraversavano il pianeta e che con-
giungevano i suoi punti più estremi, permettendo di rag-
giungerli in breve tempo, ma vi erano raccolti anche antichi
incantesimi e rituali, che permettevano di aprire porte su
mondi sconosciuti ma anche baratri ed abissi su bolge infer-
191
nali, varchi per altre dimensione e universi cosmici inarriva-
bili nemmeno col pensiero.
C’erano inoltre decine di pagine che non eravamo stati in
grado di tradurre completamente ma che il riconoscimento
di alcune parole erano bastate a metterci i brividi, ed erano
in corrispondenza di strani disegni e simboli arcani, poteva-
no essere delle litanie, dei riti blasfemi, e quando trovammo
la mancanza di una pagina che era stata strappata il pensiero
andò subito al foglio che avevamo trovato assieme alla chia-
ve d’argento e che ora era in mano a Marks. Il tipo di carta,
il colore, la scrittura, il lingua morta, tutto era uguale.
Non fu necessario riconoscere il simbolo degli Antichi
nell’ultima pagina del libro per capire cosa avevamo tra le
mani.
-Beh, alla fine lo abbiamo trovato-. disse mentre tutti osser-
vavamo il libro chiuso poggiato sul tavolo.
Randolph era seduto al contrario su una sedia, con le braccia
appoggiate sullo schienale, che fissava il libro: -Non può
essere vero-.
-Beh, se ci pensi ha un senso-, gli dissi io, -i più grandi se-
greti non potevano che essere scritti dentro questo libro.
Anch’io non riesco a credere che sia reale, altrimenti sarei
già scappato via urlando, e voi lo stesso, eppure questo libro
qua davanti pare essere proprio il Necronomicon, nella ver-
sione di un filologo greco di nome Basileo. A quel che sem-
bra-.
-Non credo sia proprio il Necronomicon-, disse il Tindy, -
sembra più una raccolta di informazioni varie, sunti del Ne-
cronomicon e di altri libri proibiti, e con i disegni relativi ai
tunnel e ad altri macchinari infernali. Questo però non dimi-
nuisce la sua importanza e la sua pericolosità-.
-E’ una specie di versione aggiornata del Necronomicon?-
domandò Saul.
-Beh, direi di sì. Una cosa del genere. Questo Basileo ha ri-
192
unito in un unico libro le pagine più agghiaccianti dei peg-
giori libri proibiti scritti agli albori della civiltà umana, e
forse anche prima-.
-Allora è una cosa buona che non siate riusciti a tradurlo del
tutto-. dissi.
-Sì, questi libri sono dannatamente pericolosi-, fece Ran-
dolph, -la sola lettura è in grado di renderti pazzo, per via di
quanto potresti apprendere. È come se man mano che lo leg-
gi le sue frasi e i suoi geroglifici ti creano un tumore nel
cervello che ti divora lentamente. Grazie al cielo non sono
ancora così pazzo da credere che quanto scritto tra quelle
pagine sia vero, altrimenti sarei un ottimo candidato al ma-
nicomio di Arkham-.
Mi avvicinai al mio amico e gli sussurrai nell’orecchio: -E il
Tindy che ci crede?-
-Bisogna proibirgli di andare avanti a leggere quelle pagine
e tenerlo costantemente d’occhio-.
-Si può sapere cosa diavolo avete scoperto?- esclamò Abdul,
che ne aveva ormai abbastanza di tutta la storia.
-A dir la verità non molto-, confessò Randolph, -diverse par-
ti sono state lasciate scritte in arabo e in quella lingua morta
che abbiamo visto, e le parti in greco non sono riuscito a
tradurlo tutte, qualcosa qua e là, dopotutto ho fatto solo il
liceo classico, e non traduco il greco da anni. Ad ogni modo
nel libro c’è una descrizione abbastanza dettagliata dei cuni-
coli sotterranei, dove conducono, che segreti nascondono, le
trappole presenti, anche le creature che le custodiscono in
alcuni casi e le maledizioni che posso portare.
Nei punti internodali, come quello sotto la basilica, è possi-
bile, attraverso un rito particolare ed in possesso di determi-
nati oggetti o feticci, aprire dei varchi verso altre dimensioni
o altri mondi. La pagina in possesso di Marks recita proprio
quel particolare incantesimo, benché non abbia la minima
idea di come pronunciarlo-.
193
-E cosa ci faceva quella pagina nello scrigno con la chiave
d’argento?- domandai.
-Non lo so, forse Bramante aveva trovato il libro ed aveva
strappato la pagina per poter donare quell’incantesimo alla
sua congrega, ma è morto prima di riuscirci-.
-Oppure l’ha sottratta a qualcuno per evitare proprio che ve-
nisse usata-, pensai, -forse Bramante aveva visto
l’incantesimo in azione e ne era rimasto terrorizzato-.
-Tutto è possibile, ma non lo sapremo mai, va al di là delle
nostre capacità-. rispose Randolph.
-E la chiave?- chiese Abdul.
-Non so che dire-, disse Tindiana, -se è la chiave che pen-
siamo serve ad aprire la cosiddetta “porta dei sogni”, ma
come Bramante ne sia entrato in possesso e a cosa serva re-
almente non lo sappiamo-.
-Altro?- domandai.
-Sui tunnel-, disse Randolph, -sembra che i cunicoli che ave-
te visto sotto la Forca e sotto la casa di via Lagrange faccia-
no parte della fitta rete di capillari che si diramano dal con-
dotto principale. In modo particolare sembra che un partico-
lare tunnel li colleghi, un tunnel che passa attraverso altri
luoghi sempre in prossimità di zona palustri, lacustri, marine
e di fiumi. La cosa che mi ha sorpreso è che un’ampia zona
dove vertono tutti questi condotti è nel New England, esat-
tamente in Massachusetts, dove la mappa indica un piccolo
porto-.
-Innsmouth?-
-Tutto lo fa credere, l’Ordine Esoterico di Dagon è nato lì,
ma come ben sai Innsmouth non esiste-.
-Forse Lovecraft si è ispirato ad una città portuale del Mas-
sachusetts che esiste veramente-. ipotizzai,
-Come Arkham è la versione lovecraftiana di Providence,
Innsmouth potrebbe esserlo di un’altra. Chissà che in questa
città non ci siano veramente dei discendenti di Marsh17 e
194
della sua cricca-.
-Se è come dici perché nessuno l’ha mai trovata o ne ha mai
accennato?- fece Abdul.
-Non lo so, forse perché nessuno l’ha mai trovata, o per lo
meno nessuno che vi abbia fatto mai ritorno. Ci sono solo
due vie per raggiungerla sembra: o con la corriera di Ne-
wburyport o attraverso i tunnel, a quanto sembra-.
-Beh-, disse Randolph, -al momento questo non ci interessa,
grazie a Dio non ci dobbiamo andare. Ad ogni modo se vol-
giamo rientrare nei cunicoli abbiamo solamente altre tre vie,
due ve le ho già citate e correremmo il rischio di imbatterci
nuovamente nell’Ordine di Dagon, mentre la terza via più
vicina sembra sia un vecchio pozzo vicino alla Conca del
Naviglio, nella zona della Darsena. Considerando tutto, que-
sta è la via migliore-.
-Cosa facciamo adesso?- chiese Abdul.
-Non so-, gli risposi, -forse dovremmo aspettare di sentire
Marks, e poi decidere il da farsi-.
-Non puoi chiamarlo tu?- fece il Tindy, -Non mi va di stare
ad aspettare, magari quello ha scoperto qualcosa e non ci
dice nulla-.
Annuii, così mi spostai un poco e chiamai con il cellulare
Theron Marks III.
Avvisai Marks che avevamo importanti novità da comuni-
cargli e pare che anche lui avesse bisogno di noi, stabilimmo
così un incontro.
-Al Kapuziner Platz?!- storse il naso il Tindy quando riferii
agli altri il luogo dell’appuntamento.
-Che c’è? Non vi piace? Si mangia bene e fanno ottima bir-
ra-. mi difesi.
-Lo so, ma perché proprio in una birreria?- fece Randolph.
-Beh, è stato il primo nome che mi è venuto in mente. E poi
se dobbiamo discutere di cose serie perché non di fronte ad
un buon boccale di birra e magari un piatto di salsicce e
195
pancetta croccante? E poi i tedeschi non sanno nemmeno chi
è Lovecraft, e soprattutto si fanno i cazzi loro-.
-Non sarai mai un buon detective-. commentò Tindiana a
bassa voce.
-Dovevamo fare a casa tua, forse?-
-No, va bene il Kapuziner-.
-Dai, mettiamo via le nostre cose ed usciamo da qui-, disse
Randolph infilando il libro di Basileo nello zaino, -non di-
menticate che queste mura hanno occhi ed orecchi-.
Sistemammo tutto, prendemmo i nostri zaini ed uscimmo da
lì sotto.
Passammo il resto della giornata a studiare, benché non ri-
sultò facile con tutto quello che avevamo per la testa, e dopo
cena ci recammo al Kapuziner.
Nonostante siano passati più di cinquant’anni dalla seconda
guerra mondiale Marks non vedeva di buon occhio i tede-
schi, e non si sentiva a suo agio al Kapuziner, tanto che te-
meva che gli avessero avvelenato la birra, evidentemente
aveva la coscienza sporca.
Randolph espose le nostre scoperte a Marks, il quale ascoltò
in silenzio per tutto il tempo, bevendo la sua birra, e i suoi
due uomini che si era portato dietro fecero altrettanto.
-Ottimo-, dissi infine, -avete fatto un ottimo lavoro, devo
farvi i miei complimenti. Se non fosse che siete italiani e per
cui non posso fidarmi di voi, vi prenderei nella mia squadra-
.
-Ha uno strano modo di fare i complimenti-. gli dissi, ma lui
non ci badò.
-La vostra scoperta arriva a fagiolo-, quella sua frase odora-
va di guai, -la pagina che abbiamo portato ad analizzare è
risultata indecifrabile, per decifrarla è necessario un prontua-
rio, e guarda caso, rispolverando i nostri archivi, abbiamo
ritrovato foto di alcuni graffiti sui muri dei covi dell’Ordine
di Dagon identici a quelli presenti sulla mappa. Inoltre altre
196
informazioni in nostro possesso ci portano a pensare che
l’Ordine di Dagon sia in possesso del prontuario, là dove
esso è nato, ad Innsmouth, e precisamente nella New Church
Green-.
-Perché ho l’impressione che voglia chiederci di recarci là?-
feci io, immaginando.
-No, io non ve lo chiedo… io vi prego ragazzi, solo voi po-
tete aiutarci-. Marks perse il suo portamento fiero e divenne
supplichevole, noi ci guardammo increduli.
-Ma con tutti gli uomini che avete…- disse Randolph.
-Ci conoscono bene, non possiamo nemmeno avvicinarci ad
Innsmouth, ci individuerebbero subito e ci darebbero in pa-
sto a Quelli del Profondo. Voi invece passereste inosservati,
almeno per un po’, giusto il tempo di trovare l’prontuario e
riportarlo indietro-.
-E dovremmo andare fino in Massecch…Masseccius…nel
New England?- balbettò il Tindy.
-Non direttamente, ma attraverso i cunicoli che avete sco-
perto, credo che in breve tempo potreste raggiungere In-
nsmouth, come vogliono la leggenda e gli scritti di Legione
e Thermogorothus-.
-L’idea di non mi esalta-. disse Tindy.
-A me sì-, replicò Randolph, -pensa, girovagare per le strade
di Innsmouth, sai che figata-.
-Noi vi attenderemo giù nel internodo-. continuò Marks.
-Avete idea di cosa può fare l’incantesimo scritto sulla per-
gamena?- chiesi a Marks.
-Sì, ed è l’unica arma in nostro possesso per sconfiggere de-
finitivamente tutti i seguaci e le manifestazioni cthulhoidi
nel nostro pianeta. Decifrarlo è di vitale importanza, lo capi-
te?-
-Credo che lei non ci abbia detto tutto-, disse Randolph e-
sprimendo il pensiero di tutti, -come può quell’incantesimo
fare ciò che dice?-
197
Marks ormai si trovava con le spalle al muro, e se voleva il
nostro aiuto doveva per forza dir tutto.
-Quell’incantesimo, se recitato in alcuni luoghi determinati
della terra, come l’internodo sotto la basilica, è in grado sì di
aprire dei varchi verso altri mondi e dimensioni, ma questi
varchi possono essere controllati grazie alla chiave
d’argento. Noi ne apriremmo uno che risucchierà tutto ciò
che è rimasto di Cthulhu, della sua prole astrale, degli Anti-
chi e di tutti gli altri riportandoli oltre i confini del cosmo,
da dove sono venuti-.
-E come diavolo farà?- chiesi, -Siamo sottoterra-.
-Queste creature e i loro discepoli sono di origine cosmica, e
molti di loro ora sono in uno stato di ipersonno, nascosti ne-
gli abissi dell’oceano o in qualche antro inaccessibile
sull’Himalaya o nelle Antartande, quello che il varco attirerà
saranno i loro corpi astrali, e non quei gusci in cui risiedono
ora qui sulla Terra-.
-Ne siete certi?- domandò Tindiana.
-Da quando la Theron Marks Society è stata fondata non so-
no stati fatti altro che studi e ricerche per arrivare a questo.
Abbiamo esaminato e sezionato decine di alieni come quelli:
dagli Antichi agli Abitatori del Profondo, dai Ghoul ai Mi-
Go, per cui siamo certi che l’incantesimo li rispedirà là da
dove sono venuti, per sempre-.
-Però per l’incantesimo è necessario un oggetto particolare-,
disse Randolph, -ce l’avete?-
Marks abbassò la testa: -A dir la verità speravo l’aveste voi-.
-Cosa?! Ma almeno sapete cos’è?- esclamai.
-No-. rispose a bassa voce, -Ma sappiamo chi lo sa-.
-E chi?- chiesi.
-Sagesse Triomphante-. quel nome ci fece scattare in piedi.
-Sta scherzando ?- fece Tindiana.
-No, loro sono gli unici in grado di celebrare il rito, sono sta-
ti loro all’inizio del secolo con alcuni seguaci, come Bra-
198
mante, a trovare il libro di Basileo, la chiave d’argento, e
alcuni dei tunnel; ma sono morti tutti prima di poter riferire
del loro operato ai loro superiori e maestri. Erano in cinque,
con Bramante, impegnati nella ricerca di tutti i pezzi del
puzzle, e sono morti tutti quanti nel giro di poco tempo.
Quello di Bramante è stato l’unico corpo ritrovato, degli altri
non c’era traccia-.
-E dov’è stato trovato?- gli domandò Randolph.
-I documenti parlano di un pozzo, dal quale si poteva acce-
dere ai dei cunicoli sotterranei. L’hanno trovato privo di vi-
ta, il volto era deformato da una terrificante espressione di
paura, così tremenda da provocargli un infarto. Evidente-
mente ha visto qualcosa che lo ha terrorizzato incredibil-
mente, forse la stessa cosa che si è portata via i suoi compa-
gni-.
-Vuol dire che là sotto si aggira qualche orrenda creatura?-
dissi allarmato.
-Non lo so, sicuramente c’era 90 anni fa-.
-Però noi qualcosa abbiamo sentito-. disse il Tindy.
-Sarà stato qualche ratto, sai quanti ce ne sono là sotto?-
sdrammatizzò Abdul.
-Questo è lo spirito giusto-, intervenne Marks, -allora, siete
con noi?-
-Ancora non abbiamo capito come Sagesse Triomphante vi
dirà le informazioni che vi servono-. puntualizzò Randolph.
-Un semplice scambio. Noi li informeremo dell’esatta posi-
zione del punto internodale e loro ci diranno quale oggetto ci
serve-.
-Non so se è una buona idea-. dissi ai miei compagni.
-Buona o meno ci serve comunque quell’informazione-, dis-
se Randolph, -e poi questa loggia massonica sarà ormai ri-
dotta a quattro zozzoni, noi abbiamo la TMS dalla nostra
parte, non dovrebbero esserci problemi-.
-Perché ho idea che qualsiasi cosa ci serva per l’incantesimo
199
andremo noi a prenderla?- fece Abdul.
-Perché è un gioco di ruolo-, gli rispose Randolph, -sarebbe
una cosa normale visto che siamo noi i protagonisti-.
-Quando è così-, dissi, -andiamo a fare un’allegra scampa-
gnata ad Innsmouth-.
-Chi porta la maionese?- scherzò Abdul alludendo ai pesci
particolari di quella sinistra cittadina portuale (di quelli che
staccano le teste a morsi).
-Bene Mister Marks-, conclusi, -domani partiremo per In-
nsmouth e che Dio ce la mandi buona-.
-Siete dei ragazzi in gamba-. disse lui stringendoci la mano.
Finimmo la birra e poi ci separammo dall’ “uomo in nero”
della TMS.
-Secondo voi come ci porteranno ad Innsmouth?- domandò
Abdul.
-Evidentemente uno dei cunicoli condurrà fuori città, magari
in una vecchia cittadina su un lago od un fiume, che hanno
riallestito per l’occasione-. gli rispose Randolph.
-Tu dici? Allora non credi alla storia del tunnel che permette
di attraversare in breve tempo l’oceano?- gli chiesi.
-Ma vuoi scherzare? Sta vedere che adesso con un tunnel del
cavolo finiamo ad Innsmouth-.
-Perché no?- ribatté il Tindy, -A me pare che le nostre sco-
perte portino a crederlo-.
-Già, peccato che sia solamente un gioco di ruolo-. insisté
Randolph.
-E’ inutile parlare con te-, gli rispose Tindiana, -ma alla fine
dovrai ricrederti-.
-Vedremo-.
Perlomeno lo spirito del gruppo era sempre alto.
Trovammo nel Primo Almanacco della Paura una piantina di
Innsmouth scarabocchiata da Lovecraft ai tempi in cui scris-
se il racconto de “L’ombra su Innsmouth”, non era granché
ma sempre meglio di niente, il Tindy però ci informò che
200
stava disegnando una mappa dettagliata della città attraverso
il racconto di Lovecraft e che ci sarebbe stata certamente
utile.
Il giorno dopo era un sabato, il che ci permise di partire al
mattino e di recarci alla Conca, tra l’altro proprio a due passi
dalla Chiesa di San Cristoforo, e forse non era un caso.
Quella notte quasi non avevo dormito, eccitato com’ero da-
gli sviluppi inattesi dell’avventura, una nuova discesa nel
dedalo di cunicoli sotterranei verso la leggendaria In-
nsmouth, reale o meno che fosse stata, stavo comunque vi-
vendo la più bella esperienza della mia vita, come avevo
sempre sognato.

