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libriClassici
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A Gabriele, Dario e Saul,
compagni di tante avventure
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IL CUSTODE
PARTE I
I TRE DIPINTI
FEDERICO BIANCHINI
GABRIELE TINDARO LEONE
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INDICE
Pag.
o Introduzione 9
o Prologo 11
1. Il Richiamo di Cthulhu 14
2. La Casa 34
3. L’alchimista 45
4. I tre dipinti 59
5. La Chiesa di San Cristoforo 64
6. I Libri 72
7. Paura e Follia 93
8. L’Odine Esoterico di Dagon 108
9. Sotto la Città 152
10. Innsmouth e dintorni 202
11. Ny Har Rut Hotep 242
• Appendice I: Note 256
• Appendice II: Dizionario 258
• Appendice III: Cronologia 273
7
8
Introduzione
10
PROLOGO
13
1. IL RICHIAMO DI CTHULHU
Abitavamo tutti e quattro a Borgo Sforza, un paesino
dell’hinterland milanese bagnato dal Naviglio della Marte-
sana, un fangoso e paludoso fiume che dall’Adda scende ed
arriva ad attraversare la grande città; ci sono molte leggende
su di esso, ad esempio nelle sue acque diversi anni fa, duran-
te una spaventosa alluvione, qualcuno afferma di aver vedu-
to esseri vagamente umani, ricoperti di squame e dagli arti
palmati, uscire dall’acqua per raggiungere una vecchia ca-
scina abbandonata sulla riva del fiume.
Borgo Sforza si raggiunge per mezzo di una linea secondaria
delle Ferrovie, lungo la quale viaggiano treni merci o a bas-
sa percorrenza, solitamente a gasolio e con non più di tre
vagoni.
Dopo gli anni sessanta, quelli della massiccia immigrazione,
sono stati costruiti quartieri popolari ed enormi palazzi che
presto inghiottirono l’originale quartiere del Borgo, dove
ancora i tetti a mansarda si stringono l’un l’altro e
s’incurvano in soffitte nelle quali pare che un tempo si rifu-
giassero le streghe.
Nella “Borgo Vecchia” è rimasto il vecchio santuario, risa-
lente al 1600, bombardato durante la II guerra mondiale e
poi ricostruito di sana pianta; in questa zona, affollata di tetti
e irta di guglie, si racconta che un tempo si dava convegno
una malefica setta segreta che evocava cose tenebrose dagli
abissi, e pare che solo l’intervento di un esorcista riuscì a
scacciare l’orrore che era stato evocato; in ultimo c’è il vec-
chio cimitero del santuario, un cortile pieno di erbacce, ar-
busti e rovi spinosi, il cui confine è delimitato parzialmente
da alcune parti di cancellata nera, ormai consunta e incurva-
ta, è rimasta solo qualche lapide spezzata e alcune croci di
metallo dopo il bombardamento del ’43, non si sa quasi
niente dei cadaveri sepolti, nemmeno i nomi, ma secondo
alcuni vecchi sono tombe di bambini morti durante la peste
14
“manzoniana”.
Io vivo in un palazzo costruito negli anni ottanta, quando
incominciò la vera e propria esplosione dell’hinterland, e
queste storie le ho sentite raccontare dai alcuni amici i cui
genitori abitavano già qui nel dopo guerra, o da qualche
vecchio che abita nella Borgo Vecchia, e a cui piace rievoca-
re il passato.
****
22
***
La sera del 31 Ottobre, guarda caso la Notte di Ognissanti in
cui le streghe si riuniscono per i loro magici e blasfemi riti,
eravamo al Carpathian, un locale dark addobbato con lapidi,
croci, bare di legno, e schifezze varie, le cameriere erano
vestite di nero e truccate da vampire e fattucchiere e si aggi-
ravano tra i tavolini, delle piccole bare dal coperchio di ve-
tro attraverso il quale erano visibili scheletri e cadaveri (finti
spero), con vassoi pieni di bicchieri di birra e alcolici vari.
Si parlava delle solite cose: ragazze, heavy metal, concerti
vari, giochi di ruolo… e alla mezzanotte esatta una delle
cameriere si avvicinò al nostro tavolo e ci porse un biglietto:
-Un tizio mi ha lasciato questo per un certo Araya, ha detto
che era uno di voi quattro-.
La cosa ci colse di sorpresa, ci guardammo senza dire nulla,
io lo presi e annuii, dicendo alla ragazza che Araya ero io.
In quel momento il dj del locale mise su "The Call of Cthul-
hu" dei Metallica 2, senza farci caso aprii il biglietto con i
miei amici che si facevano sempre più vicini, e lessi quanto
scritto: -Lo sentite? È il richiamo di Cthulhu-.
Solo dopo averlo letto Randolph riconobbe la canzone: -The
Call of Cthulhu…ma come diavolo è possibile?-
-Beh-, dissi io alzando il bicchiere di birra pieno a metà, -
direi di fare un brindisi a questa avventura, visto che da ora
in poi tutto non sarà più lo stesso, o almeno credo-. i miei
amici alzarono le loro birre e insieme brindammo: -Al
Grande Cthulhu!-
Finii la birra con un ultimo sorso e mi alzai in piedi: -Forza,
dobbiamo lavorare-.
Dopo avere pagato uscimmo fuori dal locale, l'aria era fresca
e tirava un leggero venticello, non c'era quasi nessuno in gi-
ro per quella zona, c'eravamo solo noi e le macchine par-
cheggiate caoticamente lungo la strada e sui marciapiedi, i
palazzi erano dei silenti edifici popolari con più di venti pia-
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ni agglomerati in isolati sempre più stretti, quasi da voler
inghiottire la strada e le vie che li separavano.
Non so se fosse la suggestione o la mia perseverante paura
del buio a farmi sentire osservato, fatto sta che quella sensa-
zione me la sentivo addosso, forse c'era qualcuno che ci
guardava da dietro alcuni alberi secolari, le cui chiome
giungevano a toccare le nodosi radici che avevano da tempo
rotto l'asfalto attorno a loro in cerca di libertà, oppure dai
balconi non molto lontani dei vecchi edifici di inizio secolo,
recanti ancora lo stemma degli Sforza sul parapetto, mentre
altri avevano addirittura dei doccioni spettrali che fissavano
arcignamente la strada sotto di loro.
Ma più probabilmente il Custode si celava dietro lo sguardo
famelico di un gatto randagio che gironzolava senza meta
per le vie della città addormentata.
33
2. LA CASA
Solitamente in un gioco di ruolo le nostre avventure iniziano
o con un inaspettato colpo di scena che ci trova coinvolti in
qualche pazza avventura oppure, come accadde quel giorno,
con una richiesta di aiuto di una persona.
Ero davanti all'università a parlottare con i miei amici, era-
vamo alla pausa per il pranzo, stavo raccontando al Tindy
del film che avevo visto la sera prima quando una ragazza
mi si avvicinò e mi chiamò per nome: -Detective Araya?-
La guardai sorpreso: -Sì?- confesso che ero molto incuriosi-
to e divertito dalla situazione, non capita certo tutti i giorni
di avere una doppia vita e per giunta avventurosa come quel-
la di un detective.
-Buon giorno, mi chiamo Lisa Legnani, e avrei bisogno del
suo aiuto-.
La ragazza aveva alcuni anni più di me, recitava bene la sua
parte, a differenza mia non si era lasciata sfuggire un sorriso
o un risolino, e sembrava davvero angosciata, volli così non
essere da meno.
Vidi i miei amici ridacchiare, ma la ragazza non vi fece ca-
so.
-Certo, andiamo a parlarne in un bar?- la ragazza annuì, a-
veva dei capelli biondi piuttosto corti ed occhi azzurri, non
era particolarmente affascinante, anzi, ma, d'altra parte, non
dovevamo girare un film hollywoodiano.
Alcuni minuti dopo eravamo seduti ad un tavolino di un bar,
lei prese un succo di frutta e io una spremuta d'arancia.
-Sono tutto orecchi, miss-.
Dopo un sorso del succo Lisa incominciò a raccontarmi cosa
la affliggeva: -Sarò breve, detective, mio padre due settima-
ne fa è stato internato in un ospedale psichiatrico, comple-
tamente impazzito, e senza alcun motivo apparente. È sem-
pre stato un uomo tranquillo, acculturato, non ha mai avuto
screzi con chicchessia e poi, d'improvviso, è andato fuori di
34
matto. L'ho trovato in casa sua, steso sul pavimento, con la
schiuma alla bocca, che delirava frasi sconnesse e senza sen-
so, e col terrore negli occhi. L'avevo sentito due giorni pri-
ma per telefono, mi ha detto che aveva appena iniziato un
nuovo lavoro di restauro ed era lucidissimo e calmo come
sempre e poi…-
-Restauro?-
-Mio padre è un pittore, restaura quadri antichi, spesso per la
Pinacoteca di Brera, ma anche per il Vaticano-.
-Capisco, e lei vorrebbe che capissi cosa gli è accaduto?-
-Esatto, se riuscisse a capire la causa, forse riusciremo a tro-
varne la cura-. devo dire che la ragazza era molto brava,
sembrava davvero disperata, e nell'esporre il racconto pianse
qualche lacrima.
Lisa tirò fuori dalla borsetta un mazzo di chiavi e un fogliet-
to.
-Le ho scritto il mio numero di telefono e l'indirizzo della
casa di mio padre su questo biglietto e queste sono le chiavi.
L'avverto che la casa è piuttosto vecchia, faccia attenzione
alle scale di legno e ai corrimano, non vorrei che si facesse
male se qualcosa dovesse cedere. Allora? Che mi dice?-
-Beh, non ho molto di meglio da fare… accetto-.
-Grazie, detective, spero che riesca davvero a scoprire qual-
cosa-.
-Lo spero anch'io-.
-Ecco, tenga-, la ragazza mi allungò due bigliettoni da 100€,
-questo è un anticipo, a lavoro fatto ne avrà altri 300. è
d’accordo?-
-D’accordissimo, certo-.
Pagammo il conto e poi ci separammo fuori dal bar dandoci
appuntamento ad un paio di giorni più tardi, o prima se a-
vessi scoperto qualcosa di importante.
Controllai bene i soldi, erano autentici oppure c’erano in gi-
ro degli ottimi falsari, sembrava proprio un gioco serio.
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La prima cosa che feci una volta tornato in università fu
quella di raccontare agli altri tre l'incontro con Lisa, sarem-
mo entrati in azione quella sera con appuntamento per le 21
sotto casa mia.
Tornai a casa verso le 18, il sole era tramontato già da un
paio di ore, c’era un freddo pungente e una fitta foschia a-
leggiava nell’aria.
Ero un po’ eccitato per l’inizio dell’avventura, anche perché
non avevo la minima idea di cosa fare, di come comportar-
mi, ma qualcosa mi sarei inventato, dopo tutto era solo un
gioco.
Dopo cena andai in camera a prepararmi, mi infilai la fondi-
na ascellare nella quale misi la pistola, vera o finta che fos-
se, nello zaino c'era già lo shotgun, oltre a quello vi infilai
varia roba: un taccuino, l'astuccio con dentro penne, matite,
taglierino e altro ancora, una torcia elettrica, un registratore
portatile, nastro adesivo, un metro, un mini kit attrezzi
dell'ACI con dentro brugole, cacciaviti e chiavi montabili,
una felpa e una macchina fotografica usa e getta con 27 scat-
ti, più il Secondo Almanacco della Paura di Dylan Dog col
Vademecum del Cacciatore di Fantasmi (sperando di non
doverlo usare), stivali, kiodo di pelle e via, l'avventura co-
minciava, e lo sentivo in ogni punto del mio corpo.
Mi trovai attorno alle 21 con Randolph e Abdullah, ci scam-
biammo un paio di parole e poi salimmo in macchina per
andare a prendere Tindiana, forse il più agitato di tutti.
Durante il viaggio lungo le strade di Milano raccontai nel
dettaglio l'incontro con Lisa, quel pomeriggio non avevo a-
vuto poi molto tempo, le mie impressioni e quant'altro, an-
che i miei compagni erano nervosi, carichi di adrenalina, già
formulavamo le prime ipotesi: possessione, shock, evoca-
zione di un Errante Dimensionale…
-Non mi pare il caso-. mi disse Randolph visto che avevo
nominato io la creatura, -Se ci fosse davvero un Errante Di-
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mensionale direi: è stato un piacere, e grazie-. continuò.
-Ma và-, riprese Abdul mentre guidava, -al massimo avran-
no messo un fantoccio di gomma che scoreggia dalla bocca-.
-Di che fantoccio stai parlando?- domandò Tindiana già ca-
lato nel personaggio e perciò estraneo alla realtà (se realtà
era).
-Dov'è questo diavolo di posto?- richiese il turco.
-Sui Navigli, in via Magolfa, ma perché stiamo facendo gui-
dare ad un turco venditore di tappeti?-
-Perché tuo padre non ti ha lasciato la macchina-. mi rispose.
-Pensa a guidare-. lo redarguì Randolph dal sedile posterio-
re, -che se non troviamo parcheggio dobbiamo fare al solito
due chilometri a piedi-.
-Facciamo un salto da Supergasp o al Giornalaccio prima?-
insisté il turco.
-Allora-, gli rispose Tindiana, -nei racconti di Lovecraft gli
arabi non fanno una bella fine e i turchi sono della stessa
razza, se non vuoi essere da meno al mito va avanti così-.
-Diavolo se la fate seria-.
-Hai voluto fare il turco zozzone? E ora stai zitto-. chiusi il
discorso.
Ci toccò parcheggiare abbastanza lontano da via Magolfa, in
piazzale Caro, vicino ad un parchetto posto di fronte ad una
vecchia chiesa di inizio secolo, adiacente alla quale erano
stati costruiti dei condomini ormai decadenti.
Nel buio più totale illuminato solo da qualche lampione,
prendemmo gli zaini dal baule e poi ci incamminammo, fa-
ceva parecchio freddo, eravamo sicuramente attorno agli
0°C, se non addirittura sotto.
-E come faremo a sapere se abbiamo capito qualcosa o me-
no?- domandò di nuovo Abdul,
-Non lo so-, risposi, -credo che non lo sapremo-.
-Se riusciamo ad andare avanti con la storia significa che
siamo sulla strada giusta, altrimenti la prenderemo in quel
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posto e non sapremo mai nulla-. fece Randolph.
Dall’Alzazia Naviglio Pavese prendemmo l’imboccatura per
via Magolfa, la via faceva una curva a sinistra che ci riportò
indietro, non c’era molta gente lì in giro, alcuni proprietari
di locali stavano pulendo l’ingresso, qualcun altro stava la-
vando le vetrine, e così via, c’era un innaturale silenzio, che
sarebbe stato rotto nel giro di un paio d’ore, quando la folla
che riempie questa zona di Milano si riversa nei locali e nel-
le strade.
La nostra meta era il numero 32, che stava proprio in fondo
alla via, da dove spuntavano degli alberi secolari e piante
erbacee attaccate ai muri di cinta e ai cancelli.
La casa era una via di mezzo tra un vecchio cascinale e una
casa di inizio secolo, molto grande e decrepita, un enorme
cancello nero bloccava la prima entrata, ma, essendo io piut-
tosto alto, riuscivo lo stesso a intravedere qualcosa: c’era un
piccolo vialetto limaccioso e di ghiaia dietro al portone, alla
cui destra c’era una cancellata piena di rovi intricati che fa-
ceva probabilmente da recinzione con la proprietà accanto,
sulla sinistra c’era una parete esterna della casa, con una
porta, sul proseguo, lungo la parete, c’erano vari attrezzi get-
tati in terra da chissà quanto, una carriola arrugginita, una
pala col manico rotto, e altro che non riuscivo a distinguere,
dopo pochi metri la parete terminava e dal buio si intuiva la
presenza di una cortile posteriore.
Sulla porta ci colpì la presenza di una vecchia luce al neon,
ancora accesa, anche se era talmente sporca che non illumi-
nava un granché.
Provammo la chiave che Lisa mi aveva dato col cancello,
ma questo non si aprì e così ci spostammo.
Il muro che dava sulla via era composto da diverse finestre
cieche e una porta murata che recava l’insegna arrugginita e
difficilmente leggibile di un bar.
Più in là c’era un altro cancello, da lì si vedeva, oltre alla
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terza parete (quella est) della casa, una casupola, proprio a-
diacente al vialetto d’ingresso.
Sembrava più un grosso ripostiglio, era fatta di assi di legno,
alta circa cinque metri, lunga sei o sette e larga non più di
due, alcune delle finestrelle cigolavano per via del vento e
quel rumore non faceva altro che aumentare l’atmosfera di
irrealtà e paura che già circondava la casa come un alone di
tenebra.
La chiave apriva il lucchetto di quel cancello che, con un
cigolio, si aprì, rivelando la stradina di pietre che aggirava il
capanno di legno e conduceva alla casa, ora immersa nel bu-
io più totale. Presi la torcia elettrica dallo zaino, gli altri fe-
cero altrettanto, ma lì per lì non mossi un passo, ero fermo
davanti a quella stradina di ghiaia che portava nel buio più
profondo, contigua ad una strana ed inquietante costruzione,
dove, nel buio delle piccole finestre al piano rialzato, vedevo
tante cose che non c’erano… avevo paura, e non poca.
La presenza dei miei amici di dava un po’ più di sicurezza, e
mi decisi ad incamminarmi, ma non in testa: -Mandiamo a-
vanti il turco-, dissi, -tanto lui è scettico-.
Come in ogni nostro Role Playing si decideva sin dall’inizio
l’ordine di movimento, chi stava in testa e chi in coda, per
fortuna io stavo quasi sempre in coda, e questo mi aveva più
volte salvato la pelle.
Stabilito l’ordine ci incamminammo lungo il viottolo, sor-
passata la costruzione di legno mi voltai per darle un’ultima
occhiata ed ebbi la spiacevole impressione di essere osserva-
to dal buio dell’interno.
La porta era di legno massiccio, uno di quei portoni anni ’20
con battenti in ferro e bassorilievi amorfi, cercai la chiave ed
aprii la serratura.
–Prego-, dissi ad Abdul, -dopo di te-.
Abdul aprì la porta, dentro c’era un buio abissale, eravamo
tutti molto vicini, intimoriti, ma nessuno voleva che gli altri
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lo capissero.
Fatto un passo nella casa puntammo le torce contro la parete
e trovammo un interruttore; la luce portò sollievo a tutti
quanti, l’interno della casa non aveva nulla di anormale, era
un semplice ingresso poco arredato, impolverato sì, ma non
di secoli, c’erano alcuni dipinti sulle pareti, si notava
l’amore per la pittura del padre di Lisa.
–E ora?- chiese Abdul.
–Non so-, dissi, -cerchiamo il quadro?-
Randolph si diresse verso la scala: -Andiamo di sopra a ve-
dere, avrà pure uno studio o qualcosa di simile questo tizio-.
-Ma non ti ha detto niente la ragazza? Un’indicazione, un
minimo di qualcosa…- fece Tindiana.
–Ehi, sei tu il laureato, io sparo e basta, figurati se mi viene
in mente di fare certe domande così intelligenti-.
Salimmo piano le scale in legno che scricchiolavano sotto i
nostri piedi, quando Randolph, che stava in testa, si fermò.
–E ora che c’è?- domandai, lui si voltò, lo sguardo serio e
teso: -Ho una strana sensazione, come se fossimo osservati-.
-Sarà Il Custode-. disse Abdul.
–Dico sul serio-.
-E’ vero-, lo appoggiò Tindiana, -lo sento anch’io-.
A quel punto intervenni io: -Ragazzi, non fate così che mi
prende paura. Va avanti e chiudi con le boiate-.
Ad un certo punto sentimmo come dei piccoli scoppiettii e
poi la luce se ne andò.
–Ecco, lo sapevo io-. esclamai.
-Piantala di piagnucolare e tira fuori la torcia-. mi disse
Randolph.
Tutti e quattro prendemmo le torce elettriche e proseguimmo
al piano superiore.
Nel buio spettrale illuminato a sprazzi solo dalle nostre luci
sentivo su di me una forte oppressione, quasi soffocante, il
sesto senso mi urlava di scappare da lì al più presto possibi-
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le, ma come potevo abbandonare così i miei amici?
Trovammo lo studio di Legnani, il quadro non c’era, tro-
vammo però sulla scrivania degli appunti su un certo Ther-
mogorothus, qualche nome, date, niente di che, sia Tindiana
che Randolph ne avevano sentito parlare, era un alchimista
del quindicesimo secolo che si dilettava anche in pittura,
forse era proprio suo il quadro che il pittore stava restauran-
do.
Un improvviso soffio d’aria fece volare gli appunti sul pa-
vimento, noi rimanemmo immobili, le imposte erano chiuse
e non c’era alcuna corrente d’aria…
-Cos’è stato?- domandò Tindiana intimorito quanto me.
–Un colpo d’aria-. rispose il turco.
–Lo so, ma se non c’è corrente…-
-Ti credo è saltata la luce-.
-Ora lo ammazzo-.
-Sta buono-, mi fermò Randolph, -andiamo di sotto, forse
aveva un luogo più appartato dove dipingeva-.
Scendendo dietro ai miei amici non potevo non sentire qual-
cosa alle mie spalle, forse solo il buio, o forse qualcos’altro
ancora che dal buio usciva ogni tanto per nutrirsi della pau-
ra.
Trovammo giù di sotto una porta che conduceva in cantina: -
Ecco, lo sapevo io, la cantina-. pigolai.
–Dai-, disse Tindiana, -prima troviamo questo quadro, prima
ce ne andiamo di qua-.
Mandammo di nuovo Abdul davanti, lui non credeva a fan-
tasmi, spiriti e cose così, ma aveva paura come noi tutti.
Con nostro stupore la luce della cantina funzionava, era solo
una lampadina che pendeva dal soffitto ammuffito, niente
più, ma era bastata a darci del sollievo temporaneo.
Giù di sotto c’era una stanza di circa 10x8m, dove Legnani
teneva tutto il suo materiale di lavoro e varie tele coperte da
delle lenzuola impolverate.
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C’era ancora un quadro posto su un piedistallo di legno.
–Sarà quello-. dissi avvicinandomi, ma più mi avvicinavo
più avevo una terribile sensazione, le mani mi tremavano
mentre le allungavo per levare il telo che copriva il quadro,
avvertivo una pesantissima sensazione di angoscia e terrore,
come fossimo ad un passo dall’inferno.
Afferrai un lembo del lenzuolo e di scatto tirai scoprii il
quadro…
La vista della tela, quell’immagine, una terribile ed ango-
sciante crocifissione a testa in giù, tenebrosa, cupa, con uno
sfondo di buie creature i cui occhi insanguinati baluginava-
no, e i cui denti riflettevano un sogghigno, i volti straziati
degli uomini, l’ombra nascosta di un amorfo tentacolo, il
cielo coperto da nuvole nere gonfie di pioggia e tempesta,
davanti ad un sole rosso di cui si vedevano solo alcuni raggi
emergere dalla tenebra, producendo un effetto luce/ombra
apocalittico, ci atterrì e quella pesante sensazione
d’oppressione che ci attanagliava fin dal primo momento in
cui eravamo entrati esplose in quel momento, sentimmo la
terra tremare, i muri gonfiarsi come se respirassero, le dia-
boliche creature informi uscire dal quadro come demoni u-
sciti dall’inferno.
Un male eterno proveniente da chissà quali eoni aveva intri-
so l’intera casa, ogni suo angolo più remoto, ogni suo più
piccolo granello di polvere, ogni sua molecola sprigionava
un’angosciante e suppliziante sensazione di terrore e paura,
presenze diaboliche e mefistofeliche che danzavo al chiaro
di luna, fuochi che divampavano nell’oscura soffitta dove
una congrega di streghe inneggiava al demonio, assillanti
ombre che dalla tenebra ci avvolgevano e ci attanagliava-
no…
La paralisi dettata dalla paura venne scossa dalle nostre urla
di terrore, scappammo a gambe levata dal quel posto male-
detto, corremmo a perdifiato fino fuori nel cortile e poi an-
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cora in strada e ci fermammo solo poco fuori, in una piazzet-
ta dove c’erano varie macchine parcheggiate.
Stravolti, terrorizzati, ci sedemmo in terra ad asciugarci le
lacrime per il più grande spavento della nostra vita.
Io avevo il cuore che batteva a mille e anche gli altri non e-
rano da meno, pallidi, esausti e ancora con le gambe che
tremavano.
–Beh, l’hanno studiata veramente bene-, dissi tra un ansimo
e l’altro, -chissà che risate si staranno facendo alle nostre
spalle-.
-Almeno abbiamo un indizio-. fece Tindiana, -
Thermogorothus…-
-Questo gioco sta diventando un po’ troppo pesante per i
miei gusti-, dissi ancora con la voce che tremava, -qualcuno
poteva anche farsi male-.
-Ha ragione-, mi appoggiò Randolph, -è un miracolo che
nessuno sia caduto e abbia battuto la zucca-.
-Ancora non capisco come ci siano riusciti… io ho sentito
davvero una presenza diabolica là dentro, porca miseria, e
per poco non me la sono fatta sotto-.
-Ci hanno suggestionati per bene-, disse Randolph, -la casa
che pare uscita da Evil Dead, la luce che salta, il pittore che
impazzisce per il quadro che stiamo cercando, ci aggiungi
qualche effetto sonoro da film horror e il gioco è fatto-.
-Io non so quanto sia stato suggestionato, ma qualcosa di
strano l’ho visto in quel quadro-, insistetti, -e credo che sta-
notte avrò problemi ad addormentarmi-.
