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Antonio PIÑERO
Universidad Complutense. MADRID
Il vangelo della verità è gioia per coloro che hanno ricevuto dal Padre della verità la grazia di
conoscerlo per la potenza del Verbo che è venuto dal Pleroma e che sta nel pensiero e nella
mente del Padre, ed è chiamato salvatore dal nome dell’opera che compirà per la salvezza di
1
“Che ogni uno di noi sappia avere il suo proprio vaso (corpo) in santità ed onore”.
2
“Ma abbiamo questo tesoro in vasi di argilla, perchè l’esselenza del potere sia di Dio e non di
noi”.
coloro che sono divenuti ignoranti del Padre. Il nome del vangelo è la rivelazione della
speranza, cioè il ritrovamento per coloro che lo cercano (16,31-17,4)
Ed altrove:
Esso è il verbo del vangelo della venuta del Pleroma per coloro che attendono la salvezza che
viene dall’alto (34,34-35,6).
Questi testi vogliono dire che il Salvatore è stato inviato a terra dal Padre con una missione:
rivelare chi sia questo Padre e come sia la Plenitudine divina, in modo tale che grazie alla
nuova conoscenza dei uomini, al meno qualche eletti possano essere salvi. Il EvV dobrebbe
spiegare, per tanto e sopra tutto, quale è l’azione del Salvatore / Rivelatore e cosa è l’essenza
del suo messaggio.
Comunque, quando il lettore legge il Vangelo della Verità, si rende conto che l’autore
parla anche, e allo stesso tempo, a un’altro livello che non è il livello terreno dove si trovano
quelli che recepiscono la salvezza data dal Rivelatore. Sta disegnando a grandi tratti davanti al
suo pubblico come il Padre trascendente, fuori dallo spazio e dal tempo, si manifesta fuori di
se, diciamo, come si forma il suo Pleroma o Plenitudine, come si costituisce in due tempi,
cioè, si forma tanto nella sua essenza come nella conoscenza del Padre. Anche fa allusione
all’origine dell’universo, al suo perché, e al suo destino finale, incluso l’uomo.
In questo Vangelo / Omelia c’è, dunque, un doppio piano: quello che è accaduto nel
mondo celeste, da una parte, e quello che importa al credente nel mondo terreno per riuscire a
salvarsi, dall’altra. È chiaro che l’autore mescola a proposito i due piani. Non è nessun errore
o confusione. Il lettore osserverà che quello che l’autore sta dicendo su il superiore, il celeste
e l’atemporale, è parallelo e spiega quello che succede nel livello inferiore, nell’ambito
terreno. E inversamente, quello che sia detto dal livello inferiore chiarisce anche quello del
superiore.
Per ché questo è così? L’autore non lo dice espressamente, però si soprintende. È un
assioma ammesso da lui e dal suo pubblico l’accettazione di una prospettiva essenzialmente
platonica su come l’universo e l’essere umano sono stati originati. Tutti due sono entità
appartenenti al livello inferiore, materiali, non sono altro che una immagine, un riflesso,
un’ombra delle entità superiore, celesti, le uniche reale. E se l’uomo si osserva a se stesso con
attenzione, ed esamina bene l’universo, più tarde o più presto, sopra tutto quando è aiutato
dalla rivelazione di sopra, finirà per capirsi a se stesso e a l’universo, così come alle entità
celeste, la Plenitudine divina.
Il contenuto del Vangelo della Verità non è per tutti, essoterico. Al contrario, è uno scritto
esoterico, per un gruppo interno. Sono insegnamenti semisegrete di Gesù che il maestro
gnostico, qualunque sia, lo spiega al suo pubblico. Soltanto che il testo è a volte molto oscuro,
sia per il tema stesso, sia perchè si parla per allusioni, supponendo che il pubblico le capisce
subito, e quindi non si ha bisogno di spiegarle. Addirittura, se restano ancora dubbi, c’è il
maestro per chiarirle. Noi, però, non abbiamo questa presenza: siamo soli per capire.
L’autore va addirittura saltando, apparentemente senza ordine, da un tema in altro. Le
idee si ripetono e si completano in tutto il testo. Sua composizione –lo scritto tale come è stato
trasmesso- è spesso una sfida all’ordine ed a la logica dei tempi moderni, e al nostro modo
pedagogico di spiegare i temi.
Per chiarire, affinché possiamo capire questo EvV, la nostra esposizione di queste
dottrine segrete distinguerà artificialmente due livelli intimamente mescolati. Prima
spiegheremo le idee dell’autore sui primi principi, quello che tecnicamente vene chiamato
“protologia”, il livello “di sopra”. Dopo parleremo della missione del Salvatore nella terra, nel
livello “di sotto”, e osserveremo che non bisogna ripetere quello che è stato detto nella prima
parte: già sappiamo che la conoscenza di quello che è accaduto si applica tanto al ambito
dell’intemporale come al soggetto al tempo e alle restrizione della materia.
I. Primo livello: Come spiega l’autore del EvV cosa ha successo prima dello spazio e del
tempo nel interno della divinità stessa? O per dirlo di altro modo, quali sono i insegnamenti
segreti di Gesù, secondo l’autore del Vangelo della Verità, sui primi principi e sul mondo
celestiale (la protologia)?
Per rispondere a questa domanda partiamo della supposizione, con la maggioranza dei
ricercatori, che l’EvV appartenesse a la rama gnostica dei valentiniani. Ireneo di Lyon, nella
sua opera Adversus Haereses III 11,19, allude all’utilizzazione di un Vangelo della Verità dai
valentiniani, e il Pseudo Tertulliano (Adv. omnes haereses IV) conferma che Valentino
possedeva un proprio vangelo oltre i vangeli ecclesiastici. C’è una buona possibilità che
queste referenze segnalino il nostro testo.
