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Miranda Gurzo

LA LUCE DELLA CONOSCENZA

Edizioni Terre Sommerse 2010


SOMMARIO

INTRODUZIONE ............................................................................................. 5

Cos’è lo gnosticismo? ..................................................................................... 11


Parte prima: creazione, caduta e redenzione ................................................... 17
Mito e verità .................................................................................................... 19
La rivelazione del dio nascosto ....................................................................... 23
Il pleroma valentiniano ................................................................................... 29
L’origine del male: la caduta di sophia e l’arconte malvagio ......................... 33
La creazione dell’umanità terrena ................................................................... 39
L’origine della coscienza umana ..................................................................... 43
Le due facce del creatore e l’ambivalenza dell’anima umana ........................ 51
Le tre nature .................................................................................................... 59
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia ........................................ 67
L’illuminatore e la redenzione ........................................................................ 83
La mistica del nome di Gesù .......................................................................... 93
Il battesimo, le acque del Giordano e il serpente .......................................... 103
Parte seconda: I segreti della cosmologia gnostica ....................................... 109
La pentade e il numero sacro 72 ................................................................... 111
Il valore cosmologico del numero dodici ..................................................... 117
La dodecade, la pentade e il dodecaedro ...................................................... 119
Il dna e il dodecaedro .................................................................................... 121
I numeri sacri 32 e 64 .................................................................................... 125
L’armonia delle sfere ..................................................................................... 131
La proporzione aurea e il codice segreto della numerologia gnostica .......... 139
Tutto è uno: il monismo gnostico e le nuove prospettive della fisica ...........134
Epilogo .......................................................................................................... 151

Bibliografia ................................................................................................... 159


Indice analitico ............................................................................................. 161
INTRODUZIONE

Fino alla seconda metà del XX secolo lo gnosticismo era senz’altro un


argomento ‘di confine’, riservato più che altro alla mera curiosità di in-
tellettuali e studiosi del primo cristianesimo o della filosofia antica. I
moderni studi sullo gnosticismo non avrebbero probabilmente mai visto
la luce se un caso del tutto fortuito non avesse condotto un contadino
egiziano a fare una singolare scoperta. Nel dicembre del 1945, a Nag
Hammadi in Alto Egitto, Muhammad Ali al Samman e i suoi fratelli si
trovavano vicino all’altura di Jabal al Tarif in cerca di terra per fertiliz-
zare i loro campi quando, nel corso dello scavo, si imbatterono in una
giara di terracotta sepolta; dopo alcune esitazioni ruppero il contenitore e
rinvennero tredici codici di papiro risalenti al terzo secolo e scritti in cop-
to, un dialetto egiziano dei primi secoli dopo Cristo, composti a partire
da originali in greco molto più antichi e andati perduti: opere importanti
e ricche di spiritualità come il Vangelo di Tommaso e il Vangelo della
Verità tornavano così alla luce dopo milleseicento anni di oblio, nascosti
sotto l’arida sabbia egiziana. Si suppone che la giara sia stata seppellita
da uno o più monaci del vicino monastero di San Pacomio, in seguito
alla condanna delle opere cosiddette apocrife da parte della costituenda
Chiesa cattolica. Nonostante lunghe vicissitudini, i codici entrarono in
possesso delle autorità egiziane e furono in seguito messi a disposizione
di studiosi di tutto il mondo affinchè si potesse intraprendere la loro tra-
duzione e il loro studio. Quella scoperta avrebbe cambiato per sempre il
volto dello studio accademico del primo cristianesimo.
Fino ad allora lo gnosticismo era conosciuto per lo più per mezzo delle
opere polemiche scritte dai padri della nascente Chiesa cattolica; oltre
ad alcune note sulle cosiddette eresie trasmesseci dalle opere di Origene
e Clemente Alessandrino, le fonti patristiche più consistenti a questo ri-
guardo sono l’opera in cinque libri di Ireneo, vescovo di Lione, (II sec-
olo) conosciuta come “Adversus haereses”, la “Confutazione di tutte le

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eresie” di Ippolito (II secolo) e il “Panarion” di Epifanio, vescovo di
Salamina (IV secolo).
Ovviamente la letteratura sullo gnosticismo derivata dalle fonti patris-
tiche non aveva lo scopo di diffondere o promuovere il messaggio gnos-
tico, ma di condannarlo, ridicolizzarlo e, quando possibile, coprirlo di
vergogna. Per i padri della Chiesa, così come per l’attuale establishment
cattolico, lo gnosticismo era ed è l’”eresia eterna”: cercare di capire lo
gnosticismo leggendo le opere polemiche della patristica, prendendo per
buone tutte le calunnie che vi sono riportate, è come pretendere di con-
oscere una persona prestando ascolto al suo peggior nemico. I resoconti
degli eresiologi contengono infatti numerose inesattezze, anacronismi e
interpretazioni distorte sulle credenze e gli usi dei loro nemici; alcuni di
loro, come Epifanio, cercarono di screditare i gruppi gnostici attribuendo
loro cerimonie blasfeme e lascive. Lo studioso Kurt Rudolph, autore di
un approfondito testo sulla gnosi, coglie questo dato e sottolinea che
l’acredine di Epifanio “ha ottenebrato le sue capacità critiche di trattare
i fatti, inducendolo anche a inventarsi cose inesistenti e a citare notizie
inverosimili. In questo modo Epifanio ha introdotto una gran confusione
nella storia delle eresie del primo cristianesimo e la ricerca critica ha
avuto il suo bel daffare per sceverare la pula dal grano… in alcuni pas-
si sembra proprio sciogliere le briglie della fantasia e farsi prendere la
mano dall’oscenità”.
L’idea che ci viene tramessa da queste opere è quella di una Grande
Chiesa infallibile e perfettamente strutturata che prende le distanze da
quelle che ritiene essere null’altro che deviazioni dal dogma consolidato
della fede, quando non apertamente falsità con le quali il diavolo cerca di
sviare i credenti dalla retta via. In realtà la nascita della Chiesa cattolica
non è avvenuta affatto in modo lineare e semplice, ma attraverso lotte
intestine e rivalità molto accese. Rivalità e contrasti che sottolineano la
varietà davvero ampia dei punti di vista su tutti gli argomenti di fede nei
primi secoli dopo Cristo, prima che venisse definitivamente stabilito il
dogma della fede: chi era Gesù e quale ruolo aveva nell’economia vet-
erotestamentaria? Che ruolo si doveva ascrivere al Vecchio Testamento,
visto attraverso il focus della predicazione di Gesù? Come doveva essere
strutturata, e da chi doveva essere guidata la nascente Chiesa di Gesù? Se
Dio è buono e onnipotente, perché esiste il male?

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Perché allora, in questa crescente confusione furono gli gnostici i perse-
guitati? Cosa c’era di così sovversivo nelle loro opere e nel loro credo da
meritare una condanna così spietata? Perché furono perseguitati e messi
al bando, uccisi? Perché le loro opere furono sistematicamente distrutte?
Ovviamente non è possibile rispondere a queste domande in poche righe,
pertanto si rimanda chi volesse conoscere meglio le risposte a queste
questioni all’importante testo di Elaine Pagels, “I vangeli gnostici”.
Basti dire che gli gnostici non accettavano l’idea di una gerarchia vertica-
le all’interno della Chiesa; insistendo sull’importanza dell’illuminazione
interiore, non ammettevano che il credente, per rapportarsi a Dio, avesse
la necessità di una figura autoritaria intermediaria che gli dicesse in cosa
credere e come pregare. Inoltre, gli gnostici erano per lo più scettici nei
riguardi di qualsiasi forma di autorità politica. Anche se nella maggior
parte degli scritti gnostici a noi pervenuti non c’è traccia di aperte con-
danne verso i governatori mondani, il loro atteggiamento polemico nei
confronti delle autorità politiche si può leggere fra le righe nell’aperta
ostilità da essi dimostrata verso gli arconti (dal greco ‘archon’, gover-
natore), cioè le malevole potenze celesti che presiedono al destino e al
governo delle cose terrene. Questo punto di vista assolutamente antiau-
toritario era considerato una gravissima minaccia, dal momento che la
religione cristiana, dopo feroci persecuzioni, era divenuta la religione
ufficiale dell’Impero Romano, per volere dell’imperatore Costantino.
Proprio per questo motivo nell’anno 325 si era tenuto a Nicea un con-
cilio che aveva lo scopo di definire una volta per tutte il canone dei libri
sacri e il dogma cattolico (‘universale’). Si può quindi ben comprendere
come l’avversione degli gnostici verso gli interessi politici dlla Chiesa
fosse considerata un tradimento e una minaccia al consolidamento della
struttura gerarchica ecclesiale.
A suscitare la profonda riprovazione dei padri della Chiesa verso gli
gnostici era anche la presenza della donna nell’ambito liturgico, come
diacona o sacerdotessa; già dal III secolo era stata infatti dichiarata ca-
nonica la Lettera di Paolo a Timoteo, che proibiva alle donne il servizio
liturgico e ne ribadiva la sottomissione all’uomo. La Lettera, che gli
gnostici valentiniani consideravano spuria (e a ragione, dato che anche
oggigiorno viene considerata dagli studiosi un testo pseudoepigrafico)
diventava quindi un altro motivo di dissenso tra cattolici e gnostici. La

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feroce misoginia dei primi padri della Chiesa è ben testimoniata dal fe-
roce disprezzo verso il genere femminile dimostrata dall’opera patrolog-
ica di Tertulliano, ‘De cultu foeminarum’: “Voi siete la porta d’accesso
del diavolo… Siete colei che persuase colui che il diavolo non osava at-
taccare… Lo sapete che ognuna di voi è un’Eva? La condanna di Dio nei
riguardi del vostro sesso permane in questa era; con essa, conseguent-
emente, la colpa”. In ambito gnostico, contrariamente, la donna aveva la
stessa dignità di ogni essere umano di sesso maschile, dal momento che
Dio stesso veniva concepito come androgino, cioè come la fonte stessa
delle qualità spirituali sia maschili che femminili.
La feroce repressione dei movimenti gnostici ha una tragica prefigura-
zione in uno dei detti contenuti nel Vangelo di Tommaso: “(Gesù) lo
prese da parte e gli disse tre parole. Quando Tommaso tornò dai com-
pagni, questi gli chiesero: ‘Cosa ti ha detto Gesù?’. Tommaso rispose:
‘Se vi dicessi anche una sola delle cose che mi ha rivelato, prendereste in
mano delle pietre e mi lapidereste…” (loghion 13).
Come è noto, la storia viene scritta dai vincitori e fino a pochi decenni
fa l’unica voce in capitolo era quella dei padri della Chiesa, che se da un
lato hanno preservato le dottrine gnostiche dall’oblio totale, dall’altro
hanno tramandato anche errori ed esagerazioni.
Lo studio moderno dello gnosticismo è nato con il ritrovamento in Eg-
itto, nel 18° e 19° secolo, di alcuni testi in copto (Codex Askewianus,
Codex Brucianus e Codex Berolinensis) che hanno portato all’attenzione
degli studiosi testi importanti come la Pistis Sophia e una versione breve
di un testo cruciale dello gnosticismo sethiano, la Rivelazione Segreta di
Giovanni.
I testi gnostici assicurano di trasmettere al lettore gli insegnamenti segreti
di Gesù trasmessi ai discepoli dopo la resurrezione, quelli che per le folle
di discepoli, ancora spiritualmente immaturi, sarebbe stato troppo arduo
comprendere; effettivamente anche nei vangeli canonici alcune dichiara-
zioni di Gesù confermano l’esistenza di una dottrina riservata ai pochi
in grado di comprenderla. Ad esempio si legge in Marco 4,11: “A voi è
stato confidato il mistero del Regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto
viene esposto in parabole, così che guardino ma non vedano, ascoltino
ma non intendano, affinchè non si convertano e venga loro perdonato”;
anche il racconto di Matteo conferma questo dato: “Allora i discepoli

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si avvicinarono e chiesero ‘Perché parli loro in parabole?’. Egli rispose
loro ‘Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a
loro non è dato…” (Matteo 13,11); “Non date ciò che è santo ai cani e
non gettate le vostre perle ai porci, perché non le pestino con le zampe e,
rivoltatisi contro di voi, vi sbranino” (Matteo 7,6).
Secondo gli gnostici, l’iniziazione all’insegnamento segreto di Gesù era
stato dato solo a coloro che erano spiritualmente maturi per riceverlo.
Il maestro valentiniano Eracleone sottolineava questo concetto dicendo
che “dapprima si crede per la altrui testimonianza… poi si arriva a cre-
dere per la verità stessa” (Framm. Er. 39).
Lo scopo di questo studio non è quello di proporre un’analisi dettagliata
di tutti i sistemi gnostici, dal momento che l’impresa sarebbe a dir poco
colossale, bensì di evidenziare le verità fondamentali che essi cercavano
di trasmettere, verità che forse, alla luce di molte moderne scoperte sci-
entifiche e grazie all’evoluzione del pensiero umano, possono essere fi-
nalmente rivalutate. Dal momento che i sistemi più conosciuti, grazie ai
recenti ritrovamenti di Nag Hammadi, sono quelli ascrivibili alle scuole
note rispettivamente come sethiana e valentiniana, si farà riferimento ai
testi più importanti prodotti dalle rispettive cerchie. Inoltre, entrambe
hanno molti punti in comune, e spesso le divergenze fra di esse sono solo
apparenti; questo rende possibile enunciare i punti principali del pensiero
gnostico focalizzandosi ora su un sistema, ora sull’altro, senza che vada
persa la coerenza di fondo dell’argomento in questione.

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COS’È LO GNOSTICISMO?

Nonostante il termine ‘gnosticismo’ sia considerato inadeguato da molti


studiosi moderni è ancora un buon punto di partenza per distinguere un
assunto fondamentale: al centro del pensiero gnostico è appunto la ‘gno-
sis’, in greco ‘conoscenza’, una conoscenza di Dio non mediata da meri
dati nozionistici o di fede (in greco ‘pistis’) ma da una base esperienziale
data dall’illuminazione interiore. La fede non è quindi concepita come
cieca adesione ad un credo di secondo mano, ma piuttosto come fiducia
nella propria illuminazione interiore.
Ma dove e come è nato lo gnosticismo? Per rispondere conviene dare
un rapido accenno della situazione storica in cui questo movimento reli-
gioso è inquadrato.
Si presume che la culla originaria dello gnosticismo sia stato l’ambiente
alessandrino dei primi secoli dopo Cristo. Alessandria d’Egitto era a quel
tempo una fiorente metropoli dell’Impero Romano, centro di scambio
commerciale verso cui affluirono uomini e donne da tutto il Medio Ori-
ente; questa situazione di cosmopolitismo portò ovviamente a importanti
interazioni fra culture geograficamente lontane. In quel periodo fiorivano
in tutto l’Impero Romano culti d’importanzione orientale, come quello
di Iside (dall’Egitto) e quello di Mitra (dalla Persia); nascevano anche
nuove religioni cosiddette sincretiste, che cioè recuperavano e spesso ri-
elaboravano simboli e pratiche provenienti da differenti tradizioni spiri-
tuali, come il culto di Ermete Trismegisto (che incorporava la divinità
greca Ermete, il messaggero degli dei, e il dio egizio Thot, signore della
conoscenza). Il clima psicologico dell’epoca, tuttavia, era quello di una
crisi imminente e, da certi punti di vista, già in corso. La crisi dei vecchi
equilibri politici e culturali lasciava infatti presagire per il futuro sce-
nari senz’altro poco rosei. L’immenso territorio coperto dal potere della
Roma imperiale incorporava innumerevoli popoli che spesso erano te-
nuti sotto il giogo della sottomissione con la forza; nonostante il potere

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La Luce della Conoscenza
romano desse ampia libertà di usi e costumi agli abitanti dei territori as-
soggettati, il loro dominio era senza dubbio tirannico. Fu nella Palestina
di quel tempo, oppressa e in animo di ribellione, che nacque e mosse i
primi passi il nascente movimento cristiano, ben presto diffusosi in tutto
il Medio Oriente e da lì alle più lontane province dell’Impero. Nata iniz-
ialmente nell’alveo del giudaismo, la cristianità di quegli anni incontrò,
nel corso della sua capillare diffusione, la cultura ellenico –romana di
quel tempo.
Presumibilmente fu proprio l’Alessandria di quell’epoca il luogo ideale
dove sarebbe nata la fusione dei tanti elementi che costituirono le fonda-
menta del pensiero gnostico, che incorpora elementi della cultura giudai-
ca, della filosofia greca, del pensiero astrologico ed ermetico; tutti questi
inquadrati in un contesto più o meno cristianizzato. A tutto ciò si andò ad
aggiungere lo spirito dei tempi, come già detto tutt’altro che idilliaco, e
in particolare lo stato psicologico dei primi cristiani. Sin dalla nascita il
movimento cristiano aveva destato sospetto: era considerato un possibile
fattore perturbante, nato intorno alla figura di un ribelle, condannato alla
pena capitale dalle autorità imperiali e da quelle religiose ebraiche. A ciò
si deve aggiungere il reciso rifiuto opposto dai cristiani alla richiesta di
adorazione della figura semidivina dell’imperatore; tutto ciò inaugurò
l’epoca terribile delle persecuzioni, quando lo spettacolo delle pubbliche
esecuzioni di cristiani al patibolo o nei giochi crudeli delle arene era
cosa comune. Un’eco molto chiara del probabile stato d’animo di chi
abbracciava la fede cristiana si trova nell’Apocalisse di Giovanni; nel
testo le figure paurose della Bestia che sale dal mare e della Prostituta
di Babilonia sono una rappresentazione nemmeno troppo dissimulata
della folle megalonia dell’imperatore, della crudele e corrotta tirrania
dell’Impero e del sistema di cose da esso inaugurato; tuttavia, le forza del
male vengono infine vinte dal secondo avvento del Cristo: i martiri, testi-
moni della fede che “hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello”
trionferanno definitivamente sulle forze tiranniche delle autorità terrene,
vera incarnazione del potere diabolico.
Nonostante i momenti più tragici il movimento cristiano acquistava vi-
gore; dal momento che la creazione di un canone e di un dogma era an-
cora molto lontana (il primo concilio della Chiesa, a Nicea fu convocato
solo nel 325 d.C) mistici e teologi tentarono di interpretare il messaggio

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Cos’è lo gnosticismo?
di Gesù e il significato della redenzione. Da questa profonda riflessione
sulla figura del Cristo, sull’origine del mondo e dell’uomo e sulle cose
ultime (escatologia) sono nate le molteplici correnti cristiane che con-
osciamo ancora oggi, e molte altre che come abbiamo visto sono state
travolte da un destino meno fortunato.
‘Gnosticismo’ è alla fine un termine-ombrello sotto il quale sono state
raggruppate molte correnti del primo cristianesimo. In realtà, come ab-
biamo poco prima accennato, si tratta di diverse scuole di pensiero eso-
terico basato sulla conoscenza mistica, ognuna facente capo a un diverso
maestro spirituale.
Ad esempio, lo gnosticismo valentiniano faceva capo a Valentino (100
d.C. circa). Valentino dichiarava di essere stato discepolo di Teoda, a sua
volta discepolo di Paolo, e iniziò la propria carriera di insegnante cris-
tiano ad Alessandria d’Egitto verso il 120 d. C.
La dichiarazione di Valentino, che sosteneva di tramandare il corpus eso-
terico dell’insegnamento paolino, non deve stupire. Molti studiosi, fra i
quali Elaine Pagels nella sua opera “The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis
of the Pauline Letters”, hanno sottolineato il carattere eminentemente
gnostico degli scritti di Paolo: le epistole paoline insistono spesso sulla
conoscenza mistica del Cristo; inoltre Paolo, che non aveva mai con-
osciuto di persona Gesù, affermava di aver ricevuto le sue rivelazioni tra-
mite l’estasi spirituale: l’apostolo narra di essere stato rapito fino al terzo
cielo, dove ha udito “parole ineffabili, che ad un uomo non è consentito
proferire” (2 Cor. 12, 2-4). L’apostolo afferma apertamente di possedere
“una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori
di questo mondo, i quali stanno per essere annientati, ma una sapienza
divina, misteriosa, che è rimasta nascosta… e che nessuno dei domina-
tori di questo mondo ha conosciuto” (1 Cor. 2,6-8); secondo Paolo la
carne e lo spirito sono inconciliabili (Rom. 8, 5-10; 13, 11-13; 1 Tess.
5, 4-6); il mondo è governato da potenze maligne (1 Cor. 2, 6-8; 2 Cor
4, 4, Gal. 4, 3-9) e la legge mosaica è opera degli angeli (Gal. 3, 19). Si
potrebbe continuare, ma questi pochi esempi bastano per capire il motivo
dell’interesse di Valentino per le epistole paoline.
Secondo le notizie riportate dagli eresiologi, Valentino dichiarava di aver
avuto una visione del Verbo in forma di neonato, che costituì la base del
suo sistema mistico-filosofico.

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La Luce della Conoscenza
La teologia esoterica sviluppata da Valentino ebbe un grande riscontro;
era molto apprezzato per la sua eloquenza e la sua profondità di pensiero
ed assunse un ruolo preminente dopo il suo arrivo a Roma, dove fu anche
candidato al ruolo di papa. Data la sua precoce apparizione, agli albori
del nascente cristianesimo, non risulta che sia mai incorso, ancora in vita,
negli strali della sviluppanda Chiesa cattolica; fu una scomunica post
mortem a condannarlo come eretico. D’altronde, gli stessi valentiniani
ritenevano di essere parte integrante della Chiesa cattolica e cercarono
per molto tempo di resistere ai tentativi di allontanarli. Il pensiero di
Valentino fu in seguito approfondito da alcuni seguaci, fra cui Eracleone,
Teodoto, Marco e Tolomeo.
Gli gnostici sethiani non si rifacevano ad un maestro in carne ed ossa,
ma a Seth, terzo figlio di Adamo ed Eva, di cui Gesù era considerato una
manifestazione. Dato il carattere per lo più ascetico delle opere sethiane
a noi pervenute si supponte che i sethiani non conducessero una vita pub-
blica come i valentiniani; più probabilmente vivevano in comunità mo-
nastiche, in modo piuttosto appartato. Queste due scuole gnostiche sono
accomunate, oltre all’importanza data alla gnosi come mezzo salvifico,
da altre caratteristiche, fra le quali la natura trascendente della Divinità
suprema che si rivela per mezzo dell’emanazione di esseri spirituali, la
natura inferiore della realtà materiale, plasmata non dal vero Dio ma da
potenze intermedie, l’origine ultramondana dello spirito umano e la pre-
senza di messaggeri di luce inviati sulla terra per destare l’umanità dal
suo sonno spirituale.
Le opere gnostiche ritrovate a Nag Hammadi sono per la maggior parte
opere valentiniane e sethiane strutturate in modo variegato.
Il Vangelo della Verità, per esempio, attribuito a Valentino stesso, è una
lunga omelia che, riducendo al minimo il nutrito linguaggio mitologico
gnostico, cerca di dare una ragione della fallace condizione umana e svi-
luppa il tema della redenzione per mezzo di Gesù.
Al contrario la Rivelazione Segreta di Giovanni racconta la creazione del
mondo superiore (Pleroma) e di quello terreno facendo abbondante uso
di immagini mitologiche, ed è stato uno dei primi testi cristiani a pro-
porre una estesa ed articolata sintesi di temi teologici e cosmologici; in
esso viene esposta l’origine del mondo divino e di quello terreno, cercan-
do di dare una formulazione esaustiva riguardo l’origine dell’umanità,

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Cos’è lo gnosticismo?
il suo ruolo nel mondo, l’origine del male e della sofferenza e il destino
ultimo della creazione. Nella Rivelazione Segreta di Giovanni il mistero
del male trova la sua origine nelle potenze malevole che dominano il
mondo terreno e cercano di sottomettere alla propria tirrania il genere
umano, contrastando il disegno spirituale del Dio della Verità; nonos-
tante i piani di queste entità tenebrose, messaggeri dal regno della Luce
portano nel mondo l’annuncio salvifico, con lo scopo di risvegliare le
coscienze dell’umanità e illuminarle riguardo alle loro origini spiritu-
ali. Il testo recupera, reinterpretandoli alla luce del messaggio di Cristo
che corregge le loro parziali verità, una vasta gamma di temi filosofici
e letterari comuni all’area mediterranea del suo tempo: il racconto della
creazione in Genesi, elementi della filosofia platonica e della tradizione
ebraica della Saggezza e credenze legate all’astrologia e alla cosmolo-
gia antica. La moltitudine di interpretazioni di un testo ancor oggi sacro
come la Genesi, che può suscitare sconcerto agli occhi di un credente
delle chiese odierne, non era motivo di imbarazzo per i gruppi gnostici,
ma era anzi la prova della ricchezza intrinseca del testo stesso
Alcuni altri testi della biblioteca di Nag Hammadi, come Zostrianos e
Marsanes, sono resoconti dell’ascesa mistica dell’anima nei vari livelli
noetici del regno spirituale.
Un aspetto peculiare degli scritti gnostici è il carattere pseudoepigrafi-
co, cioè l’attribuzione dell’opera ad un maestro riconosciuto, al fine di
conferirle autorevolezza; i polemisti cristiani additavano questa usanza
come una prova della mancanza di autenticità degli scritti che circolav-
ano nelle conventicole gnostiche, ma in realtà gli studiosi moderni che
credono che i vangeli canonici e le epistole siano stati davvero scritti da-
gli apostoli o dai loro discepoli sono molto pochi; ad esempio, il Vangelo
di Giovanni, il più tardo nella composizione rispetto agli altri vangeli
canonici, fu composto molto tempo dopo la morte dell’evangelista a cui
è attribuito. Il carattere pseudoepigrafico ha anche un valore simbolico:
esso indica che un dato testo è stato scritto ‘nello spirito’ dell’apostolo o
discepolo a cui è stato attribuito. Ad esempio, la Rivelazione Segreta di
Giovanni è stata composta nello spirito dell’autore del quarto Vangelo;
molti sono infatti i punti in comune con il pensiero del Giovanni ‘uffi-
ciale’: nel quarto Vangelo il mondo è governato da potenze maligne (12,
31; 14, 30; 16, 11) ed essere liberi dal mondo significa essere liberi dal

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La Luce della Conoscenza
peccato (8, 31-36).
Ovviamente sarebbe un’impresa colossale tentare di commentare nei
dettagli tutti i testi noti, si farà riferimento ad alcune delle opere gnos-
tiche sethiane e valentiniane più importanti e, più sporadicamente, agli
scritti di altre scuole gnostiche.
Per quanto riguarda la scuola sethiana i testi di riferimento saranno la
Rivelazione Segreta di Giovanni, l’Ipostasi degli Arconti, l’Origine dal
Mondo e il Libro Sacro del Grande Spirito Invisibile (altrimenti noto
come ‘Vangelo degli Egiziani’).
Oltre alle principali opere valentiniane, come il Vangelo della Verità, il
Vangelo di Filippo e il Trattato Tripartito, si farà riferimento anche ai
testi degli eresiologi, specialmente laddove trasmettono dati che i testi
originali a nostra disposizione non riportano, data la loro esiguità nu-
merica per un movimento tanto vasto e diversificato.

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PARTE PRIMA

CREAZIONE, CADUTA E REDENZIONE


MITO E VERITÀ

Le opere gnostiche che ci sono giunte dal passato e le testimonianze,


siano esse più o meno fedeli alla teologia gnostica originale, che ci
sono state trasmesse dai polemisti cristiani, possono risultare a un pri-
mo sguardo confuse e confondenti: in esse si trovano, fra le altre cose,
lunghe dissertazioni sulla cosmologia e la cosmogonia, sulla natura della
condizione umana, sull’origine e il significato della sofferenza e così
via. Data la loro complessità, prima di esaminare in modo approfondito
questi argomenti è opportuno fare una premessa: il ruolo del mito nei
sistemi gnostici non è tanto da intendersi come letterale, ma piuttosto
come metaforico di una verità che difficilmente può essere rivelata per
mezzo di concetti razionali. Il mito è quindi il classico dito che indica la
luna. Approcciarsi ai testi gnostici e al loro contenuto senza tenere conto
di questa premessa significherebbe smarrirsi in una selva di immagini e
racconti mitologici spesso discordanti e inintelligibili.
Come recita il Vangelo di Filippo “la Verità non venne nel mondo nuda,
ma in simboli e immagini. Il mondo non la può ricevere in altro modo”.
Questa verità che gli gnostici cercavano di trasmettere non veniva comu-
nicata solo per mezzo di narrazioni e metafore, ma anche e soprattutto
tramite il simbolismo di parole, nomi e numeri. Era credenza largamente
diffusa nel mondo antico che il nome racchiudesse in sé l’essenza di ciò
che rappresentava, e che anzi la cosa rappresentata fosse meno ‘reale’
del suo archetipo, espresso attraverso il nome. Questa peculiare idea non
deve stupire: nell’antichità il dono della parola era considerato una tes-
timonianza dell’origine divina dell’uomo, dal momento che egli solo fra
le specie viventi è in grado di esprimersi con un linguaggio articolato e
intelligibile. D’altro canto, il dono del linguaggio era considerato come
una facoltà primaria della Divinità, quale strumento per la creazione del
mondo; questo concetto è ben rappresentato dalle prime righe del pro-
logo del Vangelo di Giovanni:”In principio era il Verbo, e il Verbo era

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La Luce della Conoscenza
presso Dio, e il Verbo era Dio”. In questa prospettiva, il linguaggio può
diventare il mezzo privilegiato con cui vengono espresse le verità su-
periori e divine. Da questo concetto, che era diffuso già dalla remota
antichità, deriva l’idea dell’importanza metafisica del nome e lo testimo-
niano numerosissime evidenze, tra le quali si può citare il ruolo rivestito
da lettere e numeri nella mistica ebraica già da tempi molto antichi, come
ad esempio nel testo pre-kabbalistico noto come Sephèr Yetzirah, o Libro
della Formazione, che espone come Dio abbia creato l’universo attra-
verso le 32 Vie della Sapienza, ovvero i primi dieci numeri e le 22 lettere
dell’alfabeto ebraico. Dal momento che le lettere dell’alfabeto avevano
anche funzione di numeri, tramite il valore numerico di ogni lettera era
possibile risalire al valore numerico dell’intera parola. La permutazione
delle lettere secondo il loro valore numerico, che è chiamata gematria,
era largamente diffusa nei circoli mistici ebraici e nella cultura greca:
un esempio fra migliaia, forse il più rappresentativo, è quello del nome
greco ‘Iesous’, traslitterazione dell’ebraico ‘Yeoshua’ (il nome ebraico di
Gesù, che significa ‘Salvatore’), che trasposto in numeri dà come risul-
tato 888; vedremo in seguito quanto sia cruciale la gematria e soprattutto
il valore numerico del nome ‘Iesous’, anche conosciuto come ‘episemon’
(nome di sei lettere), nella gnosi cristiana.
Il mito, il simbolo e la metafora sono quindi strumenti indispensabili
per penetrare le dottrine gnostiche: senza questi strumenti e una buona
dose di intuizione testi particolarmente interessanti come la Rivelazione
Segreta di Giovanni potrebbero sembrare solo stravaganti invenzioni di
una mente fantasiosa, mentre non c’è nulla in questi testi che sia stato
inserito casualmente. L’ampia derivazione di alcuni concetti e strumenti
della narrazione gnostica da culture lontane geograficamente o tempo-
ralmente, così notevole da meritargli la qualifica di dottrina sincretica,
non deve però oscurare un assunto fondamentale: nel Vangelo di Tom-
maso, una raccolta di detti di Gesù che molti studiosi ritengono sia prec-
edente persino ai vangeli canonici, il Salvatore invita più volte i discepoli
all’introspezione e all’analisi di sé ed è proprio da questa ricerca inte-
riore, portata fino ai livelli dell’ascesi mistica, che scaturiscono i person-
aggi e le misteriose cosmologie che popolano la mitologia gnostica, im-
magini di una verità che può essere compresa solo per mezzo di simboli.
Proprio per questo motivo in tempi molto più vicini alla nostra epoca il

20
Mito e verità
pensiero gnostico è stato al centro dell’interesse del fondatore della psi-
cologia analitica, Carl Gustav Jung, che si fece promotore della traduzi-
one e della pubblicazione dei testi di Nag Hammadi, di cui egli stesso
possedeva un codice (il cosiddetto Codex Jung). Jung era convinto che,
aldilà del significato metafisico dei miti gnostici, essi avessero un impor-
tante valore a livello psichico e che gli gnostici avessero espresso le loro
intuizioni servendosi del linguaggio mitologico per tentare di comuni-
care verità che sfuggono alla logica e alla razionalità. In un’occasione il
grande studioso dichiarò: “Tutta la vita ho lavorato e studiato per scopri-
re queste cose ed essi (gli gnostici, n.d.a.) già le conoscevano”. Egli stes-
so, in giovane età, compose un’opera ispiratagli da un’entità spirituale
chiamata Filemone, dal titolo ‘Sette Sermoni ai Morti’, e poeticamente
ascritta al maestro gnostico Basilide di Alessandria; più tardi riconobbe
che in quel trattato era presente in forma embrionale la maggior parte
delle intuizioni che più tardi lo avrebbero spinto a staccarsi dal proprio
maestro Freud e a sviluppare la psicologia analitica.

21
LA RIVELAZIONE DEL DIO NASCOSTO

I testi gnostici sethiani, così come quelli valentiniani, pongono al vertice


della catena dell’essere un Dio trascendente e inconoscibile, di cui nulla
può essere detto. Dato che le qualità e gli attributi della Somma Divinità
non sono esprimibili per mezzo di parole, di esso si parla in temini apo-
fatici, cioè negativi: “Non è lecito rappresentarselo come gli dei... egli,
infatti, è più grande degli dei, nessuno è al di sopra di lui… egli non ha
bisogno di vita, perché è eterno… egli è imperscrutabile, perché non
c’è nessuno prima di lui che lo possa scrutare… egli è invisibile, perché
nessuno l’ha visto…” (R. S. G. 4, 5 sgg.). I valentiniani sottolineava-
no la trascendenza della Somma Divinità designandola con il nome di
Abisso, o Ineffabile, o con altri termini che sottolineano l’impossibilità
della coscienza di comprendere o comunicare la più alta natura divina
con il linguaggio positivo. Eppure, nonostante la trascendenza, questo
Dio possiede un aspetto comprensibile che rivela attraverso una serie
di emanazioni di esseri spirituali o Eoni (dal greco ‘aion’, eternità) che
estrinsecano le sue qualità latenti.
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni, che presenta la Divinità come
una trinità costituita da Padre-Madre-Figlio, la Somma divinità, che in
altri testi viene chiamata il Grande Spirito Invisibile, rappresenta il Pa-
dre, mentre la Madre costituisce la prima emanazione: essa viene genera-
ta dal Padre in un atto di autoconsapevolezza e autoriflessione: “Egli
la vede nella sua acqua luminosa, cioè nella sorgente della pura acqua
luminosa che lo circonda” (R. S. G. 5, 11). Nel testo la Madre viene
anche chiamata Barbelo, un termine che sembra derivare dall’aramaico
‘b’arb’el’, cioè “nel quattro è Dio”. Essa viene descritta nei testi sethiani
come il Primo Pensiero e la Provvidenza (Grazia) di Dio, immagine dello
Spirito Invisibile; nella teologia gnostica prende il posto dello Spirito
Santo. L’espressione greca per ‘Spirito Santo’ , ‘Hagion Pneuma’ è di
carattere neutro. I maestri gnostici si riferivano infatti all’espressione

23
La Luce della Conoscenza
ebraica ‘Ruah Kadosh’, di genere femminile, da cui la figura della
Madre. Dio viene quindi concepito come Madre e Padre allo stesso
tempo (in gr. ‘Metro-Pator’), cioè come fonte sia delle qualità spirituali
maschili che femminili; un aspetto non deve essere considerato separata-
mente dall’altro: essi sono contemporanei e inscindibili e costituiscono
una relazione armoniosa fra principi complementari, come lo Yin e lo
Yang del pensiero taoista. Parallelamente, nella dottrina valentiniana il
Padre Ineffabile o Abisso, eterno e ingenerato, giace in sizigia (dal greco
‘coppia’) con la propria Ennoia (in gr. ‘pensiero’), anche detta ‘Grazia’
e ‘Silenzio’. Dalla loro unione viene generato l’Intelletto (in gr. ‘nous’),
che viene anche chiamato Unigenito, Padre e Principio; egli forma una
sizigia con la propria compagna Verità (in gr. ‘aletheia’). I valentiniani
consideravano questa Tetrade originale come “la prima e primigenia
tetractys pitagorica, che chiamano anche ‘radice di tutte le cose’”(Adv.
Haer. I,1).
Anche il nome ‘Barbelo’, oltre a essere stato messo in relazione da molti
studiosi con il nome di quattro lettere ‘YHVH’ con cui Dio viene desig-
nato nella Torah, è stato collegato alla tetractys dei pitagorici, dalle cui
le dottrine gli gnostici attinsero in modo particolarmente abbondante. Il
concetto di tetractys deriva dalla somma dei primi quattro numeri, che
dà dieci:

*
* *
* * *
* * * *

1+2+3+4=10

La tetractys veniva rappresentata tramite dieci pietre disposte a triangolo


ed era ritenuta di capitale importanza per la comprensione dei misteri del
cosmo.
Nel mito valentiniano il processo di emanazione prosegue con la gener-
azione, da parte di Intelletto e Verità, di una nuova sizigia: Verbo (in
greco ‘logos) e Vita (in greco ‘zoe’), i quali a loro volta emanano Essere

24
La rivelazione del dio nascosto
Umano (gr. ‘anthropos’) e Chiesa (comunità, gr. ‘ecclesia’). La prima e
la seconda Tetrade formano “l’Ogdoade primigenia, radice e sostanza di
tutte le cose” (Adv. Haer. I 1).
Nonostante nella Rivelazione Segreta di Giovanni non compaia il con-
cetto di ogdoade, in molti altri testi sethiani esso ha una grande rilevanza.
Per esempio leggiamo nel Vangelo degli Egiziani come dal Grande Spiri-
to Invisibile e dalla Provvidenza vengano emanante tre potenze ottuplici:
Padre, Madre e Figlio; da quest’ultimo vengono emanate sette potenze
simboleggiate dalle sette vocali dell’alfabeto greco, ognuna delle quali è
ripetuta nel testo per 22 volte (cioè le tre ottave pitagoriche).
Il nome ebraico di Gesù, Yeoshua, è stato tradotto dai primi cristiani in
greco come ‘Iesous’ (dal valore gematrico 888) proprio per sottolineare
l’importanza del concetto di ogdoade.
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni il processo dell’emanazione
prosegue con la generazione di quattro virtù ipostatizzate rappresentate
in forma semipersonificata: la Prima Conoscenza, l’Immutabilità, la Vita
Eterna e la Verità.
Esse formano con Barbelo “la Pentade degli Eoni del Padre, cioè il Primo
Essere Umano, l’immagine dello Spirito Invisibile… questa è la Pentade
degli Eoni bisessuati, cioè la Decade degli Eoni” (R. S. G. 6, 23-26).
Ecco quindi che gli gnostici, lungi dal considerare la Divinità come re-
mota e inaccessibile, sottolineano il grado di familiarità di Dio con tutto
il genere umano, dal momento che l’umanità archetipica viene generata
dal Padre quale sua immagine, prima fra le cose esistenti. Questa Decade
o Pentade bisessuata rappresenta nel testo in questione la Prima Luce e
il Primo Essere Umano: quando la Bibbia venne tradotta dall’ebraico al
greco nella versione detta dei Settanta, la creazione della luce in Genesi
1 venne interpretata anche come creazione dell’umanità, dal momento
che le due parole ‘luce’ e ‘uomo’ vengono scritte in greco come ‘phos’
e phòs’, con una semplice differenza di accentazione. La Pentade viene
definita come bisessuata poiché lo stato di androginia veniva considerato
come uno stato di perfezione in cui gli opposti sono complementari e si
integrano a vicenda (legge della sizigia).
Il passo successivo nel processo di emanazione è la comparsa del terzo
ed ultimo elemento della Trinità, il Figlio o Cristo Autogenes (Autogene-
rato), che viene accompagnato da altre quattro virtù ipostatizzate: Mente,

25
La Luce della Conoscenza
Luce, Verbo e Volontà.
Queste ultime rappresentano gli strumenti di cui il Cristo si serve per
adempiere alla creazione di tutto ciò che esiste, e formano con lui una
seconda Pentade. Vale la pena di sottolineare il parallelo fra il ruolo cre-
ativo del Cristo nel testo in questione e nel Vangelo di Giovanni. Nel
prologo del Quarto Vangelo il Cristo viene identificato come l’autore
di tutto ciò che esiste e viene definito come “la luce del mondo”. Nella
Rivelazione Segreta di Giovanni l’opera creatrice del Cristo si manifesta
con l’apparizione di quattro Luci o Luminari, che i vari testi sethiani
nominano come Armozel, Oriel, Davethai ed Eleleth. In ognuno di questi
hanno sede tre virtù ipostatizzate (Grazia, Verità, Forma, Memoria, ecc..)
per un totale di dodici Eoni o Dodecade.
Ovviamente, il simbolismo del numero dodici non è casuale: tornando al
pensiero pitagorico, nel quale la musica ha un ruolo cosmologico affine a
quello dei numeri per via delle strette relazioni armoniche e matematiche
fra le note, il numero dodici rappresenta la scala cromatica, cioè una
scala di sette note con i relativi semitoni. Ma i significati del numero
dodici non si esauriscono qui.
Nell’astrologia antica, così come in quella moderna, un ruolo fondamen-
tale è rivestito dai dodici segni zodiacali; lo zodiaco (dal greco ‘cerchio
degli animali’) è costituito dalle dodici costellazioni dell’eclittica nelle
quali il sole sorge nei vari periodi dell’anno, che si soleva ritenere in-
fluenzassero il destino sia dell’individuo sia delle nazioni. Sarebbe però
errato identificare la Dodecade con le costellazioni: casomai la Dodecade
è l’archetipo dello zodiaco, così come tutte le cose del regno materiale,
come vedremo, non sono altro che copie del Regno Divino.
La Rivelazione Segreta di Giovanni prosegue la narrazione illustrando la
generazione dell’umanità preesistente:
“Dalla preconoscenza e dell’intelligenza perfetta, attraverso la mani-
festazione della volontà dello Spirito Invisibile (il Padre n.d.a.) e della
volontà dell’Autogenerato comparve l’Umanità Perfetta, Adamo” (9,
1-2).
L’Essere Umano archetipico e incontaminato, perfettamente spirituale,
viene quindi stabilito nel primo Luminare Armozel; la narrazione proseg-
ue con l’apparizione di Seth, il terzo e meno conosciuto figlio di Adamo,
della discendenza di Seth e delle “anime penitenti”, che vengono stabilite

26
La rivelazione del dio nascosto
rispettivamente nel secondo, terzo e quarto luminare (in seguito verrà ap-
profondito il ruolo di queste ultime figure).
Così, con l’apparizione di tutte queste schiere celesti termina la genera-
zione del Regno Divino secondo la Rivelazione Segreta di Giovanni,
una generazione che ha il suo culmine e compimento nell’apparizione
dell’Umanità e della razza spirituale.