-Diavolo, è solo un gioco-. fece Abdul.
–Ma se te la sei fatta sotto per primo-, gli risposi, -non avevo
ancora alzato il telo del quadro che stavi già correndo sulle
scale-.
-Basta adesso-, intervenne Tindiana, -forse è un gioco, o for-
se no, fatto sta che ci siamo dentro, e non possiamo uscirne,
almeno non ancora. Io direi domani di andare alla Biblioteca
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di Brera e cercare qualcosa sul conto di quel Thermogoro-
thus-.
-La stai prendendo molto sul serio, eh Tindy?- fece Abdul,
-Sta attento tu a non prenderla troppo alla leggera-.
-Ma è solo un gioco del cavolo! È tutta una montatura, lo
sapete meglio di me, è come Immaginaria, solo fatta meglio-
.
-Già, proprio così-. Tindiana rispose in quel modo, ma il
volto lo tradiva, anche lui, come me, sospettava qualcosa,
ma era troppo assurdo per crederci, certo che l’avevano con-
geniata veramente bene.
Raggiunta la macchina tornammo a casa, dandoci appunta-
mento al giorno dopo, ma ognuno di noi, quella sera, vedeva
nel buio qualcosa di strano, di malefico e di terrificante, e
nessuno chiuse occhio, nonostante non fosse altro che un
gioco, o no?
44
3. L’ALCHIMISTA
Dopo un’accurata ricerca e grazie alle conoscenze storiche e
biblioteconomiche sia di Tindiana che di Randolph, tro-
vammo un saggio del professor G.T. Len, storico americano
di origine polacca che parlava ampiamente di Thermogoro-
thus:
“… da questo punto di vista, particolarmente inquietante è
la vita di Peter Tagtgren, meglio conosciuto come Thermo-
gorothus, nato da una piccola famiglia finlandese nel borgo
di Sibbo a poche miglia da Helsinki verso la fine del XVI
secolo, secondo alcune fonti intorno al 1580, secondo altre
alcuni anni prima nel 1577. Rimasto orfano in tenera età,
venne allevato da una ricca famiglia di mercanti svedesi
presso i quali suo padre era stato per molti anni il precetto-
re dei figli.
Questo gli permise di crescere a stretto contatto con la real-
tà politica e sociale del suo tempo. Ricordo a questo propo-
sito che a quel tempo la Finlandia faceva parte della Svezia
e la maggior parte dell’Élite del regno era costituita da sve-
desi, mentre i finlandesi erano in larga misura contadini e
operai, solo più tardi accresceranno il proprio prestigio di-
venendo soldati di professione.
[...] durante uno di questi viaggi giovanili ebbe modo di re-
casi presso al corte inglese dove potrebbe aver incontrato
John Dee, il medico di corte, nonché alchimista e negro-
mante, ma al riguardo non esistono prove certe. [...]
Intorno alla maggiore età, molto probabilmente nel 1600,
Thermogorothus intraprese un viaggio intorno all’Europa
insieme ai figli del suo tutore: si diresse da prima in Fran-
cia da dove poi passò in Italia. Qui, certa è la sua perma-
nenza prima Milano, poi Firenze e infine a Roma. Rimasto
affascinato dall’ambiente artistico della penisola, soprattut-
to da maestri quali Leonardo e Michelangelo, studiò archi-
tettura e pittura, riuscendo a diventare discepolo del Cara-
45
vaggio. Risalirebbero a questo periodo i suoi primi contatti
con gruppi esoterici, sembrerebbe inoltre che in quegli an-
ni, nello Stato Pontificio, agisse un gruppo eretico che a-
vrebbe fatto capo a una delle famiglie cardinalizie più im-
portanti e influenti di Roma. Un suo contatto con questa
congrega potrebbe spiegare perché, nonostante il clima di
sospetto e intolleranza religiosa creato dalla Controriforma,
egli non fu minimamente sfiorato dai numerosi processi per
stregoneria ed eresia che in quei tempi insanguinavano la
città.
Quando nel 1607 lasciò l’Italia si trasferì direttamente a
Praga. Il regno di Boemia in quegli anni era governato
dall’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, che pur essendo edu-
cato alla fede cattolica aveva una mentalità aperta e colti-
vava interessi scientifici e artistici internazionali e sovra
confessionali, fece della sua corte un luogo pittoresco, dove
si radunarono alcuni fra i più famosi artisti e scienziati
dell’epoca, fra i quali il pittore Arcimboldi, o i matematici
Brahe e Keplero. Accanto a questi giunsero a corte anche
personaggi più oscuri e inquietanti.
L’Imperatore non faceva mistero di avere interessi anche in
campi come astrologia, l’alchimia o l’occultismo facendo
richiamare al Hradschin, il castello di Praga, alcuni fra i
più ricercati, soprattutto dall’Inquisizione, sapienti del tem-
po o, come ufficialmente molte fonti narrano, concedesse la
sua protezione a tutti gli intellettuali che si trovassero a
passare o a permanere nel suo regno. Così anche Thermo-
gorothus poté raggiungere la capitale boema e vivervi per
alcuni anni coltivando i suoi studi in campo esoterico.
Fu qui che conobbe, fra gli altri, un oscuro figuro di origini
svedesi conosciuto col nome di Legione (secondo Dupin in-
vece si tratterebbe di uno pseudonimo usato dall’alchimista
danese Ole Wurm, meglio conosciuto come Olaius Wormiu,
ma questa è solo una supposizione priva di prove tangibili).
46
[...] Ufficialmente era conosciuto come pittore, ma al ri-
guardo sorsero strane voci secondo le quali preferisse sog-
getti macabri; secondo alcuni numerosi erano i suoi quadri
che raffiguravano condannati a supplizi capitali o roghi di
presunte streghe e maghi, oppure ritratti di criminali.
Diversi esponenti della comunità ebraica della città si rifiu-
tarono di avere contatti con lui, altre voci lo implicano nella
scomparsa di alcuni bambini, voci poiché la maggior parte
di cronache dell’epoca furono distrutte durante la Guerra
dei Trent’anni.
[...] Quando Rodolfo II morì, nel 1612, molti degli esponen-
ti della corte furono arrestati e molti altri furono costretti
alla fuga. Fu allora che Thermogorothus ritornò in Svezia
dove grazie alle conoscenze e alle ricchezze della famiglia
di adozione riuscì a farsi ammettere a corte, dove divenne il
protetto di uno dei collaboratori del cancelliere Oxenstier-
na.
[...] Si trasferì in alcune territori della Lapponia venendo in
contatto con tribù che praticavano ancora i vecchi riti pa-
gani [...], una di queste tribù aveva una credenza simile a
quella fra molti pellirosse: ossia che raffigurando
l’immagine di un uomo se ne potesse rubare l’anima.
[...] Proprio per la sua lontananza dalla corte si riuscì a
salvare ancora una volta la vita: nel 1619 alcuni cortigiani
furono arrestati e condannati a morte per eresia e strego-
neria, fra di essi vi era molto probabilmente il mecenate di
Thermogorothus, il quale, informato degli avvenimenti, fug-
gì in Germania decidendo di approfittare delle devastazioni
della guerra per continuare i suoi studi. Richiamato da Le-
gione, che già vi abitava, si stabilì a Lemgo, nella Vestfalia,
dove pare abbia scritto il suo unico trattato di alchimia: il
“Vobiscum Satanas”.
[...]Fra il 1628 e il 1637, poi nel 1656, e dal 1665 al 1681,
proprio Lemgo fu teatro di una delle più sanguinarie cacce
47
alle streghe del tempo. Rudolf Kasperk, un cronista testimo-
ne dei fatti del primo processo, riferisce notizie più detta-
gliate: alcune streghe interrogate dalle autorità fecero ripe-
tutamente i nomi dei due maghi, riconosciuti come alcuni
fra i fuggiaschi della corte praghese, fu inviato un drappello
di guardie ad arrestarli, ma giunti alla casa nella quale i
due risiedevano non vi trovarono alcuno.
Stranamente, riporta il cronista, due guardie impazzirono
durante quella perquisizione e pochi giorni dopo una terza
morì nel sonno fra atroci sofferenze. Nell’abitazione, oltre a
vario materiale ”magico”, furono ritrovati anche alcuni fra
i quadri e il Libro: pare fosse articolato in due parti, di cui
gli inquisitori ritrovarono solo la prima, la quale sembri
trattare solo di pittura e architettura.
Ma i domenicani che lessero l’opera la giudicarono ugual-
mente blasfema, facendola mettere all’Indice. Inoltre tutti i
quadri ritrovati furono bruciati sul rogo dopo essere stati
benedetti.
[...] Nell’agosto del 1631 Thermogorothus fu catturato da
alcuni soldati svedesi nei pressi di Dresda, riconosciuto fu
processato e arso sul rogo la notte della Vigilia di Natale
dello stesso anno. [...] di lui rimango solo alcuni quadri:
L’Arlecchino, La Crocifissione di S. Pietro e Valpurga, tutti
caratterizzati da tonalità scure e atmosfere inquietanti che
risentono molto dell’influenza di artisti come Bosch e
dell’arte medievale, che anticipano le visioni oniriche e sul-
furee di alcuni pittori del Romanticismo.
In tutte le sue opere alcuni ricercatori hanno individuato
delle strane ombre che sembrerebbero raffigurare volti op-
pure figure amorfe; una in particolare sembra aver colpito
la fantasia d’alcuni ricercatori: un gioco di chiaro – scuro
nelle rovine rappresentate nell’Arlecchino mostrerebbe un
misterioso essere tentacolare [...]. Naturalmente i critici
d’arte ritengono queste supposizioni di pseudo occultisti che
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tentano di “dare un alone di mistero ad un mediocre pittore
del Seicento” (C. I. Cargon) [...]. Cosa che invece è chiara
ed evidente è che nelle opere di Thermogorothus sono rap-
presentati simboli cabalistici, alchemici e mistici, alcuni dei
quali di sconosciuta origine come [...].” 3
-Misericordia…- questa fu l’esclamazione collettiva al ter-
mine della lettura.
Possibile che fosse tutto vero?
Possibile che anche quel libro facesse parte del gioco?
Thermogorothus era esistito veramente allora, beh, poteva
anche darsi, perché no?
Ma quel quadro?
Era sicuramente una copia, non poteva che essere così…
-Il restauro del quadro era stato commissionato dalla pinaco-
teca di Brera, vero?- domandai.
–Ah ah-. annuirono gli altri.
–Beh, già che ci siamo, perché non andiamo a chiedere cosa
ne sanno?-
-Ma sei scemo? Ma figurati se è vero-. fece Abdul.
–Vero o meno, fa parte del gioco, era prevedibile che chie-
dessimo informazioni alla pinacoteca. E poi, io sono un de-
tective…-
-Beh-, mi appoggiò Tindiana, -il discorso non fa una grinza,
perché no?-
-Dunque-, fece Randolph, -facciamo il punto: la pinacoteca
ha commissionato il restauro del quadro di un alchimi-
sta/stregone a Legnani, lui è impazzito, forse per una strego-
neria, comunque per la stessa cosa che ha spaventato noi ieri
sera; di questo alchimista sono rimasti tre quadri ed un libro,
o almeno credo. Forse è il caso di cercare i due quadri che
mancano e il libro, qua a Brera penso che ne sappiano qual-
cosa, che ne dite?-
-Possiamo dividerci-, disse Tindiana, -io e te pensiamo a
trovare notizie sul libro, e magari anche su quel Legione, e
49
loro due sui quadri-.
D’accordo su come agire ci separammo, tenendoci comun-
que in contatto tramite i telefoni cellulari per qualsiasi eve-
nienza.
Lasciati i due intellettuali alle prese con i libri della vastis-
sima biblioteca, io e Abdul ci dirigemmo verso la pinacote-
ca, situata in un palazzo seicentesco nel cui cortile venne
posta, nel 1809, una statua del Canova raffigurante Napole-
one nelle veste di Cesare vittorioso.
Cercammo di eludere la sorveglianza per parlare col diretto-
re o qualcuno che potesse darci notizie a riguardo del quadro
di Thermogorothus, ma ci individuarono immediatamente e,
alle domande insistenti di due guardie, mostrai loro il mio
tesserino di detective privato, incrociando le dita.
–Sono un detective, vorrei parlare col direttore se è possibi-
le-.
Le guardie si guardarono l’un l’altra e poi ci fecero segno di
seguirle.
–Incredibile, ti hanno creduto-. esclamò sottovoce il mio
compare.
–Perché non avrebbero dovuto?- gli risposi, -Ho detto la ve-
rità-.
-Questa storia mi fa venire il mal di testa-.
Arrivammo davanti ad un ufficio, una delle guardie ci disse
che il direttore era fuori città per una conferenza, ma che a-
vremmo comunque potuto parlare col suo vice.
Ringraziai le guardie e, seguito da Abdul, entrai nell’ufficio.
Un uomo sui quarant’anni era seduto dietro ad una scrivania
colma di fogli di carta, libri, penne, matite, taccuini, riviste
d’arte e ciarpame vario, stava parlando al telefono animata-
mente con qualcuno, ci fece segno con la mano di sederci, e
dopo poco riattaccò.
–Buon giorno, io sono William Montini, il vice direttore del-
la pinacoteca, posso esservi utile?-
50
-Il mio nome è Araya, questo è il mio aiutante Fathinlha, e
sono un detective privato, sono stato assunto dalla signorina
Lisa Legnani, suppongo che ne conosciate il padre-.
-Oh, sì, lavora per noi, o meglio, lavorava per noi come re-
stauratore, ma poco tempo fa ha avuto un esaurimento ner-
voso, o qualcosa di simile, ma questo lei lo sa già, vero?-
-Infatti, la figlia crede che la causa dell’improvvisa pazzia
del genitore sia dovuta proprio al restauro da voi commis-
sionatogli-.
Montini rise: -Non vorrete di certo crederle? È solo un qua-
dro-.
-Un quadro dipinto da un alchimista stregone, per quel che
ne sappiamo-.
-Davvero?-
-Non lo sapeva?-
-Beh, non mi metto di certo a leggere la storia di ogni singo-
lo pittore di cui acquistiamo i quadri, perlomeno non quella
di autori similsconosciuti-.
-Per cui lei non sa nulla di Thermogorothus-.
-Se si tratta dell’autore del quadro no, mi spiace. L’unica
cosa che posso dirle è la sua provenienza-.
-Grazie-.
Montini si mise al computer a cercare in alcuni file, dopo
poco trovò quello giusto: -Ecco qua: Thermogorothus:
L’Arlecchino, La Crocifissione di S. Pietro e Valpurga, sono
tre quadri, tutti provenienti da Lione-.
-Che ne è de L’Arlecchino e di Valpurga?-
-Non sono ancora esposti al pubblico, perché… beh, se ave-
te visto La crocifissione di San Pietro potete immaginarlo
facilmente, si tratta di opere che definire indecenti sembra
poco, inoltre la pinacoteca ha sempre preferito esporre qua-
dri di autori più importanti e conosciuti di questo Thermogo-
rothus. D’altra parte il Consiglio del museo ha deciso di or-
ganizzare una mostra sul tema Magia e pittura, e sembrava
51
opportuno mostrare anche i lavori di questo artista. Quanto
al resto credo, se non erro, che siano stati acquisiti dalla bi-
blioteca in epoca napoleonica, penso per donazione, succes-
sivamente sono passati alla pinacoteca-.
-Si potrebbero vedere gli altri due quadri?-
L’uomo sembrò piuttosto preoccupato, -Mi dispiace ma so-
no al sicuro nei magazzini del palazzo, lo spazio studiato per
la mostra di cui vi parlavo non è ancora ultimato, questione
di giorni, per vederli serve un permesso scritto dell’ufficio
dei beni culturali della Lombardia e poi l’approvazione del
Direttore. Credo sia una cosa un po’ lunga. Sa, motivi di si-
curezza-.
-Per caso tenete anche delle riproduzioni cartacee dei dipin-
ti? Non so, per i cataloghi o studi…?-
-Certo, ne avete bisogno?-
-Se fosse così gentile da darcene una copia..-.
Montini sembrava sempre più insofferente alle mie continue
richieste, ma acconsentì.
Chiamò un’impiegata al telefono e le chiese di cercare le
stampe di cui avevamo bisogno, dopodiché aspettammo.
-Mi dica, è successo qualcosa di strano a chi ha trasportato i
quadri per la mostra?-
-Non che io sappia, erano chiusi in una cassa di legno, ma
perché mi fate queste domande, credete davvero alla storia
che quei dipinti possano fare impazzire?-
-Sherlock Holmes sosteneva che eliminato l’impossibile,
l’eventualità rimanente, per quanto improbabile, non può
che essere la soluzione… o una cosa così-.
-Ma Sherlock Holmes non esiste-.
-Come tutta questa storia-. bofonchiò Abdul, ma il vicediret-
tore non sentì.
-Recupererete il quadro dalla casa di Legnani per la mo-
stra?-
-E’ quello che desidereremmo fare, ma non siamo ancora
52
riusciti a metterci in contatto con la figlia del Legnani, e
senza il suo permesso ovviamente non possiamo entrare in
casa sua e prelevare il quadro, nonostante ci appartenga. Ad
ogni modo, se vuole un mio parere, la mostra è già abba-
stanza inquietante con i dipinti con cui l’abbiamo allestita,
venite a vederla, è molto affascinante, sempre che amiate il
genere dell’occulto e della magia-.
-Certamente verremo a vederla-. dissi.
Finalmente arrivò l’impiegata con una cartelletta di cartone,
all’interno della quale c’erano le tre riproduzioni dei quadri.
Mi alzai in piedi e Abdul fece lo stesso: -La ringraziamo
molto, vicedirettore, se scopriremo qualcosa le faremo sape-
re-.
-Grazie-. rispose lui stringendoci la mano, salutammo anche
l’impiegata e, presa la cartelletta, uscimmo dall’ufficio.
Mentre io e Abdul eravamo alle prese col vicedirettore del
museo, Tindiana e Randolph avevano occupato una intera
sezione della biblioteca, quella relativa all’occultismo e alla
stregoneria, una della più vecchie, su di un tavolo posto tra
gli scaffali posero decine di vecchi libri, di autori del secolo
scorso che potevano avere a che fare con l’alchimia e Ther-
mogorothus, e dopo più un’ora di ricerche, ebbero i primi
risultati: -Guarda qua-, disse Tindiana all’amico tenendo in
mano la ristampa di un libro del secolo scorso sulle logge
massoniche, -forse ho trovato qualcosa, parla di una delle
logge fondate dal Conte di Cagliostro-.
Il testo, una traduzione italiana dell’originale francese, reci-
tava così: L’ideologia moratoria ebbe nel Settecento una
travolgente e rapida propagazione, come testimonia
l’irrefrenabile incremento di ordini e riti ispirati ad antiche
fonti sapienziali e ad accattivanti filosofie esoteriche. La fu-
sione di gnosi e rito misterico, chiaramente percepibile fin
dal procedimento iniziatico, aveva dato vita ad un insieme
di verità di difficile codificazione, sopravvissute alla rovina
53
e all’oblio delle grandi civiltà del passato che le avevano
originate, raggiungibili solo da alcuni prescelti.
Per questo la tradizione massonica fu insignita di
un’aureola salvifica in grado di appagare l’intimo bisogno
degli accoliti che, in quanto eletti, svolgevano il delicato
compito di sottrarre la conoscenza dei segreti allo scempio
dei profani: l’adesione alla massoneria comportava
l’apprendimento di cognizioni di carattere teurgico-
cabalistico che consentivano di sviluppare una certa padro-
nanza dell’occulto[…].
A Londra (1776) Cagliostro aveva aderito alla loggia "La
Speranza", ottenendo prestigio e notorietà: strinse solide
amicizie con gli stranieri e i borghesi che il fascinoso mon-
do massonico aveva attratto, venendo a contatto con le idee
di tolleranza religiosa e di libertà intellettuale propugnate
dalla massoneria inglese e con i segreti dei cavalieri tem-
plari, custoditi dalla massoneria degli "alti gradi". Pren-
dendo spunto da un antico manoscritto latino di un alchimi-
sta scandinavo, diede inizio alla massoneria di rito egizia-
no, basata su pratiche rituali che avevano come scopo la
rigenerazione del corpo e dell’anima.
Della loggia potevano fare parte tutti gli iscritti alla masso-
neria ordinaria, sia uomini che donne: Cagliostro, il Gran-
de Cofto, era a capo della loggia, mentre Lorenza, divenuta
la contessa Serafina, reggeva le assemblee femminili con il
titolo di "Regina di Saba".
Il successo riscosso fu enorme: Cagliostro, che nel frater-
nizzare massonico aveva visto un canale di promozione e
legittimazione sociale con il quale non interferivano la pro-
venienza territoriale, l’ideologia politica o le attività con-
nesse al ceto, aveva saputo tingere di mistero gli avvenimen-
ti riguardanti la sua vita, costruendosi un passato fatto di
epoche remote, avventurosi viaggi al limite dei territori co-
nosciuti, ricerche ed esperimenti basati sulla cabala ebrai-
54
ca, sulla negromanzia e sulla teurgia.
Considerevole diffusione ebbero in quegli anni l’elixir di
lunga vita, il vino egiziano e le cosiddette polveri rinfre-
scanti con i quali Cagliostro compì alcune portentose gua-
rigioni curando, spesso senza alcun compenso, i numerosi
ammalati che, nel 1781, gremivano la residenza di Stra-
sburgo. Il comportamento filantropico, la conoscenza di al-
cuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemi-
ci, la capacità di infondere fiducia e, al tempo stesso, di tur-
bare l’interlocutore, penetrarlo con la profondità dello
sguardo, da tutti ritenuto quasi soprannaturale: queste le
componenti che contribuirono a rafforzare il fascino perso-
nale e l’alone di leggenda e di mistero che accompagnarono
Cagliostro fin dalle prime apparizioni.
Poliedrico e versatile, conquistò la stima e l’ammirazione
del filosofo Lavater e del gran elemosiniere del re di Fran-
cia, il cardinale di Rohan, entrambi in quegli anni a Stra-
sburgo. Tuttavia, Cagliostro raggiunse l’apice del successo
a Lione, dove giunse dopo una breve sosta a Napoli e dopo
aver risieduto più di un anno a Bordeaux con sua moglie. A
Lione, infatti, egli consolidò il rito egiziano, istituendo la
"madre loggia", la “Sagesse Triomphante”, per la quale
ottenne una fiabesca sede e la partecipazione di importanti
personalità.
[…]Un misterioso quanto inquietante progetto, suscitato da
delle pagine del libro in latino, lo portò a ricercare per
mezza Europa tre quadri dipinti, pare, dallo stesso autore
del libro, un alchimista scandinavo conosciuto col nome di
Thermogorothus, al quale si attribuivano terribili racconti e
leggende. Dopo svariate ricerche attraverso i contatti dis-
seminati nel continente, Sagesse Triomphante riuscì ad im-
possessarsi delle tre tele, che divennero oggetto di studi e di
pratiche esoteriche per diversi anni della vita del Conte.[…]
La Chiesa dogmatica, quella che Cagliostro aveva forse in-
55
consapevolmente contrastato, intervenne implacabilmente,
facendo ricorso a tutti gli strumenti di persecuzione, primo
fra tutti il Sant’Uffizio, di fronte al quale si cercò di sminui-
re fortemente proprio l’attività massonica al fine di sfuggire
alle accuse di sedizione, magia, deismo ed eresia.
Se la difesa di Cagliostro fosse stata condotta cercando di
avvalorarne idee e dottrine, probabilmente non sarebbe
giunta fino a noi la tradizione che lo vuole ciarlatano e mal-
levadore. Prima di venire coinvolto nell’”affaire du collier
de la reine” Cagliostro terminò la traduzione in lingua ma-
dre del libro maledetto, poiché era a conoscenza del fatto
che la Chiesa ne era alla ricerca per sottrarglielo e bruciar-
lo, in quanto già ritenuto blasfemo un secolo prima.
Dei suoi studi sul libro e le tele, in cerca di “una nuova di-
mensione”, come disse lui, non si sa molto di più, se non un
suo desiderio, mai esaudito però, di ritrovare un secondo
libro, di un autore pure lui scandinavo che era stato compa-
gno di studi dell’alchimista di cui Cagliostro stava impa-
rando le nozioni negromantiche e mettendo in pratica gli
studi[…]
Ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta
sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l’inizio del
processo. Al consiglio giudicante, presieduto dal Segretario
di Stato cardinale Zelada, egli apparve colpevole di eresia,
massoneria ed attività sediziose.
Il 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta,
nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli
strumenti massonici. In seguito alla pubblica rinuncia ai
principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la gra-
zia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel
carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni
dell’inaccessibile fortezza di San Leo, allora considerato
carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. […]4
-È probabile che il libro sia proprio quello di Thermogoro-
56
thus, così alla fine del 1700 era finito nella mani di Caglio-
stro-, disse Tindiana, -e poi finito in quelle della Chiesa che
l’ha così distrutto, addio libro, a meno che non troviamo
qualcosa a proposito della versione tradotta di Cagliostro,
ma chissà dove-.