Comunque nel EvV non troviamo alcuni dei elementi basici del sistema valentiniano
in quanto riguarda ai primi principi. Non c’è, per esempio, il mito della Sapienza che, come
un’ eone caduto e dopo redento dal Salvatore, origina la materia intelligibile e il Demiurgo –il
creatore proprio di questo universo-, e dopo, indirettamente e attraverso di lui, l’universo e
sua migliore creatura, l’essere umano. Mancano anche altri elementi chiari della dottrina
valentiniana dei primi principi, e anche della cosmogonia, dell’ antropologia o della
soteriologia valentiniane.
Queste assenze si spiegano comunemente per due ragioni. La prima, perchè è un’opera
composta quando il sistema del autore si trovava ancora in uno stato di sviluppo. Oppure – la
seconda- perchè l’opera che consideriamo non è propriamente un trattato teologico
sistematico, ma un’ omelia con uno scopo specifico, cioè, commentare il sacramento della
cresima. Il resto poteva prendersi come conosciuto.
Nonostante queste mancanze, quasi tutti i ricercatori considerano che si deva sostenere
che il contesto ideologico del EvV sia assolutamente valentiniano. Per ciò ci sembra
metodologicamente corretto riempire qualche lacune del testo con elementi del sistema di
Valentino e discepoli che conosciamo per altre opere della scuola, sopra tutto per Ireneo o per
scritti di Nag Hammadi, come il Tratato Tripartito e la Esposizione valentiniana3. Il EvV,
dunque, ci insegna così:
1. Per scontato, Dio esiste e non c’è bisogno di provarlo. È impossibile conoscere in se
stesso, nella sua essenza, queste Dio supertrascendente. È necessario che Lui si riveli. Lui è
l’Uno, l’Unico, l’assolutamente Altro, il Perfetto, l’Illimitato, aldilà della perfezione più
assoluta che possiamo immaginare. L’EvV lo caratterizza per i sui tratti negativi: è ineffabile,
indefinibile, incomprensibile e impensabile (17,8; 18,35-40). Non ha bisogno di niente
neanche di nessuno.
2. Ma la divinità nel suo nucleo più intimo non è semplice ma complessa. La grande pace
in cui si godi l’Uno supratrascendente non è incompatibile con che stia in qualche modo
accompagnato di un’entità (che nel mondo divino riceve il nome tecnico di “eone”) che si può
chiamare il suo “Pensiero” (Énnoia) e “Inteletto” (Nous). Questo Pensiero / Inteletto è come la
proiezione fuori di se stesso dell’ Uno, che allo stesso tempo, però, agisce come la sua “coppia”.
Da questo punto di vista, il EvV la chiama “Madre” o “Spirito Santo”, che in ebraico è
femminile (24, 6-11).
3. Da tutta l’eternità il Padre trascendente, grazie a l’unione con suo Pensiero / Inteletto,
emana un “Dio fuori di se”. Quindi questo tipo di coppia (per i gnostici, come si sa, il “coniugio”
o coppia è la perfezione) genera da tutta l’eternità un Figlio (24, 10-12). Questo Figlio porta il
nome del Padre, o più esattamente, “Il nome del Padre è il figlio”. Il EvV lo esprime così.
Il nome del Padre è il figlio. Egli per primo diede nome a colui chi veniva da lui, cioè proprio
lui, e lo generò come figlio e gli diede il nome, che egli possedeva. Egli è colui che possiede
ogni cosa, stando presso di lui. Il Padre ha il nome e ha il nome il Figlio (38,7-19).
3
Un breve resume dello stato attuale della questione nell’introduzione di E. Thomassen (pp.33-
34) alla traduzione di M. Meyer, in The Nag Hammadi Scriptures, HarperOne, New York 2007, con
una breve bibliografia.
Soltanto il Padre da il nome (39,20-40,2); il nome è stato pronunciato dal Padre quando ha
generato il Figlio (40, 16-29). Il Figlio è, dunque, della stessa sostanza del Padre, generato da
tutta l’eternità. È l’unico che lo può contemplare e proclamare come suo nome nella
profondità paterna – che è chiamata “abisso” (22, 25)– di quello che il Padre vuole e conosce.
Per l’autore del EvV, che partecipa della mentalità dell’Antico Testamento, avere nome è
l’equivalente di avere sostanza ed esistenza (Is 9,5-6). Chi è, ha nome, e chi non ha nome, non
è in realtà (38,7-40,23).
Come verremo più tarde, e già che tutto l’interesse del EvV riguarda la salvezza,
questo Figlio è la rivelazione del Padre. Il Figlio parlerà le cose occulte dal Padre: “ha
espresso le sue realtà, sapendo che il Padre è libero di tutto male”: 40,29.
Sappiamo per la dottrina del medioplatonismo che ogni essere buono tende a generare
qualcosa similare a se stesso. Sappiamo anche, però, per la stessa dottrina che quello generato
appartiene a un livello in qualche modo inferiore al generante. Questa legge vene compiuta
anche inesorabilmente nella generazione del Figlio, da cui si può dire che non è così
supertrascendente quanto lo è il Padre. Questo spiega che il Figlio possa progettarsi nel suo
momento tanto verso lo puramente intelligibile – l’ambito divino, il Pleroma da cui adesso ci
occuparemo– come verso lo sensibile e inferiore, verso quello che sarà dopo, alla fin fine,
l’universo materiale.
Per questa qualità proiettiva, rivelatrice, il Figlio è stato presentato dall’autore del EvV
prima di tutto come il Verbo, la Parola del Padre. Questa Parola stava prima come nascosta e
inarticolata nel Pensiero paterno (Énnoia), e come manifesta ed articolata nel suo Inteletto
(Noûs): 16,35. In un terzo momento la Parola sarà pienamente rivelazione del Padre. Il EvV lo
esprime così:
Ciascuna delle sue parole è l’opera della sua volontà, proveniente dalla rivelazione della sua
parola. Fin da quando erano profondità del suo pensiero, il Verbo che uscì per primo li rivelò,
e insieme con il intelletto che parla il Verbo unico nella grazia silenziosa. Fu chiamato il
Pensiero e essi erano in lui (il Padre) senza apparire. Accade che egli venisse fuori prima,
quando lo volle la volontà di chi volle (37,4-16).