201
10.INNSMOUTH E DINTORNI
Alle sei ero già sveglio, avevamo appuntamento alle otto
sotto casa mia, e l’attesa mi snervava.
Dopo alcuni giorni di tregua il mio raffreddore cronico tornò
a colpire, e mi trovai a cercare disperatamente al buio il mio
fazzoletto di stoffa che tengo sempre sotto al cuscino, e che
nella notte mi casca sempre in terra o mi si infila tra il mate-
rasso e lo schienale, in modo che riesca a trovarlo solo un
secondo dopo un tremendo starnuto.
Dovetti così rassegnarmi al fatto che quella mattina, perché
di solito il raffreddore mi dura fino all’ora di pranzo (ma va-
le come l’intera giornata), avrei dovuto combattere anche
contro il raffreddore.
Mezz’ora più tardi mi decisi ad alzarmi e a prepararmi, mi
vestii con abiti comodi e riempii lo zaino con tutto quello
che mi poteva servire, cercando però di mantenerlo abba-
stanza leggero.
Gli ultimi minuti di attesa li passai davanti alla tv in cucina,
mentre facevo colazione, finalmente arrivarono pochi minuti
alle otto, così infilai le scarpe, imbracciai lo zaino e scesi,
mentre sentivo mio padre che si alzava da letto.
Ovviamente fui il primo a scendere, faceva un freddo cane,
la brina aveva sommerso tutta l’erba del parco davanti a casa
mia, c’era anche un po’ di nebbia, ma stava diradandosi per
fortuna. Dopo poco arrivarono il Tindy, poi Randolph ed
infine Abdul, li salutai con un bello starnuto e poi con la
macchina del turco partimmo diretti verso la zona di Pt. Ge-
nova, dove stava la Darsena del Naviglio Grande, a due pas-
si dalla conca. Anche gli altri erano eccitati, nonostante lo
nascondessero, ma era normale, reale o meno che fosse
quell’avventura ci stava appassionando sempre più.
Eravamo attrezzati come meglio non potevamo con i nostri
zaini pieni di roba, tra tutti avevamo quattro torce elettriche,
una fune da 5m, quattro borracce d’acqua, un po’ di viveri,
202
un set di chiavi inglesi, cacciavite e martello, nastro adesivo,
colla, bussola, grimaldello, libri di e su Lovecraft, il manua-
le del GdR della Stratelibri, una piccola valigetta del pronto
soccorso con la pocket mask per la respirazione, e varie gar-
ze e cerotti, e ancora coltelli, astucci, k-way, guanti, una
macchina fotografica usa e getta, ed una fiaschetta di grappa
al mirtillo; infine le nostre armi in dotazione e la piccozza o
il bastone dietro la schiena.
Trovammo abbastanza velocemente il pozzo chiuso, per for-
tuna era situato in una zona piuttosto coperta e riuscimmo ad
aprirlo senza che nessuno ci vedesse.
C’era in effetti un gran via e vai di gente alla Darsena del
Naviglio al sabato mattina per via della Fiera di Senigallia,
ma per fortuna erano tutti diretti verso quella direzione,
mentre il pozzo era più defilato in un vecchio vicolo, lì po-
tevano vederci solo i proprietari della casa vicina.
Torcia elettrica alla mano, zaino in spalla, mi feci un segno
della croce e mi calai per primo giù per il pozzo, dentro al
quale erano state piantate delle piccole fasce di ferro ad U
come pioli di una scala.
Discesi il pozzo per cinque metri, con il cuore che mi batte-
va forte e la fronte che sudava, come sempre ogni volta che
mi addentravo dentro l’ignoto a testa bassa.
Arrivato in fondo atterrai sul pavimento di pietra della galle-
ria, non c’era il buio totale, da alcune grate e feritoie nel sof-
fitto createsi negli anni, passavano alcuni timidi spiragli di
luce, ma dovetti comunque usare la torcia per illuminare il
condotto. Da una parte e dall’altra c’erano solo polvere e
ragnatele. D’improvviso starnutii e i miei amici lo conside-
rarono come un “via libera”, e così uno alla volta scesero per
raggiungermi.
Mentre mi soffiavo il naso Abdul controllava che il passag-
gio fosse ostruito solo dalle ragnatele e che non ci fossero
sorprese, poi, tenendo in mano una fotocopia della mappa
203
delle gallerie, iniziammo la marcia verso Innsmouth, o qua-
lunque posto fosse.
Io ed Abdul facevamo strada levando ragnatele e schifezze
varie che ostruivano il passaggio, carcasse di topi e gatti
randagi compresi, usando piccozza e bastone, mentre Tindy
e Randolph illuminavano la strada con le torce.
All’inizio il cunicolo aveva un percorso regolare, quasi retti-
lineo, poi cominciò a spostarsi, a salire e a scendere, incro-
ciammo nel passaggio altri condotti, e seguendo la mappa ne
imboccammo uno diretto a nord-ovest, grande quanto gli
altri, ovvero largo un paio di metri ed alto due e mezzo, do-
ve aleggiava odore di muffa e “vecchiume andato a male”.
Mezz’ora più tardi Randolph ci fermò: -Avete sentito?-
-Sono io che mi sto soffiando il naso-. dissi con il fazzoletto
sul naso.
-No, no, ascoltate bene-. facemmo silenzio e in effetti senti-
vamo un suono particolare come…
-…acqua che scorre-. dissi.
-Deve esserci un percorso d’acqua qua sotto-, fece Tindiana,
-e questo tunnel lo segue-.
-Forse conduce all’oceano-. pensò Abdul.
-Forse è già l’oceano-, dissi, -il rumore viene da sopra le no-
stre teste, non stiamo fiancheggiando un corso d’acqua, ci
siamo sotto-.
-Non dire cazzate-, replicò Randolph mettendoci nuovamen-
te in cammino, -non possiamo essere sotto l’oceano, dista
migliaia di km da casa nostra-.
-Lo so, ma questi tunnel non sono comuni, lo sai, hanno un
che di etereo, non te ne sei accorto?- replicai.
-In effetti non sembra di stare in una normale galleria-, ag-
giunse Abdul, -c’è qualcosa nell’aria che altera le percezio-
ni, un po’ come dopo la seconda pinta di birra, quando non
sei ubriaco ma non ci manca molto-.
-Dici che è per questo che mi fa male la testa?- chiesi.
204
-Può essere-, disse il Tindy, -questi tunnel attraversano lo
spazio ed il tempo, benché noi non ce ne accorgiamo il no-
stro subconscio lo avverte e un semplice mal di testa è se-
gnale che il nostro corpo ci invia-.
-Beh, allora muoviamoci che tra raffreddore e mal di testa
ne ho abbastanza-.
Dalla cartina sembrava che non dovesse mancare molto, le
uscite erano tutte segnate con dei simboli particolari, simili
alle rune, che permettevano di riconoscerle sulla mappa.
Fu così che dopo nemmeno un’ora di marcia da quando era-
vamo scesi nel pozzo ci trovavamo sotto l’uscita per In-
nsmouth.
Il tunnel si era allargato a formare una specie di atrio non
più grande di un soggiorno, da cui partivano altri due tunnel
oltre a quello da cui provenivamo noi.
Puntando la luce su uno dei due notammo delle scale pochi
metri dopo l’arco d’entrata, le scale erano di pietra e saliva-
no a chiocciola.
C’era dell’acqua lì a terra, e gocciolava anche dall’alto. Sa-
limmo cautamente le scale sempre più eccitati, ci domanda-
vamo cosa avremmo trovato fuori da lì, se davvero fosse sta-
ta Innsmouth o solo una piccola cittadina portuale fatta ap-
posta per l’avventura come aveva ipotizzato Randolph.
Ad ogni modo arrivammo in cima alle scale, il primo ad u-
scire fui io, spinsi lentamente un pannello di legno che o-
struiva l’uscita ed un cielo stellato mi si parò davanti agli
occhi.
In giro non c’era nessuno, eravamo appena fuori da una cit-
tadina, probabilmente Innsmouth, vicino al fitto bosco, il
rumore delle onde in vicinanza si udiva fin lì, il terreno era
coperto d’era, ma c’era una gran quantità di sabbia.
Ci trovammo tutti e quattro ad ammirare la leggendaria In-
nsmouth, una città di grande estensione e fitte costruzioni,
c’era un gran groviglio di comignoli di terracotta, e tre alti
205
campanili si stagliavano all’orizzonte verso il mare, uno di
loro si stava ormai sgretolando, ed in quello ed in un altro
c’erano delle aperture nere dove una volta dovevano esserci
stati degli orologi. La grande confusione di tetti ricurvi e
frontoni consumati davano l’impressione che ad Innsmouth
il tempo si era fermato e tutto era rimasto come nel racconto
di Lovecraft, era ancora una cittadina decadente e tetra.
-A quanto pare siamo arrivati ad Innsmouth-. dissi soffian-
domi nuovamente il naso.
-Allora, come lo spieghi il cielo stellato?- punzecchiò Tin-
diana il nostro amico Randolph.
-Non me lo spiego, ma sicuramente deve esserci sotto qual-
cosa, forse hanno ricostruito tutto fedelmente in una struttu-
ra coperta, come nel Truman Show-. rispose Randolph.
-Io credo semplicemente che qua siano le due e mezza, visto
che ci sono sette ore di differenza con Milano qui sulla costa
est-.
-Però non è male l’idea del Truman Show-, intervenne Ab-
dul, -si potrebbero spiegare diverse cose-.
-Certo, ma non tutto-. insisté Tindy.
-E poi che ritorno economico avrebbe chiunque abbia orga-
nizzato tutto?- aggiunsi.
-Una vendita del programma a tutte le tv del mondo-. ipotiz-
zò Randolph.
-Piantiamola con queste boiate e diamoci da fare. Dobbiamo
trovare la sede dell’Ordine di Dagon, rubare l’prontuario e
poi levare le tende-.
-Ancora non ho ben capito se abbiamo qualcosa che assomi-
gli ad un piano-. disse Abdul.
-Non mi pare ci sia, non abbiamo mai usato piani in nessuna
avventura, voi iniziare ora?-
-Non mi permetterai mai-.
-Allora in marcia-.
Ci incamminammo lungo la strada terrosa diretta ad In-
206
nsmouth, l’odore dell’acqua salmastra giungeva alle nostre
narici fin dalla costa, colmi di eccitazione e anche avverten-
do un certo timore, avanzavamo stretti l’un l’altro verso
l’ingresso della città ancora addormentata, o così sperava-
mo.
Entrando lungo una strada in leggera discesa notai che molti
tetti erano franati, così come alcuni balconi, e anche i muri
di alcune case ormai in rovina, da lontano vidi in lontananza
i pali del telegrafo ormai senza fili ed inclinati dalle intem-
perie, mentre le vie erano debolmente illuminate da lampio-
ni ancora ad olio.
C’era un silenzio irreale lì attorno ed un odore nauseabondo
di pesce permeava tutta l’aria circostante, una volta tanto
avere il naso chiuso ed il raffreddore risultò un vantaggio
visto che lo percepivo a malapena.
Seguivamo la via principale, i cui marciapiedi erano ridotti
ad ammassi di calcinacci e pietre, che dava talvolta su picco-
le piazze, dove erano state edificate case in stile georgiano
con tetti spioventi ed incurvati, cupole e ringhiere di ferro
battuto, incrociammo un tratto della vecchia linea ferroviaria
i cui binari erano ormai arrugginiti e coperti da folta erba ed
arbusti.
Ci avvicinammo così al porto, in lontananza vedevamo delle
luci, a largo nel mare, dove probabilmente erano all’opera i
pescatori. Lungo la banchina risaltava subito all’occhio il
vecchio campanile di un edificio di mattoni, consunti e privi
di intonaco. Il porto era invece ricoperto di sabbia e circon-
dato da un antico argine di pietra alla cui estremità emergeva
quella che poteva essere la base un faro ancora più antico.
Una serie di vecchie capanne in disfacimento ed un piccolo
molo di attracco per barchette erano poste lungo una spiag-
gia sabbiosa all’estremità del porto.
Ci avvicinammo cautamente alla banchina, non c’era nessu-
no in giro, i pescatori erano tutti in mare, potemmo così ve-
207
dere da lontano una striscia nera che aveva tutta l’aria di es-
sere la famigerata Scogliera del Diavolo, a cui era bene te-
nersi alla larga.
-E’ incredibile-, sussurrò Randolph, -è tutto come nel rac-
conto-.
-Per me è così ovvio-, rispose Tindiana, -se non l’hai notato
siamo ad Innsmouth-.
-A dopo le discussioni-, bisbigliai, -leviamoci di torno, dob-
biamo trovare la New Church Green, dovrebbe essere più
avanti-.
Riprendemmo il cammino lungo il quale incrociammo fatto-
rie deserte e decrepite, case abitate ma dalle finestre rotte e
dai giardini incolti con resti di conchiglie e pesci morti ab-
bandonati tra i cespugli d’erba, ancora case pericolanti gri-
gie e non dipinte, costruite fitte fitte, quasi ammassate se-
condo un ordine piuttosto caotico e senza criterio.
Più avanti dalla via principale incominciarono a partire al-
cuni vicoli e viottoli, tal volta squallidi e decadenti, altri in-
vece sembravano fantasmi di un antico splendore ormai de-
caduto.
Addentrandoci sempre più i marciapiedi e le vie sembravano
più curati, alcune case in legno e mattoni avevano al piano
terra dei negozi dalle insegne scolorite, ed arrivammo infine
ad una piazza da cui partivano radicalmente altre vie, al cui
centro c’erano i resti di quello che una volta doveva essere
un piccolo parco e che ora non era che un intrico di arbusti,
erbaccia ed alberi morti.
Eccole le due chiese: una antica più della città, in stile goti-
co, con due torri ed una cripta anormalmente alta in cui si
intravedeva una porta di legno, e l’altra ridotta ad un edificio
fatiscente dalle pareti scrostate sostenuto da pilastri deca-
denti, che altri non era che la sede dell’Ordine Esoterico di
Dagon.
-Bene, eccoci davanti alla New Church Green-, sussurrò
208
Abdul, -ed ora?-
-Ci vorrebbe un piano-. disse Randolph.
-Ci vorrebbe un piano-. ripetei io.
-Sì, ci vorrebbe un piano-. confermò Tindiana.
-Proviamo ad entrare-, suggerii, -chi diavolo volete che ci
sia alle tre del mattino?-
-Una folla di cultisti nell’atto di una orgia satanica-. rispose
Tindiana.
-Non credo siano satanisti, sai?- gli fece notare Randolph.
-Sentite-, ripresi, -quando non ci sono vie di uscita tanto vale
entrare, per cui…-
-E questa stronzata dove l’hai sentita? Te la sei inventata
adesso?- fece Randolph.
-Dylan Dog, non crederai di essere l’unico che legge i fu-
metti. Allora, andiamo o no?-
-Prego, dopo di te-. fecero gli altri all’unisono.
Imbracciando la mia piccozza mi avvicinai al vecchio edifi-
cio trasandato in cerca di una entrata secondaria, c’era un
piccolo cortile posteriore, scavalcammo una ringhiera nera
incurvata e ci addentrammo nel cortile pieno di erbacce ed
ortiche. La parte posteriore della vecchia chiesa non era
molto meglio di quella anteriore, diversi mattoni erano se-
misbriciolati, e le finestre, una volta decorate, erano rotte in
diverse punti.
Delle piccole finestrelle a semicerchio poste in basso a livel-
lo del terreno denotavano la presenza di un seminterrato,
c’era in effetti una porta sul retro, ma portava certamente
alla vecchia sacrestia, ed ovviamente era chiusa.
-Potrebbe essere pericoloso passare da qua-, dissi indicando
la porta, -come facciamo?-
-Ehi-, ci chiamò Abdul, -ho trovato qualcosa-.
Dietro a delle erbacce e ad un cespuglio di rovi Abdul aveva
trovato uno sportello di ferro battuto che si apriva senza al-
cuno sforzo: -Deve portare alla caldaia-, disse il mio amico,
209
-è un po’ un rischio, ma forse è l’unico modo per entrare.
Credo che usassero questo condotto per buttarci i sacchi di
carbone-.
-Tindy, tocca a te che sei più piccolo-. dissi ed anche gli altri
furono d’accordo con me.
-Perché sempre io?- protestò Tindiana.
-Ma se sono sempre io a farmi avanti per primo-, ribattei, -
ora tocca a te, muoviti, legati la fune in vita e noi ti caliamo-
.
Dopo altri cinque minuti di proteste e veemenze convin-
cemmo il nostro amico a scendere, si calò giù per il condotto
per un paio di metri e poi ci diede il via libera.
Legammo la corda ad un camino che usciva lateralmente
dalla parete, in modo da poter risalire da lì se fosse stato ne-
cessario, dopodiché scendemmo tutti e tre.
Ci trovavamo in una piccola e stretta stanza dove c’era in
effetti una vecchia caldaia, accatastati in un angolo c’erano
legna e carbone, mi avvicinai alla porta di legno della picco-
la camera ed accostai l’orecchio: nessun rumore.
-Sembra non ci sia nessuno-. sussurrai.
Aprii lentamente la porta abbastanza per poter guardare oltre
di essa: c’era un corridoio illuminato debolmente da due lan-
terne ad olio poste su una parete, il corridoio sboccava in
fondo in una camera aperta.
Richiusi la porta.
-C’è un corridoio, saranno una dozzina di metri, e poi una
stanza più grande-. fu il mio rapporto.
-Hai visto delle scale che vanno su?- mi chiese Randolph.
-No, ma potrebbero essere qui a fianco, ovviamente non
posso vedere tutto da uno spiraglio nella porta. Però è alta-
mente probabile-.
-Muoviamoci uno per volta-, suggerì Randolph, -se ci sono
le scale due rimangono qui a fare da palo e gli altri vanno in
fondo-.
210
Annuimmo, poi aprii un po’ di più la porta tendendo bene le
orecchie, ed uscii nel corridoio, come immaginavamo lì af-
fianco c’erano delle scale che andavano di sopra, Abdul e
Tindy rimasero lì, mentre io e Randolph avanzammo lungo
il corridoio.
A passi lenti per non far rumore attraversammo il tunnel sul-
le cui pareti c’erano dipinti strani pittogrammi e simboli.
La tenue luce del corridoio raggiungeva anche la camera
circolare posta in fondo al corridoio, illuminata da altre torce
ad olio. La camera non era molto grande, era circolare con
un raggio di due-tre metri, c’erano librerie, tavoli, scaffali,
tutti trasbordanti di libri, pergamene, fogli, c’erano poi pen-
dagli, feticci, tuniche, ampolle, catene dorate, candelabri
d’argento, e altro ancora. I libri e le pergamene non erano
scritte nella nostra lingua, c’erano diversi simboli magici, e
alcune pagine erano scritte in quella strana lingua di cui cer-
cavamo il prontuario.
Io e Randolph cercammo rapidamente qualcosa che potesse
sembrare quello che cercavamo, e dopo una assidua ricerca
con Tindiana che ci faceva fretta dal fondo del corridoio,
trovai una specie di diario, con la copertina in pelle.
Lo aprii, ed il nome di Barnaba Marsh risaltava nella prima
pagina. Tutte le pagine erano scritte con inchiostro e penna
d’oca, parole incomprensibili e geroglifici scritti fitti fitti,
ma ciò che più importava fu quello che trovai in mezzo al
diario: un piccolo foglio ingiallito ripiegato in quattro parti,
dentro al quale c’era quello che poteva essere un alfabeto
alieno e le corrispettive lettere e sillabe occidentali.
-Ma vieni!- esclamai a bassa voce, -Ho trovato l’ago nel pa-
gliaio! Se non fosse che sono già nel New England e che mi
sta passando la voglia di tornarci direi “New Engald ecco-
mi”!-
Misi il foglio in uno dei libri che mi portavo dietro nello
zaino e poi ritornai alla caldaia con gli altri.
211
-Presto, facciamo in fretta-. dissi mentre Abdul cominciava a
risalire la corda, anche se a fatica riuscì ad arrivare di sopra.
Dopo di lui toccò a me, anch’io ebbi qualche difficoltà, ma
aiutandomi anche con i piedi arrivai di sopra, dove Abdul mi
allungò la mano e mi aiutò ad uscire.
Poi successe qualcosa a cui non avevamo pensato: Tindiana
e Randolph non hanno mai fatto dello sport in vita loro e ri-
salire una corda diventava un’impresa.
Li sentiva sforzarsi, ma più che saltare in alto e attaccarsi
alla corda non riuscivano a fare, io e Abdul provammo a ti-
rare su Tindiana a braccia, ma ci risultò impossibile, era
troppo pesante per noi due da soli.
Se non gridavamo imprecazioni era solo per non farci sco-
prire, ma mi stavo mangiando le mani. Rischiavamo di
mandare tutto in malora per una cosa del genere.
-Provo a scassinare la porta della sacrestia-. mi avvicinai alla
vecchia porta di legno, la serratura era malridotta e lo stipite
di legno quasi marcito, invece di usare il grimaldello optai
per un calcione secco e deciso sulla maniglia, e la porta si
scardinò.
-Dì a quei due di salire le scale e correre qui-. dissi ad Ab-
dul.
Il mio amico avvisò gli altri due e quelli si mossero alla
svelta.
Feci alcuni passi dentro la chiesa, era tutto buio non si vede-
va niente, e forse era meglio così, vidi d’un tratto delle luci,
erano le torce dei miei due amici che risalivano le scale, mi
raggiunsero in pochi secondi e uscimmo da quel posto ma-
ledetto.
L’aria fredda ci sferzava il viso, ed il buio della notte era an-
cora calato su di noi, tra uno starnuto e l’altro uscii dal corti-
le della chiesa e ritornammo nella piccola piazza.
Il silenzio della notte e l’odore nauseante di pesce facevano
da padroni in quella situazione così irreale, eppure avevo
212
una strana sensazione, era tutto così calmo, tranquillo, si
sentiva ancora in lontananza il rumore delle onde che si in-
frangevano contro la Scogliera del Diavolo.
-Non vi pare che sia stato tutto troppo semplice?- sussurrai
ai miei amici.
-Meglio così-, fece Abdul, -ce ne andiamo subito, ne ho già
abbastanza di questo posto e della sua puzza di pesce-.
-Oh, merda!- esclamò Randolph, -Guardate!-
Lentamente dalle abitazioni, dai vicoli, dalla chiesa battista e
dal salone dell’Ordine incominciarono ad uscire strani ed
inquietanti figure, il terrore si impadronì di noi, non sape-
vamo se stavano uscendo in cerca di noi, oppure per qualcu-
no dei loro macabri riti, ma nel dubbio scattammo nuova-
mente nel cortile della chiesa e andammo a nasconderci die-
tro gli alberi morti ed i cespugli di rovi pregando che non si
fossero accorti di noi.
Il cortile era chiuso da un muro di cinta e dalla ringhiera da
cui eravamo passati, per cui eravamo praticamente in trap-
pola se ci avessero scoperto, a meno di entrare nella chiesa e
scappare in qualche maniera, ma al momento ci limitavamo
a non emettere un fiato e a tenerci più al coperto possibile.
Nella piccola piazza, attorno al vecchio parco limaccioso, si
era riunita una piccola folla di individui curvi e deformi, che
agitavano le loro lanterne nell’oscurità della notte, comuni-
cavano tra di loro attraverso strani gracchi e grida soffocate,
si muovevano confusamente, zoppicando, scotendo la loro
testa abnorme con gli occhi sporgenti, ma senza una direzio-
ne precisa, sembrava proprio che non ci avessero visto.
Dopo poco incominciarono ad incamminarsi lungo la via
principale verso la spiaggia, formando così una piccola pro-
cessione di creature che da lontano non avevano nulla di
umano, una scia di esseri traballanti, deformi che gracchia-
vano e agitavano le lanterne nel buio, alcuni di loro indossa-
vano strane vesti, come quelle che avevo visto già nella
213
stanza circolare, ed altri reggevano strani oggetti con le mani
innaturalmente grosse.
Aspettammo che la folla si allontanasse del tutto e poi ti-
rammo un sospiro di sollievo.
-Beh, ora possiamo andarcene veramente-. affermai alzan-
domi da dietro il cespuglio in cui mi ero nascosto.
-Vuoi scherzare?- fece Randolph,
Io lo guardai di traverso: -Che diavolo significa?-
-Non vorrai che mi perda una scena spettacolare come gli
abitanti di Innsmouth che si inabissano verso la Scogliera
del Diavolo?-
-Certo, perché se ci beccano finiamo noi sulla griglia-.
-Io dico: con tutta la fatica che avranno fatto questi poverac-
ci ad organizzare tutta questa messa in scena sarebbe un
peccato che ci perdessimo la parte più bella-.
-Ma di che diavolo parli?-
-Lui è ancora convinto di partecipare al Truman Show-. mi
spiegò Tindiana.
-Cosa?! Beh, se vuoi farti ammazzare accomodati, io me ne
torno indietro-. dissi nuovamente a Randolph.
-Ehi, non possiamo dividerci-. mi fermò Tindiana.
-Dillo a quello scemo che vuole farci ammazzare tutti-.
-Ma come la fai seria-, ribatté Randolph, -voglio solo seguir-
li da lontano, lo so anch’io che sei ci prendono ci “uccido-
no”-. e fece con le dita il segno del virgolettato.
-Ci vorrebbe che qualcuno di quei dannati cosi ti azzanni
una gamba-, gli rispose il Tindy, -così ti renderai conto che
non è un gioco-.
-Come la fate lunga, io vado, se volete seguitemi-.
Randolph uscì di soppiatto dal cortile della chiesa per segui-
re a distanza il corteo delle creature di Innsmouth, io ribolli-
vo dalla rabbia, era pericoloso fermarsi ancora in quel posto
dannato, ma non potevamo nemmeno lasciare quello stupido
da solo.
214
-Ora gli sparo nel culo-. dissi estraendo la pistola.
-Lascia perdere-, disse Tindiana, -conviene seguirlo prima
che si cacci in guai seri-.
-Proprio quello che volevo evitare-.
Rinfoderai la pistola e andai dietro a Randolph seguito a mia
volta da Tindy e Abdul che chiudeva il gruppo.
Erano le quattro passate, mi trovavo a muovermi furtiva-
mente per le vie diroccate di Innsmouth, tra case decrepite