27
IL PLEROMA VALENTINIANO

Prima di proseguire, vale la pena di approfondire come viene presentato


nella gnosi valentiniana il complesso delle potenze spirituali che for-
mano il Regno Divino; il fatto che quest’ultimo venga rappresentato in
modi differenti nell’ambito delle diverse scuole gnostiche, e spesso con
notevoli differenze anche nella stessa cerchia, non deve stupire. Le de-
scrizioni del Regno Divino contenute in questi testi sono interpretazioni
soggettive di un’esperienza mistica che differisce da individuo a indi-
viduo; proprio come diversi persone, se messe di fronte ad un paesaggio,
noteranno ciascuna diversi particolari, così anche le visioni mistiche dei
testi gnostici si soffermano ora su un dettaglio, ora su un altro, mante-
nendo sempre una coerenza di fondo dovuta ai riferimenti aritmologici,
cioè alle proprietà nascoste dei numeri, che forniscono la più importante
chiave interpretativa di queste epifanie del divino.
Come nel mitologema sethiano, anche nella dottrina di Valentino e dei
suoi epigoni la Divinità Assoluta, il Padre o Prepadre, è trascendente: dal
momento che sfugge qualsiasi descrizione viene anche chiamato Inef-
fabile o Abisso.
Anche nella dottrina valentiniana Dio viene concepito come androgino,
cioè gli sono proprie sia le qualità spirituali maschili (formative) che
quelle femminili (sostanziali). Pertanto, può essere descritto sia come
una sizigia (coppia) o Diade (gruppo di due entità) che come una Mon-
ade (una unità), dal momento che entrambi i suoi aspetti sono inscindibili
l’uno dall’altro. La controparte femminile dell’Ineffabile viene chiamata
Silenzo (l’inesprimibilità), Grazia (dono di sé) e Pensiero (autoriflessio-
ne); essa rappresenta il potere di autoespressione e autoconsapevolezza
dell’Abisso e il passaggio dall’unità alla molteplicità.
Inizialmente l’universo esisteva solo in potenza e non in modo attuale:
prima che qualsiasi altra cosa fosse venisse all’essere non vi era altro che
la Divinità Assoluta, senza alcuna limitazione.

29
La Luce della Conoscenza
Come sottolineato da più fonti, dal momento che Dio è infinito, per pro-
durre qualcosa di altro da sé gli è necessario un processo di autolimitazi-
one, così da ‘far posto’ a ciò che verrà prodotto. Per il Trattato Tripar-
tito, senza questa autolimitazione “tutti gli Eoni sublimi derivati da lui…
sarebbero subito periti” (63, 30), dal momento che ciò che è finito non
può, per forza di cose, comprendere ciò che non ha principio né fine né
misura.
Questo concetto è presente anche nella dottrina sethiana: in diversi testi,
il Grande Spirito Invisibile genera il triplice regno di Barbelo; la prima
emanazione viene chiamata Kalyptos, da un termine greco che significa
‘ciò che occulta, che nasconde’.
Nella Kabbalah luriana (1200 d.C.) questo processo di autolimitazione
viene definito ‘tzimtzum’, cioè ‘contrazione’.
Stabilito il Limite (Horos) con lo scopo di “consolidare il Tutto e separa-
rlo dalla Grandezza Ineffabile” (Adv. Haer 1, 2, 2), il Prepadre è in grado
di manifestarsi in forma comprensibile, tramite un processo di emanazi-
one.
“Attraverso il suo Pensiero, come uno che conosce se stesso, manifestò…
l’Unigenito” (Estr. Teod. 7, 1).
L’Unigenito è chiamato Figlio rispetto a colui che lo ha generato e Padre
di Tutto rispetto a coloro che verranno emanati da lui; viene anche chia-
mato Mente/Cuore (il greco ‘nous’ esprime entrambi questi concetti) ed
essendo simile a colui che lo ha generato, è stato emanato in sizigia con
Verità, la Madre di Tutto. L’Unigenito, il solo Eone a essere compreso
nel Padre, è l’immagine comprensibile del Padre trascendente, dal mo-
mento che solo attraverso la mediazione del Figlio è possibile conoscere
il Padre, concetto sottolineato anche dai vangeli canonici (vedi Matteo
11, 27); proprio per questo, viene anche definito come “il Volto del Pa-
dre” (Estr. Teod. 10, 6).
Questo primo gruppo di quattro entità o Tetrade viene spesso considerato
come la tetractys primigenia che è all’origine di tutte le cose.
Da Cuore e Verità vengono generate altre due sizigie: Verbo e Vita, Es-
sere Umano e Chiesa (intesa come ‘collettività’); queste formano una
seconda Tetrade che si aggiunge alla prima, formando la cosiddetta
‘Ogdoade’ originale. Ognuna di queste coppie rappresenta un aspetto
comprensibile del Padre (Mente, Verbo, Essere Umano) e della Madre

30
Il pleroma valentiniano
(Verità, Vita, Collettività). L’espressione dell’originale Madre-Padre,
cioè l’attualizzazione di ciò che esiste in latenza nella sizigia Abisso-
Silenzio, è quindi contenuta nell’Ogdoade.
Il concetto di ogdoade è fondamentale nel pensiero gnostico, ma per
comprenderne appieno l’importanza è doveroso soffermarsi sul concetto
di ebdomade (gruppo di sette).
Come è noto, nell’antichità al numero sette era annessa una partico-
lare importanza cosmologica: sette sono i giorni della settimana (e del-
la creazione in Genesi), sette sono i pianeti che influenzano il destino
umano secondo l’astrologia antica; ad essi, nella tradizione greca, erano
associate le sette vocali dell’alfabeto greco. Nella tradizione mistica
ebraica, Dio regna sulla creazione dal settimo cielo. In ambito pitagorico
il numero sette, oltre che alle vocali, era associato alla scala delle sette
note musicali, mentre il numero otto simboleggiava l’inizio di una scala
(ottava) superiore. Questo concetto fu assimilato nel pensiero gnostico e
divenne di capitale importanza: come vedremo, per gli gnostici il cosmo
fisico, sul quale dominano le sette potenze inferiori, è visto in un’ottica
negativa, pertanto anche al numero sette è stato associato un significato
peggiorativo, mentre il numero otto ha assunto il significato della realtà
spirituale che sovrasta il regno inferiore.
I nomi degli Eoni che costituiscono l’Ogdoade originale erano ricavati
dal Prologo di Giovanni: ”In Principio (l’Unigenito, n.d.a.) era il Ver-
bo… ciò che è stato fatto ebbe Vita in unione con il Verbo… e la Vita era
la luce dell’Umanità”.
Successivamente vengono generate, come nella Rivelazione Segreta di
Giovanni, una Decade da Verbo e Vita e una Dodecade da Umanità e
Chiesa.
Il complesso degli Eoni era chiamato Triacontade (gruppo di trenta en-
tità) o Pleroma (pienezza); solo il Cuore è compreso nel Padre, tutti gli
Eoni seguenti sono compresi nel Cuore, sebbene la diade Ineffabile-Pen-
siero li avvolga tutti. L’emanazione indica lo sviluppo delle potenzialità
spirituali latenti nella prima Diade e, come nella Rivelazione Segreta
di Giovanni, lo sviluppo del Pleroma a partire dalla Divinità Assoluta
può essere compresa come la crescita di un albero da un singolo seme;
dall’unità si è sviluppata una molteplicità, senza che esista una vera sepa-
razione: “Tutti sono formati della stessa sostanza del Padre, differendo

31
La Luce della Conoscenza
l’uno dall’altro in grandezza e non in natura, riempiendo la Grandezza
del Padre come le dita completano una mano”; tutti questi processi di
emanazione sono atti puramente spirituali che avvengono al di fuori del
regno del tempo e dello spazio e che il linguaggio umano può descrivere
solo a stento.
I trenta Eoni (triacontade) che costituiscono il Pleroma era considerati
come le lettere che compongono il Nome di Gesù: le lettere, se prese
singolarmente, non hanno significato, ma se considerate in rapporto alla
collettività degli Eoni ecco che otteniamo il Nome completo. E’ pos-
sibile che i 26 Eoni emanati dalla prima Tetrade fossero connessi con
le 26 lettere che formano la frase “Iesous Christos Theos Yios Soter”
(Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”), le cui iniziali formano il famoso
ascrostico “ICHTYS” (in greco, ‘pesce’), da cui deriva il simbolo della
viscica piscis in uso già nei primissimi anni del cristianesimo. Il numero
26 si riferisce senz’altro anche al valore gematrico del Nome Ineffabile
di quattro lettere con cui Dio si presenta all’umanità nella Bibbia (il tetra-
gramma, YHVH).
Nella dottrina valentiniana gli Eoni vengono considerati come ipostasi
di natura psicologica e sono parti integranti della personalità del Figlio.
Come puntualizza Giovanni Filoramo, “i trenta Eoni rappresentano
null’altro che la personalità complessa del Figlio nelle sue articolazioni
intellettuali in quanto Nous, logiche in quanto Logos, antropologiche in
quanto Anthropos. Manifestazione del Padre ignoto,… il Figlio se ne
distingue proprio per il suo carattere di ‘persona’”.
L’emanazione degli Eoni, che rivela le potenzialità latenti nella diade
Abisso-Silenzio, era considerata da Jung come la decrizione dell’origine
della coscienza umana; come sottolinea la studiosa Elaine Pagels, “Val-
entino racconta che tutte le cose hanno avuto origine dalla ‘profondità’,
dall’’abisso’, in termini psicanalistici, dall’inconscio. Da questa profon-
dità emergono Mente e Verità, e da loro, in sequenza, la Parola (Logos) e
Vita. Ed è stata la parola a far nascere l’Umanità”.

32
L’ORIGINE DEL MALE
LA CADUTA DI SOPHIA E L’ARCONTE MALVAGIO

Abbiamo visto come, nel mondo superiore, ogni cosa si svolge in modo
armonioso e proficuo: ogni generazione avviene tramite la richiesta
al Padre e segue un modello prestabilito, che culmina nella creazione
dell’umanità spirituale.
Ma allora da dove vengono la sofferenza umana e la morte?
Se si dà per assunto che Dio sia infinitamente buono e onnipotente, come
è possibile l’esistenza del male?
Questa semplice domanda è quella che più di ogni altra ha suscitato grat-
tacapi teologici e anzi Tommaso D’Aquino sottolineò come l’esistenza
del male sia stata da sempre la migliore obiezione all’esistenza di Dio.
Gli gnostici diedero una risposta peculiare a questo drammatico inter-
rogativo e lo fecero, come sempre, con un mito: quello della caduta della
Saggezza o Sapienza (in greco ‘Sophia’), l’ultimo Eone della Dodecade.
Come dice Ireneo “avvenne un errore in connessione con il dodicesimo
numero”. L’adozione di una figura femminile chiamata ‘Saggezza’, an-
che se è una caratteristica peculiare dello gnosticismo, è motivata dai nu-
merosissimi riferimenti biblici alla ‘Hokmah’, in ebraico appunto ‘Sapi-
enza’ o ‘Saggezza’. Nella cosiddetta letteratura sapienzale biblica (Libro
dei Proverbi, Ecclesiaste, Libro della Sapienza e soprattutto il Cantico
dei Cantici) esistono numerosi riferimenti a una figura femminile preesi-
stente alla creazione del mondo e cocreatrice dell’universo: “Il Signore
mi possedeva al principio della sua attività, prima di ogni sua opera. Fui
costituita dall’eternità, dal principio… quando non c’erano gli abissi io
venni creata… “ (Proverbi 8,22 sgg.). Nella cultura giudaica la Sapienza
o Saggezza era una figura di rilievo e occupava un ruolo preminente
sia nelle opere mistiche (per esempio nel Sefer Ha-Bahir) sia in quelle
di carattere più filosofico, come nel pensiero di Filone di Alessandria;
essa era considerata a volte come la sposa o la figlia di Dio ed era anche

33
La Luce della Conoscenza
collegata alla Shekinà, cioè alla presenza immanente di Dio nel mondo.
Nell’ambito cristiano la figura della Saggezza fu accantonata in seguito
alle feroci persecuzioni contro gli gnostici e i riferimenti dedotti dalla
letteratura sapienzale biblica furono ascritti ad una astratta qualità intel-
lettuale piuttosto che a una vera e propria ipostasi del divino; tuttavia
nella Chiesa ortodossa la Sapienza o Santa Sofia era ed è rimasta una
figura importante; le furono dedicate molte chiese, fra cui l’imponente
cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli (oggi Istanbul).
Nei miti gnostici sethiani la figura della Sapienza è in un certo senso
‘sdoppiata’.
Le caratteristiche positive della Sapienza biblica furono incorporate nel-
la figura della Madre, la Pronoia Barbelo: come la Sapienza biblica è
la prima generata da Dio e partecipa con lui alla creazione del mondo,
così anche la Barbelo è il primo Eone emanato dal Padre, che si serve di
lei per la generazione del Pleroma o Regno divino. Al contrario, come
vedremo, Sophia, l’ultima generata fra gli Eoni e quindi la più lontana
dal Padre, compie una trasgressione che darà origine al cosmo inferiore
o Kenoma (dal greco ‘vuoto’) e a tutta una serie di tragiche conseguenze;
questa reinterpretazione negativa della figura della Sapienza è senz’altro
dovuta alla valutazione negativa data nell’ambito gnostico al cosmo ma-
teriale, che era considerato come uno dei prodotti della Caduta.
Il mito della Caduta della Sapienza è raccontato con alcune varianti nei
testi gnostici; per esempio nella Rivelazione Segreta di Giovanni “la Sa-
pienza dell’Intelletto, essendo essa un eone… concepì da se stessa un
pensiero… senza il volere dello Spirito, nonostante che egli non appro-
vasse, senza il suo compagno e senza il pensiero di lui; nonostante il suo
elemento maschile non approvasse… il suo pensiero non rimase ineffi-
cace, e da lei si manifestò un’opera imperfetta” (R. S. G. 10, 1-8).
Secondo Ireneo, “si fece avanti l’ultimo e più recente eone della Dode-
cade emessa dall’Uomo e dalla Chiesa, cioè la Sapienza, e subì passione
senza l’unione col suo compagno… la passione era la ricerca del Padre:
infatti, come dicono, voleva comprendere la sua grandezza… ha gen-
erato una sostanza amorfa”.
Dobbiamo notare che in entrambe le versioni del mito viene data enfasi
alla rottura dell’unione sizigietica fra la Sapienza e il suo compagno:
l’armonia e la concordanza nel Regno Divino sembrano essere compro-

34
L’origine del male: la caduta di sophia e l’arconte malvagio
messe. E non è tutto.
La Sapienza caduta emette come frutto delle proprie azioni sconsiderate
una ‘sostanza amorfa’, ‘opera imperfetta’, che nel Vangelo della Verità
viene chiamata l’Errore: “L’ignoranza del Padre portò terrore e timore, e
il timore crebbe denso come una nebbia, così che nessuno poteva vedere.
Così l’Errore crebbe in potenza, elaborò la propria sostanza materiale nel
vuoto”.La figura dell’Errore sembra essere assimilita in modo palese a
quella del diavolo; per esempio, secondo il maestro valentiniano Eracle-
one il diavolo “non deriva la sua natura dalla verità, ma dal contrario
della verità, dall’errore e dall’ignoranza. Perciò il diavolo non può stare
nella verità né avere in sé verità, avendo come propria sua natura la men-
zogna e non potendo mai dire la verità” (Framm. Er. 47).
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni questa ‘opera imperfetta’ ha un
nome e una sembianza: “Aveva l’aspetto di un drago, la faccia di leone
dagli occhi di fuoco fulminanti e fiammeggianti… (la Sapienza) lo allon-
tanò da sé, affinchè non fosse visto da alcuno degli immortali, avendolo
lei creato nell’ignoranza… gli diede il nome Jaldabaoth” (R. S. G. 10,
10-18).
Il nome Jaldabaoth sembra derivare dalla mistica ebraica e potrebbe
significare, secondo l’etimologia proposta da Gershom Scholem, ‘il
Generatore delle Forze’, mentre l’aspetto di leone sottolinea il carattere
ferino, temibile e brutale del protoarconte; il leone era infatti simbolo
nell’antichità sia di regalità e dominio, sia metafora del potere della pas-
sione e del vizio.
Questo essere diabolico e spaventevole genera, per mezzo del potere
spirituale rubato a sua madre, la Sapienza, altre potenze inferiori chia-
mate ‘arconti’ (dal greco, governatori) sul modello degli Eoni del Plero-
ma; gli arconti rappresentano nella simbologia gnostica il potere oppres-
sivo del Fato astrologico, cioè delle dodici costellazioni zodiacali e delle
sette stelle erranti (i cinque pianeti, il sole e la luna), così come le qualità
ambivalenti della psiche, con le sue virtù e i suoi vizi. Essi rappresentano
anche le potenze preposte ai sette firmamenti che separano la terra dal
Regno Divino; secondo la concezione gnostica, dopo la morte lo spirito
ascende in questi sette cieli per raggiungere il regno della Luce ma, se
non ha ancora raggiunto la conoscenza e la redenzione, viene ricacciato
dagli arconti di nuovo sulla terra, dove sarà costretto ad entrare in un

35
La Luce della Conoscenza
nuovo corpo finchè non avrà raggiunto la gnosi che, sola, gli consentirà
di superare gli ostacoli dell’ascesa celeste.
Jaldabaoth, sebbene sia stato originato da una potenza spirituale decadu-
ta, non è costituito di spirito (in greco ‘pneuma’), ma di sostanza psichica,
la stessa che, come vedremo, forma l’anima umana. Questa precisazione
è dovuta alla contrapposizione tra psiche e pneuma, tra spirito e anima:
mentre il primo ha un’origine divina ed è materiale e incorruttibile, la
seconda è effimera e non ha la propria origine all’interno del Pleroma.
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni il protoarconte Jaldabaoth pre-
senta alcune delle caratteristiche più negative del dio del Vecchio Testa-
mento, per esempio dichiara alle potenze da lui generate: “Io sono dio, e
non c’è altro dio all’infuori di me”.
Questa caratteristica sconcertante, che fu causa dell’accusa di empietà
che colpì gli gnostici, ha la propria ragione nell’imbarazzo provocato
nell’ambiente ellenistico da alcuni dei tratti del dio del Vecchio Testa-
mento.
Quando la Bibbia ebraica fu tradotta in greco, molti lettori trovarono
poco plausibile che una divinità che dichiarava di essere l’unico dio pot-
esse esprimersi con concetti che denotavano tratti negativi come l’ira, la
gelosia e la vendicatività, un dio che dichiara “io creo il bene e faccio
il male”, “io punisco i peccati dei padri fino alla terza e quarta genera-
zione”, un dio che crea l’umanità ma proibisce la conoscenza morale, e
che accetta sacrifici di sangue. Al pubblico greco più intellettuale, abitu-
ato da tempo alla raffinatezza del pensiero filosofico, queste dichiaraz-
ioni non sembravano affatto provenire da una divinità dispensatrice di
quanto vi è di buono nel mondo, ma sembravano più appannaggio di un
essere che condivide gli stessi vizi della più bassa natura umana, pro-
prio come gli dei dell’olimpo greco erano avezzi a degradazioni morali
non dissimili da quelle umane. Lo sconcerto viene poi accresciuto se tali
dichiarazioni vengono paragonate alle parole di misericordia e dal mes-
saggio d’amore predicato da Gesù.
Pertanto, in molti testi gnostici il prodotto della Caduta della Sapienza
assomma molte delle caratteristiche più negative del dio veterotestamen-
tario.
Si delinea quindi un netto contrasto tra la vera divinità e il protoarconte
Jaldabaoth, produttore di opere di impostura.

36
L’origine del male: la caduta di sophia e l’arconte malvagio
Mentre la Somma Divinità è circondata dalla luce, Jaldabaoth viene as-
sociato con il fuoco, che consuma e distrugge più che illuminare e che
rappresenta anche il potere tormentoso delle passioni; mentre la Somma
Divinità emana da sé la Pronoia (dal greco, ‘provvidenza’) e da essa tutti
gli Eoni spirituali successivi, il protoarconte genera le potenze psichiche
inferiori a immagine del vero Pleroma accoppiandosi con la Follia (in
greco ‘Aponoia’) che è con lui.

37
LA CREAZIONE DELL’UMANITÀ TERRENA

La Rivelazione Segreta di Giovanni prosegue la narrazione con la creazi-


one dell’essere umano terreno sulla base di un’immagine dell’Essere
Umano preesistente apparsa sulle acque del caos inferiore.
Gloriandosi della propria potenza, Jaldabaoth escama orgogliosamente:
“Io sono dio, e non c’è altro dio all’infuori di me” (R.S.G. 14, 2) una
dichiarazione che nell’Antico Testamento viene attribuita al dio ebraico.
Ma subito viene smentito da una voce proveniente dal Regno Divino:
“Non mentire, Jaldabaoth, l’Uomo esiste, e così il Figlio dell’Uomo” (R.
S. G. 15, 2); la voce è appunto accompagnata dalla gloriosa visione lumi-
nosa dell’Essere Umano, che si riflette sulle acque del caos inferiore. La
dichiarazione blasfema del protoarconte e la creazione degli arconti sono
seguite da un’indebolimento della luce di Sophia, poiché il suo potere
spirituale è ora stato mischiato con le tenebre: “Ella comprese la propria
deficienza, quando lo splendore della sua luce fu diminuito. E fu oscurata
perché il suo compagno non era in accordo con lei” (14, 5-7). La sua ig-
noranza ha preso vita propria, cristallizzandosi nelle figure tenebrose di
Jaldabaoth e degli arconti.
Essi tentano fraudolentemente di impadronirsi del potere spirituale
dell’Essere Umano creando una copia dell’immagine riflessa sulle acque;
questo resoconto è un’elaborazione di Genesi 1:26: “Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza”. L’uomo psichico, creato dagli arconti,
partecipa sia della natura divina (l’immagine) che di quella inferiore pro-
veniente dagli arconti (la somiglianza). Ma questa creazione delle poten-
ze inferiori, non ancora terrena ma fatta di sostanza psichica come i suoi
creatori, non può muoversi né parlare finchè, surrettiziamente, i luminari
del Regno Divino suggeriscono a Jaldabaoth di soffiare nella sua creazi-
one il potere spirituale che aveva rubato a sua madre la Sapienza, così
finalmente l’Adamo psichico, che ora possiede lo spirito, si desta e parla.
Sono proprio le facoltà intellettuali di Adamo, motivate dal seme spiri-

39
La Luce della Conoscenza
tuale che dimora in lui, a suscitare nelle potenze inferiori una grande
invidia; per cercare di soffocare il suo potere spirituale, Jaldabaoth pone
Adamo in uno stato di incoscienza e lo riplasma “dalla terra, dall’acqua,
dal fuoco e dal vento, cioè dalla materia, dall’ignoranza e dalle tene-
bre… questa è la tomba della nuova creazione del corpo” (R.S. G. 19,
6-12). Ritroviamo lo stesso tema anche in un frammento di Valentino:
“Una specie di timore colse gli angeli di fronte a quella creatura, quando
diceva cose superiori alla propria condizione di creatura, grazie a colui
che aveva posto in lei il seme della sostanza superiore… Perciò gli angeli
furono colpiti da stupore e subito nascosero la loro opera” (Clemente,
Stromati II 36).
L’Adamo terreno viene messo in un ‘paradiso’, nel quale gli viene im-
posto di cibarsi di ‘delizie’ che obnubilano la sua origine spirituale e lo
gettano nell’incoscienza. In seguito, per riprendersi il potere spirituale
che dimora in Adamo, Jaldabaoth trae da lui la donna: “Quindi, volendo
estrarre da lui la potenza che possedeva, quella che egli gli aveva dato,
fece scendere su Adamo uno stato d’incoscienza… Non è come scrisse
Mosè, come tu hai udito; nel suo primo libro scrisse infatti ‘egli lo addor-
mentò’; si tratta invece della sua percezione. Anche per mezzo del pro-
feta, disse ‘Renderò grevi i loro cuori, affinchè non comprendano e non
vedano’. Allora l’Epinoia (dal greco ‘intelligenza’, qui usato nel senso
di comprensione, discernimento, n.d.a.) della Luce si nascose in lui. Il
primo arconte voleva estrarla dal fianco di lui; ma l’Epinoia della Luce
è inafferrabile” (R. S. G. 21, 1-11); questo tentativo del protoarconte
di ‘afferrare’ l’Epinoia, la Luce spirituale che ha dato vita ad Adamo,
non ha tuttavia altro risultato che la creazione dell’Eva terrena: “Quando
egli (Adamo, n.d.a.) vide al suo fianco la donna, l’Epinoia della Luce
manifestò subito se stessa, e tolse il velo che si trovava sopra la sua com-
prensione: egli divenne nuovamente sobrio dall’ebbrezza delle tenebre e
riconobbe la sua immagine” (R. S. G. 21, 18).
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni l’Epinoia, ipostasi della Madre e
prototipo spirituale di Eva, viene anche chiamata Zoe, Vita (in ebraico
Hawa, cioè Eva): essa viene nettamente distinta dalla Eva terrena o car-
nale, e costituisce la vera controparte spirituale di Adamo; il suo scopo
è quello di destarlo dal sonno che ottunde la sua coscienza e illuminarlo
sulla sua origine spirituale, così che riconosca la natura inferiore di col-

40
La creazione dell’umanità terrena
oro che lo hanno plasmato.
Nei miti gnostici la separazione dei due sessi costituisce una seconda
Caduta, non meno grave di quella della Sapienza che si separa dal pro-
prio compagno di sizigia e genera l’’opera imperfetta’: “Quando Eva
era in Adamo la morte non esisteva. Quando fu separata da lui la morte
venne in essere” (Vang. Fil. 70). La Caduta della Sapienza e la separaz-
ione di Adamo ed Eva sono pertanto strettamente collegate.
L’insistenza di molti testi gnostici su questo punto è motivata dal duplice
racconto della creazione degli esseri umani presentato dalla Genesi.
Leggiamo in Genesi 1:26: “E Elhoim proseguì dicendo: ‘facciamo
l’Essere Umano (in ebraico’Adam’ n.d.a.) a nostra immagine e secondo
la nostra somiglianza…’ lo creò maschio e femmina”.
Eppure, in Genesi 2:20 il resoconto è presentato in modo differente.
“Perciò YHVH fece cadere sull’uomo un profondo sonno… e YHVH
edificava dalla costola che aveva preso da Adamo una donna..”.
Questo duplice racconto della creazione dell’uomo era motivo di dibatti-
to già nell’ambiente giudaico e a maggior ragione lo fu nell’ambito greco
prima e poi in quello gnostico: che bisogno c’era di ripetere l’episodio se
in Genesi 1:26 leggiamo “lo creò maschio e femmina”?
Per gli gnostici, la separazione dall’Adamo psichico e androgino dall’
Eva spirituale, che nella Rivelazione Segreta di Giovanni simboleggia il
discernimento morale e l’illuminazione interiore, ripete nell’ambito ter-
reno la separazione fra la Sapienza e il proprio compagno di sizigia. Tut-
tavia, questo ennesimo tentativo degli arconti di soffocare la Luce spiri-
tuale sarà in ultimo ineffettiva: l’Epinoia, che incorpora la Luce spirituale
posseduta dai due progenitori, fugge da Eva nascondendosi fra i rami
dell’Albero della Conoscenza e gli arconti potranno contaminare solo la
sua controparte terrena (l’Eva carnale). Nonostante questa radicale rilet-
tura della Genesi biblica possa apparire sconcertante, bisogna ricordare
che già anticamente essa era oggetto di speculazioni sul suo significato
nascosto. Nella tradizione giudaica, ad esempio, si annovera un intero
filone di ricerca esoterica votato all’interpretazione del racconto della
creazione, chiamato ‘ma’ase bereshit’ (‘opera della creazione’); anche il
filosofo giudaico Filone dava una propria interpretazione personale sulla
Genesi, considerando il racconto della creazione in sette giorni come la
creazione del regno degli esseri umani archetipici e la seconda storia del-

41
La Luce della Conoscenza
la creazione di Adamo ed Eva come riferita alla creazione dell’umanità
materiale. In modo simile, la Rivelazione Segreta di Giovanni racconta
due volte, rielaborandolo, il primo libro della Genesi, una volta in relazi-
one al Regno divino e una volta con riferimento al cosmo materiale.
Ad esempio, così come in Genesi lo spirito di Dio si libra sulle acque
producendo la luce, così nella Rivelazione Segreta di Giovanni il Vero
Dio genera la Madre Barbelo, la Prima Luce e il Primo essere Umano
(vedi il gioco di parole sui termini greci ‘phos’ e ‘phòs’) attraverso un
atto di autoriflessione sulle acque luminose che lo circondano, secondo
la propria somiglianza, mentre nel mondo materiale gli arconti plasmano
Adamo secondo la loro somiglianza e a immagine dell’Essere Umano
apparso sulle acque del Caos; così come in Genesi Dio crea le luci del
firmamento, allo stesso modo nel testo in esame il Cristo Autogenes crea
i quattro Luminari, mentre nel regno materiale il protoarconte genera le
stelle erranti (gli arconti).
Come sottolinea Kurt Rudolph “Adamo, ovvero il primo uomo terreno,
rappresenta per la gnosi il prototipo assoluto dell’uomo; il suo destino
rappresenta proletticamente quello dell’umanità successiva. Per questo
motivo tutte queste narrazioni non hanno un senso puramente illustrativo,
ma soprattutto esistenziale. Esse esprimono la conoscenza dell’origine e
del fine dell’uomo”.
Tuttavia è il caso di chiedersi: che significato può avere questo mito così
complesso?