Vale la pena sottolineare come in questa prima plenitudine espansiva della divinità si mostra un
certo tipo di Trinità: Padre / Madre o Spirito Santo / Figlio o Parola.
Atemporalmente, prima che la divinità si espandesse ancora più, e ovviamente, prima della
creazione dell’universo, questo Dio, unico e trascendente, ha vissuto con se stesso e con il suo
Pensiero –“sua coppia”- e il suo Figlio, per “secoli infiniti e secoli in grande pace e solitudine”,
per esprimerlo al modo umano, il cui unico linguaggio è il tempo.
Egli aveva tenuto in sé il loro compimento, che non aveva dato al Tutto. Ma il Padre non era
geloso. Quale gelosia potrebbe mai esserci fra lui e le sue membra? [...] Come uno di cui
alcuni sono ignoranti vuole che lo conoscano e lo amino, (cosi il Padre). Di che cosa mancava
il Tutto se non della conoscenza del Padre? (18,37-19,15)
Ma –come abbiamo anche detto–, l’emanato o il generato sarà sempre, per legge naturale,
inferiore al generante anteriore, al meno da una prospettiva logica. Nel processo di
emanazione accade un certo movimento scadente di qualità. Questa nozione è importante,
perchè spiegherà alla fine del processo emanativo il sorgimento dell’universo materiale come
procedente in ultimo termino dalla divinità, ma come qualcosa di inferiore ed, alla fin fine,
alieno a lei. E perché è alieno, è cattivo.
Questa altra proiezione della divinità fuori di se stessa si chiama nel EvV il Tutto, la
Totalità, il Pleroma, plenitudine o insieme totale della divinità. “Il Padre ha prodotto la
Totalità. Questa è nel Padre e ha bisogno di lui” (18,35). Nel sistema valentiniano questi eoni
sono trenta, e formano “coppie” (coniugio).
Una chiarificazione: non esiste unità fra i gnostici all’ora di esprimere come si costituisce
questo Pleroma. Per alcuni, come i gnostici setiani di Nag Hammadi, la concezione di questo
Pleroma non suppone assolutamente che le entità divine che si distinguono dentro di lui
abbiano un’autentica realtà in se stesse (cioè, che abbiano autentiche “ipostasi” sussistenti),
ma sono soltanto modi o disposizione della divinità, maniere della sua proiezioni verso
l’estero (una spezie di modalismo). In questo sistema l’unicità del Dio unico è chiara.
In altri sistemi gnostici, come il valentiniano, il Pleroma non consiste in disposizione
modali della divinità, ma gli esseri divini sviluppati o generati per il Primo Principio sono
autentiche sostanze o ipostasi. In questo gruppo si vendica anche l’unicità divina, però è più
difficile di difendere e comprendere, come succede con la Trinità dei cristiani ortodossi, psichici.
Il EvV non spiega chiaramente se si prende la generazione dei eoni come “modi” o come
“ipostasi” –lo sottintende per il suo pubblico–. Però se lo ascriviamo al sistema valentiniano, si
prenderanno come ipostasi.
L’autore dice espressamente che il Padre, anche se sconoscibile in se stesso, si rivela ai
eoni che emanano di Lui come la trinità del Padre, la Madre (Spirito Santo) e il Figlio (24,10-
27,11). E in altro passo si esprime così: “il Padre ha scoperto il suo seno, e il suo seno è lo
Spirito Santo. Scopri il suo segreto, suo segreto (il mistero occulto di 18,15) è il Figlio”
(24,10). La Totalità ha sua fonte nel Padre (24,10-27,11). “Tutte le emanazione del Padre sono
plenitudini (Pleroma), e la radice di tutte queste emanazione è in Colui che ha fatto crescere a
tutte in Lui stesso” (41,15-20).
Bisogna fare qua una distinzione molto importante: questi essere divini, o eoni, emanano
o sono generati dalla divinità in due momenti:
5. Alterazione del Pleroma (17,4-18,11). Tutto ciò che è descritto succede prima del
tempo, vale a dire prima che esista la materia e l’universo, ed è una situazione stabile.
Ad un dato “momento” avrà luogo un cambio, una alterazione che condurrà in ultima
istanza alla creazione della materia. Normalmente, nel sistema valentiniano, interviene qui quello
che si chiama il errore, il lapsus della Sapienza. In un “momento” imprecisato uno di tali enti
divini del Pleroma, che gli gnostici sogliono chiamare Sofia o Sapienza, commette una specie di
errore: pretende giungere prima del giusto tempo alla piena conoscenza della Divinità, vale a dire,
una volta formata in quanto sostanza, desidera essere “formata in quanto conoscenza” non nel suo
debito momento, non secondo la volontà del Padre, ma in fretta, e per di più sola, senza il suo
consorte, con il cuale rompe la legge dell’essere e dell’attuare in coppia.
Il desiderio della Sapienza sarebbe adeguato se si fosse prodotto d’accordo con la volontà
del Padre; formulato però prima del suo giusto momento cessa di essere un desiderio retto per
convertirsi in un errore, che gli gnostici non esitano a chiamare “lapsus” o caduta, vale a dire una
mancanza o peccato. Pertanto il peccato esiste fin dalle origini.
Come abbiamo detto nell’EvV non appare il mito della Sapienza caduta. In suo luogo la
“mancanza” è commessa dalla totalità degli eoni in pieno. Causa ne fu che “la Totalità tentò di
conoscere pienamente Colui dal quale era uscita” (17,8). Ma tale intento era impossibile ed un
errore. Si produsse prima del tempo:
a) Perché “dalla volontà del Padre non era ancora emerso il desiderio che ciò così
fosse” (22,35);
e b) A causa della profondità in se inconoscibile del Padre: “Egli comprende tutti gli
eoni, mentre non esiste nessuno che lo comprenda Lui. Era una gran meraviglia che fossero
nel Padre senza conoscerlo e che fossero capaci di autogenerarsi, dato che non potevano
comprendere ne conoscere colui nel quale stavano” (22,29-35).