dai tetti crollati e cortili disadorni pieni di conchiglie e pesci
morti, la puzza era davvero tremenda anche per il mio naso
chiuso, e non vedevo l’ora di andarmene da lì.
Randolph si era accucciato dietro l’angolo di una casa in
prossimità del litorale, l’orda era piuttosto lontana e tutte le
luci delle lanterne risplendevano nel buio, il corteo che ave-
vamo incrociato si stava unendo ad altri giunti da altre vie e
vicoli della cittadina, il gracchiare e la puzza di pesce erano
sempre più forti.
Quando udii dei terrificanti suoni gutturali e vidi diverse fi-
gure deformi che stavano lentamente affiorando dall’acqua
afferrai Randolph da dietro per il colletto e gli intimai di fare
marcia indietro: -Abbiamo visto abbastanza, non credi? È
ora di andarsene-.
-Solo cinque minuti-. protestò lui.
-Ti rendi conto che stai mettendo a rischio non solo tutta la
missione ma anche le nostre vite? Non me ne frega un acci-
dente se vuoi vedere questi uomini pesce che si accoppiano,
dobbiamo andarcene e alla svelta-.
Randolph guardò prima me e poi gli altri due ed annuì: -Ok,
avete ragione, andiamo-.
Tornammo indietro piuttosto celermente e cercando sempre
di restare nell’ombra, ma ritornati nella piazza con le due
chiese trovammo una sgradita sorpresa: mi fermai all’angolo
di una casa, e vidi da lontano che un gruppo di abitanti erano
radunato proprio fuori dalla chiesa dell’Ordine, vidi uno u-
215
scire di corsa dall’edificio ed indicare agli altri ad ampi gesti
il retro. Avevano già scoperto che la porta della sacrestia era
stata divelta e ci avrebbero messo ancora meno a capire che
qualcuno si era addentrato nel loro covo.
-Merda, ora si che siamo nei guai-. esclamai a bassa voce, -
Tindy, tira fuori la mappa che dobbiamo trovare un’altra
strada-.
Tindiana prese dallo zaino la mappa che aveva disegnato
abbastanza accuratamente, era ovviamente una mappa ideale
perché desunta dal racconto, ma ci dava almeno un’idea di
come poter uscire da là.
-Tempo che presto pattuglieranno tutte le uscite-, disse Tin-
diana, -si stanno già spostando lungo la via principale-.
-E allora che si fa?- fece Abdul.
-Anche nel racconto succedeva una cosa analoga-, mi ricor-
dai, -come andava avanti?-
-Potremmo controllare-, rispose il Tindy, -ma se non mi
sbaglio il protagonista raggiungeva la vecchia linea ferrovia-
ria abbandonata. Aveva intuito che l’unica via percorribile
era quella della vecchia ferrovia, posta lungo il bordo della
gola del fiume, il sentiero è pieno di rovi e sterpaglie, ma
non abbiamo molta scelta. Una volta usciti dal paese non
dovremmo avere difficoltà a raggiungere al pozzo da cui
siamo usciti-.
-Da che parte andiamo?- domandai guardando la mappa.
-Dobbiamo passare oltre Babson Street, e poi ad ovest di La-
fayette, costeggiamo uno spazio aperto e poi puntiamo a
nord e quindi ad ovest, attraversando Lafayette, Bates, A-
dams e Bank street, fino all’ultimo bordo della gola del fiu-
me e da lì alla stazione abbandonata-.
-Ok, attenti e niente cazzate, Tindy fa strada-. dissi.
-Perché sempre io?-
-Tindy, porca miseria! Non è il momento di fare discussioni,
tu consoci la mappa meglio di noi, muoviti!-
216
-Muoviti Tindy!- mi fece eco Abdul.
Sbuffando come al solito Tindiana ci fece strada lungo le vie
ed i vicoli di quella maledetta città, sentivamo l’eco di grac-
chi, strane grida, gente che correva e luci che si accendevano
dalle stanze con le finestre rotte delle abitazioni circostanti.
Notai che Tindiana non era più in grado di farci strada, più
per la tensione e la paura che l’incapacità, così presi io la
mappa e mi misi davanti al gruppo, con Abdul in coda che ci
guardava le spalle.
Incrociammo gruppi di quegli esseri che correvano lungo le
strade con le lanterne e i bastoni tra le mani, io mi bloccavo
di colpo e ci appiattavamo contro il muro dell’edificio che
fiancheggiavamo, trattenendo il respiro, a pericolo scampato
e via libera riprendevamo a correre nella notte in cui era or-
mai scattata una caccia all’uomo e le prede eravamo noi.
Ovviamente non poteva andarci sempre bene, e mentre at-
traversavamo una strada ebbi uno dei miei violenti starnuti
che ci fece scoprire da un gruppo di abitanti in fondo alla
via. Subito il gracchiare e i versi inumani echeggiarono a
gran voce in tutta la cittadina.
Il cuore ci balzò in gola e prendemmo a correre a perdifiato
verso la linea ferroviaria ormai nelle vicinanze. Nonostante
la pessima forma fisica di Tindiana e Randolph, che non
hanno mai fatto dello sport in vita loro se non con la Play
Station, riuscimmo a raggiungere appena in tempo il fitto
intrico di rovi, sterpaglie, gramigna ed erbaccia varia che
ricopriva i binari e che ci dava un minimo di copertura.
Non c’era tempo per prendere fiato, e riprendemmo subito il
cammino, lungo il sentiero di terra e ciottoli vari, ci muove-
vamo a carponi, per nasconderci dietro l’erba alta e i cespu-
gli, le spine dei rovi ci graffiavano la faccia e i vestiti, ma
era un fastidio sopportabile se significava salvare la pelle.
La regione divenne ben presto paludosa, ma eravamo ormai
in prossimità della nostra via di fuga, eravamo discretamente
217
lontani da Innsmouth da poter rialzarci in piedi e darci una
ripulita, eravamo tutti insozzati di fango e terra, e avevamo
la faccia e le mani piene di graffi.
L’immagine di Innsmouth da lontano era un sollievo, i suoi
tetti cadenti, le sue guglie, i suoi comignoli, le case fitte e
strette, disposte secondo un ordine delirante, il suo molo abi-
tato da immonde creature erano ormai lontani.
-Beh-, dissi, -nonostante l’impegno di tutti a farci beccare ce
l’abbiamo fatta-.
Guardavo da circa un centinaio di metri il pozzo da cui era-
vamo usciti, ed il cuore mi mancò di un battito quando vidi
una sinistra ed abnorme figura emergere dallo stesso pozzo,
seguita da altri tre suoi simili: ci appiattimmo a terra, impre-
cando contro la malasorte. C’erano quattro di quelle creature
zoppe e deformi, che brandivano delle specie di fiocine, po-
tevamo sentire la loro puzza di pesce sin da lì, aspettammo
in silenzio, acquattati tra i cespugli, che se ne andassero, ma
pareva invece che non ne avessero l’intenzione.
Forse avevano intuito che eravamo usciti da lì e che quella
era la nostra unica via di fuga.
-Io dico di affrontarli-, disse Abdul, -gli spariamo, moriran-
no pure loro-.
-E’ troppo rischioso, noi non siamo bravi con le armi, ma
loro potrebbero essere dei maestri con quelle fiocine-. dissi
mentre pensavo ad una soluzione. –Qual è l’entrata più vici-
na oltre a questa?- domandai a Randolph.
Attento a non alzarsi il mio amico prese i suoi appunti dallo
zaino e mi rispose: -Arkham…-
-Allora dobbiamo raggiungere Newburyport, e prendere il
treno per Arkham-.
-Ma Newburyport sarà almeno a dieci km da qui-, protestò
Abdul, -e per di più dovremmo passare attraverso questa
merda paludosa-.
-Vuoi restare qui finché non albeggia e ci potranno vedere
218
meglio?- gli disse Randolph.
-Se ci mettiamo subito in marcia dovremmo farcela in
un’ora o poco più-. affermai.
-Pare non ci siano alternative-. disse Tindiana.
-Potremmo affrontarli-, insisté Abdul, -spariamo da qua, ne-
anche ci vedranno-.
-Piantala-, lo redarguì Randolph-,io non sparo a nessuno,
probabilmente quelli non sono altro che ragazzi come noi
truccati e travestiti da pesci rana, e tu vuoi colpirli?-
-Certo-.
-Andiamo-. li chiamai mentre mi allontanavo a carponi da lì.
Ci spostammo a quattro zampe fino a quando non fummo
sicuri che nessuno poteva vederci, poi ci alzammo e mar-
ciammo celermente tra il fitto sottobosco, in mezzo a fango
ed alberi cadenti.
Alla nostra sinistra avevamo l’oceano Atlantico che risplen-
deva sotto i raggi della luna piena, e poco dopo alla nostra
destra vedemmo la strada che collegava Newboryport ad In-
nsmouth, la stessa percorsa dalla corriera.
Quella camminata estenuante ci portò ad assistere all’alba,
col sole che sorgeva all’orizzonte dell’oceano, e ormai in
dirittura di arrivo, ci fermammo a bere e a riposarci, seduti
su alcuni massi a poche decine di metri dalla costa, bevem-
mo anche un sorso di brandy per riscaldarci le budella, con
colpi di tosse più o meno forti, e poi riprendemmo il cammi-
no.
Sembrava l’inizio di una bella giornata perlomeno, il cielo
era limpido e stava sorgendo, ma non feci in tempo a con-
cludere il mio pensiero quando crepitò nel cielo un tuono
seguito da altri che spaccarono l’aria, e presto iniziò a piove-
re.
Ci infilammo in fretta i nostri k-way e poi riprendemmo la
marcia verso Newboryport, prima che la strada fangosa di-
venisse impraticabile con la pioggia.
219
Verso le 5.30, con le scarpe immaltate e con i k-way inzup-
pati d’acqua raggiungemmo finalmente la strada e quindi il
piccolo paese di Newboryport.
La città era ancora addormentata, ma i più mattinieri erano
già giù dal letto, ci saremmo fermati volentieri a fare cola-
zione in un bar, ma non ci sentivamo ancora al sicuro, nem-
meno a Newboryport.
Così attraversammo le strade della piccola cittadina e se-
guimmo le indicazioni per la stazione.
-Avete notato?- dissi ai miei amici mentre camminavamo
sotto la pioggia.
-Cosa?- mi domandò Randolph.
-Le insegne, i cartelli, tutto è scritto in inglese-.
-Beh, siamo nel New England…-
-Lo so, ma questo vuol dire che anche la gente parlerà in in-
glese. Ti toccherà esibire il tuo inglese fluente-.
-Non è un problema-.
-Scusa, ma voi non siete americani? Dovreste parlare la loro
stessa lingua-. notò Abdul.
-Non è proprio così-, gli spiegai, -agli effetti del gioco noi
siamo italiani con nome americano, tutto qua-.
-Allora come compriamo i biglietti del treno? Le lire non le
prendono di certo-.
-Giusto-. dissi, -E non è un problema indifferente-.
-Non proprio-. fece il Tindy mostrando un sorriso di soddi-
sfazione a 32 denti, -Io che sono uno avanti, avevo calcolato
questa eventualità e ho preso da casa venti dollari che tenevo
per collezione-.
-Taccagno, solo 20 dollari!- gli dissi prendendolo in giro.
-Bravo Tindy, una volta tanto fai anche tu qualcosa di buo-
no-. si complimentò Randolph.
Il mio amico ci mandò a quel paese e prese a camminare ce-
lermente, mentre noi ridevamo.
Le poche persone che ci vedevano mentre aprivano le per-
220
siane delle loro finestre ci guardavano con curiosità e sor-
presa, ma niente di più.
-Ad Arkham dove si trova il passaggio?- chiesi a Randolph.
-Indovina un po’?-
-Miskatonic University?-
-Manicomio di Arkham-. affermò.
-Mi mancava il manicomio-. commentai acidamente.
-Il passaggio è sotto l’edificio, dovremo entrare in qualche
maniera nei sotterranei e da lì torniamo a casa-.
-Sembra più una campagna che una singola avventura-.
-Ho idea anch’io. Ma forse manca poco alla fine, speriamo
almeno che il premio sia all’altezza della nostra impresa-.
La strada, chiusa ai lati dalle basse abitazioni, s’immetteva
su una strada più grande, lungo la quale era situata la stazio-
ne, una piccola e decadente stazioncina, di quelle che si tro-
vano solo nei libri di storia, ma che, a quanto pareva, nel
New England erano ancora in auge.
-Dici che avranno ancora il treno a vapore?- feci affiancan-
domi ad Abdul.
-Già, e probabilmente alimentano ancora il fuoco con cani e
gatti-.
La biglietteria era ancora chiusa, ovviamente, ma apriva
comunque alle 6.30, abbastanza presto, e il treno per Ar-
kham partiva alle sette in punto.
Non esisteva una sala di aspetto, ma sul lato interno della
stazione, quello che dava sulla linea ferroviaria, c’era una
banchina con un paio di panche appoggiate al muro ed una
fontanella.
Ne approfittammo così per riposarci, mi levai di dosso lo
zaino e mi sentii incredibilmente leggero, e poi mi lasciai
andare sulla panca, mentre gli altri erano andati a lavarsi la
faccia alla fontana.
Le banchina per fortuna era al coperto sotto una tettoia piut-
tosto ampia, mi tolsi il cappuccio del k-way e poi guardai
221
attorno: eravamo in un posto dimenticato da Dio, nel New
England, forse, immersi in una meravigliosa quanto ardua
avventura.
Non so il perché ma in quei brevi momenti di calma, come
quello in cui stavamo passando lì alla stazione, avvertivo
una forte emozione, difficile da descrivere, era come pren-
dersi un intervallo, tra una tempesta e l’altra, ma probabil-
mente non sarebbe stato lo stesso se non fossi stato lì con i
miei migliori amici.
C’era una leggera quiete, la pioggia cadeva finemente, e dai
comignoli delle case cominciavano ad uscire i primi fumi.
Mentre ero assorto nei miei pensieri mi arrivò sulle gambe
una brioche confezionata, alzai lo sguardo e vidi Abdul se-
dersi al mio fianco sulla panca.
-Grazie-. dissi aprendo la merenda.
-Come va?-
Scossi la testa: -Quando le cose vanno troppo per le lunghe
non mi piacciono, ora dobbiamo viaggiare fino ad Arkham e
poi dovremo addentrarci nei sotterranei del manicomio.
Come se fosse facile-.
-Qualcosa ci inventeremo-.
-Per forza, lo facciamo sempre-.
-Però funziona-.
-Già, ma sempre per il rotto della cuffia-.
-Tu cosa credi? Mi sembra assurdo che ci abbiano fatti sbu-
care in una finta città, è troppo reale tutto quanto. Eppure è
ancora più assurdo che sia tutto vero-.
-Non so che dirti. Ti dovrei dire che è tutto vero, che questo
non è un gioco di ruolo, ma che qualcuno ha solo utilizzato
questo ingegnoso sistema per servirci di noi e di tanti altri
per i loro scopi, ma ho paura a farlo-.
-Ma chi potrebbe averlo fatto?-
-Io ho pensato a lungo e alla luce degli ultimi avvenimenti
ho fatto alcune ipotesi-. mentre parlavo anche Randolph e
222
Tindiana si erano avvicinati ad ascoltare, -Sembra che lo
scopo finale dell’avventura sia aprire questo dannato varco
dimensionale, ma diverse fazioni vogliono farlo a loro van-
taggio: c’è Sagesse Triomphante che probabilmente il varco
lo vuole attraversare; la TM Society che vuole farlo attraver-
sare dai corpi astrali di tutte le creature cosmiche sparse per
il nostro pianeta; e non mi sorprenderei del fatto che ci sia di
mezzo anche l’Ordine di Dagon, non dimentichiamo che li
abbiamo incontrati in due occasioni a Milano, e forse a loro
il varco converrebbe farlo attraversare a qualcuno ma nel
verso opposto, dal cosmo verso la Terra; e forse ci sono altri
gruppi ancora che non conosciamo. Ma non mi stupirei se
dietro tutto ci sia un unico burattinaio, un unico individuo
che muove tutti come marionette al suo volere, al solo scopo
di divertirsi e dimostrare la sua onnipotenza-.
-Sembra una eventualità alquanto improbabile-, intervenne
Randolph, -chi credi possa essere?-
-Colui che vede tutto e conosce tutto: il Custode-.
-E chi diavolo potrebbe essere?-
Alzai le spalle: -Forse è proprio questo il vero scopo del
gioco: scoprire chi è il Custode-.
-Certo che è un bel casino-. commentò Abdul.
-Come ogni gioco di ruolo che si rispetti-. risposi.
-Lasciamo da parte ipotesi fantastiche per il momento-, disse
il Tindy, -pensiamo piuttosto a recuperare le forze, abbiamo
ancora parecchia strada da fare-.
Passammo la restante ora seduti sulla panca a guardare Ne-
wboryport che si svegliava, il cielo grigio che continuava a
piovere anche se non violentemente, le rotaie deserte della
ferrovia che si bagnavano, le prime saracinesche dei negozi
che si aprivano, e gli abitanti più mattinieri che camminava-
no o percorrevano le strade in bicicletta.
Alle sei e mezza aprì la biglietteria.
Randolph prese i soldi e andò allo sportello, dove stava un
223
simpatico vecchietto con la divisa della Ferrovia Boston and
Maine.
-Salve-. lo salutò Randolph.
-Good morning-. rispose quello nella sua lingua.
[D’ora in avanti i discorsi diretti in lingua inglese saranno
tradotti simultaneamente e contenuti tra i simboli < e > per
non rendere ancor più caotico questo resoconto di quanto
già non lo sia. Ndr ]
-Parla in effetti straniero-. disse Randolph girandosi verso di
noi, poi si rivolse nuovamente al vecchietto: -<Mi da quat-
tro biglietti per Arkham per favore?>-
-<Subito.>- il bigliettaio prese quattro biglietti e gli passò al
mio amico: -<Fanno 6 dollari.>-
Randolph gli diede una delle due banconote da 10$ e prese i
biglietti.
-<Che ci fanno degli stranieri da queste parti, se mi è per-
messo chiederlo?>- domandò il vecchietto.
-<Stiamo seguendo un itinerario letterario, i racconti di Lo-
vecraft hanno reso famosi posti come questo o Innsmouth.>-
-<Davvero? Non lo sapevo, chi è questo Lovecraft?>-
-<E’ il più grande scrittore horror assieme a Alan Poe, è na-
to proprio qui nel New England, a Providence.>-
-<Ma pensa, non lo sapevo, non vado mai a Providence.
Una volta sono stato a Boston per lavoro, ma non oltre.>-
-Con questo ci tiro notte-, si disse Randolph, -<è stato un
piacere, stia bene.>-
-<Fate attenzione ad Arkham-, lo avvertì il bigliettaio, -non
è un posto per ragazzi in visita turistica, nasconde molti se-
greti.>-
-<Lo sappiamo bene, grazie.>-
Randolph tornò da noi e ci diede i biglietti.
-Che diavolo aveva da blaterare il vecchio?- gli chiese Ab-
dul.
-Niente, mi ha domandato cosa ci facciamo qui e mi ha av-
224
vertito che Arkham non è un posto per noi-. ci riferì Ran-
dolph.
-Come se non lo sapessimo-. bofonchiai.
-E’ quello che gli ho detto. Il treno arriva alle 6.50, resta
fermo in paese dieci minuti e poi riparte-.
Tornammo sulle panche mentre col passare dei minuti altre
persone arrivavano sulla banchina per prendere il treno di-
retto ad Arkham.
Sembravano tutte persone comuni, nessuno di loro aveva la
cosiddetta “Maschera di Innsmouth” dipinta sul volto, anche
se le brutte facce non mancavano, ma d’altra parte anche noi
avevamo Abdul.
Il treno arrivò emettendo un sonoro fischio, quando la sua
figura si stagliò all’orizzonte rimanemmo ammutoliti: il tre-
no era una discarica ambulante, sembrava dovesse cadere in
pezzi da un momento all’altro, era un vecchio modello a ga-
solio (o kerosene) con le marce, con tre vagoni e panche di
legno invece di sedili.
-Sembrano i treni italiano del fascismo-. commentai.
-Ehi, quando c’era Lui almeno i treni arrivavano in orario-.
puntualizzò il Tindy riferendosi ovviamente al Duce.
-Non che a me interessi arrivare in orario-, disse Abdul, -mi
basterebbe arrivare e basta-.
Il treno si fermò emettendo un terribile stridio di freni, sa-
limmo assieme agli altri passeggeri e trovammo il posto su
due panche.
Il viaggio non fu il massimo della comodità, ogni tanto mi si
addormentava la gamba, ma per chi prendeva tutte le matti-
na treno e metropolitana per Milano dove si stava in piedi e
tutti stretti come sardine quello era un viaggio di lusso.
Alle sette, come previsto, il vecchio treno partì, anche se a
fatica, traballando ed emettendo preoccupanti rumori dal
motore posto sotto il locomotore, non era consuetudine sen-
tire lo scalare della marce su di un treno, e mi pareva che
225
non ne avesse più di tre.
Mentre viaggiavamo ci scorreva davanti al finestrino il clas-
sico paesaggio della campagna del New England, con le sa-
gome lontane di sparuti villaggi e piccole cittadine, mentre il
mare si allontanava sempre più.
Avevamo con noi una mappa dettagliata e ben disegnata di
Arkham, stampata su una delle espansioni del GdR, ed era
già un buon inizio, la cittadina era stata costruita proprio sul-
le sponde del fiume Miskatonic, e risultava praticamente di-
visa nelle due zone: nord e sud.
La linea ferroviaria entrava ad Arkham costeggiando il fiu-
me sulla sponda settentrionale e dove era posta la stazione.
La giornata uggiosa e grigia aumentò ancor di più l’effetto
tetro e misterioso di Arkham, da lontano s’intravedevano già
i numerosi tetti incurvati e spioventi, i comignoli, le torri
delle chiese, della Miskatonik University e dei palazzi prin-
cipali, case scure, erette le une vicine alle altre, tanto che le
grondaie dei tetti si toccavano, il fumo dei camini aleggiava
sopra l’intera cittadina come una nebbia, e all’istante mi tor-
narono in mente tutte le leggende di Arkham, le streghe che
vi abitavano, i misteriosi episodi di follia di alcuni suoi abi-
tanti, i macabri esperimenti del dottor West e tutti i segreti
che si celavano nella biblioteca sotterranea della Miskatonic
University.
Arkham non era una città reale, anch’essa, come Innsmouth,
era frutto della fantasia di Lovecraft, eppure noi stavamo per
addentarci tra le sue strade strette e i suoi vicoli bagnati dal-
la pioggia, era tutto così irreale…
Il controllore del treno entrò nel vagone avvisandoci che
stavamo per entrare ad Arkham, così ci alzammo dai nostri
posti, prendemmo in mano gli zaini e ci preparammo a
scendere.
Tirai su il cappuccio del k-way e scesi dal treno una volta
fermo in stazione, Arkham era in fermento già di prima mat-
226
tina, c’era un gran via vai di macchine e persone a piedi, ci
infilammo dentro la piccola stazione, al coperto, per leggere
la pianta della città ed elaborare un piano per entrare nel
manicomio.
C’era un piccolo bar adiacente alla stazione, così ne appro-
fittammo per andare a sederci e prenderci qualcosa di caldo.
Ci sedemmo ad un tavolino del piccolo bar, dove entrava ed
usciva gente in continuazione, il locale era grigio, freddo, e
per niente accogliente, ma ci saremmo fermati solo per po-
chi minuti.
-Allora, che ne sappiamo di questo manicomio?- chiese
Randolph per fare il punto.
-Poco-, rispose il Tindy, -quasi nulla. Il manicomio compare
solo in due racconti ed in entrambi non viene né descritto né
narrato alcunché che possa esserci utile, sappiamo che è
chiuso da tempo, e che probabilmente in quelle celle vi era-
no rinchiusi individui completamente impazziti e dalla men-
te desolata-.
-Se è chiuso non dovremmo avere particolari problemi una
volta entrati-. disse Randolph.
-Non lo so-, intervenni, -di solito questi posti, anche se chiu-
si, mantengono una certa carica negativa-.
-Credo che tu stia esagerando. Ma sarà meglio prepararsi al
peggio-.
-Arkham…- sospirò Abdul, -se non ci fossi non ci crederei-.
-Perché non approfittiamo di questa occasione più unica che
rara per visitare l’università?- propose Randolph.
-Perché abbiamo già passato abbastanza guai, mi pare-. gli
rispose Tindy.
-Suvvia, Tindy, è solo un gioco, e poi che ci sarà di tanto
pericoloso a visitare la Miskatonic, è solo università-.
-Già, con più segreti di quanti si possa immaginare-.
-A maggior ragione-. sorrise Radolph, -Io vado, chi viene
con me?-
227
-A me non dispiacerebbe-. lo spalleggiò Abdul.
-Non è una buona idea separarsi, anche se per poco-, dissi
guardando il Tindy, -è meglio se ci andiamo assieme-.
Presa quella decisione ci incamminammo verso l’università,
era ancora presto e c’erano pochi studenti in giro.
L’ateneo era formato da numerosi cortili interni e chiostri,
alti archi di pietra conducevano ad altre sale, gallerie, scale
che scendevano in basso, aule, crocevia, lungi porticati di
pietra che emanavano antichità e magia, mentre il cielo che
vi contrastava in alto era plumbeo e in quel momento fu at-
traversato da un piccolo stormo di corvi neri che gracchia-
vano nel silenzio della mattinata.
Sapevamo bene che addentrarci nei meandri dei sotterranei
della Miskatonic University non era raccomandato, erano
tante le storie, le leggende su cosa si nascondeva là sotto:
laboratori alchemici, sale operatorie per la rianimazione di
cadaveri, tunnel di cui non se ne conosceva la fine, stanze
segrete, ed una misteriosa biblioteca di cui si sono avvalsi
personaggi ambigui e sinistri come il dottor Herbert West,
Walter Gilman o il mostruoso Wilbur Whateley.
Randolph si lasciò trasportare dall’eccitazione e, seguendo
le indicazioni, ci condusse attraverso un labirintico intrico di
corridoi e scale alla biblioteca: un’immensa sala le cui altis-
sime pareti erano interamente costituite da scaffali pieni di