42
LA NATURA DELLA COSCIENZA UMANA

Una possibile risposta a questo interrogativo può venire da una teoria


di uno psicologo di Princeton, Julian Jaynes. Nella sua opera del 1976,
‘The origin of consciousness in the breakdown of the bicameral mind’
(‘L’origine della consapevolezza nel crollo della mente bicamerale’)
Jaynes sostiene che la ‘forma mentis’ moderna così come la conosciamo
è stata originata da una ‘frattura’ fra le facoltà psichiche razionali e quelle
intuitive. Come è noto, il cervello consiste di due emisferi praticamente
identici ma speculari, che però hanno funzioni del tutto diverse. La parte
sinistra del cervello è legata alla logica, alla ragione e alla tecnica, men-
tre la parte destra è legata alle facoltà intuitive, artistiche ed emozion-
ali. I due emisferi sono collegati da un fascio di fibre nervose chiamato
corpo calloso o commessura. Dal momento che in passato una delle cure
sperimentate per la cura dell’epilessia era la rescissione della commes-
sura cerebrale, l’osservazione svolta negli anni Cinquanta su pazienti che
avevano subito questo trattamento aveva messo in luce che la rescissione
aveva effetti peculiari sulla percezione del soggetto in esame.
Ad esempio era stato notato che se un paziente subiva un urto con la
parte sinistra del corpo pareva non rendersene conto; inoltre, test basati
sul riconoscimento di forme e figure evidenziarono mancanza di coor-
dinazione fra i due emisferi in pazienti che avevano subìto la rescissione.
Nel testo sopra citato, Jaynes sottolinea come gli eroi della letteratura
antica e della mitologia sentissero voci e avessero visioni che erano con-
siderate come messaggi delle divinità; secondo Jaynes la mente degli
uomini primitivi era bicamerale: non essendo dotati di uno spazio interno
la consapevolezza di sé dell’individuo era proiettata all’esterno, tramite
immagini mitiche come divinità o spiriti; è proprio questa, per Jaynes,
l’origine delle antiche mitologie e dell’esperienza primitiva del sacro.
Per Jaynes questi sono sintomi di una mente “allucinatoria e schizo-
frenica”: “Le civiltà antiche godevano di una forma mentale profonda-

43
La Luce della Conoscenza
mente diversa dalla nostra: gli uomini e le donne non erano coscienti
come noi… ogni individuo aveva la sua parte ‘divina’,,, Gli dei non
furono in alcun modo invenzioni dell’immaginazione. Essi erano la
volizione dell’uomo. Occupavano il suo sistema nervoso, probabilmente
l’emisfero cerebrale destro, e da ricettacoli di esperienza ammonitoria
e percettiva, trasmutavano questa esperienza in linguaggio articolato…
Sono convinto che l’angoscia di non sapere che cosa fare nel caos suc-
cessivo risultante dalla perdita degli dei fornì le condizioni sociali che
poterono sfociare nell’invenzione di una nuova mentalità da sostituire a
quella vecchia… “.
Bisogna sottolineare qui l’inintenzionale similitudine fra il pensiero
di Jaynes e il mito gnostico: gli arconti, che risiedono tanto nei cieli
quanto nella psiche umana, non sono vere divinità, ma mere proiezioni
psichiche. Il turbamento degli antichi alla scomparsa dei loro dei ha un
notevole parallelo nel mito gnostico: quando Adamo ed Eva mangiano
il frutto dell’albero della gnosi (la conoscenza del bene e del male, cioè
il discernimento morale) “i loro occhi si aprirono… la luce della gnosi
li illuminò… si accorsero di essere spiritualmente nudi… videro quelli
che li avevano plasmati e ne ebbero disgusto, perché avevano forma di
animali… “(Or. M. 119, 12-19).
Parafrasando la Lettera di Paolo agli Efesini 6, 12 “la nostra battaglia
non è contro il sangue e la carne, ma è contro i principati, le potenze e
le dominazioni di questo mondo di tenebre, e contro gli spiriti del male
che dimorano nei luoghi celesti”: questo passo, citato varie volte in molte
opere gnostiche, individua la vera fonte del male nei poteri che dimorano
nei ‘cieli’, cioè nell’anima, la psiche. La visione dell’anima come sede
degli spiriti impuri viene sottolineata anche in un frammento di Valen-
tino: “…Infatti abitano nel cuore molti spiriti e non gli permettono di
essere puro, poiché ognuno fa le opere che gli sono proprie e spesso lo
maltratta con desideri non convenienti. Mi sembra che accada al cuore
qualcosa di simile a ciò che succede a un albergo: infatti questo viene
rovinato, sforacchiato, spesso riempito di sterco, poiché gli avventori si
comportano in maniera sconveniente… Allo stesso modo anche il cuore,
finchè non è oggetto di cura, è impuro, abitazione di molti demoni…”
(Stromati II-114). Questo concetto di ‘anima’ come corrispettivo intrap-
sichico del ‘cielo’ deriva probabilmente dalla mistica giudaica: vale la

44
L’origine della coscienza umana
pena notare che in ebraico ‘anima’ (neshamà, scritto NShMH) ha un va-
lore gematrico di 395, lo stesso di ‘i cieli’ (ha-shamaym, HShMYM).
Per Jaynes la mentalità moderna è più ‘sana’ e ‘oggettiva’ di quella an-
tica; eppure viviamo in una civiltà in cui l’uomo è in lotta con se stesso
e con gli altri, persino con il mondo che lo ospita. Il mondo creato dalla
mente moderna o unicamerale, per usare la terminologia di Jaynes, al-
dilà di qualsiasi positivismo, vive un presente incerto e sembra essere
proiettato in un futuro oscuro, su cui incombono gli spettri della carestia
mondiale e della catastrofe ambientale, prodotte dallo sfruttamento delle
risorse naturali e dall’uso indiscriminato di sostanze e processi indus-
triali inquinanti: è proprio così ‘sana’ la mentalità moderna? O forse non
ha portato altro che alienazione e sopraffazione? Per rispondere a questi
interrogativi bisogna ricordare che il mito di Adamo ed Eva riportato
dagli scritti gnostici descrive i progenitori come esseri innocenti che tut-
tavia sono prigionieri inconsapevoli di un giardino, quello dell’Eden, il
cui unico scopo è quello di perpetuare il loro oblio e la loro incoscienza;
gli arconti pongono nel giardino “l’albero della loro vita… la sua radice
è amara, i suoi rami sono morte, la sua ombra è odio, un inganno è nelle
sue foglie” (R. S. G. 21, 25-32) con l’obiettivo di mantenere Adamo sotto
il loro controllo. L’origine della mente moderna o bicamerale proposta
da Jaynes ha un perfetto parallelo nel mito gnostico: la mente odierna è
nata da una scissione fra la facoltà razionale e quella intuitiva, proprio
come Adamo perviene a una nuova consapevolezza quando Eva viene
separata da lui in seguito al maldestro e fallimentare tentativo degli ar-
conti di afferrare l’Epinoia della Luce; così diviene “di nuovo sobrio
dall’ebbrezza delle tenebre” (R. S. G. 23, 10). Con la scomparsa della
mente unicamerale gli antichi si sono quindi liberati dal giogo della loro
volizione inconscia sperimentata come allucinazione a contenuto pseudo
divino (rappresentata nel mito gnostico dagli arconti) e sono divenuti in
grado di scegliere fra il bene e il male il modo consapevole.
Tuttavia questo ancora non spiega la causa prima del male e della sof-
ferenza. Forse la risposta più saggia a questi interrogativi è quella che
ci viene da una delle maggiori opere dello gnosticismo valentiniano,
il Trattato Tripartito: semplificando al massimo l’estesa trattazione
dell’argomento che si trova nel testo in questione, il Trattato Tripartito
sostiene che la situazione umana e, più in generale, il problema del male,

45
La Luce della Conoscenza
sia dovuta alla trascendenza del Padre: egli ha generato gli Eoni prima, e
poi gli esseri umani desiderando che essi avessero una esistenza propria;
essendo egli infinito, è stato per così dire costretto a limitarsi e nascond-
ersi (vedi il concetto di Limite, precedentemente esposto) per poter gen-
erare qualosa che fosse separato da lui (almeno in apparenza). Proprio
come le parole di uno scritto sono leggibili per il contrasto tra il colore
dell’inchiostro e lo sfondo della pagina, il male, inteso come assenza di
Dio, è il presupposto necessario affinchè gli esseri umani, separati da Dio
per mezzo della realtà materiale, possano cercarlo e trovarlo; secondo Il
Vangelo di Verità “egli tenne la loro (degli Eoni, n.d.a.) perfezione in sé,
dandola a loro come mezzo per ritornare a lui con la completa conoscen-
za… Proprio come una persona che non è conosciuta dagli altri desidera
farsi conoscere e amare da essi, così è anche per il Padre. Poiché, di che
altro necessitava il regno del Tutto, se non della conoscenza del Padre?”.
Il mito della Caduta della Sapienza esemplifica chiaramente questo con-
cetto: come per la Eva biblica, la causa della Caduta di Sophia è dovuta
al desiderio di travalicare l’ordine stabilito; sia per Eva che per Sophia
la mancanza di conoscenza morale viene rivelata una volta compiuto il
gesto di rottura: così come Eva assaggia il frutto proibito (e incita Adamo
a fare altrettanto), così la Sapienza agisce avventatamente senza il con-
senso dello Spirito e senza l’accordo del proprio compagno. Nel mito
gnostico l’estrema conseguenza del gesto di Sophia è la dichiarazione
blasfema di Jaldabaoth (“io sono dio, e non c’è altro dio al di fuori di
me”) che, come si evince chiaramente, incorpora l’ignoranza di Sophia.
L’origine del male deriva quindi dal rappresentarsi come Dio e dal voler
credere di poter agire come lui, nonostante la mancanza di discernimento
morale. Per i valentiniani la causa di questo comportamento sconsiderato
da parte di essere di puro spirito era dovuto alla primigenia imperfezione
degli Leoni.
Lo gnostico Marco sottolineava l’imperfezione iniziale degli Eoni spie-
gando che “(il Padre) aprì la bocca e proferì il Verbo simile a se stesso”;
tuttavia le singole lettere che formano il Verbo, da principio non conosco-
no la loro origine e l’importanza della loro collettività; ognuna si illude
che il proprio suono sia “quello del tutto”; solo al momento della reinte-
grazione finale l’illusione della separatezza verrà dissolta. La prefigura-
zione di questo evento escatologico è l’Amen che i credenti pronunciano

46
L’origine della coscienza umana
tutti insieme nelle funzioni religiose; questa affermazione si spiega con
il valore gematrico della parola ‘amen’, pari a 99; anticamente si usava
contare i numeri da 1 a 99 sulla mano sinistra (l’imperfezione) mentre
da 100 in avanti si passava alla destra (la perfezione e la completezza).
Comunque, questo non implica che gli esseri umani siano, in ultima anal-
isi, davvero separati da Dio: “…ciò che è dentro e ciò che è fuori (dal
Pleroma, n.d.a.) si riferisce alla conoscenza e non alla distanza locale…
(la creazione) è contenuta dall’Ineffabile Grandezza, come il centro in un
cerchio o la macchia su un vestito” (Adv. Haer. 2, 4, 2).
Si tratta di un paradosso, e da questo paradosso deriva la sofferenza
dell’esistenza fisica, dovuta alla errata percezione del distacco da Dio:
“Era stupefacente che essi fossero nel Padre senza essere al corrente di
lui… non erano in grado di percepire e riconoscere colui nel quale si
trovavano” (Vang. Ver. 22, 27-32).
Mediatore della conoscenza che porta a Dio e al riconoscimento
dell’origine divina del Sé è, nel testo come negli altri scritti gnostici, il
Figlio, che si identifica nella figura storica di Gesù: “Nessuno conosce
il Padre se non il Figlio, e coloro ai quali il Figlio sceglie di rivelarsi”
(Matteo 11, 27). Il trattato della Pistis Sophia sottolinea questo tema de-
finendo il Padre come “il mistero che guarda dentro” (divinità trascen-
dente) mentre Gesù è il “mistero che guarda fuori” (divinità intelligibile
o immanente).
Gesù, come gli altri messaggeri della Luce, viene nel mondo per sveg-
liare l’uomo dal sonno impostogli dalle false divinità mondane e dagli
idoli terreni.
Analizzando il mito gnostico della Caduta di Sophia ci si rende conto
che quest’ultima serve a esternalizzare e concretizzare l’imperfezione
e la mancanza di conoscenza in cui si trovano gli Eoni originariamente,
così da consentire un processo di purificazione all’interno del Pleroma;
possiamo presumere che la Sapienza non sia altro che una metafora della
coscienza umana che, perso il contatto con la propria controparte spir-
ituale e con la radice ultima dell’essere genera l’’opera imperfetta’, il
protoarconte Jaldabaoth o l’Errore del Vangelo della Verità, il quale non
è altro che un simbolo dell’ego non integrato; il comportamento della Sa-
pienza, con tutte le disastrose conseguenze del caso, ricalca quello di chi-
unque manchi di una visione interiore: è dominato da impulsi irresistibili

47
La Luce della Conoscenza
e incomprensibili. L’ego non integrato, rappresentato dal protoarconte,
perpetua il proprio dominio pretendendo di essere l’’unico dio’, negando
l’esistenza del vero Dio al di sopra di lui e ponendosi alla testa degli
arconti (le passioni psichiche) come signore e padrone dell’uomo: egli
crea per sé una verità illusoria e un mondo di fantasie: “Tutto cambia, il
mondo è un’apparizione” (Tratt. Res. 48,19-27), “Le cose che sono ‘fu-
ori’ del Pleroma non hanno vera esistenza… queste cose sono immagini
di ciò che esiste veramente” (Adv. Haer. 2, 14, 3). La verità all’evidenza
di chiunque è che la coscienza moderna o ‘unicamerale’, ma sarebbe
meglio definirla egoica, perpetua se stessa attraverso la separazione: sep-
arazione dell’io dal proprio vero sentire e separazione dell’individuo dai
propri simili. In una parola: alienazione.
Ecco come il Vangelo della Verità descrive, nella cosiddetta ‘parabola
dell’incubo’, l’umanità caduta vittima dell’Errore: “Così essi ignoravano
il Padre: Egli è ciò che essi non vedevano. Poiché questo significava
spavento, confusione, instabilità, dubbio e incertezza, esistevano molti
inganni, attivi per via delle suddette cause, e vuote finzioni, come se la
gente si fosse abbandonata al sonno e si trovasse in preda a sogni agitati:
o si presenta loro un luogo in cui trovano scampo o si sentono senza
forze, come dopo essere stati inseguiti da qualcuno; o sono coinvolti in
risse o ricevono essi stessi dei colpi; o cadono da grandi alture o volano
nell’aria, sebbene non abbiano ali. Altre volte ancora è come se qualcuno
tentasse di ucciderli, anche se nessuno li insegue, o stanno essi stessi
uccidendo i loro vicini, perché sono imbrattati del loro sangue. Fino al
momento in cui non si ridesta, colui che passa attraverso tutte queste
cose, immerso in tutte queste confusioni, non si accorge che esse non
significano nulla”. Come la Sapienza, coloro che sono immersi nell’oblio
delle passioni agiscono senza comprendere le motivazioni interiori del
loro comportamento e vedono il mondo attraverso la lente distorta della
loro incoscienza.
Proprio alla metafora del sonno ricorre anche la Rivelazione Segreta di
Giovanni: “Io mi manifestai nelle sembianze di un’aquila sull’albero
della conoscenza (gnosis n.d.a.), cioè l’Epinoia della Provvidenza della
pura Luce, per poterli destare dal loro sonno profondo. Erano in rovina,
ma riconobbero la propria nudità. L’Epinoia, essendo Luce, si manifestò
a loro e scosse il loro pensiero”.

48
La creazione dell’umanità terrena
Tuttavia, nello gnosticismo il senso di alienazione ed estraneità non è in-
guaribile o permanente, ma è il primo passo verso la crescita spirituale e
il riconoscimento della propria origine superiore. Il riconoscimento della
propria desolazione (la ‘nudità spirituale’ della Rivelazione Segreta di
Giovanni) è il primo gradino della scala che porta al pieno sviluppo delle
proprie facoltà spirituali.

49
LE DUE FACCE DEL CREATORE E L’AMBIVALENZA
DELL’ANIMA UMANA.

Come abbiamo visto precedentemente, il maligno protoarconte Jalda-


baoth incorpora, nel mito sethiano, le caratteristiche peggiori del dio
dell’Antico Testamento: gelosia, ira, vendicatività, ecc…
Molti studiosi hanno sottolineato il netto contrasto fra la negativa rappre-
sentazione del creatore sethiano e la descrizione più positiva che invece
ne danno i testi valentiniani.
La figura del creatore gnostico è di chiara derivazione platonica: nel
Timeo il creatore (in greco ‘demiurgos’, mezzo artigiano) è una figura
intermedia fra la Somma Divinità e il cosmo materiale; quest’ultimo,
sebbene nella dottrina gnostica sia costituito dal ‘prodotto impuro’ della
caduta, cioè la materia, viene plasmato dal demiurgo sulla base del mod-
ello costituito dal Regno Divino.
Nella dottrina valentiniana la caratteristica principale del demiurgo, iden-
tificato con il dio di Israele, è l’ignoranza di coloro che si trovano al di
sopra di lui; proprio giocando su questa caratteristica Sophia lo manovra
facendo in modo che egli, credendosi solo, agisca come strumento del
vero Dio, ispirandolo a creare il mondo sulla base dell’archetipo ple-
romatico; il mondo servirà come luogo di formazione per le particelle
spirituali emesse dalla Sapienza e presenti come ‘semi’ (ovvero come
elementi latenti da attualizzare) nel genere umano; quindi è la creazione
del mondo e degli esseri umani da parte del demiurgo a dare il via al
processo della salvezza che culminerà nella incarnazione e predicazione
di Gesù.
La discrepanza fra il demiurgo valentiniano e il protoarconte sethiano è
stata notata anche nei tempi antichi; ad esempio, nella Lettera a Flora del
valentiniano Tolomeo troviamo alcuni accenni su questo punto: l’autore
dell’epistola mette in guardia Flora da coloro che giudicano il Creatore
ingiusto e malvagio.

51
La Luce della Conoscenza
In realtà le due versioni del mito sono omologhe, benchè differiscano
nell’esposizione di due concetti molto simili.
Come spiega il resoconto della dottrina valentiniana riportato da Ippoli-
to, il demiurgo e il diavolo, così come le sostanze a loro connesse, sono
ipostasi delle passioni provate dalla Sapienza in seguito alla caduta: “Il
Frutto (Gesù, n.d.a.) venuto fuori dal Pleroma e avendola trovata in preda
alle prime quattro passioni, timore, dolore, disagio, supplica, si accinse
a correggere le sue passioni… le rese sostanze sussistenti: dal timore
fece la sostanza psichica, dal dolore l’ilica (materiale n.d.a.), dal disagio
quella dei demoni, dalla conversione, dalla preghiera e dalla supplica il
ritorno, la penitenza e la potenza della sostanza psichica che chiamano di
destra… come della sostanza psichica la prima e più grande potenza é il
demiurgo, così della materiale è immagine il diavolo, il principe di questo
mondo; della sostanza dei demoni, che proviene dal disagio, Beelzebul”.
Il demiurgo, costituito di sostanza psichica, è quindi una figura che incor-
pora la ricerca del divino da parte della Sapienza caduta; mentre quelli
che precedono il pentimento sono sentimenti negativi, esso rappresenta
un punto di svolta per chi ha agito incoscientemente, trascinato da im-
pulsi incomprensibili: ora può lasciarsi alle spalle stati d’animo e abi-
tudini ingannevoli e confusi, cambiando condotta e adottando una serie
di norme morali. Proprio per questo il demiurgo viene plasmato a im-
magine del vero Dio, ma si tratta di un’immagine imperfetta di Dio come
legislatore, che costituisce per i ‘penitenti’ il primo passo sulla strada che
porta al vero Dio.
Nella dottrina valentiniana, mentre al demiurgo e ai suoi angeli viene as-
critta la ‘destra’, gli spiriti maligni o arconti appartengono alla ‘sinistra’;
l’identificazione della destra come sede del bene e della giustizia e della
sinistra come luogo del male e dell’ingiustizia è un’idea comune sia alla
cultura ebraica che a quella greca.
Il concetto del demiurgo come simbolo della conversione ha un paral-
lelo in molti testi sethiani nei quali uno degli arconti, Adonaios, anche
detto Sabaoth, si pente e si ribella a suo padre Jaldabaoth, dando inizio
a una guerra nei cieli: “Udita la voce della Pistis (cioè Sophia, n.d.a.)
Sabaoth, figlio di Jaldabaoth, la venerò e disapprovò il padre… perché
era venuto a conoscenza dell’Essere Umano immortale e del suo splen-
dore… Sabaoth ricevette una grande potenza su tutte le forze del caos e

52
Le due facce del creatore e l’ambivalenza dell’anima umana
da quel giorno fu chiamato ‘signore delle potenze’… a motivo della sua
luce, tutte le potenze del caos furono invidiose di lui…e scatenarono una
guerra nei sette cieli. Vista la guerra, la Pistis Sophia, dalla propria luce,
mandò sette arcangeli a Sabaoth; essi lo trasportarono nel settimo cielo e
si posero al suo servizio davanti a lui… “ (Or. M. 103, 32-104, 21).
Il testo prosegue spiegando che Sophia pone alla destra di Sabaoth sua
figlia Zoe (in greco “vita”) in modo che lo istruisca sui misteri del Ple-
roma, mentre pone Jaldabaoth alla sua sinistra: “Da quel giorno la destra
fu detta ‘giustizia’, la sinistra fu detta ingiustizia”.
In pratica, l’arconte redento ha nel mito sethiano lo stesso ruolo del de-
miurgo nella dottrina valentinana, che lo giudica giusto ma non buono,
sul filo del rasoio tra bene e male; questo concetto deriva dalla concezi-
one gnostica dell’elemento psichico degli esseri umani, apparentato al
demiurgo, come sede del libero arbirtrio, cioè della facoltà di scegliere il
bene (la destra) o il male (la sinistra).
La concezione di ‘sinistra’ come luogo del male deriva senza dubbio
dalla figura veterotestamentaria di Satana (dall’ebraico ‘avversario’), che
fa le veci di ‘pubblico ministero’ nel tribunale celeste.
Come il pubblico ministero siede alla sinistra del gran sacerdote nel
sinedrio, così Satana siede alla sinistra del creatore nelle vesti di ten-
tatore e accusatore dei giusti; allo stesso modo Jaldabaoth viene posto
alla sinistra dell’arconte redento Sabaoth. E’ pure interessante notare
che in molti testi sethiani Jaldabaoth viene chiamato anche Samael (ebr.
‘dio dei ciechi’), che nella tradizione ebraica era il nome dell’angelo del
male. A questo proposito si può citare la tesi avanzata dallo studioso
Joan Culianu, secondo il quale la figura dell’arconte malvagio sarebbe
nata in ambito ebraico in seguito alla seconda caduta del Tempio (70
d.C.); la dura oppressione romana, con la perdita della speranza di veder
nascere un regno teocratico governato da un Messia che avrebbe riscat-
tato il popolo ebraico dalla dominazione straniera, avrebbe prodotto in
alcuni circoli mistici la convinzione che Samael, cioè Satana, il dio dei
ciechi, governasse il mondo al posto di Dio. Questa convinzione sembra
riecheggiare nel riferimento paolino al “dio di questo mondo, che ha ac-
cecato le menti degli increduli” (2 Cor. 4, 4).
La dualità nella figura del demiurgo e dell’elemento psichico da esso rap-
presentato è sottolineato anche nella Rivelazione Segreta di Giovanni,

53
La Luce della Conoscenza
con un mito differente; dopo che Adamo ed Eva vengono istruiti sulla
realtà spirituale dall’Epinoia della luce, il protoarconte mette a punto un
nuovo piano per cercare di sottomettere gli esseri umani: “Jaldabaoth
vide la vergine che stava ritta accanto ad Adamo; fu pieno di insensata
follia, e desiderò porre un seme in lei… quando la Pronoia vide tutto
questo, mandò alcuni messaggeri che asportarono via Zoe da Eva. Il pro-
toarconte la violentò e generò con lei due figli, il primo e il secondo:
Eloim e Yave. L’uno è giusto, l’altro è ingiusto. Eloim è giusto, Yave
è ingiusto… in vista della propria scaltrezza chiamò costoro ‘Caino’ e
‘Abele’” (R. S. G. 22, 10-21).
Questo brano, a prima vista sibillino, trova le sue ragioni nel fatto che
nel primo libro della Genesi Dio viene chiamato con due nomi: Elhoim e
YHWH (vocalizzato come Yavè). Il primo crea la luce, i cieli e la terra e
ogni altra cosa; al culmine della creazione genera gli esseri umani a pro-
pria immagine e somiglianza, maschio e femmina. YHWH fa la propria
comparsa solo in Genesi 2, 21, al momento della creazione di Eva a par-
tire dalla costola di Adamo e, come abbiamo visto, questo avvenimento
replica nel mondo inferiore la rottura della sizigia della Saggezza e del
suo compagno.
A Jaldabaoth, come al diavolo della dottrina valentiniana, viene as-
critto il dominio del regno inferiore. Questo concetto del diavolo come
cosmocratore (governatore del cosmo) trova conferma anche nei vangeli
canonici; ad esempio, nel racconto della tentazione di Gesù nel deserto,
Satana offre al Salvatore il dominio dei regni terreni: “Ti darò tutta la po-
tenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi
voglio” (Vang. Luca 4, 6); ribadendo lo stesso assunto la Prima Lettera
di Giovanni dichiara che “tutto il mondo giace nel potere del maligno”
(5, 19).
Nel mito sethiano, l’elemento psichico (anima), identificato con il proto-
arconte e le sue coorti, sembra più intrinsecamente negativo rispetto alla
valutazione che ne dà la dottrina valentiniana.
Tuttavia, nella dottrina sethiana come presentata dalla Rivelazione Seg-
reta di Giovanni e altri testi, il destino delle anime (elementi psichici) che
si orienteranno verso il bene è la salvezza, mentre quelle che sceglieran-
no il male parteciperanno della dissoluzione finale che attende la materia
alla fine dei tempi, credenza condivisa anche nell’ambito valentiniano.

54
Le due facce del creatore e l’ambivalenza dell’anima umana
Secondo il maestro Teodoto infatti “l’anima, possedendo libera volo-
ntà, ha un’inclinazione verso la fede e l’incorruttibilità, ma anche verso
l’incredulità e la distruzione, secondo la propria scelta” (Estr. Teod. 56,
3).
L’atteggiamento verso la sostanza psichica sembrerebbe ad un primo
sguardo costituire il maggiore elemento contrastante fra i due sistemi,
ma approfondendo i particolari le differenze sono molto meno stringenti.
Il protoarconte della Rivelazione Segreta di Giovanni è indubbiamente,
da principio, di origine psichica; tuttavia, il mito proposto dall’Origine
del Mondo ci spiega che un “angelo legò Jaldabaoth, lo precipitò nel
Tartaro, in fondo all’abisso”, cioè, verosimilmente, nel caos della ma-
teria che coincide con il concetto di hyle/sinistra del sistema valen-
tiniano, assimilata al diavolo. Questa ipotesi trova conferma anche nel
resoconto di Ireneo del sistema sethiano, secondo cui “Jaldabaoth, rat-
tristato e disperato, volse lo sguardo alla sottostante feccia dell materia
e consolidò in essa il suo desiderio” (Adv. Haer. 1, 30, 5). Comunque, la
figura dell’arconte redento Sabaoth senza dubbio introduce la possibilità
di salvezza, nell’ambito sethiano, anche per il principio psichico.
Senz’altro la riflessione su certi episodi riportati nell’Antico Testamento
ha influito in modo peculiare sulla rappresentazione che gli gnostici da-
vano del creatore.
Nel Libro di Giobbe, uno dei più sconcertanti fra quelli che costituiscono
il Vecchio Testamento e che senza dubbio influenzò in modo importante
le tesi gnostiche sui rapporti fra il Creatore e Satana, l’angelo tentatore
persuade Dio a consentirgli di mettere alla prova Giobbe, uomo pio e
virtuoso. Il risultato di questa disputa è agghiacciante, Giobbe perde tutto
ciò che ha: i suoi figli, i suoi possedimenti, la sua casa, e viene colpito
da una malattia della pelle che gli provoca ulcere dolorose, tuttavia non
rinnega Dio. Come ha notato in modo illuminante Riwkah Scharf, allieva
junghiana, in alcuni libri del Vecchio Testamento Satana sembra rappre-
sentare l’incarnazione di un conflitto interno a Dio stesso: l’Onnipotente
non può prendere decisioni contro se stesso ma accondiscende a discu-
tere con un demone a lui sottoposto; si tratta senza dubbio del lato oscuro
di Dio, addirittura di un lato tenebroso di Dio che agisce autonomamente.
Questa tesi sarebbe senz’altro stata sottoscritta dagli gnostici che, nel
consueto linguaggio mitico, hanno esposto questo tipo di concetto quasi

55
La Luce della Conoscenza
duemila anni prima che nascesse la scuola junghiana, portandola alle
estreme conseguenze: se il vero Dio è infinità bontà e genitore spirituale
degli esseri umani, il dio di Israele può al massimo essere definito ‘gi-
usto’, dal momento che acconsente ad azioni moralmente discutibili.
Essi senza dubbio si chiedevano: quale padre, amorevole e buono, dis-
truggerebbe la vita di un figlio solo per metterne alla prova la fedeltà,
come accadde a Giobbe?
Questa semplice questione era per gli gnostici una prova della natura
inferiore del creatore.
La figura del demiurgo ha anche un’importante valore intrapsichico: esso
rappresenta l’immagine imperfetta del vero Dio, creata dalla coscienza
umana (intesa ovviamente nel senso collettivo) che del vero Dio era ig-
nara. Fintanto che l’umanità non lo conosceva ha plasmato un’immagine
‘psichica’, cioè non dotata di vera esistenza, di Dio come creatore, legis-
latore, giudice e quant’altro; anche le epistole paoline garantiscono che
“Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare
quelli che erano sotto la legge, affinchè noi ricevessimo l’adozione. E,
poiché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri
cuori che grida ‘abbà, padre’”; in poche parole il vero Dio ha inviato suo
Figlio cosicchè svelasse il suo vero volto di Padre e Madre dell’umanità.
L’‘immagine imperfetta’ di Dio simboleggiata dal demiurgo ha anche
un importante valore a livello individuale, oltre che collettivo; lo psichi-
atra Scott Peck spiega che “finchè siamo piccoli i genitori appaiono ai
nostri occhi come degli esseri divini e infallibili. La nostra prima nozi-
one della natura di Dio è una semplice estrapolazione della natura dei
nostri genitori… se i nostri genitori sono stati amorevoli e indulgenti,
crederemo in un Dio benevolo e indulgente… se al contrario abbiamo
avuto dei genitori severi e inflessibili, cresceremo con l’immagine di un
dio crudele e vendicativo e di un mondo indifferente o ostile… perciò
ci chiediamo: la fede in Dio è una malattia della mente? E’ un trans-
fert, un’imago parentale trasferita inopportunamente dal microcosmo al
macrocosmo?... Senza dubbio, intorno alla realtà di Dio c’è molta acqua
sporca. Guerre sante. Inquisizione. Sacrifici umani. Superstizione. Dog-
matismo. Ignoranza. Ipocrisia. Intransigenza. Caccia alle streghe… v’è
motivo di credere che al di là delle nozioni spurie e dei falsi concetti di
Dio esista una realtà che è Dio. Questo è appunto ciò che intendeva Paul

56
Le due facce del creatore e l’ambivalenza dell’anima umana
Tillich (filosofo, n.d.a.) quando parlava del ‘Dio oltre Dio’… il Dio che
precede lo scetticismo è sempre molto diverso dal Dio a cui lo scetti-
cismo ci conduce”.
Queste parole, scritte da uno psichiatra del ventesimo secolo, dimostra-
no una sostanziale identità di concetti con le credenze degli gnostici di
duemila anni fa; oggi più che mai è chiaro a chiunque che i feticci reli-
giosi creati dagli uomini sono serviti nel corso della storia come pretesti
per la guerra, il potere e la sopraffazione; attorno a essi è nato ogni tipo
di fondamentalismo ed intolleranza e hanno condotto l’umanità alla divi-
sione anziché all’unione. Come afferma il Vangelo di Filippo: “Un tempo
Dio ha creato gli uomini, ma ora sono gli uomini a creare gli dei. Sarebbe
più opportuno che tali divinità si prostrassero davanti agli uomini”.
Stephan A. Hoeller, fondatore della Gnostic Society, sembra essere
d’accordo con questi punti di vista quando afferma che “esattamente
come Jung distingueva il Sé e l’Io (i due ‘dio’ della psiche), gli gnostici
parlavano di due divinità, una trascendentale, e un semplice dio mal-
destro di secondaria importanza… La natura psichica, inferiore, con la
sua coscienza dell’ego è l’artefice mentale per eccellenza, che impone il
suo ordine su vita e realtà. Noi ci organizziamo il nostro cosmo (o cre-
iamo la nostra realtà, come direbbe qualcuno) e al tempo stesso impon-
iamo su di esso i nostri difetti”.
In altre parole il Sé autentico di ogni essere umano, che è una particella
del Vero Dio, non coincide con la nostra personalità cosciente, simboleg-
giata dal demiurgo; quest’ultima piuttosto è come la lente attraverso la
quale vediamo la realtà oggettiva, ma con una percezione, soggettiva,
inficiata dai limiti della nostra personalità.

57
LE TRE NATURE

La contrapposizione fra il creatore e il diavolo ha il suo parallelo nella


struttura dell’animo umano, un concetto comune sia alla gnosi valentini-
ana che a quella sethiana (nel conflitto fra Jaldabaoth e Sabaoth).
Come abbiamo visto, nel sistema valentiniano il demiurgo e il diavolo
sono personificazioni delle passioni provate dalla Sapienza in seguito
alla caduta: il diavolo è la personificazione della sofferenza e della paura,
mentre il creatore deriva dalla conversione e dal pentimento; questi han-
no il loro corrispettivo intrapsichico nel ‘chous’ (anima carnale o irrazio-
nale o ilica, cioè materiale) e nella ‘psyche’ (anima razionale). Il primo
corrisponde, nella Rivelazione Segreta di Giovanni, allo “spirito di oppo-
sizione, simile all’immagine dello Spirito che era disceso, affinchè, per
suo mezzo, le anime venissero contaminate” (29, 3): è dotato di una pro-
pensione innata all’autogratificazione, all’inconsapevolezza e all’oblio, e
viene identificato con il “seme del diavolo” (Vang. Matteo 13, 28) e con
la “legge nelle membra che combatte con la legge della mente e mi rende
prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra” (Romani
7, 23); gli arconti usano infatti i piaceri materiali e il desiderio per poter
prolungare il loro dominio sul genere umano. Il prototipo dell’anima car-
nale è Caino, che per via dell’invidia e della sete di potere “divenne un
assassino come suo padre (il diavolo, n.d.a) e uccise il proprio fratello”
(Vang. Fil. 66, 6). Coloro che sono soggetti all’anima carnale vivono in
modo egoistico e rivolto solo alla realtà materiale: “Il loro dio è il de-
siderio terreno: pensano solo a cose che appartegono a questo mondo”
(Filippesi 3, 19). Il Vangelo di Filippo (83, 22-38) mette in guardia il
lettore dall’assecondare l’anima carnale, altrimenti “ci dominerebbe, e
saremmo suoi schiavi. Ci terrebbe prigionieri facendoci fare ciò che non
vogliamo e non facendoci fare ciò che vogliamo”. Gli individui dominati
dalla natura carnale venivano anche identificati con i semi caduti lungo
la strada in Matteo 13, 18: essi odono il messaggio di Cristo ma non lo

59
La Luce della Conoscenza
comprendono; questa concezione dell’individuo carnale trova riscontro
anche nelle epistole paoline, secondo le quali “quelli che sono in armo-
nia con la carne non possono piacere a Dio” (Romani 8, 8), per loro la
parola di Gesù non ha alcun significato ed essendo partecipi della natura
materiale ed illusoria, non hanno una vera esistenza spirituale; pertanto,
dopo la morte vengono consegnati alle ‘tenebre esterne’ (la non esisten-
za). Tuttavia, la salvezza non è il destino di pochi eletti: come spiega
la Rivelazione Segreta di Giovanni, anche le anime in cui è prevalso
lo spirito di opposizione saranno in maggioranza da ultimo purificate e
introdotte al ‘luogo del riposo’: la dannazione è riservata solo agli apos-
tati, cioè coloro che hanno avuto l’occasione di conoscere la verità ma
l’hanno rifiutata. Questi ultimi vengo identificati con coloro che hanno
bestemmiato contro lo Spirito (Vang. Luca 12, 10).
La psiche o anima razionale, identificata con Abele, ha un ruolo ambiva-
lente: può volgersi verso il bene ed acquisire una natura spirituale oppure
scegliere il male e condividere il destino riservato agli ilici; gli individui
psichici che odono il messaggio di Cristo ma spesso sono distolti dagli
“impegni mondani e dall’inganno delle ricchezze” sono “i semi caduti
fra i rovi” (Vang. Matteo 13, 22).
La lotta interiore di questi gnostici non era comunque rivolta “al sangue
e alla carne”, ma piuttosto alle passioni e alle compulsioni suscitate dallo
spirito di opposizione che trama contro il piano della salvezza, assimilate
agli arconti; la Rivelazione Segreta di Giovanni afferma che è possibile
per gli uomini ottenere la salvezza mentre sono ancora “nella carne, che
essi sopportano fino al momento in cui saranno visitati dai ricevitori”
(23, 10); il corpo, benchè venga plasmato dalle potenze malevole come
una specie di prigione per lo spirito, è la rivelazione dell’immagine
dell’Essere Umano apparsa agli arconti sulle acque del Caos: esso può
essere quindi un alleato e una minaccia allo stesso tempo, risentendo
della sua duplice genealogia. Anche la psiche non è intrinsecamente
negativa, dal momento che dopo la creazione dell’Adamo psichico ci
viene detto che esso era “privo del male” (18, 17); lo scopo della gnosi è
piuttosto quello di sconfiggere i poteri che tengono lo spirito intrappolato
nella psiche e nel corpo e di smascherare i loro inganni.
Dal momento che la collettività delle anime razionali definisce la realtà
consensuale ed i concetti di giusto e sbagliato, essa viene considerata af-

60
Le tre nature
fine al demiurgo. Come già accennato, la natura psichica, secondo la dot-
trina valentiniana, deriva dalla conversione e dal pentimento, cioè dalla
consapevolezza individuale delle proprie mancanze, del proprio dolore
e disagio. In queste condizioni, l’anima razionale è attratta verso il bene
dalla propria natura spirituale, che però non è ancora attualizzata; proprio
per questo l’individuo psichico è ancora ignaro delle realtà spirituali e,
dal momento che cerca un perfezionamento è soggetto alla legge morale
data dal demiurgo: “… prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchi-
usi sotto la custodia della Legge, in attesa della fede che doveva essere
rivelata. Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo…
ma ora che la fede è venuta, non siamo più sotto precettore; perché siete
tutti figli di Dio per la fede in Gesù Cristo” (Galati 3, 23-25). Questa
concezione getta le basi per una comprensione dell’etica gnostica: a fare
la perfezione morale dell’individuo non è l’assoggettamento ad una serie
di norme morali a cui è obbligatorio conformarsi, ma piuttosto la bontà
delle azioni corrisponde alla maturità di coscienza di chi le compie.
Ritroviamo una concezione di questo tipo in uno dei pochi frammenti
del maestro gnostico Basilide, secondo il quale “è la volontà di uccidere
che costituisce l’assassino, benchè egli non trovi l’occasione di mettere
in pratica il suo proposito… appunto per questa ragione … anche se egli
non ha effettivamente commesso alcun peccato, io dirò che è malvagio,
dal momento che egli ha ancora la volontà di trasgredire”; il Vangelo di
Filippo usa lo stesso concetto spiegando che il peccato “è sempre materia
di volontà, e non di azione” (66, 29).
La concezione gnostica tripartita della psiche individuale comprende un
terzo elemento, vale a dire il seme pneumatico (spirituale); nella sethiana
Ipostasi degli Arconti “Adamo conobbe la propria co-immagine Eva, ed
ella rimase incinta; generò, per Adamo, Seth”; la nascita di Seth ricalca
il modello stabilito nel Regno Divino, quando Dio “guardò Barbelo nella
luce pura che circonda lo Spirito Invisibile” generando il Figlio, il Cristo
Autogenes. Seth, la cui nascita è avvenuta sotto gli auspici dell’Epinoia
della Luce, ipostasi della Madre Divina Barbelo, è il capostipite della
‘razza spirituale che non vacilla’ ed è generato a immagine del Seth pre-
esistente; questo concetto deriva dall’esegesi gnostica di Genesi 4, 25.
In alcuni testi sethiani (per esempio nel Vangelo degli Egiziani), il Seth
preesistente è l’archetipo del Salvatore, che contrasta con le sue azioni

61
La Luce della Conoscenza
i disegni distruttivi degli arconti malvagi ai danni della razza spirituale.
Quest’ultima, benchè sia esteriormente indistinguibile dalle altre due,
non fa parte di questo mondo, perché ha riconosciuto la propria origine
superceleste e ultramondana; come sottolinea Paolo, l’individuo spiri-
tuale rifiuta la propria natura carnale, poiché “la carne è contro lo spirito,
e lo spirito contro la carne” (Gal. 4, 17). Il corpo stesso viene considerato
come qualcosa di ‘posticcio’, non facendo parte integrante dell’originaria
struttura umana, dal momento che, come tutta la realtà materiale, è un
prodotto della Caduta; era identificato con le ‘tuniche di pelle’ con cui
Adamo ed Eva si coprirono durante la cacciata dall’Eden. Proprio per
questo motivo abbondano nei testi gnostici le immagini del mondo e del
corpo visto come un luogo di esilio dalla vera patria spirituale, così come
il sentimento preponderante è un’acuta nostalgia per le proprie origini
(temporaneamente) perdute. Questo motivo è comunque presente indu-
bitabilmente anche nei vangeli canonici; per esempio, nel Vangelo di
Giovanni Gesù dichiara a proposito di coloro che lo seguono: “Io ho
dato loro la tua parola, ma il mondo li ha odiati, perché non fanno parte
del mondo, come io non faccio parte del mondo” (17, 14); in seguito,
davanti a Pilato esclama: “Il mio regno non è di questo mondo” (18, 36).
La tripartizione, così come la distinzione fra lo spirito (gr. ‘pneuma’) e
l’anima (gr. ‘psyche’) dell’essere umano sembra essere presente in nuce
nelle epistole paoline: “Il Dio della pace vi santifichi completamente; e
l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irrep-
rensibile… “ (2 Tess. 5, 23); “La parola di Dio è vivente ed efficace, più
affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere
l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla” (Ebrei 4, 12).
Il vero Sé, l’Essere Umano interiore e autentico, non è la personalità
che sperimentiamo quotidianamente: essa è piuttosto come un velo da
cui filtra la luce della particella spirituale, più o meno intensamente a
seconda della maggiore o minore evoluzione dell’individuo. Ciascuna
delle tre nature è presente in ogni essere umano: in realtà non c’è al-
cuna predestinazione alla salvezza o alla dannazione, come molti com-
mentatori hanno erroneamente presunto. Tutto dipende da quale delle tre
nature prevarrà nell’individuo: “Dalle tre razze avviene la formazione
di quella spirituale, e da quella psichica il passaggio dalla servitù alla
libertà” (Estr. Teod. 57).