6. Ora però, tale caduta di tutti gli eoni, malgrado sia imperfetta, è divina: affetta entità
divine, cosicchè non può rimanere senza effetto ed avrà la sue conseguenze. Da questa caduta si
genererà la materia (puramente intelligibile in un primo momento), che condurrà finalmente alla
creazione dell’universo, dell’uomo e del male, che è poi tutto ciò che la gnosi cerca in fondo di
spiegare. L’EvV lo spiega poeticamente così:
Ignorare il Padre produsse (negli eoni) agitazione e terrore. Però l’agitazione divenne densa
come una bruma, cosicchè nessuno poteva vederla; per questo motivo si è rinforzato l’Errore;
ha lavorato la sua materia invano, dato que non conosceva la verità. Intraprese un’opera
disponendo con sforzo e bellezza qualcosa che somigliava alla Verità” (17,10-20).
Questo testo diviene comprensibile pensando platonicamente: l’Errore degli eoni, a modo di
Demiurgo, crea la materia intelligibile (“materia quasi sprovvista di tratti materiali”; un primo
grado discendente) significato poeticamente dalla “bruma” (17,10-12). Da essa procederà
(non si spega propriamente come) il cosmo o universo. Questo possiede la sua propria figura o
“schema” (24,23 y 25,7), che è imperfetta, essendo materiale e mancante della conoscenza del
Padre. Per questo motivo può chiamarsi a ragione “mancanza”, che non è altro che mancanza
di gnosi (24,21-25,7). L’errore, l’ignoranza hanno come risultato la produzione, illusoria, della
struttura spazio-temporale.
È importante insistere: non c’è mito della “Sapienza caduta” (Adv. Haer. I 2,3), ma un
errore degli eoni indifferenziati, incapaci di per se stessi di conoscere il Padre, per la sua
profondità, como abbiamo detto (22,25-27). E neanche appare espressamente nell’EvV la
figura del Demiurgo, però, per ciò che poi si dice sull’opposizione del materiale ai piani della
salvezza (), il Demiurgo, creatore espresso e diretto dell’universo, esiste nella protologia
dell’EvV.
7. Un inciso necessario: in principio appare incredibile che entità divine possano
“peccare” in blocco, però l’EvV lo crede e lo afferma: proprio così. Ed a ragione, poiché senza
una sorta di peccato, o caduta, di qualcosa che sia divino, è impossibile che esista l’universo,
giacchè la materia è un’entità evidentemente inferiore e non può sorgere da sola: essendo
secondaria e malvagia, deve procedere in qualche modo da qualcosa di superiore a se stessa, e
tale qualcosa può essere solo la divinità. Al contrario, se si generasse da sola, sarebbe dio, ciò che
per gli gnostici è inammissibile. Ma d’altra parte può solo sorgere da Dio per una sorta di
“peccato” o degradazione del divino.
Conseguentemente: la materia procede da Dio ed è al contempo totalmente inferiore a
Lui, che è puro spirito immateriale. Non c’è altra soluzione, malgrado ciò porti a pensare che Dio
è in ultima istanza la causa dell’inferiore… che per di più è imperfetto, malvagio.
Come uscire da questo vicolo cieco? In verità non si può. Però grazie alla rivelazione
divina si chiarisce almeno che, malgrado l’universo e la materia abbiano la loro origine in Dio,
ciò succede solo indirettamente e per una sorta di “errore”, “fallo” o “peccato” dentro la divinità
stessa, ma non dentro la prima Triade.
Tale misteriosa caduta è necessaria anche nel sistema della gnosi perché contiene in sè
una doppia dimensione: teologica e cosmologica:
Cosicchè l’universo nasce a causa del Padre, però Egli non ne è propriamente la causa. Il
difetto della materia non procede dalla infinità del Padre, che permette di dar tempo al difetto
(di pentirsi). Poichè nessuno può sostenere che l’Incorruttibile contenga difetti: nel Padre c’è
solo profondità di luce e sapienza, non errore (35,16-21).
Troviamo nell’EvV il cosiddetto “meccanismo vittimario” (tanto ben descritto da
Fernando Bermejo4) che spiega molto bene la “protologia” o dottrina dei primi principi nello
schema valentiniano: tutte le spiegazioni del sistema sullo “sviluppo” della divinità, il
Pleroma, sono orientate in ultima istanza a cercare una vittima appropriata su cui scaricare la
responsabilità (quella dell’origine del male nell’universo e l’universo stesso, malvagio in
quanto materiale), su una entità, in questo caso gli eoni ( in altro, Sapienza, o il Demiurgo),
che non sia il Padre trascendente, che è, lo si voglia o no, l’origine di tutto ciò che esiste,
dunque anche del male.
Perciò non è strano che l’autore ceda a momenti all’inconseguenza. Così in 25,25-27,9
dove si parla del giudizio divino, e si comparano gli esseri umani a vasi, che il padrone della
casa trova pieni o vuoti. Con tale paragone l’autore ci fa capire che il Padre è (il padrone?) ed
il responsabile del cosmo… Per lo meno dà un giudizio sul cosmo e sui vasi vuoti: “Il
‘padrone della casa’ è il Padre e la ‘casa’ è il mondo… il mondo appartiene al Padre e
contiene due classi di uomini…”5.
9. Una volta avvenuto tutto ciò, il Padre decide di salvare i poveri eoni soggetti
all’errore, all’agitazione, al terrore ed al turbamento. La salvezza, non potendo essere meno,
consiste nel concedere la gnosi di se stesso alle entità divine. Tale azione salvante è ciò che si
chiama, ricordiamolo, “formazione degli eoni tramite la gnosi o conoscenza piena del Padre”.