antichi libri, altri numerosi scaffali e librerie di legno erano
disseminate in maniera ordinata (benché l’ordine avesse una
logica complessa) in tutta la sala. Le luci erano fioche, e i
pochi studenti presenti leggevano con l’ausilio di alcune
lampade montate vicino ai banchi per la lettura.
Non so se si trattava solo di suggestione, o di emozione, ma
avevo la netta impressione che lì dentro le ombre si muove-
vano di propria volontà, avvicinandosi a noi sempre più, e la
sensazione di essere osservati era ancora più netta, improv-
visamente ebbi la forte tentazione di andare via, al più pre-
228
sto, da quel luogo arcano e segreto.
-Andiamocene-. dissi agli altri.
-Aspetta fammi dare un’occhiata-. mi rispose Randolph con
tono pacato.
Una voce stridula alle nostre spalle ci fece voltare di scatto:
-Cercate qualcosa in particolare?- era un vecchio uomo, un
po’ gobbo, dai capelli radi e bianchi, il naso appuntito sor-
montato da un paio di occhialini senza stecche, un individuo
sinistro per un posto altrettanto sinistro.
-Lei è il bibliotecario?- domandò Randolph.
-Sì, cosa cercate? Un libro sulle equazioni di Fourier? O
magari sui differenziali?-
-No, no-, rispose il mio amico, -stiamo solo dando
un’occhiata-.
-Questo non è un negozio-, rispose in tono severo il vecchio
bibliotecario, -qui gli studenti cercano sempre qualcosa in
particolare. Voi state cercando qualcosa di molto particolare,
un vecchio libro, magari?-
Randolph, con tono nobile, disse: -Beh, si vede che lei ha
fiuto, signore, in effetti il libro che stiamo cercando è un an-
tico manoscritto arabo, si chiama Al Azif…-
Io e Tindy lo guardammo chiedendoci se fosse impazzito,
ma lui non fece una piega, anzi, sembrò soddisfatto della sua
richiesta, benché lo sguardo del bibliotecario mutò, dive-
nendo scuro.
-Quel libro non esiste, ragazzo, e se fossi in voi me ne andrei
subito via-.
-Certo che esiste…- la ribattuta di Randolph venne sovrasta-
ta dall’uomo: -Ho detto via!!-
Io, che già mi ero allontanato di corsa alla prima avvisaglia,
venni raggiunto dai miei tre compagni sulle scale che porta-
vano al piano superiore, percorremmo diversi corridoi, tun-
nel, sale e scalini, e dopo una decina di minuti ci accorgem-
mo di esserci perduti.
229
Ci fermammo a prendere fiato in un corridoio deserto e de-
bolmente illuminato.
-Bravo, sei contento?- ripresi Randolph mentre riprendevo
fiato.
-Ma che colpa ne ho se quello se l’è presa?-
-Ma ti paiono domande da fare? Proprio non lo vuoi capire
che questo è un gioco di ruolo molto particolare?-
-Ok, va bene, ma ora che si fa? Ci siamo persi-.
-Qualcuno ha disegnato la mappa?- domandò Tindy.
-Di solito la fa lui-. risposi indicando Abdul.
-Ah no, stavolta no. Non posso andare in giro con il block
notes e matita ogni volta-. si difese lui.
-Sei un irresponsabile, e adesso?-
-Direi di provare a cercare delle scale per salire, anche se
dovessimo finire ai piani superiori ci saranno delle finestre
con cui orientarci-. suggerì Tindiana.
-Non so se l’avete notato-, fece Randolph, -ma qui dentro ci
sono le indicazioni per entrare e non per uscire-.
Ci incamminammo nuovamente nei meandri dei corridoi,
non era facile trovare delle scale, e spesso trovavamo solo
rampe che scendevano, ci trovammo così in tetri ed angusti
passaggi da cui si poteva addirittura sentire il flusso del fiu-
me Miskatonic che passava al di là delle pareti.
D’un tratto di trovammo di fronte ad una massiccia porta di
legno lavorato che non avevamo ancora visto.
-Forse si esce di qua-, disse Abdul, -questa porta è diversa
dalle altre. E dubito che il rettore abbia un ufficio proprio
qua sotto-.
-Speriamo-, sospirai, -io non ne posso proprio più di star
qui. Tu e le tue idee-.
-Nessuno ti ha obbligato a venire-. mi rispose Randolph.
-Vero, ma visto che ci hai cacciato tu in questo guaio perché
non apri la porta?-
-Certo, non ho paura, io-.
230
Nonostante le sue parole la mano di Randolph tremò nel
momento in cui abbassò la maniglia e aprì la porta.
Uno strano odore pervenne quando la porta si aprì, titubanti
avanzammo di qualche passo, ci trovammo in una camera
particolare, molto lunga, dal pavimento piastrellato di arcani
disegni, ed il soffitto costituito da diverse celle a volta. Vici-
no alle pareti bollivano su dei fuochi dei pentoloni neri, libri
e fogli ingialliti erano sparpagliati su tavolini, scaffali, mobi-
li e pavimento.
Procedemmo con cautela ed infondo alla stanza ci imbat-
temmo in un grande tavolo di legno massiccio sui cui erano
disposte ampolle di vetro, becker, fiale e boccette con strane
sostanze liquide o polveri colorate, alcune bollivano sotto
dei piccoli fuochi di alcool, altre erano invece rovesciate.
Nessuno proferì parola, l’idea di trovarci in un laboratorio
alchemico ci intimorì non poco, c’erano anche alcune casse
misteriose da cui provenivano inquietanti rumori o suoni.
In fondo la stanza faceva una piccola curva ad L, e proprio
infondo a quel lato della stanza c’erano delle scale che sali-
vano, delle scale a chiocciola. Le percorremmo di corsa e io,
che ero in testa, fui il primo a sbucare all’esterno, in una zo-
na verde proprio adiacente alla riva del fangoso fiume Mi-
skatonic.
Assaporai a pieni polmoni l’aria fresca di Arkham, anche i
miei compagni erano visibilmente soddisfatti di essere usci-
ti, per alcuni momenti ci era davvero parso impossibile usci-
re da quel dedalo di corridoi, passaggi e sale cupe.
-Meglio allontanarci-, suggerì Tindy-, non vorrei che qual-
cuno volesse utilizzare questa entrate proprio ora-.
Una volta tanto non ci furono discussioni e ci spostammo
verso il centro della cittadina.
Venti minuti più tardi ci trovavamo di fronte alla cancellata
in ferro dell’imponente struttura del manicomio di Arkham,
chiuso ormai da decenni, ma dalla cui figura alta, imponen-
231
te, con le finestre rotte dal cui interno emergevano strane ed
inquietanti figure, traspirava ancora un’intensa aura tetra e
sinistra.
Il manicomio di Arkham era ormai ridotto ad un edificio in
rovina, con il giardino incolto e pieno di alte erbacce e rifiuti
metallici lasciati lì ad arrugginire, alto tre piani e con nume-
rosi padiglioni, aveva anche un seminterrato ampio quanto
l’intera pianta della struttura e forse anche di più.
Purtroppo nei racconti di Lovecraft il manicomio veniva so-
lamente citato o descritto sommariamente, in quanto veniva
data importanza più ai personaggi che vi gravitavano attorno
che alla struttura stessa, per cui le informazioni in nostro
possesso erano scarse, e non potevamo che affidarci
all’intuito.
Il cancello era chiuso da un vecchio catenaccio arrugginito,
ma il cancello si apriva lo stesso di quei 20-30cm che per-
mettevano di poterlo attraversare senza scassinare nulla.
Quando eravamo sicuri che nessuno ci vedesse entrammo di
soppiatto attraverso l’apertura e poi scattammo verso
l’ingresso principale dell’edificio.
Da lì sotto il manicomio aveva un’aria ancor più spettrale,
non c’era bisogno di scassinare nulla visto che una delle
doppio porte era praticamente crollata a terra, un grande ve-
lo di nylon era stato posto davanti alla porta a chiudere il
passaggio.
Ci trovammo così all’ingresso del monumentale manicomio,
il cui soffitto raggiungeva forse gli otto metri, conferendogli
ancor di più un aspetto tetro e lugubre. In terra c’era uno
spesso tappeto di polvere e sporcizia solida varia, da vecchi
mobili frantumati, a vetri e vecchi materassi e via discorren-
do, soffitti ed angoli erano ormai preda dei numerosi aracni-
di che vi dimoravano dalla notte dei tempi, mentre anche
diversi topi gironzolavano per i corridoi bui e silenziosi del-
la vecchia casa di cura mentale.
232
Diverso intonaco si era staccato dalle pareti e ricopriva gran
parte del pavimento, ci addentrammo nei corridoi lentamen-
te, dopo aver preso in mano le nostre fidate torce elettriche,
seguendo le indicazioni che portavano al pian terreno.
Non era facile camminare al buio per i corridoio di un mani-
comio abbandonato, con fuori il temporale, e sapendo di che
ci potevano essere strane creature che si aggiravano per
l’edificio, inoltre l’interno era tutto fatiscente e maleodoran-
te.
-Ho uno strano presentimento-, dissi avvertendo una terribile
sensazione, -questo posto nasconde qualcosa-.
-Non mi dirai che sei un sensitivo ora?- fece Randolph pro-
seguendo per il corridoio.
-No, ma ho capito con cosa abbiamo a che fare-.
Trovammo la porta che dava sulla tromba delle scale, scen-
demmo lentamente giù per gli scalini di pietra e arrivammo
in uno stretto corridoio, anche lì sotto c’era un odore pesti-
lenziale di chiuso, polvere e chissà cos’altro, ma fu un’altra
cosa che non solo ci sorprese, ma ci spaventò letteralmente
quando le luci delle nostre torce si posarono sulle pareti:
scritte di simboli arcani, farsi in linguaggi morti o proibiti,
dappertutto.
Proseguendo trovammo delle piccole stanze cieche, le celle
in cui venivano rinchiusi i soggetti più pericolosi, provai ad
osservarne qualcuna illuminando le pareti imbottite e strap-
pate: una era completamente piena di croci disegnate anche
su pavimento e soffitto, altre scritte con simboli magici e
mistici, in altre ancora vi erano delle vistose macchie di san-
gue sulle pareti e sul pavimento.
In fondo al corridoio c’era una porta di metallo con una pic-
cola finestrella, la porta era leggermente aperta ed incurvata,
uno dei cardini era ceduto, avevo una terribile sensazione,
come se dietro quella porta si nascondesse qualcosa di in-
nominabile e spaventoso.
233
-Perché ti sei fermato?- mi domandò Randolph dietro di me.
-Ho paura-. risposi brevemente.
-E di che? Non c’è nulla qua sotto-.
-Di quello che c’è dietro questa porta. Lì nel buio più pro-
fondo-.
-Vado avanti io-. disse Abdul superandomi, aprì lentamente
la porta e il illuminò il suo interno con la torcia elettrica alla
quale si aggiunsero poi le altre nostre.
Non appena misi piede dentro quella infernale stanza sentii
di non poterci stare un secondo di più, ma qualcosa mi im-
mobilizzò, i miei muscoli erano bloccati per la paura, per
l’orrore.
Nella stanza c’erano dei particolari macchinari: macchine
per elettroshock, strumenti per la lobotomia, lettini chirurgi-
ci, e altri attrezzi medici che sembravano più da inquisizione
che da neurochirurgia. Quella stanza urlava ancora tutto il
dolore e la sofferenza di quelle povere anime che vi erano
morte tra spasmi atroci per colpa di medici folli che si defi-
nivano all’avanguardia per gli esperimenti deliranti che ope-
ravano sui pazienti.
Continuai a guardarmi attorno puntano la torcia nella piccola
sala, ammutolito, rabbrividendo, poi d’un tratto la tempera-
tura calò vertiginosamente.
-Ehi, voi non sentite freddo?- chiesi mentre il mio fiato si
condensava.
-In effetti…- rispose Randolph mentre anche gli altri rabbri-
vidivano per il freddo.
-Ma che diavolo…- non finii l’esclamazione che dal buio
vidi uscire una terrificante figura eterea, uno fantasma…
-Oh diavolo!!- il cuore mi balzò in gola e arretrai di colpo
contro il muro dietro di me portandomi le mani al volto.
Sentii subito dopo una mano amica che mi prendeva il brac-
cio e riaprii gli occhi: -Che ti prende?- era Abdul.
-Non l’avete visto, dannazione?!- esclami con voce disperata
234
e atterrita che spaventò i miei amici.
-Cosa?-
-Era un dannato spettro! Questo posto è pieni di fantasmi!-
continuavo a gridare disperato mentre la temperatura era
sempre sotto lo zero, -Dobbiamo andarcene! Alla svelta!-
-Chissà che diavolo hai visto-, sdrammatizzò Abdul, -i fan-
tasmi non esistono-.
Non ebbe terminata la frase che due figure spettrali dal volto
angosciante e i contorni indefiniti passarono davanti e dietro
di noi, terrorizzandoci all’istante.
Nonostante lo spavento (o per via dello spavento) mi gettai
verso la porta che stava dall’altra parte della sala correndo a
perdifiato in un corridoio su i cui muri c’erano centinai di
impronte di mani insanguinate, e poi scritte come: Ia-
R’lyeh! Cthulhu fhtagn! o Ia! Shub Niggurath! Formule di
invocazioni antiche e proibite.
Correvo senza sosta, senza alcun criterio, aprivo le porte da-
vanti a me senza sapere dove conducessero, con la luce della
torcia che illuminava sconnessamente pavimento, pareti e
soffitto a seconda di come muovevo il braccio, nella freneti-
ca corsa verso una possibile uscita, mentre invece mi stavo
infognando sempre più nei meandri di quel dedalo di corri-
doi, porte, e scalini in discesa.
Mi fermai quando Abdul mi afferrò per il giubbino e mi tirò,
eravamo piuttosto lontani dalla sala, respiravamo a grosse
boccate, ansimanti e ancora terrorizzati, i battiti del cuore
erano rapidissimi, tanto che credevo mi sarebbe scoppiato
dal petto.
Randolph e Tindy arrivarono poco dopo, stravolti per la cor-
sa, ci sedemmo a terra, appoggiandoci alla parete, nessuno
proferiva parola, impegnati com’eravamo a riprendere fiato.
Avevo ancora le lacrime agli occhi per lo spavento, ed il bat-
tito non accennava minimamente a diminuire, dovevo asso-
lutamente uscire da quel dannato posto infestato dai fanta-
235
smi e dai demoni della follia.
-Andiamocene da qui, diavolo!- esclamai con una voce qua-
si stridula rialzandomi.
-Forse ci siamo-, ansimò Tindiana, -siamo scesi ancora e qui
le pareti sono di pietra, vedete? Sono antecedenti alla co-
struzione del manicomio, e a me ricordano quelle dei tunnel-
.
Illuminai meglio quel corridoio con la torcia e ripresi a cal-
marmi: -E’ vero, siamo nel cunicolo-, sorrisi,
-grazie al cielo, ora torniamo a casa-.
Randolph mi mise una mano sulla spalla, e ci stringemmo
tutti e quattro in un fraterno abbraccio:
-Ce l’abbiamo fatta-, dissi, -siamo riusciti a tornare da In-
nsmouth ed Arkham-.
-Forza, in marcia-, fece Abdul ripartendo, -non abbiamo così
tanto tempo a disposizione-.
D’accordo con lui ci rimettemmo in marcia nel cunicolo
sperando di non dovere camminare ancora per molto.
Seguendo la nostra cartina attraversammo la fitta rete di cu-
nicoli, senza fare altri incontri per fortuna, e dopo un’ora
circa di marcia vedemmo una luce in fondo al tunnel.
-Sento delle voci-, sussurrò Abdul, -c’è qualcuno-.
-Sarà Marks-, pensò Randolph, -chi vuoi che sia?-
-Facciamo comunque attenzione-, suggerii, -spegniamo le
torce e seguiamo la luce-.
Cautamente, ma con un certo timore, avanzammo nel buio a
tentoni, seguendo solo la timida luce che proveniva dal fon-
do del cunicolo, la luce non era fissa, vibrava, come se fosse
creata da delle fiamme, potevano essere candele, o bracieri.
Quando fummo in prossimità dell’imboccatura del tunnel
avemmo una visione più ampia e chiara della situazione: la
camera sotto la basilica era illuminata da decine di candele
rosse, sparse un po’ ovunque, vedemmo Theron Marks e
quattro dei suoi uomini in nero assieme ad un folto gruppo
236
di sinistri individui che indossavano tiare rosse, mantelli e
cappucci a punta, che stavano preparando un rituale dise-
gnando sul pavimento dei simboli arcani, e disponendo degli
oggetti in determinate posizioni.
Quello che non riuscivamo a capire era se Marks fosse pri-
gioniero o meno, ma la sua espressione non era delle più fe-
lici.
-Qui si mette male-, sussurrai, -temo che Marks abbia sotto-
valutato Sagesse Triomphante, se di loro si tratta-.
-Tu dici?- fece Randolph, -A me pare che stia parlando con
il tizio incappucciato, forse hanno stretto un’alleanza, o una
cosa così-.
-Ho l’impressione che tu abbia fallito il tiro idea-. dissi cer-
cando di capire la situazione, ma proprio in quel momento
mi scoppiò un tremendo starnuto che non feci in tempo a
bloccare, ed in un baleno avevamo cinque di quei tizi incap-
pucciati armati di pugnali davanti a noi.
-Qui però il master bara a sfavore-. imprecai mentre ci spin-
gevano verso il centro della stanza.
-Mi spiace-, mi disse Marks quando ci avvicinarono a lui e
ai suoi uomini, -ho sottovalutato la situazione, non credevo
che Sagesse Triomphante fosse ancora così forte, mi hanno
costretto a rivelare loro tutte le nostre scoperte-.
-Nostre, dice-. bofonchiò Abdul.
-Fate silenzio!- ordinò una voce imperiosa dietro di noi.
Sei di quegli uomini ci strattonarono e ci costrinsero a se-
derci in terra, io non opposi alcuna resistenza, terrorizzato
com’ero, Abdul invece, ostinatamente convinto che fosse
solo un gioco, si ribellò e cercò di divincolarsi, e si prese
una manganellata sulla testa che, oltre a fargli male, lo fece
infuriare, noi gli dicevamo di calmarsi, di sedersi, che così
era peggio, ma lui insistette e venne preso da dietro con un
bastone, per la gola: -Dio santo, così lo strozzate!- gridava-
mo con la voce che ci moriva in gola per la paura e la dispe-
237
razione.
–Lasciatelo stare!- mi presi anch’io una mazzata sulla schie-
na che mi stroncò il fiato, ma vidi Abdul mollare la presa del
bastone e alzare le mani, col volto livido, e l’uomo incap-
pucciato mollò la presa.
Il mio amico crollò a terra tossendo e sputando, cercando di
inspirare più aria possibile, e in pochi minuti si riprese, ben-
ché un rivolo di sangue gli colava dalla testa giù per il collo.
-Ora basta-. una voce a me familiare impose il silenzio e
l’immobilità, con gli occhi appannati vidi uno degli incap-
pucciati farsi avanti e levarsi il cappuccio: Lisa Legnani. –
Lisa, che diavolo…- un’altra bastonata sulla schiena che mi
bloccò il respiro e mi avvertì implicitamente che non dovevo
parlare.
-…succede? Stavi per dire?- iniziò lei, mentre la guardavo
con espressione omicida.
–Semplice, grazie a voi e alla Marks Society siamo arrivati
dove volevamo, nel punto internodale delle gallerie, qui-
disse levando le braccia, -potremo creare il portale che ci
condurrà nel leggendario Mondo dei Sogni! E finalmente la
nostra ricerca sarà conclusa, dopo più di due secoli!-
Lisa notò la confusione aleggiare sui nostri pallidi volti, e
sorrise: -Ma sì, forse è meglio che vi racconti tutto
dall’inizio, così potrete mettere assieme tutti i tasselli del
mosaico, e potrete poi meglio eseguire l’ultimo lavoro per
conto nostro. Più di duecento anni fa, in Francia, Giuseppe
Balsamo, alias il Conte di Cagliostro, fondò la nostra loggia
massonica: Sagesse Triomphante, sono sicura che conoscete
questo nome. Prima di essere processato e rinchiuso nella
Rocca di San Leo, Cagliostro dedicò il suo tempo allo studio
e alla traduzione di un libro, il Vobiscum Satanas, il cui au-
tore era un alchimista negromante del secolo precedente, che
pareva avesse fatto grandiosi quanto sconvolgenti scoperte.
Assieme a lui aveva operato tale Legione, maestro della arti
238
occulte, ed insieme, dopo anni di studi e ricerche, erano riu-
sciti a stilare una mappa di alcune gallerie che percorrono il
nostro pianeta e che permettono di raggiungere in breve
tempo luoghi posti a migliaia e migliaia di chilometri l’uno
dall’altro, e, soprattutto, di raggiungere una dimensione ete-
rea e amena. La nostra congrega è riuscita ad entrare in pos-
sesso dei quadri nei quali pareva fosse nascosta la mappa,
ma i quadri, oltre ad essere incomprensibili erano anche ma-
ledetti, e parecchi nostri confratelli sono impazziti nel loro
studio, capimmo così che dovevamo entrare in possesso an-
che del libro di Legione, la Grande Danse Macabre. I tempi
e luoghi non erano però quelli giusti, le inquisizioni, le co-
spirazioni, e diverse difficoltà hanno fatto naufragare il no-
stro sogno, che però covava nelle ceneri, pronto a ravvivarsi
il primo soffio di vento favorevole. Sagesse Triomphante ha
continuato la ricerca dei libri e dei quadri, dopo che erano
stati messi all’indice, e anno dopo anno, decennio dopo de-
cennio, generazione dopo generazione siamo finalmente
giunti qui. Sapevamo che le nostre capacità erano ancora
limitate, così, venuti a sapere che un restauratore era impaz-
zito a causa di un dipinto, abbiamo inscenato la storia della
figlia col padre impazzito per un quadro, un quadro di
Thermogorothus, il negromante, come avevamo immagina-
to. Il resto, ce lo avete dato voi-. Lisa mi guardò: -Vuoi dire
qualcosa, mio bel detective?-
-Non capisco come centrino quei ragazzi che sono impazziti
e si sono suicidati, chi erano?-
-Non ho la minima idea di che cosa tu stia dicendo-.
-Avevano anche loro la tessera del Ruolo, come questa-. le
gettai ai piedi la finta carta di identità, Lisa la prese e la
guardò, sbuffò e poi me la lanciò: -Non vedo cosa ci sia di
strano, a me pare una banalissima carta di identità, e comun-
que in foto vieni davvero male-.
Mi voltai a guardare i miei amici, ancora più confuso, quella
239
carta era reale solo nel gioco, ma allora…
-Voi tre, alzatevi!- al comando di Lisa, se questo era il suo
nome, i massoni dietro a me, Tindy e Randolph ci presero a
calci per farci alzare, mentre Abdul rimaneva seduto sul pa-
vimento.
–Dovete fare un ultimo lavoro per noi, vedrete, vi piacerà-.
-Cosa ti fa pensare che lo faremo?- domandò coraggiosa-
mente Randolph.
–Semplice-, rispose pacatamente la ragazza, -altrimenti do-
vrete dire addio al vostro amico-. sentimmo il rumore di un
coltello sfoderato e girandoci vedemmo un massone aver
preso Abdul per i capelli con una mano e con l’altra puntar-
gli il coltello alla gola.
–Non lo potete fare!- esclamò il mio amico, ora più infuriato
che spaventato.
–Abbiamo ucciso tanta di quella gente in due secoli e mez-
zo, uno in più non cambierò di certo le cose-.
-Cosa volete?- domandai rassegnato.
Lisa si avvicinò e mi tese una mano: -Dammi il prontuario,
sono certa che siete riusciti a recuperarlo-.
Guardai i miei amici, scossi la testa, poi dallo zaino presi il
libro in cui l’avevo infilato e glielo porsi.
-Tieni-.
-Grazie-. Lisa prese il foglio di carta ingiallita e le brillarono
gli occhi: -Perfetto, ora abbiamo anche il prontuario per tra-
durre l’incantesimo, a questo punto manca solo un’ultima
cosa, e qui rientrate in gioco voi-.
-Cosa vi serve?- domandai tremando.
–Un oggetto particolare, necessario a compiere il rituale per
aprire il portale. Si tratta di una lastra ovale di vetro opa-
co…-
-…tu stai parlando del Vetro di Leng-. s’intromise Tindiana.
–Esatto-.
Secondo il mito lovecraftiano il Vetro di Leng era una lastra
240
che si vuole sia giunta dal deserto del Leng o dalle lontane
Iadi, è una porta che da su altre dimensioni quando la si atti-
va pronunciando una orribile formula e si disegni al di sotto
una stella a cinque punte; la porta si apre su tempi e spazi
esterni al nostro mondo, su recessi remoti che però possono
diventare tremendamente vicini, su luoghi in cui mostri e
divinità dai nomi orrendi si celano in attesa di sorgere anco-
ra.
–E dove la troviamo?-
-Vedete quel tunnel?- Lisa indicò la bocca della galleria ma-
estosa, -Vi condurrà in breve tempo in Egitto, là dovrete
cercare l’ultimo discendente di un’antichissima dinastia di
Faraoni, egli è in possesso del Vetro, dovrete sottrarglielo a
qualsiasi costo, se non volete che il vostro amico ci lasci la
pelle-.
Sconsolati, esausti e spaventati, ci rassegnammo all’idea di
quel viaggio e di quella ricerca folle. Guardai il mio amico
Abdul, che aveva gli occhi carichi di terrore, e gli dissi: -
Torneremo con la pietra, fidati-.
Mi alzai in piedi, guardai Marks, affianco a me, che scuote-
va la testa, mentre gli passavo affianco perse l’equilibrio (o
finse) e mi rovinò addosso, si tenne in piedi solo aggrappan-
dosi al mio k-way, due massoni lo presero e lo tirarono via
mentre Marks mi guardava un’ultima volta negli occhi cer-
cando di dirmi qualcosa, ma non capii.
Imbracciamo i nostri zaini che i massoni ci restituirono e ci
dirigemmo verso l’imboccatura del tunnel, col cuore che
palpitava incostantemente e velocemente, mentre ci tuffa-
vamo nel pozzo dell’ignoto.