-Non è detto-, disse Randolph, -ho cercato tra alcuni libri
riguardanti manoscritti eretici del 1600 ed ho trovato delle
notizie interessanti: diversi libri messi al bando dalla Chiesa
non vennero mai distrutti come invece si fece sapere, perché
divenissero segretamente oggetto di studi da parte di un or-
dine segreto di sacerdoti, la Confraternita del Sonno, che si
occupava di leggere e studiare tali manoscritti, per carpire i
segreti del diavolo. Ragion per cui è presumibile che il libro
esista ancora, senti qua: Fondata nel 1500 in accordo col
governo spagnolo, nessuno, a parte gli adepti di questa setta
dimenticata, ne erano a conoscenza, esisteva un voto di si-
lenzio, la loro esistenza era tenuta nascosta anche alla San-
ta Sede, la setta aveva un enorme potere di autorità e non si
mettevano mai in discussione le sue decisioni.
I libri messi all’indice venivano, prima di essere bruciati,
visionati dalla Confraternita del Sonno, la quale, dopo uno
studio sommario decideva se il manoscritto non era di alcu-
na utilità, e perciò destinato al rogo come l’autore, oppure
degno di uno studio più approfondito, perché depositario di
pratiche esoteriche e scritti diabolici di notevole interesse
per la lotta contro Satana 5. –
Randolph chiuse il libro e continuò: -La Confraternita si riu-
niva segretamente qui a Milano, nella chiesa di San Cristo-
foro, una piccola basilica del 1200 che nessuno avrebbe mai
immaginato come luogo di studio di manoscritti proibiti da
parte di una setta clericale e…-
Improvvisamente ci fu un tonfo alle loro spalle che li fece
sussultare, un libro era caduto, forse, Randolph si avvicinò
allo scaffale dietro di loro, e trovò infatti un libro sul pavi-
57
mento del corridoio adiacente a quello dove stavano loro,
ma che non c’era nessuno in giro, il libro era caduto da solo.
Randolph si chinò per raccogliere il libro e nel farlo sentì un
soffio d’aria accarezzargli il viso, voltò lo sguardo da dove
proveniva l’aria, ma c’era solo uno dei tanti scaffali pieni di
libri.
–Che c’è?- domandò Tindiana.
–Niente-, rispose Randolph, -niente. Dicevo che forse po-
tremmo trovare ancora qualcosa in quella chiesa-.
-È un’idea-.
58
4. I TRE DIPINTI
Dopo poco li raggiungemmo nella sala di lettura, dietro ad
uno dei tavoli più isolati e ci raccontammo le nostre scoper-
te.
–Io direi-, disse Tindiana, -di tenere questa ala defilata della
biblioteca come punto di ritrovo e di lavoro, qui non c’è
quasi mai nessuno e potremo lavorare tranquillamente. Ora,
diciamo che sono due le cose da fare: andare a San Cristofo-
ro e studiare i tre dipinti. Che facciamo, ci dividiamo anco-
ra?-
-Io direi di no-, dissi –più che altro perché dividendoci ci
priveremmo di una parte di divertimento data dalla possibili-
tà che non scegliamo, o no?-
-Il ragionamento non fa una piega-. rispose Randolph.
–Ok, iniziamo dalle stampe?-
Tutti d’accordo ci rimettemmo attorno al tavolo, sul quale,
oltre ai libri consultati da Tindiana e Randolph, c’erano a-
stucci con matite, dadi (tanti), penne, fogli di carta per ap-
punti sparsi un po’ in giro e, ora, le tre stampe.
I quadri, riprodotti in 30x40cm su carta plastificata,
all’apparenza non avevano nulla di singolare, eccezion fatta
per il genere tetro e cupo che le distingueva, c’erano, in ef-
fetti, su tutti e tre i dipinti, una serie di ombre sulla sfondo,
in controluce si intravedevano i contorni di figure amorfe e
tentacolari, ma nel buio dell’intera scena rappresentata era
difficile capire di cosa si trattasse.
Il primo che guardammo fu quello intitolato Valpurga, nome
che si attribuisce alla notte compresa tra il 30 Aprile e il
primo di Maggio, nella quale il folklore vuole che le streghe
celebrino il sabba, il convegno orgiastico notturno in cui
streghe e stregoni invocano il diavolo tramite danze e ban-
chetti, e nel quale, tal volta, vengono sacrificate innocenti
vittime.
Il quadro non rappresentava però il Sabba, né streghe o dia-
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voli, bensì qualcosa di molto più allucinante e terrificante,
una scena apocalittica dominata dal gioco di luci (rosso san-
gue) ed ombre, che raffigurano le guglie di una cattedrale,
con i suoi doccioni, le torri e i campanili, sulle quali si di-
stinguono, assieme ai contorni di inquietanti individui sul
margine dei cornicioni, quelli di croci dove sembrano ago-
nizzare uomini impalati, la fine che aspettava a chi osava
varcare i confini di quella chiesa malvagia costruita in tempi
remoti su fosse comuni di streghe, demoni e vampiri, divo-
rata da un male abissale e silente ancora più antico degli E-
gizi e dei Sumeri, dell’uomo di Cro Magnon e
dell’Australopiteco, e che in eoni di vita ha tormentato mi-
lioni e milioni di uomini, corrompendoli e schiavizzandoli.
Il secondo era un dipinto apparentemente innocuo, un sim-
patico Arlecchino seduto su una pietra cubica, ma se lo si
guardava più a fondo si potevano osservare meglio i contor-
ni grossolani, i colori forti, contrastanti, ma soprattutto il
sogghigno del viso e lo sguardo di lucida follia dietro alla
maschera posta sul volto, l’espressione di un demonio ance-
strale e feroce, empio e sibillino. Di fatti, come ci ricordò
Tindiana, una delle origini più accreditate della maschera
veneziana era quella di uno spirito diabolico aborrito dai
normanni.
Il terzo ed ultimo era il quadro che avevamo già visto in casa
di Legnani con le conseguenze che ho già narrato.
Dopo un’ulteriore ora passata a studiare nei minimi partico-
lari le tre stampe ottenendo magri risultati, mi venne
un’idea: -Potremmo utilizzare uno scanner, con gli effetti di
un computer potremmo sicuramente ricavare maggiori in-
formazioni. Ce n’è uno a disposizione proprio nell’aula a
fianco-.
Prendemmo così le nostre cose e ci trasferimmo a pochi me-
tri di distanza, dove c’era un aula provvista di alcuni compu-
ter, ovviamente tutti impegnati.
60
–Ehi, Abdul, tu che hai la faccia brutta, caccia via qualcuno-
. dissi al mio compare, quello bofonchiando qualcosa si av-
vicinò ad un ragazzo che adoperava il pc per navigare in
internet nei siti VM 18 e lo fece sloggiare facilmente.
–Ben fatto-. ci complimentammo mentre prendevo posto da-
vanti alla tastiera. Nel giro di una decina di minuti avevamo
i tre dipinti nel computer sottoforma di file bitmap alla mas-
sima risoluzione, niente ci sarebbe potuto più sfuggire.
Adoperando il programma di Photoshop© studiammo atten-
tamente le tre foto, evidenziandone alcuni particolari, ruo-
tandoli, ribaltandoli, rimpicciolendoli e ingrandendoli, di
tutto e di più, dopo una mezz’ora qualcosa cominciava a de-
linearsi: nel buio dello sfondo non c’erano solo figure amor-
fe, ma anche delle linee precise, sinuose ed articolate, a-
primmo così le tre foto contemporaneamente e, dopo alcuni
tentativi risultò evidente che le linee combaciavano.
–Mondo boia…- esclamai stupefatto, la figura formata dalle
linee sembrava essere una pianta geografica, o qualcosa di
simile, nonostante avessimo rischiarato al massimo la foto, i
contorni erano appena percettibili, ad ogni modo, dopo un
po’ di arte grafica, cambiammo il colore cupo delle linee in
bianco candido che, su uno sfondo nero inchiostro, risaltava
benissimo.
63
5. LA CHIESA DI SAN CRISTOFORO
Quando quella mattina lessi sul giornale della metropolitana
che alla pinacoteca di Brera apriva i battenti una interessante
quanto inquietante mostra pittorica riguardante “magia ed
esoterismo”, con quadri e dipinti di artisti del XVII e XVIII
secolo in prevalenza scandinavi, capii che si trattava della
famosa mostra in cui sarebbero stati esposti i due rimanenti
quadri di Thermogorothus.
Ne parlai poi ai miei amici e suggerii di andare a vederla,
benché non fosse necessario ai fini dell’avventura, ma cer-
tamente ci interessava molto da vicino.
-Al di là dell’avventura a me interessava comunque andarla
a vedere-. disse il Tindy mentre ne discutevamo sotto uno
dei chiostri dell’università.
-Non sarebbe la prima volta che andiamo a visitare mostre
simili-, aggiunse Randolph, -dopo quella al museo delle tor-
ture, quella sui vampiri, una mostra del genere non possiamo
perdercela. Se poi troviamo qualcosa che potrebbe aiutarci
nel gioco, ben venga-.
-Speriamo non costi troppo-. bisbigliò Abdul.
-Dimentichi che conosco il vicedirettore?- mi pavoneggiai.
-Già, così ci farà pagare doppio-.
-Meglio comunque aspettare un paio di giorni, così abbiamo
il tempo di andare a San Cristoforo-. suggerii.
-Sì, lo credo anch’io-, mi assecondò Randolph, -così potre-
mo verificare se durante la mostra succedono cose strane o
meno-.
Era ormai ora di rientrare in aula, così ci dividemmo per se-
guire i nostri corsi dandoci appuntamento all’ora di pranzo.
Era una giornata nuvolosa, la classica giornata milanese di
traffico intenso e tempo uggioso, il cielo minacciava pioggia
ma ancora non se ne vedeva, in compenso tirava un po’ di
vento e l’aria aveva quell’odore acre e malsano che precede
l’arrivo della pioggia.
64
Uscimmo dalla fermata della metropolitana di Porta Genova,
une delle vecchie stazioni delle Ferrovie Nord, situata af-
fianco alla Darsena del Naviglio, dove tutti i week end c’era
la gran baldoria e confusione di bancarelle e mercanti di o-
gni genere per la Fiera di Senigallia.
Questa zona del Naviglio Grande un tempo era frequentata
da pescatori e mercanti che utilizzavano il percorso fluviale
per spostarsi, mentre ora era diventato un luogo pieno di lo-
cali e pub notturni, negozi e librerie, pizzerie e ristoranti,
che lo trasformavano la sera in una sorta di Broadway mila-
nese, con tanto traffico, chiasso, musica e spettacoli vari.
Qui, uno dei quartiere più vecchi di Milano, esistono ancora
vicoli labirintici dove i tetti a mansarda si attanagliano l’un
l’altro e si inarcano in soffitte nelle quali, si dice, si rifugia-
vano le fattucchiere ai tempi dell’inquisizione.
Emozionati, ma anche con un certo timore entrammo nella
chiesa facendoci il segno della croce e guardandoci attorno,
sicuri di essere spiati in qualche modo, anche se non capi-
vamo come; l’interno era piuttosto buio, in un angolo, di
fronte alla statua del santo, c’erano accese delle candele,
delle donne anziane, erano genuflette a pregare nelle panche
davanti all’altare, il reverendo intanto era seduto in fondo a
leggere il breviario, nella sala c’era un silenzio tombale.
–Che facciamo?- domandai a bassa voce.
–Vediamo di trovare delle porte o dei corridoi-. suggerì
Randolph.
Dopo una breve ricerca trovammo probabilmente quello che
cercavamo: a lato del coro c’era una porta chiusa a chiave,
l’unica di quelle che avevamo trovato e che si erano rivelate
essere semplici stanze con sedie, statue mezze rotte e ciar-
pame vario.
Era necessario un piano.
Dopo alcuni minuto ne ebbi uno: -Proviamo ad aspettare che
il prete chiuda la chiesa, noi ci nasconderemo da qualche
65
parte e una volta chiusi dentro potremo cercare la chiave,
magari è nella sacrestia-.
-E se poi rimaniamo veramente chiusi dentro?- domandò
Abdullah.
–Beh, il prete chiuderà per una o due ore al massimo, e la
riaprirà per la messa delle 20.30.
–Sei sicuro che ci sia la messa alle otto e mezza?-
-Sì, l’ho letto in bacheca poco fa-.
-Ci tocca rischiare-. disse Tindy.
–Bene-, fece Randolph, -cerchiamo un nascondiglio e incro-
ciamo le dita-.
Senza farci vedere entrammo in una delle stanzine della
chiesa e attendemmo che il prete se ne andasse, l’attesa fu
snervante ma, per fortuna, breve, dopo venti minuti il prete,
uscite le donne, chiuse la porta principale e poi la sacrestia,
lasciandoci soli nel tempio.
Una volta sicuri che fossimo soli uscimmo dalla stanza e ci
dirigemmo verso la sacrestia, chiusa verso l’esterno, ma non
verso l’interno, dove, tra l’altro, la porta era spalancata.
Cercammo nei cassetti e negli armadi, sulla scrivania e nei
comodini, c’erano decine di chiavi, e mentre io e Randolph
le cercavamo, passavamo i vari mazzi agli altri due che le
provavano una alla volta.
Mi sentivo un po’ come un ladro, e la fretta, con la paura di
essere scoperto avendo una giustificazione surreale, non fa-
ceva che farmi innervosire ancora di più, e la chiave non si
trovava. Trovammo però, quasi per caso, un doppio fondo
nell’armadio, Randolph sollevò il pannello e da lì presi un
piccolo cofanetto di metallo nero con uno strano simbolo
inciso sopra, lo aprii e dentro vi trovai una chiave, sicuri che
fosse quella giusta la passai ad Abdul che corse a provarla e,
meraviglia delle meraviglie, aprì la porta.
In fretta e furia risistemammo tutto, e riordinammo, nel caso
il prete tornasse in anticipo.
66
Quindi, emozionati e trepidanti, scendemmo le scale che
portavano in una specie di cripta, sotto c’era una sala illumi-
nata da centinaia e centinaia di candele, disseminate ovun-
que, ma, ciò che più ci colpì e ci riempì il cuore di meravi-
glia e allo stesso tempo di paura, era la sterminata collezioni
di libri e manoscritti archiviati in innumerevoli scaffali.
Alla prima occhiata intuimmo che i libri erano suddivisi per
epoche, dal periodo paleocristiano fino ad oggi, girammo un
poco in quella sterminata biblioteca, presi un manoscritto a
caso nella sezione del diciannovesimo secolo e mi trovai tra
le mani il mefistofelico Unasprechlichen Kulten (Tr. dal te-
desco “Culti Innominabili“), scritto da Friedrich Wilhelm
Von Juntz attorno al 1840, conosciuto ai più come il Libro
Nero, per quel che ne sapessi ne esistevano solo cinque o sei
copie.
Il libro era autentico, era impossibile che si trattasse di un
falso, era impossibile che tutta quella biblioteca facesse solo
parte del gioco, centinaia e centinaia di libri proibiti, volumi
di magia nera e stregoneria, libri blasfemi e diabolici, eretici
e sovversivi, libri scritti a mano in ere antecedenti alla nostra
e rilegati con copertine di pelle ormai consunte dal tempo e
dalla polvere dei secoli, incominciavo a credere anch’io,
come il Tindy, che forse non stavamo semplicemente gio-
cando…
In quella vastissima biblioteca trovai altri libri eretici passati
alla storia come Conclusiones philosophiae e Cabalisticae
et theologicae di Pico della Mirandola, dove alcune sue tesi
furono condannate nel 1486 dalla Chiesa durante il papato di
Innocenzo VIII; il De occulta philosophia di Heinrich Cor-
nelius Agrippa von Nettesheim, ed antichissime opere di
Taziano (il Discorso ai Greci e il Diatessaron); di Eunomio,
la professione di fede ad Theodosium che scrisse nel 383 e
la serie dei Lapsi di Novaziano (Libellatici, Sacrificati, Turi-
ficati, Traditores). C’erano poi alcuni libri sull’inquisizione
67
delle streghe come il Memorable Providences di padre In-
crease Mather, famoso inquisitore puritano, ed altri libri del
genere come Fortalicium fidei, scritto nel 1459 dal france-
scano Alfonso de Spina, Flagellum Haereticorum Fascina-
riorum del domenicano Nicholas Jacquier nel 1458, ma so-
prattutto il famigerato Malleus Maleficarum (martello delle
streghe), scritto in Germania dai domenicani Heinrich Krä-
mer e Jakob Sprenger intorno al 1485.
Mentre anche gli altri erano stupefatti e cercavano di spie-
garsi, come me, tutto questo, il Tindy trovò, tra gli scaffali
impolverati, gli oggetti della nostra ricerca, i libri di Ther-
mogorothus e di Legione.
Sbalorditi ed emozionati seguimmo il nostro amico che posò
i libri su uno dei tavoli di legno presenti nella sala, oltre ai
due libri sopraccitati c’era anche la versione italiana di Ca-
gliostro del “Vobiscum Satanas”, il che ci avrebbe alleggeri-
to il lavoro.
Demmo una veloce occhiata ai tre libri, le pagine erano in-
giallite e consunte, ciononostante traspiravano una antichità
diabolica che ci attanagliò lo stomaco: il libro di Thermogo-
rothus era piuttosto lungo, suddiviso in due parti: la prima
riguardava i suoi studi alchemici e i dipinti, la seconda pro-
babilmente riti e formule di magia nera, poiché vi erano di-
segnati segni mistici e strane litanie in qualche lingua morta
che neppure Cagliostro era riuscito a tradurre, e, a seguire,
delle descrizioni di luoghi e città irreali, raggiungibili, cito
attraverso 18 immense gallerie principali e infinite gallerie
secondarie, tunnel contorti, budelli ripiegati su se stessi,
gallerie che raggiungono i più remoti angoli dell'universo o
dimenticate pieghe del tempo che collegano il cielo e la ter-
ra o spalancano le porte dell'inferno6, la cosa inquietante
erano le città e i luoghi descritti dall’alchimista, fra le tante:
Baharna, Celephais, Inganok e il Deserto del Leng, posti
immaginari teatro di diversi racconti di Lovecraft ambientati
68
nel Reame del Sogno.
Tutto aveva ora un senso, probabilmente negli studi di
Thermogorothus avremmo trovato la chiave per il Reame
del Sogno, molto lovecraftiana come idea, senza contare che
diversi libri in quella biblioteca erano frutto solo della fanta-
sia dello scrittore, ma non quello che avevamo in mano, non
il Vobiscum Satanas, e nemmeno la Grande Danse Maca-
bre, libri tra l’altro, di cui avevamo trovato notizia su libri
storici.
Ci guardammo negli occhi: non sapevamo cosa fare: se sol-
levarci o spaventarci terribilmente. Mettemmo i tre libri nel-
lo zaino del Tindy, decisi a lasciare in fretta quel luogo, ma
qualcosa attirò la mia attenzione, uno strano suono, che pro-
veniva dal fondo della sala e, per la prima volta
nell’avventura, presi in mano la pistola, nella speranza che
facesse il suo dovere.
–Che c’è?- mi domandò Randolph.
–Ho sentito qualcosa, là-. gli altri si ammutolirono, non sen-
tii più nulla, ma mi avvicinai lo stesso nella zona più in om-
bra dell’intera sala, seguito a ruota dai miei amici.
Avevo il cuore che batteva a mille, sapevo di dover correre
via, di scappare da quel luogo infernale posto sotto una basi-
lica devota a Nostro Signore, ma non ci riuscivo.
Dopo alcuni passi trovammo la fonte di quel suono, era
l’acqua che scorreva sopra la nostra testa, tirammo un sospi-
ro di sollievo.
Chiudemmo la porta e risistemammo la chiave nel cofanetto
e poi nel doppiofondo, alcuni minuti più tardi il prete tornò
ad aprire la basilica, noi sgattaiolammo fuori dalla solita
stanza e tornammo all’aria aperta, provati da tutta quella
tensione dataci dalle incredibili quanto misteriose scoperte
che avevamo fatto.
Quando uscimmo dalla chiesa aveva cominciato a piovere,
prevedendo ciò ci eravamo portati ombrello e k-way, il
69
Tindy si assicurò che i libri fossero in un sacchetto di plasti-
ca ben chiuso e dentro allo zaino, un po’ d’acqua avrebbe
potuto rovinare le pagine vecchie e consunte dei libri.
Dei tuoni crepitavano nel cielo, e i lampi illuminavano per
una frazione di istante tutta la città.
-Sarà meglio andarsene-, suggerì Abdul, -comincia a piovere
di brutto-.
-Che tiro hai fatto per capirlo?- lo schernì Tindiana mentre
io già correvo con il cappuccio alzato del mio k-way verso
le zone di marciapiede riparate dai balconi sovrastanti.
–Allora!- li chiamai, -Vi muovete?-
Mentre i miei amici mi raggiungevano io li precedevo cam-
minando lungo quel viottolo limitrofo al Naviglio, la cui ac-
qua ora era tempestata dalla pioggia incessante.
In breve tempo arrivammo alla metropolitana e da lì fino a
casa, dopo più di mezz’ora passata sul treno che passava sot-
to la città fino a Crescenzago, dopodiché la metrò viaggiava
in superficie, attraverso la periferia di Milano prima e
l’hinterland dopo, e dai finestrini potevamo vedere le luci
della città che si allontanano mentre la pioggia cadeva senza
sosta.
A Borgo sforza la pioggia era meno forte, cadeva fine fine,
ma l’acqua del nostro fangoso fiume era piuttosto mossa,
erano ormai le nove e mezza di sera e decidemmo di divi-
derci.
-Io devo andare dalla donna-, fece Randolph, -e sono già in
ritardo. Ci becchiamo domattina, andiamo alla biblioteca,
ricordatevi i libri-.
-Certo-. rispose Tindiana.
Arrivammo fin sotto casa di Randolph e poi ci lasciammo.
-Che fai tu, torni a casa?- mi chiese Tindiana.
-Vado a riascoltarmi Brave New World, continuiamo doma-
ni, e tu sta attento a quei libri-. gli risposi.
E così ci separammo definitivamente tutti e tre, dandoci ap-
70
puntamento al mattino dopo, anche se quella notte dormim-
mo tutti con un occhio aperto.
71
6. I LIBRI
Mi svegliai presto quella mattina, aveva smesso di piovere,
ma aveva tuonato tutta la notte, ero trepidante di scoprire il
segreto di quei libri, il mistero s’infittiva sempre più ma noi
piano piano lo stavamo scoprendo, e forse era questa la cosa
che mi preoccupava più di ogni altra cosa.
In tutti i GdR ci sono sempre dei nemici da sconfiggere, ed
una cosa è farlo con una scheda, una matita e dei dadi da
lanciare, ed un'altra e con una pistola, sempre se avremmo
dovuto combattere a quel modo, ma tutto lo lasciava presa-
gire.
Presi in mano la pistola a tamburo, sembrava proprio vera,
persino i proiettili lo sembravano, anche se, a dir la verità, io
non ne avevo mai visti di veri se non in tv.
Mi vestii velocemente indossando la fondina ascellare sotto
al gilet, presi lo zaino, salutai mia madre e poi uscii di casa,
ma sulla porta ella mi fermò: -Avrei un favore da chiederti-.
-Vado di fretta, mà-.
-E’ per il 50° della ricostruzione del santuario, mi hanno da-
to un cd-rom con le foto e le raffigurazione del santuario o-
riginale, dovresti inserirmele sul computer sotto le didasca-
lie-.
-Ok, lasciami il cd sulla scrivania, ci penso quando torno-.
-Grazie, buona giornata-.
-Ciao-.
Mi ritrovai con gli altri alla metropolitana, anche loro ave-
vano dormito poco quella notte, ma ognuno di noi non ve-
deva l’ora di aprire quei vecchi ed impolverati libri.
Rieccoci così alla biblioteca di Brera, al riparo da occhi in-
discreti (ma non dal Custode, credo), cercammo di studiare
libri e dipinti all’unisono, certi che erano collegati in qual-
che maniera.
Per prima cosa guardammo la versione di Cagliostro, tradot-
ta dal latino in italiano arcaico.
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Diversi erano i punti salienti:
“[…] Le leggende di molti popoli narrano di una fitta rete di
tunnel che collegano i luoghi più remoti, superando monta-
gne e oceani, di lunghissimi passaggi come quello che per-
mette al Dalai Lama di raggiungere in pochi istanti i grandi
templi in sud America o certe valli innevate della Prussia
del nord, di una sorta di rete di comunicazione sotterranea
che attraversa l’Europa, lungo la quale sono stati costruiti
edifici sacri o scavate sepolture.
Dal mio illustre compagno di studi conosciuto col nome di
Legione ho appurato che esistono diciotto immense gallerie
generali e infinite gallerie secondarie, simili a una rete di
vene e capillari.
Tunnel contorti, budelli ripiegati su se stessi come gigante-
schi anelli di Moebius tetradimensionali, che uniscono
l’isola di Pasqua al deserto dei Gobi, Londra a Xanadu, Pa-
rigi al Polo Sud. Gallerie che raggiungono i più remoti an-
goli dell’universo o dimenticate pieghe del tempo, che col-
legano il cielo e la terra o spalancano le porte dell’inferno.
Ero pur’io a conoscenza di codeste leggende, seppure non
in tal maniera, poiché io sapevo che le gallerie ivi sopra
menzionate non esistono sul piano materiale ma sono altresì
una rappresentazione allegorica di certe correnti di natura
sconosciuta che percorrono il sottosuolo.