Importante è pure ricordare anche che tale formazione è un atto di pura grazia:
Egli somministrò (la gnosi) a partire da se stesso per completare ciò che gli manca (al
deficiente), perché così riceva la grazia. Quando era deficiente, non aveva la grazia. Perciò
non c’era mancanza nel luogo in cui non c’era grazia. Una volta que essa, che era sminuita,
4
Véase La escisión imposible. Lectura del gnosticismo valentiniano, Plenitudo Temporis 5,
Universidad Pontificia, Salamanca, 1998.
5
C. I. K. Story, The Nature of Truth in the “Gospel of Truth” and in the Writings of Justin
Martyr, Brill, Leiden, 1970, 15.
venne ricevuta, rivelò ciò che mancava, essendo (ora) Pleroma, vale a dire la scoperta della
Luce della Verità che apparve sopra di lui, perché essa è immutabile (35,35-36,8).
La concessione della gnosi ha luogo in concreto per l’attività della Parola. Attraverso di essa
si imparte la Verità:
La Verità apparve; tutte le sue emanazioni la conobbero. Salutarono il Padre in modo veritiero
con una potenza perfette che le unisce al Padre (26,28-34).
In tal modo la Parola del Padre sorge nella Totalità, come il frutto [del] suo cuore e come
impronta della sua volontà. Essa sostiene la Totalità scegliendola, e riceve anche l’aspetto
della Totalità. (Il Verbo) di infinita dolcezza la purifica, rivolgendola al Padre e alla Madre. Il
padre scopre il suo seno. Però il suo seno è lo Spirito Santo. Scopre il suo segreto, il suo
segreto è suo Figlio, perché per la misericordia del Padre gli eoni cessino di inquietarsi
cercando il Padre e si riposino in lui, sapendo che Egli è il riposo.
Tutti gli eoni sono emanazione del Padre. Hanno saputo che provengono da Lui come figli
provenienti da un uomo perfetto. Sapevano che ancora non avevano ricevuto forma e che
ancora non avevano ricevuto un nome, ognuno dei quali è generato dal Padre. In quel
momento ricevono una forma, attraverso la conoscenza (del Padre), dato che, malgrado siano
in Lui, non lo conoscono. Però il Padre è perfetto, conoscendo ogni ente che sia in Lui. Se
vuole, si manifesta a chi desidera, dandogli una forma ed attribuendogli un nome, e lo chiama
e motiva, perché vengano all’esistenza coloro che prima di venire all’esistenza ignorano colui
che li ha formati. Non dico dunque che non siano nulla coloro che ancora non esistono
(passano dal ‘giungere ad essere’ = stato latente, all’‘essere’ totale), ma che sono in Lui, che
vorrà che giungano all’esistenza (completa) quando vorrà, come il tempo conveniente (kairós)
per venire (27,11-28,5).
L’azione della Parola, salvatrice degli eoni, è talmente meravigliosa che l’autore adorna la sua
omilia con un acceso inno in suo onore:
10. Le conseguenze della ricezione della gnosi sono straordinarie, poiché suppongono
la piena “salvezza” degli eoni sottomessi previamente ad uno stato di agitazione. La
sostituzione dell’oblio del Padre con la conoscenza è l’origine della manifestazione del
mistero occulto: gli eoni scoprono in gaudio e pienezza la loro appartenenza alla Totalità e
l’esistenza di questa nel Padre. Egli concede la perfezione alla Totalità che ha raggiunto la
conoscenza; questa è la finalità della sua unità nell’Uno, il Padre, in quanto dopo la ricezione
della gnosi la Totalità si volge pienamente verso il Padre e [gli eoni] sono uniformi nella loro
conoscenza. Tale sapere del Padre cambia la mancanza in perfezione e la dispersione (ogni
eone operando per proprio conto, nella sua agitazione) in unità (18,11-19,34 + 24,20-30). Si
osservi qui il travaso di piani, e come ciò che viene detto della salvezza dell’uomo si
comprende stupendamente.
L’autore dell’EvV descrive la salvezza attraverso la conoscenza con una metafora: la
gnosi è un libro vivente e gli eoni che la ricevono si trasformano in tale libro vivente, del
Padre e nel Padre:
Il Padre rivelò la sua volontà attraverso la conoscenza nella quale raggiunsero l’armonia tutte
le sue emanazioni. Tale è la conoscenza del libro vivente che rivelò finalmente agli eoni; tali
sono le sue lettere, e rivelò che non sono vocali nè consonanti, di modo che chi le legga pensi
a qualcosa di vano, bensì lettere della Verità che solo pronunciano coloro che le conoscono.
Ogni lettera è un pensiero completo, come un libro completo, perché sono lettere scritte
dall’Unità, avendole scritte il Padre, perché gli eoni per mezzo delle sue lettere conoscano il
Padre (22,35-23,15).
Indi gli eoni si convertono in Nome e figli del Nome (38,28-39,3), “in coloro nei quali il
nome del Padre riposa” (38,29-30) e a loro volta essi “riposano nel Nome” (38,31-32).
Raggiungono così la piena esistenza, poiché – come abbiamo già osservato – chi non ha nome
“non esiste” (39,11-12), però chi ha nome, sì (39,15), vale a dire ha una natura come quella
del Figlio, che è il nome ed ha il nome.
11. Una volta che gli eoni raggiungono la loro piena formazione grazie alla gnosi
impartita dal Padre attraverso il Figlio/Verbo, la Totalità diviene come cosciente della sua
Unità e perfezione, dopo aver colmato la mancanza (24,12-25). Indi non rimane più che
l’eterno riposo nel seno del Padre.
E il suo proprio luogo di riposo è il suo Pleroma. Tutte le emanazioni del Padre sono dei
pleromi, e tutte le sue emanazioni hanno radice in chi le fece tutte crescere in sé, e diede loro
ordine. È manifesto ciascuno affinché nel proprio pensiero [...] Il luogo in chi inviarono il loro
pensiero, quel luogo è la loro radice che li porta in alto in tutte le altezze verso il Padre. Essi
hanno il suo capo, che è riposo per loro, e sono tenuti dentro con loro, entrando in esso
affinché dicano che hanno partecipato del suo viso per mezzo dei baci (41,12-33).