62
Le tre nature
Come abbiamo visto, non è tanto la condotta esteriore ad essere l’indice
del livello spirituale dell’individuo, ma piuttosto il suo rinnovamento
interiore. Anche il Vangelo di Tommaso, che riporta detti e parabole at-
tribuiti a Gesù, non si sofferma sull’esercizio di pratiche esteriori, ma
invita il lettore all’introspezione e ad eliminare dalla propria interiorità
le radici del peccato; uno di questi detti, che contiene un’implicita critica
alle rigide norme alimentari del giudaismo, spiega che “non sarà quello
che entrerà nella vostra bocca a sporcarvi, ma piuttosto quello che dalla
vostra bocca uscirà” (loghion 14).
Sulla base di questo concetto, chi viene rigenerato dalla gnosi non può
più peccare: è cioè “salvato per natura” (Estr. Teod. 77, 1). Questo as-
sunto, uno dei più fraintesi dell’intera dottrina gnostica, non implica che
ci si possa abbandonare a qualsiasi tipo di azione, ma semplicemente che
chi ha riconosciuto la vacuità di certi comportamenti senz’altro non li
praticherà ulteriormente: “Colui che riceve la conoscenza è un individuo
libero. Ma la persona libera non pecca, perciò chi pecca è schiavo del
peccato” (Vang. Fil. 77, 15-18). La stessa logica è presente anche nelle
epistole neotestamentarie, secondo cui “chi vive in unione con Cristo
non continua a peccare; ma chiunque continua a peccare non lo ha mai
visto o conosciuto” (1 Giov. 3, 6). Come evidenzia lo studioso Giovanni
Filoramo “il possesso dei misteri pleromatici non annulla la responsabil-
ità del singolo, vi è il caso estremo di chi li riceve e continua a peccare
e muore senza ravvedersi: per lui non c’è salvezza ma condanna…”.
Questo punto di vista è comune anche nella dottrina dei sufi musulmani
i quali, nonostante ritengano che per loro tutto sia lecito, confidando
nell’infinita misericordia di Dio, conducono uno stile di vita prossimo
all’ascetismo. Il peccato ha quindi una radice interiore e non esteriore,
come ben sottolinea il Vangelo di Filippo secondo il quale “la mancanza
di conoscenza è la madre di tutti i mali” (83, 30).
L’elemento spirituale, per sua natura indistruttibile, è destinato co-
munque alla salvezza; tuttavia, la sua reintegrazione finale nel Pleroma
viene rimandata finchè non è stato completamente purificato; proprio per
questo gli Insegnamenti di Silvano (una raccolta di massime sapienziali)
esortano il lettore a stare “attento a te stesso, in modo da non cadere nelle
mani dei briganti… combatti il gran combattimento, finchè dura la lotta.
Mentre tutte le potenze fanno da spettatrici, non solo quelle sante, ma an-

63
La Luce della Conoscenza
che tutte le potenze dell’Avversario. Guai a te, se sei sconfitto in mezzo
a tutti i tuoi spettatori!” (113, 33-114,6). La particella spirituale ancora
priva della gnosi non sa e non può superare il giudizio degli arconti che
le ostacolano la strada del ritorno alla soglie dei sette firmamenti; viene
quindi gettata nuovamente sulla terra, con una nuova anima e un nuovo
corpo, finchè non abbia raggiunto l’illuminazione che le consentirà di
raggiungere l’Ottavo Cielo e da lì il Pleroma.
Un altro preconcetto da sfatare è quello di libertinismo cultuale sfre-
nato, mutuato dalle calunnie degli eresiologi cattolici: sebbene non sia
impossibile che vi fossero gruppi ‘degenerati’ che praticavano forme di
ritualità orgiastica, nessuno dei testi originali a noi pervenuti presenta
segnali in tal senso, anzi da essi emerge un’atteggiamento del tutto ostile
verso il sesso promiscuo e la lussuria insensata. La Rivelazione Segreta
di Giovanni ad esempio individua nel protoarconte malvagio Jaldabaoth
la fonte primaria della concupiscenza e della sfrenata passione sessuale;
il crudo linguaggio usato per descrivere la sessualità indiscriminata nel
regno materiale contrasta nettamente con i puri atti mentali con cui ven-
gono generati gli esseri spirituali del Pleroma, e anzi la lussuria è uno
degli strumenti principali utilizzati dagli arconti per tenere l’umanità
nell’oblio e nella schiavitù.
Un altro testo, l’Esegesi dell’Anima, paragona l’anima del peccatore
ad una donna che si sia prostituita a molti uomini, perdendo la purezza
primigenia.
Allora come oggi, il modo migliore per screditare qualcuno è diffondere
calunnie legate alla vita sessuale; del resto le accuse di libertinaggio e di
pratica di riti orgiastici (oltre che di cannibalismo e stregoneria) erano
spesso rivolte a tutti i primi cristiani dai retori e intellettuali romani e
pagani.
Non sembra nemmeno plausibile che gli gnostici aborrissero e rifiutassero
la procreazione, come sostenuto dagli eresiologi: al contrario l’archetipo
della famiglia e della procreazione risiede nel cuore stesso del Regno Di-
vino, dal momento che Dio viene concepito come Padre, Madre e Figlio;
inoltre, nella Rivelazione Segreta di Giovanni, mentre la nascita di Caino
ed Abele viene attribuita ad uno stupro dell’ Eva carnale compiuto dagli
arconti, la concezione di Seth deriva dall’unione spirituale fra Adamo e
la propria controparte celeste, l’Eva pneumatica o spirituale, che viene

64
Le tre nature
definita “la madre dei viventi”, titolo precedentemente assegnato alla
Madre, lo Spirito Santo. Il giusto ruolo della sessualità si ha quindi nel
reciproco riconoscimento dell’immagine spirituale condivisa dall’uomo
e dalla donna, l’atto della procreazione è perciò concepito come un atto
di salvezza, un concetto che non si discosta affatto dall’etica cristiana
tradizionale. Parallelamente, nella concezione valentiniana Dio stesso e
le forze spirituali che da lui promanano vengono concepite come una
sizigia, cioè come una coppia in eterna unione.
A questo proposito il maestro valentiniano Tolomeo riteneva che per la
maggior parte delle persone la santificazione si ottenesse con il matri-
monio e la procreazione e che “chiunque è stato nel mondo e non ha
amato una donna in modo da unirsi a lei non è dalla Verità e non otterrà
la Verità” (Adv. Haer. 1, 6, 4). Dello stesso avviso anche Teodoto, per il
quale il matrimonio e la nascita di figli sono “indispensabili per la salvez-
za di coloro che credono, per cui crescere dei figli è essenziale finchè il
seme (spirituale, n.d.a.) non è considerato maturo” (Estr. Teod. 67, 2-3).
Questo punto di vista è dovuto al fatto che per i valentiniani l’esistenza
nel regno materiale è un’occasione per perfezionare l’elemento spirituale
presente in ognuno.
Abbiamo anche solidi indizi di una dottrina che favoriva una base di
vita etica e rispettosa del prossimo. Nella Lettera a Flora del maestro
valentiniano Tolomeo la legge contenuta nel Pentateuco viene attribuita
a tre fonti diverse: Dio, Mosè e gli anziani (vale a dire la gerarchia sac-
erdotale); Tolomeo spiega che alcuni precetti sono stati stabiliti da Mosè
e non sono di ispirazione divina: un esempio è la legge sul divorzio, che
consente ad un uomo di ripudiare la propria moglie; secondo le parole di
Gesù si tratta di una legge ingiusta, stabilita da Mosè “per via della vostra
durezza” (Vang. Matt. 19, 8). Tolomeo sottolinea che, sebbene si tratti di
una legge ingiusta, Mosè l’ha adottata “per necessità, a causa di coloro
cui si rivolgeva la legge” (4, 6). Perciò la legge mosaica si divide in tre
parti: legislazione pura che il Salvatore non è venuto ad abrogare ma a
perfezionare (come i dieci comandamenti, vedi Vang. Matt. 5, 17), leg-
islazione ingiusta destinata all’abrogazione (“Occhio per occhio dente
per dente”, Lev. 24.20, o come nel caso della lapidazione dell’adultera)
e legislazione simbolica “legiferata a immagine delle realtà spirituali e
superiori” (5, 2), come nel caso della circoncisione, simbolo della “circ-

65
La Luce della Conoscenza
oncisione spirituale del cuore” (5, 11).
Anche l’amore e la solidarietà reciproca hanno una grande importanza:
secondo il Vangelo di Filippo, “chiunque è libero per via della conoscen-
za è uno schiavo d’amore per quelli che non sono ancora stati in grado di
ottenerla” (77, 26-29); “Beato chiunque non ha mai afflitto un’anima…
beato chi è fatto così, perché è un umano perfetto” (Vang. Fil. 79, 33).
Anche il Vangelo di Verità esorta il lettore a “fermare il piede di coloro
che inciampano, tendete la vostra mano a chi è malato. Date cibo agli
affamati, e riposo a chi è stanco. Aiutate ad alzarsi chi vuol cammin-
are, e svegliate coloro che dormono”. La stessa condotta magnanima e
compassionevole veniva adottata da questi gnostici anche di fronte alla
persecuzione: “Ignoriamoli quando ci maledicono. Quando ci gettano in
viso infamie, guardiamoli, e non parliamo” (Ins. Aut. 27, 6).
Come abbiamo visto, gli gnostici avevano un atteggiamento di riprovazi-
one nei confronti degli arconti, le potenze maligne che governano il
mondo; ben lungi da limitarsi a condannare esse sole, riprovavano anche
“coloro che sono superbi per via del loro desiderio e la loro ambizione, e
amano la gloria fuggevole… per la loro ignoranza e insensatezza ricev-
eranno un giudizio: commettono contro il Signore le stesse cose indegne
che le potenze di sinistra commisero contro di lui fino alla morte” (Tratt.
Trip.121, 1-12); questo atteggiamento ostile o tutt’al più indifferente
verso il potere mondano è la logica conseguenza della valutazione del
tutto negativa data nell’ambito gnostico alle potenze soprannaturali che
dominano il cosmo materiale, assimilate ai potenti della terra. Si tratta
di un concetto comune anche alla tradizione cristiana ortodossa: ad es-
empio, l’Apocalisse di Giovanni concepisce il mondo come dominato
dagli angeli caduti e dai loro rappresentanti terreni, i re e i potenti. Come
sottolinea Karen L. King, secondo la Rivelazione Segreta di Giovanni
“l’ingiustizia nella vita della gente non è solamente colpa degli individui,
ma è piuttosto attribuibile alla malvagità dei governatori del mondo e alle
macchinazioni dello spirito contraffatto. La sofferenza è molto spesso
il risultato di un male strutturale che non è colpa della singola persona.
D’altra parte, le persone sono chiamate a superare la loro condizione
peccaminosa, e sono esse stesse responsabili se rifiutano la verità”.

66
GLI ARCONTI, LE CATENE DEL FATO
E IL DONO DELLA GRAZIA

Precedentemente è stata messa in rilievo l’identificazione degli arconti


con le passioni psichiche e con le forze legate ai movimenti planetari
delle dottrine astrologiche, tema comune a tutte le scuole gnostiche.
Quest’ultima concezione non è estranea alla dottrina ortodossa neotes-
tamentaria; per esempio, l’autore dell’Epistola di Giuda paragona i pec-
catori alle “stelle erranti, a cui sono riservate le tenebre e l’oscurità per
l’eternità” (1, 13); inoltre le divinità astrali dei pantheon pagani erano
spesso considerate dai primi cristiani alla stregua di demoni e spiriti ma-
ligni che ingannano l’umanità.
Nella tradizione apocalittica giudaica si fa riferimento alle potenze che
governano gli astri che “commetteranno errori rispetto agli ordini ricev-
uti… errerano contro di loro (i peccatori, n.d.a.), e modificheranno il loro
corso. Poi questi (sempre i peccatori, n.d.a.) erreranno e scambieranno
(le stelle) per divinità. E i mali si moltiplicheranno e i flagelli si abbat-
teranno su di loro, fino a distruggerli tutti” (1 Enoc 80, 6-8).
Nella dottrina gnostica, benchè il movimento delle stelle sia sottoposto
alla volontà divina, le potenze associate agli astri condividono la natura
inferiore del regno materiale che governano.
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni, le 365 potenze astrologiche plas-
mano Adamo prima con la sostanza psichica della quale esse sono costi-
tuite e, via via che le loro macchinazioni vengono contrastate dall’azione
salvifica della Madre, lo riplasmano in forma materiale “dalla terra,
dall’acqua, dal fuoco e dal vento, cioè dalla materia, dall’ignoranza delle
tenebre, dal desiderio e dal loro spirito di opposizione: questa è la tomba
della nuova creazione del corpo” (19, 10-13). Ognuna di queste potenze
astrali presiede ad una parte del corpo psichico e materiale: questa cre-
denza, largamente diffusa nell’antichità, era nota con il nome di melo-
tesia, e considerava l’essere umano come iscritto nel sistema del cosmo

67
La Luce della Conoscenza
stesso. Il testo identifica esplicitamente il dominio tirannico degli arconti
con il fato (in greco ‘heimarmene’) e con lo spirito di opposizione che
ostacola la gnosi del Vero Dio: “Ma io gli domandai: ’Signore, da dove è
venuto lo spirito di opposizione?’… ‘Quando il protoarconte si accorse
che (gli esseri umani, n.d.a.) erano più grandi di lui e che il loro pensiero
era al di sopra del suo… si consigliò con le sue potenze… e generarono
l’Amaro Destino, che è l’ultima delle terribili catene… esso è complesso
e illusorio; con esso sono amalgamati gli dei, gli angeli, i demoni e tutte
le generazioni fino a oggi. Da quel destino, infatti, deriva ogni iniquità,
violenza e bestemmia, la catena dell’oblio e dell’ignoranza, ogni ardua
disposizione, le gravi mancanze e la grande paura. Fu così che tutta la
creazione divenne cieca, non conobbe il Dio che è al di sopra di tutto e,
per via della catena dell’oblio, i loro peccati erano nascosti; essi, infatti,
incatenavano misure, tempi e stagioni, infatti il destino è signore su ogni
cosa” (R. S. G. 27, 32-28, 33).
Come si evince chiaramente, le passioni psichiche e materiali, che han-
no il loro corrispettivo macrocosmico nelle stelle e nelle potenze che le
governano, non costituiscono il vero Sé dell’individuo, che è di natura
spirituale; esse sono invece la materia prima con la quale viene forgiato
lo spirito di opposizione, cioè il complesso delle pulsioni e compulsio-
ni che letteralmente accecano gli esseri umani privandoli della visione
spirituale; non per nulla Jaldabaoth è anche chiamato con il nome di Sa-
mael, letteralmente ‘il dio dei ciechi’. Lo spirito di opposizione trascina
l’umanità in un gorgo di confusione e illusioni: “Invecchiarono senza
avere requie; morirono, non trovarono alcuna verità, non conoscevano il
Dio della Verità. Fu così che tutta la creazione divenne schiava per tutta
l’eternità, dalla fondazione del mondo fino ad ora” (R. S. G. 30, 2-8). E’
proprio contro lo spirito di opposizione e contro gli arconti che lo gov-
ernano che si fonda la lotta interiore dello gnostico; come ricorda anche
il trattato della Pistis Sophia la missione salvifica di Gesù ha “tolto un
terzo della forza degli arconti di tutti gli eoni… da quest’ora in poi non
saranno più in grado di portare a compimento le loro inique azioni” (Pis.
S. 18,2). Ovviamente, anche i riferimenti dell’apostolo Paolo alle “auto-
rità e alle potenze”, che dominano “questo mondo di tenebre” (Ef. 6,12)
erano interpretati in questo senso. Per il lettore moderno l’accostamento
delle pulsioni istintuali e inconsce alle forze astrologiche può suonare

68
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
bizzaro; in realtà, come è già stato fatto notare, nel mondo antico (e nella
tradizione gnostica in particolare) si riteneva che ogni aspetto del mondo
materiale fosse governato dalle stelle, tanto in termini collettivi che indi-
viduali; il cosmo (dal greco, ‘ordinamento’) non veniva concepito come
un’accozzaglia di entità a sé stanti e separate, ma come un insieme in cui
ogni cosa è legata alle altre. Come in alto, così in basso: il microcosmo
umano rispecchia il macrocosmo e gli eventi terrestri sono indissolubil-
mente legati a quelli celesti. Attualmente, anche se l’astrologia è ormai
screditata, almeno ufficialmente, dal punto di vista scientifico, alcuni as-
petti interessanti di questa arte del passato sono stati recuperati da un
grande studioso delle mente e dei suoi misteri, Carl Gustav Jung, allievo
di Freud e poi fondatore della psicologia analitica, di cui si è già ac-
cennato il grande interesse per lo gnosticismo. Egli considerava le forze
astrologiche come espressioni dei modelli archetipici dell’inconscio col-
lettivo; il concetto di archetipi, molto antico, risale ai tempi dell’antica
Grecia e rispecchia la credenza secondo cui alle fondamenta di ciò che
esiste vi siano dei principi fondamentali che permeano e costituiscono la
sostanza del mondo materiale. Nella cultura classica e, prima ancora, in
quella egizia e mesopotamica, il mondo degli astri veniva associato alle
divinità e al loro governo sulle cose terrene. Jung recuperò questa nozi-
one identificando le forze astrologiche con gli archetipi, come modelli
organizzativi della psiche. Nel suo saggio del 1960 “Sincronicità: un
principio di collegamento acasuale” discusse esplicitamente di astrolo-
gia. Per Jung, la sincronicità consiste in un “verificarsi simultaneo di uno
stato psichico con uno o più eventi esterni che appaiono come paralleli
significativi allo stato soggettivo momentaneo”, cioè nel verificarsi con-
temporaneo di accadimenti esterni ed eventi interni, come sogni, visioni
e premonizioni. Si tratta di fenomeni che la razionalità tende a classifi-
care come coincidenze, e che tuttavia ricorrono con una frequenza molto
alta nella vita di chiunque. L’ interpretazione data da Jung a fenomeni
come la sincronicità è che “c’è una psiche preesistente che organizza
la materia”. Quasi duemila anni prima di lui gli gnostici sostenevano la
stessa identica tesi: “Essa (la psiche, n.d.a.) è al di sotto dell’ogdoade
(sede della Sapienza, lo Spirito, n.d.a.)… ma al di sopra della materia
ilica, di cui essa è la formatrice”; i parallelismi fra i due punti di vista
sono stringenti.

69
La Luce della Conoscenza
Queste teorie sono state ampliate e approfondite dallo psichiatra di ori-
entamento freudiano di origine cecoslovacca Stanislav Grof.
Tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, negli os-
pedali psichiatrici veniva sperimentato sui malati un nuovo ritrovato
farmaceutico, la dietilammide dell’acido lisergico, meglio noto come
LSD. Le esperienze con pazienti trattati con LSD portarono Grof e molti
altri colleghi a rivedere ed ampliare la concezione freudiana della psiche;
Grof divenne un profondo conoscitore del pensiero junghiano e, dopo
la messa al bando dell’ LSD, dovuta all’abuso da parte delle correnti
della controcultura hippy, elaborò un metodo alternativo di esplorazione
della psiche conosciuto come ‘respirazione olotropica’, non più basato
sull’uso di sostanze farmaceutiche ma sul controllo del respiro e sulla
musica.
Nel 1967 lasciò la Cecoslovacchia per stabilirsi negli Stati Uniti, dove con
un gruppo di colleghi che condividevano le sue tesi fondò l’Associazione
per la Psicologia Transpersonale, finalizzata allo studio della coscienza e
della dimensione spirituale dell’individuo, prendendo in considerazione
anche fenomeni psichici fino ad allora considerati ‘di confine’ come le
esperienze di pre-morte, le premonizioni e le cosiddette ‘emergenze spir-
ituali’, cioè profonde crisi interiori che portano l’individuo a un radicale
rinnovamento della personalità.
Studiando le reazioni dei pazienti sottoposti al trattamento con farma-
ci psichedelici come l’LSD, Grof si rese conto che i test standard per
l’anamnesi psicologica e psichiatrica, come l’MMPI e il test delle mac-
chie di inchiostro di Rorschach, erano assolutamente inutili.
“Per ironia, quando – dopo anni di sforzi frustranti – trovai finalmente
un dispositivo che rendeva possibili tali predizioni, questo apparve fonte
di controversie ancora più grande delle stesse sostanze psichedeliche.
Si trattava dell’astrologia, disciplina che, anche dopo anni di studio di
fenomeni transpersonali, io stesso tendevo a rifiutare come ridicola pseu-
doscienza. Il cambiamento radicale del mio atteggiamento nei confronti
dell’astrologia fu il risultato della cooperazione con un mio caro amico,
Richard Tarnas, psicologo e filosofo e collega per molti anni. Rick è uno
degli astrologi più brillanti e creativi dei nostri tempi, e le sue ricerche
uniscono un’impeccabile conoscenza e una profonda familiarità con
stati non ordinari di coscienza, argomento della sua dissertazione di dot-

70
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
torato… Da vari anni, esploriamo insieme correlazioni astrologiche di
esperienze mistiche, crisi psicospirituali, episodi psicotici, stati psiche-
delici e sessioni di respirazione olotropica. Tale lavoro ha mostrato che
l’astrologia, e particolarmente lo studio dei transiti planetari, può predire
contenuti e tempi di stati olotropici di coscienza. Il nostro studio siste-
matico delle correlazioni tra natura e contenuto di stati olotropici e tran-
siti planetari mi convinse che una combinazione di terapia sperimentale
profonda con psicologia archetipica, e di astrologia dei transiti (metodo
predittivo che analizza gli aspetti angolari dei pianeti rispetto al tema di
nascita, n.d.a.), costituisce la strategia più promettente per la psichiatria
del prossimo millennio. Mi rendo conto che questa è un’affermazione
molto forte, specie considerando il fatto che molti scienziati delle mag-
giori scuole ritengono l’astrologia – e io stesso come loro – incompatibile
per principio con la visione scientifica del mondo… La scienza occiden-
tale ritrae l’universo come un sistema meccanico impersonale e in gran
parte inanimato, una super-macchina che si è creata da sé ed è governata
da leggi meccaniche impersonali. La vita, la coscienza e l’intelligenza
sono considerate prodotti più o meno accidentali della materia. Al con-
trario, la tesi fondamentale dell’astrologia è che il cosmo è la creatura di
un’intelligenza superiore, che si basa su un progetto inconcepibilmente
complicato e rispecchia uno scopo e un ordine superiori. La prospettiva
dell’astrologia rispecchia strettamente il significato originale della parola
greca kosmos, la quale descrive il mondo come un sistema ordinato in
modo comprensibile, secondo modelli, e collegato coerentemente con
l’umanità, come parte integrante del tutto. Con questa visione, la vita
umana non è il risultato di forze erratiche dominate dai capricci del caso,
ma segue una traiettoria preordinata, che è sintonizzata sui movimenti
dei corpi celesti e può quindi, almeno in parte, essere intuita”.
Secondo Grof, per la psichiatria tradizionale “la nozione e – in partico-
lare – l’esperienza di archetipi è un prodotto patologico del cervello che
richiede un trattamento con i tranquillanti. Un altro importante ostacolo
a una seria considerazione dell’astrologia sta nel pensiero determinis-
tico della scienza occidentale. L’universo viene considerato come una
catena di cause ed effetti, mentre il principio di causalità è ritenuto in-
eludibile in tutti i processi dell’universo. Un’importante ed inquietante
eccezione a questa regola sta nel fatto che l’origine dell’universo e il

71
La Luce della Conoscenza
problema della ‘causa di tutte le cause’ vengono raramente menzionati
nelle discussioni scientifiche. Così la causalità è l’unico tipo d’influenza
che i critici dell’astrologia sono generalmente in grado di immaginare
e di prendere in considerazione. E l’idea di un effetto materiale diretto
dei pianeti sulla psiche e sul mondo è, naturalmente, non plausibile e as-
surda. Infine, l’enfasi posta dall’astrologia sul momento della nascita non
ha alcun senso per la psicologia e la psichiatria accademiche, che non
considerano la nascita biologica un evento psicologicamente rilevante e
non riconoscono il livello perinatale dell’inconscio. Ciò si basa sulla tesi
molto discutibile che il cervello del neonato non può registrare l’impatto
traumatico della nascita, dal momento che il processo di mielinizzazione
(formazione degli strati di grassa mielina che ricoprono i neuroni), al
momento della nascita, non è del tutto concluso nel cervello del neonato.
L’esistenza di esperienze transpersonali che indicano un cosmo animato,
permeato di coscienza e di intelligenza cosmica creativa indica la pos-
sibilità di esperienza diretta di realtà spirituali, comprese figure e ambiti
archetipici e l’esistenza di sincronicità che rappresentano un’alternativa
importante e percorribile al principio di causalità”.
Ovviamente per Grof non fu semplice prendere in seria considerazione
l’astrologia come serio strumento diagnostico: “La tendenza a pensare
in termini di causalità è una delle principali ragioni del violento ripudio
dell’astrologia… A causa della credenza, profondamente radicata, nella
causalità come legge centrale della natura, Jung esitò molti anni prima di
pubblicare le sue osservazioni degli eventi che non rientravano in questo
modello. Egli ritardò la pubblicazione del suo lavoro su questo argo-
mento finchè lui ed altri non ebbero raccolto letteralmente centinaia di
convincenti esempi di sincronicità, tali da renderlo assolutamente sicuro
di avere qualcosa di valido da riferire. Per lui fu anche importante ricev-
ere appoggio al suo concetto di sincronicità da parte di due pionieri della
fisica moderna, Albert Einstein e Wolfgang Pauli”.
Un’altra delle maggiori obiezioni razionali all’astrologia è la centralità
data al momento della nascita, che nella psichiatria e psicologia ‘ortodos-
se’ è stata fino a pochi anni fa molto sminuita: “Il lavoro con gli stati olo-
tropici ha corretto il sorprendente equivoco della psichiatria accademica
secondo cui il parto biologico deve causare un danno irreversibile alle
cellule cerebrali perché ci sia una qualsiasi conseguenza su condizioni

72
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
mentali, vita emotiva e comportamento dell’individuo… questa esper-
ienza stimolante lascia una traccia emotiva e una sensazione fisica im-
portanti che, interagendo con gli eventi postnatali, intervengono sullo
sviluppo di vari disordini emozionali e psicosomatici. Inoltre, lo schema
complessivo della nostra nascita tende anch’esso a riflettersi nel modo
in cui trattiamo le vicende della vita e affrontiamo impegni e progetti
importanti… Queste osservazioni costituiscono un importante sostegno
per l’astrologia, che attribuisce un grande significato al momento della
nascita e alla forte traccia di questo nella psiche dell’individuo. Esse
sono anche collegate a un altro principio basilare dell’astrologia, il quale
definisce esattamente la relazione tra eventi di grande importanza e av-
venimenti della vita individuale. Ciò suggerisce una correlazione tra i
principali movimenti ed avvenimenti della storia umana con le posizioni
planetarie e le loro interrelazioni reciproche. Il grado e la natura della
partecipazione individuale a tali eventi collettivi e i particolari incidenti
della loro vita riflettono poi i loro transiti planetari personali. Questi, a
loro volta, rappresentano la relazione tra i transiti del mondo ed il tema
natale personale”.
Come precedentemente accennato, Grof iniziò ad utilizzare l’astrologia
come strumento predittivo durante i trattamenti con sostanze psichedeli-
che. Nonostante Grof abbia utilizzato l’LSD solo nei primi anni della
propria carriera, gli esperimenti condotti su pazienti trattati con questo
farmaco psichedelico ebbero dei risultati molto singolari. Vale la pena
riportare integralmente il resoconto di una di queste esperienze, tratto
dall’opera “L’avventura della scoperta del Sé”: “Quando lavoravo al
Centro di Ricerca Psichiatrica del Maryland, fui invitato a un convegno
del personale all’Ospedale di Stato di Spring Grove. Uno degli psichiatri
presentava il caso di Flora, una paziente nubile di 28 anni che era stata
ricoverata da più di otto mesi in un reparto di sicurezza. Erano state pro-
vate tutte le terapie a disposizione, compresi tranquillanti, antidepressivi,
psicoterapia e terapia occupazionale, ma senza alcun successo, e la pazi-
ente era in attesa di essere trasferita al reparto cronici. Flora aveva una
delle combinazioni più complicate di sintomi e problemi da me mai in-
contrata nel mio lavoro di psichiatra. A sedici anni faceva parte di una
gang che effettuò una rapina a mano armata uccidendo una guardia not-
turna. Dato che era alla guida dell’auto che servì alla fuga, Flora passò

73
La Luce della Conoscenza
quattro anni in prigione e fu poi lasciata libera sulla parola per il resto
della sua condanna. Nei tempestosi anni che seguirono, ella divenne di-
pendente da droghe di vario tipo. Era alcol ed eroina-dipendente e usava
frequentemente forti dosi di psicostimolanti e barbiturici. I suoi gravi
episodi di depressione erano associati a violente tendenze suicide; spesso
era spinta a guidare l’auto su burroni o a scontrarsi con un’altra auto.
Soffriva di vomito isterico che si verificava facilmente quando era emozi-
onalmente agitata. Probabilmente la sua lamentela più straziante era per
un doloroso crampo facciale, “tic doloreux”, per cui un neurochirurgo
del John Hopkins aveva proposto un’operazione al cervello consistente
nella resezione dei nervi coinvolti. Flora era lesbica e soffriva di gravi
conflitti e colpe a causa di ciò; non aveva mai avuto nella sua vita un rap-
porto eterosessuale. A complicare la situazione, fu citata in giudizio per-
ché aveva gravemente ferito la sua amica e compagna di stanza mentre
tentava di pulire la pistola sotto l’influenza dell’eroina. Alla fine del con-
vegno di Spring Grove sui casi clinici, lo psichiatra che l’aveva in cura
chiese al Dr. Charles Savage e a me se avremmo preso in considerazione
per Flora la psicoterapia con LSD. Trovammo questa decisione estrema-
mente difficile, specialmente perché ciò avveniva nel momento
dell’isteria nazionale a proposito dell’LSD. Flora aveva già una fedina
penale sporca, poteva accedere ad armi e aveva gravi tendenze suicide.
Eravamo ben consapevoli che l’atmosfera era tale per cui, se l’avessimo
trattata con LSD, qualunque cosa fosse successa dopo, la colpa sarebbe
automaticamente ricaduta sulla droga e sulla nostra cura senza che i suoi
trascorsi avessero alcuna rilevanza. D’altronde, ogni alternativa era stata
tentata senza successo e a Flora sarebbe toccata una vita in un reparto
cronici. Dopo aver discusso, decidemmo di correre il rischio e di provare
su di lei il programma con LSD, pensando che la sua disperata situazione
giustificava il rischio. Le prime due sessioni di Flora con forti dosi di
LSD non furono molto differenti dalle molte altre che tenni in passato.
Ella dovette affrontare molte situazioni, a partire dalla sua tempestosa
infanzia e da sequenze di lotta nel canale della nascita ripetutamente ri-
vissute. Fu in grado di collegare le sue violente tendenze e i suoi dolo-
rosi crampi facciali a certi aspetti del trauma della nascita, scaricando
forti quantità di intensa emozione e tensione fisica. Ciononostante, il pro-
gresso terapeutico sembrò minimo. Nella terza sessione con LSD, non

74
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
avvenne nulla di straordinario nelle prime due ore; ebbe esperienze si-
mili a quelle delle prime due sessioni. Improvvisamente, cominciò a lag-
narsi che il dolore dei crampi facciali stava diventando insopportabile.
Davanti ai nostri occhi, gli spasmi facciali si accentuarono grottesca-
mente e la sua faccia si irrigidì in ciò che viene descritto al meglio come
una maschera del Male. Cominciò a parlare con una voce maschile pro-
fonda e tutto ciò che la riguardava era così diverso da non permettermi di
vedere alcuna connessione tra il suo aspetto attuale e quello precedente.
I suoi occhi avevano un’espressione di malizia indescrivibile e le mani
erano spastiche e sembravano artigli. L’energia aliena che aveva preso il
controllo del suo corpo e della sua voce si presentò come il demonio.
“Lui” si rivolse direttamente a me, ordinandomi di stare lontano da Flora
e di abbandonare ogni tentativo di aiutarla. Lei gli apparteneva ed egli
avrebbe punito chiunque osasse invadere il suo territorio. Ciò che seguì
fu un esplicito ricatto, una serie di truci descrizioni di quel che sarebbe
successo a me, ai miei colleghi e al programma, se non avessi obbedito.
E’ difficile descrivere l’arcana atmosfera evocata da questa scena; si po-
teva quasi sentire la presenza intangibile di qualcosa di alieno nella stan-
za. La forza del ricatto aumentò ulteriormente perché coinvolgeva certe
informazioni concrete alle quali la paziente non poteva avere accesso
nella sua vita di tutti i giorni. Mi trovai sotto una considerevole tensione
emotiva di dimensioni metafisiche. Benchè avessi visto manifestazioni
del genere in alcune sessioni con LSD, queste non erano mai state così
realistiche né così convincenti. Mi era difficile controllare la paura e la
tendenza a entrare in quello che sentivo sarebbe stata una lotta attiva con
questa presenza. Mi ritrovai a pensare in modo veloce, cercando di sceg-
liere la strategia più adatta alla situazione. A un certo punto, mi sorpresi
a pensare seriamente che dovremmo tenere un crocefisso
nell’armamentario terapeutico. La mia razionalizzazione dell’idea era
che si trattasse ovviamente di un archetipo junghiano in atto e che la
croce potesse, in queste circostanze, fungere da rimedio archetipico
specifico. Mi apparve presto chiaro che le mie emozioni, sia di paura che
di aggressività, stavano rendendo l’entità più reale. Non potevo fare a
meno di pensare a scene di Star Trek, popolare programma televisivo
americano di fantascienza a cui partecipava un’entità aliena che si nu-
triva di emozioni. Infine mi resi conto che era essenziale per me rima-

75
La Luce della Conoscenza
nere calmo e concentrato. Decisi di mettermi in atteggiamento meditati-
vo, mentre tenevo la mano contratta di Flora e tentavo di mettermi in
relazione con lei nella forma in cui l’avevo conosciuta prima. Al tempo
stesso, cercai di visualizzare un involucro di luce che ci avviluppava en-
trambi, cosa che intuitivamente mi sembrava l’approccio migliore. La
situazione durò più di due ore d’orologio; in termini di senso del tempo
soggettivo, queste furono le due ore più lunghe mai vissute da me al di
fuori delle mie sessioni psichedeliche. Passato questo periodo di tempo,
le mani di Flora si rilassarono e il viso riprese l’aspetto solito; questi
cambiamenti furono tanto improvvisi quanto l’avvento di quello strano
stato. Presto scoprii che non ricordava nulla delle due ore precedenti. Più
tardi, nella sua relazione, descrisse le prime ore della sessione e continuò
con il periodo seguente lo “stato di possessione”. Mi domandai seria-
mente se avrei dovuto discutere con lei del periodo di tempo della sua
amnesia, e decisi per il no. Non mi parve che ci fosse alcuna ragione per
introdurre un tema così macabro nella sua mente conscia Con mia grande
sorpresa, il risultato di questa sessione fu uno straordinario progresso
terapeutico. Flora perse le tendenze suicide e sviluppò un nuovo apprez-
zamento del valore della vita. Smise di prendere alcol, eroina e barbitu-
rici e cominciò a frequentare con zelo le riunioni di un piccolo gruppo
religioso di Catonsville. Per la maggior parte del tempo non ebbe più
crampi facciali. L’energia che li provocava sembrava essersi esaurita
nella maschera del Male da lei mantenuta per due ore. Il ritorno occasio-
nale del dolore fu di intensità trascurabile e non richiese nemmeno med-
icine. Cominciò a vivere delle relazioni eterosessuali e infine si sposò.
Comunque il suo adattamento sessuale non fu buono; riusciva ad avere
rapporti, ma li trovava dolorosi e non molto piacevoli. Il matrimonio finì
dopo tre mesi e Flora tornò a rapporti lesbici, questa volta comunque con
molto meno senso di colpa. Il suo stato era tanto migliorato che le fu
concesso di fare la taxista. Benchè negli anni successivi avesse alti e
bassi, non dovette ritornare all’ospedale psichiatrico che avrebbe potuto
diventare la sua definitiva dimora”.
Come chiunque può notare, questo inquietante resoconto presenta note-
voli somiglianze con il fenomeno noto come ‘possessione diabolica’:
radicale cambiamento nell’aspetto somatico dell’individuo, emersione di
una personalità ‘aliena’ ed ostile, facoltà chiaroveggenti, ecc.. Grof col-

76
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
lega queste manifestazioni psichiche ad una particolare configurazione
astrale nel tema di nascita della paziente, suppondendo che particolari
condizioni (eventi fortemente stressanti, come una cerimonia di esorcis-
mo, o l’uso di catalizzatori farmaceutici, come nel caso sopra descritto)
possano consentire a queste configurazioni psichiche di assumere tem-
poraneamente una volontà indipendente da quella dell’individuo.
Queste posizioni, nel loro insieme, rappresentano un punto di vista pret-
tamente gnostico: come abbiamo visto, le teorie di Grof (e prima an-
cora di Jung) associano le caratteristiche psichiche dell’individuo alle
influenze astrali; allo stesso modo, nella Rivelaione Segreta di Giovanni,
la creazione dell’Adamo psichico viene ascritta agli arconti, cioè po-
tenze di natura psichica e astrale: “Venite, creiamo un uomo conforme
all’immagine di Dio, conforme alla nostra somiglianza, così che la sua
immagine splenda per noi… ogni potenza, secondo il suo potere psich-
ico, diede un aspetto conforme all’immagine che aveva visto” (R. S. G.
15, 1-4). Anche gli Estratti di Teodoto si soffermano sul potere astrale
degli arconti: “Il destino è l’incontro di molte e opposte potenze. Queste
sono invisibili e non appaiono, regolano il corso degli astri e per mezzo
di questi governano... Per mezzo delle stelle fisse e dei pianeti le potenze
invisibili, che su questi sono trasportate, amministrano e sorvegliano le
nascite. Quanto poi agli astri, essi non fanno nulla ma indicano l’azione
delle potenze dominatrici… e differenti sono gli astri e le potenze, ben-
efici e malefici, di destra e sinistra, dalla cui congiunzione deriva ciò che
viene generato”( 69-71).
Il sistema gnostico basilidiano, nato intorno alla figura del maestro ales-
sandrino Basilide e di suo figlio Isidoro, aveva un’interessante concezi-
one di queste ‘concrezioni’ della psiche. Nei suoi ‘Stromata’ Clemente
Alessandrino ci informa che “i basilidiani usano dare alle passioni il
nome di accrezioni o appendici. Queste essenze, essi dicono, hanno
una certa esistenza sostanziale e sono unite all’anima razionale a causa
di un certo tumulto e confusione primordiale… (sul nucleo originario
dell’anima) crescono altre nature bastarde ed estranee all’essenza, come
quelle del lupo, della scimmia, del leone, del capro, ecc… (esse) fanno sì
che i desideri dell’anima divengano simili alle speciali nature di quegli
animali”.
L’uso di immagini zoomorfiche per descrivere queste concrezioni non