Ciò che io però non sapea è che una serie di codesti tunnel
esiste in realtà, collegando i punti più remoti del pianeta, e
che un’altra serie esiste in una forma metafisica, in attesa
che sia attivata. Anticipo ora ciò che più avanti tratterò con
maggiore dettaglio: per prima cosa è necessario trovare un
punto internodale, ovvero uno dei punti in cui le principali
gallerie si incrociano e, individuato il luogo, è necessario
celebrare un rito sacrilego, nel quale, all’interno di una
stella a cinque punte si reciti una formula impronunciabile
stringendo nella mano un antichissimo artefatto di proprietà
73
di una stirpe di Faraoni, tale artefatto è conosciuto col no-
me di Vetro del Leng. […]” 7
Quel nome rievocato dalle pagine antiche di quel manoscrit-
to blasfemo ci fece balzare il cuore in gola, benché sapessi-
mo che il Vetro del Leng fosse solo un oggetto inesistente,
inventato, frutto della fantasia di un grandissimo scrittore
quale fu Lovecraft, il dubbio ci attanagliò.
Questo vetro è una lastra ovale di vetro opaco che la tradi-
zione vuole che sia giunta dal deserto del Leng, il cui orrore
è così grande che non può essere descritto con parole uma-
ne.
-Questa è la prova che tutta una finzione-, disse Randolph -
un libro non può accennare al Vetro del Leng, perché lo ha
inventato Lovecraft centocinquant’anni dopo-.
-Mai avuto dubbi-. sostenne Abdul, mentre Tindiana non era
per nulla convinto, anzi, quella scoperta lo fece più sicuro
nel verso opposto.
–Io invece sono del parere contrario-.
-Tindy, ma come diavolo fai a dire una cosa simile, è lam-
pante che è tutto un gioco di ruolo, come in effetti credeva-
mo che fosse!- esclamò Randolph, terrorizzato forse dal fat-
to che il nostro amico avrebbe potuto renderlo più insicuro
di quanto già non fosse.
–È un po’ che ci sto pensando-, spiegò Tindiana, -e ora che
abbiamo trovato il libro e letto alcune pagine ho incomincia-
to a fare alcune associazioni di idee: come sai Lovecraft fin
da piccolo leggeva libri di ogni genere e di ogni epoca nella
smisurata libreria del nonno, e che sin da piccolo aveva sof-
ferto di atroci emicranie, nonché di strane manie a dir poco
folli, se a questo aggiungiamo che sia il padre che la madre
sono morti in manicomio o comunque andando fuori di mat-
to, io non ritengo impossibile che nella suddetta libreria fos-
se presente una copia in inglese del Vobiscum Satanas o,
perché no, della Grande Danse Macabre, dal quale poi Lo-
74
vecraft ha ripreso i temi e i luoghi descritti dai due alchimi-
sti: lo Sconosciuto Kadath, l’Altopiano del Leng, Baharna,
Ulthar e così via, più altri argomenti tanto inquietanti ed i-
nenarrabili che hanno reso folli i genitori di Lovecraft e poi
lui stesso-.
-È una teoria a dir poco fantasiosa-, rispose Randolph , -non
credi?-
-Ma pur sempre una teoria. Tu che dici?-
Tindiana si era rivolto a me: -Io non so che dire…- ero in
effetti piuttosto confuso, -di fronte a queste cose vorrei tanto
crederci, ma mi risulta impossibile farlo; andiamo, questo
vuol dire credere nell’esistenza dei Grandi Antichi, del Ne-
cronomicon e del testo di R’Lyeh-.
-Io ci credo-.
-Mai avuto dubbi anche su questo-. aggiunse Abdul.
–Beh-, aggiunsi, -se ci crediate o no il gioco sta facendo
comunque il suo effetto, ed è questo ciò che desideravamo
no? Per cui direi di andare avanti, questa storia sta incomin-
ciando a prendermi-.
Ci dividemmo il lavoro così: io mi occupai dei dipinti e del-
la mappa che avevamo ricavato, Tindy del Vobiscum Sata-
nas e gli altri due, più Randolph che Abdul, della Grande
Danse Macabre.
Non so dire quanto tempo passammo tra i banchi della bi-
blioteca, prendendo appunti ad ogni scoperta che facevamo,
mentre scoprivamo sempre più un terribile quanto inquietan-
te segreto, che proveniva dagli abissi del tempo, eoni di
tempo addietro, quando la prima cellula di vita ancora non si
era formata, quando, secondo il Necronomicon, sul nostro
pianeta vivevano forme di vita spaziali denominati sempli-
cemente Gli Antichi, ai quali si attribuisce la scintilla per la
vita terrestre, per errore o divertimento.
I tre quadri, come immaginavo, contenevano un terribile se-
greto, un segreto ben nascosto, che eravamo riusciti a trova-
75
re solo grazie alla tecnologia moderna e dunque impossibile
per la gente del XVIII secolo, qui di seguito riporto la parte
più interessante del capitolo a riguardo, davvero inquietante:
“[…] Dopo anni di studi e ricerche, sempre in viaggio tra
corti e monasteri, rifugi di montagna e fattorie, tra i bassi-
fondi di Varsavia e quelli di Castiglia, tra gli scantinati del-
le botteghe a Parigi e le segrete di Praga, in fuga dalla San-
ta Inquisizione e da chissà cos’altro, io e il mio compagno
Legione siamo riusciti a trovare i punti internodali delle di-
ciotto gallerie generali che attraversano il nostro pianeta,
metà dei quali si trovano proprio qui in Europa, ben custo-
diti dal sigillo della Santa Sede. […] La Chiesa, venuta
anch’essa a conoscenza dell’esistenza di queste gallerie già
in tempi remoti, ha cercato di chiudere gli accessi costruen-
do su di essi le sue più grandi basiliche e cattedrali, cosa
che ancora non gli è riuscita di fare nel resto del mondo ci-
vilizzato.
[…] Su suggerimento del mio compagno di studi Legione,
ho sfruttato le mie capacità, nonché la mia grande passione
per la pittura e, dopo avere disegnato su una pergamena i
punti internodali d’Europa, l’ho nascosta, attraverso un
particolare tecnica di mia invenzione, in tre dipinti che sicu-
ramente la Santa Inquisizione metterà all’indice e per que-
sto non li brucerà, come dice di fare, ma li conserverà per-
ché siano studiati e fatti oggetto di ricerche sull’origine del
male, perché è questo ciò che dipingerò, il male:
l’Arlecchino, figura ai più conosciuta come burlonesca e
infantile, mentre è invece la rappresentazione di un demone
di cui parlano le leggende normanne, spietato e sanguina-
rio; la Crocifissione di San Pietro, crocifisso a testa in giù il
santo ha dato l’imprinting del simbolo anticristiano per ec-
cellenza, la croce ribaltata; Valpurga, insieme ad Ognissan-
ti è la notte dei diavoli e delle streghe, dove l’inferno apre le
porte per mostrarsi al mondo […].” 8
76
Di scatto mi alzai dalla sedia e mi diressi verso l’ala della
vastissima biblioteca riguardante la geografia e gli atlanti
geografici, tra gli scaffali impolverati trovai, dopo aver pas-
sato in fretta alcuni libri, quello che stavo cercando, una
mappa abbastanza grande dell’Europa, velocemente andai a
fotocopiarla per poi scannerizzarla meglio.
Sedutomi quindi al computer confrontai la mappa
dell’Europa e quella disegnata dall’alchimista, notai che al-
cuni confini potevano combaciare e così sistemai col pro-
gramma le dimensioni della mappa appena scannerizzata, in
modo da trovare il giusto assetto con quella dei dipinti.
Dopo non poca fatica trovai le giuste proporzioni e riuscii a
sovrapporre la pianta ricavata dai dipinti con quella
dell’Atlante e con somma gioia scoprii che coincideva con
l’Europa e parte di Africa ed Asia, precisamente la zona che
andava dalla Scandinavia al Nord Africa da nord a sud, e
dall’Atlantico all’Asia Minore da est ad ovest.
C’erano una dozzina di croci disegnate sulla mappa, ognuna
in corrispondenza di una città, in Italia ce n’era una proprio
all’altezza di Milano, le croci erano collegate l’un l’altra da
linee più o meno fitte che proseguivano anche negli altri
continenti non rappresentati. Un altro tassello del puzzle era
stato risolto, ora non mi rimaneva che tradurre quei simboli
e il gioco era fatto.
Tornai dai miei amici, anch’essi assorti nello studio, ripresi
il Vobiscum Satanas in mano e lessi rapidamente il capitolo
riguardante i quadri: “La mappa che ho accuratamente na-
scosto nei miei tre dipinti indica dodici dei diciotto punti
internodali dei tunnel presenti nel nostro pianeta, e i loro
congiungimenti.[…]Ognuno di essi è stato marchiato con
una croce, poiché la Chiesa Romana, già informata della
presenza di questi varchi, ha cercato di sigillarli ponendovi
sopra le proprie Basiliche, Santuari e Cattedrali.[…]
Qui di seguito ho posto una legenda: ogni croce segnata
77
sulla mappa ha posto vicino ad essa un numero, tale numero
è riportato su queste pagine assieme al nome della città e
della chiesa posta a sigillo del varco. […]” 9 Scorsi velo-
cemente la legenda per andare a leggere il numero a cui fa-
ceva riferimento la croce su Milano: “7 – Mediolanum, Ba-
slica S. Ambrosivs.[…]”
Il varco era proprio qua vicino, sotto la Basilica di
Sant’Ambrogio, e nessuno, ad esclusione della Confraternita
del Sonno probabilmente, ne era a conoscenza.
Anche i miei compagni stavano facendo incredibili quanto
terrificanti scoperte: dal libro di Legione, oltre a simboli ar-
cani, celebrazioni di riti sacrileghi e blasfemi c’era un capi-
tolo molto interessante che si allacciava con quanto scoperto
dal Vobiscum Satanas, il capitolo si intitolava “Dei Cunicoli
Subterranei”, e recitava così: Io Legione, depositario della
sapienza antiqua et servo di colui il cui nome porta cono-
scenza, tramando questo affinché il vero Verbo sia per sem-
pre rimembrato. Di questo io fui testimone oculare e per sei
volte sei ringraziai Loro, ecco ciò che ai miei occhi fu mo-
strato.
Nelle profondità della terra, sotto le nazioni delli homini et
sotto le superfici delli mari, dove l’antiqua sapienza attende
da immemori secoli i tempi del Risveglio, dove la Terra
stessa vive et pulsa, come in corpo di animale vivente et
pianta, si trovano vene et tubi che recano sanguine et linfe
che danno nutrimento et vita a ogni minuscola parte
dell’Essere, sic dal Cuore del nostro astro, singolo fra infi-
niti, cunicoli et gallerie portano liquidi et linfe nei vari luo-
ghi del pianeta, a volte questi condotti giungono in superfi-
cie e simili a ferite spargono intorno il loro contenuto fisico,
al quale si è solito dare il nome di lava, mentre quelli sono
chiamati vulcani. […]
Vi sono anche altri condotti, destinati a fluidi e correnti in-
corporee, che possono essere percepite non con i sensi fisi-
78
ci, sebbene in alcuni casi possa essere visto sotto forma di
piccoli lampi, ma con quello che alcuni chiamano Potere o
Spirito.
Codesti cunicoli attraversano ogni parte del globo terrac-
queo et in taluni punti può avvenire che due o più di codesti
si incontrino, e scaturendo in superficie, rendono partico-
larmente sensibile il loco al magnetismo sia di tipo animale
che di tipo minerale. Da sempre li homini hanno saputo ri-
conoscere codesti punti d’incontro e fin dai tempi antichi,
ergendovi sopra templi e luoghi di culto. Le Piramidi in E-
gitto, il Tempio di Salomone a GeruSamme, la grande torre
di Babele, l’Oracolo della Pittia, il Gran Cerchio di pietre
in Bretagna, i templi di Ball e Tanit sulle coste africane, gli
altari consacrati al Dio-Serpente nelle americhe, la grande
collina sacra nell’isola australe* : tutti questi sorgono su
punti d’incontro. Dopo che l’eresia del nazareno prevalse, i
servi di Roma cercarono di impossessarsi di questi luoghi o
scacciandone i culti e maledicendone il nome o erigendo
chiese e cattedrali.
In pochi di questi luoghi, sfuggiti al controllo dei cristiani,
si continuarono a praticare gli Antichi Culti. […]
-Aspetta un momento-, disse Tindiana interrompendo la let-
tura di Randolph, -che diavolo è la grande collina sacra
dell’isola australe?-
-Non so, forse l’ Ayers Rock, non credi?-
-Sì, può darsi, ma il continente australe fu scoperto nel ’600,
con i viaggi di esplorazione dell’olandese Tasman, e già
prima era ipotizzata la presenza di una “grande isola austra-
le”, grazie alle testimonianze ed agli avvistamenti di altri
navigatori europei. In ogni caso il libro fu redatto alcuni de-
cenni prima dalla scoperta del Continente, come diavolo po-
teva Legione conoscere il luogo?-
-Ti sei fregato dal solo amico, questa è una prova ulteriore
del fatto che questo è solo un gioco-.
79
-Piantatela con queste boiate e andiamo avanti-. dissi stanca-
to da quelle inutili discussioni.
Due sono le cose che molti ignorano: già molto prima che
l’homo si ergesse orgoglioso sulli altri animali, creandosi
vacui et falsi dei o conservasse un ricordo distorto di quelli
veri, Altri, epoche addietro, costruirono templi et altari ai
Veri Dei, quando i cieli cambiarono, così dice il sacro testo
e così io vidi grazie al Cristallo, le città di nero basalto
sprofondarono negli abissi del mare, ma i loro abitanti sopi-
ti da un sonno che è morte ma al tempo stesso vita, attendo-
no che gli astri siano nuovamente favorevoli per ritornare.
Altro è che lungo queste correnti di Potere, quando il mon-
do era ancora giovine furono scavate delle gallerie, dai ser-
vitori degli Dei, queste si protendono per miglia e miglia,
nelle profondità abissali della terra, collegando fra loro i
luoghi d’incontro.
In alcuni di essi sono stati aperti dei passaggi che permetto-
no di accedere ai cunicoli, consentendo a chi conosce i per-
corsi e le figure esatte di raggiungere in poco tempo luoghi
distanti mesi di viaggio, ma a chi questa Conoscenza è ne-
gata si avveda bene a non avventurarsi per queste vie: alcu-
ne sono trappole et ivi vi dimorano cose oscure e segrete,
che non sopportando la luce del giorno vi si rifugiano et ne
sono i guardiani ed e meglio che non siano disturbate prima
dei Tempi. Alcuni fra i cunicoli si aprono su mondi estranei
e lontani, dove gli Dei Antichi sono ancora presenti o ne
viene onorata sei volte sei la memoria.
Se vorrai giungere in queste lande dovrai cercare i portali
alla cui entrata è inciso il Sacro Simbolo, attraversandolo
pronuncia le parole: Ph’ngui mglw’naph Cthulhu R’lyeah
wgah’ngl fthagn!! Allora le porte degli abissi si apriranno e
potrai attraversare senza ombra di timore nel cuore, ma se
attraverserai un portale su cui è stato inciso il Falso Sigillo,
potrai solo invocare una pietosa e rapida morte dell’anima,
80
poiché, un destino atroce e inenarrabile è stato destinato ai
profanatori ed ai blasfemi che non conoscono la Vera Sa-
pienza.
-Beh, a quel che sembra abbiamo fatto una interessante sco-
perta-. commentai.
-In effetti avevo già sentito parlare di questa leggenda legata
a condotti e tunnel che attraversano la terra, ma non pensavo
certo a questo-. disse Randolph.
-Cerchiamo di fare il punto di quanto abbiamo scoperto-,
riprese Tindiana, -il Vobiscum Satanas parla in alcuni capi-
toli di questi tunnel che attraversano la Terra, ma senza en-
trare nel particolare, mentre La Grande Danse Macabre ri-
prendendo questi studi, parla dei tunnel, alcuni fisici, scavati
o ricavati da caverne naturali, che collegano gli angoli più
remoti del nostro pianeta, e altri extradimensionali, in grado
di condurre, appunto, in un’altra dimensione, e per aprire
questi tunnel è necessario innanzitutto conoscere il luogo
esatto di entrata, e qui è necessario essere in possesso di un
particolare oggetto ed eseguire un rito blasfemo disegnando
complesse figure sul pavimento e pronunciando frasi indici-
bili ed incomprensibili. Giusto?- annuimmo, -Dovremmo
però conoscere l’esatta ubicazione di questi luoghi, altrimen-
ti è inutile-.
-Che scemo-, dissi io ricordandomi della mia scoperta, -ero
così preso ad ascoltarvi che non vi ho detto cosa ho scoper-
to: ho la mappa delle 18 gallerie e conosco tutti i punti inter-
nodali, ed uno è proprio qui a Milano, sotto Sant’Ambrogio!
Era tutto nascosto dentro i dipinti, eccezionale vero?-
I miei amici erano a bocca aperta.
-Si potrebbe dire che abbiamo chiuso il caso-. disse Abdul, -
A questo punto abbiamo abbastanza informazioni da dare
alla tua cliente, e così potremmo chiudere la partita senza
aspettare che ci succeda qualcosa-.
-Ha ragione-, riprese Randolph, -ma non vedo perché fer-
81
marci proprio sul più bello, abbiamo fatto una scoperta fan-
tastica; gioco di ruolo o meno è probabile che queste leg-
gende siano vere, e la cosa mi eccita da matti-.
-Anche a me-, ribatté Tindiana, -ma proseguirei comunque
con i piedi per terra, ricordati che ci sono in giro tanti nemici
ad osservarci, non solo il Custode-.
-Lo so-, continuò diventando improvvisamente serio Ran-
dolph, -me ne sono accorto-.
-Torniamocene a casa-, suggerii, -per oggi ne abbiamo avuto
abbastanza-.
D’accordo con me, mettemmo via la roba e uscimmo dalla
biblioteca.
Appena fuori dall’edificio notammo una certa confusione
proveniente dall’ingresso della pinacoteca, incuriositi ci av-
vicinammo, alcuni carabinieri tenevano lontana la folla di
curiosi, sembrava stessero portando via un paio di uomini,
due stranieri, sfortunatamente nessuno seppe dirci cosa era
successo.
92
7. PAURA E FOLLIA
Preso com’ero da questa affascinante, ma sempre più inquie-
tante, avventura, non mi ero accorto che attorno a noi qual-
cosa di tremendo stava accadendo, me ne accorsi la mattina
seguente, ascoltando il giornale radio: il servizio dava la no-
tizia di un altro efferato episodio che aveva i giovani come
protagonisti, un ragazzo, uno studente universitario di Ro-
ma, si era suicidato, il motivo era ancora sconosciuto, anche
perché tutti, parenti ed amici, lo ritraevano come una perso-
na mite, e tranquilla.
La notizia non mi avrebbe colpito più di tanto se non fosse
stato la modalità del suicidio, talmente orrenda da far rab-
brividire un appassionato di film horror, e soprattutto che
quel suicidio seguiva la morte di un amico del suicida, al
momento l’unica spiegazione di quell’insano gesto.
Immediatamente uscii di casa per andare a prendere il gior-
nale mentre mia madre stava ancora preparando la colazio-
ne, e non persi tempo ad acquistare e leggere l’articolo ine-
rente all’episodio:
Roberto A. si è tolto la vita in una maniera talmente orribile
che fa pensare ad un momento di follia del ragazzo, per mo-
tivi non ancora chiari. Certo è che il ragazzo era rimasto
molto colpito dalla morte, avvenuta due giorni fa, del suo
amico, Francesco T., morte di origine violenta, alla quale la
polizia non ha saputo dare ancora una parziale ricostruzio-
ne. […]
La polizia ritiene che le due morti siano legate, poiché ci
sono diversi particolari che le legano: 1) Le due morti sono
state entrambe terribili e misteriose: Francesco è stato tro-
vato riverso sul pavimento della sua camera, la gola squar-
ciata da quelli che sembrerebbero artigli, ma che la polizia
ritiene possa essere un nuovo tipo di coltello, con porte e
finestre chiuse dall’interno e senza alcuna traccia di im-
pronte o altro, Roberto, dopo avere urlato di terrore, secon-
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do la deposizione del fratello, ha preso un rasoio e si è ta-
gliato la gola; 2) Roberto prima di uccidersi stava lavoran-
do a degli appunti appartenenti all’amico ucciso; 3) I due
erano appassionati di letteratura d’orrore e nelle loro stan-
ze sono stati trovati libri e riviste inerenti a streghe, magia
nera e culti diabolici; 4) Infine, ciò su cui la polizia sta la-
vorando, ci sono le testimonianze di alcuni amici che so-
stengono che i due da alcuni giorni asserivano di essere en-
trati a far parte di una strana avventura d’orrore con altre
persone che non conoscevano.
L’articolo proseguiva poi con una ammonimento all’intera
società adulta, a causa della quale ai giovani di adesso non
basta più morire lungo le strade per l’alta velocità o di altri
sballi come l’alcol, la droga, l’ecstasy e altro ancora, ma
succede che impazziscono e trucidano una povera suora nel
nome diavolo, i genitori, la fidanzata, la migliore amica o sé
stessi, senza alcuna paura delle conseguenza, con una luci-
dità folle e inquietante che ci fa rabbrividire e alla quale
non riusciamo più mettere freno.
Il giornalista aggiungeva inoltre che anche altri paesi ci
fanno tristemente compagnia con simili delitti da parte dei
giovani, dalla Spagna alla Polonia, dalla Norvegia alla
Grecia, i giovani fanno parlare di sé in diverse circostanze
per omicidi o suicidi dettati da un’insana follia che nessuno
si spiega.
Le mani mi tremavano mentre leggevo quell’articolo, per
non allarmare mia madre presi subito le mie cose e andai
alla stazione della metropolitana guardandomi costantemen-
te attorno, sicuro di essere osservato dal Custode che ora più
che mai ritenevo esistesse veramente, che forse tutto non era
più un gioco di ruolo, ma qualcosa di molto più reale, e ciò
mi spaventava molto.
L’idea di Abdul di fermarsi poteva essere dapprima la solu-
zione migliore, ma io non ne ero convinto, l’uomo
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dell’Arkham ci aveva avvertiti di non interrompere
l’avventura di punto in bianco, perché ne avremmo pagato le
conseguenze… facevo quelle considerazioni come se si trat-
tasse di una cosa reale, ma lo era? …o no?
Ero confuso, terribilmente confuso, tutto era così irreale e
pazzesco che sembrava impossibile che stesse accadendo,
credere che tutto fosse vero, e diverse cose lo facevano sup-
porre, significava anche credere nell’esistenza dei Grande
Antichi, di Cthulhu, di Nyarlathotep e tutte le altre divinità
inventate da Lovecraft, incominciavo a dubitare del fatto che
le avesse davvero create lui.
Arrivai in università presto come al solito, c’era già in giro
un gran numero di studenti che girovagavano tra i cortili, i
chiostri e i vari corridoi dell’università, stavo ancora aspet-
tando i miei amici quando tra i colonnati echeggiò un urlo e
un successivo caos di voci e grida con tutti che correvano in
direzione della facoltà di storia, mi mossi anch’io veloce-
mente e arrivai dove un gruppo di studenti sempre più nu-
meroso faceva cerchio ad altri che cercavano di soccorrere
un terzo, mentre c’era chi sbraitava di chiamare
un’ambulanza, chi di fare largo, ed altri che, guardando in
alto, dove c’era una finestra aperta, cercavano di ricostruire
la scena.
Mi feci avanti cercando di vedere il corpo, purtroppo esani-
me, del ragazzo.
Tirai fuori il (falso) tesserino dicendo di essere della polizia
e mi feci avanti, nessuno ebbe da obiettare, il ragazzo aveva
la testa aperta in due, il sangue era tutto il pavimento del
cortile, mentre gli sfilavo la giacca con la scusa di coprirgli
il volto, gli frugai nelle tasche e il cuore mi mancò di un
colpo quando mi ritrovai tra le mani la carta di identità che
aveva dato anche a me il tizio dell’Arkham, anche lui era del
gioco.
Sentivo che stavano per arrivare i soccorsi e la polizia, così
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mi alzai e me andai, dicendo che stavano arrivando i para-
medici.
Non fu necessario fare domande, nelle ore seguenti non si
parlò d’altro: quel ragazzo, secondo i testimoni oculari, si
sarebbe messo ad urlare improvvisamente in aula, mentre
era seduto al banco, e quindi si è gettato già dalla finestra.
-Ho paura che siamo finiti in una storia più grande di noi-.
dissi ai miei compari quando ci incontrammo.
–In effetti incominciano ad esserci troppe coincidenze-,
ammise Randolph, -ma deve pur esserci una spiegazione-.
-Certo che c’è-, rispose Tindy pulendosi chi occhiali, -quel
ragazzo è morto perché doveva morire: o perché lo ha deciso
la storia o perché lo ha deciso il Custode-.
-Pianta con queste boiate!- esclamò Abdul, -È solo uno stu-
pido gioco di ruolo, ben costruito, non c’è che dire, ma pur
sempre un gioco, e noi possiamo ritirarci come e quando ci
pare-.
-Non ne sono molto sicuro, forse questi ragazzi che sono
morti hanno scoperto che non era solo un gioco e cercando
di levarsi sono impazziti-.
-Certo, sono impazziti, così!- ironizzò Abdul.
–Lo so che è difficile crederci, ma temo che sia vero-, conti-
nuò Tindy, -i quadri, i libri, la chiesa… diavolo, li hai visti
pure te, sarebbe troppo per un semplice gioco di ruolo-.
Abdul non rispose.
–Non parli perché hai paura che abbiamo ragione, non è co-
sì?- domandai.