12. Alla fine però la materia verrà distrutta (24,28-32): quando il Padre colma la mancanza per
mezzo della conoscenza, sorge la pienezza. E quando non c’è mancanza – tanto negli eoni del
Pleroma come fra gli gnostici, come poi vedremo – quando il numero determinato degli eletti
sia completo e abbia raggiunto la pienezza della conoscenza del Padre, non ha nessun senso
che la mancanza/materia continui ad esistere. Dunque la forma – “schema” – della mancanza
è il cosmo (24,23); pertanto la sua esistenza non ha senso:
Così la mancanza scompare nel compimento. Non appare più da quel momento il vestito, ma
scompare nella concordia dell’unità. Le loro cose si rimettono bilanciate nel momento in cui
l’unità compirà le vie all’interno dell’unità, e ciascuna lo riceverà nella conoscenza che lo
purificherà dalla molteplicità verso l’unità, mangiando la materia in esso come un fuoco, e la
tenebra nella luce e la morte nella vita. (25,2-18).
………………………………………
II. Ed ora passiamo al secondo piano di ciò di cui parlavamo precedentemente, all’ambito
della materia, nel concreto a quello della esistenza terrena degli gnostici. L’EvV non presenta
ai suoi lettori/uditori una dottrina espressa della creazione dell’essere umano, che da per
scontata. Presuppone anche che, perlomeno alcuni eletti, non posseggano solo corpo e anima,
ma anche spirito e che esso sia cosostanziale con la divinità. A partire da ciò si insegna:
1. Gli uomini mancano della dovuta conoscenza (sono senza gnosi), perché il loro
spirito non si trova dove dovrebbe stare, al suo posto nel Padre, ma imprigionato nel carcere
della materia. Conseguentemente l’uomo, ignorante dell’Uno, si trova in uno stato mentale di
paura e di frustrazione (17,30). Separato dal Padre cade sotto il domino di poteri malvagi,
principi della materia, ombra della verità (17,10-20). Si può dire che il futuro gnostico è una
entità in stato latente (“giungeranno ad essere” ad un certo momento: sono come ombre e
fantasmi della notte, 28,20-25). Se ricevono la conoscenza (gnosi) passeranno da ombre a luce
(30,22), ad entità piena (“essere” pienamente): 27,34-28,31. Probabilmente l’immagine
dell’ombra, dell’agitazione e del terrore a questo livello di quaggiù, è l’interpretazione
allegorica gnostica del senso di peccato/colpa anteriore alla ricezione della gnosi.
Così erano ignoranti del fatto che egli fosse il Padre e non lo vedevano. Poiché esso era terrore
e confusione e debolezza e ambiguità e divisione. Molte illusioni erano prodotte da queste
cose, e vane ignoranze come quelle che sono preparate per il sonno, e si trovano negli incubi,
o un luogo a cui corrono, o essendo impotenti, essendo perseguitati da alcuni, o stando in
qualche malessere o ricevendo dei colpi o cadendo da luoghi alti o essendo sollevati in aria
senza avere ali; altre volte come se alcuni li uccidano, mentre nessuno li perseguita, ovvero
come se essi stessi uccidessero i propri vicini, perché sono macchiati del loro sangue, finché
non si svegliano costoro che hanno provato queste cose e non vedono nulla costoro che erano
in tutte queste cose confuse, perché nulla sono tali cose. Così è di coloro che hanno rigettato
l’ignoranza, come il sonno, e non lo considerano nulla, e nemmeno considerano che le sue
cose siano reali, ma le trascurano in quanto sogno della notte, mentre la conoscenza del Padre
la considerano come luce (29,1-30,22).
Come coloro che si sono addormentati e si vedono immersi in incubi soffrono fino a quando
non si sveglino, così succede anche a coloro che persistono nell’ignoranza.
Perciò l’incorruttibilità è esalata fuori. Essa ha inseguito colui che aveva peccato, perché
questi possa trovare requie. Il perdono è appunto ciò che rimane per la luce nella mancanza: la
parola della pienezza. Il medico si affretta là dove c’è un malato; quello è il suo desiderio. Chi
dunque manca di qualche cosa, non lo nasconde, ché il medico possiede ciò che gli manca.
Parimenti, la pienezza, che non è mancante, elimina la deficienza: la pienezza che il Padre ha
dato di se stesso per colmare chi ne ha bisogno. In tal modo questi riceverà la grazia. Dal
momento in cui divenne bisognoso, egli non aveva più la grazia. Per questo, là dove non c’era
la grazia, c’era diminuzione.
Quando fu ricevuto ciò di cui quegli era menomato, ciò che gli mancava, il Padre ha
manifestato lui come pienezza; ciò significa la scoperta della luce della verità che l’ha
illuminato, essendo essa immutabile (35, 23-36,12).
Il processo è uguale a quello degli eoni quando sono formati in rapporto alla gnosi.
Descrivendolo con parole deñ EvV occorre osservare la risonanza con ciò che anteriormente è
stato detto: la finalità del processo consiste nel riparare la dimenticanza del Padre (18,1.12-
20), illuminare coloro che erano nell’oscurità a causa della disattenzione. Ê una svolta verso
Colui fatta precisamente per la ricezione della conoscenza del Padre. Questo significa anche
la scoperta nel gnostico della sua appartenenza alla Totalità y dell’esistenza di essa nel Padre,
il quale offre la perfezione al colui che la conosce (18,-19,34). Orbene, il contenuto della
rivelazione non viene dato a quelli che già si credono saggi, ma al germoglio del Padre, il
quale conosce la sua semenza come le parole nel suo intelletto (36,,35-37,5)
Enunciando quindi cose nuove mentre proferiva ciò che è nel cuore del Padre, egli pronunciò
la parola senza difetto. Dalla sua bocca la luce ha parlato e la sua voce ha generato la vita. Egli
ha concesso agli uomini pensiero, intelligenza (31, 10-18).