241
11. NY HAR RUT HOTEP
Non dovemmo usare le torce elettriche nell’attraversamento
del tunnel perché su entrambe le pareti c’erano delle fiaccole
fiammeggianti, ora, non stavo a chiedermi chi le sostituisse
né come, avevo altro per la testa, certo ci faceva comodo ri-
sparmiare le batterie in quello che poteva essere un lungo
viaggio.
Nel silenzio irreale di quella situazione pure irreale cammi-
navamo in silenzio, nessuno proferiva parola, spaventati,
forse, come me, oppure, come Randolph, probabilmente in
cerca di una spiegazione plausibile che non coinvolgesse il
gioco nella realtà.
Le pareti della caverna erano dipinte e scolpite come la ca-
mera d’ingresso, disegni e graffiti rappresentanti mostri ve-
nuti dallo spazio, esseri informi grandi come montagne, ro-
vine di antiche città le cui dimensioni facevano delle monta-
gne innocui sassolini, essere tentacolari e abnormi che stri-
sciavano nella sabbia, celebrazioni di riti empi alla base del-
le piramidi, la devastazione della immensa Sfinge per opera
di un terribile essere dalla forma vagamente antropomorfa,
con un lungo tentacolo per testa e tre zampe squamose.
Non credo avessimo percorso più di qualche chilometro
all’interno del cunicolo quando vedemmo l’uscita in fondo
al tunnel.
–Possibile che siamo già arrivati?- domandai sorpreso.
–L’unica risposta l’avremo solo andando avanti, amico mio-
. rispose Randolph.
Facendo attenzione a non fare troppo rumore ci avvicinam-
mo alla soglia ed entrammo in una altra camera simile a
quella da cui eravamo partiti, solo che era un po’ più picco-
la, circa 6x4 metri, e senza uscita…
Decorata anche questa camera con gli stessi geroglifici e
bassorilievi di quella da cui eravamo partiti, presentava al
suo centro, posta tra tre bracieri fiammeggianti, una statua
242
orribile, alta circa tre metri, che incuteva paura solo a guar-
darla: era un essere mostruoso, le cui fattezze ricordavano
quello di un cadavere ricoperto da un velo, le dita erano lun-
ghe ed adunche, le gambe caprine, la testa era quella di mor-
to, la pelle consunta e rugosa, gli occhi incavati, portava un
copricapo egizio, di quelli che solitamente indossavano i fa-
raoni, ma sulla sommità del capo partiva un grande e nerbo-
ruto tentacolo la cui estremità si piegava minacciosamente in
avanti. Sulla base della statua c’era una scritta, il nome della
creatura/divinità terrificante, un nome che ci gelò il sangue
nelle vene, ma che ci aspettavamo, avendolo riconosciuto, il
suo nome era quello di Nyarlathotep, il caos strisciante,
messaggero di morte e distruzione.
Su una delle pareti Randolph trovò un’altra incisione affian-
cata da una traduzione in greco e, non facilmente, riuscì a
fare una traduzione sommaria:

Cadrò nell’abisso, l’occhio di Horus


Negli occhi della notte, guardandomi andare
Verde è l’occhio del gatto che brilla in questo tempio
Entra Osiride che sei sorta, sorta ancora

Dimmi perché dovevo essere uno schiavo del potere


Non voglio morire, io sono un Dio, perché non posso so-
pravvivere?
Quando colui che dona la vita muore, tutt’attorno è desola-
zione
E nella mia ultima ora rimango uno schiavo al potere della
morte
Mentre stavo vivendo questa menzogna, la paura era il mio
gioco
La gente adorava e cadeva giù in ginocchio,
Prendimi così il sangue e il vino rosso per colui che ha pre-
so il mio posto
243
Poiché egli è un uomo e un dio, e morirà anche lui.

Ora sono freddo ma uno spirito vive nelle mie vene


Silenzioso il terrore che regnava, marmoreo nella pietra
Involucro di un uomo che dio preservò per migliaia di anni
Ma apri il cancello del mio inferno, io colpirò dalla tomba.

-Ho trovato l’uscita-, dissi indicando il soffitto, -sopra il ten-


tacolo della statua c’è una botola-.
-Ci dovremo arrampicare-. fece Randolph.
–Forza e coraggio, c’è la vita di un nostro amico in ballo-.
ricordai agli altri incominciando ad arrampicarmi sulla sta-
tua, con non poco disgusto e pregando in cuor mio che la
statua non si animasse.
Arrivai alla sommità e, poggiando i piedi sulle spalle della
divinità, sorretto dalle braccia dei miei amici, arrivai facil-
mente con le mani al soffitto, con un po’ di fatica feci scor-
rere il paletto che serrava la botola e questa si aprì di colpo
ruotando sui cardini.
Diedi uno sguardo al corridoio in cui saremmo spuntati, era
anch’esso illuminato debolmente da delle torce sulle pareti,
c’era silenzio e nessuno in vista. Con un ultimo sforzo mi
sollevai e balzai fuori nel corridoio, dopodiché aiutati i miei
due amici a venire fuori dalla camera.
Il tunnel era altissimo, sei, forse sette metri, le pareti era an-
che lì adornate con geroglifici di ogni tipo, ma non più, co-
me in precedenza, relativo a mostri e divinità cosmiche,
bensì, a rituali egizi, faraoni, dei ed eroi dell’epos egizio.
Per non perderci decidemmo di lasciare lungo la strada dei
pezzettini carta, che, in assenza di corrente, ci avrebbero
meglio indicato la strada del ritorno.
Girovagammo per dieci minuti circa in quel dedalo di corri-
doi, scale, camere, colonnati e cunicoli e quando raggiun-
gemmo l’uscita, rimanemmo sbalorditi, mai ci saremmo a-
244
spettati di trovarci in un simile luogo, non avevamo parole.
Davanti a noi si estendeva la leggendaria Piana di Giza, po-
tevamo vedere emergere dalle dune le ciclopiche piramidi di
Kefrem e Macerino, la Sfinge e, sopra di noi, la titanica pre-
senza della piramide di Cheope, costruita in tempi remoti, la
cui costruzione è tutt’ora un mistero per l’umanità.
-Diavolo-, esclamai a bassa voce, -siamo…siamo in Egitto-.
posammo i piedi sulla sabbia e facemmo qualche passo
guardandoci attorno, ancora increduli e sbalorditi, era quasi
l’alba (per quanto avevamo camminato?) e sulla piana c’era
un gran velo di silenzio, da non molto lontano arrivavano
luci degli accampamenti e della vicina città.
-Dove andiamo?- domandai.
–Ci hanno detto che il Vetro è nelle mani di un discendente
dei Faraoni, forse è sepolto in qualche tomba-. pensò Ran-
dolph.
-No, non credo-, aggiunse Tindiana, -sarebbe un’impresa
impossibile, non avrebbero potuto affidarcela, piuttosto po-
trebbero riferirsi a una persona ancora in vita, ci conviene
cercare, domandare, e scoprire qualcosa-.
Prima di metterci in cammino infilammo negli zaini le giac-
che e le felpe, passare dalla fredda primavera di Milano al
caldo torrido dell’Egitto che avremmo incontrato nelle ore
successive, lo richiedeva.
La situazione ovviamente ci fece pensare alla nostra fami-
glia, sicuramente preoccupata per non averci visto tornare,
ma l’unica cosa da fare, al momento era andare avanti, senza
pensare ad altro.
Raggiungemmo l’accampamento dopo non molti minuti,
c’erano della guardie che ci imposero l’alt, ci portammo a-
vanti con le mani alzate, Randolph spiegò loro, in inglese,
che eravamo archeologi e storici di una spedizione italiana,
mostrò loro i documenti e quelli abbassarono le armi. Ci
domandarono se ci fosse accaduto qualcosa per girovagare
245
nella piana a quell’ora, il mio amico disse loro che desidera-
vamo vedere le piramidi all’alba, un evento sicuramente me-
raviglioso.
Dopo mezz’ora circa suonò una campana, una specie di sve-
glia, e i membri dell’accampamento si alzarono sbadiglian-
do, c’era una specie di mensa sotto una delle tende, approfit-
tammo dell’invito delle guardie e ci unimmo per la colazio-
ne.
Dopo poco che Tindy si era alzato per andare al bagno, lo
vedemmo tornare agitato e con un volantino tra le mani: -
Guardate, forse ci siamo!- ci mise davanti agli occhi un vo-
lantino ingiallito che pubblicizzava uno spettacolo di magia
di un certo Ny har rut hotep, chiedemmo ad una guardia di
tradurcelo e quella disse che recitava pressappoco così: “Ny
har rut hotep – Vede tutto, conosce tutto.“
Niente di strano se non che quel nome così altisonante si
pronunciava come noi pronunciamo il nome di Nyarlatho-
tep.
–Capite?- disse Tindiana, -Ny har rut hotep è il nome egi-
ziano di Nyarlathotep, è lui il discendente dei faraoni che
stiamo cercando e che è in possesso del Vetro-.
-Sarai tu il pazzo che andrà a portarglielo via?- gli chiesi.
-Lui no-, affermò Randolph alzandosi in piedi, -ma io sì, in-
fondo è solo un gioco, e l’idea di potermi misurare con il
messaggero degli dei mi attira-.
-Attento a quel che dici-, lo avvisò Tindiana, -il Custode po-
trebbe prenderti in parola-.
Finita la colazione ci alzammo fa tavola, ringraziammo le
guardie che gentilmente ci avevano invitato a mangiare e poi
ci allontanammo.
Raggiungemmo in poco tempo il villaggio dove si trovava
Ny har rut hotep, le vie erano affollate di mercanti che ven-
devano ogni genere di souvenir e artefatti locali, ma anche
vesti, cibo e mercanzia varia, oltre a loro c’erano numerose
246
guide per le piramidi ed interpreti.
Randolph avvicinò una delle guide e le mostrò il volantino,
quella rabbrividì e disse qualcosa in una lingua per noi in-
comprensibile e sia io che Tindiana ci stupimmo molto
quando vedemmo il nostro amico comprendere e rispondere
nel medesimo linguaggio.
Dopo avere ringraziato l’uomo si avvicinò a noi e notò le
nostre facce sbalordite: -Che c’è?-
-In che diavolo di lingua hai parlato?-
-In inglese, perché?-
-Perché non hai parlato in inglese-, gli risposi, -la guida ha
parlato in egiziano e tu, non solo l’hai capita, ma lei hai ri-
posto pure-.
-Davvero? Com’è possibile?-
-Una spiegazione ci sarebbe-, dissi io, -beh, tutto sta svol-
gendosi come un gioco di ruolo: come prima con il greco sei
riuscito a tradurre una quartina, la volta dopo sei riuscito a
tradurre un passo più lungo e complesso, allo stesso modo
ora, dopo aver parlato con le guide egiziane in inglese sì, ma
anche con qualche parola di egiziano, sei riuscito a com-
prendere una frase e rispondere con qualche parola… stai
aumentando la tua conoscenza-.
-Così come prima avevamo difficoltà a trovare i passi giusti
sui libri in biblioteca, dopo ci era molto più facile, perché
abbiamo guadagnato punti esperienza in una determinata
abilità, la biblioteconomia in quel caso, o la lingua nel tuo.
Diavolo…-
-Sconvolgente, vero?-
-Sì-, intervenne Tindy, -ma cosa ha detto la guida?-
-Niente di confortevole: dice che questo Ny har rut hotep è
molto conosciuto in queste terre, sembra una specie di stre-
gone, di veggente, ma se all’inizio tutti accorrevano per ve-
derlo nelle tappe dei suoi viaggi, ora tutti rabbrividiscono
all’udire il suo nome, dove egli va, la pace svanisce, perché
247
le ore della notte sono lacerate dalle grida degli incubi-.
-Ciò non mi sorprende-, riprese Tindiana, -se si tratta di chi
pensiamo-.
-Comunque mi ha spiegato dove si trova-, si muove con una
carovana, ha montato la sua tenda appena fuori dal paese-.
-Beh-, dissi, -che aspettiamo? Ricordatevi dov’è il nostro
amico-.
Riprendemmo a camminare sotto il sole cocente e dopo una
decina di minuti passati nella folla che si accalcava nelle
strade di sabbia e pietra, trovammo la tenda di Ny har rut
hotep, nonostante l’ora c’era già un congruo numero di per-
sone che si recavano ad ascoltarlo. Unitici alla marmaglia di
gente entrammo nella grande tenda e attendemmo l’arrivo
del veggente.
Ny har rut hotep era snello, olivastro e sinistro, costruiva
strani strumenti di vetro e di metallo e li combinava in stru-
menti ancora più strani, parlava in quella lingua astrusa,
Randolph non capiva tutto quanto, ma ci riferì che parlava di
scienze, di elettricità e di psicologia; diede poi esibizione del
suo potere con numeri di magia e chiaroveggenza, leggendo
il passato ed il futuro. Molta gente chiedeva a lui consigli e
benedizioni, e in cambio Ny har rut hotep chiedeva oggetti
particolari, tesori di famiglia, gioielli, segreti, anime…
Quando poi il veggente ci fissò, un brivido ci corse lungo la
schiena: -Voi tre, laggiù in fondo-. disse nella nostra lingua,
o per lo meno ci sembrò che fosse quella, -Anche voi siete
venuti per chiedermi qualcosa, non è così?-
La paura mi aveva serrato la bocca, la voce non mi usciva,
quelle parole indirizzate verso di noi mi avevano dato un
enorme senso di nausea che mi immobilizzò completamente,
fu Randolph a parlare per tutti e tre: -Sì, è così. Abbiamo
bisogno del Vetro del Leng per salvare un nostro amico-.
La parola Leng mise subbuglio tra il pubblico, immediata-
mente la gente si allontanò da noi o uscì completamente dal-
248
la tenda e noi ne approfittammo per avvicinarci al palco.
–Ciò che chiedete è molto, lo sapete, vero?- ci domandò con
voce calma e fredda, –Per avere il Vetro sono costretto a
chiedervi in cambio la vostra conoscenza, che ne dite?-
Rimanemmo ammutoliti.
–Non può chiederci una cosa simile, senza conoscenza il
Vetro non ci servirebbe a nulla-. rispose Randolph.
–Vero, allora facciamo così: io vi porrò un indovinello, se lo
risolverete avrete il Vetro, altrimenti mi darete la vostra co-
noscenza-.
Ny har rut hotep sorrise beffardo, noi ci guardammo e ci
consultammo.
–Non abbiamo molta scelta-, disse Randolph, -dobbiamo
accettare-.
-Ehi-, ribattei, -io non ho voglia di continuare a vivere tra
mille tormenti-.
-Ma è solo un gioco, che ti frega?-
-Non sono ancora convinto che sia un gioco, sai?-
-Tindy?-
-Randolph ha ragione, non abbiamo molte scelte, per avere
il Vetro l’unica è accettare-. Seppur non fossi convinto an-
nuii, e pregai perché l’indovinello fosse risolvibile.
–D’accordo-, fece Randolph a Ny har rut hotep, -ascoltiamo
il tuo indovinello-.
-Siete coraggiosi-, commentò, -meritate un indovinello faci-
le facile-.
Incominciai a sudare: -Dunque: se una oca e mezza depone
un uovo e mezzo in un giorno e mezzo, quante uova depor-
ranno tre oche in otto giorni?-
-Merda!- esclamò Randolph a denti stretti.
–Avete tutto il tempo… di questa clessidra-. sogghignò Ny
har rut hotep girando una clessidra che, ad occhio e croce, si
sarebbe esaurita in cinque minuti.
Mentre Randolph ci aveva già rinunciando sostenendo che
249
in matematica era un po’ una frana, e Tindiana pensava a
derivate ed integrali di volume andando totalmente nel pal-
lone, io presi velocemente carta e penna: -Allora, ragionia-
mo: se una oca e mezza depone un uovo e mezzo in un
giorno e mezzo, ne consegue che tre oche depongono tre
uova in un giorno e mezzo, oppure due uova al giorno, per
cui in otto giorni tre oche deporrebbero… sedici uova! Sedi-
ci! La risposta è sedici…- gridai col cuore che palpitava.
Ny har rut hotep non batté ciglio: -La risposta è… esatta-. il
cuore mi mancò di un colpo, i miei amici mi abbracciarono,
diavolo se ce l’avevamo vista brutta, dovevo ancora ripren-
dermi dalla tensione accumulata che Ny har rut hotep mi al-
lungò un sacchetto di stoffa: -Qua dentro c’è il Vetro del
Leng, non toglietelo dal sacchetto finché non lo userete o
avrete guai seri. Buona fortuna, sono sicuro che ci rivedre-
mo-. rise e in una nuvola di fumo scomparve, lasciando sen-
za parole tutti i presenti.
-Sarà meglio andare via prima che cambi idea-. suggerii u-
scendo di volata dalla tenda.
Seguito dai miei due amici mi incamminai verso le piramidi,
misi la sacca col vetro nello zaino tra la giacca e la felpa, in
modo che stesse in un posto morbido in caso di contraccolpi;
pensavamo ad un modo per affrontare quelli di Sagesse
Triomphante ma, giunti nella piana di Giza, ci accorgemmo
di avere un altro problema da risolvere: entrare nella pirami-
de di Cheope eludendo le guardie.
-Forse ci faranno passare, sono state così gentili-. pensò
Randolph.
–Non credo-, risposi -una cosa è offrirci la colazione,
un’altra è permetterci di entrare nella piramide senza avere il
permesso-.
-E allora che facciamo?- ci guardammo attorno in cerca di
un’idea, e poi Tindy:
-Ci sono: assumiamo una guida, e quando incroceremo un
250
tunnel con i nostri pezzetti di carta sul pavimento, li segui-
remo-.
-È un’idea-. approvò Randolph, -Ma è meglio se ci unissimo
ad un gruppo organizzato, sarà più facile separarci senza
farci troppo vedere-.
-Bene-, dissi, -allora andiamo-.
Sotto il sole cocente e con gli zaini sulle spalle che aumen-
tavano la fatica, ci aggregammo ad un gruppo di turisti in-
glesi venuti a visitare le piramidi, ed entrammo così nella
piramide, dovemmo girare un bel po’ prima di trovare le
tracce del nostro passaggio, ci lasciammo così andare verso
la coda del gruppo e poi, silenziosamente, ci allontanammo,
in pochi minuti raggiungemmo la botola, ancora aperta, e ci
calammo giù.
Tindiana, l’ultimo a scendere, chiuse la botola mentre io a-
vevo già varcato la soglia del cunicolo per tornare indietro.
Sul far del ritorno cercammo di pensare ad un piano, a co-
me agire, nulla vietava a quei farabutti ci costringerci a fare
altro o, addirittura, di eliminarci, ma, purtroppo, preoccupati
com’eravamo, non riuscimmo a pensare a nulla che non
mettesse a rischio la vita di Abdul o la nostra.
Come all’andata non ci impiegammo molto ad arrivare alla
fine del tunnel, lì trovammo ad attenderci tutta la combricco-
la al completo che, nel frattempo, si era organizzata per la
celebrazione del rito, addobbando l’altare con vari oggetti
vou-dou e disegnando sul pavimento una stella a cinque
punte col sangue di chissà chi o cosa; il nostro amico era an-
cora legato come un salame, seduto sul pavimento, ma sem-
brava stesse bene.
-Siete arrivati finalmente!- la voce di Lisa ci accolse, -Siete
davvero sorprendenti, non avrei mai immaginato che ce
l’aveste fatta-.
-Con chi diavolo credi di avere a che fare? Con i tre Marmit-
toni?-
251
-Datemi il Vetro!- ordinò la ragazza.
–Prima libera Abdul-. ribatté Randolph.
La ragazza rise e, mentre uno della setta metteva un coltello
alla gola del nostro amico e altri cinque ci circondavano,
disse: -Non credo che siate nella posizione per poter dare
ordini o negoziare-.
-Put***a-. il mio insulto a denti stretti venne premiato con
una bastonata sulle gambe che mi stramazzò al suolo. Ci
portarono via i nostri zaini, ci legarono e quindi portarono
anche noi all’interno del pentacolo.
–Farete anche voi parte del nostro spettacolo, sapete?-
-E per quale motivo? Noi non ti serviamo più-. risposi.
–Come no: il rito è molto debilitante, tanto che si potrebbe
morire nel celebrarlo, così voi ci darete una mano dandoci la
vostra forza-.
Ci fecero inginocchiare in terra e poi ci obbligarono a bere
un sorso di una strana mistura che anche loro bevvero, do-
podiché poggiarono il Vetro di Leng sull’altare e il rito ebbe
inizio.
-Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn.
Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn-. la
litania ancestrale e sacrilega echeggiava nella buia camera
illuminata solo dalle candele poste lungo il pentacolo, -
Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn.
Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn-.
La vista mi si annebbiò, i sensi erano tutti alterati, mi sem-
brava di essere nel pieno di una colossale sbornia, la testa mi
pulsava e non avevo più la percezione di ciò che mi circon-
dava.
Mi sembrò di vedere il Vetro di Leng sollevarsi a mezz’aria
e dilatarsi fino ad una dimensione di circa 6m2, emise un ba-
gliore e poi al suo interno vidi un enorme vortice nero, fatto
di fulmini e tornado, tuoni e cumulonembi, il vortice entrò
anche nella sala e incominciò a risucchiare tutto quanto, noi
252
compresi, e la litania era sempre più insistente: -Ph’ngui
mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn. Ph’ngui
mglw’naph Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthag!-.
La testa mi scoppiava, sia io che i miei amici eravamo inca-
paci di muovere un solo dito, sentiva un terribile forza che ci
attirava dentro quel vortice, mentre quel coro di voci si fa-
ceva sempre più intenso ed ossessivo, quan’ecco che accad-
de qualcosa che Sagesse Triomphante non aveva messo in
conto: da uno dei cunicoli, esattamente quello che avevamo
attraversato noi la prima volta, uscì un gruppo di persone
ammantate di nero e armate di bastoni, mazze, coltelli e altri
oggetti contundenti si scagliarono contro i cultisti della log-
gia, e scoppiò un tremendo scontro tra le due fazioni, in un
caos di urla, grida e imprecazioni in lingue morte e proibite.
I nuovi arrivati, nonostante si nascondessero in mantelli e
vesti nere, non riuscivano a nascondere la loro natura goffa e
zoppicante, erano indubbiamente membri dell’Ordine di
Dagon, venuti a reclamare quanto spettava anche a loro.
Le forze delle due parti si equilibravano, avremmo potuto
approfittarne per fuggire, ma eravamo intontiti, incapaci di
muoverci, con la bava alla bocca assistevamo passivi al caos
che si stava scatenando, vedevo teste spaccate come zucche
al sole, arti tranciati, pugnali che affondavano nella carne,
sangue dappertutto, qualcuno cercava di fuggire, vidi uno
degli uomini di Marks che, liberatosi, riuscì a scappare su
per le scale, ma pochi secondi più tardi, dopo aver sentito lo
scatto di un meccanismo, sentimmo e poi vedemmo la sua
testa rotolare giù.
Era un massacro vero e proprio, ma i nostri sensi erano così
alterati che non sembrava nemmeno vero, era tutto troppo
irreale, assurdo, per essere vero.
Nella confusione di urla, sangue e violenza, Lisa venne col-
pita alla schiena da un pugnale e cadde riversa sul pavimen-
to, proprio vicino a noi, e nel suo ultimo gemito di morte
253
prese nuovamente in mano la formula dell’incantesimo e la
pronunciò per l’ultima volta: -Ph’ngui mglw’naph Cthulhu
R’lyeah wgah’ngl fthagn. Ph’ngui mglw’naph Cthulhu
R’lyeah wgah’ngl fthag!- e spirò.
Il vortice divenne ancor più forte, ora assomigliava ad un
vero e proprio buco nero che sempre più prepotentemente
risucchiava qualsiasi cosa, finché anche noi venimmo alzati
da terra, e senza che nemmeno ce ne accorgessimo ci tro-
vammo a vorticare nelle spire del turbine magico, e poi più
nulla…

254
IL CUSTODE
PARTE I

- FINE -

255
APPENDICE I
NOTE

1 - S. Pettersen & L. Wills, The Call of Cthulhu RPG fifth


edition, Chaosium Inc., 1997
2 – Metallica, Ride the Lighting, Megaforce Rec., 1984;
3 - G.T. Len, Ars Magicae: magia e stregoneria alla base
delle arti e delle scienze moderne-. Seconda edizione. - Bo-
ston; 1924; Bologna; 1965.
4 - A. D’Erlete, Balsamus – L’uomo di Satana, Parigi, 1885;
Napoli 1946
5 - M. Quatermass, L’inquisizione: i libri proibiti, San Die-
go 1985; Milano 1988
6-7-8-9 - Thermogorothus, Vobiscum Satanas, Lemgo, 1622
(?) – Tr. di Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro, Lione,
1783
10 - Articolo tratto da "L'Unità" del 28 maggio 1996
11 - Robert E. Howard, La Pietra Nera, 1931
12 - Gianfranco De Turris; Trent’anni dopo, premessa; in:
H.P.Lovecraft., In difesa di Dagon, 1994, Sugarco Edizioni
13 - Gianluca Gatta, Il Diavolo e l'acqua santa, Appunti sul
satanismo e sui rapporti con la società italiana contempora-
nea.
14 – Edward Taylor Hunter, Piece of Mind, Londra, 1992
15 - S.Marzorati, M.Colombo, G.De Turris, Paura Dossier -
I cent’anni d’orrore di Lovecraft all’interno de Il Primo
Almanacco della Paura, Bonelli Ed., Milano, 1991
16 – Giuseppe Cosco, “H. P. Lovecraft e le porte
dell’abisso”, pubblicato sulla rivista Occulto, 1999, 3
17 - vedi H.P.Lovecraft, L’ombra su Innsmouth
18 – vedi H.P.Lovecraft, La chiave d’Argento

256
Paul Kevin Araya è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Federico Bianchini.
Tindiana Jones è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Gabriele Leone.
Randolph Carter (II) è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Dario Beretta.
Abdullha Fathinlha è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Saul Aiolfi.