–Non dico niente perché sono solo boiate! Sai che ti dico,
che ne ho abbastanza, io mi levo!-
-Ma non fare lo scemo-, lo redarguì Randolph, -vuoi lasciar-
ci proprio ora, sul più bello? Abbiamo scoperto l’esistenza
di quei tunnel sotto la città, io credo che almeno un’occhiata
gliela dovremmo dare, o no?-
Stavo per dire qualcosa quando lo sguardo mi cascò dietro le
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spalle di Randolph, avanti a me, dove vidi Lisa Legnani che
si guardava in giro.
–Anche questa è una bella coincidenza-. dissi alzandomi
dalla panchina, -Arrivo subito-.
Mentre mi dirigevo verso di lei mi vide e mi sorrise, io non
le restituii il sorriso, dopotutto era cominciato tutto da lei.
–Buon giorno, detective-. mi salutò stringendosi nel cappot-
to tutta infreddolita.
Accennai un saluto, la presi per un braccio e la portai in una
zona semideserta.
–Che c’è?- domandò liberandosi il braccio.
–Che c’è mi domandi? Ho appena visto morire un ragazzo,
si è buttato già di testa dal secondo piano-.
-Ho sentito-.
-E forse avrai sentito che non è l’unico ragazzo a finire ma-
le, guarda caso fanno tutti parte della nostra bella avventura-
.
-Non capisco cosa vuoi dire-.
-Sì invece che lo sai, ma che ognuno continui a recitare la
propria parte, altrimenti… non è così? -Tu non hai la mini-
ma idea di cosa stai dicendo-.
-Ah davvero? Beh, allora andiamo avanti tranquillamente,
non voglio certo che tu sia la prossima a morire per colpa
mia. Dunque: abbiamo scoperto che il quadro che tuo padre
stava restaurando era di un alchimista del 1600, un tizio ac-
cusato di stregoneria e che è morto tra le fiamme
dell’inquisizione. È uno di una terna di quadri nei quali ab-
biamo trovato una mappa nascosta, per decifrare la quale
abbiamo dovuto cercare il suo libro, messo all’indice assie-
me a quello di un compagno del nostro alchimista. Questi
libri, oltre a parlare di stregoneria e culti esoterici, parlano di
una serie di tunnel sotterranei che collegano i punti più e-
stremi del nostro pianeta nonché, attraverso dei rituali magi-
ci, altre dimensioni. Un punto internodale dove sarebbe pos-
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sibile aprire uno di questi portali è proprio sotto la basilica
di Sant’Ambrogio e credimi, sta bene dove sta-.
-Siete stati bravi, vi siete guadagnati la paga fino all’ultimo
soldo, e ora cosa farete?-
-Abbiamo intenzione di verificare che questo luogo sotto
Sant’Ambrogio esista davvero, dopo la fatica che abbiamo
fatto a scoprirlo… certo che le indagini sulla follia di tuo
padre sono ormai finite, e non puoi nemmeno fare causa al
museo perché non ne sapevano niente, mi spiace-.
-Beh, almeno mio padre è impazzito per una scoperta gran-
diosa, non è così?-
Annuii compassionevole guardando il volto enigmatico della
ragazza.
–Beh, questo è il saldo-, disse dandomi una busta contenente
sei biglietti da 50€, -le auguro buona fortuna-. presi i soldi e
la vidi andarsene senza dir nulla.
Mi ritrovai dopo con i miei amici, la situazione era sempre
più drammatica, i nostri pensieri erano molteplici, confusi e
pieni di paura, uno scenario sconvolgente si stava delinean-
do sotto i nostri occhi, e che non riuscivamo ad affrontare se
non cercando di raccogliere più notizie, più dettagli, più in-
formazioni possibili, per comprendere che cosa realmente
stavamo affrontando, se solo un ingegnoso ed articolato si-
stema di gioco e non un folle piano di qualche setta esoterica
millenaria che aspirava a chissà cosa.
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9. SOTTO LA CITTÀ
Quando ci ritrovammo discutemmo a lungo sul da farsi, se-
duti sui blocchi di pietra sparsi lungo alcuni colonnati dei
cortili interni dell’università, il cielo era grigio e minacciava
pioggia, l’atmosfera era quella lugubre e cupe degli ultimi
giorni, il tempo era veramente dannato in quelle settimane,
ma in primavera era una cosa normale.
-Che facciamo allora? Continuiamo?- domandai ai miei a-
mici.
-Sarebbe stupido non farlo-, disse Randolph, -dopo quello
che abbiamo scoperto io vorrei andare in fondo, e magari il
Custode si aspetta che facciamo proprio questo-.
-Io dico è pericoloso-, intervenne Tindiana, -proprio perché
il Custode si aspetta che noi proseguiamo dovremmo fer-
marci qui, il nostro compito è praticamente finito, ai fini del
gioco abbiamo raggiunto il nostro scopo, nessuno avrebbe
motivo di eliminarci se ci facessimo indietro-.
-Ma perché non continuare? Dopo tutto il mazzo che ci sia-
mo fatti, senza contare le botte che ho preso, non mi va di
averle buscate per niente. E poi guadagnando ulteriori punti
esperienza potremmo vincere il viaggio-. protestò Abdul.
-Io credo che Tindy pensi che sia pericoloso-, dissi, -ci sono
troppi lati misteriosi ed inquietanti in tutta questa storia, le
botte che ci siamo presi erano vere, come le cose strane che
abbiamo visto, dai libri, ai dipinti, dalle case maledette alla
biblioteca della Confraternita del Sonno, tutto troppo preci-
so, troppo elaborato, troppo reale per essere solo un gioco.
Ed io dubito di far parte ad una nuova trasmissione come
Survivor, Grande Fratello o simili. E allora perché tutto que-
sto?-
-Non lo so-, rispose scocciato Randolph, -forse una qualche
manovra commerciale, il lancio di qualche nuovo prodotto
di qualche multinazionale, oppure forse lo sfizio di un mi-
liardario eccentrico appassionato di Lovecraft che non sa più
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come divertirsi, ma cosa importa dico io? Che te ne frega?
Stiamo giocando, ci stiamo divertendo come non mai, e una
componente di rischio non fa che rendere il gioco più ecci-
tante. Io dubito categoricamente che sia tutto reale, una sorta
di messa in scena per prendersi gioco di noi-.
-Non per prendersi gioco di noi-, lo corresse Tindiana, -ma
per giocare con noi, come fossimo playmobil-.
-Credo che tu stia esagerando-, disse Abdul, -è solo
un’avventura, un gioco di ruolo, e allora giochiamo, diavo-
lo-.
-Anche la vita è un gioco-, dissi, -e puoi giocare sapendo
che puoi vincere o perdere, ma che senso a non giocarla?-
-Platone?- azzardò Randolph.
-Michel Platini-. risposi sorridendo.
-Concludiamo-, disse Tindiana, -cosa volete fare? Qualsiasi
cosa si decida io l’accetterò, visto che sembro in minoranza-
.
-Continuiamo-. si pronunciò Randolph.
-Ci sto anch’io-. gli fece eco Abdul.
Gli altri guardarono me, visto che si conosceva già la rispo-
sta di Tindiana.
-Non credo avremmo molte occasioni nella nostra vita come
questa, anche se non sono molto sicuro della mia scelta, io
dico di andare avanti-.
-Bene-, aggiunse Tindiana, -anche se mi sembra più stupidi-
tà che coraggio vengo con voi-.
-Allora è deciso-. conclusi.
201
10.INNSMOUTH E DINTORNI
Alle sei ero già sveglio, avevamo appuntamento alle otto
sotto casa mia, e l’attesa mi snervava.
Dopo alcuni giorni di tregua il mio raffreddore cronico tornò
a colpire, e mi trovai a cercare disperatamente al buio il mio
fazzoletto di stoffa che tengo sempre sotto al cuscino, e che
nella notte mi casca sempre in terra o mi si infila tra il mate-
rasso e lo schienale, in modo che riesca a trovarlo solo un
secondo dopo un tremendo starnuto.
Dovetti così rassegnarmi al fatto che quella mattina, perché
di solito il raffreddore mi dura fino all’ora di pranzo (ma va-
le come l’intera giornata), avrei dovuto combattere anche
contro il raffreddore.
Mezz’ora più tardi mi decisi ad alzarmi e a prepararmi, mi
vestii con abiti comodi e riempii lo zaino con tutto quello
che mi poteva servire, cercando però di mantenerlo abba-
stanza leggero.
Gli ultimi minuti di attesa li passai davanti alla tv in cucina,
mentre facevo colazione, finalmente arrivarono pochi minuti
alle otto, così infilai le scarpe, imbracciai lo zaino e scesi,
mentre sentivo mio padre che si alzava da letto.
Ovviamente fui il primo a scendere, faceva un freddo cane,
la brina aveva sommerso tutta l’erba del parco davanti a casa
mia, c’era anche un po’ di nebbia, ma stava diradandosi per
fortuna. Dopo poco arrivarono il Tindy, poi Randolph ed
infine Abdul, li salutai con un bello starnuto e poi con la
macchina del turco partimmo diretti verso la zona di Pt. Ge-
nova, dove stava la Darsena del Naviglio Grande, a due pas-
si dalla conca. Anche gli altri erano eccitati, nonostante lo
nascondessero, ma era normale, reale o meno che fosse
quell’avventura ci stava appassionando sempre più.
Eravamo attrezzati come meglio non potevamo con i nostri
zaini pieni di roba, tra tutti avevamo quattro torce elettriche,
una fune da 5m, quattro borracce d’acqua, un po’ di viveri,
202
un set di chiavi inglesi, cacciavite e martello, nastro adesivo,
colla, bussola, grimaldello, libri di e su Lovecraft, il manua-
le del GdR della Stratelibri, una piccola valigetta del pronto
soccorso con la pocket mask per la respirazione, e varie gar-
ze e cerotti, e ancora coltelli, astucci, k-way, guanti, una
macchina fotografica usa e getta, ed una fiaschetta di grappa
al mirtillo; infine le nostre armi in dotazione e la piccozza o
il bastone dietro la schiena.
Trovammo abbastanza velocemente il pozzo chiuso, per for-
tuna era situato in una zona piuttosto coperta e riuscimmo ad
aprirlo senza che nessuno ci vedesse.
C’era in effetti un gran via e vai di gente alla Darsena del
Naviglio al sabato mattina per via della Fiera di Senigallia,
ma per fortuna erano tutti diretti verso quella direzione,
mentre il pozzo era più defilato in un vecchio vicolo, lì po-
tevano vederci solo i proprietari della casa vicina.
Torcia elettrica alla mano, zaino in spalla, mi feci un segno
della croce e mi calai per primo giù per il pozzo, dentro al
quale erano state piantate delle piccole fasce di ferro ad U
come pioli di una scala.
Discesi il pozzo per cinque metri, con il cuore che mi batte-
va forte e la fronte che sudava, come sempre ogni volta che
mi addentravo dentro l’ignoto a testa bassa.
Arrivato in fondo atterrai sul pavimento di pietra della galle-
ria, non c’era il buio totale, da alcune grate e feritoie nel sof-
fitto createsi negli anni, passavano alcuni timidi spiragli di
luce, ma dovetti comunque usare la torcia per illuminare il
condotto. Da una parte e dall’altra c’erano solo polvere e
ragnatele. D’improvviso starnutii e i miei amici lo conside-
rarono come un “via libera”, e così uno alla volta scesero per
raggiungermi.
Mentre mi soffiavo il naso Abdul controllava che il passag-
gio fosse ostruito solo dalle ragnatele e che non ci fossero
sorprese, poi, tenendo in mano una fotocopia della mappa
203
delle gallerie, iniziammo la marcia verso Innsmouth, o qua-
lunque posto fosse.
Io ed Abdul facevamo strada levando ragnatele e schifezze
varie che ostruivano il passaggio, carcasse di topi e gatti
randagi compresi, usando piccozza e bastone, mentre Tindy
e Randolph illuminavano la strada con le torce.
All’inizio il cunicolo aveva un percorso regolare, quasi retti-
lineo, poi cominciò a spostarsi, a salire e a scendere, incro-
ciammo nel passaggio altri condotti, e seguendo la mappa ne
imboccammo uno diretto a nord-ovest, grande quanto gli
altri, ovvero largo un paio di metri ed alto due e mezzo, do-
ve aleggiava odore di muffa e “vecchiume andato a male”.
Mezz’ora più tardi Randolph ci fermò: -Avete sentito?-
-Sono io che mi sto soffiando il naso-. dissi con il fazzoletto
sul naso.
-No, no, ascoltate bene-. facemmo silenzio e in effetti senti-
vamo un suono particolare come…
-…acqua che scorre-. dissi.
-Deve esserci un percorso d’acqua qua sotto-, fece Tindiana,
-e questo tunnel lo segue-.
-Forse conduce all’oceano-. pensò Abdul.
-Forse è già l’oceano-, dissi, -il rumore viene da sopra le no-
stre teste, non stiamo fiancheggiando un corso d’acqua, ci
siamo sotto-.
-Non dire cazzate-, replicò Randolph mettendoci nuovamen-
te in cammino, -non possiamo essere sotto l’oceano, dista
migliaia di km da casa nostra-.
-Lo so, ma questi tunnel non sono comuni, lo sai, hanno un
che di etereo, non te ne sei accorto?- replicai.
-In effetti non sembra di stare in una normale galleria-, ag-
giunse Abdul, -c’è qualcosa nell’aria che altera le percezio-
ni, un po’ come dopo la seconda pinta di birra, quando non
sei ubriaco ma non ci manca molto-.
-Dici che è per questo che mi fa male la testa?- chiesi.
204
-Può essere-, disse il Tindy, -questi tunnel attraversano lo
spazio ed il tempo, benché noi non ce ne accorgiamo il no-
stro subconscio lo avverte e un semplice mal di testa è se-
gnale che il nostro corpo ci invia-.
-Beh, allora muoviamoci che tra raffreddore e mal di testa
ne ho abbastanza-.
Dalla cartina sembrava che non dovesse mancare molto, le
uscite erano tutte segnate con dei simboli particolari, simili
alle rune, che permettevano di riconoscerle sulla mappa.
Fu così che dopo nemmeno un’ora di marcia da quando era-
vamo scesi nel pozzo ci trovavamo sotto l’uscita per In-
nsmouth.
Il tunnel si era allargato a formare una specie di atrio non
più grande di un soggiorno, da cui partivano altri due tunnel
oltre a quello da cui provenivamo noi.
Puntando la luce su uno dei due notammo delle scale pochi
metri dopo l’arco d’entrata, le scale erano di pietra e saliva-
no a chiocciola.
C’era dell’acqua lì a terra, e gocciolava anche dall’alto. Sa-
limmo cautamente le scale sempre più eccitati, ci domanda-
vamo cosa avremmo trovato fuori da lì, se davvero fosse sta-
ta Innsmouth o solo una piccola cittadina portuale fatta ap-
posta per l’avventura come aveva ipotizzato Randolph.
Ad ogni modo arrivammo in cima alle scale, il primo ad u-
scire fui io, spinsi lentamente un pannello di legno che o-
struiva l’uscita ed un cielo stellato mi si parò davanti agli
occhi.
In giro non c’era nessuno, eravamo appena fuori da una cit-
tadina, probabilmente Innsmouth, vicino al fitto bosco, il
rumore delle onde in vicinanza si udiva fin lì, il terreno era
coperto d’era, ma c’era una gran quantità di sabbia.
Ci trovammo tutti e quattro ad ammirare la leggendaria In-
nsmouth, una città di grande estensione e fitte costruzioni,
c’era un gran groviglio di comignoli di terracotta, e tre alti
205
campanili si stagliavano all’orizzonte verso il mare, uno di
loro si stava ormai sgretolando, ed in quello ed in un altro
c’erano delle aperture nere dove una volta dovevano esserci
stati degli orologi. La grande confusione di tetti ricurvi e
frontoni consumati davano l’impressione che ad Innsmouth
il tempo si era fermato e tutto era rimasto come nel racconto
di Lovecraft, era ancora una cittadina decadente e tetra.
-A quanto pare siamo arrivati ad Innsmouth-. dissi soffian-
domi nuovamente il naso.
-Allora, come lo spieghi il cielo stellato?- punzecchiò Tin-
diana il nostro amico Randolph.
-Non me lo spiego, ma sicuramente deve esserci sotto qual-
cosa, forse hanno ricostruito tutto fedelmente in una struttu-
ra coperta, come nel Truman Show-. rispose Randolph.
-Io credo semplicemente che qua siano le due e mezza, visto
che ci sono sette ore di differenza con Milano qui sulla costa
est-.
-Però non è male l’idea del Truman Show-, intervenne Ab-
dul, -si potrebbero spiegare diverse cose-.
-Certo, ma non tutto-. insisté Tindy.
-E poi che ritorno economico avrebbe chiunque abbia orga-
nizzato tutto?- aggiunsi.
-Una vendita del programma a tutte le tv del mondo-. ipotiz-
zò Randolph.
-Piantiamola con queste boiate e diamoci da fare. Dobbiamo
trovare la sede dell’Ordine di Dagon, rubare l’prontuario e
poi levare le tende-.
-Ancora non ho ben capito se abbiamo qualcosa che assomi-
gli ad un piano-. disse Abdul.
-Non mi pare ci sia, non abbiamo mai usato piani in nessuna
avventura, voi iniziare ora?-
-Non mi permetterai mai-.
-Allora in marcia-.
Ci incamminammo lungo la strada terrosa diretta ad In-
206
nsmouth, l’odore dell’acqua salmastra giungeva alle nostre
narici fin dalla costa, colmi di eccitazione e anche avverten-
do un certo timore, avanzavamo stretti l’un l’altro verso
l’ingresso della città ancora addormentata, o così sperava-
mo.
Entrando lungo una strada in leggera discesa notai che molti
tetti erano franati, così come alcuni balconi, e anche i muri
di alcune case ormai in rovina, da lontano vidi in lontananza
i pali del telegrafo ormai senza fili ed inclinati dalle intem-
perie, mentre le vie erano debolmente illuminate da lampio-
ni ancora ad olio.
C’era un silenzio irreale lì attorno ed un odore nauseabondo
di pesce permeava tutta l’aria circostante, una volta tanto
avere il naso chiuso ed il raffreddore risultò un vantaggio
visto che lo percepivo a malapena.
Seguivamo la via principale, i cui marciapiedi erano ridotti
ad ammassi di calcinacci e pietre, che dava talvolta su picco-
le piazze, dove erano state edificate case in stile georgiano
con tetti spioventi ed incurvati, cupole e ringhiere di ferro
battuto, incrociammo un tratto della vecchia linea ferroviaria
i cui binari erano ormai arrugginiti e coperti da folta erba ed
arbusti.
Ci avvicinammo così al porto, in lontananza vedevamo delle
luci, a largo nel mare, dove probabilmente erano all’opera i
pescatori. Lungo la banchina risaltava subito all’occhio il
vecchio campanile di un edificio di mattoni, consunti e privi
di intonaco. Il porto era invece ricoperto di sabbia e circon-
dato da un antico argine di pietra alla cui estremità emergeva
quella che poteva essere la base un faro ancora più antico.
Una serie di vecchie capanne in disfacimento ed un piccolo
molo di attracco per barchette erano poste lungo una spiag-
gia sabbiosa all’estremità del porto.
Ci avvicinammo cautamente alla banchina, non c’era nessu-
no in giro, i pescatori erano tutti in mare, potemmo così ve-
207
dere da lontano una striscia nera che aveva tutta l’aria di es-
sere la famigerata Scogliera del Diavolo, a cui era bene te-
nersi alla larga.
-E’ incredibile-, sussurrò Randolph, -è tutto come nel rac-
conto-.
-Per me è così ovvio-, rispose Tindiana, -se non l’hai notato
siamo ad Innsmouth-.
-A dopo le discussioni-, bisbigliai, -leviamoci di torno, dob-
biamo trovare la New Church Green, dovrebbe essere più
avanti-.
Riprendemmo il cammino lungo il quale incrociammo fatto-
rie deserte e decrepite, case abitate ma dalle finestre rotte e
dai giardini incolti con resti di conchiglie e pesci morti ab-
bandonati tra i cespugli d’erba, ancora case pericolanti gri-
gie e non dipinte, costruite fitte fitte, quasi ammassate se-
condo un ordine piuttosto caotico e senza criterio.
Più avanti dalla via principale incominciarono a partire al-
cuni vicoli e viottoli, tal volta squallidi e decadenti, altri in-
vece sembravano fantasmi di un antico splendore ormai de-
caduto.
Addentrandoci sempre più i marciapiedi e le vie sembravano
più curati, alcune case in legno e mattoni avevano al piano
terra dei negozi dalle insegne scolorite, ed arrivammo infine
ad una piazza da cui partivano radicalmente altre vie, al cui
centro c’erano i resti di quello che una volta doveva essere
un piccolo parco e che ora non era che un intrico di arbusti,
erbaccia ed alberi morti.
Eccole le due chiese: una antica più della città, in stile goti-
co, con due torri ed una cripta anormalmente alta in cui si
intravedeva una porta di legno, e l’altra ridotta ad un edificio
fatiscente dalle pareti scrostate sostenuto da pilastri deca-
denti, che altri non era che la sede dell’Ordine Esoterico di
Dagon.
-Bene, eccoci davanti alla New Church Green-, sussurrò
208
Abdul, -ed ora?-
-Ci vorrebbe un piano-. disse Randolph.
-Ci vorrebbe un piano-. ripetei io.
-Sì, ci vorrebbe un piano-. confermò Tindiana.
-Proviamo ad entrare-, suggerii, -chi diavolo volete che ci
sia alle tre del mattino?-
-Una folla di cultisti nell’atto di una orgia satanica-. rispose
Tindiana.
-Non credo siano satanisti, sai?- gli fece notare Randolph.
-Sentite-, ripresi, -quando non ci sono vie di uscita tanto vale
entrare, per cui…-
-E questa stronzata dove l’hai sentita? Te la sei inventata
adesso?- fece Randolph.
-Dylan Dog, non crederai di essere l’unico che legge i fu-
metti. Allora, andiamo o no?-
-Prego, dopo di te-. fecero gli altri all’unisono.
Imbracciando la mia piccozza mi avvicinai al vecchio edifi-
cio trasandato in cerca di una entrata secondaria, c’era un
piccolo cortile posteriore, scavalcammo una ringhiera nera
incurvata e ci addentrammo nel cortile pieno di erbacce ed
ortiche. La parte posteriore della vecchia chiesa non era
molto meglio di quella anteriore, diversi mattoni erano se-
misbriciolati, e le finestre, una volta decorate, erano rotte in
diverse punti.
Delle piccole finestrelle a semicerchio poste in basso a livel-
lo del terreno denotavano la presenza di un seminterrato,
c’era in effetti una porta sul retro, ma portava certamente
alla vecchia sacrestia, ed ovviamente era chiusa.
-Potrebbe essere pericoloso passare da qua-, dissi indicando
la porta, -come facciamo?-
-Ehi-, ci chiamò Abdul, -ho trovato qualcosa-.
Dietro a delle erbacce e ad un cespuglio di rovi Abdul aveva
trovato uno sportello di ferro battuto che si apriva senza al-
cuno sforzo: -Deve portare alla caldaia-, disse il mio amico,
209
-è un po’ un rischio, ma forse è l’unico modo per entrare.
Credo che usassero questo condotto per buttarci i sacchi di
carbone-.
-Tindy, tocca a te che sei più piccolo-. dissi ed anche gli altri
furono d’accordo con me.
-Perché sempre io?- protestò Tindiana.
-Ma se sono sempre io a farmi avanti per primo-, ribattei, -
ora tocca a te, muoviti, legati la fune in vita e noi ti caliamo-
.
Dopo altri cinque minuti di proteste e veemenze convin-
cemmo il nostro amico a scendere, si calò giù per il condotto
per un paio di metri e poi ci diede il via libera.
Legammo la corda ad un camino che usciva lateralmente
dalla parete, in modo da poter risalire da lì se fosse stato ne-
cessario, dopodiché scendemmo tutti e tre.
Ci trovavamo in una piccola e stretta stanza dove c’era in
effetti una vecchia caldaia, accatastati in un angolo c’erano
legna e carbone, mi avvicinai alla porta di legno della picco-
la camera ed accostai l’orecchio: nessun rumore.
-Sembra non ci sia nessuno-. sussurrai.
Aprii lentamente la porta abbastanza per poter guardare oltre
di essa: c’era un corridoio illuminato debolmente da due lan-
terne ad olio poste su una parete, il corridoio sboccava in
fondo in una camera aperta.
Richiusi la porta.
-C’è un corridoio, saranno una dozzina di metri, e poi una
stanza più grande-. fu il mio rapporto.
-Hai visto delle scale che vanno su?- mi chiese Randolph.
-No, ma potrebbero essere qui a fianco, ovviamente non
posso vedere tutto da uno spiraglio nella porta. Però è alta-
mente probabile-.
-Muoviamoci uno per volta-, suggerì Randolph, -se ci sono
le scale due rimangono qui a fare da palo e gli altri vanno in
fondo-.
210
Annuimmo, poi aprii un po’ di più la porta tendendo bene le
orecchie, ed uscii nel corridoio, come immaginavamo lì af-
fianco c’erano delle scale che andavano di sopra, Abdul e
Tindy rimasero lì, mentre io e Randolph avanzammo lungo
il corridoio.
A passi lenti per non far rumore attraversammo il tunnel sul-
le cui pareti c’erano dipinti strani pittogrammi e simboli.