6. Secondo il EvV, Gesù accettò il sacrificio della sua morte (20,3-38), cosa che deve
interpretarsi a) sia che ammesse come prezzo pagato alle potenze cattive della materia per il
fatto di discendere alla terra e avere la possibilità di rivelare, o b) –come sostiene Story 123-
per lasciar chiaro che la sua croce significala pazienza di Gesù nel fatto di rivelare la
conoscenza del Padre en un ambiente ostile. La croce è soltanto questo.
Ad ogni modo, la sua “risurrezione” esprime la incorruttibilità che Gesù ricupera dopo
la sua morte. Il suo involucro carnale, apparente, materiale, no resuscita in se, ma ritorna a
godere della sua immortalità senza impedimento, mentre la carne/materia/corpo rimane
annientata.
Svestitosi dei cenci caduchi, si rivestì dell’incorruttibilità, che nessuno mai potrà toglierli.
Penetrato negli spazi vuoti dei terrori, passò dinanzi a quelli spogli a causa dell’oblio, divenuto
conoscenza e perfezione, proclamando ciò che è nel cuore del Padre (20, 30-21,10).
7. Non tutti accettano la rivelazione celeste (21,30-22,5). Gli uomini “hilici”, i materiali,
coloro che non hanno in se spirito, non conoscono Gesù: “Perché i materiali erano stranei y
no hanno vita la sua somiglianza, nemmeno lo avevano conosciuto” (31,1-5). I psichici
conoscono solo il Gesù psichico, superficiale. Soltanto il potenzialmente gnostico adotta un
atteggiamento di contrizione (35,6-23). Era caduto nella materia, ma ha la possibilità di
ricuperarsi. Infatti si ricupera con la scoperta della venuta del Padre verso di lui, mediante il
Rivelatore.
Il potenzialmente gnostico sale verso colui che lo chiama e ottiene il riposo. No c’è traccia di
ascetismo nel Vangelo della Verità.
Tale è il giudizio venuto dall’alto, che ha giudicato ognuno: spada sguainata a doppio taglio,
che recide da una parte e dall’altra. Quando apparve il Verbo, che è nel cuore di quelli che lo
proferiscono – non era però soltanto un suono, ma aveva preso un corpo – una grande
confusione successe tra i vasi: alcuni erano stati vuotati, altri riempiti (26, 1-12).
Con mentalità apocalittica, l’autore del EvV mette in rapporto il futuro giudizio di condanna
con la venuta e il rifiuto, da parte di molti, della Parola, ciò che lascia l’uomo vuoto.
10. L’opera di salvezza trova l’opposizione del Principe di questo mondo, il Demiurgo:
Perciò l’errore s’è irritato contro di lui. L’ha perseguitato. Esso fu da lui angustiato, fu
annientato. Egli fu inchiodato ad un legno e divenne frutto della conoscenza del Padre, senza
causare la rovina per il fatto che se ne mangiò. Anzi, chi ne mangiò, lo fece gioire per la
scoperta. Egli poi ha trovato costoro in sé ed essi han trovato in sé lui. L’inafferrabile e
impensabile, il Padre: questi è il perfetto (18, 20-35).
Da osservare, almeno di passaggio, come in questo testo la gnosi altro non è nel EvV che la
introspezione rivelata: riscoprire il Padre nel proprio interiore.
È lui il pastore che ha lasciato le novantanove pecore che non si erano sviate ed andò alla
ricerca di quella che si era smarriata. Quando la trovò, ne gioi. Il novantanove è un numero
calcolato sulla mano sinistra che lo tiene. Appena però l’uno è stato trovato, il numero intero
passa alla destra (31, 35-32,10 = Jn 10, 1-18).
Egli s’è fatto guida quieta e pronta. Entrato in mezzo alle scuole, pronunciò la parola come
maestro. Si accostarono i saggi nel loro proprio cuore, tentandolo. Egli però li confondeva,
dimostrando che erano fatui. Essi l’hanno odiato, non essendo vera gente assennata. In seguito
si accostarono anche i fanciulli, ai qualli appartiene la conoscenza del Padre. Rinvigoriti,
appresero gli aspetti della faccia del Padre. Conobbero; furono conosciuti. Furono glorificati;
glorificarono (19, 17-35).
13. Stando all’ EvV, i benefici de la istruzione del Maestro sono i seguenti: il discepolo passa
ad appartenere al gruppo di coloro che veramente vivono; riceve l’insegnamento su se stesso;
ritorna di nuovo verso il Padre; ascende al Padre, la cosa propria di tutti gli eoni della Totalità,
al seguito della formazione d’accordo con la gnosi y con il gnostico; sente la chiamata divina;
il Padre pronuncia il suo nome; ha fame; lascia di essere una opera della dimenticanza; esiste
realmente. Vanno esplicitati, in seguito, i più importanti di questi effetti:
Ma quelli che riceveranno l’insegnamento sono i vivi iscritti nel libro dei vivi. Essi ricevono
l’insegnamento per se stessi. Essi sono ricevuti dal Padre, quando di nuovo si volgono a lui.
Poiché la perfezione del tutto si trova nel Padre, occorre che il tutto risalga a lui.
Allora, quando il singolo possiede la conoscenza, questi si prende ciò che gli è proprio e lo tira
a sé. L’ignorante è privo ed è qualcosa di importante che a lui manca; è privo di ciò che lo
debe perfezionare. Poiché la perfezione del tutto risiede nel Padre e quindi occorre che il tutto
risalga a lui e che ognuno prenda ciò che gli è proprio, egli li ha registrati innanzi tempo, dopo
averli preparati per unirli a quelli usciti da lui.