77
La Luce della Conoscenza
è casuale, dal momento che vuole significare la natura inferiore e bes-
tiale delle passioni; anche la Rivelazione Segreta di Giovanni ed altri
testi, a questo scopo, dipingono gli arconti assegnando loro fattezze di
animali: “il primo è Athoth, dall’aspetto di pecora; il secondo è Eloaios,
dall’aspetto d’asino; il terzo è Astafaios, dall’aspetto di iena; il quarto è
Jao, dall’aspetto di drago a sei teste; il quinto è Sabaoth, dall’aspetto di
drago; il sesto è Adonin, dall’aspetto di scimmia; il settimo è Sabbede,
dall’aspetto di fuoco splendente” (11, 28-38).
Come abbiamo già sottolineato, Valentino paragonava l’anima umana
ad un albergo danneggiato dai suoi avventori; utilizzando una meta-
fora molto simile, un altro testo scoperto a Nag Hammadi, l’Esegesi
dell’Anima, paragona la psiche umana ad una donna che si è data a molti
uomini: “E nel suo corpo ella si prostituì e si diede ad uno e a tutti, cre-
dendo che ciascuno di essi potesse abbracciarla come un marito… loro la
ingannarono a lungo, fingendo di essere fedeli, di essere dei veri mariti, e
di rispettarla grandemente. Alla fine l’abbandonarono ed andarono via da
lei. Divenne una vedova povera e desolata, senza aiuti; non le fu lasciato
cibo per il tempo della sua afflizione… Finchè l’anima continua a correre
ovunque si possa copulare con chiunque venga a contatto con lei, ella
contaminerà se stessa, e determinerà la sua propria sofferenza facendo di
se stessa un deserto”.
Con le immagini di vedovanza ed afflizione, il testo descrive una sen-
sazione di desolazione e privazione che chiunque, almeno una volta nella
vita, è costretto a provare, quando guarda dietro di sé e vede gli errori che
ha commesso. Ma non si tratta di una situazione senza vie di uscita: “Ma
quando suo padre tornò a visitarla, guardò in basso e vide i suoi sospiri,
la sua sofferenza e disgrazia e la vide pentita della sua prostituzione…
la ritenne degna di misericordia per tutte le afflizioni che aveva subito…
ella dunque, divenendo nuova, salirà lodando il Padre… tutto questo poi
non succede per mezzo di parabole ascetiche, né per mezzo di artifici, né
per mezzo di dottrine scritte, ma è la Grazia di Dio, è il dono di Dio per
l’uomo”.
Questo testo è particolarmente importante perché introduce un tema fon-
damentale: quello della Grazia divina.
Come abbiamo visto in precedenza, l’uomo non ha la facoltà di salvarsi
da solo; anche nei testi meno mitologici è sempre una forza spirituale ad

78
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
intervenire a favore dell’umanità. Nel mitologema sethiano, in partico-
lare, il tema della Grazia è insistente: è la Pronoia (Provvidenza) a far sì
che i progenitori della specie umana, Adamo ed Eva, possano rendersi
conto della loro situazione: “Io sono la Provvidenza della pura luce, il
ricordo dello Spirito Verginale, che ti ristabilisce al luogo glorioso. Alzati
e ricorda… e guardati dagli angeli della povertà, dai demoni del caos e da
ogni cosa che aderisce a te: allora verrai all’esistenza, desto dal profondo
sonno…” (R.S.G. 26, 1-31).
Si tratta un principio salvifico allo stesso tempo esterno ed interno
all’uomo: “Mi sono trasformata nella mia discendenza… andai nella
grande tenebra, e perseverai fino a quando giunsi in mezzo alla pri-
gione… segui la tua radice, io, che sono la compassione”.
Lo psichiatra Scott Peck fa notare come, anche in presenza di traumi
gravissimi, molti pazienti sviluppino malattie psichiche di minima in-
tensità, in contrasto con i modelli eziologici della patogenesi psichiatrica
attualmente in uso, che prevedono, per uno stimolo esterno negativo, una
reazione psichica di uguale entità: “Tutto quello che possiamo dire è che
esiste nella maggior parte degli individui una forza, un meccanismo che
protegge e difende la loro salute mentale anche nelle condizioni più av-
verse. Un analogo meccanismo opera anche nei confronti delle malattie
fisiche… Esiste una forza che ci spinge a prendere la via più difficile,
l’unica in grado di portarci fuori dalla palude in cui siamo nati”.
Lo studioso identifica questa forza, ed altri fenomeni come i sincronismi
e l’evoluzione degli organismi viventi con “una forza esterna alla nostra
coscienza che favorisce la nostra crescita spirituale”: la Grazia appunto.
Elaborando questa nozione, lo psichiatra espone dei concetti tipicamente
gnostici: “Per spiegare i miracoli della Grazia e dell’evoluzione noi sup-
poniamo l’esistenza di un Dio che amandoci, desidera la nostra cresci-
ta… Dio vuole che diventiamo come Lui. La nostra crescita ha come
fine ultimo la divinità. Dio è il fine ultimo dell’evoluzione. Dio è la fonte
della forza che ci spinge a crescere e ne è al tempo stesso la meta. E’
infatti questo che intendiamo quando diciamo che Dio è Alfa e Omega,
il principio e la fine”.
La Grazia, come dono gratuito a tutta l’umanità, è alla portata di chi-
unque, ma bisogna avere l’intezione di riceverla, e comporta un impegno
personale: questo necessita di un lungo e difficile processo di introspe-

79
La Luce della Conoscenza
zione e di rinnovamento interiore: “Ciascuno di noi deve scavare per
trovare la radice del male che è in lui e strapparlo con tutta la radice dal
proprio cuore. Ma esso verrà strappato solo se lo conosciamo. Se invece
non lo conosciamo, esso mette radici solide in noi e produce frutti nel
nostro cuore” (Vang. Fil. 83, 5-11). Come dice il Gesù del Vangelo di
Tommaso “il Regno è dentro di voi… quando conoscerete voi stessi,
allora sarete conosciuti… se porterete alla luce ciò che è dentro di voi,
quello che è in voi vi farà vivere, ma se non lo porterete alla luce, quello
che è dentro di voi vi distruggerà”.
Anziché proporre meri esercizi esteriori (digiuno, elemosina, ecc…)
Gesù insiste sull’analisi di sè, conoscere noi stessi ci dà la possibilità di
conoscere Dio e diventare come Dio, e dare alla luce un nuovo ‘io’.
E’ proprio a questo processo di trasformazione interiore che allude il
Vangelo di Filippo quando dice che “molti affermano che il Signore è
morto e poi è risuscitato, sbagliano. Egli infatti prima risorse e poi morì.
Se non otterrete la resurrezione in vita, una volta morti non otterrete
nulla”.
Scott Peck utilizza una terminologia molto simile parlando della crescita
spirituale: “Uno dei compiti essenziali del processo di crescita è proprio
quello di rendere il nostro concetto di noi stessi sempre più aderente
alla realtà. Quando questo processo lungo quanto la vita viene in qual-
che modo accelerato… l’individuo si sente ‘rinascere’. ‘Non sono più
quello di prima’ dicono spesso i pazienti con sincera gioia. ‘sono una
persona del tutto nuova’. A queste persone è perciò chiarissimo il sig-
nificato dei versi: ‘Ero perduto, e sono salvo, ero cieco, e ora vedo’”.
I parallelismi fra il passato e il presente sono evidenti: come per molti
oggi, l’esplorazione dell’interiorità era considerata come una ricerca
spirituale. La resurrezione in vita anticipa quindi quella finale, quando lo
spirito si spoglia dell’involucro psichico e carnale e viene reintegrato alla
propria origine, nel mondo della Luce.
Anche gli Estratti di Teodoto identificano nella conoscenza interiore (e
nel battesimo) gli strumenti per sconfiggere il potere del destino: “Perciò
fino al battesimo… il fato è reale; ma dopo il battesimo gli astrologi non
sono più veraci. Non è solo il battesimo a liberarci, ma anche la cono-
scenza: chi siamo, che cosa siamo diventati; dove siamo, dove siamo
stati gettati, dove andiamo, dove siamo purificati, che cosa è nascere, che

80
Gli arconti, le catene del fato e il dono della grazia
cosa è rinascere” (78).
E’ proprio questo il significato della sconfitta degli arconti: colui che vince
le proprie compulsioni non è più soggetto al dominio crudele del Fato,
perché vive la propria vita in modo libero e consapevole, non è più una
‘creatura delle tenebre’ plasmata da pulsioni caotiche ed incontrollabili;
l’essere umano è quindi il locus in cui svolge la lotta fra il bene e il male;
anche se sono soggetti alle macchinazioni dello spirito d’opposizione,
gli uomini possono ricevere la presenza interiore della luce spirituale
mandata dalla Madre. Ogni essere umano è quindi il risultato della sua
duplice genealogia: la luce spirituale della Pienezza e le macchinazioni
dello spirito di opposizione, l’immagine derivata dal Padre di tutto e la
somiglianza mutuata dagli arconti. La presenza nell’anima umana di tali
‘parassiti’ non è quindi una scusante per chi sbaglia: “Egli stesso si è
reso incline al desiderio di cose cattive e non ha opposto resistenza alla
violenza delle appendici. Bisogna invece che, diventati superiori grazie
alla facoltà razionale, ci dimostriamo padroni della creazione inferiore
che è in noi” (Stromati II 2 3-4). L’umanità deve quindi imparare a dis-
tiguere il Vero Dio dai falsi dei, il che comporta una profonda ricerca
interiore, dato che essi, sebbene non contengano nulla di spirituale, sono
stati generati sul modello degli Eoni del Pleroma. Come indica la stu-
diosa Karen L. King “la gente deve imparare a distinguere non solo il
bene e il male nel cosmo, ma anche a separare ciò che è buono da ciò che
è cattivo nella loro natura psichica e corporale. La salvezza richiede che
si sopraffaccia la schiavitù della somiglianza demoniaca dei dominatori
del mondo e che si segua invece il modello della divina Immagine nel
corpo e nell’anima”. Il trionfo del vero spirito su quello contraffatto è
quindi il trionfo della parte divina dell’individuo sulle passioni inferiori.
Il modello di perfezione da seguire è Gesù: le potenze di questo mondo
lo hanno crocifisso, ma dalla croce Gesù ha vinto il mondo, così che gli
uomini potessero vedere “quelli che li avevano plasmati, e ne ebbero
disgusto, perché avevano forma di animali”.

81
L’ILLUMINATORE E LA REDENZIONE

Secondo la concezione gnostica, sebbene l’umanità terrena si trovi in


una situazione difficile, non è abbandonata a se stessa. Messaggeri di
luce vengono inviati dal regno spirituale, affinchè possano risvegliare
l’umanità dall’oblio che la ottunde, istruendola su come riconoscere ciò
che è giusto da ciò che è sbagliato e illuminandola sulla propria origine
divina; l’intero processo redentivo è finalizzato infatti alla restituzione
di tutta la luce spirituale, ora prigioniera inconsapevole nel cosmo, alla
propria origine perduta.
La missione salvifica del Cristo è inquadrata proprio in questo contesto
e viene considerata come il punto culminante del processo redentivo:
nella Rivelazione Segreta di Giovanni, ad esempio, Gesù viene identifi-
cato con la terza ed ultima manifestazione della Provvidenza, la Madre
Divina; le prime due infatti (l’apparizione dell’Uomo preesistente sulle
acque del Caos inferiore, e la discesa dell’Epinoia della Luce) erano state
manifestazioni parziali che avevano dato via al lungo e difficile processo
della redenzione: “… andai in mezzo alla prigione, cioè il corpo e dissi
‘Colui che ode, si desti dal suo profondo sonno… io sono la Pronoia del-
la pura Luce, il ricordo dello Spirito virgineo, che ti ristabilisce al Luogo
della Gloria’… lo destai, e lo segnai nell’acqua luminosa con cinque si-
gilli, affinchè da quel momento la morte non avesse più potere su di lui”.
La Protennoia Trimorfe (gr. ‘Il Primo Pensiero in tre aspetti’), elabora
questo concetto presentando le tre epifanie della Madre Divina (Voce del
Pensiero, Espressione della Voce del Pensiero, Verbo dell’Espressione
del Pensiero) come diverse manifestazioni dei suoi tre attributi: Pensie-
ro (gr. Ennoia), Intuito o Intelligenza (gr. Epinoia) e Provvidenza (gr.
Pronoia). Ognuna di queste tre epifanie tratteggia inoltre una differente
modalità di azione salvifica della Madre: nella prima (Padre, Barbelo,
Voce del Primo Pensiero), istruisce gli esseri umani illuminandoli sugli
arconti malvagi che li schiavizzano, proprio come l’Epinoia della Luce

83
La Luce della Conoscenza
nella Rivelazione Segreta di Giovanni; nella seconda prevale l’aspetto
della Madre o Meirothea (Suono della Voce del Primo Pensiero) che an-
nuncia ai membri della razza spirituale l’approssimarsi della fine del vec-
chio eone dominato dal governo crudele del Fato e degli arconti, mentre
nella terza ed ultima (il Figlio, Verbo della Voce del Primo Pensiero)
prevale il concetto di catabasi: la discesa attraverso le sfere celesti dei
dominatori per giungere nella ‘prigione del corpo’, con lo scopo di ri-
portare alla loro dimora spirituale i membri della ‘razza che non vac-
illa’ mediante l’apposizione dei ‘cinque sigilli’. Il concetto di Gesù come
espressione del potere salvifico della Madre Divina, lo Spirito Santo,
deriva dall’elaborazione del racconto del battesimo di Gesù: “Giovanni
rese testimonianza dicendo: ‘Ho visto scendere lo Spirito dal cielo come
una colomba e fermarsi su di lui…colui che mi ha mandato a battez-
zare mi ha detto ‘Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi,
è quello che battezza con lo Spirito Santo’…” (Vang. Giov. 1, 32-33).
L’elaborazione della discesa della Madre Divina su Gesù ha nella dot-
trina del valentiniano Marco un’interessante elaborazione numerologica:
‘colomba’ è in greco ‘peristera’, che ha un valore gematrico pari a 801,
cioè quello di alfa (1) e omega (800).
Secondo la dottrina valentiniana, lo Spirito, unitosi al Gesù terreno al
momento del battesimo, resterà con lui fino al momento della morte; ed
ecco perché, poco prima di morire disse “Padre, nelle tue mani racco-
mando il mio Spirito” (Vang. Luca 23, 4) e “Mio Dio, Mio Dio, perché
mi hai abbandonato?” (Vang. Matteo 27, 46): perché “in quel momento
fu diviso” (Vang. Fil. 68, 26), cioè la sua parte divina si era staccata da
quella terrena.
In alcuni testi sethiani, Gesù viene identificato con la terza ed ultima
manifestazione del Seth preesistente, inviato dalla Madre Divina a pro-
teggere la propria progenie umana dai piani di distruzione architettati da-
gli arconti. Leggiamo nel ‘Vangelo degli Egiziani’: “Seth attraversò tre
avventi, di cui è stato detto: il diluvio, la conflagrazione, e il giudizio de-
gli arconti, delle autorità e delle potenze… Con la Pronoia Seth ha isti-
tuito il santo battesimo che supera il cielo, per mezzo dell’incorruttibile,
concepito dalla Parola, il Gesù vivente, di cui il grande Seth si è rivestito.
Egli ha inchiodato le potenze dei tredici regni… “. In questo caso ven-
gono elencate tre differenti parusie di Seth: il diluvio universale (dove

84
L’illuminatore e la redenzione
interviene l’angelo Eleleth), il diluvio di fuoco che ha distrutto Sodoma e
Gomorra (tramite gli angeli Abrasax, Samblo e Gamaliel), e la terza che
coincide con la predicazione di Gesù. Questa tripartizione della missione
salvifica del Cristo preesistente si è mantenuta nella teologia ortodossa in
cui l’azione redentrice del Messia si svolge prima con i profeti, poi con
Gesù ed infine con la parusia finale prima del giudizio universale.
E’ però nel sistema valentiniano che la cristologia gnostica trova la pro-
pria massima espressione. Secondo il Vangelo di Filippo, “il Padre di
Tutto si è unito alla Vergine (lo Spirito Santo, n.d.a.)” per generare il
Figlio, il Nous (Mente o Cuore).
La sua missione ha lo scopo di correggere l’imperfezione originaria degli
Eoni: elaborando questo tema, furono espresse diverse interpretazioni,
anche molto articolate; secondo le notizie riportate dalle opere dei padri
eresiologi, il Nous accoglie le suppliche di Sophia. Essa viene divisa in
due, in una strana scissione: la Sophia Superiore, che viene ristabilita al
proprio posto nel Pleroma e che rappresenta la coscienza umana rivolta
verso le cose spirituali, e quella Inferiore, anche chiamata ‘Sophia della
Materia’, Prunikos (gr. ‘lasciva’) o Achamoth (anagramma dell’ebraico
‘Ha-Hokmah, ‘La Sapienza’) che risiede nell’Ottavo Cielo o Ogdoade (da
non confondere con l’Ogdoade originale); essa rappresenta la coscienza
umana rivolta versò le realtà mondane, e per questo viene definita dal
Vangelo di Filippo come la ‘Sophia di morte’, e incorpora la ‘Intenzione’
(gr. Enthymesis) che ha causato la Caduta della Sapienza e le passioni
da essa provate. Dopodichè il Nous genera un nuovo Limite, anche detto
Croce, come un Velo che separi la Sophia Superiore da quella Inferiore e
il Pleroma dal prodotto della Caduta, il regno della materia (‘Kenoma’,
il Vuoto, o ‘Hysterema’, la Mancanza’); il Nous genera infine una nuova
sizigia di Eoni, Cristo (maschio) e lo Spirito Santo (femmina).
Questa nuova sizigia porta il Pleroma da 30 a 32 Eoni (in seguito verrà
meglio approfondito questo simolismo numerico); come Cristo, il Nous,
il Figlio unigenito, rivela agli Eoni che il Padre può essere conosciuto
solo per mezzo di lui e lo Spirito Santo li rende tutti uguali; il Pleroma,
perfezionato secondo la gnosi, cioè la conoscenza di Dio, emette come
frutto comune l’Eone Gesù o Soter (gr. ‘Salvatore’), cioè il Redentore
Preesistente; ottenuta per il tramite del Cristo la gnosi salvifica, la Sapi-
enza emette un elemento spirituale: si tratta delle scintille pneumatiche

85
La Luce della Conoscenza
(spirituali) che dimorano nell’interiorità del genere umano e che però
necessitano di essere formate secondo la gnosi. Esse sono infatti dotate
di sostanza spirituale, ma non di forma; la missione del Gesù terreno
sarà quella di formare secondo la gnosi questi semi spirituali ‘femminili’
emessi dalla Sophia Inferiore, cioè le scintille spirituali prigioniere nel
regno della materia; nella prospettiva escatologica, quando tutte le scin-
tille femminili otterranno la gnosi, correggendo così l’imperfezione orig-
inaria, si riuniranno in sizigia agli angeli maschili che accompagnano il
Cristo, nella Camera Nuziale del Pleroma. Nel sistema valentiniano, il
Pleroma ha la sua controparte terrena nel Santo dei Santi del tempio di
Gerusalemme; il Pleroma è separato dal cosmo inferiore della materia
dal Limite (Horos), proprio come il Santo dei Santi è separato dal resto
del tempio da un velo; proprio per questo, la rottura del velo del tem-
pio coincidente con la morte di Gesù crocifisso è paragonata all’apertura
della Camera Nuziale del Pleroma: “(il velo) fu rotto da cima a fondo.
Il Regno superiore fu aperto a noi in questo regno inferiore, così che
potessimo entrare nel Regno nascosto della Verità… il Santo dei Santi fu
rivelato e la Camera Nuziale ci invita ad entrare” (Vang. Fil. 105). Questa
tradizione identifica Gesù con il Sommo Sacerdote, l’unico e solo a cui
è concessa l’entrata nel Santo dei Santi; questo concetto si ritrova anche
nelle epistole paoline: “Abbiamo un Sommo Sacerdote che è andato alla
presenza di Dio, Gesù, Figlio di Dio” (Ep. Ebrei 9, 11); “Avendo allora,
fratelli, libertà di entrare nel Luogo Santissimo per mezzo del sangue
di Gesù, per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi
attraverso il Velo, vale a dire la sua carne…” (Ep. Eb. 10, 19-20); chi
riceve la gnosi entra con Gesù nel Santo dei Santi: “Quando Gesù disse
‘Io sono la porta’ (Vang. Giov. 10, 7, n.d.a.), intendeva ‘oltre il Limite,
dove io sono, voi entrerete, voi che appartenete al seme superiore’. Ma
quando egli stesso entra (nel Pleroma), allora anche il seme entra con
lui…” (Estr. Teod. 26, 2-3). Sulla stessa scorta di questa lettura simbolica
la città di Gerusalemme viene interpretata come immagine della Sapi-
enza inferiore, Madre dei viventi e sposa del Salvatore; questa chiave
ermeneutica viene applicata anche all’esegesi gnostica dell’Epistola ai
Galati 4,26 (“… la Gerusalemme celeste è libera ed è nostra madre”) e
alla Gerusalemme celeste dell’Apocalisse, nella cui descrizione ricorre
ripetutamente il numero dodici (n.b.: la Sapienza è l’ultimo eone della

86
L’illuminatore e la redenzione
Dodecade) e che viene definita la “sposa dell’Agnello” (21, 9); gli elet-
ti che hanno attualizzato la loro natura spirituale, riunendosi in sizigia
con la propria controparte angelica, sono gli “invitati alla cena della
nozze dell’Agnello” (Ap. 19, 9). Il matrimonio spirituale fra il Salva-
tore e la Sapienza inferiore è simboleggiato dal rapporto privilegiato in-
trattenuto da Gesù e Maria Maddalena; quest’ultima viene definita dal
Vangelo di Filippo come la “compagna del Salvatore” e come archetipo
dell’individuo spirituale le viene assegnato un ruolo di preminenza nella
maggior parte dei testi gnostici. Il riferimento del Vangelo di Luca a Ma-
ria Maddalena come alla donna “dalla quale erano usciti sette demoni”
veniva probabilmente interpretato come un’allusione alla Sapienza infe-
riore, liberata dal Salvatore dal giogo delle sette potenze arcontiche.
La dottrina valentiniana, profondamente cristocentrica, approfondisce e
sviluppa in modo esaustivo il tema della redenzione. Ad esempio, nel
Vangelo della Verità si trova una lunga dissertazione, dai toni lirici e po-
etici, sulla missione di Gesù; è il Verbo emesso “dalla lingua del Padre.
La sua lingua è lo Spirito Santo (la Madre Divina, come abbiamo visto,
n.d.a.)”. La missione salvifica di Gesù “illuminò coloro che erano nelle
tenebre a causa dell’oblio. Egli li illuminò e mostrò loro la via, e quella
via è la verità che insegnò loro. Per questa ragione, l’Errore era in collera
con lui e lo perseguitò… fu inchiodato ad una croce, e divenne il frut-
to della conoscenza del Padre”. Gesù viene quindi paragonato al frutto
dell’albero della conoscenza del bene e del male della Genesi: “Ma ques-
to frutto dell’albero non portò distruzione quando lo si mangiò, anzi in
verità fece sì che chi se n’era cibato venisse in essere… il misericordioso,
fedele Gesù fu paziente e accettò le proprie sofferenze… perché sapeva
che la sua morte sarebbe stata vita per molti… fu inchiodato ad un albero
e rese pubblico l’editto del Padre sulla croce. Che grande insegnamento!
Egli si umiliò fino alla morte, benchè rivestito di vita eterna. Si spogliò
degli stracci perituri e si rivestì di incorruttibilità, quella che nessuno gli
può togliere”; così come l’Errore (anche definito ‘Mancanza’) è venuto
in essere a causa dell’ignoranza del Padre, così esso viene dissolto dalla
missione del Salvatore, che porta la conoscenza del Padre a quanti ne
sono privi: “Dal momento che il Padre è conosciuto, la Mancanza ces-
serà di essere… come la tenebra si dissolve quando giunge la luce, così
anche la Mancanza scompare nella Pienezza… ora le opere di menzogna

87
La Luce della Conoscenza
giacciono in frantumi”; nelle ere premessianiche l’umanità, non cono-
scendo Dio, era potuta pervenire solo ad un’immagine imperfetta, cioè
il demiurgo, Dio concepito come creatore e legislatore; con la missione
di Gesù, Dio rivela il suo vero volto di Genitore spirituale dell’intera
umanità. L’esegesi gnostica dell’Epistola ai Galati (4, 4-7) verteva in tal
senso: “… quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio,
nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la
legge, affinchè noi ricevessimo l’adozione. E, poiché siete figli, Dio ha
mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori che grida ‘abbà, padre’”
(interessare notare il riferimento alla ‘pienezza’, in greco ‘pleroma’, dei
‘tempi’, in greco ‘aionon’ cioè ‘degli eoni’).
In questa ottica, la morte di Gesù non viene interpretata in senso stret-
to come un sacrificio espiatorio per cancellare i peccati degli uomini,
ma come il culmine e la naturale conseguenza della missione illumina-
trice terrena del Cristo: le potenze dell’Errore (gli arconti, dominatori
di questo mondo), che perpetuano il loro regno per via dell’ignoranza
che grava sull’umanità, vengono sconfitti e il loro dominio sul genere
umano volge al termine. Di conseguenza, per chi riceve la gnosi, la disc-
esa della scintilla pneumatica attraverso le sfere governate dagli arconti
(catabasi) si converte in anabasi: la scintilla spirituale, cioè il vero Sé
dell’individuo, ripercorre a ritroso la strada verso la propria vera dimora,
il regno spirituale del Pleroma, attraversando i cancelli dei regni plan-
etari e affrontando i terribili guardiani che li sorvegliano, e che ora non
hanno più alcun potere su di essa: “La potenza chiese all’anima: ‘Da
dove vieni…?’ l’anima rispose e disse: ‘Ciò che mi lega è annientato…
il mio desiderio è svanito, l’ignoranza è morta… la pastoia dell’oblio è
temporanea. D’ora in poi riposerò, attraverso il corso del tempo dell’età,
in silenzio” (Vang. Maria 16).
Molti testi gnostici ripercorrono la storia di Gesù attraverso le sue parole
e i suoi detti (gr. ‘loghia’); anziché soffermarsi come i vangeli canonici
sui miracoli e le guarigioni, si focalizzano sui suoi discorsi. La studiosa
Elaine Pagels paragona i detti riportati nel Vangelo di Tommaso ai koan
della disciplina Zen, che sono volti a produrre in chi li legge o li ascolta
una sorta di illuminazione interiore.
Quest’ultimo testo, che da molti studiosi viene ritenuto anteriore ai van-
geli canonici, è attribuito all’apostolo Tommaso ed afferma di riportare

88
L’illuminatore e la redenzione
“i detti segreti di Gesù il Vivente… chi troverà l’interpretazione di queste
parole non gusterà la morte” (loghion 1).
Il Gesù di questo Vangelo è una figura ieratica e ultramondana, che invita
coloro che lo interrogano a cercare le risposte alle proprie domande den-
tro di sé anziche limitarsi a fornire risposte ‘preconfezionate’: “Se coloro
che vi guidano vi dicono: ‘Ecco, il Regno è nei cieli’, allora gli uccelli
vi precederanno… il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando
conoscerete voi stessi, allora sarete conosciuti e saprete che siete figli del
Padre, il Vivente” (loghion 3). “I discepoli dissero: ‘Parlaci della fine’;
Gesù disse: ‘Avete dunque già trovato il principio, che andate cercando
la fine? Dov’è il principio, là sarà la fine. Beato colui che si trova nel
principio: egli conoscerà la fine e non gusterà la morte” (loghion 18).
Nel loghion 77, Gesù afferma esplicitamente la propria origine ultrater-
rena: “…Io sono la luce che sovrasta tutte le cose. Io sono il tutto. Da me
tutto è venuto e a me tutto torna. Spaccate un legno ed io sono lì. Sol-
levate una pietra e lì mi troverete”. L’origine divina di Gesù è però rite-
nuta comune a tutto il genere umano, purchè ottenga la gnosi: “Quando
vi chiederanno: ‘Da dove venite?’, rispondete: ‘Veniamo dalla luce, dal
luogo in cui la luce si autogenerò, si innalzò e si manifestò…” (loghion
50). Chiunque perviene alla vera conoscenza riscopre in sé la propria
origine spirituale e diviene simile a Cristo; nel loghion 13, Gesù chiede
ai propri discepoli di provare a descriverlo. L’episodio, comune anche ai
vangeli canonici, viene proposto con delle varianti: Pietro lo paragona
a un “messaggero giusto” Matteo a un “filosofo saggio”; ma solo Tom-
maso capisce il vero significato della domanda e risponde: “…’Maestro,
la mia bocca è assolutamente incapace di dire chi sei’ E Gesù rispose: ‘Io
non sono più il tuo maestro, tu hai bevuto alla fonte zampillante che io
ho custodito”; proprio per questo, nell’incipit il vangelo viene attribuito
a “Giuda Tommaso, detto il Gemello (gr. ‘Didimos’, n.d.a.)”: avendo
ricevuto la gnosi, Tommaso è divenuto simile a Gesù.
Uno dei punti di maggiore contrasto dottrinale fra lo gnosticismo e la
nascente Chiesa cattolica nacque intorno al significato della resurrezione
di Gesù.
Come è noto, la Chiesa cattolica fa della resurrezione della carne uno dei
punti chiave della propria dottrina: Gesù è risorto dalla morte in corpo
e spirito, e questo sarà il destino di tutti coloro che avranno creduto in

89
La Luce della Conoscenza
lui. Tuttavia, le testimonianze contenute nei Vangeli canonici a proposito
della effettiva corporeità del Gesù risorto sono discordanti. Ad, esempio,
nel Vangelo secondo Luca (24, 36-43) Gesù esorta i discepoli a toccarlo
affinchè credano alla realtà della resurrezione, ed in seguito chiede del
cibo: i discepoli, stupefatti, lo osservano mentre mangia un pesce ar-
rostito. Anche nel Vangelo di Giovanni (20, 27) Gesù invita Tommaso
a toccare le sue ferite al fine di vincere la sua incredulità. Tuttavia, a
fianco di queste testimonianze favorevoli alla corporeità di Gesù dopo la
resurrezione ve ne sono altre che sembrano affermare il contrario, e cioè
che il corpo del Cristo risorto fosse soltanto apparente, privo di sostanza
strettamente materiale; ad esempio, sempre nel Vangelo di Giovanni (20,
11-17) Maria Maddalena siede fuori del sepolcro di Gesù, in lacrime per
la morte dell’amato Maestro. Dapprima le appaiono due angeli, ed in se-
guito lo stesso Gesù ma lei “non sapeva che fosse Gesù” (20, 14). Tutta-
via, dopo che Gesù pronuncia il suo nome, Maria lo riconosce, ma lui le
ordina di non toccarlo: è il celebre ‘noli me tangere’ che ha ispirato tanta
arte sacra. All’inizio della Rivelazione Segreta di Giovanni, il discepolo
scrivente ha una visione del Cristo in forma cangiante: “Vidi nella luce
starmi di fronte un fanciullo, tuttavia, mentre lo guardavo prese l’aspetto
di un vecchio; ma cambiò di nuovo forma divenendo come una donna…
Egli mi disse: ‘Giovanni, Giovanni, perché dubiti? Perché hai paura?...
Io sono colui che è con voi in ogni tempo. Io sono il Padre, io sono la
Madre, io sono il Figlio…”; episodi simili sono rintracciabili anche nei
vangeli canonici: sia in Marco (16,12) che in Luca (24, 13-32) viene
narrato un episodio riguardante due discepoli in cammino sulla strada
di Emmaus; addolorati per la morte tragica del Maestro, conversano con
uno straniero che compie con loro parte del tragitto; tuttavia, i due dis-
cepoli lo riconoscono solo dopo che, seduto a tavola con loro, spezza il
pane e lo benedice… e in quello stesso momento Gesù scompare alla
loro vista. Nonostante sia possibile, come sostenuto dai padri eresiologi,
che alcuni gruppi gnostici seguissero un’interpretazione rigorosamente
docetista, legata cioè alla credenza che il corpo di Gesù, sia prima che
dopo la morte, fosse solo apparente, molte delle dirette fonti gnostiche
sembrano affermare che Gesù, almeno fino al momento della morte sulla
croce, fosse un essere umano in carne e ossa. Per esempio, il Libro Sacro
del Grande Spirito Invisibile spiega che il Seth preesistente si rivestì di

90
L’illuminatore e la redenzione
Gesù per compiere la propria missione salvifica; allo stesso modo, l’Inno
della Pronoia in conclusione della Rivelazione Segreta di Giovanni dich-
iara che la Provvidenza scese “in mezzo alla prigione, cioè la prigione
del corpo”, cioè si incarnò nel Gesù umano. Anche il Vangelo di Verità
di Valentino spiega che Gesù “si umiliò fino alla morte, benchè rives-
tito di vita eterna. Si spogliò degli stracci perituri (l’involucro corporale,
n.d.a.) e si rivestì di incorruttibilità” (20, 28). E’ comunque importare ri-
cordare che, secondo la concezione gnostica, l’intera realtà materiale da
noi percepita è essa stessa un’illusione, un’apparizione; essa è vincolata
all’impermanenza, essendo il prodotto della Caduta di Sophia. Il cos-
mo, sebbene sembri reale, non è per sua natura eterno: essendo derivato
dall’ignoranza, che è destinata a soccombere dinanzi alla Luce, non può
condividere l’eternità, che pertiene invece al regno spirituale, e la sua
sostanza è effimera, destinata alla non esistenza. Il corpo, essendo parte-
cipe della sostanza del cosmo, ne condivide la natura: non è più reale di
esso e ne condividerà la fine. Da questo punto di vista, la morte atroce del
Cristo in croce e le sue sofferenze nel Getsemani, che ripercorrono quelle
provate da Sophia in seguito alla Caduta e delle quali è stato plasmato il
cosmo, sono anch’esse impermanenti e destinate ad essere dissipate dalla
gloriosa resurrezione. Proprio per questo, come sottolineano molte fonti
gnostiche, le potenze di questo mondo hanno potuto affliggere e tormen-
tare solo la parte visibile e tangibile di Gesù, ma l’elemento spirituale,
incorruttibile per sua stessa natura, è stato esentato da tutto ciò.
Le fonti gnostiche che testimoniano incontri con il Gesù risorto trasmet-
tono l’inequivocabile impressione che si tratti di incontri che avvengono
in uno stato di estasi o comunque in una dimensione prettamente spiri-
tuale, piuttosto che con una persona in carne e ossa. Anche gli scritti
di Paolo, che si convertì in seguito alla celebre visione sulla strada per
Damasco, sembrano propendere per una resurrezione intesa in senso spir-
ituale piuttosto che carnale: “La carne e il sangue non possono ereditare
il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità” (1
Cor. 15, 50); in riferimento alla resurrezione, l’apostolo parla più spesso
di un ‘corpo di gloria’, che non sembra aver nulla a che spartire con il
corpo materiale.
Questo concetto è strettamente affine alla credenza gnostica secondo cui
coloro che ricevono la conoscenza salvifica “consumeranno la materia

91
La Luce della Conoscenza
che è in loro come una fiamma”; questa concezione è correlata a quella
secondo cui la resurrezione non si ottiene dopo la morte, ma nel corso
dell’esistenza terrena, come indica il Vangelo di Filippo: “Coloro che di-
cono che Gesù morì e poi risorse sbagliano: prima risorse e poi morì”; “E’
necessario che otteniamo la resurrezione fin che siamo in questo mondo,
così che quando ci spogliamo della carne possiamo trovare il Luogo del
Riposo e non peregrinare nel Mezzo. Poiché molti si smarriscono per
la via”; “Colui che dice che prima morirà e poi risorgerà si sbaglia. Se
prima non riceve la resurrezione mentre è in vita, quando morirà non
riceverà nulla. Così si dice del battesimo, ‘Grande è il battesimo’, poiché
se gli umani lo ricevono, vivranno”; quest’ultimo detto si riallaccia alla
grande importanza data nell’ambito gnostico al battesimo, nel quale il
credente si spoglia della propria natura materiale e, per così dire, rinasce
a una nuova vita in Cristo. Questo tema è legato al battesimo di Gesù, sul
quale come abbiamo visto si riteneva fosse sceso il Cristo preesistente
durante l’immersione nel fiume Giordano. In effetti, il battesimo sembra
avere nella dottrina gnostica un’importanza di gran lunga preponderante
rispetto a quella della Passione: molti testi, come il Vangelo di Filippo,
sembrano assegnargli un ruolo centrale. Secondo Roberto Fantechi, un
episodio riportato sia in Matteo 12, 38 che in Luca 11, 29 sembrerebbe
suscettibile di un’interpretazione legata alla simbologia battesimale; in
esso, Gesù dichiara ai suoi avversari che a loro non sarebbe stato con-
cesso alcun segno, salvo quello di Giona. Secondo l’interpretazione cor-
rente l’enigmatica frase allude alla Passione, dal momento che il profeta
Giona era stato divorato da una balena nel cui ventre era stato rinchiuso
per tre giorni, proprio come Gesù è stato nel ‘ventre della morte’ per tre
giorni prima della resurrezione. Tuttavia, secondo l’autore sopracitato è
possibile che quelle parole nascondano anche un altro significato: Giona,
Yownah in ebraico, significa anche ‘colomba’, e alluderebbe alla colom-
ba discesa su Gesù durante il battesimo.