La tenue luce del corridoio raggiungeva anche la camera
circolare posta in fondo al corridoio, illuminata da altre torce
ad olio. La camera non era molto grande, era circolare con
un raggio di due-tre metri, c’erano librerie, tavoli, scaffali,
tutti trasbordanti di libri, pergamene, fogli, c’erano poi pen-
dagli, feticci, tuniche, ampolle, catene dorate, candelabri
d’argento, e altro ancora. I libri e le pergamene non erano
scritte nella nostra lingua, c’erano diversi simboli magici, e
alcune pagine erano scritte in quella strana lingua di cui cer-
cavamo il prontuario.
Io e Randolph cercammo rapidamente qualcosa che potesse
sembrare quello che cercavamo, e dopo una assidua ricerca
con Tindiana che ci faceva fretta dal fondo del corridoio,
trovai una specie di diario, con la copertina in pelle.
Lo aprii, ed il nome di Barnaba Marsh risaltava nella prima
pagina. Tutte le pagine erano scritte con inchiostro e penna
d’oca, parole incomprensibili e geroglifici scritti fitti fitti,
ma ciò che più importava fu quello che trovai in mezzo al
diario: un piccolo foglio ingiallito ripiegato in quattro parti,
dentro al quale c’era quello che poteva essere un alfabeto
alieno e le corrispettive lettere e sillabe occidentali.
-Ma vieni!- esclamai a bassa voce, -Ho trovato l’ago nel pa-
gliaio! Se non fosse che sono già nel New England e che mi
sta passando la voglia di tornarci direi “New Engald ecco-
mi”!-
Misi il foglio in uno dei libri che mi portavo dietro nello
zaino e poi ritornai alla caldaia con gli altri.
211
-Presto, facciamo in fretta-. dissi mentre Abdul cominciava a
risalire la corda, anche se a fatica riuscì ad arrivare di sopra.
Dopo di lui toccò a me, anch’io ebbi qualche difficoltà, ma
aiutandomi anche con i piedi arrivai di sopra, dove Abdul mi
allungò la mano e mi aiutò ad uscire.
Poi successe qualcosa a cui non avevamo pensato: Tindiana
e Randolph non hanno mai fatto dello sport in vita loro e ri-
salire una corda diventava un’impresa.
Li sentiva sforzarsi, ma più che saltare in alto e attaccarsi
alla corda non riuscivano a fare, io e Abdul provammo a ti-
rare su Tindiana a braccia, ma ci risultò impossibile, era
troppo pesante per noi due da soli.
Se non gridavamo imprecazioni era solo per non farci sco-
prire, ma mi stavo mangiando le mani. Rischiavamo di
mandare tutto in malora per una cosa del genere.
-Provo a scassinare la porta della sacrestia-. mi avvicinai alla
vecchia porta di legno, la serratura era malridotta e lo stipite
di legno quasi marcito, invece di usare il grimaldello optai
per un calcione secco e deciso sulla maniglia, e la porta si
scardinò.
-Dì a quei due di salire le scale e correre qui-. dissi ad Ab-
dul.
Il mio amico avvisò gli altri due e quelli si mossero alla
svelta.
Feci alcuni passi dentro la chiesa, era tutto buio non si vede-
va niente, e forse era meglio così, vidi d’un tratto delle luci,
erano le torce dei miei due amici che risalivano le scale, mi
raggiunsero in pochi secondi e uscimmo da quel posto ma-
ledetto.
L’aria fredda ci sferzava il viso, ed il buio della notte era an-
cora calato su di noi, tra uno starnuto e l’altro uscii dal corti-
le della chiesa e ritornammo nella piccola piazza.
Il silenzio della notte e l’odore nauseante di pesce facevano
da padroni in quella situazione così irreale, eppure avevo
212
una strana sensazione, era tutto così calmo, tranquillo, si
sentiva ancora in lontananza il rumore delle onde che si in-
frangevano contro la Scogliera del Diavolo.
-Non vi pare che sia stato tutto troppo semplice?- sussurrai
ai miei amici.
-Meglio così-, fece Abdul, -ce ne andiamo subito, ne ho già
abbastanza di questo posto e della sua puzza di pesce-.
-Oh, merda!- esclamò Randolph, -Guardate!-
Lentamente dalle abitazioni, dai vicoli, dalla chiesa battista e
dal salone dell’Ordine incominciarono ad uscire strani ed
inquietanti figure, il terrore si impadronì di noi, non sape-
vamo se stavano uscendo in cerca di noi, oppure per qualcu-
no dei loro macabri riti, ma nel dubbio scattammo nuova-
mente nel cortile della chiesa e andammo a nasconderci die-
tro gli alberi morti ed i cespugli di rovi pregando che non si
fossero accorti di noi.
Il cortile era chiuso da un muro di cinta e dalla ringhiera da
cui eravamo passati, per cui eravamo praticamente in trap-
pola se ci avessero scoperto, a meno di entrare nella chiesa e
scappare in qualche maniera, ma al momento ci limitavamo
a non emettere un fiato e a tenerci più al coperto possibile.
Nella piccola piazza, attorno al vecchio parco limaccioso, si
era riunita una piccola folla di individui curvi e deformi, che
agitavano le loro lanterne nell’oscurità della notte, comuni-
cavano tra di loro attraverso strani gracchi e grida soffocate,
si muovevano confusamente, zoppicando, scotendo la loro
testa abnorme con gli occhi sporgenti, ma senza una direzio-
ne precisa, sembrava proprio che non ci avessero visto.
Dopo poco incominciarono ad incamminarsi lungo la via
principale verso la spiaggia, formando così una piccola pro-
cessione di creature che da lontano non avevano nulla di
umano, una scia di esseri traballanti, deformi che gracchia-
vano e agitavano le lanterne nel buio, alcuni di loro indossa-
vano strane vesti, come quelle che avevo visto già nella
213
stanza circolare, ed altri reggevano strani oggetti con le mani
innaturalmente grosse.
Aspettammo che la folla si allontanasse del tutto e poi ti-
rammo un sospiro di sollievo.
-Beh, ora possiamo andarcene veramente-. affermai alzan-
domi da dietro il cespuglio in cui mi ero nascosto.
-Vuoi scherzare?- fece Randolph,
Io lo guardai di traverso: -Che diavolo significa?-
-Non vorrai che mi perda una scena spettacolare come gli
abitanti di Innsmouth che si inabissano verso la Scogliera
del Diavolo?-
-Certo, perché se ci beccano finiamo noi sulla griglia-.
-Io dico: con tutta la fatica che avranno fatto questi poverac-
ci ad organizzare tutta questa messa in scena sarebbe un
peccato che ci perdessimo la parte più bella-.
-Ma di che diavolo parli?-
-Lui è ancora convinto di partecipare al Truman Show-. mi
spiegò Tindiana.
-Cosa?! Beh, se vuoi farti ammazzare accomodati, io me ne
torno indietro-. dissi nuovamente a Randolph.
-Ehi, non possiamo dividerci-. mi fermò Tindiana.
-Dillo a quello scemo che vuole farci ammazzare tutti-.
-Ma come la fai seria-, ribatté Randolph, -voglio solo seguir-
li da lontano, lo so anch’io che sei ci prendono ci “uccido-
no”-. e fece con le dita il segno del virgolettato.
-Ci vorrebbe che qualcuno di quei dannati cosi ti azzanni
una gamba-, gli rispose il Tindy, -così ti renderai conto che
non è un gioco-.
-Come la fate lunga, io vado, se volete seguitemi-.
Randolph uscì di soppiatto dal cortile della chiesa per segui-
re a distanza il corteo delle creature di Innsmouth, io ribolli-
vo dalla rabbia, era pericoloso fermarsi ancora in quel posto
dannato, ma non potevamo nemmeno lasciare quello stupido
da solo.
214
-Ora gli sparo nel culo-. dissi estraendo la pistola.
-Lascia perdere-, disse Tindiana, -conviene seguirlo prima
che si cacci in guai seri-.
-Proprio quello che volevo evitare-.
Rinfoderai la pistola e andai dietro a Randolph seguito a mia
volta da Tindy e Abdul che chiudeva il gruppo.
Erano le quattro passate, mi trovavo a muovermi furtiva-
mente per le vie diroccate di Innsmouth, tra case decrepite
dai tetti crollati e cortili disadorni pieni di conchiglie e pesci
morti, la puzza era davvero tremenda anche per il mio naso
chiuso, e non vedevo l’ora di andarmene da lì.
Randolph si era accucciato dietro l’angolo di una casa in
prossimità del litorale, l’orda era piuttosto lontana e tutte le
luci delle lanterne risplendevano nel buio, il corteo che ave-
vamo incrociato si stava unendo ad altri giunti da altre vie e
vicoli della cittadina, il gracchiare e la puzza di pesce erano
sempre più forti.
Quando udii dei terrificanti suoni gutturali e vidi diverse fi-
gure deformi che stavano lentamente affiorando dall’acqua
afferrai Randolph da dietro per il colletto e gli intimai di fare
marcia indietro: -Abbiamo visto abbastanza, non credi? È
ora di andarsene-.
-Solo cinque minuti-. protestò lui.
-Ti rendi conto che stai mettendo a rischio non solo tutta la
missione ma anche le nostre vite? Non me ne frega un acci-
dente se vuoi vedere questi uomini pesce che si accoppiano,
dobbiamo andarcene e alla svelta-.
Randolph guardò prima me e poi gli altri due ed annuì: -Ok,
avete ragione, andiamo-.
Tornammo indietro piuttosto celermente e cercando sempre
di restare nell’ombra, ma ritornati nella piazza con le due
chiese trovammo una sgradita sorpresa: mi fermai all’angolo
di una casa, e vidi da lontano che un gruppo di abitanti erano
radunato proprio fuori dalla chiesa dell’Ordine, vidi uno u-
215
scire di corsa dall’edificio ed indicare agli altri ad ampi gesti
il retro. Avevano già scoperto che la porta della sacrestia era
stata divelta e ci avrebbero messo ancora meno a capire che
qualcuno si era addentrato nel loro covo.
-Merda, ora si che siamo nei guai-. esclamai a bassa voce, -
Tindy, tira fuori la mappa che dobbiamo trovare un’altra
strada-.
Tindiana prese dallo zaino la mappa che aveva disegnato
abbastanza accuratamente, era ovviamente una mappa ideale
perché desunta dal racconto, ma ci dava almeno un’idea di
come poter uscire da là.
-Tempo che presto pattuglieranno tutte le uscite-, disse Tin-
diana, -si stanno già spostando lungo la via principale-.
-E allora che si fa?- fece Abdul.
-Anche nel racconto succedeva una cosa analoga-, mi ricor-
dai, -come andava avanti?-
-Potremmo controllare-, rispose il Tindy, -ma se non mi
sbaglio il protagonista raggiungeva la vecchia linea ferrovia-
ria abbandonata. Aveva intuito che l’unica via percorribile
era quella della vecchia ferrovia, posta lungo il bordo della
gola del fiume, il sentiero è pieno di rovi e sterpaglie, ma
non abbiamo molta scelta. Una volta usciti dal paese non
dovremmo avere difficoltà a raggiungere al pozzo da cui
siamo usciti-.
-Da che parte andiamo?- domandai guardando la mappa.
-Dobbiamo passare oltre Babson Street, e poi ad ovest di La-
fayette, costeggiamo uno spazio aperto e poi puntiamo a
nord e quindi ad ovest, attraversando Lafayette, Bates, A-
dams e Bank street, fino all’ultimo bordo della gola del fiu-
me e da lì alla stazione abbandonata-.
-Ok, attenti e niente cazzate, Tindy fa strada-. dissi.
-Perché sempre io?-
-Tindy, porca miseria! Non è il momento di fare discussioni,
tu consoci la mappa meglio di noi, muoviti!-
216
-Muoviti Tindy!- mi fece eco Abdul.
Sbuffando come al solito Tindiana ci fece strada lungo le vie
ed i vicoli di quella maledetta città, sentivamo l’eco di grac-
chi, strane grida, gente che correva e luci che si accendevano
dalle stanze con le finestre rotte delle abitazioni circostanti.
Notai che Tindiana non era più in grado di farci strada, più
per la tensione e la paura che l’incapacità, così presi io la
mappa e mi misi davanti al gruppo, con Abdul in coda che ci
guardava le spalle.
Incrociammo gruppi di quegli esseri che correvano lungo le
strade con le lanterne e i bastoni tra le mani, io mi bloccavo
di colpo e ci appiattavamo contro il muro dell’edificio che
fiancheggiavamo, trattenendo il respiro, a pericolo scampato
e via libera riprendevamo a correre nella notte in cui era or-
mai scattata una caccia all’uomo e le prede eravamo noi.
Ovviamente non poteva andarci sempre bene, e mentre at-
traversavamo una strada ebbi uno dei miei violenti starnuti
che ci fece scoprire da un gruppo di abitanti in fondo alla
via. Subito il gracchiare e i versi inumani echeggiarono a
gran voce in tutta la cittadina.
Il cuore ci balzò in gola e prendemmo a correre a perdifiato
verso la linea ferroviaria ormai nelle vicinanze. Nonostante
la pessima forma fisica di Tindiana e Randolph, che non
hanno mai fatto dello sport in vita loro se non con la Play
Station, riuscimmo a raggiungere appena in tempo il fitto
intrico di rovi, sterpaglie, gramigna ed erbaccia varia che
ricopriva i binari e che ci dava un minimo di copertura.
Non c’era tempo per prendere fiato, e riprendemmo subito il
cammino, lungo il sentiero di terra e ciottoli vari, ci muove-
vamo a carponi, per nasconderci dietro l’erba alta e i cespu-
gli, le spine dei rovi ci graffiavano la faccia e i vestiti, ma
era un fastidio sopportabile se significava salvare la pelle.
La regione divenne ben presto paludosa, ma eravamo ormai
in prossimità della nostra via di fuga, eravamo discretamente
217
lontani da Innsmouth da poter rialzarci in piedi e darci una
ripulita, eravamo tutti insozzati di fango e terra, e avevamo
la faccia e le mani piene di graffi.
L’immagine di Innsmouth da lontano era un sollievo, i suoi
tetti cadenti, le sue guglie, i suoi comignoli, le case fitte e
strette, disposte secondo un ordine delirante, il suo molo abi-
tato da immonde creature erano ormai lontani.
-Beh-, dissi, -nonostante l’impegno di tutti a farci beccare ce
l’abbiamo fatta-.
Guardavo da circa un centinaio di metri il pozzo da cui era-
vamo usciti, ed il cuore mi mancò di un battito quando vidi
una sinistra ed abnorme figura emergere dallo stesso pozzo,
seguita da altri tre suoi simili: ci appiattimmo a terra, impre-
cando contro la malasorte. C’erano quattro di quelle creature
zoppe e deformi, che brandivano delle specie di fiocine, po-
tevamo sentire la loro puzza di pesce sin da lì, aspettammo
in silenzio, acquattati tra i cespugli, che se ne andassero, ma
pareva invece che non ne avessero l’intenzione.
Forse avevano intuito che eravamo usciti da lì e che quella
era la nostra unica via di fuga.
-Io dico di affrontarli-, disse Abdul, -gli spariamo, moriran-
no pure loro-.
-E’ troppo rischioso, noi non siamo bravi con le armi, ma
loro potrebbero essere dei maestri con quelle fiocine-. dissi
mentre pensavo ad una soluzione. –Qual è l’entrata più vici-
na oltre a questa?- domandai a Randolph.
Attento a non alzarsi il mio amico prese i suoi appunti dallo
zaino e mi rispose: -Arkham…-
-Allora dobbiamo raggiungere Newburyport, e prendere il
treno per Arkham-.
-Ma Newburyport sarà almeno a dieci km da qui-, protestò
Abdul, -e per di più dovremmo passare attraverso questa
merda paludosa-.
-Vuoi restare qui finché non albeggia e ci potranno vedere
218
meglio?- gli disse Randolph.
-Se ci mettiamo subito in marcia dovremmo farcela in
un’ora o poco più-. affermai.
-Pare non ci siano alternative-. disse Tindiana.
-Potremmo affrontarli-, insisté Abdul, -spariamo da qua, ne-
anche ci vedranno-.
-Piantala-, lo redarguì Randolph-,io non sparo a nessuno,
probabilmente quelli non sono altro che ragazzi come noi
truccati e travestiti da pesci rana, e tu vuoi colpirli?-
-Certo-.
-Andiamo-. li chiamai mentre mi allontanavo a carponi da lì.
Ci spostammo a quattro zampe fino a quando non fummo
sicuri che nessuno poteva vederci, poi ci alzammo e mar-
ciammo celermente tra il fitto sottobosco, in mezzo a fango
ed alberi cadenti.
Alla nostra sinistra avevamo l’oceano Atlantico che risplen-
deva sotto i raggi della luna piena, e poco dopo alla nostra
destra vedemmo la strada che collegava Newboryport ad In-
nsmouth, la stessa percorsa dalla corriera.
Quella camminata estenuante ci portò ad assistere all’alba,
col sole che sorgeva all’orizzonte dell’oceano, e ormai in
dirittura di arrivo, ci fermammo a bere e a riposarci, seduti
su alcuni massi a poche decine di metri dalla costa, bevem-
mo anche un sorso di brandy per riscaldarci le budella, con
colpi di tosse più o meno forti, e poi riprendemmo il cammi-
no.
Sembrava l’inizio di una bella giornata perlomeno, il cielo
era limpido e stava sorgendo, ma non feci in tempo a con-
cludere il mio pensiero quando crepitò nel cielo un tuono
seguito da altri che spaccarono l’aria, e presto iniziò a piove-
re.
Ci infilammo in fretta i nostri k-way e poi riprendemmo la
marcia verso Newboryport, prima che la strada fangosa di-
venisse impraticabile con la pioggia.
219
Verso le 5.30, con le scarpe immaltate e con i k-way inzup-
pati d’acqua raggiungemmo finalmente la strada e quindi il
piccolo paese di Newboryport.
La città era ancora addormentata, ma i più mattinieri erano
già giù dal letto, ci saremmo fermati volentieri a fare cola-
zione in un bar, ma non ci sentivamo ancora al sicuro, nem-
meno a Newboryport.
Così attraversammo le strade della piccola cittadina e se-
guimmo le indicazioni per la stazione.
-Avete notato?- dissi ai miei amici mentre camminavamo
sotto la pioggia.
-Cosa?- mi domandò Randolph.
-Le insegne, i cartelli, tutto è scritto in inglese-.
-Beh, siamo nel New England…-
-Lo so, ma questo vuol dire che anche la gente parlerà in in-
glese. Ti toccherà esibire il tuo inglese fluente-.
-Non è un problema-.
-Scusa, ma voi non siete americani? Dovreste parlare la loro
stessa lingua-. notò Abdul.
-Non è proprio così-, gli spiegai, -agli effetti del gioco noi
siamo italiani con nome americano, tutto qua-.
-Allora come compriamo i biglietti del treno? Le lire non le
prendono di certo-.
-Giusto-. dissi, -E non è un problema indifferente-.
-Non proprio-. fece il Tindy mostrando un sorriso di soddi-
sfazione a 32 denti, -Io che sono uno avanti, avevo calcolato
questa eventualità e ho preso da casa venti dollari che tenevo
per collezione-.
-Taccagno, solo 20 dollari!- gli dissi prendendolo in giro.
-Bravo Tindy, una volta tanto fai anche tu qualcosa di buo-
no-. si complimentò Randolph.
Il mio amico ci mandò a quel paese e prese a camminare ce-
lermente, mentre noi ridevamo.
Le poche persone che ci vedevano mentre aprivano le per-
220
siane delle loro finestre ci guardavano con curiosità e sor-
presa, ma niente di più.
-Ad Arkham dove si trova il passaggio?- chiesi a Randolph.
-Indovina un po’?-
-Miskatonic University?-
-Manicomio di Arkham-. affermò.
-Mi mancava il manicomio-. commentai acidamente.
-Il passaggio è sotto l’edificio, dovremo entrare in qualche
maniera nei sotterranei e da lì torniamo a casa-.
-Sembra più una campagna che una singola avventura-.
-Ho idea anch’io. Ma forse manca poco alla fine, speriamo
almeno che il premio sia all’altezza della nostra impresa-.
La strada, chiusa ai lati dalle basse abitazioni, s’immetteva
su una strada più grande, lungo la quale era situata la stazio-
ne, una piccola e decadente stazioncina, di quelle che si tro-
vano solo nei libri di storia, ma che, a quanto pareva, nel
New England erano ancora in auge.
-Dici che avranno ancora il treno a vapore?- feci affiancan-
domi ad Abdul.
-Già, e probabilmente alimentano ancora il fuoco con cani e
gatti-.
La biglietteria era ancora chiusa, ovviamente, ma apriva
comunque alle 6.30, abbastanza presto, e il treno per Ar-
kham partiva alle sette in punto.
Non esisteva una sala di aspetto, ma sul lato interno della
stazione, quello che dava sulla linea ferroviaria, c’era una
banchina con un paio di panche appoggiate al muro ed una
fontanella.
Ne approfittammo così per riposarci, mi levai di dosso lo
zaino e mi sentii incredibilmente leggero, e poi mi lasciai
andare sulla panca, mentre gli altri erano andati a lavarsi la
faccia alla fontana.
Le banchina per fortuna era al coperto sotto una tettoia piut-
tosto ampia, mi tolsi il cappuccio del k-way e poi guardai
221
attorno: eravamo in un posto dimenticato da Dio, nel New
England, forse, immersi in una meravigliosa quanto ardua
avventura.
Non so il perché ma in quei brevi momenti di calma, come
quello in cui stavamo passando lì alla stazione, avvertivo
una forte emozione, difficile da descrivere, era come pren-
dersi un intervallo, tra una tempesta e l’altra, ma probabil-
mente non sarebbe stato lo stesso se non fossi stato lì con i
miei migliori amici.
C’era una leggera quiete, la pioggia cadeva finemente, e dai
comignoli delle case cominciavano ad uscire i primi fumi.
Mentre ero assorto nei miei pensieri mi arrivò sulle gambe
una brioche confezionata, alzai lo sguardo e vidi Abdul se-
dersi al mio fianco sulla panca.
-Grazie-. dissi aprendo la merenda.
-Come va?-
Scossi la testa: -Quando le cose vanno troppo per le lunghe
non mi piacciono, ora dobbiamo viaggiare fino ad Arkham e
poi dovremo addentrarci nei sotterranei del manicomio.
Come se fosse facile-.
-Qualcosa ci inventeremo-.
-Per forza, lo facciamo sempre-.
-Però funziona-.
-Già, ma sempre per il rotto della cuffia-.
-Tu cosa credi? Mi sembra assurdo che ci abbiano fatti sbu-
care in una finta città, è troppo reale tutto quanto. Eppure è
ancora più assurdo che sia tutto vero-.
-Non so che dirti. Ti dovrei dire che è tutto vero, che questo
non è un gioco di ruolo, ma che qualcuno ha solo utilizzato
questo ingegnoso sistema per servirci di noi e di tanti altri
per i loro scopi, ma ho paura a farlo-.
-Ma chi potrebbe averlo fatto?-
-Io ho pensato a lungo e alla luce degli ultimi avvenimenti
ho fatto alcune ipotesi-. mentre parlavo anche Randolph e
222
Tindiana si erano avvicinati ad ascoltare, -Sembra che lo
scopo finale dell’avventura sia aprire questo dannato varco
dimensionale, ma diverse fazioni vogliono farlo a loro van-
taggio: c’è Sagesse Triomphante che probabilmente il varco
lo vuole attraversare; la TM Society che vuole farlo attraver-
sare dai corpi astrali di tutte le creature cosmiche sparse per
il nostro pianeta; e non mi sorprenderei del fatto che ci sia di
mezzo anche l’Ordine di Dagon, non dimentichiamo che li
abbiamo incontrati in due occasioni a Milano, e forse a loro
il varco converrebbe farlo attraversare a qualcuno ma nel
verso opposto, dal cosmo verso la Terra; e forse ci sono altri
gruppi ancora che non conosciamo. Ma non mi stupirei se
dietro tutto ci sia un unico burattinaio, un unico individuo
che muove tutti come marionette al suo volere, al solo scopo
di divertirsi e dimostrare la sua onnipotenza-.
-Sembra una eventualità alquanto improbabile-, intervenne
Randolph, -chi credi possa essere?-
-Colui che vede tutto e conosce tutto: il Custode-.
-E chi diavolo potrebbe essere?-
Alzai le spalle: -Forse è proprio questo il vero scopo del
gioco: scoprire chi è il Custode-.
-Certo che è un bel casino-. commentò Abdul.
-Come ogni gioco di ruolo che si rispetti-. risposi.
-Lasciamo da parte ipotesi fantastiche per il momento-, disse
il Tindy, -pensiamo piuttosto a recuperare le forze, abbiamo
ancora parecchia strada da fare-.
Passammo la restante ora seduti sulla panca a guardare Ne-
wboryport che si svegliava, il cielo grigio che continuava a
piovere anche se non violentemente, le rotaie deserte della
ferrovia che si bagnavano, le prime saracinesche dei negozi
che si aprivano, e gli abitanti più mattinieri che camminava-
no o percorrevano le strade in bicicletta.
Alle sei e mezza aprì la biglietteria.
Randolph prese i soldi e andò allo sportello, dove stava un
223
simpatico vecchietto con la divisa della Ferrovia Boston and
Maine.
-Salve-. lo salutò Randolph.
-Good morning-. rispose quello nella sua lingua.