257
APPENDICE II
Dizionario lovecraftiano

Non è morto ciò che può vivere in eterno


E in strani eoni anche la morte può morire
ABDUL ALHAZRED, Necronomicon

Abitatori del Profondo. Sono esseri indefinibili appena in-


travisti tra le melme fetide del mare improvvisamente ritira-
tosi, vaghe sembianze squamose che avanzano con una an-
datura da rana, un poco curvi ed estremamente malvagi.

Abitatori delle Sabbie. Pelle ruvida, grandi occhi, orecchie


immense distinguono questa vaga forma di umanità. Vivono
nelle sabbie sterminate del freddo e ventoso deserto di Leng.
Magrissimi, mostrano le costole attraverso la pelle sottile,
che sembra scabbiosa, come se le sabbie del deserto vi si
incrostassero sopra.

Arkham. Antica città della Nuova Inghilterra infestata da


strani ibridi, è bagnata dal Miskatonic, fangoso fiume dalla
triste fama. Nelle sue acque, durante una spaventosa allu-
vione, furono intravisti esseri vagamente umani, rosei e for-
niti di ali membranose, provenienti da lontane costellazioni.
Lungo le rive del Miskatonic ha sede l’omonima Università,
universalmente nota per la sua estesa biblioteca di antichi
libri proibiti.

Antichi. Razza aliena che sbarcò sulla Terra due miliardi di


anni fa, e forse provocarono accidentalmente la nascita della
vita sul nostro pianeta. Furono loro a creare i terrificanti
Shoggoth di cui si servivano come schiavi. Dopo intermina-
bili guerre contro altre razze, questi esseri anfibi furono co-
stretti a riparare in Antartide, alcuni milioni di anni fa; qui
258
esiste ancora una delle loro città, sepolta sotto un ghiaccio
perenne. Alla fine la loro civiltà fu spazzata via dai mostri
che erano stati i loro schiavi: gli Shoggoth.

Azathoth. Signore di tutte le cose, il Grande Idiota, Dio di


tutti gli Dei. È l’amorfo, velenoso obbrobrio che, al centro
del Caos Primigenio, bestemmia e gorgoglia cose inenarra-
bili. Viene descritto anche come l’innominabile Abitatore
del Buio, e si manifesta attraverso l’orribile pietra nera
chiamata il Trapezoedro Lucente. Non può sopportare alcu-
na luce, e la sua forma mostruosa e vampiresca è accompa-
gnata da un vento fetido. Le cose che Egli sfiora diventano
bruciacchiate e giallastre.

Baharna. Città dell’isola di Oriab, dove sorge il monte


Ngranek. Nella grande isola di Oriab, Baharna, con il suo
porto, è forse la città più importante. I moli di Baharna sono
di porfido, e le case e i palazzi si elevano dietro di loro su
grandi terrazze di pietra con strette strade e altissime gradi-
nate Un grande canale che passa sotto l’intera città in una
galleria dall’ingresso di granito conduce al lago interno di
Yath.

Bast (Dea Antica). Lovecraft amava molto i gatti ed è quindi


naturale che la Signora dei Gatti avesse un posto di rilievo
tra le entità dei Miti di Cthulhu. La Dea viene raffigurata
come una gatta o come una donna dalla testa felina.

Bestie lunari. Le bestie lunari sono una razza aliena che ado-
ra Nyarlathotep e sono solite ridurre un schiavitù le altre
razze. Se la parola sadismo ha un qualche significato per una
razza tanto aliena, si può affermare che questi essere sono
mostruosamente crudeli, e spesso si dilettano a torturare gli
esemplari di altre specie che hanno la sventura di cadere nel-
259
le loro grinfie.

Bosco Incantato. È uno dei rari luoghi che abbia saltuari


contatti con il mondo comune, vi si apre la Porta del più
Profondo Dormiveglia, che immette nella Caverna di Fiam-
ma. Nel folto delle enormi querce vive il popolo degli Zoog,
custode e predatore dei profondi fosforescenti sentieri del
bosco. Talvolta, in alcune radure, si incontrano le grandi pie-
tre circolari postevi dai Grandi Antichi.

Caverna di Fiamma. È il tempio-caverna ove è situato uno


dei rari passaggi verso il Regno del Sogno. Vi abitano i sa-
cerdoti Nasht e Kaman-Nah, che ne sono i guardiani. Dalla
Caverna di Fiamma si accede attraverso settecento scalini
alla Porta del Più Profondo Dormiveglia, e di lì al Bosco In-
cantato.

Celephais. Favolosa città dai luccicanti minareti, e dalle mu-


ra di marmo immacolato, costellato di grandi statue di bron-
zo. Sullo sfondo di questa città, guardando dalla parte del
mare, dietro le colline s’innalza la cresta purpurea del Monte
Tanarian e, dietro di esso, si aprono le vie proibite che con-
ducono al Mondo della Veglia e verso le altre regioni del
Sogno. Questa città sembra sempre nuova, perché il tempo,
qui, non ha il potere di corrompere o distruggere. È sempre
stato cosi, e il turchese scintillante di Nath-Hortath e gli ot-
tanta sacerdoti dai setti di orchidee sono gli stessi che la co-
struirono diecimila anni orsono!

Città del Tramonto. Meravigliosa città meta della ricerca di


Randolph Carter. Lui l’ha inconsapevolmente creata con i
suoi sogni, ed essa è diventata la dimora degli Dei della Ter-
ra.

260
Cthulhu. Il Grande Cthulhu, che attende di risalire da
R’lyeh, la città nascosta nel profondo del mare, è una antica
divinità, ora nascostamente adorata solamente da sette mi-
steriose. “Nella sua casa a R’lyeh il morto Cthulhu attende
sognando”, sono le parole che iniziano un canto nefando de-
dicato all’adorazione di questa mostruosa divinità. In una
piccola statuetta verdastra, fatta di una materia che certo non
è di questa Terra, è raffigurato come un essere dalla testa
rotonda irta di tentacoli, con un corpo enorme, grottesco e
squamoso, da cui spuntano due ali rudimentali.

Dagon. Dagon, il Dio-Pesce, è l’effigie mostruosa adorata


dagli immondi abitatori dell’oceano che vivono nei bui re-
cessi melmosi. La loro statura è veramente spaventosa, e
Lovecraft dice che solo la grandezza di una balena può dare
un’idea delle loro dimensioni. Nonostante ciò, sono figure
diabolicamente umane nell’insieme, e i particolari più visibi-
li sono le mani e i piedi palmati, e gli occhi sporgenti.

Dei esterni minori. Oltre alle divinità principali, delle quali


rivela il nome e che talvolta agiscono al servizio di Aza-
thoth, Lovecraft accenna all’esistenza di uno stuolo di entità
apparentemente secondarie, o comunque meno importanti:
gli Altri Dei Minori. Appartengono a questo gruppo, tra gli
altri, le divinità che danzano intorno al Demone Sultano, e
numerosi altri esseri venerati in varie località dell’universo.
Gli Altri Dei generano mostruose larve, dalle quali possono
scaturire nuove oscene divinità.

Dei Primigeni (o della Terra). Le divinità di questo tipo esi-


stono soltanto nei Reami del Sogno, sono le divinità più de-
boli nel pantheon dei miti, e perfino un semplice ma saggio
mortale può risultare più potente di loro. Tuttavia essi godo-
no della protezione dei terrificanti Dei Esterni: Nyarlathotep,
261
Azathoth, Shub-Niggurrath e soci.

Dylath-Leen. Grande porto cosmopolita, importante centro


commerciale per diamanti e pietre preziose, scalo abituale
dei mercanti di rubini provenienti dal Reame Lunare. Qui
Randolph Carter sarà rapito da degli strani mercanti e ri-
schierà di essere sacrificato a Nyarlathotep.

Gaunt della notte (o Magri notturni). I Gaunt sono i princi-


pali servitori di Nodens e, tra le altre cose, ghermiscono e
trascinano via gli intrusi e li scaricano senza troppi compli-
menti nei luoghi più orribili e desolati che si possano imma-
ginare, lasciandoveli morire. Vivono a loro volta nei recessi
più isolati del mondo, ed escono all’aperto soltanto di notte.

Grandi Antichi. Queste ambigue divinità dormono il loro


pesante sonno lungo l’oscura via guardata da ‘UMR-AT-
TAWIL. Un sonno vago e nebuloso, talvolta vagamente co-
sciente delle cose che li circondano. Nonostante le credenze
comuni del Mondo della Veglia, Carter è sicuro che non po-
trebbero mai interrompere i loro interminabili sogni per sfo-
gare la loro ira sull’umanità. Infatti, compito essenziale dei
Grandi Antichi è quello di sognare, e con questo atto aprire
le Porte, piuttosto che intervenire nelle futili questioni
dell’uomo.

Ghoul. I Ghoul sono ripugnanti umanoidi dalla pelle gom-


mosa, con zoccoli al posto dei piedi, artigli e lineamenti ca-
nini. Comunicano tra loro per mezzo di uggiolii e mugolii.
Spesso sono incrostati di maleodorante fango cimiteriale,
raccolto mentre si nutrono di corpi putrefatti. I Ghoul sono
creature orripilanti che vivono in labirintici complessi di cu-
nicoli sotto la superficie di molte ignare città.

262
Giungla di Kled. È un profumato intrico tropicale, in cui si
ergono mirabili palazzi d’avorio, isolati e intatti, dove una
volta dimoravano favolosi monarchi di una terra il cui nome
è ormai dimenticato. Incantesimi fatti dai Grandi Antichi
fanno sì che questi palazzi siano immuni da danni o decadi-
mento, perché è scritto che un giorno potranno nuovamente
servire. Alcune carovane di mercanti li hanno intravisti da
lontano, sotto spettrali chiarori lunari, ma nessuno ardisce
avvicinarsi per via dei Guardiani che vigilano sulla loro in-
tegrità.

Gnorri. Gli Gnorri sono dei mitici esseri barbuti e muniti di


pinne, che vivono negli irreali dirupi di vetro che sostengono
la città di Ilek-Vad. Nel vetro lucente e profondo essi co-
struiscono i loro singolari e complicati labirinti che nessuno
osa percorrere.

Gug. Un tempo i Gug veneravano alcuni Grandi Antichi con


riti e cerimonie abominevoli, a causa dei quali furono bandi-
ti per sempre dalla superficie dei Reami del Sogno ed esiliati
nel mondo sotterraneo. Ancora oggi divorano con gusto tutti
gli abitanti del mondo di superficie sui quali riescono a met-
tere le loro grinfie.

Hagarg Ryonis (Dea Primigenia). Come gli altri Dei Primi-


geni (o della Terra) Hagarg Ryonis si manifesta con le sem-
bianze di una donna di inaudita bellezza. Le sue statue, tut-
tavia, la rappresentano sempre nella forma di Colei-che-
attende, un’orrenda creatura taurina con scaglie cornee e ne-
re; in tale forma la Dea ha sei occhi verdastri e luminosi, di-
sposti irregolarmente sul corpo, denti e artigli sono di pura
ossidiana, naturalmente taglienti come rasoi.

Hastur. È il Grande Dio degli Spazi Interstellari. Intorno a


263
lui vagano in folli danze le eteree schiere delle creature co-
smiche.

Hlanith. Percorrendo il grande fiume Oukranos, attraversata


la giungla di Kled, si giunge a Hlanith, porto occidentale co-
struito sul bianco granito. I suoi abitanti sono noti ovunque,
nel Reame Incantato, per la loro abilità di artigiani. Da qui
partono le grandi navi da carico per la città di Celephais, ol-
tre il Mare Cereneriano.

Inganok. È la città il cui territorio confina con il pietroso e


orribile altipiano di Leng. I suoi abitanti hanno un po’ delle
caratteristiche somatiche dei Grandi Antichi: sono infatti
vagamente somiglianti al grande volto scolpito nel Monte
Ngranek. La gente di Inganok ha strani occhi stretti e lunghi,
le orecchie dai lunghi lobi, i nasi sottili e i menti appuntiti.
Da quei luoghi freddi e inospitali, essi scendono verso Cele-
phais e Dylath-Leen su navi scure a scambiare l’onice con le
pietre scolpite, l’oro filato, e i piccoli uccelli cangianti di
Celephais. Inganok si trova parecchio a Nord, oltre il Mare
Cereneriano, in luoghi freddi e brumosi. Arrivando dal ma-
re, si vede di lontano una catena di grandi montagne grigie,
le stesse da cui si ricava l’onice. Lassù, tra quelle cave, ne
esiste una, ignorata anche dai cercatori della stessa Inganok,
più grande di ogni altra e abbandonata da tempo immemora-
bile. Ma se i tempi sono ormai dimenticati, esistono però le
impronte di blocchi dalle dimensioni così prodigiose che la
sola vista dei vuoti da essi lasciati riempie di terrore chiun-
que li veda. A oriente, molto lontano, oltre le mura della cit-
tà, sorgono i desolati contrafforti di quelle invalicabili mon-
tagne dalle cime nascoste, oltre le quali si stende l’orribile
Deserto di Leng.

Irem. La città dalle Mille Colonne. Costruita dal temibile


264
genio di Shaddad nelle sabbie dell’Arabia Petrea, e adornata
di prodigiose cupole e infiniti minareti. Alcuni dervisci af-
famati e nomadi impazziti di sete erano tornati per parlare
del gigantesco portale e della Mano scolpita sulla chiave di
volta dell’arco.

Kadath. È la meta finale cui tende la ricerca di Randolph


Carter. Del Gelido Kadath è bene non dir nulla, salvo il fatto
che su di esso si trova la dimora dei Grandi Antichi, e che
per giungervi bisogna attraversare l’orribile Deserto di Leng.

Karakal (Dio Primigenio). La tipica immagine di Karakal lo


ritrae con tratti bellissimi, sorridente, nudo dalla cintola in
su e circondato da fiamme. In tutti i suoi templi brucia il
fuoco sacro.

Kiran. La città di Kiran si trova tra il Bosco Incantato e la


giungla di Kled. È arroccata su basse colline boscose e le
sue terrazze di diaspro digradano lente verso il fiume Ou-
kranos. AI centro della città s’innalza il meraviglioso palaz-
zo di diaspro del Re Ilek-Vad.

Lago di Yath. Questa grande distesa è situata nell’isola di


Oriab, e comunica mediante un canale con la città di Bahar-
na. Le sponde davanti alla città sono coperte da una fitta fo-
resta, dai cui alberi i mercanti di Baharna ricavano un pre-
giato legno nero. Su queste sponde, dal lato più lontano,
presso una ripida terraz- zatura, si trovano le estese rovine di
una città antichissima di cui si ignora il nome, costruita con
mattoni d’argilla.

Leng. È il terribile deserto ove sorge il Kadath. Il suo orrore


è così grande che non può essere descritto con parole uma-
ne.
265
Mi-Go (o Funghi di Yuggoth). I Mi-Go sono una specie a-
liena. La loro colonia principale è sul pianeta Plutone (Yug-
goth nella loro lingua), hanno installato varie colonie mine-
rarie in alcune regioni montuose della Terra, dove scavano
per procurarsi rari minerali.

Naraxa. È il grande fiume del continente di Ooth-Nargal.


Lungo le sue sponde, alla foce, si distende il grande porto di
Celephais.

Nath-Horthath(Dio Primigenio). Nath-Horthath è l’antico


Dio che regna su Celephais. Egli, innumerevoli anni orsono,
l’ha interamente costruita, e perché la sua bellezza duri a sua
eterna memoria, l’ha resa incorruttibile. Nonostante questa
prova della sua potenza, egli accetta però che nella sua città
vengano innalzate preghiere anche a tutti i Grandi Antichi.

Ngranek. Altissimo monte che si erge nell’isola di Oriab.


Gli stessi Grandi Antichi t avrebbero scolpito nella sua dura
roccia la loro immagine mentre danzavano ebbri ! alla luce
della Luna. Il Ngranek sarà scalato da Randolph Carter per
vedere l’effigie mostruosa che vi si trova. Lungo le sue pen-
dici inferiori vivono solo i cercatori di lava, perseguitati da
strani esseri palmati, notturni e succhiatori di sangue. Invece
lassù, negli alti picchi lavici, vi sono le orribili dimore degli
oscuri Magri della Notte, che fanno una guardia meticolosa
alla nera effigie dei Grandi Antichi.

Nodens. Il Dio del Grande Abisso. L’unico Dio nominato tra


Quelli di Prima.

Nyarlathotep, il Caos Strisciante. Nyarlathotep è il messag-


gero, il cuore e l’anima degli Dei Esterni, è l’unico di loro
266
ad avere una vera e propria personalità, e il suo vanto è quel-
lo di manifestarsi in mille forme diverse. Lo scopo principa-
le del suo agire è causare la follia e la perdita di sanità men-
tale, effetti per lui più importanti e saporiti che non limitarsi
a uccidere o distruggere.

Ooth-Nargal: è il lontano continente ove sorge Inquanok e


dove ha sede il Deserto di Leng.

Oriab. È una grande isola del Mare del Sud, posta a qualche
giorno di navigazione da Thalarion. La sua città più grande è
il porto di Baharna, da cui dista poco il Lago di Yath. Lon-
tano, più a Sud, sorge il nero e maestoso Monte Ngranek,
rifugio dei Magri della Notte, e immenso basamento di un
antico volto dei Grandi Antichi.