92
LA MISTICA DEL NOME DI GESÙ

Nel pensiero valentiniano la speculazione sul Nome di Gesù (‘Iesous’ in


greco) ha un ruolo di grande rilevanza.
Nella dottrina valentiniana le speculazioni sul nome sono collegate alla
tradizione mistica ebraica relativa al Nome Ineffabile, il tetragramma
YHVH. La liturgia valentiniana preservata da Ireneo in ‘Adversus Haere-
ses’ mette in luce questa connessione. In una delle preghiere battesimali,
il Nome è specificamente identificato come “Iao” (in ebraico Yaho), una
variante di Yahweh (YHWH); questo non è sorprendente date le radici
giudaiche sia del cristianesimo che dello gnosticismo.
Nella dottrina valentiniana, il Figlio è identico al Nome. Nel Vangelo di
Verità, Valentino dice “ora, il Nome del Padre è il Figlio… Egli lo generò
come Figlio e gli diede il proprio Nome” (Vang. Ver. 36:6, 39:19-21).
In modo simile Teodoto scrive del “Nome che è il Figlio, la forma degli
Eoni” (Estr. Teod. 31, 4).
In diversi passaggi nel Nuovo Testamento, Gesù viene identificato come
il ricevente del Nome divino. Un esempio si trova nell’Epistola paoli-
na ai Filippesi: “Per questa ragione Dio lo ha sovranamente innalzato
e gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil. 2:9). Ques-
to passaggio è citato in molte fonti valentiniane, inclusa la Preghiera
dell’Apostolo Paolo. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: “Li ho conser-
vati nel tuo Nome, il Nome che mi hai dato” (Ev. Giov. 17:12). Quindi
la nozione che il Figlio possiede il Nome divino era largamente diffusa
nella prima cristianità. Nella dottrina valentiniana il Figlio non solo pos-
siede il Nome, ma è virtualmente identico ad esso. Secondo la dottrina
valentiniana, il Gesù umano è stato dapprima formato, come gli Eoni su-
perni, prima secondo la sostanza ed in seguito secondo la conoscenza: la
formazione secondo la sostanza venne preannunciata alla vergine Maria
dall’arcangelo Gabriele con le parole “Lo Spirito Santo verrà su di te e
la potenza dell’Altissimo ti adombrerà” (Vang. Luca 35); cioè Sophia, lo

93
La Luce della Conoscenza
Spirito Santo, provvederà il futuro Messia del seme spirituale, mentre il
demiurgo lo fornirà del corpo psichico. La formazione secondo la cono-
scenza avverrà invece al momento del battesimo al trentesimo anno di
età (con riferimento ai trenta Eoni), quando il Gesù preesistente si unirà
al Gesù umano come Nome.
L’identità del Figlio con il Nome può essere espressa solo con la com-
prensione del ‘dare il nome’ tipica della dottrina valentiniana. Nel pen-
siero di Valentino, dare il nome corrisponde alla generazione: la genera-
zione del Figlio dal Padre e l’esternazione del Verbo (il Logos, la Parola)
sono virtualmente identiche.
Nel Vangelo di Verità il Padre “lo generò come Figlio e gli diede il pro-
prio Nome” (38:10-13) e lo “prese in Sé come Nome” (38:32-34). In altri
punti di quest’opera, Valentino dichiara che tutte le cose che veramente
esistono hanno un nome “quindi ciò che non esiste non ha nome” (39,
11-12); perciò è l’atto di dare il nome a conferire vera esistenza alla cosa
nominata.
Il Figlio, che riceve il Nome del Padre, è egli stesso chiamato Padre in
molte fonti valentiniane; ma se fino all’avvento di Gesù il Nome di Dio
era ineffabile (il tetragramma), dal momento che l’atto di pronunciarlo
costituiva una profanazione, con la missione del Redentore il Nome non
è più soggetto ad alcun tabù limitativo, anzi Gesù ha fatto “conoscere il
tuo (di Dio, n.d.a.) Nome” (Gv. 17, 26) e chiede che il suo Nome “venga
dichiarato in tutta la terra” (Romani 9, 17): la trascendenza del Padre,
simboleggiata dal tetragramma, è stata superata.
C’è un’intima associazione tra il nome è ciò che viene nominato. Sec-
ondo Valentino tutte le cose hanno esistenza in virtù del loro nome: “Ciò
che non esiste non ha nome – senza dubbio come può avere un nome
ciò che non esiste? – ma ciò che esiste, esiste per via del proprio nome”
(Vang. Ver. 39, 11-16). Il collegamento tra il nome e ciò che viene nomi-
nato è espresso altrove nella teologia valentiniana attraverso il concetto
di sizigia. Nella maggior parte delle forme di pensiero valentiniano, an-
che il Padre è una sizigia. La sua natura trascendente, si esprime in modo
comprensibile essendo unita al proprio Pensiero (o Silenzio) generando
il Figlio. Anche il Figlio è generalmente concepito come una sizigia. Egli
è la Mente (o Cuore) unita alla Verità. Quindi sia il Padre che il Figlio
sono sizigie, descritte come la prima Tetrade. La Tetrade è essa stessa

94
La mistica del nome di Gesù
collegata con il fatto che il Nome Divino è espresso in ebraico con quat-
tro lettere (YHWH, il tetragramma).
Gli Eoni emanati dal Figlio seguono il modello stabilito nella prima Tet-
rade e sono sistemati a coppie. La relazione tra il Figlio e gli Eoni non è
chiara se non si tiene conto della nozione di Nome. Come gli Eoni siano
collegati al Nome è chiaramente spiegato dal maestro Marco ai seguaci:
“L’esternazione del Nome avviene come segue. Egli pronunciò la prima
parola che fu il principio, e consisteva di quattro lettere. Ne aggiunse
una seconda e anch’essa consisteva di quattro lettere. In seguito ne disse
una terza consistente di dieci lettere. Quindi ne pronunciò una quarta
composta di dodici lettere. L’enunciazione dell’intero Nome consiste di
trenta lettere o elementi e di quattro diverse esternazioni” (Adv. Haer. 1,
14, 1). Secondo la concezione espressa da Marco, ognuno degli Eoni cor-
risponde a una singola lettera del Nome. In aggiunta alla Tetrade, ci sono
ventisei Eoni e, come abbiamo già visto, il tetragramma YHVH ha un
valore gematrico pari a ventisei. Quattro e ventisei dà un totale di trenta
Eoni (la Triacontade).
Gli Eoni sono singole istanze del Nome, cioè rappresentano i vari aspetti
della personalità del Figlio e solo considerati collettivamente formano il
Nome completo. La relazione tra gli Eoni e il Figlio è descritta nel Trat-
tato Tripartito come segue : “Egli è ognuno e tutta la Totalità per sempre
allo stesso tempo” (Tratt. Trip. 67, 7-10). Lo stesso concetto viene riba-
dito in un altro passaggio della stessa opera: “Tutti loro esistono in uno
solo, come egli si riveste di loro completamente e non è mai chiamato
con il suo solo Nome. E in questo modo unico essi sono egualmente il
singolo (ogni Eone preso singolarmente, n.d.a.) e la Totalità (la Triacon-
tade, n.d.a.)” (Tratt. Trip. 66, 30-36).
Anche se gli Eoni rappresentano diversi aspetti del Figlio, finchè non
vengono formati secondo la gnosi sono concepiti come personalità dis-
tinte.
È un aspetto chiave della teologia valentiniana che gli Eoni sono igno-
ranti del loro ruolo, in quanto singole parti del Nome. Questo è discusso
da Marco: “Nessuno di loro percepisce la forma di questo (il Nome,
n.d.a.), del quale è solo un elemento. Non percepisce o sa la pronuncia
del suo vicino, ma crede di esprimere il nome intero” (Adv. Haer. 1, 14,
1). Di conseguenza, essi sono anche ignari del Padre stesso. Come dice

95
La Luce della Conoscenza
il maestro Tolomeo “il Primo Padre fu riconosciuto solo dall’Unigenito
(Figlio) che venne all’esistenza attraverso di Lui. Cioè la Mente laddove
egli rimase invisibile e inconcepibile per tutti gli altri” (Adv. Haer. 1, 2,
1, vedi anche Vang. Ver. 19, 7-10).
Questa idea peculiare deriva dalla nozione che l’emanazione del Nome
dal Padre sia allo stesso tempo un processo di autoesternazione ed au-
tolimitazione. Il Vangelo della Verità sottolinea questo concetto: “Era
davvero sorprendente che essi fossero nel Padre senza conoscerlo… dal
momento che essi non furono in grado di percepire e riconoscere colui
nel quale si trovavano” (Vang. Ver. 22, 27-33). L’imperfezione iniziale
degli Eoni può indurre a considerarli come aspetti non integrati della
personalità superiore del Figlio, dal momento che sono ignari del Nome
di cui ciascuno di essi forma una parte.
Come abbiamo visto, il desiderio degli Eoni di conoscere la propria
origine venne esternalizzato e concretizzato nel mito della Caduta della
Sapienza, che si separò dal proprio compagno di sizigia e ‘cadde’ al di
fuori del Pleroma. Dal momento che, in quanto Eone, ella era parte inte-
grante del Nome, la Caduta portò a una disgregazione del Nome stesso.
Secondo Teodoto “l’Eone che desiderò comprendere ciò che è oltre la
conoscenza cadde nell’ignoranza e nella privazione di forma. Perciò si
formò un vuoto di conoscenza che è un’ombra del Nome, che è il Figlio,
la forma degli Eoni. Quindi il nome parziale degli Eoni è la perdita del
Nome” (Teodoto 31, 3-4). Questa è l’origine ultima dell’universo fisico
e la causa ultima del male: le cose di questo mondo sono come separate
dal loro nome, che costituisce la loro origine e la loro intima essenza, ed
esistono in uno stato di mancanza ed ignoranza.
Attraverso l’azione riparatrice del Nous, il Nome è reintegrato. Secondo
Teodoto “allora essi riconobbero ciò che sono, che sono dalla Grazia del
Padre, un Nome inesprimibile, forma e conoscenza (gnosis)” (Estr. Teod.
31, 3). Gli Eoni si unirono con il Figlio che allora divenne conosciuto
come il Salvatore o Gesù , in ebraico per l’appunto ‘salvatore’, frutto
comune del Pleroma. Gli Eoni sono uniti al Figlio e il Nome è reintegrato
quando essi lo pronunciano tutti insieme.
Secondo il sistema di Marco, che fa della numerologia uno dei suoi punti
di forza, le 24 lettere dell’alfabeto greco vengono paragonate al comples-
so degli Eoni emanati dall’Ogdoade originale, in attesa della formazione

96
La mistica del nome di Gesù
secondo la gnosi: “… Le nove lettere mute sono le immagini del Padre
(il Nous, n.d.a.) e della Verità… le semivocali rappresentano il Verbo
e la Vita… le vocali, ancora, sono rappresentative dell’Uomo e della
Chiesa… Quindi, Verbo e Vita possiedono otto di queste lettere, Uomo
e Chiesa sette, e Padre e Verità nove” (Adv. Haer.). L’ineguaglianza fra
i tre gruppi di lettere allude alla primigenia imperfezione degli Eoni;
grazie alla gnosi salvifica “… I tre gruppi furono resi uguali, diventando
tutti Ogdoadi… quando riuniti insieme, costituiscono il numero venti-
quattro”; la reintegrazione dei tre gruppi di lettere, che vengono resi si-
mili alla Ogdoade originale, allude al valore gematrico dell’episemon, il
nome greco di Gesù in sei lettere, che è pari a 888 (8+8+8=24); le specu-
lazioni sul sistema alfabetico greco e sull’’Alfa e Omega’, che hanno
un ruolo centrale nella dottrina di Marco, si riferiscono senza dubbio al
potere mistico-creativo della parola come autoespressione della Divinità,
e all’origine divina della facoltà umana di linguaggio. La grande im-
portanza data al numero 888 potrebbe derivare dall’ebraico: secondo lo
studioso Roberto Fantechi, autore di un interessante testo sul Vangelo di
Verità e la gematria gnostica, le lettere che formano le quattro consonanti
di cui è costituita la parola ebraica ‘Mashiyach’ (Messia, cioè il Cristo),
cioè ‘m’ (meym), ‘sh’ (shin), ‘y’ (yowd) e ‘Ch’ (cheyt) hanno un valore
complessivo pari a 888, lo stesso di ‘Jesous’.
Il Figlio, rappresentato dalla collettività degli Eoni del Pleroma e inte-
grato in una singola personalità, rappresentata dal Nome da essi formato
“… si mise su di loro come un abito, attraverso cui diede la perfezione
all’imperfetto e confermò chi era perfetto” (Tratt. Trip. 87,1-5).
Comunque, la caduta di Sophia ha dato origine a uno stato di esistenza (il
mondo materiale) che manca della vera realtà perché manca del Nome.
Il mondo e gli esseri umani in esso esistono in uno stato di ignoranza e
deficienza perché vennero all’essere divisi dal Nome. Secondo la tra-
dizione valentiniana, gli esseri umani sono stati creati a immagine della
preesistente Umanità che viene identificata con il Figlio (Framm. Val. 1).
Valentino paragona la creazione di Adamo, il primo essere umano, alla
creazione di un ritratto difettoso. Il ritratto ha una somiglianza imper-
fetta, ma “il Nome completa la deficienza insita nell’atto della plasmazi-
one” (Framm. Val. 5).
La missione redentrice di Gesù colma la mancanza insita nel genere

97
La Luce della Conoscenza
umano e lo riunisce con il Nome, così che pervenga alla gnosi.
Il Vangelo di Verità espande questo concetto identificando il ricevi-
mento della gnosi con la chiamata del proprio nome da parte del Padre.
“Coloro i cui nomi Egli previde furono chiamati infine come le persone
che hanno la gnosi” (Vang. Ver. 21, 25-27). In questo senso, il nome
individuale, inteso come personalità dell’individuo, può essere visto
come singola istanza del Nome, proprio come lo sono gli Eoni, pertanto
l’autorivelazione del Padre come Figlio è collegato al darsi un nome del
Padre come essere individuale.
In molte fonti valentiniane gli eletti sono descritti come possessori del
Nome. Nel Vangelo di Filippo “coloro che ricevono lo Spirito Santo
hanno dono del Nome” (Vang. Fil. 64, 25). Questa nozione si trova an-
che nel libro dell’Apocalisse, dove è detto che gli eletti hanno un nome
scritto sulla loro fronte (Ap. 14, 1 e 22, 4).
Un’altra metafora usata da Valentino per descrivere l’illuminazione è
l’unione della scintilla femminile allo sposo angelico. In Teodoto, questa
nozione è collegata al ricevimento del Nome (Teodoto 22, 4-5). Gli an-
geli sono strettamente associati al Salvatore e possono essere considerati
come espressioni di parte del Salvatore proprio come il nome individuale
di ogni Eone pronunciato dal Padre è considerato una porzione del Nome
più grande. Quindi gli sposi angelici dovrebbero essere visti come essen-
zialmente identici ai nomi chiamati dal Padre ed ottenuti al ricevimento
della gnosi, probabilmente durante il battesimo.
Come accennato sopra, ricevere il Nome consiste nel ricevere vera es-
istenza. Nel Vangelo della Verità e nel Trattato sulla Resurrezione, solo
coloro che hanno la gnosi (il Nome) possiedono vera realtà. Tutto il resto
è illusione. Secondo il Trattato sulla Resurrezione “ecco che i viventi
sono morti, certamente non sono vivi in questo mondo di apparenza!
Il ricco diventa povero, i governatori sono rovesciati: tutto cambia, il
mondo è apparenza” (48, 20-27). Tutte le cose che non possiedono un
vero nome sono illusorie.
I valentiniani facevano una netta distinzione tra i falsi nomi mondani e
i nomi reali. Questo tema è ben sviluppato nel Vangelo di Filippo. Sec-
ondo l’opera “i nomi dati alle cose mondane sono davvero ingannevoli
dal momento che essi volgono il cuore dal reale all’irreale… I nomi che
si odono nel mondo… ingannano. Se le parole fossero appartenute al

98
La mistica del nome di Gesù
regno eterno, non sarebbero state pronunciate in nessuna occasione nel
mondo, nè sarebbero state assegnate alle cose mondane: si sarebbero
riferite al regno eterno” (Vang. Fil. 52, 23-28). I falsi nomi mondani ser-
vono a ingannare gli esseri umani e a distrarli dal vero Nome. I poteri
demoniaci mondani traggono vantaggio da questo: “Gli arconti vogliono
ingannare l’umanità, visto che essi videro che (gli uomini) hanno affinità
con le cose veramente buone: essi prendono il nome di ciò che è buono e
lo danno a ciò che non è buono, per ingannare l’umanità con i nomi e vin-
colarla a ciò che non è buono” (Vang. Fil. 54:18-25). Quindi i falsi nomi
tengono gli uomini vincolati all’illusione e li separano dal vero Nome.
Gesù è strettamente affine agli esseri umani, dal momento che ha assunto
un corpo umano. Il suo corpo terreno è considerato consustanziale con la
Chiesa. Elaborando la metafora paolina della Chiesa come corpo di Cris-
to, Teodoto dice: “La parte visibile di Gesù era la Sapienza e la chiesa del
seme superiore il quale è nel corpo, ma la parte invisibile era il Nome che
è l’Unigenito Figlio” (Estr. Teod. 26,1). La metafora corrispondente nel
Vangelo di Verità è il “libro vivente” che contiene i nomi di tutti i salvati
presi su di sé dal Figlio (Vang. Ver. 20, 10-14, Ap. 20, 15).
La cristologia valentiniana enfatizza il fatto che il Gesù umano è ren-
dento dall’unione con il Salvatore preesistente, disceso su di lui durante
il battesimo. Il Figlio è “il Nome che scese sul Gesù umano con la co-
lomba e lo redense” (Estr. Teod. 22, 6). Tutti coloro che fanno parte della
chiesa spirituale che è identica al Gesù umano sono anche uniti al Nome:
con il battesimo si ricevono lo Spirito dell’immortalità, la redenzione e la
resurrezione, cioè la propria vera identità spirituale. Nell’Interpretazione
della Conoscenza, il Gesù umano che rappresenta la Chiesa è chiama-
to “l’umiliato” (12:18-22) e “il rimproverato” (12:29-31). Ancora una
volta è il nome che redime: “Chi redime colui che fu rimproverato? È
l’emanazione del Nome” (Int. Con. 12, 29-31). La discesa del Nome in
Gesù durante il battesimo è anche la redenzione del Gesù umano e la
redenzione di tutti coloro che sono uniti a lui, cioè gli angeli maschili
destinati ad unirsi in sizigia con le particelle spirituali femminili comuni
al genere umano.
Proprio come il Figlio si identifica con il Padre ricevendo il suo Nome,
così anche il cristiano individuale si identifica con Cristo, un concetto
che come abbiamo visto è sottolineato anche nel Vangelo di Tommaso.

99
La Luce della Conoscenza
Come dice il Vangelo di Filippo: “Quella persona è non più un cristia-
no ma un Cristo” (Vang. Fil. 67, 26-27). La persona diviene parte della
chiesa del seme superiore che è la parte visibile di Gesù nel mondo (Estr.
Teod. 26, 1). Proprio come il Figlio può essere chiamato Padre perché ne
ha il Nome, così l’individuo può essere chiamato ‘Cristo’ perché ne ha
il Nome. Il Salvatore si identifica con il Padre (come suo Nome), con gli
Eoni (come espressione del Nome) e con gli individui che salva (dando
il Nome).
Secondo alcune fonti, il Nome viene ricevuto dal credente durante il bat-
tesimo, che viene anche chiamato ‘redenzione’ (gr. ‘apolytrosis’). Sec-
ondo il Trattato Tripartito “non c’è altro battesimo oltre questo solo, che
è la redenzione in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, quando la confes-
sione è fatta attraverso la fede in quei nomi che sono un unico Nome nel
vangelo” (Tratt. Trip. 127, 28-35). Nella liturgia battesimale valentiniana
preservata da Ireneo, il battesimo è svolto nel Nome. Ecco una selezione
dal testo: “Nel Nome del Padre di tutto, nella Verità Madre di tutto, in
colui che discese in Gesù…Il Nome nascosto da ogni divinità, governa-
tore e potere… Possa il tuo Nome volgersi a mio beneficio o Salvatore di
Verità… nel Nome di IAO… pace a tutti coloro su cui si ferma il Nome”.
Nel battesimo, la persona che è redenta è considerata riunita al proprio
angelo e riceve “lo stesso Nome con il quale l’angelo fu battezzato prima
di lui (con il battesimo di Gesù nel Giordano, n.d.a.)” (Estr. Teod. 22,
4-5).
Valentino collega la presenza del Nome al dono della profezia e alla pa-
rola ispirata. Il Nome porta l’individuo a “esprimersi con parole superiori
a quelli che la sua plasmazione giustifica” (Framm. Val. 1); per questo
motivo, gli angeli e gli arconti furono presi da timore per via delle facoltà
intellettuali di Adamo. Secondo Marco il dono della profezia deriva
dall’unione con il proprio sposo angelico, ulteriore conferma della tesi
secondo cui l’unione all’angelo è sostanzialmente identica al ricevimento
del Nome durante la cerimonia battesimale. L’esperienza della gnosi è il
ricevimento del proprio personale angelo/nome che è particolare espres-
sione del Figlio/Nome, e corrisponde alla redenzione individuale; tutti
coloro che pervengono a questo stato si trovano “nell’Ottavo Cielo, oltre
ogni potere” (Adv. Haer. 1, 13, 6) e “non fanno più parte del cielo e della
terra, ma sono entrati nel Pleroma e hanno già abbracciato il loro angelo”

100
La mistica del nome di Gesù
(Adv. Haer. 3, 15, 2): vale a dire, non sono più soggetti alle cose materiali
(la terra) né alla psiche (il cielo) e si trovano nell’Ogdoade, l’Ottavo Cie-
lo spirituale che sovrasta i sette cieli delle potenze psichiche. L’Ottavo
Cielo veniva considerato come la Camera Nuziale in cui si compiono le
nozze eterne fra il Salvatore e la Sapienza Inferiore e fra gli spiriti umani
femminili e la loro controparte angelica maschile, cioè come rappresen-
tazione dell’unificazione di ciò che è stato separato. Come già accennato,
questo matrimonio spirituale implica la ‘formazione’ secondo la gnosi
della scintilla femminile dotata di sostanza ma non di forma: essa ha
sviluppato il proprio potenziale spirituale e viene così a corrispondere
perfettamente alla propria controparte ultracosmica.
Data l’importanza centrale data al Nome nel sistema valentiniano, non
sembra azzardato pensare che venisse utilizzata una forma di pratica
meditativa, finalizzata al conseguimento dell’estasi mistica, incentrata
sulla ripetizione mentale o verbale del Nome stesso, così come accade
nel metodo esicastico in uso principalmente nella Chiesa ortodossa.
L’esicasmo, che è stato paragonato da alcuni studiosi allo yoga per via
dell’uso di tecniche respiratorie e posturali, ha una tradizione molto an-
tica risalente ai cosiddetti ‘padri del deserto’ e le finalità di tale metodo di
preghiera hanno degli importanti punti di contatto con il pensiero gnos-
tico, come rilevato anche dallo studioso Kurt Rudolph: la lotta contro i
cosiddetti ‘logismoi’ (i cattivi pensieri, identificati con gli spiriti maligni
che tentano l’umanità), l’illuminazione interiore, la conversione della
catabasi (discesa dell’anima) in anabasi (ritorno dell’anima alle proprie
radici spirituali) e l’unione mistica e permanente dell’uomo spirituale
‘interno’ con Dio. Secondo quanto tramandato, la pratica dell’esicasmo
conduce alla santificazione e alla visione mistica: a questo proposito ci si
riferiva a lampi luminosi identificati con la luce del Tabor (il monte della
trasfigurazione).

101
IL BATTESIMO
LE ACQUE DEL GIORDANO E IL SERPENTE

L’utilizzo delle pratiche sacramentali nell’ambito gnostico è ben docu-


mentato, anche se spesso i dettagli di tali cerimonie sono ignoti. Sappia-
mo dai resoconti degli eresiologi che alcuni dei sacramenti valentiniani
erano sovrapponibili a quelli praticati da tutti i cristiani ordinari, sebbene
questi ultimi fossero passibili di ampliamenti o perfezionamenti. Tutta-
via, i valentiniani aggiungevano un secondo battesimo (anche chiamato
‘redenzione’) al battesimo ordinario disponibile ai cristiani psichici, che
aveva l’effetto di concedere la remissione dei peccati, di dominare gli
spiriti impuri che vivono nell’animo umano e di vanificare le potenze
del Fato, come specificano gli Estratti di Teodoto: “Fino al battesimo…
il Fato è effettivo, ma dopo di esso gli astrologi non dicono più il vero”
(78). Il secondo battesimo veniva amministrato solo dopo che il candi-
dato aveva acquisito i concetti basilari della dottrina valentiniana ed era
strettamente collegato al ricevimento del Nome e, di conseguenza, alla
riunione con la propria controparte angelica che consente il superamento
dei luoghi del Mezzo (le sette sfere), del Limite e l’entrata nel Pleroma. Il
Vangelo di Filippo menziona cinque sacramenti: battesimo, unzione, eu-
caristia, redenzione e camera nuziale. Tuttavia, sembra che essi fossero
strettamente correlati, dal momento che dopo l’immersione il battezzan-
do veniva unto sulla fronte con olio (il crisma). Il Vangelo di Filippo sot-
tolinea l’interdipendenza fra battesimo e unzione: “Nessuno può vedere
se stesso nell’acqua o in uno specchio se non c’è luce, né potete vedervi
nella luce senz’acqua o uno specchio. Così è necessario battezzare con
due elementi, luce e acqua, e la luce è l’unzione” (69, 10-13).
Le pratiche sacramentali sethiane sono ancor meno conosciute. Molti
studiosi ritengono che il Libro Sacro del Grande Spirito Invisibile (o
Vangelo degli Egiziani) sia una sorta di manuale battesimale sethiano che
veniva letto durante la liturgia cosidetta ‘dei cinque sigilli’, sull’impronta
dei cinque mistici sigilli citati nell’Inno della Pronoia in conclusione alla
Rivelazione Segreta di Giovanni e probabilmente collegati ai cinque sac-

103
La Luce della Conoscenza
ramenti valentiniani sopra citati.
Al di là del vasto apparato sacramentale, sembra chiaro che questi atti
rituali dovevano essere accompagnati da una profonda esperienza di
trasformazione interiore dell’individuo, che nell’acqua purificatrice del
battesimo si spogliava del proprio vecchio io per acquistare il Nome,
la sua vera identità spirituale. Come in tutti i vari ambiti del discorso
gnostico, l’atto rituale esteriore è solo un simbolo, l’immagine di una
dinamica interiore. Alcuni valentiniani portavano all’estremo questa tesi:
“Altri rifiutano tutte queste cerimonie e dicono che non bisogna cele-
brare il mistero della potenza indicibile e invisibile per mezzo di oggetti
visibili e corruttibili, né il mistero delle realtà inconcepibili e incorporee
per mezzo di oggetti sensibili e corporei. La perfetta redenzione è la st-
essa conoscenza dell’Ineffabile Grandezza… perciò anche la redenzione
deve essere spirituale. Infatti l’uomo interiore spirituale viene purificato
per mezzo della conoscenza e per tali uomini è sufficiente la conoscenza
degli Eoni. Questa è la vera purificazione” (Adv. Haer. 1, 21, 4).
Molti elementi fanno comunque presumere che alcuni gruppi gnostici
utilizzassero tecniche meditative affini a quelle dello yoga, probabil-
mente come strumento propedeutico in vista del ricevimento dei sacra-
menti. Alcune correnti di pensiero orientale hanno sviluppato un inter-
essante sistema di fisiologia esoterica: esse ritengono che una potenza
spirituale femminile chiamata ‘kundalini’ giaccia in forma latente alla
base della colonna vertebrale; questa energia spirituale normalmente
scorre verso il basso, verso il contingente, e viene dissipata sotto forma
di energia sessuale; per via di questo fenomeno, la consapevolezza in-
dividuale è come addormentata, rivolta al mondo e alle cose esteriori.
Lo scopo di alcune scuole di yoga (per esempio il tantrismo) è quello di
fornire al neofita delle tecniche che gli consentano di invertire il flusso
di questa energia sacra la quale, una volta risvegliata, risale lungo sette
centri (chakras) disposti lungo la colonna vertebrale, fino a raggiungere
la sommità del capo, così da produrre l’estasi mistica e l’illuminazione.
Queste concezioni sono fedelmente rispecchiate dal concetto gnostico
di anabasi (risalita), in cui lo spirito dell’iniziato ascende dopo la morte
nella compagine dei sette cieli dove deve affrontare le potenze (cioè gli
arconti) che vigilano sulla soglia al limitare di ciascun firmamento. Uno
dei testi di Nag Hammadi, l’Apocalisse di Paolo, è strutturata proprio

104
Il battesimo, le acque del Giordano e il serpente
sul tema dell’ascesa della scintilla spirituale; in essa il narratore, che si
identifica con l’apostolo Paolo, compie l’ascesa sostenuto dallo Spiri-
to Santo e affronta gli arconti che ostacolano il passaggio delle anime.
Giunto al settimo cielo, l’autore ha la visione di “un vegliardo la cui
luce faceva risplendere i suoi abiti bianchi” (22, 26), verosimilmente il
demiurgo (o l’arconte redento Sabaoth) assiso in trono. Egli apostrofa
lo spirito dell’apostolo in tono minaccioso “Come potrai tu sfuggirmi?
Guarda! Osserva gli arconti e le potenze!” (23, 19). Tuttavia, grazie al
sostegno dello Spirito Santo e all’uso di un misterioso “segno” il can-
didato all’ascesa sfugge al giudizio delle autorità celesti: “Si aprì allora
il settimo cielo e noi salimmo all’Ogdoade” (23, 30). Lo spirito dello
gnostico, così come nella vita ha trasceso e superato le proprie compul-
sioni, i suoi complessi e i limiti del suo io, così dopo la morte sconfigge il
giudizio degli arconti, che di tali complessi, limiti e compulsioni sono la
rappresentazione su scala universale. Così viene evitato anche il terribile
giudizio del demiurgo, che per lo gnostico è solo un’immagine psichica,
la proiezione interiore di una ‘falsa idea’ di Dio priva di vera esistenza.
Oltre il settimo cielo, dove dio è ancora ‘altro da Sè’, l’identità fra Dio e
il Sé dello gnostico coincide, o meglio il Sé individuale è una parte inte-
grante del Tutto, l’espressione a livello individuale di quel Sé più grande
che è Dio. Senza l’ausilio della gnosi questa scalata ai cieli delle potenze
è destinata a fallire: in questo caso, la particella spirituale viene rivestita
da un nuovo involucro psichico e corporale e destinata ad una nuova vita,
in una lunga peregrinazione che si conclude solo tramite l’ottenimento
dell’illuminazione interiore.
Anche altri indizi sembrano indicare che metodologie affini a quelle in
uso fra gli yogin venissero utilizzate in alcune scuole gnostiche.
Un esempio lampante è quello della simbologia attribuita al fiume Gior-
dano, nel quale venne battezzato Gesù. La Testimonianza Veritiera spie-
ga che “il fiume Giordano è il potere del corpo, i sensi del piacere…
le acque del Giordano sono il desiderio della concupiscenza”; quando
Gesù venne battezzato dal Battista “immediatamente le acque del Gior-
dano presero a scorrere all’indietro”. La Testimonianza Veritiera viene
solitamente ascritta agli gnostici naasseni, che rappresentavano sim-
bolicamente l’’essenza umida’, l’energia che permea tutte le cose, come
un serpente, proprio come viene rappresentata la kundalini nelle scuole

105
La Luce della Conoscenza
yogiche. I naasseni, che derivano il loro nome dall’ebraico ‘naash’ (ser-
pente) utilizzavano una triplice parola di passo riportata dagli eresiolo-
gi come ‘kaulakau, saulasau, zeesar’, dove ‘kaulakau’ indica Adamas,
l’Uomo Primordiale, ‘saulasau’ l’uomo comune e ‘zeesar’ il Giordano
che fluisce verso l’alto. Quando le acque del Giordano scorrono verso
il basso si ha la generazione degli uomini ordinari, ma quando fluiscono
verso l’alto si ha la generazione degli dei (uomini spiritualizzati); questo
concetto è perfettamente parallelo a quello indiano di kundalini.
In queste cerchie era presente un duplice simbolismo legato all’immagine
del serpente. Ad esempio, si riteneva che l’universo sensibile fosse cir-
condato da un serpente cosmico che si morde la coda (l’uroboros) simbo-
leggiante le acque primordiali del Caos e apparentato alla figura ebraica
di Leviathan, il drago acquatico che circonda la terra con le sue spire;
questa figura mitologica rappresenta l’estrema barriera che lo spirito in
ascesa deve affrontare per entrare nel mondo della luce. Nella Pistis So-
phia la valenza negativa del serpente cosmico che circonda l’universo
viene ancor più accentuata; è la sede delle ‘tenebre esteriori’ e della non-
esistenza, e dentro di esso vengono tormentate le anime dei dannati in
dodici dimore infernali (probabilmente assimilate alle dodici case dello
zodiaco).
Ritroviamo un’idea molto simile negli scritti di Santa Ildegarda di Bin-
gen, la quale, commentando le proprie visioni mistiche nel Liber Divino-
rum Operum Simplicis Hominis, descrive il mondo come “circondato da
un anello di fuoco oscuro” che lo separa dalla luce divina.
D’altro canto, nell’ambito gnostico il serpente ha anche una valenza sen-
za dubbio positiva.
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni e in altri testi sethiani, che ri-
elaborano e reinterpretano temi e personaggi chiave del primo libro della
Genesi, l’Eva spirituale o Epinoia di Luce, ipostasi della Madre, incita i
primi due esseri umani a cibarsi dei frutti dell’Albero della Conoscenza
affinchè possano ricordare la loro origine spirituale: “Mi manifestai nelle
sembianze di un’aquila sull’Albero della Conoscenza, cioè l’Epinoia
della Provvidenza della pura Luce, per poterli istruire e destarli dal sonno
profondo”. Il testo fa leva su un gioco di parole fra i termini aramaici
‘hewja’ (serpente) e ‘hawa’(istruire) con l’ebraico “Hawa” (Eva). Non-
ostante l’accostamento fra la figura del Salvatore spirituale e il serpente

106
Il battesimo, le acque del Giordano e il serpente
possa risultare quasi blasfemo, dal momento che nella cultura cristiana il
serpente è visto unicamente come personificazione del male, queste con-
cezioni trovano un riscontro nel racconto biblico dell’Esodo narrato in
Numeri 21, nel quale dei serpenti ‘di fuoco’ dal morso letale minacciano
l’incolumità degli ebrei fuoriusciti dall’Egitto e vaganti nel deserto, che
avevano parlato contro Dio e Mosè; “Quindi Dio disse a Mosè: fatti un
serpente di fuoco e mettilo su un’asta. E deve avvenire che quando qual-
cuno è stato morso, deve guardarlo e rimarrà in vita. Mosè fece subito un
serpente di rame e lo pose sull’asta; e infatti avvenne che se un serpente
aveva morso un uomo ed egli guardava fisso il serpente di rame, allora
rimaneva in vita”. I resoconti dei padri eresiologi riportano una interes-
sante esegesi gnostica dell’esodo del popolo ebraico, in fuga dalla schia-
vitù egiziana: l’Egitto assume una valenza negativa, è il luogo della schi-
avitù carnale, ed il Mar Rosso rappresenta la natura del sangue, animale
e sensuale; il deserto è il luogo intermedio che rappresenta il dubbio, e i
serpenti che vi dimorano sono gli ‘dei della distruzione’ (gli arconti) che
tentano di sopraffare coloro che cercano di sfuggire alla natura carnale. A
coloro che vengono morsi Mosè mostra il vero serpente, che rappresenta
l’elemento spirituale crocifisso alla croce della materia, così che siano
salvi e possano entrare nella Terra Promessa dove scorre il Giordano ce-
leste. E’ pure interessante notare che in lingua ebraica il valore gematrico
di ‘Mashiach’ (Messia), 358, corrisponde a quello di ‘nahash’ (serpente).
Anche il Vangelo di Giovanni stabilisce un collegamento fra le propri-
età terapeutiche del serpente di rame di Mosè e la missione salvifica di
Gesù: “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che
sia innalzato il Figlio dell’Uomo, affinchè chiunque crede in lui abbia
vita eterna” (3, 14).
Come è stato visto poco sopra, la Rivelazione Segreta di Giovanni iden-
tifica l’Istruttore celeste nell’Epinoia di Luce; grazie alla sua azione sal-
vifica gli esseri umani si svegliano dall’oblio che ottunde la rimembranza
della loro origine spirituale. Seguendo la dicotomia fra luce e tenebre
sulla quale è strutturato il testo (regno spirituale-cosmo materiale; Vero
Dio-Jaldabaoth, Provvidenza-Sophia, ecc.) la Rivelazione Segreta di
Giovanni oppone l’azione salvifica dell’Epinoia a quella del protoarcon-
te: “Io dissi al Salvatore: ‘Maestro, ma non fu il serpente (Jaldabaoth,
n.d.a.) che insegnò ad Adamo a nutrirsi (del frutto proibito, n.d.a.)? Il

107
La Luce della Conoscenza
Salvatore rise e disse: ‘Il serpente gli insegnò a cibarsi della malvagità
del desiderio carnale e della distruzione, per trarne profitto. Ma egli sape-
va che la disobbedienza verso di lui era dovuta alla luce dell’Epinoia che
è in lui (Adamo, n.d.a.) e rende il suo pensiero superiore a quello del
protoarconte” (22,10-18). Nel testo, Jaldabaoth viene assimilato al ser-
pente, mentre l’Epinoia prende le sembianze di un’aquila, probabilmente
per via dell’assonanza fra i temini ‘hiera’ (serpente) e ‘hierax’ (aquila)
in greco, lingua della redazione originaria della Rivelazione Segreta di
Giovanni.
Il testo gioca sul racconto effettivamente piuttosto ambiguo del primo
libro della Genesi, laddove è scritto che in seguito ad essersi cibati del
frutto dell’Albero della Conoscenza “gli occhi di entrambi (Adamo ed
Eva, n.d.a) si aprirono e si accorsero di essere nudi” (3, 7); il testo las-
cia senza dubbio intendere che il frutto proibito aveva avuto l’effetto
di ‘svegliare’ la coscienza della prima coppia umana, da cui deriva la
loro consapevolezza della propria ‘nudità’ (interpretata in senso gnostico
come nudità spirituale, cioè mancanza di formazione secondo la gnosi);
vale la pena di riportare le parole di Gesù in Giovanni (10, 21): “Può un
demonio aprire gli occhi ai ciechi?”.