[D’ora in avanti i discorsi diretti in lingua inglese saranno
tradotti simultaneamente e contenuti tra i simboli < e > per
non rendere ancor più caotico questo resoconto di quanto
già non lo sia. Ndr ]
-Parla in effetti straniero-. disse Randolph girandosi verso di
noi, poi si rivolse nuovamente al vecchietto: -<Mi da quat-
tro biglietti per Arkham per favore?>-
-<Subito.>- il bigliettaio prese quattro biglietti e gli passò al
mio amico: -<Fanno 6 dollari.>-
Randolph gli diede una delle due banconote da 10$ e prese i
biglietti.
-<Che ci fanno degli stranieri da queste parti, se mi è per-
messo chiederlo?>- domandò il vecchietto.
-<Stiamo seguendo un itinerario letterario, i racconti di Lo-
vecraft hanno reso famosi posti come questo o Innsmouth.>-
-<Davvero? Non lo sapevo, chi è questo Lovecraft?>-
-<E’ il più grande scrittore horror assieme a Alan Poe, è na-
to proprio qui nel New England, a Providence.>-
-<Ma pensa, non lo sapevo, non vado mai a Providence.
Una volta sono stato a Boston per lavoro, ma non oltre.>-
-Con questo ci tiro notte-, si disse Randolph, -<è stato un
piacere, stia bene.>-
-<Fate attenzione ad Arkham-, lo avvertì il bigliettaio, -non
è un posto per ragazzi in visita turistica, nasconde molti se-
greti.>-
-<Lo sappiamo bene, grazie.>-
Randolph tornò da noi e ci diede i biglietti.
-Che diavolo aveva da blaterare il vecchio?- gli chiese Ab-
dul.
-Niente, mi ha domandato cosa ci facciamo qui e mi ha av-
224
vertito che Arkham non è un posto per noi-. ci riferì Ran-
dolph.
-Come se non lo sapessimo-. bofonchiai.
-E’ quello che gli ho detto. Il treno arriva alle 6.50, resta
fermo in paese dieci minuti e poi riparte-.
Tornammo sulle panche mentre col passare dei minuti altre
persone arrivavano sulla banchina per prendere il treno di-
retto ad Arkham.
Sembravano tutte persone comuni, nessuno di loro aveva la
cosiddetta “Maschera di Innsmouth” dipinta sul volto, anche
se le brutte facce non mancavano, ma d’altra parte anche noi
avevamo Abdul.
Il treno arrivò emettendo un sonoro fischio, quando la sua
figura si stagliò all’orizzonte rimanemmo ammutoliti: il tre-
no era una discarica ambulante, sembrava dovesse cadere in
pezzi da un momento all’altro, era un vecchio modello a ga-
solio (o kerosene) con le marce, con tre vagoni e panche di
legno invece di sedili.
-Sembrano i treni italiano del fascismo-. commentai.
-Ehi, quando c’era Lui almeno i treni arrivavano in orario-.
puntualizzò il Tindy riferendosi ovviamente al Duce.
-Non che a me interessi arrivare in orario-, disse Abdul, -mi
basterebbe arrivare e basta-.
Il treno si fermò emettendo un terribile stridio di freni, sa-
limmo assieme agli altri passeggeri e trovammo il posto su
due panche.
Il viaggio non fu il massimo della comodità, ogni tanto mi si
addormentava la gamba, ma per chi prendeva tutte le matti-
na treno e metropolitana per Milano dove si stava in piedi e
tutti stretti come sardine quello era un viaggio di lusso.
Alle sette, come previsto, il vecchio treno partì, anche se a
fatica, traballando ed emettendo preoccupanti rumori dal
motore posto sotto il locomotore, non era consuetudine sen-
tire lo scalare della marce su di un treno, e mi pareva che
225
non ne avesse più di tre.
Mentre viaggiavamo ci scorreva davanti al finestrino il clas-
sico paesaggio della campagna del New England, con le sa-
gome lontane di sparuti villaggi e piccole cittadine, mentre il
mare si allontanava sempre più.
Avevamo con noi una mappa dettagliata e ben disegnata di
Arkham, stampata su una delle espansioni del GdR, ed era
già un buon inizio, la cittadina era stata costruita proprio sul-
le sponde del fiume Miskatonic, e risultava praticamente di-
visa nelle due zone: nord e sud.
La linea ferroviaria entrava ad Arkham costeggiando il fiu-
me sulla sponda settentrionale e dove era posta la stazione.
La giornata uggiosa e grigia aumentò ancor di più l’effetto
tetro e misterioso di Arkham, da lontano s’intravedevano già
i numerosi tetti incurvati e spioventi, i comignoli, le torri
delle chiese, della Miskatonik University e dei palazzi prin-
cipali, case scure, erette le une vicine alle altre, tanto che le
grondaie dei tetti si toccavano, il fumo dei camini aleggiava
sopra l’intera cittadina come una nebbia, e all’istante mi tor-
narono in mente tutte le leggende di Arkham, le streghe che
vi abitavano, i misteriosi episodi di follia di alcuni suoi abi-
tanti, i macabri esperimenti del dottor West e tutti i segreti
che si celavano nella biblioteca sotterranea della Miskatonic
University.
Arkham non era una città reale, anch’essa, come Innsmouth,
era frutto della fantasia di Lovecraft, eppure noi stavamo per
addentarci tra le sue strade strette e i suoi vicoli bagnati dal-
la pioggia, era tutto così irreale…
Il controllore del treno entrò nel vagone avvisandoci che
stavamo per entrare ad Arkham, così ci alzammo dai nostri
posti, prendemmo in mano gli zaini e ci preparammo a
scendere.
Tirai su il cappuccio del k-way e scesi dal treno una volta
fermo in stazione, Arkham era in fermento già di prima mat-
226
tina, c’era un gran via vai di macchine e persone a piedi, ci
infilammo dentro la piccola stazione, al coperto, per leggere
la pianta della città ed elaborare un piano per entrare nel
manicomio.
C’era un piccolo bar adiacente alla stazione, così ne appro-
fittammo per andare a sederci e prenderci qualcosa di caldo.
Ci sedemmo ad un tavolino del piccolo bar, dove entrava ed
usciva gente in continuazione, il locale era grigio, freddo, e
per niente accogliente, ma ci saremmo fermati solo per po-
chi minuti.
-Allora, che ne sappiamo di questo manicomio?- chiese
Randolph per fare il punto.
-Poco-, rispose il Tindy, -quasi nulla. Il manicomio compare
solo in due racconti ed in entrambi non viene né descritto né
narrato alcunché che possa esserci utile, sappiamo che è
chiuso da tempo, e che probabilmente in quelle celle vi era-
no rinchiusi individui completamente impazziti e dalla men-
te desolata-.
-Se è chiuso non dovremmo avere particolari problemi una
volta entrati-. disse Randolph.
-Non lo so-, intervenni, -di solito questi posti, anche se chiu-
si, mantengono una certa carica negativa-.
-Credo che tu stia esagerando. Ma sarà meglio prepararsi al
peggio-.
-Arkham…- sospirò Abdul, -se non ci fossi non ci crederei-.
-Perché non approfittiamo di questa occasione più unica che
rara per visitare l’università?- propose Randolph.
-Perché abbiamo già passato abbastanza guai, mi pare-. gli
rispose Tindy.
-Suvvia, Tindy, è solo un gioco, e poi che ci sarà di tanto
pericoloso a visitare la Miskatonic, è solo università-.
-Già, con più segreti di quanti si possa immaginare-.
-A maggior ragione-. sorrise Radolph, -Io vado, chi viene
con me?-
227
-A me non dispiacerebbe-. lo spalleggiò Abdul.
-Non è una buona idea separarsi, anche se per poco-, dissi
guardando il Tindy, -è meglio se ci andiamo assieme-.
Presa quella decisione ci incamminammo verso l’università,
era ancora presto e c’erano pochi studenti in giro.
L’ateneo era formato da numerosi cortili interni e chiostri,
alti archi di pietra conducevano ad altre sale, gallerie, scale
che scendevano in basso, aule, crocevia, lungi porticati di
pietra che emanavano antichità e magia, mentre il cielo che
vi contrastava in alto era plumbeo e in quel momento fu at-
traversato da un piccolo stormo di corvi neri che gracchia-
vano nel silenzio della mattinata.
Sapevamo bene che addentrarci nei meandri dei sotterranei
della Miskatonic University non era raccomandato, erano
tante le storie, le leggende su cosa si nascondeva là sotto:
laboratori alchemici, sale operatorie per la rianimazione di
cadaveri, tunnel di cui non se ne conosceva la fine, stanze
segrete, ed una misteriosa biblioteca di cui si sono avvalsi
personaggi ambigui e sinistri come il dottor Herbert West,
Walter Gilman o il mostruoso Wilbur Whateley.
Randolph si lasciò trasportare dall’eccitazione e, seguendo
le indicazioni, ci condusse attraverso un labirintico intrico di
corridoi e scale alla biblioteca: un’immensa sala le cui altis-
sime pareti erano interamente costituite da scaffali pieni di
antichi libri, altri numerosi scaffali e librerie di legno erano
disseminate in maniera ordinata (benché l’ordine avesse una
logica complessa) in tutta la sala. Le luci erano fioche, e i
pochi studenti presenti leggevano con l’ausilio di alcune
lampade montate vicino ai banchi per la lettura.
Non so se si trattava solo di suggestione, o di emozione, ma
avevo la netta impressione che lì dentro le ombre si muove-
vano di propria volontà, avvicinandosi a noi sempre più, e la
sensazione di essere osservati era ancora più netta, improv-
visamente ebbi la forte tentazione di andare via, al più pre-
228
sto, da quel luogo arcano e segreto.
-Andiamocene-. dissi agli altri.
-Aspetta fammi dare un’occhiata-. mi rispose Randolph con
tono pacato.
Una voce stridula alle nostre spalle ci fece voltare di scatto:
-Cercate qualcosa in particolare?- era un vecchio uomo, un
po’ gobbo, dai capelli radi e bianchi, il naso appuntito sor-
montato da un paio di occhialini senza stecche, un individuo
sinistro per un posto altrettanto sinistro.
-Lei è il bibliotecario?- domandò Randolph.
-Sì, cosa cercate? Un libro sulle equazioni di Fourier? O
magari sui differenziali?-
-No, no-, rispose il mio amico, -stiamo solo dando
un’occhiata-.
-Questo non è un negozio-, rispose in tono severo il vecchio
bibliotecario, -qui gli studenti cercano sempre qualcosa in
particolare. Voi state cercando qualcosa di molto particolare,
un vecchio libro, magari?-
Randolph, con tono nobile, disse: -Beh, si vede che lei ha
fiuto, signore, in effetti il libro che stiamo cercando è un an-
tico manoscritto arabo, si chiama Al Azif…-
Io e Tindy lo guardammo chiedendoci se fosse impazzito,
ma lui non fece una piega, anzi, sembrò soddisfatto della sua
richiesta, benché lo sguardo del bibliotecario mutò, dive-
nendo scuro.
-Quel libro non esiste, ragazzo, e se fossi in voi me ne andrei
subito via-.
-Certo che esiste…- la ribattuta di Randolph venne sovrasta-
ta dall’uomo: -Ho detto via!!-
Io, che già mi ero allontanato di corsa alla prima avvisaglia,
venni raggiunto dai miei tre compagni sulle scale che porta-
vano al piano superiore, percorremmo diversi corridoi, tun-
nel, sale e scalini, e dopo una decina di minuti ci accorgem-
mo di esserci perduti.
229
Ci fermammo a prendere fiato in un corridoio deserto e de-
bolmente illuminato.
-Bravo, sei contento?- ripresi Randolph mentre riprendevo
fiato.
-Ma che colpa ne ho se quello se l’è presa?-
-Ma ti paiono domande da fare? Proprio non lo vuoi capire
che questo è un gioco di ruolo molto particolare?-
-Ok, va bene, ma ora che si fa? Ci siamo persi-.
-Qualcuno ha disegnato la mappa?- domandò Tindy.
-Di solito la fa lui-. risposi indicando Abdul.
-Ah no, stavolta no. Non posso andare in giro con il block
notes e matita ogni volta-. si difese lui.
-Sei un irresponsabile, e adesso?-
-Direi di provare a cercare delle scale per salire, anche se
dovessimo finire ai piani superiori ci saranno delle finestre
con cui orientarci-. suggerì Tindiana.
-Non so se l’avete notato-, fece Randolph, -ma qui dentro ci
sono le indicazioni per entrare e non per uscire-.
Ci incamminammo nuovamente nei meandri dei corridoi,
non era facile trovare delle scale, e spesso trovavamo solo
rampe che scendevano, ci trovammo così in tetri ed angusti
passaggi da cui si poteva addirittura sentire il flusso del fiu-
me Miskatonic che passava al di là delle pareti.
D’un tratto di trovammo di fronte ad una massiccia porta di
legno lavorato che non avevamo ancora visto.
-Forse si esce di qua-, disse Abdul, -questa porta è diversa
dalle altre. E dubito che il rettore abbia un ufficio proprio
qua sotto-.
-Speriamo-, sospirai, -io non ne posso proprio più di star
qui. Tu e le tue idee-.
-Nessuno ti ha obbligato a venire-. mi rispose Randolph.
-Vero, ma visto che ci hai cacciato tu in questo guaio perché
non apri la porta?-
-Certo, non ho paura, io-.
230
Nonostante le sue parole la mano di Randolph tremò nel
momento in cui abbassò la maniglia e aprì la porta.
Uno strano odore pervenne quando la porta si aprì, titubanti
avanzammo di qualche passo, ci trovammo in una camera
particolare, molto lunga, dal pavimento piastrellato di arcani
disegni, ed il soffitto costituito da diverse celle a volta. Vici-
no alle pareti bollivano su dei fuochi dei pentoloni neri, libri
e fogli ingialliti erano sparpagliati su tavolini, scaffali, mobi-
li e pavimento.
Procedemmo con cautela ed infondo alla stanza ci imbat-
temmo in un grande tavolo di legno massiccio sui cui erano
disposte ampolle di vetro, becker, fiale e boccette con strane
sostanze liquide o polveri colorate, alcune bollivano sotto
dei piccoli fuochi di alcool, altre erano invece rovesciate.
Nessuno proferì parola, l’idea di trovarci in un laboratorio
alchemico ci intimorì non poco, c’erano anche alcune casse
misteriose da cui provenivano inquietanti rumori o suoni.
In fondo la stanza faceva una piccola curva ad L, e proprio
infondo a quel lato della stanza c’erano delle scale che sali-
vano, delle scale a chiocciola. Le percorremmo di corsa e io,
che ero in testa, fui il primo a sbucare all’esterno, in una zo-
na verde proprio adiacente alla riva del fangoso fiume Mi-
skatonic.
Assaporai a pieni polmoni l’aria fresca di Arkham, anche i
miei compagni erano visibilmente soddisfatti di essere usci-
ti, per alcuni momenti ci era davvero parso impossibile usci-
re da quel dedalo di corridoi, passaggi e sale cupe.
-Meglio allontanarci-, suggerì Tindy-, non vorrei che qual-
cuno volesse utilizzare questa entrate proprio ora-.
Una volta tanto non ci furono discussioni e ci spostammo
verso il centro della cittadina.
Venti minuti più tardi ci trovavamo di fronte alla cancellata
in ferro dell’imponente struttura del manicomio di Arkham,
chiuso ormai da decenni, ma dalla cui figura alta, imponen-
231
te, con le finestre rotte dal cui interno emergevano strane ed
inquietanti figure, traspirava ancora un’intensa aura tetra e
sinistra.
Il manicomio di Arkham era ormai ridotto ad un edificio in
rovina, con il giardino incolto e pieno di alte erbacce e rifiuti
metallici lasciati lì ad arrugginire, alto tre piani e con nume-
rosi padiglioni, aveva anche un seminterrato ampio quanto
l’intera pianta della struttura e forse anche di più.
Purtroppo nei racconti di Lovecraft il manicomio veniva so-
lamente citato o descritto sommariamente, in quanto veniva
data importanza più ai personaggi che vi gravitavano attorno
che alla struttura stessa, per cui le informazioni in nostro
possesso erano scarse, e non potevamo che affidarci
all’intuito.
Il cancello era chiuso da un vecchio catenaccio arrugginito,
ma il cancello si apriva lo stesso di quei 20-30cm che per-
mettevano di poterlo attraversare senza scassinare nulla.
Quando eravamo sicuri che nessuno ci vedesse entrammo di
soppiatto attraverso l’apertura e poi scattammo verso
l’ingresso principale dell’edificio.
Da lì sotto il manicomio aveva un’aria ancor più spettrale,
non c’era bisogno di scassinare nulla visto che una delle
doppio porte era praticamente crollata a terra, un grande ve-
lo di nylon era stato posto davanti alla porta a chiudere il
passaggio.
Ci trovammo così all’ingresso del monumentale manicomio,
il cui soffitto raggiungeva forse gli otto metri, conferendogli
ancor di più un aspetto tetro e lugubre. In terra c’era uno
spesso tappeto di polvere e sporcizia solida varia, da vecchi
mobili frantumati, a vetri e vecchi materassi e via discorren-
do, soffitti ed angoli erano ormai preda dei numerosi aracni-
di che vi dimoravano dalla notte dei tempi, mentre anche
diversi topi gironzolavano per i corridoi bui e silenziosi del-
la vecchia casa di cura mentale.
232
Diverso intonaco si era staccato dalle pareti e ricopriva gran
parte del pavimento, ci addentrammo nei corridoi lentamen-
te, dopo aver preso in mano le nostre fidate torce elettriche,
seguendo le indicazioni che portavano al pian terreno.
Non era facile camminare al buio per i corridoio di un mani-
comio abbandonato, con fuori il temporale, e sapendo di che
ci potevano essere strane creature che si aggiravano per
l’edificio, inoltre l’interno era tutto fatiscente e maleodoran-
te.
-Ho uno strano presentimento-, dissi avvertendo una terribile
sensazione, -questo posto nasconde qualcosa-.
-Non mi dirai che sei un sensitivo ora?- fece Randolph pro-
seguendo per il corridoio.
-No, ma ho capito con cosa abbiamo a che fare-.
Trovammo la porta che dava sulla tromba delle scale, scen-
demmo lentamente giù per gli scalini di pietra e arrivammo
in uno stretto corridoio, anche lì sotto c’era un odore pesti-
lenziale di chiuso, polvere e chissà cos’altro, ma fu un’altra
cosa che non solo ci sorprese, ma ci spaventò letteralmente
quando le luci delle nostre torce si posarono sulle pareti:
scritte di simboli arcani, farsi in linguaggi morti o proibiti,
dappertutto.
Proseguendo trovammo delle piccole stanze cieche, le celle
in cui venivano rinchiusi i soggetti più pericolosi, provai ad
osservarne qualcuna illuminando le pareti imbottite e strap-
pate: una era completamente piena di croci disegnate anche
su pavimento e soffitto, altre scritte con simboli magici e
mistici, in altre ancora vi erano delle vistose macchie di san-
gue sulle pareti e sul pavimento.
In fondo al corridoio c’era una porta di metallo con una pic-
cola finestrella, la porta era leggermente aperta ed incurvata,
uno dei cardini era ceduto, avevo una terribile sensazione,
come se dietro quella porta si nascondesse qualcosa di in-
nominabile e spaventoso.
233
-Perché ti sei fermato?- mi domandò Randolph dietro di me.
-Ho paura-. risposi brevemente.
-E di che? Non c’è nulla qua sotto-.
-Di quello che c’è dietro questa porta. Lì nel buio più pro-
fondo-.
-Vado avanti io-. disse Abdul superandomi, aprì lentamente
la porta e il illuminò il suo interno con la torcia elettrica alla
quale si aggiunsero poi le altre nostre.
Non appena misi piede dentro quella infernale stanza sentii
di non poterci stare un secondo di più, ma qualcosa mi im-
mobilizzò, i miei muscoli erano bloccati per la paura, per
l’orrore.
Nella stanza c’erano dei particolari macchinari: macchine
per elettroshock, strumenti per la lobotomia, lettini chirurgi-
ci, e altri attrezzi medici che sembravano più da inquisizione
che da neurochirurgia. Quella stanza urlava ancora tutto il
dolore e la sofferenza di quelle povere anime che vi erano
morte tra spasmi atroci per colpa di medici folli che si defi-
nivano all’avanguardia per gli esperimenti deliranti che ope-
ravano sui pazienti.
Continuai a guardarmi attorno puntano la torcia nella piccola
sala, ammutolito, rabbrividendo, poi d’un tratto la tempera-
tura calò vertiginosamente.
-Ehi, voi non sentite freddo?- chiesi mentre il mio fiato si
condensava.
-In effetti…- rispose Randolph mentre anche gli altri rabbri-
vidivano per il freddo.
-Ma che diavolo…- non finii l’esclamazione che dal buio
vidi uscire una terrificante figura eterea, uno fantasma…
-Oh diavolo!!- il cuore mi balzò in gola e arretrai di colpo
contro il muro dietro di me portandomi le mani al volto.
Sentii subito dopo una mano amica che mi prendeva il brac-
cio e riaprii gli occhi: -Che ti prende?- era Abdul.
-Non l’avete visto, dannazione?!- esclami con voce disperata
234
e atterrita che spaventò i miei amici.
-Cosa?-
-Era un dannato spettro! Questo posto è pieni di fantasmi!-
continuavo a gridare disperato mentre la temperatura era
sempre sotto lo zero, -Dobbiamo andarcene! Alla svelta!-
-Chissà che diavolo hai visto-, sdrammatizzò Abdul, -i fan-
tasmi non esistono-.
Non ebbe terminata la frase che due figure spettrali dal volto
angosciante e i contorni indefiniti passarono davanti e dietro
di noi, terrorizzandoci all’istante.
Nonostante lo spavento (o per via dello spavento) mi gettai
verso la porta che stava dall’altra parte della sala correndo a
perdifiato in un corridoio su i cui muri c’erano centinai di
impronte di mani insanguinate, e poi scritte come: Ia-
R’lyeh! Cthulhu fhtagn! o Ia! Shub Niggurath! Formule di
invocazioni antiche e proibite.
Correvo senza sosta, senza alcun criterio, aprivo le porte da-
vanti a me senza sapere dove conducessero, con la luce della
torcia che illuminava sconnessamente pavimento, pareti e
soffitto a seconda di come muovevo il braccio, nella freneti-
ca corsa verso una possibile uscita, mentre invece mi stavo
infognando sempre più nei meandri di quel dedalo di corri-
doi, porte, e scalini in discesa.
Mi fermai quando Abdul mi afferrò per il giubbino e mi tirò,
eravamo piuttosto lontani dalla sala, respiravamo a grosse
boccate, ansimanti e ancora terrorizzati, i battiti del cuore
erano rapidissimi, tanto che credevo mi sarebbe scoppiato
dal petto.
Randolph e Tindy arrivarono poco dopo, stravolti per la cor-
sa, ci sedemmo a terra, appoggiandoci alla parete, nessuno
proferiva parola, impegnati com’eravamo a riprendere fiato.
Avevo ancora le lacrime agli occhi per lo spavento, ed il bat-
tito non accennava minimamente a diminuire, dovevo asso-
lutamente uscire da quel dannato posto infestato dai fanta-
235
smi e dai demoni della follia.
-Andiamocene da qui, diavolo!- esclamai con una voce qua-
si stridula rialzandomi.
-Forse ci siamo-, ansimò Tindiana, -siamo scesi ancora e qui
le pareti sono di pietra, vedete? Sono antecedenti alla co-
struzione del manicomio, e a me ricordano quelle dei tunnel-
.
Illuminai meglio quel corridoio con la torcia e ripresi a cal-
marmi: -E’ vero, siamo nel cunicolo-, sorrisi,
-grazie al cielo, ora torniamo a casa-.
Randolph mi mise una mano sulla spalla, e ci stringemmo
tutti e quattro in un fraterno abbraccio:
-Ce l’abbiamo fatta-, dissi, -siamo riusciti a tornare da In-
nsmouth ed Arkham-.
-Forza, in marcia-, fece Abdul ripartendo, -non abbiamo così
tanto tempo a disposizione-.
D’accordo con lui ci rimettemmo in marcia nel cunicolo
sperando di non dovere camminare ancora per molto.
Seguendo la nostra cartina attraversammo la fitta rete di cu-
nicoli, senza fare altri incontri per fortuna, e dopo un’ora
circa di marcia vedemmo una luce in fondo al tunnel.
-Sento delle voci-, sussurrò Abdul, -c’è qualcuno-.
-Sarà Marks-, pensò Randolph, -chi vuoi che sia?-
-Facciamo comunque attenzione-, suggerii, -spegniamo le
torce e seguiamo la luce-.
Cautamente, ma con un certo timore, avanzammo nel buio a
tentoni, seguendo solo la timida luce che proveniva dal fon-
do del cunicolo, la luce non era fissa, vibrava, come se fosse
creata da delle fiamme, potevano essere candele, o bracieri.
Quando fummo in prossimità dell’imboccatura del tunnel
avemmo una visione più ampia e chiara della situazione: la
camera sotto la basilica era illuminata da decine di candele
rosse, sparse un po’ ovunque, vedemmo Theron Marks e
quattro dei suoi uomini in nero assieme ad un folto gruppo
236
di sinistri individui che indossavano tiare rosse, mantelli e
cappucci a punta, che stavano preparando un rituale dise-
gnando sul pavimento dei simboli arcani, e disponendo degli
oggetti in determinate posizioni.
Quello che non riuscivamo a capire era se Marks fosse pri-
gioniero o meno, ma la sua espressione non era delle più fe-
lici.