Oukranos. Grande fiume che nasce sulle montagne che cir-


condano il Deserto di Hatheg. Dapprima bagna le multicolo-
ri terrazze di diaspro di Kiran, poi, attraversata l’antica
giungla di Kled, raggiunge il porto di Hlanith, e lì sfocia nel
mare Cereneriano

Pnoth. In volo, sul dorso di un Magro della Notte, Randolph


Carter giunge nell’oscura valle di Pnoth, interamente cir-
condata e resa perpetuamente buia e crepuscolare dagli altis-
simi picchi di Throk. In essa, tra enormi montagne di ossa,
strisciano gli enormi Ohole. Ed è qui che da ogni punto del
Mondo della Veglia i Ghoul gettano gli immondi rifiuti dei
loro festini. Dalla valle di Pnoth si giunge, salendo,
all’abisso oscuro ove vivono i Ghoul, gli strani amici di
Randolph Carter che egli ha conosciuto attraverso il pittore
maledetto Richard Pickman. L’abisso dei Ghoul è a sua vol-
ta in comunicazione con il Bosco Incantato, per mezzo di
una enorme lastra di pietra.
267
Sarkomand. È la città primordiale le cui rovine sono rimaste
a imbiancarsi all’aria per un milione di anni, in attesa che il
primo vero essere umano vedesse finalmente la luce. Nel
tempo ormai lontano in cui era giovane e fiorente, è stata un
grande porto di mare e la capitale dei quasi-umani. Orgo-
gliosa e ricca di colonne, si erge tra le rupi immense e i neri
moli di basalto, mirabile con i suoi alti templi e i palazzi
scolpiti. Grandi giardini e strade fiancheggiate da eleganti
colonne convergono giù dagli alti dirupi, e da ciascuna delle
sei porte sormontate da sfingi si dipartono grandi strade che
conducono alla vasta piazza centrale dove s’innalzano e-
normi i due leoni gemelli alati che vigilano eternamente i
giardini che portano alla Terra dei Sogni e giù verso il
Grande Abisso. Sopra Sarkomand si estende l’ Altopiano di
Leng, e oscuri passaggi istoriati di scene misteriose portano
al monastero in cui vive il Gran Sacerdote Che Non Deve
Essere Descritto.

Serannian. Città-nuvola, bianca e marmorea, giace nello


spazio etereo, oltre il punto ove mare e cielo si incontrano.
In sogni precedenti sembra che vi abbia regnato l’amico di
Randolph Carter: il Grande Sognatore Re Kuranes.

Shoggoth. Gli Shoggoth sono tra i mostri più orribili del ma-
cabro universo lovecraftiano, lo stesso arabo pazzo Abdul-
Alhazred cercò di sostenere con foga disperata sulle pagine
del Necronomicon che nessuno di questi orrori esistesse sul-
la Terra, tranne che nei sogni dei folli.

Shub-Niggurath. Antica Divinità malvagia, anch’essa dedita


a riti innominabili: Il Nero Capro dai Mille Cuccioli.

S’ngac. È chiamato “il gas violetto”. Era in contatto con Re


268
Kuranes, amico di Carter e regnante sulla eterea Serannian
prima, poi sulla grande Celephais. A questo Re aveva rivela-
to cose terribili sul Caos Strisciante Nyarlathotep, sul Sulta-
no Demonio Azathoth, e sui Grandi Antichi. Probabilmente
S’ngac appartiene a un ciclo di Grandi Antichi di un tempo
antecedente, ed è uno degli ultimi esemplari degenerati di
quella grande razza.

Sona-Nyl. A un giorno di navigazione dagli altissimi Pilastri


di Basalto dell’Ovest, si incontra il grande porto di Sona-
Nyl, vigilato da due enormi promontori gemelli di lucido
cristallo che si protendono nel Mare del Sud a guisa di fred-
do arco risplendente.

Thalarion. Città demoniaca dalle mille meraviglie ove regna


il Fantasma Lathi.

Thran. Imponenti sopra ogni immaginazione sono le mura di


alabastro di questa incredibile città, leggermente incavate in
dentro e scavate in un solo pezzo compatto con mezzi che
nessun uomo conosce, perché di esse si sa solo che sono più
antiche della memoria.

Throk. I picchi di Throk sono vicini alle pendici del nero


Monte Ngranek. Spaventosi e sinistri, essi si innalzano nel
cerchio ossessionante delle eterne profondità senza sole; più
alti di quanto l’uomo possa calcolare, vigilano le terribili
valli ove i Dhole strisciano e si rintanano.

Trapezoedro Lucente (il). È una pietra ovoidale o singolar-


mente sferica, del dia- metro di dieci centimetri circa. Il cri-
stallo è un poliedro nerastro striato di rosso, con numerose
facce irregolari. Viene considerato come una finestra su tut-
to il Tempo e lo Spazio, da quando venne foggiato nel buio
269
Yoggoth. Portato sulla Terra da Quelli di Prima, fu posto
nella sua strana scatola dai crinoidi dell’Antar- tide, poi sot-
tratto dagli Uomini Serpente di Valusia e custodito centinaia
di millenni dopo in Lemuria dai primi esseri umani. Passò
quindi attraverso terre strane e mari anche più strani, e si i-
nabissò con l’ Atlantide per poi cadere nella rete di un pe-
scatore minoico che lo vendette a dei mercanti dalla pelle
bruna venuti dalla Notturna Khem. Il Faraone Nephrem-Ka
vi costruì attorno un tempio con una cripta senza finestre, e
ordinò che il suo nome venisse cancellato da tutti i docu-
menti reperibili. E fra le rovine di questo tempio esecrato -
che i Sacerdoti e il nuovo Faraone distrussero -esso dormì
fino a che la vanga di un archeologo non lo riportò alla luce,
per la dannazione del genere umano.

Ulthar. Grande città che si trova al di qua del fiume Skai,


non molto lontana dal Bosco Incantato. A Ulthar, secondo
una antica legge, nessun uomo può uccidere un gatto: in
questa città essi sono particolarmente intelligenti. Sono gli
stessi gatti che Randolph Carter rincontrerà sulla Luna; essi
infatti si recano nell’enigmatico Reame Lunare di notte, sal-
tando dalla cima delle case più alte.

‘UMR-AT-TAWJL. È colui che guarda la Porta, ed è la guida


per gli Altri Mondi. È colui che guiderà i temerari oltre tutti
i mondi, nell’ Abisso degli Orrori Innominabili: gli scribi lo
definiscono “l’Essere Senza Fine”. Nell’incontro con Ran-
dolph Carter è così descritto: “C’era anche un’altra forma
che sembrava scivolare o galleggiare nel nebuloso livello
inferiore simile a un pavimento. La sua sagoma non era
permanente, ma suggeriva a tratti qualcosa di remotamente
precedente o parallelo alla forma umana, benché grande cir-
ca una volta e mezzo un uomo normale. Il suo volto e le
spalle erano coperte da un panno liscio che non era panno, e
270
Carter non riuscì assolutamente a vedere i due fori che a-
vrebbero dovuto essere gli occhi. Probabilmente non gli oc-
correvano, perché sembrava appartenere a un ordine di esse-
ri del tutto estranei al tipo umanoide, che per le struttura che
per le facoltà”.

Urg. È un piccolo villaggio della terra di Inquanok, nel con-


tinente di Ooth-Nar- gaI. Si trova proprio prima pelle grandi
montagne di basalto e di onice, ed è un naturale punto di ri-
trovo. E qui infatti che i mercanti che vanno a Sehera e i ca-
vatori di onice si riposano e raccontano le storie oscure di
quella terra.

Vetro di Leng. È una grande lastra ovale- di vetro opaco. Si


vuole che sia giunta i dal Deserto di Leng o dalle lontane
Iadi. È una porta che dà su altre dimensioni, quando la si at-
tivi pronunciando l’orribile formula «Ph’ngui mglw’naph
Cthulhu R’lyeah wgah’ngl fthagn» e si disegni al di sotto
una stella con cinque punte. La porta si apre su tempi e spazi
estranei al nostro mondo, su recessi remoti che però possono
diventare tremendamente vicini, su luoghi in cui mostri e
deità dai nomi orrendi si celano in attesa di sorgere ancora.

Yaddith. È un lontano pianeta, situato in una galassia al di là


della nostra, in un tempo che certo non coincide con quello
della Terra. Randolph Carter vi giungerà attraverso le Porte
apertegli da ‘UMR-AT-TAWIL e dai Grandi Antichi.

Yaddithi. Sono gli abitanti dallo strano muso di tapiro -


gelatinosi e tentacolati - che abitano il pianeta Yaddith,
dall’altra parte della Galassia. Randolph Carter giungerà a
Yaddith attraverso la Porta apertagli da ‘UMR-AT-TAWIL
e dai Grandi Antichi. Là, in modo assolutamente misterioso,
avrà la facoltà di incarnarsi in uno degli abitanti, il viscido e
271
alieno Mago Zhauba. Con una fantastica astronave poi, at-
traverso il tempo e lo spazio, finalmente Carter tornerà alle
verdi colline della sua Terra.

Yog-Sothoth. Dimora nelle pieghe tra le diverse dimensioni,


note e ignote, che compongono l’universo, dove si manifesta
come un conglomerato di globi iridescenti che mutano in-
cessantemente posizione, fluiscono gli uni negli altri e si
spaccano. È definito come Colui Che È Tutto in Uno e Uno
in Tutto, ma vede e ode soltanto nel buio. Si tratta di una di-
vinità malvagia spesso invocata in riti nefasti e innominabili.

Zin. Le Grotte di Zin sono una serie di enormi e buie apertu-


re che si aprono nell’ Abisso mostruoso di Pnoth, ove si ce-
lano i vendicativi Ghast che vanno a caccia nell’oscurità di
casuali viandanti, o dei Gug villosi, o dei Ghoul.

Zura. È una città costiera situata tra Fljiry e Sona-Nyl, fa-


mosa per gli squisiti piaceri che vi si possono trovare.

BIBLIOGRAFIA
G.Pilo/S.Fusco, Presentazione in: H.P.Lovecraft - I Miti di
Cthulhu, Newton Compton ed., 1993, Roma
S.Pettersen & L. Wills, Call of Cthulhu RPG fifth edition,
Chaosium Inc., 1997

272
APPENDICE III
CRONOLOGIA
700 d.C.
Abdulh Alhazred, il poeta pazzo di Saana, nello Yemen, o-
pera durante il califfato degli Ommiadi.

738
Abdulh Alhazred muore in circostanze misteriose, secondo
alcuni testimoni sembra che sia stato divorato da un mostro
invisibile in pieno giorno in mezzo al mercato cittadino.

950
L’Al Azif, il libro scritto da Abdulh Alhazred, si guadagna
una considerevole quanto nascosta notorietà presso gli eru-
diti del tempo, e viene segretamente tradotto in greco da Te-
odoro Fileta di Costantinopoli, con il titolo di Necronomi-
con.

1050
Il patriarca di Costantinopoli ordina il sequestro e la distru-
zione del Necronomicon

1228
Olaus Wormius effettua una traduzione in latino del Necro-
nomicon

1232
Papa Gregorio IX, a cui era stata mostrata la traduzione di
Wormius, pone entrambe le versioni, greca e latina, del Ne-
cronomicon, nell’Index Expurgatorius.

14??
Viene stampata probabilmente a Norimberga verso fine se-
273
colo l’edizione tedesca in caratteri gotici del Necronomicon

15??
Verso la fine del secolo, secondo alcune fonti intorno al
1580, secondo altre alcuni anni prima nel 1577, nasce nel
borgo di Sibbo a poche miglia da Helsinki, Peter Tagtgren,
meglio conosciuto come Thermogorothus.

In una data ed in un luogo sconosciuti nasce Legione, miste-


rioso alchimista vissuto in Europa, di probabili origini sve-
desi.

1607
Thermogorothus si trasferisce dall’Italia a Praga, alla corte
dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, dove, tra gli altri, co-
nosce un oscuro personaggio noto con lo pseudonimo di Le-
gione.

1612
Alla morte di Rodolfo II, Thermogorothus fugge in Svezia,
alla corte del re, dove rimane sotto la protezione del cancel-
liere Oxenstierna

1619
In Svezia alcuni cortigiani vengono arrestati e condannati a
morte per eresia e stregoneria, fra di essi c’è molto proba-
bilmente il mecenate di Thermogorothus, il quale, informato
degli avvenimenti, fugge in Germania.

1620
Thermogorothus si stabilisce a Lemgo, nella Vestfalia, as-
sieme a Legione, e qui scrive il suo unico trattato di alchi-
mia: il “Vobiscum Satanas”.
274
16??
In diversi periodi del XVII secolo Lemgo è teatro di una del-
le più sanguinarie cacce alle streghe del tempo.

1630 ca
Alcune streghe interrogate dalle autorità fanno ripetutamente
i nomi di Thermogorothus e Legione, riconosciuti come al-
cuni fra i fuggiaschi della corte praghese, viene inviato un
drappello di guardie ad arrestarli, ma giunti alla casa nella
quale i due risiedono non vi trovano alcuno. Due guardie
impazziscono durante quella perquisizione e pochi giorni
dopo una terza muore nel sonno fra atroci sofferenze. I qua-
dri ed il libro di Thermogorothus vengono messi all’indice e
destinati al rogo.

1631 Agosto
Thermogorothus viene catturato da alcuni soldati svedesi nei
pressi di Dresda, riconosciuto viene processato e arso sul
rogo la notte della Vigilia di Natale dello stesso anno

1634
Legione, sfuggito all’inquisizione, si trova a Venezia; poco
dopo questa data viene pubblicato in Italia “La Grande Dan-
se Macabre”, il grimorio di cui è considerato l’autore. Il te-
sto giudicato blasfemo viene subito messo all’Indice dalla
Chiesa e l’editore che stampò l’opera viene arrestato e bru-
ciato al rogo.

1643
A Berna viene stampata una traduzione in latino del “Vobi-
scum Satanas” di Thermogorothus fatta da Legione. Dopo
questa data non si hanno altre notizie al suo riguardo.

275
1692 ca
Edmund Carter sfugge al rogo durante gli orrori di Salem

1743 2 giugno
Nasce a Palermo Giuseppe Balsamo, conosciuto poi con il
nome di Conte di Cagliostro

1771
Balsamo si reca al Londra con la moglie Lorenza Feliciani,
qui finisce in prigione per debiti e, per restituire le somme
dovute, è costretto a lavorare come decoratore.

1772
Balsamo si reca a Marsiglia e si cimenta nelle vesti di tau-
maturgo: sembra che, dietro lauto compenso, faccia credere
ad un innamorato di poter riacquistare il vigore fisico me-
diante l’attuazione di alcuni riti magici. Scoperto
l’imbroglio, viene costretto a fuggire e a cercare riparo in
Spagna, a Venezia, quindi ad Alicante per terminare la fuga
a Cadice.

1776
Balsamo ritorna a Londra, presentandosi come conte Ales-
sandro di Cagliostro, dopo aver fatto uso di nomi altisonanti
accompagnati da fantasiosi titoli quali conte d’Harat, mar-
chese Pellegrini, principe di Santa Croce: durante questo
soggiorno, insieme alla moglie, divenuta nel frattempo la
celestiale Serafina, viene ammesso alla loggia massonica
"La Speranza".

1777-80
La massoneria offre a Cagliostro ottime opportunità per
soddisfare ogni ambizione sopita. Grazie alle vie da essa in-
dicate e alle cognizioni acquisite, egli riscuote successi ap-
276
paganti moralmente ed economicamente che lo portano ad
attraversare l’Europa centro-settentrionale, dall’Aia a Berli-
no, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia. Il nuovo
rito egiziano di cui Cagliostro era Gran Cofto, affascina no-
bili ed intellettuali con le sue iniziazioni e pratiche rituali
che prevedono la rigenerazione del corpo e dell’anima.
Grande risalto ha, inoltre, la figura di Serafina, presidentessa
di una loggia che ammette anche le donne, con il titolo di
regina di Saba. Alla corte di Varsavia, nel maggio del 1780,
Cagliostro riceve un’accoglienza trionfale tributata dal so-
vrano in persona: la sua fama di alchimista e guaritore aveva
raggiunto le vette più alte.

1781
Cagliostro si trasferisce alla corte di Strasburgo, dove con-
quista la stima e l’ammirazione del filosofo Lavater e del
gran elemosiniere del re di Francia, il cardinale di Rohan.

1783 ca
Cagliostro, dopo alcuni viaggi a Napoli e Bordeaux si trasfe-
risce a Lione dove consolida il rito egiziano, istituendo la
"madre loggia", la Sagesse triomphante, per la quale ottiene
una fiabesca sede e la partecipazione di importanti persona-
lità. Quasi nello stesso momento giunge l’invito al convegno
dei Philalèthes, la prestigiosa società che intendeva appurare
le antiche origini della massoneria.

1785 ca
Cagliostro viene coinvolto nell’affaire du collier de la reine
che lo rese protagonista suo malgrado, insieme a Rohan e
alla contessa Jeanne Valois de la Motte, del più celebre ed
intricato scandalo dell’epoca, il complotto che diffamò la
regina Maria Antonietta e aprì la strada alla rivoluzione
francese. Dopo essere stato rinchiuso alla Bastiglia, Caglio-
277
stro viene condannato all’esilio e fa ritorno a Londra con la
moglie.

1786-88
Cagliostro e la moglie cercano di risollevare le proprie sorti
compiendo vari viaggi: Aix in Savoia, Torino, Genova, Ro-
vereto. In queste città Cagliostro continua a svolgere
l’attività di taumaturgo e ad istaurare logge massoniche.
Giunto a Trento nel 1788, viene accolto con benevolenza dal
vescovo Pietro Virgilio Thun che lo aiuta ad ottenere i visti
necessari per rientrare a Roma.

1789, 16 settembre
Cagliostro tenta di costituire anche a Roma una loggia di rito
egiziano, invitando a Villa Malta prelati e patrizi romani.
L’iniziativa non consegue l’esito sperato, ma viene comun-
que interpretata come una vera e propria sfida dalla Chiesa
che, attraverso il Sant’Uffizio, sorveglia con maggior zelo le
mosse dello sprovveduto avventuriero.

1789, 27 dicembre
Il pretesto per procedere contro Cagliostro viene offerto
proprio da Lorenza che, consigliata dai parenti, rivolge al
marito accuse molto gravi durante la confessione: viene così
indotta a denunciarlo come eretico e massone. Cagliostro
scrive un memoriale diretto all’Assemblea nazionale france-
se, dando la massima disponibilità al nuovo governo. La re-
lazione viene intercettata dal Sant’Uffizio che redige un det-
tagliato rapporto sull’attività politica ed antireligiosa del
"Gran Cofto": papa Pio VI, il 27 dicembre, decreta l’arresto
di Cagliostro e della moglie Lorenza.

1790
Ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta
278
sorveglianza, Cagliostro attende per alcuni mesi l’inizio del
processo. Al consiglio giudicante egli appare colpevole di
eresia, massoneria ed attività sediziose e il 7 aprile viene
emessa la condanna a morte. In seguito alla pubblica rinun-
cia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottiene la
grazia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice
nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni
dell’inaccessibile fortezza di San Leo

1795, 26 agosto
Cagliostro muore per un colpo apoplettico nella Cella del
Pozzetto a San Leo.

1883, 7 Ottobre
Randolph Carter, ancora ragazzo, lascia la Tana dei Serpenti
nella incerta luce serotina; correndo lungo il pendio roccioso
e attraverso il frutteto dai rami contorti, raggiunge la casa
dello zio Christopher sulle colline oltre Arkham

1927-28
Durante l’inverno alcuni funzionari del Governo federale
conducono una misteriosa inchiesta segreta nell’antica citta-
dina di Innsmouth, piccolo porto di mare nel Massachussets.

1928, 7 ottobre
Randolph Carter scompare all’età di 54 anni.

1930
In autunno Randolph Carter ritorna da un mistico viaggio
nell’ignoto.

1932
A New Orleans, città del più grande mistico, matematico e
orientalista del continente, si provvede alla ereditaria del pa-
279
trimonio di un mistico un po’ meno insigne, nonché erudito,
scrittore e sognatore, scomparso dalla faccia della terra quat-
tro anni prima.

280
281
282

Potrebbero piacerti anche