108
PARTE SECONDA

I SEGRETI DELLA COSMOLOGIA GNOSTICA


LA PENTADE E IL NUMERO SACRO 72

Chi abbia letto con sufficiente attenzione la prima parte di quest’opera


avrà certamente constatato che i miti gnostici spesso si prestano
all’interpretazione psicologica, e che anzi essi erano il tentativo di
esprimere con il linguaggio della loro epoca determinate esperienze in-
teriori.
L’approccio psicologico, che è stato adottato da molti studiosi per
l’analisi di diverse tradizioni religiose, ha dimostrato che il mito è un
linguaggio universale della mente umana. Nel caso specifico lo gnos-
ticismo sembra essere una forma vera e propria di psicologia esoterica
che delinea una teoria della nascita della coscienza. Ma gli antichi miti
gnostici sono passibili di altre interpretazioni o il loro significato si limita
solo al livello psicologico?
Come abbiamo visto precedentemente, il mondo così come lo conos-
ciamo era concepito dagli gnostici come una copia imperfetta del Regno
Divino; il cosmo materiale è una copia del Pleroma perché quest’ultimo
costituisce il modello strutturale sulla base del quale è stato plasmato il
mondo, che però è imperfetto perché è stato foggiato con la materia, che
è la concretizzazione dell’ignoranza di Sophia.
Nelle cosmologie gnostiche è evidente l’interesse per la numerologia,
che probabilmente deriva dagli influssi pitagorici e kabbalistici che con-
tribuirono a dare forma al pensiero gnostico. Perciò qual è il peso di
questi riferimenti numerologici? Quale il loro vero significato?
Nella Rivelazione Segreta di Giovanni la prima emanazione, la Prov-
videnza o Barbelo, viene associata ad altre quattro virtù ipostatizzate così
da formare una Pentade.
Perché proprio una Pentade? Perché proprio un gruppo di cinque entità?
Volendo rappresentare graficamente la Pentade possiamo avvalerci del
simbolo che più di ogni altro era considerato sacro dai pitagorici, dai
quali molti gruppi gnostici mutuarono gran parte del loro misticismo nu-

111
La Luce della Conoscenza
merico, cioè il pentacolo o stella a cinque punte.
In questa figura, i rapporti tra le punte della stella e i lati del pentagono
interno sono di 1,618 o proporzione phi. La proporzione phi è stretta-
mente correlata alla serie numerica ricorsiva espressa dal matematico
pisano Leonardo Fibonacci nel XII secolo detta appunto successione o
serie di Fibonacci, in cui ogni numero è la somma dei precedenti, come
segue:

1 1 2 3 5 8 13…

Mano a mano che la serie prosegue, il rapporto di ogni numero con quello
che lo precede si avvicina sempre di più a phi, cioè appunto a 1,618. Il
rapporto phi è sempre stato considerato, almeno a partire dalla civiltà
egizia, come il numero ideale dell’armonia e della bellezza, tanto che
moltissimi templi o costruzioni sacre, già da tempi antichi, mostrano fra
i vari elementi architettonici questo tipo di rapporto ideale; vale la pena
di ricordare, fra questi, il Partenone di Atene in Grecia e la piramide di
Cheope in Egitto. Ma soprattutto, il rapporto phi è presente nelle figure
di accrescimento delle specie viventi, dal famoso esempio della conchi-
glia nautilus, che mostra la cosidetta spirale aurea, alle spirali dei semi
di girasole, alla disposizione delle foglie su uno stelo (fillotassi), alle
proporzioni tra le varie parti costitutive il corpo delle specie animali e,
ovviamente, dell’uomo. Le strutture organiche sembrano essere letter-
almente permeate dal rapporto aureo: nel corpo umano esso è presente
ad esempio nel rapporto testa-ombelico-piedi, nelle falangi della mano e
nel rapporto fra indice e pollice, nel rapporto fra braccio e avambraccio
e così via.

112
La pentade e il numero sacro 72

Figura 1: il pentacolo e la sezione aurea

Figura 2 spirale aurea

113
La Luce della Conoscenza

Figura 3: sviluppo dei rapporti aurei nel pentacolo

114
La pentade e il numero sacro 72
Secondo Giuseppe Sermonti, docente di genetica all’università di Peru-
gia “ ..’la natura esibisce semplicemente un riflesso delle forme contem-
plate dalla geometria’, scriveva il grande naturalista scozzese Sir d’ Arcy
Wentworth Thompson (1860-1948), che si può considerare il precursore
della biologia strutturale. E disegnava conchiglie di molluschi, corna di
ariete, infiorescenze di girasole, tele di ragno, tutti esempi della magica
spirale logaritmica, simili nel disegno, ma certo non imparentati tra loro”
(da “La biologia strutturale”).
La proporzione aurea era conosciuta e apprezzata anche nell’ambito del-
la scultura greca, i cui prodotti suscitano ancora oggi alla vista fascino
e ammirazione. Proprio la bellezza o meglio l’armonia sembra essere la
prerogativa principale del rapporto phi, le cui geometrie hanno ispirato
da sempre artisti di ogni tempo, da pittori rinascimentali come Leonardo
da Vinci e Piero della Francesca, a studiosi come Luca Pacioli e Keplero,
a compositori di musica classica come Bach, Mozart e Beethoven.
L’accostamento della Pentade bisessuata o Decade al pentacolo può
sembrare arbitraria, eppure un’altra evidenza supporta fortemente questa
tesi; si è precedentemente accennato come l’etimologia del nome ’Bar-
belo’ sembri derivare dalla frase in aramaico ‘nel quattro è Dio’, con
riferimento al tetragramma YHVH. E’ indispensabile sottolineare come
nella tradizione mistica ebraica si tramandasse una tetractys basata, anzi-
ché sui primi quattro numeri come nella scuola pitagorica, sulla sequenza
delle lettere del nome di Dio, a partire dalla lettera Yod:

Y 10
YH 10 5
YHW 10 5 6
YHWH 10 5 6 5

Tenendo presente il volore numerico delle lettere, la somma finale dà


come risultato 72: il pentagono, figura base per la costruzione del penta-
colo, è costruito da una partizione del cerchio a cinque angoli di 72 gradi
esatti.

115
IL VALORE COSMOLOGICO DEL NUMERO 12

Nella Rivelazione Segreta di Giovanni l’emanazione della Dodecade


completa il processo di costituzione del regno divino. Come abbiamo già
accennato al numero 12 sono associati importanti significati cosmologici
connessi al firmamento (lo zodiaco) e alle leggi musicali come espresse
dal pensiero pitagorico.
Tuttavia il simbolismo astrologico della Dodecade merita uno sguardo
più approfondito.
Un altro testo che mostra forti similarità con la Rivelazione Segreta di
Giovanni, cioè il Vangelo di Giuda, che è stato pubblicato di recente, ap-
profondisce questa tematica: “I dodici regni dei dodici luminari sono il
loro padre, con sei cieli per ciascun regno così che vi siano settantadue
cieli per i settantadue luminari, con [cinque fi]rmamenti per ognuno [per
un totale di] trecentosessanta [firmamenti] (11:8-10). Ecco che si incappa
ancora una volta nel numero 72 che avevamo preso in considerazione
precedentemente a proposito della Pentade e dell’origine del nome ‘Bar-
belo’. E’ qui necessario per amor di chiarezza dare un sintetico raggua-
glio sul fenomeno che in astrologia (e in astronomia) è noto con il nome
di precessione. Per effetto dell’inclinazione dell’asse terrestre i dodici
segni zodiacali sembrano compiere nel cielo un lunghissimo moto retro-
grado di rivoluzione e pertanto, se duemila anni prima di Cristo la costel-
lazione dell’Ariete e l’omonimo segno astrologico coincidevano effet-
tivamente, per effetto del moto precessionale oggi le cose non stanno più
così. Infatti il punto vernale (cioè quello in cui il sole sorge all’equinozio
di primavera, il 21 marzo) si è spostato all’indietro, perciò attualmente il
sole sorge all’equinozio in un punto che è compreso fra la costellazione
dei Pesci e quella dell’Aquario.
Il moto precessionale ha una durata veramente notevole, di quasi venti-
seimila anni (per la precisione 25.920); il particolare interessante è che
lo spostamento precessionale di un singolo grado dello zodiaco dura, con

117
La Luce della Conoscenza
un basso margine di approssimazione, 72 anni.
Nell’ambito gnostico il numero 72 potrebbe non essere legato stretta-
mente al fenomeno precessionale ma rappresentare una semplice par-
tizione del cerchio zodiacale (360:5=72), tuttavia è notorio che la preces-
sione fosse già conosciuta da molte antiche civiltà: studi d’avanguardia,
spesso contestati, sembrano provare che i popoli antichi annettessero una
grande importanza al fenomeno precessionale, tanto che molti antichi
monumenti, come le piramidi egizie e i templi di Agkor Vat in Cambogia
presentano insistenti riferimenti architettonici a questo moto apparente
dello zodiaco.
Il ciclo precessionale, o anno platonico, sembra essere legato in qualche
modo alle credenze sui cicli cosmici e probabilmente gli gnostici erano
ben consapevoli della sua importanza in questo senso; sempre nel Van-
gelo di Giuda leggiamo : “In verità vi dico, sono le stelle che portano a
compimento tutte le cose” (14:2).

118
LA DODECADE, LA PENTADE E IL DODECAEDRO

Abbiamo assegnato precedentemente alla Pentade la figura pentacolare


o stella a cinque punte. E’ possibile che si possa fare lo stesso anche con
la Dodecade?
Alcuni indizi ci dicono di sì.
Innanzitutto abbiamo già visto come il testo in esame, cioè la Rivelazione
Segreta di Giovanni, presenti alcuni elementi di derivazione pitagorica;
numerosi studiosi accademici, come Karen L. King e John D. Turner,
hanno sottolineato come la gnosi, quella sethiana in particolare, derivi
anche molti concetti dal platonismo, ovvero dai concetti espressi dal fa-
moso filosofo Platone, vera e propria pietra miliare del pensiero antico,
e dai suoi epigoni.
Nel Timeo, uno dei dialoghi platonici più conosciuti, si espone come gli
elementi riconosciuti dalla filosofia greca del tempo (terra, aria, acqua e
fuoco) abbiamo i loro archetipi in figure di solidi geometrici regolari i
quali si usa appunto definire platonici: tetraedro, cubo, ottaedro e icosae-
dro. A questi se ne va ad aggiungere un quinto, il dodecaedro, che rappre-
senta la quintessenza o ‘ornamento del cosmo’. Ed è proprio la peculiare
struttura del dodecaedro a spingerci a collegare questo solido platonico
con la struttura del Regno Divino come tramandata dalla Rivelazione
Segreta di Giovanni e da altri testi similari: si tratta infatti di un solido
regolare costituito da dodici facce pentagonali.

119
La Luce della Conoscenza
Dodici facce a cinque lati: ecco che ritroviamo gli elementi costitutivi del
Pleroma sethiano, la Pentade e la Dodecade, espressi in un’unica figura.
Fin qui, nulla di strano. Eppure ritroviamo il dodecaedro in un ambito in-
usuale e apparentemente alieno all’argomento in questione: la biologia.

120
La pentade e il numero sacro 72
IL DODECAEDRO E IL DNA

All’inizio della seconda metà del ventesimo secolo i biologi Watson e


Crick approdarono a una delle scoperte più eclatanti e importanti della
storia della scienza umana: la scoperta della struttura dell’acido desos-
siribonucleico o DNA. Questa molecola, come è noto, costituisce la base
di tutta la vita organica presente sul nostro pianeta. Esso è costituito da
una doppia elica che possiamo paragonare ad una scala a pioli; i due fila-
menti paralleli che costituiscono i montanti di questa scala sono costituiti
da una catena di uno zucchero chiamato desossiribosio, mentre i “pioli”
sono costituiti da quattro basi fosfate: adenina, timina, guanina e citosina
abbreviate usualmente in A, T, G, C. Esse si appaiano in coppie speci-
fiche, A con T, G con C.

121
La Luce della Conoscenza
Da allora gli studi volti a comprendere il funzionamento di questo ‘codi-
ce della vita’ si sono moltiplicati fino a sfociare nel 2000 nella mappatura
completa del genoma umano.
Quel che più colpisce nell’ambito in questione è proprio la struttura ’geo-
metrica’ del DNA: studi approfonditi (vedi l’articolo di Gary Felsenfeld
apparso in “Le Scienze” n. 208 del dicembre 1985) dimostrano che la
doppia elica è costituita proprio da una catena di dodecaedri incastrati
l’uno nell’altro.
Anche il simbolismo del numero dieci ha un riscontro nella struttura mo-
lecolare del DNA: per rendersene conto basta esaminare lo schema della
sezione trasversale dell’acido desossiribonucleico.

Figura 6: schema trasversale del dna


Come si può chiaramente notare, la parte centrale del grafico è costituita
da un fiore a dieci petali. I vertici dei dieci ‘petali’ sono i punti di incrocio
di linee di forza a spirali di venti propagazioni, dieci orarie e dieci antio-
rarie. Essi non sono complanari allo schermo, come sembra dalla sezi-
one trasversale della doppia elica, bensì sono i vertici di dieci pentagoni
sovrapposti su altrettanti piani e ruotati di 36 gradi ognuno rispetto al
successivo, così da formare in sezione trasversale una figura decagonale.
I due filamenti paralleli della doppia elica sono costituiti ciascuno da
una catena alterna di residui di desossiribosio (uno zucchero) e di gruppi
fosfato: lo zucchero si aggancia mediante un atomo di ossigeno al ver-
122
La pentade e il numero sacro 72
tice di un petalo, che lo tiene in equilibrio tra le direzioni attrattive del
sistema, e quindi al vertice del pentagono terzo successivo ruotato di 72
gradi, e così via; il gruppo fosfato, lungo lo stesso filamento, lega tra loro
i residui di zucchero consecutivi. L’altro filamento presenta la stessa cat-
ena spostata di un piano e di 36 gradi rispetto al primo filamento.
Le due catene presentano polarità opposta: sono, cioè, antiparallele.
Questa è la condizione ottimale per l’aggancio tra due sistemi. I quali,
infatti, si lanciano su ciascun piano i ponti costituiti dalle quattro basi,
appaiate due a due: timina e adenina, citosina e guanina.
I pentagoni che costituiscono la doppia elica, di cui si è prima detto,
devono essere in realtà considerati, nello spazio tridimensionale, come la
faccia superiore di ideali dodecaedri (solidi a dodici facce pentagonali),
non sovrapposti ma incastrati l’uno nell’altro.
Proprio il dodecaedro, una struttura solida che ci rimanda allo stesso
tempo al dodici e al cinque e da quest’ultimo al discorso fatto prec-
edentemente a proposito della proporzione aurea, questa ‘costante di
natura’ che, come abbiamo visto, sembra essere matrice fondamentale
dell’armonia e della bellezza delle vita organica, sia essa vegetale che
animale. Una vita che culmina, come sottolinea la Rivelazione Segreta
di Giovanni, proprio nell’Essere Umano. Coincidenza? Lasciamo che
ognuno possa valutare i fatti sinora presentati e decidere da sé, ma forse
varrebbe la pena di riconsiderare le credenze e i simboli del pensiero
antico: forse non si tratta di mere favole create allo scopo di rassicurare
un’umanità primitiva in balia del caso e delle forze caotiche della natura.

123
I NUMERI SACRI 32 E 64

Come abbiamo visto, per quanto strano possa sembrare, la struttura del
Regno Divino come presentata dai testi gnostici sembra avere delle pe-
culiari affinità con la struttura del DNA. Eppure le analogie non finis-
cono qui.
Per rendersene conto occorre prendere in esame un breve passaggio, rela-
tivo all’intronizzazione dell’arconte redento Sabaoth, tratto dall’anonimo
testo sethiano a cui è stato attribuito dagli studiosi il titolo di “L’origine
del mondo”:
“Quando Sabaoth ricevette il luogo del riposo a motivo della sua pen-
itenza, la Pistis gli diede anche la propria figlia Zoe, con una grande
potenza (ebr. ‘din’, valore gematrico 64 n.d.a.) affinchè lo istruisse su
tutto ciò che si trova nell’ogdoade celeste. Avendo la potenza, egli creò
innanzitutto per sé una dimora grande e splendida, sette volte superiore
a tutte quelle che si trovano nei sette cieli. Davanti alla sua dimora creò
un cocchio quadrangolare chiamato ‘cherubin’; in ognuno dei quattro
angoli del cherubin vi sono otto forme, forme di leone, fome di toro,
forme d’uomo e forme di aquila, così che tutte le forme costituiscono
sessantaquattro forme (32 x 2, dato che sono androgine, n.d.a.)” (Or. M.
104, 27-105-10).
Sabaoth, il figlio ribelle del protoarconte, viene istruito da Zoe (gr. ‘vita’)
su ciò che si trova nel Regno Divino e, sebbene il testo si limiti a sug-
gerirlo, senza indicarlo in modo esplicito, dobbiamo presumere che la
struttura del cocchio chiamato ‘cherubin’ sia stata ispirata proprio da ciò
che si trova nel Pleroma.
Vale la pena di aggiungere che il concetto di ‘cocchio’, così come pre-
sentata dal testo, non è un’invenzione originale: essa risale a una tra-
dizione della mistica giudaica chiamata ‘ma’ase merkavah’ (ebr. ‘opera
del cocchio’), basata sulla visione riportata dal libro biblico del profeta
Ezechiele. In quel testo, il profeta, rapito dall’estasi mistica, descrive il

125
La Luce della Conoscenza
mondo divino e le gerarchie angeliche che lo abitano e che adorano Dio
assiso in trono.
I praticanti di questa tradizione mistica si tramandavano complesse
tecniche mistiche che avevano lo scopo di condurli alla visione della
Gloria divina e del mondo del trono divino, situati nel più eccelso dei
sette palazzi celesti; erano chiamati ‘yoredè merkavah’, cioè ‘coloro che
discendono al cocchio’, proprio per sottolineare il carattere interiore e
meditativo di questa disciplina.
Il testo in questione, sebbene non si addentri in ulteriori dettagli, mette
l’accento sul numero 64 e, indirettamente, sul numero 32, la sua esatta
metà; ci si potrebbe chiedere per quale motivo, visto che, al contrario del
72, i numeri 32 e 64 non ha un diretto riscontro astronomico.
Come abbiamo precedentemente ricordato, i ‘pioli’ che costituiscono la
scala del DNA sono costituiti da quattro basi chiamate adenina, guanina,
timina e citosina.
Notoriamente, il DNA contiene il ‘programma’ della vita: in esso sono
contenute tutte le informazioni legate alla struttura biologica di qualsiasi
organismo.
Le ‘parole’ che costituiscono il ‘programma’ genetico sono costituite da
triplette (codoni), ovvero da gruppi di tre basi; dal momento che le basi
sono quattro (n.b. nell’RNA la timina viene sostituita dall’uracile), il
‘programma’ genetico è costituito da 64 possibili parole. E non è tutto: le
triplette, alcune delle quali hanno un doppio significato, hanno lo scopo
primario di codificare i venti diversi aminoacidi occorrenti per la sintesi
delle proteine, più un segnale di ‘inizio messaggio’ e uno di ‘fine messag-
gio’, per un totale di 22 possibili significati diversi. Ricordiamo che, nel
sistema valentiniano, dalla seconda tetrade (gruppo di quattro entità) em-
anano altri 22 Eoni secondari; inoltre il Pleroma ‘reintegrato’ dal Cristo e
dallo Spirito Santo è formato in tutto da 32 Eoni.
Bisogna ammettere che i parallelismi numerici sono stupefacenti.
Queste straordinarie coincidenze numeriche gettano una luce del tutto
nuova anche sull’uso di una certa terminologia ricorrente nei testi gnos-
tici (e kabbalistici).
In questi testi è infatti abbondante, specie nelle descrizioni del Regno
Divino e nella dossologia, l’uso di parole come ‘gloria’ (ebr. ‘kavod’,
valore gematrico 32), ‘giudizio’ o ‘potere’ (ebr. ‘din’, valore gematrico

126
I numeri sacri 32 e 64
64) e ‘cuore’ (ebr. ‘leb’, valore gematrico 32).
Un interessante riferimento di questo tipo al ‘cocchio’ si trova nel trattato
di Nag Hammadi chiamato “Eugnosto il Beato”: ”Alcuni (degli esseri
spirituali del Pleroma, n.d.a.) dimorano in cocchi, avendo essi una Gloria
(ebr. kavod, n.d.a.) ineffabile…” (88, 20).
Inoltre, nel primo libro della Genesi il nome ‘Elhoim’ (letteralmente ‘gli
dei’, tradotto al singolare ‘dio’) ricorre esattamente per 32 volte; sempre
la Genesi comincia con la lettera bet (valore 2) della parola ‘bereshit’
(‘in principio’, ) e termina con la lettera lamed (valore numerico 30), a
sottolineare ulteriormente il numero 32, mentre il valore numerico della
parola ‘Adam’, 45, sommato a quello di ‘Hawa’ (Eva), 19, ci riporta di
nuovo al 64.
A questo proposito conviene soffermarsi anche sulla trattazione della
dottrina del maestro valentiniano Marco, come riportata da Ireneo in
Adv. Haer. 1,14: “Soprattutto, la Tetrade, spiegando a lui queste cose
più pienamente, disse :’Desidero mostrarti la Verità stessa… così che
tu possa udirla parlare, e ammirare la sua saggezza. Ecco, allora, la sua
testa in alto, Alfa e Omega; il suo collo, Beta e Psi; la sue spalle e le sue
mani, Gamma e Chi; il suo seno, Delta e Phi; il suo diaframma, Epsilon
e Upsilon; la sua schiena, Zeta e Tau; il suo ombelico, Eta e Sigma; i
suoi fianchi, Teta e Rho; le sue ginocchia, Iota e Pi, le sue gambe, Kappa
e Omicron, i suoi polpacci, Lambda e Xi; i suoi piedi, Mu e Nu… Egli
(Marco, n.d.a.) chiama questo elemento ‘Essere Umano’, e dice che è la
fonte di tutta la parola, il principio di tutti i suoni, e l’espressione di ciò
che è ineffabile… quando la Tetrade ebbe detto queste cose, la Verità
guardò verso di lui, e proferì una parola… Cristo Gesù”.
In questo passaggio, secondo la visione di Marco, il Corpo della Verità è
costituito da coppie di lettere dell’alfabeto greco, ciascuna delle quali si
appaia con quella opposta (e complementare): la prima con l’ultima, la
seconda con la penultima e così via. Allo stesso modo, anche i ‘pioli’ del
Dna sono costituiti da coppie di basi complementari appaiate. Secondo
Marco, questi sono gli elementi costitutivi dell’Essere Umano, e soprat-
tutto dell’Essere Umano preesistente: Gesù Cristo.
E non è tutto: Verità, in greco ‘Aletheia’, ha un valore gematrico pari a
64. Parallelamente, nella dottrina valentiniana tradizionale, l’Eone Soter
(gr. Salvatore) è il frutto comune del Pleroma reintegrato, costituito da

127
La Luce della Conoscenza
32 Eoni. Anche la Rivelazione Segreta di Giovanni indica indirettamente
il numero 32: secondo il testo il Pleroma è costituito dalla Decade della
Madre, da quella del Figlio e dalla Dodecade dei Luminari, per un totale
di 32 entità. Si trovano nella letteratura gnostica numerosi riferimenti
più o meno espliciti a questo numero sacro: per esempio il Libro del
Salvatore enuncia 32 richieste di rinuncia al mondo, mentre l’Inno della
Sapienza contenuto negli Atti di Tommaso si riferisce ai “trentadue che
cantano lodi”. L’importanza centrale data a questo numero e al suo dop-
pio (64) è quindi evidente.
Il concetto di Umanità preesistente percorre come un unico filo condut-
tore i sistemi gnostici; per esempio, la Rivelazione Segreta di Giovanni
spiega che “dalla Prima Conoscenza e dall’Intelligenza perfetta, attra-
verso la manifestazione della Volontà dello Spirito invisibile e la Volontà
dell’Autogenerato, scaturì l’Umano perfetto: la prima manifestazione e
il vero, che lo Spirito Verginale (Barbelo, n.d.a.) chiamò Adamas”; la st-
essa Barbelo, prima emanazione dello Spirito Invisibile, viene consider-
ata come “il primo Essere Umano, che è lo Spirito Verginale”. Anche le
nozioni riportate da Ireneo in Adversus Haereses (1, 12, 3) confermano
che “è questo il grande e nascosto mistero, cioè che il potere che sovrasta
tutti gli altri, e tutti li comprende nel suo abbraccio, è chiamato Anthro-
pos (gr. ‘Essere Umano’, n.d.a.)”. Inoltre, ritroviamo questa nozione
nella Kabbalah ebraica, dove il complesso delle emanazioni (le Sefiroth)
scaturite dall’Ineffabile (En Sof) forma la struttura dell’Adam Kadmon
(l’Uomo Primordiale); sempre nella mistica braica, il valore numerico
della forma estesa del nome YHVH (permutando il valore delle con-
sonanti di ciascuna delle quattro lettere) corrisponde a 45, lo stesso di
‘Adam’, l’Essere Umano.
Come sottolineano più volte i testi gnostici, il mondo in cui viviamo è
una copia imperfetta del Regno Divino, e tutto quello che vi si trova ha il
suo archetipo all’interno del Pleroma.
Allo stesso modo, anche l’umanità terrena è stata creata dagli arconti
sulla base dell’immagine dell’Essere Umano celeste apparso sulle acque
inferiori: coloro che sono alla ricerca della verità scoprono perciò un
ordine segreto, celato dal caos dell’esistenza nel regno inferiore della
materia.
Il Vangelo della Verità esprime questo concetto con una proposizione che
128
I numeri sacri 32 e 64
gioca sul valore gematrico di alcune parole chiave: “Fu così che l’Errore
trovò forza… prese residenza in una forma modellata (il cosmo mate-
riale e/o il corpo fisico, n.d.a.), preparata per mezzo di potere (ebr. ‘din’,
valore gematrico 64, n.d.a), in somiglianza, un sostituto della Verità (gr.
‘aletheia’, valore gematrico 64, n.d.a.)”.
Alla luce delle nostre attuali conoscenze la vita in sé è un miracolo; come
spiega il secondo principio della termodinamica, anche noto come ‘prin-
cipio di entropia’, l’energia passa naturalmente da uno stato di maggiore
organizzazione e differenziazione a uno stato di progressiva degradazi-
one: in altre parole, tutti i sistemi ordinati tendono verso il caos. Se ques-
to è vero (e lo è) allora come è possibile il sorgere della vita organica, e
ancor di più della vita dotata di coscienza? Se tutto tende verso il caos,
come è possibile la meravigliosa complessità di un fiore, di un insetto,
o anche solo di qualsiasi microorganismo? Se tutto tende verso il caos,
a cosa è dovuta la presenza dell’uomo, un organismo così sviluppato da
essere cosciente di sé e di tutto ciò che è attorno a lui?
I testi gnostici rispondono a questi enigmi incresciosi in maniera molto
semplice: la vita esiste (e soprattutto la vita umana) perché, anche se la
materia che la supporta è del tutto transitoria, imperfetta ed effimera,
essa adempie a uno scopo spirituale ed è stata plasmata sulla base di un
progetto spirituale che rispecchia l’armonia del Regno Divino; il concet-
to gnostico di ‘somiglianza’ nell’estratto del Vangelo della Verità sopra
citato riflette esattamente questo postulato. Se l’uomo segue il proprio
percorso spirituale non sarà destinato alla morte e all’oblio, ma tornerà
alla propria origine divina; come diceva il maestro Valentino: “Dal prin-
cipio siete immortali e figli della vita eterna, e avete voluto che la morte
fosse divisa fra voi per consumarla e dissolverla: e la morte è morta in
voi e per causa vostra. Infatti, quando dissolvete il mondo, voi non siete
dissolti, ma dominate sulla creazione e su tutta la corruzione” (Clemente,
Stromati IV).
Il caos che sembra dominare il cosmo è soltanto apparente, perché dietro
di esso si cela un ordine divino; e l’umanità, sebbene abbia fisicamente
delle origini terrene, ha la sua origine ultima in un mondo puramente
spirituale. Così, anche i nostri corpi, nonostante siano effimeri e destinati
alla morte, possiedono un’intrinseca armonia che deriva dal ‘progetto’
spirituale sulla base del quale sono stati formati. In questa luce, acquista-

129
La Luce della Conoscenza
no un nuovo senso anche le parole, abbastanza sibilline, che Ippolito
riporta commentando un testo sethiano, la Parafrasi di Seth: “Si osservi
bene l’utero pregno di qualsiasi essere vivente, e si troverà l’immagine
esatta del cielo, della terra e di tutto ciò che essi contengono” (Conf.
V,19).

130
L’ARMONIA DELLE SFERE

Il noto genetista dell’università di Perugia Giuseppe Sermonti,


nell’articolo “L’armonia del DNA”, delinea una serie di dati di fatto sor-
prendenti.
Sermonti cita gli studi di un ricercatore giapponese del Beckam Institute
of the City of Hope di Duarte, chiamato Susumu Ohno, che è riuscito a
produrre brani musicali basandosi sulle sequenze delle quattro basi (A-T-
G-C) presenti nella catena del DNA.
“Il principio da cui Ohno parte è che la vita è caratterizzata da una molti-
tudine di ricorrenze, da ripetizioni di moduli… il Principio della Ricor-
renza Ripetitiva governa tutto… (Ohno) ha preparato varie partiture…ho
avuto modo di ascoltarne alcune”.
Le partiture ascoltate da Sermonti erano state prodotte da geni di vario
tipo (per esempio quello dell’immunoglobulina) di varie specie animali
(trota, topolino, uomo, ecc..).
La musica “qui ricorda Bach, là è limpidamente chopiniana”.
Partendo dal gene per la polimerasi II del topolino “Ohno si è imbattuto,
quasi incredulo, in una sequenza genica che rassomigliava straordinaria-
mente alla versione chimica del ‘Notturno’… se il gene è trasformato in
sequenza musicale, il ‘Notturno’ di Chopin è continuamente rievocato.
Nell’ascoltarlo, al piano, si prova un’intensa commozione, come se la
natura rivelasse una melodia chopiniana che da milioni e milioni di anni
teneva serbata nel suo cifrario chimico”.
Già da solo, questo dato è stupefacente. Sermonti prosegue l’articolo par-
agonando i 64 codoni, di cui si è già parlato, ai 64 esagrammi dell’antico
sistema oracolare cinese noto come I Ching, basato su una serie di com-
binazioni di linee unite ( ___ ) e spezzate ( _ _ ).
Queste due linee rappresentano i due principi fondamentali che perme-

131
La Luce della Conoscenza
ano l’universo, l’energia Yin (femminile) e l’energia Yang (maschile):
questi due principi, combinati fra loro, originano inizialmente una tetrade
costituita da quattro tetragrammi, poi un ottetto derivato da otto trigram-
mi ed infine una serie di 64 esagrammi. I concetti gnostici di pleroma e
kenoma, nei quali i numeri 32 e 64 rivestono una particolare importanza,
derivano da un’idea molto simile che definisce l’interazione tra due en-
tità fra loro opposte ma strettamente correlate, lo spirito e la materia, il
regno della perfezione e quello dell’imperfezione, la complementarietà e
l’integrazione degli Eoni gli uni con gli altri e la divisione in opposti nel
regno inferiore.
La gnosi ci presenta il ritratto di due regni speculari, di cui uno è la copia
identica dell’altro nella struttura, ma dissimile nella sostanza: il Pleroma,
costituito da 32 Eoni e il kenoma, il regno del vuoto e dell’imperfezione.
Quest’ultimo è costituito dalla Dodecade zodiacale e dai dieci firma-
menti, cioè gli otto cieli, la sfera sublunare e la sfera delle stelle fisse.
Il mondo sublunare o terrestre è governato dalla Tetrade degli elementi
(fuoco, aria, terra acqua), mentre tutto il sistema è originato dalla cosid-
detta ‘Tetrade inferiore’: la Sophia Inferiore e gli esseri intermedi gene-
rati dai diversi stati psichici sperimentati durante la Caduta, vale a dire
il demiurgo (la conversione, sostanza psichica), il diavolo (l’ignoranza,
assimilata alla materia), e Beelzebul, il signore degli arconti malvagi (de-
rivato dall’angoscia). Il tratto d’unione fra Pleroma e kenoma è costituito
dal Limite o Croce e dall’Eone Soter, il Salvatore emesso dalla collettiv-
ità pleromatica e sposo della Sophia Inferiore, per un totale complessivo
di 32 sfere dell’essere che coincidono ad un tempo sia con la struttura
del cosmo che con quella fisica, psichica e spirituale degli esseri umani.
Questa inedita ipotesi potrebbe spiegare l’oscuro riferimento di Ireneo,
secondo cui gli Eoni del Pleroma “hanno emesso degli altri Eoni ad ana-
logia dei primi, affinchè il Pleroma fosse completo” (Adv. Haer. 1, 34, 2).
L’uomo è perciò l’immagine stessa dell’universo, che anticamente era a
sua volta concepito come un Macroanthropos, l’Uomo Universale. Ecco
quindi svelato il grande segreto della gnosi: “il Primo Padre del tutto,
il Primo Principio e il Primo Incomprensibile, è detto Essere Umano, e
questo è il grande e nascosto mistero, cioè che il potere che sovrasta tutti

132
L’armonia delle sfere
gli altri, e comprende tutti nel Suo abbraccio, è chiamato Essere Umano”
(Adv. Aer.1, 12, 3). Persino la struttura di base della vita umana sem-
bra essere stata modellata in questo modo: abbiamo infatti quattro basi
che producono otto triplette, ed infine 64 combinazioni diverse costituite
dall’accoppiamento delle otto triplette.

Figura 7: I ching

133
La Luce della Conoscenza
Come abbiamo visto, la cosmologia gnostica è pregna di riferimenti alla
scuola platonica, che mutuò comunque molti concetti dagli insegnamenti
e dalla dottrina di Pitagora.
Nel mondo antico si riteneva che il mondo fosse stato generato tramite
dei suoni e che potesse sussistere solo in quanto tale; in particolare,
Pitagora (IV a.C.) e i suoi adepti credevano che vi fosse un’intima cor-
relazione fra le leggi di natura e l’uomo, e che queste leggi fossero a loro
volta collegate a quelle musicali, dal momento che le note sono vincolate
da precisi rapporti numerici.
Anche gli gnostici avevano una visione del tutto simile: proprio in questo
senso era interpretato il Prologo di Giovanni, secondo cui tutte le cose
sono state create dal Logos (il Verbo, la Parola).
La serie numerica riportata dal brano già citato estratto da ‘L’origine del
mondo’ (4-8-64) si rispecchia fedelmente in quella riportata dall’I Ching
e nella combinazione delle quattro basi che costituiscono il codice ge-
netico. Il ‘cocchio’ stesso, che possiede questa struttura, non è altro che
il veicolo attraverso il quale si manifesta il potere creativo del demiurgo.
Se l’analogia fra il ‘cocchio’ e il DNA è esatta, possiamo presumere che
quest’ultimo non sia altro che il vettore attraverso il quale si convoglia
l’energia psichica che permea tutte le specie viventi, compresa quella
umana, l’’interfaccia’ che dirige l’evoluzione della vita, così come il de-
miurgo gnostico plasma tutti gli esseri viventi nel cosmo inferiore.
In tempi moderni, molte delle concezioni pitagoriche sono state recuper-
ate dagli studiosi di armonistica, una disciplina che si occupa di rivelare
e analizzare le correlazioni tra la musica e le leggi naturali.
Uno dei più importanti esponenti dell’armonistica, il barone Albert Von
Thimus, pubblicò nel 1868 il primo volume dell’opera “Il simbolismo
armonicale nel mondo antico”.
In particolare, l’opera si focalizza sul cosiddetto lambdoma pitagorico,
un grafico a forma di V rovesciata (la lambda greca) sul quale venivano
tracciate le serie dei numeri interi e dei loro corrispondenti reciproci,
come segue:

134
L’armonia delle sfere
Von Thimus estese il grafico del lambdoma fino al numero 8, riportando
nella colonna centrale le frazioni derivanti dalla moltiplicazione dei nu-
meri dei bracci corrispondenti e ‘riempiendo’ gli spazi mancanti:

Già i pitagorici avevno assegnato ai due bracci principali del lambdoma


gli intervalli musicali, pertanto Von Thimus ampliò il sentiero già trac-
ciato nell’antichità, ottenendo uno schema a 64 caselle degli armonici
naturali:

135
La Luce della Conoscenza
Nonostante la serie degli armonici naturali sia stata scoperta solo nel XVI
secolo da Marin Mersenne, e benchè i precisi rapporti numerici fra le
note che la costituiscono siano stati determinati ancor più recentemente,
la scoperta di Von Thimus suggerisce che essa fosse già conosciuta, al-
meno in linea teorica, dai pitagorici.
La serie degli armonici era stata messa in relazione da Von Thymus con il
sistema esagrammatico dell’I Ching; in seguito, Martin Schoneberger ha
collegato entrambi con i 64 codoni di cui si è già parlato. Il passo è quindi
breve dal collegare entrambi a quella che secondo la dottrina gnostica è
la struttura del Tutto.
La similitudine fra il codice genetico umano, le relazioni fra le note e
l’I Ching è stata ripresa da Sermonti, che ha evidenziato la sostanziale
identità fra i tre sistemi considerati: “Il codice genetico è un cerchio cos-
mico perfetto, un magnifico mandala… processato con un codice musi-
cale, genera catene di note che si sistemano nel pentagramma a produrre
suoni”.
Un filo rosso sembra unire la struttura del Pleroma gnostico e la geome-
tria sacra ad esso correlata, il codice genetico e la scala musicale. Questa
affinità diventa ancor più evidente se si ricorda che, secondo il resoconto
di Ireneo, lo gnostico Marco collega le sette vocali greche (che rappre-
sentano le sette note) alle sette potenze emesse dal Padre sconosciuto,
che con esso formano l’Ogdoade; ciascuna di queste sette vocali viene
associata ad uno dei sette firmamenti dell’Ebdomade. Le sette forze “es-
sendo contenute in un reciproco abbraccio, esprimono la gloria di colui
dal quale sono state prodotte; e la gloria di quel suono è trasmessa in alto
al Prepadre… il suono di questa espressione di lode… è diventato il Fat-
tore e il Genitore di tutti coloro che sono sulla terra” (Adv. Haer. 1, 14,
7). Una concezione simile è presente nel Libro Sacro del Grande Spirito
Invisibile nel quale si trova una sequenza in cui le sette vocali sono rip-
etute per 22 volte, cioè per tre ottave pitagoriche.
Il legame intuito dagli gnostici tra le note, che vengono assimilate ai sette
poteri che hanno plasmato il mondo, e determinate forme geometriche
sembra anticipare le scoperte della cimatica, una branca della scienza
acustica ancora poco conosciuta al grande pubblico. Nel diciottesimo
secolo il padre della scienza acustica Ernst F. Chladni scoprì che ac-
costando un arco di violino ad un piatto ricoperto di sabbia quest’ultima

136
L’armonia delle sfere
tende ad allontanarsi dai punti di maggior vibrazione e a disporsi lungo
linee nodali, formando complesse configurazioni geometriche (oggi ap-
punto conosciute come ‘modelli di Chladni’). Negli anni Sessanta del
secolo scorso il ricercatore Hans Jenny raccolse l’eredità di Chladni e
dei suoi epigoni utilizzando polveri di licopodio, un amplificatore di fre-
quenza e diversi liquidi, ottenendo configurazioni geometriche di grande
bellezza e suggestione; in seguito a oltre quattordici anni di ricerche,
Jenny fu in grado di collegare i principi della cimatica a discipline sci-
entifiche apparentemente estranee come l’astronomia, l’embriologia e la
citologia. Nei decenni seguenti le sue scoperte sono state raccolte da altri
ricercatori che hanno appronfondito l’interazione fra i suoni e il corpo
umano (che è costituito al 90% di acqua) a scopo terapeutico.
A questo punto sembra evidente che le intuizioni dei visionari gnostici,
lungi dall’essere sproloqui privi di senso, hanno saputo precorrere i tem-
pi scoprendo una stretta relazione fra il suono e l‘organizzazione della
materia. Essi, profondamente convinti che, come recita il prologo del
Vangelo di Giovanni, per mezzo del Verbo sia stato creato tutto, hanno
cercato con il linguaggio dei loro tempi di trasmettere la loro visione a
chi fosse in grado di comprenderla.
Forse, a distanza di quasi duemila anni, il loro messaggio può essere
rivalutato: l’armonia intrinseca che pervade la Vita è una prova della sua
origine superiore.
Come dice il noto studioso J. Hillman “se la bellezza è inerente ed essen-
ziale all’anima, allora essa appare dovunque appare l’anima”.