-Qui si mette male-, sussurrai, -temo che Marks abbia sotto-
valutato Sagesse Triomphante, se di loro si tratta-.
-Tu dici?- fece Randolph, -A me pare che stia parlando con
il tizio incappucciato, forse hanno stretto un’alleanza, o una
cosa così-.
-Ho l’impressione che tu abbia fallito il tiro idea-. dissi cer-
cando di capire la situazione, ma proprio in quel momento
mi scoppiò un tremendo starnuto che non feci in tempo a
bloccare, ed in un baleno avevamo cinque di quei tizi incap-
pucciati armati di pugnali davanti a noi.
-Qui però il master bara a sfavore-. imprecai mentre ci spin-
gevano verso il centro della stanza.
-Mi spiace-, mi disse Marks quando ci avvicinarono a lui e
ai suoi uomini, -ho sottovalutato la situazione, non credevo
che Sagesse Triomphante fosse ancora così forte, mi hanno
costretto a rivelare loro tutte le nostre scoperte-.
-Nostre, dice-. bofonchiò Abdul.
-Fate silenzio!- ordinò una voce imperiosa dietro di noi.
Sei di quegli uomini ci strattonarono e ci costrinsero a se-
derci in terra, io non opposi alcuna resistenza, terrorizzato
com’ero, Abdul invece, ostinatamente convinto che fosse
solo un gioco, si ribellò e cercò di divincolarsi, e si prese
una manganellata sulla testa che, oltre a fargli male, lo fece
infuriare, noi gli dicevamo di calmarsi, di sedersi, che così
era peggio, ma lui insistette e venne preso da dietro con un
bastone, per la gola: -Dio santo, così lo strozzate!- gridava-
mo con la voce che ci moriva in gola per la paura e la dispe-
237
razione.
–Lasciatelo stare!- mi presi anch’io una mazzata sulla schie-
na che mi stroncò il fiato, ma vidi Abdul mollare la presa del
bastone e alzare le mani, col volto livido, e l’uomo incap-
pucciato mollò la presa.
Il mio amico crollò a terra tossendo e sputando, cercando di
inspirare più aria possibile, e in pochi minuti si riprese, ben-
ché un rivolo di sangue gli colava dalla testa giù per il collo.
-Ora basta-. una voce a me familiare impose il silenzio e
l’immobilità, con gli occhi appannati vidi uno degli incap-
pucciati farsi avanti e levarsi il cappuccio: Lisa Legnani. –
Lisa, che diavolo…- un’altra bastonata sulla schiena che mi
bloccò il respiro e mi avvertì implicitamente che non dovevo
parlare.
-…succede? Stavi per dire?- iniziò lei, mentre la guardavo
con espressione omicida.
–Semplice, grazie a voi e alla Marks Society siamo arrivati
dove volevamo, nel punto internodale delle gallerie, qui-
disse levando le braccia, -potremo creare il portale che ci
condurrà nel leggendario Mondo dei Sogni! E finalmente la
nostra ricerca sarà conclusa, dopo più di due secoli!-
Lisa notò la confusione aleggiare sui nostri pallidi volti, e
sorrise: -Ma sì, forse è meglio che vi racconti tutto
dall’inizio, così potrete mettere assieme tutti i tasselli del
mosaico, e potrete poi meglio eseguire l’ultimo lavoro per
conto nostro. Più di duecento anni fa, in Francia, Giuseppe
Balsamo, alias il Conte di Cagliostro, fondò la nostra loggia
massonica: Sagesse Triomphante, sono sicura che conoscete
questo nome. Prima di essere processato e rinchiuso nella
Rocca di San Leo, Cagliostro dedicò il suo tempo allo studio
e alla traduzione di un libro, il Vobiscum Satanas, il cui au-
tore era un alchimista negromante del secolo precedente, che
pareva avesse fatto grandiosi quanto sconvolgenti scoperte.
Assieme a lui aveva operato tale Legione, maestro della arti
238
occulte, ed insieme, dopo anni di studi e ricerche, erano riu-
sciti a stilare una mappa di alcune gallerie che percorrono il
nostro pianeta e che permettono di raggiungere in breve
tempo luoghi posti a migliaia e migliaia di chilometri l’uno
dall’altro, e, soprattutto, di raggiungere una dimensione ete-
rea e amena. La nostra congrega è riuscita ad entrare in pos-
sesso dei quadri nei quali pareva fosse nascosta la mappa,
ma i quadri, oltre ad essere incomprensibili erano anche ma-
ledetti, e parecchi nostri confratelli sono impazziti nel loro
studio, capimmo così che dovevamo entrare in possesso an-
che del libro di Legione, la Grande Danse Macabre. I tempi
e luoghi non erano però quelli giusti, le inquisizioni, le co-
spirazioni, e diverse difficoltà hanno fatto naufragare il no-
stro sogno, che però covava nelle ceneri, pronto a ravvivarsi
il primo soffio di vento favorevole. Sagesse Triomphante ha
continuato la ricerca dei libri e dei quadri, dopo che erano
stati messi all’indice, e anno dopo anno, decennio dopo de-
cennio, generazione dopo generazione siamo finalmente
giunti qui. Sapevamo che le nostre capacità erano ancora
limitate, così, venuti a sapere che un restauratore era impaz-
zito a causa di un dipinto, abbiamo inscenato la storia della
figlia col padre impazzito per un quadro, un quadro di
Thermogorothus, il negromante, come avevamo immagina-
to. Il resto, ce lo avete dato voi-. Lisa mi guardò: -Vuoi dire
qualcosa, mio bel detective?-
-Non capisco come centrino quei ragazzi che sono impazziti
e si sono suicidati, chi erano?-
-Non ho la minima idea di che cosa tu stia dicendo-.
-Avevano anche loro la tessera del Ruolo, come questa-. le
gettai ai piedi la finta carta di identità, Lisa la prese e la
guardò, sbuffò e poi me la lanciò: -Non vedo cosa ci sia di
strano, a me pare una banalissima carta di identità, e comun-
que in foto vieni davvero male-.
Mi voltai a guardare i miei amici, ancora più confuso, quella
239
carta era reale solo nel gioco, ma allora…
-Voi tre, alzatevi!- al comando di Lisa, se questo era il suo
nome, i massoni dietro a me, Tindy e Randolph ci presero a
calci per farci alzare, mentre Abdul rimaneva seduto sul pa-
vimento.
–Dovete fare un ultimo lavoro per noi, vedrete, vi piacerà-.
-Cosa ti fa pensare che lo faremo?- domandò coraggiosa-
mente Randolph.
–Semplice-, rispose pacatamente la ragazza, -altrimenti do-
vrete dire addio al vostro amico-. sentimmo il rumore di un
coltello sfoderato e girandoci vedemmo un massone aver
preso Abdul per i capelli con una mano e con l’altra puntar-
gli il coltello alla gola.
–Non lo potete fare!- esclamò il mio amico, ora più infuriato
che spaventato.
–Abbiamo ucciso tanta di quella gente in due secoli e mez-
zo, uno in più non cambierò di certo le cose-.
-Cosa volete?- domandai rassegnato.
Lisa si avvicinò e mi tese una mano: -Dammi il prontuario,
sono certa che siete riusciti a recuperarlo-.
Guardai i miei amici, scossi la testa, poi dallo zaino presi il
libro in cui l’avevo infilato e glielo porsi.
-Tieni-.
-Grazie-. Lisa prese il foglio di carta ingiallita e le brillarono
gli occhi: -Perfetto, ora abbiamo anche il prontuario per tra-
durre l’incantesimo, a questo punto manca solo un’ultima
cosa, e qui rientrate in gioco voi-.
-Cosa vi serve?- domandai tremando.
–Un oggetto particolare, necessario a compiere il rituale per
aprire il portale. Si tratta di una lastra ovale di vetro opa-
co…-
-…tu stai parlando del Vetro di Leng-. s’intromise Tindiana.
–Esatto-.
Secondo il mito lovecraftiano il Vetro di Leng era una lastra
240
che si vuole sia giunta dal deserto del Leng o dalle lontane
Iadi, è una porta che da su altre dimensioni quando la si atti-
va pronunciando una orribile formula e si disegni al di sotto
una stella a cinque punte; la porta si apre su tempi e spazi
esterni al nostro mondo, su recessi remoti che però possono
diventare tremendamente vicini, su luoghi in cui mostri e
divinità dai nomi orrendi si celano in attesa di sorgere anco-
ra.
–E dove la troviamo?-
-Vedete quel tunnel?- Lisa indicò la bocca della galleria ma-
estosa, -Vi condurrà in breve tempo in Egitto, là dovrete
cercare l’ultimo discendente di un’antichissima dinastia di
Faraoni, egli è in possesso del Vetro, dovrete sottrarglielo a
qualsiasi costo, se non volete che il vostro amico ci lasci la
pelle-.
Sconsolati, esausti e spaventati, ci rassegnammo all’idea di
quel viaggio e di quella ricerca folle. Guardai il mio amico
Abdul, che aveva gli occhi carichi di terrore, e gli dissi: -
Torneremo con la pietra, fidati-.
Mi alzai in piedi, guardai Marks, affianco a me, che scuote-
va la testa, mentre gli passavo affianco perse l’equilibrio (o
finse) e mi rovinò addosso, si tenne in piedi solo aggrappan-
dosi al mio k-way, due massoni lo presero e lo tirarono via
mentre Marks mi guardava un’ultima volta negli occhi cer-
cando di dirmi qualcosa, ma non capii.
Imbracciamo i nostri zaini che i massoni ci restituirono e ci
dirigemmo verso l’imboccatura del tunnel, col cuore che
palpitava incostantemente e velocemente, mentre ci tuffa-
vamo nel pozzo dell’ignoto.
241
11. NY HAR RUT HOTEP
Non dovemmo usare le torce elettriche nell’attraversamento
del tunnel perché su entrambe le pareti c’erano delle fiaccole
fiammeggianti, ora, non stavo a chiedermi chi le sostituisse
né come, avevo altro per la testa, certo ci faceva comodo ri-
sparmiare le batterie in quello che poteva essere un lungo
viaggio.
Nel silenzio irreale di quella situazione pure irreale cammi-
navamo in silenzio, nessuno proferiva parola, spaventati,
forse, come me, oppure, come Randolph, probabilmente in
cerca di una spiegazione plausibile che non coinvolgesse il
gioco nella realtà.
Le pareti della caverna erano dipinte e scolpite come la ca-
mera d’ingresso, disegni e graffiti rappresentanti mostri ve-
nuti dallo spazio, esseri informi grandi come montagne, ro-
vine di antiche città le cui dimensioni facevano delle monta-
gne innocui sassolini, essere tentacolari e abnormi che stri-
sciavano nella sabbia, celebrazioni di riti empi alla base del-
le piramidi, la devastazione della immensa Sfinge per opera
di un terribile essere dalla forma vagamente antropomorfa,
con un lungo tentacolo per testa e tre zampe squamose.
Non credo avessimo percorso più di qualche chilometro
all’interno del cunicolo quando vedemmo l’uscita in fondo
al tunnel.
–Possibile che siamo già arrivati?- domandai sorpreso.
–L’unica risposta l’avremo solo andando avanti, amico mio-
. rispose Randolph.
Facendo attenzione a non fare troppo rumore ci avvicinam-
mo alla soglia ed entrammo in una altra camera simile a
quella da cui eravamo partiti, solo che era un po’ più picco-
la, circa 6x4 metri, e senza uscita…
Decorata anche questa camera con gli stessi geroglifici e
bassorilievi di quella da cui eravamo partiti, presentava al
suo centro, posta tra tre bracieri fiammeggianti, una statua
242
orribile, alta circa tre metri, che incuteva paura solo a guar-
darla: era un essere mostruoso, le cui fattezze ricordavano
quello di un cadavere ricoperto da un velo, le dita erano lun-
ghe ed adunche, le gambe caprine, la testa era quella di mor-
to, la pelle consunta e rugosa, gli occhi incavati, portava un
copricapo egizio, di quelli che solitamente indossavano i fa-
raoni, ma sulla sommità del capo partiva un grande e nerbo-
ruto tentacolo la cui estremità si piegava minacciosamente in
avanti. Sulla base della statua c’era una scritta, il nome della
creatura/divinità terrificante, un nome che ci gelò il sangue
nelle vene, ma che ci aspettavamo, avendolo riconosciuto, il
suo nome era quello di Nyarlathotep, il caos strisciante,
messaggero di morte e distruzione.
Su una delle pareti Randolph trovò un’altra incisione affian-
cata da una traduzione in greco e, non facilmente, riuscì a
fare una traduzione sommaria:
254
IL CUSTODE
PARTE I
- FINE -
255
APPENDICE I
NOTE
256
Paul Kevin Araya è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Federico Bianchini.
Tindiana Jones è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Gabriele Leone.
Randolph Carter (II) è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Dario Beretta.
Abdullha Fathinlha è un personaggio del GdR Richiamo di
Cthulhu edito da Stratelibri creato da Saul Aiolfi.
257
APPENDICE II
Dizionario lovecraftiano
Bestie lunari. Le bestie lunari sono una razza aliena che ado-
ra Nyarlathotep e sono solite ridurre un schiavitù le altre
razze. Se la parola sadismo ha un qualche significato per una
razza tanto aliena, si può affermare che questi essere sono
mostruosamente crudeli, e spesso si dilettano a torturare gli
esemplari di altre specie che hanno la sventura di cadere nel-
259
le loro grinfie.
260
Cthulhu. Il Grande Cthulhu, che attende di risalire da
R’lyeh, la città nascosta nel profondo del mare, è una antica
divinità, ora nascostamente adorata solamente da sette mi-
steriose. “Nella sua casa a R’lyeh il morto Cthulhu attende
sognando”, sono le parole che iniziano un canto nefando de-
dicato all’adorazione di questa mostruosa divinità. In una
piccola statuetta verdastra, fatta di una materia che certo non
è di questa Terra, è raffigurato come un essere dalla testa
rotonda irta di tentacoli, con un corpo enorme, grottesco e
squamoso, da cui spuntano due ali rudimentali.
262
Giungla di Kled. È un profumato intrico tropicale, in cui si
ergono mirabili palazzi d’avorio, isolati e intatti, dove una
volta dimoravano favolosi monarchi di una terra il cui nome
è ormai dimenticato. Incantesimi fatti dai Grandi Antichi
fanno sì che questi palazzi siano immuni da danni o decadi-
mento, perché è scritto che un giorno potranno nuovamente
servire. Alcune carovane di mercanti li hanno intravisti da
lontano, sotto spettrali chiarori lunari, ma nessuno ardisce
avvicinarsi per via dei Guardiani che vigilano sulla loro in-
tegrità.
Oriab. È una grande isola del Mare del Sud, posta a qualche
giorno di navigazione da Thalarion. La sua città più grande è
il porto di Baharna, da cui dista poco il Lago di Yath. Lon-
tano, più a Sud, sorge il nero e maestoso Monte Ngranek,
rifugio dei Magri della Notte, e immenso basamento di un
antico volto dei Grandi Antichi.
Shoggoth. Gli Shoggoth sono tra i mostri più orribili del ma-
cabro universo lovecraftiano, lo stesso arabo pazzo Abdul-
Alhazred cercò di sostenere con foga disperata sulle pagine
del Necronomicon che nessuno di questi orrori esistesse sul-
la Terra, tranne che nei sogni dei folli.
BIBLIOGRAFIA
G.Pilo/S.Fusco, Presentazione in: H.P.Lovecraft - I Miti di
Cthulhu, Newton Compton ed., 1993, Roma
S.Pettersen & L. Wills, Call of Cthulhu RPG fifth edition,
Chaosium Inc., 1997
272
APPENDICE III
CRONOLOGIA
700 d.C.
Abdulh Alhazred, il poeta pazzo di Saana, nello Yemen, o-
pera durante il califfato degli Ommiadi.
738
Abdulh Alhazred muore in circostanze misteriose, secondo
alcuni testimoni sembra che sia stato divorato da un mostro
invisibile in pieno giorno in mezzo al mercato cittadino.
950
L’Al Azif, il libro scritto da Abdulh Alhazred, si guadagna
una considerevole quanto nascosta notorietà presso gli eru-
diti del tempo, e viene segretamente tradotto in greco da Te-
odoro Fileta di Costantinopoli, con il titolo di Necronomi-
con.
1050
Il patriarca di Costantinopoli ordina il sequestro e la distru-
zione del Necronomicon
1228
Olaus Wormius effettua una traduzione in latino del Necro-
nomicon
1232
Papa Gregorio IX, a cui era stata mostrata la traduzione di
Wormius, pone entrambe le versioni, greca e latina, del Ne-
cronomicon, nell’Index Expurgatorius.
14??
Viene stampata probabilmente a Norimberga verso fine se-
273
colo l’edizione tedesca in caratteri gotici del Necronomicon
15??
Verso la fine del secolo, secondo alcune fonti intorno al
1580, secondo altre alcuni anni prima nel 1577, nasce nel
borgo di Sibbo a poche miglia da Helsinki, Peter Tagtgren,
meglio conosciuto come Thermogorothus.
1607
Thermogorothus si trasferisce dall’Italia a Praga, alla corte
dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, dove, tra gli altri, co-
nosce un oscuro personaggio noto con lo pseudonimo di Le-
gione.
1612
Alla morte di Rodolfo II, Thermogorothus fugge in Svezia,
alla corte del re, dove rimane sotto la protezione del cancel-
liere Oxenstierna
1619
In Svezia alcuni cortigiani vengono arrestati e condannati a
morte per eresia e stregoneria, fra di essi c’è molto proba-
bilmente il mecenate di Thermogorothus, il quale, informato
degli avvenimenti, fugge in Germania.
1620
Thermogorothus si stabilisce a Lemgo, nella Vestfalia, as-
sieme a Legione, e qui scrive il suo unico trattato di alchi-
mia: il “Vobiscum Satanas”.
274
16??
In diversi periodi del XVII secolo Lemgo è teatro di una del-
le più sanguinarie cacce alle streghe del tempo.
1630 ca
Alcune streghe interrogate dalle autorità fanno ripetutamente
i nomi di Thermogorothus e Legione, riconosciuti come al-
cuni fra i fuggiaschi della corte praghese, viene inviato un
drappello di guardie ad arrestarli, ma giunti alla casa nella
quale i due risiedono non vi trovano alcuno. Due guardie
impazziscono durante quella perquisizione e pochi giorni
dopo una terza muore nel sonno fra atroci sofferenze. I qua-
dri ed il libro di Thermogorothus vengono messi all’indice e
destinati al rogo.
1631 Agosto
Thermogorothus viene catturato da alcuni soldati svedesi nei
pressi di Dresda, riconosciuto viene processato e arso sul
rogo la notte della Vigilia di Natale dello stesso anno
1634
Legione, sfuggito all’inquisizione, si trova a Venezia; poco
dopo questa data viene pubblicato in Italia “La Grande Dan-
se Macabre”, il grimorio di cui è considerato l’autore. Il te-
sto giudicato blasfemo viene subito messo all’Indice dalla
Chiesa e l’editore che stampò l’opera viene arrestato e bru-
ciato al rogo.
1643
A Berna viene stampata una traduzione in latino del “Vobi-
scum Satanas” di Thermogorothus fatta da Legione. Dopo
questa data non si hanno altre notizie al suo riguardo.
275
1692 ca
Edmund Carter sfugge al rogo durante gli orrori di Salem
1743 2 giugno
Nasce a Palermo Giuseppe Balsamo, conosciuto poi con il
nome di Conte di Cagliostro
1771
Balsamo si reca al Londra con la moglie Lorenza Feliciani,
qui finisce in prigione per debiti e, per restituire le somme
dovute, è costretto a lavorare come decoratore.
1772
Balsamo si reca a Marsiglia e si cimenta nelle vesti di tau-
maturgo: sembra che, dietro lauto compenso, faccia credere
ad un innamorato di poter riacquistare il vigore fisico me-
diante l’attuazione di alcuni riti magici. Scoperto
l’imbroglio, viene costretto a fuggire e a cercare riparo in
Spagna, a Venezia, quindi ad Alicante per terminare la fuga
a Cadice.
1776
Balsamo ritorna a Londra, presentandosi come conte Ales-
sandro di Cagliostro, dopo aver fatto uso di nomi altisonanti
accompagnati da fantasiosi titoli quali conte d’Harat, mar-
chese Pellegrini, principe di Santa Croce: durante questo
soggiorno, insieme alla moglie, divenuta nel frattempo la
celestiale Serafina, viene ammesso alla loggia massonica
"La Speranza".
1777-80
La massoneria offre a Cagliostro ottime opportunità per
soddisfare ogni ambizione sopita. Grazie alle vie da essa in-
dicate e alle cognizioni acquisite, egli riscuote successi ap-
276
paganti moralmente ed economicamente che lo portano ad
attraversare l’Europa centro-settentrionale, dall’Aia a Berli-
no, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia. Il nuovo
rito egiziano di cui Cagliostro era Gran Cofto, affascina no-
bili ed intellettuali con le sue iniziazioni e pratiche rituali
che prevedono la rigenerazione del corpo e dell’anima.
Grande risalto ha, inoltre, la figura di Serafina, presidentessa
di una loggia che ammette anche le donne, con il titolo di
regina di Saba. Alla corte di Varsavia, nel maggio del 1780,
Cagliostro riceve un’accoglienza trionfale tributata dal so-
vrano in persona: la sua fama di alchimista e guaritore aveva
raggiunto le vette più alte.
1781
Cagliostro si trasferisce alla corte di Strasburgo, dove con-
quista la stima e l’ammirazione del filosofo Lavater e del
gran elemosiniere del re di Francia, il cardinale di Rohan.
1783 ca
Cagliostro, dopo alcuni viaggi a Napoli e Bordeaux si trasfe-
risce a Lione dove consolida il rito egiziano, istituendo la
"madre loggia", la Sagesse triomphante, per la quale ottiene
una fiabesca sede e la partecipazione di importanti persona-
lità. Quasi nello stesso momento giunge l’invito al convegno
dei Philalèthes, la prestigiosa società che intendeva appurare
le antiche origini della massoneria.
1785 ca
Cagliostro viene coinvolto nell’affaire du collier de la reine
che lo rese protagonista suo malgrado, insieme a Rohan e
alla contessa Jeanne Valois de la Motte, del più celebre ed
intricato scandalo dell’epoca, il complotto che diffamò la
regina Maria Antonietta e aprì la strada alla rivoluzione
francese. Dopo essere stato rinchiuso alla Bastiglia, Caglio-
277
stro viene condannato all’esilio e fa ritorno a Londra con la
moglie.
1786-88
Cagliostro e la moglie cercano di risollevare le proprie sorti
compiendo vari viaggi: Aix in Savoia, Torino, Genova, Ro-
vereto. In queste città Cagliostro continua a svolgere
l’attività di taumaturgo e ad istaurare logge massoniche.
Giunto a Trento nel 1788, viene accolto con benevolenza dal
vescovo Pietro Virgilio Thun che lo aiuta ad ottenere i visti
necessari per rientrare a Roma.
1789, 16 settembre
Cagliostro tenta di costituire anche a Roma una loggia di rito
egiziano, invitando a Villa Malta prelati e patrizi romani.
L’iniziativa non consegue l’esito sperato, ma viene comun-
que interpretata come una vera e propria sfida dalla Chiesa
che, attraverso il Sant’Uffizio, sorveglia con maggior zelo le
mosse dello sprovveduto avventuriero.
1789, 27 dicembre
Il pretesto per procedere contro Cagliostro viene offerto
proprio da Lorenza che, consigliata dai parenti, rivolge al
marito accuse molto gravi durante la confessione: viene così
indotta a denunciarlo come eretico e massone. Cagliostro
scrive un memoriale diretto all’Assemblea nazionale france-
se, dando la massima disponibilità al nuovo governo. La re-
lazione viene intercettata dal Sant’Uffizio che redige un det-
tagliato rapporto sull’attività politica ed antireligiosa del
"Gran Cofto": papa Pio VI, il 27 dicembre, decreta l’arresto
di Cagliostro e della moglie Lorenza.
1790
Ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta
278
sorveglianza, Cagliostro attende per alcuni mesi l’inizio del
processo. Al consiglio giudicante egli appare colpevole di
eresia, massoneria ed attività sediziose e il 7 aprile viene
emessa la condanna a morte. In seguito alla pubblica rinun-
cia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottiene la
grazia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice
nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni
dell’inaccessibile fortezza di San Leo
1795, 26 agosto
Cagliostro muore per un colpo apoplettico nella Cella del
Pozzetto a San Leo.
1883, 7 Ottobre
Randolph Carter, ancora ragazzo, lascia la Tana dei Serpenti
nella incerta luce serotina; correndo lungo il pendio roccioso
e attraverso il frutteto dai rami contorti, raggiunge la casa
dello zio Christopher sulle colline oltre Arkham
1927-28
Durante l’inverno alcuni funzionari del Governo federale
conducono una misteriosa inchiesta segreta nell’antica citta-
dina di Innsmouth, piccolo porto di mare nel Massachussets.
1928, 7 ottobre
Randolph Carter scompare all’età di 54 anni.
1930
In autunno Randolph Carter ritorna da un mistico viaggio
nell’ignoto.
1932
A New Orleans, città del più grande mistico, matematico e
orientalista del continente, si provvede alla ereditaria del pa-
279
trimonio di un mistico un po’ meno insigne, nonché erudito,
scrittore e sognatore, scomparso dalla faccia della terra quat-
tro anni prima.
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