137
LA PROPORZIONE AUREA E IL CODICE SEGRETO
DELLA NUMEROLOGIA GNOSTICA

Analizzando la geometria sacra del pentacolo, abbiamo già notato come


il ‘numero d’oro’ 1,618 sia intimamente correlato ad una serie numeri-
ca espressa Leonardo Fibonacci, un matematico pisano del XII secolo,
nell’opera ‘Liber Abaci’:

1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 …

Mano a mano che la serie progredisce il rapporto fra i numeri successivi


si avvicina sempre di più a 1,618, o phi. Ufficialmente, la relazione fra
phi e la serie di Fibonacci fu individuata solo nel 1753, dal matematico
Robert Simson. Vale però la pena di notare che Fibonacci fu amico e
consigliere dell’imperatore Federico II; quest’ultimo fece progettare
e costruire la celebre fortezza a pianta ottagonale chiamata Castel del
Monte; è stato provato che quest’antico ed enigmatico monumento giace
all’interno di un rettangolo ideale in cui le diagonali sono costituite dalle
direttrici formate dai punti in cui il sole sorge agli equinozi ed ai solstizi.
I lati maggiori e quelli minori di questo rettangolo, curiosamente, espri-
mono il rapporto aureo o phi; è possibile che Fibonacci abbia taciuto la
correlazione fra la serie da lui individuata e il phi e che l’abbia trasmessa
solo a pochi ritenuti degni, dal momento che al ‘numero d’oro’ è sempre
stata attribuita una notevole importanza iniziatica.
Il valore iniziatico del ‘numero d’oro’ ebbe un grandissimo rilievo in
epoca rinascimentale; ad esempio Pietro della Francesca, definito dal Va-
sari “il migliore geometra dei suoi tempi”, fece uso abbondante del phi
e della geometria platonica ed archimedea. Fu proprio agli insegnamenti
di della Francesca, ed a quelli di Leonardo da Vinci, a cui attinse Luca
Pacioli per la propria opera ‘De Divina Proportione’ (La proporzione
divina), tutta incentrata sulla proporzione aurea.

139
La Luce della Conoscenza
I numeri-chiave della cosmologia gnostica, 32 e 64, mostrano una inter-
essante correlazione con questa serie. Essi possono essere infatti ricavati
a partire da uno schema ‘a specchio’ della serie di Fibonacci:

13 + 8 + 5 + 3 + 2 + 1 1 1 + 2 + 3 + 5 + 8 + 13

=32 + =32

=64

Come si può notare, tralasciando l’1 centrale, i primi sei numeri della
serie, se sommati, danno come risultato il numero 32.
Notiamo anche che il sesto numero della serie è il 13.
Nella tradizione mistica ebraica il tetragramma, cioè il nome quadrilet-
terale di Dio (YHWH) ha un valore gematrico di 26 (13 x 2).
A questo proposito conviene prendere in esame un celebre dipinto del
pittore rinascimentale Jacopo de’ Barbari.

Figura 8: ritratto di Luca Pacioli, Jacopo de Barbari

140
La proporzione aurea e il codice segreto della numerologia gnostica
L’opera, ricca di simbolismi allusivi ed iniziatici, raffigura Luca Pacioli;
l’indice e il pollice della mano sinistra dello studioso sono perpendico-
lari, a sottolineare il riferimento alla sezione aurea; nel dipinto, Pacioli
copia un diagramma dal tredicesimo libro degli ‘Elementi euclidei’; si
tratta di un solido archimedeo chiamato dodecaedro rombico, che pos-
siede 26 facce (18 quadrate e 8 triangolari). Lo stesso solido viene raf-
figurato nell’opera: pende dal soffitto ed è trasparente, pieno per metà di
acqua. Che l’autore abbia voluto sottolineare l’importanza del numero
26 e della sua metà, 13, è inequivocabile.
I numeri 13 e 26 hanno anche una notevole importanza anche in altri
sistemi gnostici, ad esempio, nella cosmologia della ‘Pistis Sophia’ e del
‘Vangelo di Giuda’.
Come già ricordato, il valore numerico della forma estesa del tetragram-
ma corrisponde a 45, lo stesso di ‘Adam’, l’Essere Umano; c’è quindi fra
il nome ineffabile di Dio e l’Essere Umano una stretta analogia.

141
TUTTO È UNO: IL MONISMO GNOSTICO E LE NUOVE
PROSPETTIVE DELLA FISICA.

Grazie al ritrovamento di molti testi originali a partire dal 19° secolo è


stato possibile aprire nuove frontiere per gli studi sullo gnosticismo.
Prima di queste scoperte, alcuni commentatori e studiosi tendevano a
classificare le diverse correnti gnostiche come dualiste, ove per dualismo
si intende la primigenia ed eterna contrapposizione fra due principi op-
posti: Bene e Male, Luce e Tenebre.
Tuttavia, questo punto di vista è assolutamente poco accurato.
Piuttosto, la maggior parte delle correnti gnostiche cristiane si avvici-
nano al monismo, cioè alla concezione secondo la quale in ultimo la
pluralità non esiste; tutte le cose esistenti giacciono in ultima analisi
nell’unità, mentre la molteplicità è illusoria ed è dovuta all’errata per-
cezione umana.
Come abbiamo già visto, nella dottrina valentiniana la Somma Divin-
ità viene descritta come “colui che avvolge ogni cosa, mentre nulla lo
avvolge” (Vang. Ver. 22, 22-26); nonostante l’apparente opposizione al
mondo spirituale, la sfera materiale “è contenuta dall’Ineffabile Grandez-
za, come il centro in un cerchio o la macchia su un vestito” (Adv. Haer. 2,
4, 2); “il Padre di tutto contiene tutte le cose, e non vi è nulla al di fuori
del Pleroma” (Adv. Haer. 2, 4, 2). Il Vangelo di Verità usa un linguag-
gio molto simile spiegando che “l’interezza era in lui, l’inconcepibile,
l’incontenuto, che è superiore ad ogni pensiero” (Vang. Ver. 17, 5-9).
Anche nella dottrina sethiana il Dio al di sopra di tutte le cose vi-
ene definito come “una monade, una monarchia (dal greco “governo
dell’uno”, n.d.a.)” (Ap. Giov. 2).
Quindi, tutte le cose, in definitiva, giacciono in Dio; la separazione da
Dio e l’opposizione fra il regno spirituale e quello materiale non sono
interpretabili nel senso spaziale, ma semplicemente dovute alla difettosa
percezione umana, dovuta alla trascendenza della Somma Divinità. La
dualità e la materialità non hanno una vera esistenza ontologica, ma sono

143
La Luce della Conoscenza
solo un epifenomeno, un ‘prodotto di scarto’ della realtà spirituale.
Anche la poetica visione mistica trasmessaci da Valentino stesso, un
componimento noto come “Messe”, ha questo significato:

“Vedo che allo spirito tutto è sospeso,


osservo che nello spirito tutto viene trasportato:
la carne è sospesa all’anima,
l’anima è trasportata dall’aria,
l’aria è sospesa all’etere,
frutti provengono dall’abisso,
un bambino viene dall’utero”

Ogni cosa ha la sua origine nel mondo spirituale: da esso derivano infatti
gli elementi materiali (la carne), psichici (l’anima, la psiche) e le par-
ticelle spirituali (l’aria) esiliate nel mondo inferiore separate dal regno
spirituale dal Limite (l’etere). I frutti che ‘provengono dall’abisso’ sono
gli Eoni che nella loro collettività costituiscono il Salvatore, il bambino
della visione di Valentino, che è l’espressione compiuta e percepibile
delle potenzialità del Prepadre, l’Abisso appunto.
Come spiegano i complessi miti gnostici, persino gli Eoni, benchè siano
elevatissime ipostasi spirituali, erano inizialmente ignari della loro orig-
ine: “Era stupefacente che essi fossero nel Padre senza essere al corrente
di lui… non erano in grado di percepire e riconoscere colui nel quale si
trovavano” (Vang. Ver. 22, 27-32).
Come già detto questa privazione di conoscenza, che il Vangelo di Verità
chiama ‘mancanza’ (gr. ‘Hysterema’) o Errore (gr. ‘Plane’), si è poi con-
cretizzata nel mito della Caduta della Sapienza, da cui è poi derivato il
regno materiale; come sottolineato da molti studiosi, la dottrina valentin-
iana propende a considerare la realtà materiale come del tutto illusoria:
“Tutto cambia, il mondo è un’apparizione” (Tratt. Res. 48, 27); il Van-
gelo di Verità spiega che chi si trova a sperimentare questa realtà illusoria
vive come in un incubo finchè “una persona perviene alla conoscenza,
come se si svegliasse”.
Alcune recenti scoperte scientifiche sembrano confermare questo assun-
to, per quanto possa sembrare paradossale.
Nel 1982 una equipe dell’Università di Parigi, diretta dal fisico Alain

144
Tutto è uno: il monismo gnostico e le nuove prospettive della fisica
Aspect, ha scoperto che le particelle subatomiche, sottoposte a parti-
colari condizioni, comunicano fra loro istantaneamente, indipendente-
mente dalla loro distanza locale; dal momento che secondo la teoria della
relatività formulata da Einstein non è possibile il verificarsi di fenomeni
che superino la velocità della luce, l’ipotesi che spiega al meglio questa
straordinaria proprietà delle particelle induce a pensare che esse siano
connesse a livello non locale.
David Bohm, noto fisico dell’Università di Londra, ha ampliato gli studi
condotti da Aspect giungendo a conclusioni a dir poco sbalorditive.
Secondo Bohm, infatti, nonostante la sua concretezza l’universo come
noi lo conosciamo è un’illusione, o meglio un ologramma.
Per comprendere meglio questa affermazione è necessario capire che
cos’è un ologramma: si tratta di una immagine tridimensionale che viene
ottenuta tramite l’ausilio di un laser; l’oggetto da fotografare viene im-
merso in una luce laser ed in seguito un secondo fascio laser viene fatto
‘rimbalzare’ sulla luce riflessa dal primo. Lo schema derivante dalla zona
di interferenza dove i due fasci laser si intersecano viene quindi impres-
so su di una pellicola fotografica e, quando essa viene illuminata da un
nuovo fascio laser restituisce l’immagine a tre dimensioni dell’oggetto
fotografato. Le immagini olografiche possiedono peculiari particolar-
ità: quando un ologramma viene tagliato in due parti, ciascuna metà
mostrerà l’intera immagine originale; anche continuando a ‘spezzettare’
i due frammenti, le parti risultanti continueranno a mostrare l’immagine
dell’oggetto integralmente. Tutto ciò avviene perché l’informazione con-
tenuta in una pellicola olografica è distribuita non localmente.
Proprio per questo motivo Bohm paragona l’universo fisico ad un olo-
gramma: le particelle sono connesse a livello non locale perché la loro
separazione è un’illusione; ognuna di esse è un frammento infinitesi-
male del Tutto che non può essere veramente separato dal resto. Secondo
Bohm, nonostante la scienza cerchi di analizzare i fenomeni studiandone
le varie parti, dividendo e riducendo in categorie, per comprendere la re-
altà nella sua totalità quest’approccio sarebbe fallimentare. Questo limite
conoscitivo è ben noto anche ai principianti di fisica, dal momento che
misurare l’entità di un fenomeno, qualsiasi esso sia, significa interferire
con esso alterandolo, per quanto infinitesimali possano essere le conseg-
uenze.

145
La Luce della Conoscenza
Questi concetti implicano anche l’esistenza di stati superiori della cons-
apevolezza normalmente a noi preclusi: se le particelle dell’esperimento
di Aspect, così come ogni altra cosa, ci appaiono separate, è perché non
siamo in grado di cogliere la loro unità indivisibile, simile a quella di
un’immagine olografica.
Sotto questa luce, sia il tempo che lo spazio così come noi li concepiamo
non esistono: se Bohm ha ragione e l’universo è simile ad un super olo-
gramma (o meglio, ad un olomovimento, dato che esso ha una natura
dinamica e attiva) passato, presente e futuro, così come tutte le cose che
furono, sono e saranno, coesistono simultaneamente.
L’ipotesi di Bohm, sebbene possa sembrare ai confini della fantascienza,
è oggetto di seria considerazione nell’ambito scientifico; alcuni ricer-
catori l’hanno applicata al loro campo di studi sviluppando idee molto
interessanti.
Ad esempio Karl Pribram, neurofisiologo dell’università di Stanford, si è
convinto della natura olografica della realtà dopo una serie di studi sulla
memoria cerebrale.
Numerosi esperimenti hanno infatti messo in luce che i ricordi non risul-
tano confinati in specifiche aree del cervello; questo però non spiega a
cosa siano dovute le capacità mnemoniche eccezionali che esso possiede.
Secondo Pribram queste straordinarie capacità sono dovute al fatto che
i ricordi non vengono immagazzinati localmente, ma in tutto lo schema
degli impulsi nervosi che si intersecano attraverso l’intero cervello, pro-
prio come le informazioni contenute in un ologramma. Questo spiegh-
erebbe anche la sua capacità di immagazzinare una mole incalcolabile
di informazioni: un ologramma, infatti è in grado di accumulare in po-
chissimo spazio una quantità enorme di dati. Altre proprietà straordina-
rie della mente, come la possibilità di rievocare un antico ricordo in un
istante, o la capacità di convogliare i dati percettivi (immagini, suoni,
odori, ecc.) sarebbero spiegabili in base a questa ‘teoria olografica’: le
percezioni esterne sarebbero convertite in percezioni interne dal cervello
grazie ai principi olografici. Un altro ricercatore, l’italo-argentino Hugo
Zucarelli, ha applicato questo modello teorico ai fenomeni acustici, in-
curiosito dal fatto che è possibile localizare la fonte di un suono senza
girare la testa, capacità che viene conservata anche nei soggetti colpiti
da sordità unilaterale. Queste ed altre ricerche sembrano dare un peso

146
Tutto è uno: il monismo gnostico e le nuove prospettive della fisica
sempre maggiore all’ipotesi di un universo olografico: è possibile che
la realtà, così come la concepiamo, come anticamente sostenuto dagli
gnostici e dalle filosofie orientali, non esista?
Keith Floyd, psicologo del Virginia Intermont College, propende per
questa ipotesi e sostiene che non è la mente a creare la coscienza, ma la
coscienza a creare la sensazione di un universo fisico esterno a essa; la
coscienza non sarebbe quindi un prodotto della materia, ma viceversa.
Questo concetto spiegherebbe anche l’insorgere delle cosiddette malat-
tie psicosomatiche: la maggior parte delle patologie, o addirittura tutte,
avrebbero un’origine nella psiche prima che nel corpo.
Anche il biologo Rupert Sheldrake ha un punto di vista molto affine a
queste teorie; nel suo saggio ‘La mente estesa’ egli suppone che “le men-
ti siano estese; si estendono attraverso campi che collegano gli organismi
al loro ambiente e gli uni con gli altri. Questi campi possono aiutare a
spiegare la telepatia, la sensazione di essere osservati e altri aspetti del
‘settimo senso’. Ma la cosa più importante è che essi aiutano anche a
spiegare le percezioni normali. Le nostre menti sono estese nel mondo
intorno a noi, e ci collegano con tutto ciò che vediamo”. Euqste convinzi-
oni sembrano suffragare l’ipotesi di Jung, il quale, come abbiamo visto,
era convinto che “c’è una psiche preesistente che governa la materia”.
Queste teorie moderne o postmoderne sembrano davvero una riedizione
dell’antico concetto gnostico secondo cui è il Demiurgo, cioè la psiche
collettiva, a plasmare la realtà consensuale.
Come abbiamo visto, l’errata percezione del mondo è riconducibile alla
mancanza di conoscenza, cioè all’ignoranza. E’ proprio questa ignoranza
a far sì che percepiamo le cose intorno a noi come separate. Questa con-
cezione mistica del cosmo è ottimamente esemplificata dal simbolo della
croce gnostica:

147
La Luce della Conoscenza
Il cerchio superiore, la figura geometrica perfetta per antonomasia, rap-
presenta il Pleroma, il Regno Divino che è costituito dagli Eoni disposti
in sizigie, cioè in coppie di qualità complementari che si integrano a
vicenda armoniosamente. La croce a forma di tau rappresenta Horos, il
Limite, appunto detto anche Stauros (gr. ‘Croce’) che divide il Pleroma
dall’Hysterema o Kenoma, cioè la realtà materiale a noi familiare, nella
quale la nostra percezione sperimenta l’opposizione dei contrari rappre-
sentata dalla linea verticale della Croce: destra (il Bene) e sinistra (il
Male), Luce e Tenebre, Vita e Morte. Proprio per questo la realtà fisica
viene definita in molti testi come la ‘miscela’ o ‘mescolanza’, dal mo-
mento che risulta composta dall’unione apparentemente inconciliabile
dello spirito con la materia, tant’è vero che la croce gnostica è anche
utile per rappresentare la tripartizione dell’animo umano: lo pneuma o
scintilla spirituale (il cerchio), la psiche o anima razionale (a destra) e il
chous o anima materiale (a sinistra).
Il Vangelo di Filippo aggiunge che le coppie di contrari “sono recip-
rocamente dipendenti; separarli è impossibile. Di conseguenza ciò che
è buono non è interamente buono, ciò che è cattivo non è interamente
cattivo, la vita non è del tutto vita, e la morte non è del tutto morte” (53,
14-23), pertanto, per via della nostra limitata percezione, non ci è pos-
sibile concepire l’uno facendo a meno dell’altro.
E’ importante tuttavia sottolineare che l’opposizione fra Pleroma e Hys-
terema sopra delineata non si riferisce alla distanza locale ma piuttosto
alla conoscenza o all’ignoranza.
La dottrina valentiniana considera infatti la redenzione o resurrezione
come la riunione della scintilla spirituale interiore con la propria con-
troparte angelica; la scintilla umana, dotata di sostanza ma non di forma,
viene plasmata dalla propria controparte angelica e con essa forma una
nuova sizigia o coppia spirituale, reintegrata nell’armonia del Regno Di-
vino. E’ proprio a questo matrimonio spirituale a cui si riferivano questi
mistici quando parlavano di ‘Camera Nuziale’, e non a riti orgiastici cel-
ebrati con il favore delle tenebre, come tramandato dalle calunnie degli
eresiologi. Come la luce disperde le tenebre, così questa totale reinte-
grazione dell’essere elimina l’ignoranza che inficia la percezione uma-
na, e l’illusione della molteplicità decade, dal momento che non ha mai
avuto una vera esistenza ontologica. In questo senso, non c’è più alcuna

148
Tutto è uno: il monismo gnostico e le nuove prospettive della fisica
opposizione, per colui che viene redento, tra il Sé e Dio, tra Pleroma e
Kenoma, come ricorda il Vangelo di Filippo: “Il mondo è già divenuto
il Regno eterno, per colui il quale il Regno eterno è la Pienezza (il Ple-
roma, n.d.a.)”. E’ una specie di Apocalisse individuale, che avviene con-
tinuamente nel corso della storia, ogni volta che una scintilla spirituale
acquisisce la gnosi e acquista la conoscenza della propria origine divina.

149
EPILOGO

La cosa più importante che emerge dalle dottrine gnostiche, al di là della


loro maggiore o minore rilevanza per chi studia il primo cristianesimo, è
l’essenza di un insegnamento che, dietro immagini mitologiche e propo-
sizioni a volte piuttosto ostiche se non astruse per la pragmatica men-
talità moderna, non più abituata a ragionare in termini simbolici, tenta
di dare una risposta esaustiva alle domande che da sempre l’umanità si
pone riguardo le proprie origini. E’ senza dubbio evidente che i mistici
della gnosi abbiano saputo precorrere i tempi e avere bagliori di pro-
fonde intuizioni sulla natura della realtà che percepiamo, sulla cosci-
enza umana e sull’origine stessa della vita; la rivalutazione e lo studio
di questa parte del messaggio gnostico, grazie al contributo dato dai
progressi scientifici della nostra epoca, contribuisce ad arricchire ed
aggiornare il nucleo fondamentale del pensiero gnostico, che è cono-
scenza dell’origine spirituale degli esseri umani e del motivo della loro
esistenza nel mondo. Nonostante differiscano nei particolari, sia i miti
sethiani che le dottrine valentiniane individuano la ragione della con-
dizione umana e di tutto il creato nella trascendenza divina, sebbene nei
miti sethiani questo concetto sia solo suggerito piuttosto che espresso
compiutamente come nel pensiero di Valentino e dei suoi epigoni. Dio è
la fonte di tutto ciò che esiste, anzi è superiore a quanto di più perfetto il
pensiero umano possa immaginare; il suo amore traboccante produce da
sé tramite il suo aspetto femminile (il Pensiero o Grazia) il destinatario
del suo donarsi, e ciò che è stato generato produce da sè altri oggetti
di questo amore. Questi esseri spirituali, gli Eoni, rappresentano tutte
le qualità spirituali potenzialmente presenti in Dio; la loro individual-
ità è l’espressione particolare di una di queste qualità, mentre la loro
collettività rappresenta il Figlio, l’espressione comprensibile del Padre
trascendente e la loro separazione è perciò solo apparente. Il Trattato
Tripartito sottolinea questa bellissima immagine spiegando che “innu-
merevoli, illimitate, imperscrutabili sono le procreazioni esistenti che

151
La Luce della Conoscenza
procedettero, come baci, dal Padre al Figlio… questo bacio è uno solo,
sebbene coinvolga molti” (58, 20-30). Possiamo immaginare le gene-
alogie degli Eoni come una pianta che cresce e produce sempre nuo-
vi rami e nuove foglie; tutto il genere umano che riconosce la propria
origine spirituale è parte di questo albero spirituale; la metafora legata
al mondo vegetale non è causale, dal momento che la Suprema Divinità
veniva a volte indicata come ‘la Radice del Tutto’.
Come abbiamo visto, il cosmo è rappresentato come il luogo della
formazione delle scintille spirituali generate dalla Sapienza. Finora
non ci sono prove certe dell’esistenza di altre forme di vita consape-
voli nell’universo, sebbene gli studiosi ritengono che sia altamente
probabile; possiamo presumere, nell’ottica gnostica, che lo scopo
dell’universo in cui viviamo sia di produrre forme di vita sempre più
evolute sia dal punto di vista fisico che spirituale. Dal regno minerale,
vegetale, a quello animale, c’è una continua crescita di consapevolezza,
che culmina nel genere umano, l’unica specie, almeno su questo mondo,
dotata di autocoscienza, che cioè possiede la capacità di chiedersi chi è,
da dove viene e dove sta andando.
Infatti, a causa della propria infinitudine, il Vero Dio è separato dalla
sua progenie spirituale da un abisso e il destinatario del suo dono non
sa da dove e da chi quel dono provenga. Questo abisso si è attualiz-
zato quando la coscienza umana collettiva si è accorta di non conoscere
la propria origine; questa coscienza collettiva che gli gnostici indicano
nella Sapienza ha generato tutte le scintille spirituali che giacciono la-
tenti nel genere umano; esse hanno tuttavia ereditato le imperfezioni
della loro Madre, e hanno perso il proprio posto nell’ordine armonioso
stabilito da Dio. Nello stesso tempo, esse si accorgono di non conoscer-
lo; come abbiamo visto il mito della Caduta della Sapienza esemplifica
e concretizza la mancanza di conoscenza delle proprie radici e finalità
spirituali; si tratta perciò di una caduta necessaria, in un certo senso,
perché solo grazie a essa la coscienza umana può correggere la propria
imperfezione iniziale.
In questo senso, benchè sia un prodotto di scarto di questa catastrofe
ontologica, tanto da essere considerato come un luogo di esilio e pri-
gionia, il cosmo materiale viene percepito come un luogo necessario di

152
Epilogo
perfezionamento ed evoluzione, in cui sia possibile la crescita spirituale
o ‘formazione secondo la gnosi’. Essa viene esperita e compiuta per via
della possibilità, nel regno materiale vincolato alla dualità, di compiere
sia il bene che il male; ma la vera crescita spirituale si ottiene non tanto
con la cieca adesione ad una serie di norme morali, quanto alla comp-
rensione individuale, l’unica che veramente può tagliare le radici del
peccato nell’anima umana.
D’altro canto, la volontà di donarsi di Dio, espressa dal mito valentini-
ano attraverso il simbolo della Grazia, implica che ci sia un destinatario
del dono che, per riceverlo, sia apparentemente e temporaneamente sep-
arato dal donatore; non esisterebbero altrimenti né il dare né il ricevere.
Ed ecco che la Caduta della Sapienza, preordinata sin dal principio, dà
luogo al Vuoto. In questo Vuoto all’interno della Pienezza l’unità delle
sizigie del Pleroma si frattura nella dualità degli opposti, e l’unità degli
Eoni del Regno Divino si trasforma nell’alterità delle scintille spirituali
individuali esiliate nel cosmo materiale e nella prigione corporale, la
collettività degli Eoni spirituali si trasforma nell’individualità psichica
e carnale. Il cosmo, prodotto dalla Caduta e plasmato dalle potenze in-
feriori, è quindi dal punto di vista gnostico il luogo della prigionia della
cosiddetta ‘chiesa del seme superiore’, la collettività delle particelle
spirituali emesse dalla Sapienza, la ‘razza immutabile che non vacilla’;
ciascuna di esse ha la propria prigione individuale nell’involucro psich-
ico e corporeo nel quale giace del tutto dimentica delle proprie origini.
Tuttavia, come puntalizza lo studioso Giovanni Filoramo, questo esi-
lio mira a nullificare “quella deficienza potenziale, quella incontinenza
congenita alla stessa vita del Pleroma, che si erano espresse nel pec-
cato di Sophia… proprio nella prova dell’esilio, attraversando le orride
porte del male, sperimentando e soffrendo le doglie del parto spirituale,
la chiesa gnostica giunge a maturazione, individualmente e nel suo in-
sieme. Il male, soltanto se oggettivato nell’opera della creazione, potrà
essere debellato definitivamente”.
In questo dramma cosmico, anche Dio partecipa della nostra sofferenza,
perché il Pleroma non sarà davvero Pienezza finchè tutte le scintille
spirituali non saranno tornate alla loro origine: l’albero della Luce non
sarà al suo massimo splendore finchè tutti i suoi frutti non saranno ma-

153
La Luce della Conoscenza
turi. In una bellissima e struggente poesia di Josè Gorostiza, riportata da
Castaneda in una delle sue opere sullo sciamanesimo, si ritrova un’eco
di questo motivo:

Questo incessante ostinato morire


Questa morte vivente
Che ti uccide, oh Dio,
Nel tuo rigoroso lavoro,
Nelle rose, nelle pietre,
Nelle stelle indomabili
E nella carne che brucia
Come un falò acceso da un canto,
Un sogno, un colore che salta agli occhi.
E tu, proprio tu,
Forse sei morto da lunghe eternità laggiù,
A nostra insaputa,
Noi residui, briciole, ceneri di te,
Tu, che sei ancora presente
Come una stella falsata dalla sua stessa luce,
Una luce vuota senza stella
Che giunge fino a noi
Celando la sua catastrofe infinita

Da questo concetto derivano i concetti di ‘salvatore salvato’ e ‘salvatore


salvando’: l’elemento spirituale è salvatore di sé stesso, perché le scintille
spirituali sono frammenti di un’unità primordiale; fintanto che perdura il
loro esilio dalla loro patria di Luce perdurerà anche l’esistenza del regno
dell’illusione e della transitorietà. La Caduta dell’essenza spirituale nel
cosmo è però al tempo stesso l’inizio della prigionia e la sua fine perché
essa stessa è la potenza redentrice, come si evince dall’Inno della Prov-
videnza della Rivelazione Segreta di Giovanni: “Io sono la perfetta Prov-
videnza del tutto. Mi sono trasformata nella mia discendenza… ma andai
nella grande Tenebra e resistetti finchè giunsi nel mezzo della prigione”
(30, 15-20). Il destino del mondo è strettamente vincolato all’elemento
spirituale che gli ha dato accidentalmente esistenza, e quando tutta la
Luce avrà lasciato la materia, essa cesserà di esistere; perciò la salvezza

154
Epilogo
non è solo una questione individuale, ma collettiva.
Il Redentore preesistente, dalle altezze superne dove regna la Luce inde-
scrivibile si protende fino a noi, e si assoggetta al dolore e alla morte per
restituirci alla nostra vera origine.

“Perciò mandami, o Padre!


Con i sigilli nelle mani, io discenderò;
attraverserò tutti gli eoni,
io svelerò tutti i misteri,
e mostrerò le forme degli dei;
i segreti del santo sentiero
prenderanno il nome di Gnosi,
ed io li trasmetterò”
(Salmo dei Naasseni, Ippolito, Conf. 5, 10, 2)

In quest’ottica, la morte in croce di Gesù è tutto fuorchè accidentale: è la


logica ed ineluttabile conseguenza del messaggio che egli ha portato per
risvegliarci, perché gli arconti, le potenze dell’ignoranza che dominano
sul mondo sanno bene che quando il carcere da esse custodito sarà stato
vuoto l’epoca della loro tirannia si concluderà e il loro regno si avvierà
finalmente all’annichilazione: “I loro cieli cadranno l’uno sull’altro e le
loro forze bruceranno… la luce stroncherà le tenebre e le annienterà,
diverranno come ciò che non è mai esistito” (Or. M. 126, 2-5).
Questa titanica e sempiterna lotta delle potenze della Luce contro quelle
delle tenebre si svolge come sempre su due fronti: nella storia del ge-
nere umano e nel corpo e nell’anima di ogni singolo uomo. Si tratta di
una battaglia lunga e difficile contro le forze dell’oscurità, dell’oblio e
dell’inconsapevolezza che albergano dentro e fuori di noi e che cercano
di sopraffarci per perpetuare il loro dominio; ma per quanto drammatica
questa battaglia possa essere, la Luce è destinata al trionfo finale. La
gnosi è il richiamo che sveglia i dormienti per restituirli alla loro dimora
originale; essa ha parlato con un linguaggio differente a ogni popolo del-
la terra perché il suo messaggio fosse udito e compreso in ogni epoca e
in ogni angolo della mondo: nelle filosofie mistiche orientali, nel sufismo
musulmano, nella kabbalah ebraica, nel messaggio del profeta Mani e
in molte altre dottrine dello spirito spesso ridotte al silenzio, nel corso

155
La Luce della Conoscenza
della storia, dall’oppressione politica e religiosa istituzionalizzata che ha
costruito il suo immenso potere sul controllo delle coscienze. Come bene
illustra il mito del demiurgo gnostico, aldilà dei vuoti fantocci agitati
dal fanatismo settario esiste una realtà che è Dio, e che oltrepassa tutti i
linguaggi e le credenze per unire l’umanità in un unico abbraccio. Solo
questo Dio è degno di essere definito tale, e solo questa spiritualità risp-
etta l’etimologia originale della parola ‘religione’: l’unione.

156
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• Moraldi L. (a cura di) “La gnosi e il mondo. Raccolta di testi gnos-
tici” Tea, 1988
• Id. “Testi gnostici” Utet, 2008
• Id. “I vangeli gnostici” Adelphi, 1993
• Id. “Le apocalissi gnostiche” Adelphi, 1999
• Id. “Pistis Sophia” Adelphi, 1999
• Pagels E. “I vangeli gnostici” Mondadori, 2005
• Id. “Il vangelo segreto di Tommaso” Mondadori, 2005
• Id. “The gnostic Paul. Gnostic exegesis of the pauline letters” Trinity
Press International, 1975
• Id. “The Johannine gospel in gnostic exegesis. Heracleon’s commen-
tary on John” Abingdon, 1975
• Pagels E., King K. L. “Il vangelo ritrovato di Giuda. Alle origini del
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• Peck M. S. “Voglia di bene” Frassinelli, 1985

159
La Luce della Conoscenza
• Rudohp K. “La gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica”
Paideia, 2000
• Scholem G. “La cabala” Mediterranee, 1992
• Id. “Le grandi correnti della mistica ebraica” Einaudi, 1993
• Sermonti G. “La biologia strutturale”
• Id “L’armonia del Dna”
• Simonetti M. (a cura di) “Testi gnostici in lingua greca e latina”
Mondadori, 1993
• Turner J. D. “Ritual in gnosticism”
• Id. “Typologies of the sethian gnostic treatises from Nag Hammadi”
• Id. “Sethian gnosticism: a literary history”
• Id. “The gnostic threefold path to elinghtenment”
• Id. “Gnosticism and platonism”
• Id. “To see the light”

160
INDICE ANALITICO

A Epinoia 40, 41, 45, 48, 54, 61, 83,


106, 107, 108
Adamo 14, 26, 39, 40, 41, 42, 44, 45, Eracleone 9, 14, 35
46, 54, 60, 61, 62, 64, 67, 77, Ermete Trismegisto 11
79, 97, 100, 107, 108 Eva 8, 14, 40, 41, 42, 44, 45, 46, 54,
Arconti 16, 61 61, 62, 64, 79, 106, 108, 127
B F
Babilonia 12 Filemone 21
Basilide di Alessandria 21 Filone di Alessandria 33
Bibbia 25, 32, 36
G
C
Gershom Scholem 35
Cantico dei Cantici 33 Gesù 3, 6, 8, 9, 13, 14, 20, 25, 32, 36,
Chiesa 5, 6, 7, 8, 12, 14, 25, 30, 31, 47, 51, 52, 54, 60, 61, 62, 63,
34, 89, 97, 99, 101 65, 68, 80, 81, 83, 84, 85, 86,
COSCIENZA 43 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94,
Cristo 5, 6, 11, 12, 13, 15, 25, 26, 32, 96, 97, 99, 100, 105, 107, 108,
42, 59, 60, 61, 63, 83, 85, 86, 127, 155, 159
88, 89, 90, 91, 92, 97, 99, 100, gnosticismo 5
117, 126, 127
J
D
Jaldabaoth 35, 36, 37, 39, 40, 46, 47,
Dio 6, 7, 8, 11, 14, 15, 20, 23, 24, 25, 51, 52, 53, 54, 55, 59, 64, 68,
29, 30, 31, 32, 33, 34, 42, 46, 107, 108
47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, Jung, Carl Gustav 21, 32, 57, 69, 72,
57, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 68, 77, 147, 159
77, 78, 79, 80, 81, 84, 85, 86,
88, 91, 93, 94, 100, 101, 105, K
107, 115, 126, 140, 141, 143,
149, 151, 152, 153, 154, 156 Kabbalah 30, 128
Dodecade 26, 31, 33, 34, 87, 117, Kenoma 34, 85, 148, 149
119, 120, 128, 132 L
E Libro della Sapienza 33
Egitto 5 Luminari 26, 42, 128
Epifanio 6 M

161
Male 33 132
MITO 19 Thot 11
Mitra 11 Tommaso 5, 8, 20, 33, 63, 80, 88, 89,
Mosè 40, 65, 107 90, 99, 128, 159
Tommaso D’Aquino 33
N Trattato Tripartito 16, 30, 45, 95, 100,
Nag Hammadi 5, 9, 14, 15, 21, 78, 151
104, 127, 160 Trinità 25
tzimtzum 30
O
V
Ogdoade 25, 30, 31, 85, 96, 97, 101,
105, 136 valentiniani 7, 14, 23, 24, 46, 51, 65,
98, 103, 104
P Valentino 13, 14, 29, 32, 40, 44, 78,
Paolo 7, 13, 44, 62, 68, 91, 93, 104, 91, 93, 94, 97, 98, 100, 129,
105 144, 151
Pleroma 14, 31, 32, 34, 35, 36, 37, 47, Vangelo 5, 8, 14, 15, 16, 19, 20, 25,
48, 52, 53, 63, 64, 81, 85, 86, 26, 35, 46, 47, 48, 57, 59, 61,
88, 96, 97, 100, 103, 111, 120, 62, 63, 66, 80, 84, 85, 87, 88,
125, 126, 127, 128, 132, 136, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 97,
143, 148, 149, 153 98, 99, 100, 103, 107, 117, 118,
pneuma 36, 62, 148 128, 129, 137, 141, 143, 144,
Prima Luce 25, 42 148, 149
Pronoia Barbelo 34 Vangelo della Verità 5, 14, 16, 35, 47,
48, 87, 96, 98, 128, 129
S Vangelo di Filippo 16, 19, 57, 59, 61,
63, 66, 80, 85, 87, 92, 98, 100,
Samman, Muhammad Ali 5 103, 148, 149
Sephèr Yetzirah 20 Vangelo di Giovanni 15, 19, 26, 62,
Shekinà 34 90, 93, 107, 137
Sophia 8, 33, 34, 39, 46, 47, 51, 52, Vangelo di Tommaso 5, 8, 20, 63, 80,
53, 68, 85, 86, 91, 93, 97, 106, 88, 99
107, 111, 132, 141, 153, 159 Vecchio Testamento 6, 36, 55
Spirito Santo 23, 65, 84, 85, 87, 93,
94, 98, 100, 105, 126 Y
T Yang
Yin 24, 132
Tertulliano 8 Yin
tetractys 24, 30, 115 Yang 24, 132
Tetrade 24, 25, 30, 32, 94, 95, 127,
162
Prima edizione Giugno 2010
Collana ...
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