Quelli di cui prima conobbe il nome, alla fine sono stati chiamati. Conoscente è
pertanto colui il cui nome è stato pronunciato dal Padre. Quegli il cui nome non è stato
proferito, è ignorante. Infatti, come può uno ascoltare, se il suo nome non è stato chiamato?
Quegli che resta ignorante fino alla fine è una finzione dell’oblio e sarà distrutto con lo stesso.
Diversamente, perché questi miserabili non ricevono alcun nome, non sentono l’appello? (21,
1-22,5).
Da osservare in questi paragrafi:
A. Il gnostico passa a formare parte dei viventi iscritti nel Libro dei viventi, che si
trova nell’Intelletto o nel Pensiero del Padre.
B. Essere iscritto in questo libro significa possedere un nome proprio. Dio concede il
suo nome a coloro che vuole salvare. Soltanto il Padre può dare il nome, che è una prerogativa
divina (27,9-33). “Colui che non esiste”, il no gnostico, non ha nome (39,11-12). Gli eletti si
convertono così in “figli del Nome” (38,29-39,3), “quelli in cui il nome del Padre riposa”
(38,29-30) e a loro volta essi “riposano nel nome” (38,31-32). “Colui che esiste”, il gnostico,
se possiede nome (39,15) ha una natura come quella del Figlio, il quale è il nome e possiede il
nome, y soltanto il gnostico conosce questo nome (39,17 = Ap 2,17).
Tutto questo lo sapevamo già per la “protologia” del EvV. Il Padre concede su nome
primo al Figlio, poi agli eoni del Pleroma y “più tardi” agli eletti, i gnostici. Questo grande
nome concesso per grazia a questa serie di esseri significa semplicemente avere un’esistenza
piena e completa e diventare consustanziale con il Padre. Come è stato già detto, l’EvV si
appropria il pensiero dell’Antico Testamento: il nome significa ciò che è la persona.
C. Con belle immagini l’EvV descrive la relazione dell’eletto –il gnostico- con il
Padre. L’eletto è come l’aroma, la fragranza, il suono o la brina di Colui. La fragranza rimette
al suo origine, il suono al suo movimento e la brina al vapore che grazie al calore ascende
verso la sua fonte (33,33-36-34). L’immagine più sviluppata è quella della fragranza (34,1-
20). Le idee principali del paragrafo sono:
15. Gli eletti hanno certi doveri poiché la gnosi abilita il gnostico affinché in questo
mondo riveli la gloria e la gioia del nome del Padre. L’autore del EvV sostiene che gli
spirituali devono esercire un certo “apostolato”, cioè, dare testimonianza, “parlare di ciò che
concerne alla Luce perfetta” (43,12-13).
Questa missione, però, non si indirizza a tutti, non a tutte le persone come si dice in Mt
28,18-20 o in At 1,8, ma soltanto a coloro che cercano la verità; gli “uomini materiali”
rimangono esclusi:
Salvò la vita alla stessa, col riportarla su dalla buca, perché voi, figli del sapere, comprendiate
qual è il sabato in cui l’opera redentiva non debe rimanere inoperosa; perché voi parliate a
proposito del giorno superiore, in cui non c’è notte, e a proposito della luce, la quale non
tramonta, essendo perfetta. Dite dunque nel vostro cuore che voi siete il giorno perfetto e che
in voi dimora la luce che non tramonta; parlate della verità a quelli che la cercano e della
conoscenza a quelli che hanno commesso peccato nel loro errore. (32, 26-36)
Consolitdate il piede di chi ha incespicato e stendete le vostre mani ai malati. Nutrite
gli affamati e date riposo ai sofferenti. Rialzate quelli che vogliono levarsi e destate chi dorme.
Voi siete la saggezza sguainata. Se la forza si diporta in tal modo, essa diviene ancor più forte.
Prendete cura di voi stessi; non vi preoccupate del resto che vi siete gettato via. A ciò
che avete vomitato non fate ritorno per riprenderlo. Non vi lasciate rodere dalla tarma o dal
verme: vi siete già scosso di dosso questo stato. Non diventare luogo per il diavolo: voi l’avete
già annientato. Non rafforzate i vostri ostacoli, i quali cadono, essendo scoria. Chi è senza
legge non è nulla perché lo si reprima più della legge. Questi compie le sue opere perché è
ingiusto. Quello invece, giusto, compie le sue opere in mezzo ad altri. Voi dunque esseguite il
volere del Padre (33, 1-32).
Come si può osservare, il gnostico vive una vita virtuosa nell’attesa della partenza, benché
senza un speciale ascetismo, come è stato accennato sopra. La salvezza è solo la conoscenza
del Padre de lui stesso come spirito consostanziale a Lui.
16. La fine della storia del gnostico è pienamente felice: raggiunge lo scopo sognato, che è
l’integrazione del suo spirito nel Pleroma divino, dove gioirà di un riposo perpetuo e felice. Il
gnostico riconosce che questo mondo non è il suo luogo e che il Padre lo chiama alla pienezza
di vita e nel riposo, d’accordo con il pensiero dell’autore dell’Apocalisse neotestamentaria
(21, 14.22-27). L’unità con il Pleroma sarà così totale che gli stessi gnostici “saranno la
Verità” (42,25-26). Ci sarà un autentico assorbimento nella divinità: la deificazione è il
destino del gnostico.
Il Padre conosce in anticipo che sarà così:
Egli è buono; egli conosce i suoi semi, perché è lui che li ha seminati nel suo paradiso. Ma il
suo paradiso è il luogo di riposo. (36, 35-39)
Egli parlerà del luogo donde ciascuno è venuto e ciascuno si affretterà a tornare di
nuovo nella regione dove ebbe la sua origine e a togliersi dal luogo dove si è trovato, spinto
dal gusto di quel luogo, nutrendosi e crescendo. Il suo luogo proprio di riposo è la sua
pienezza (41, 5-15).
Commenta García Bazán: Colo che ricevono il nome ritorneranno al Libro Vivente, si
uniranno strettamente nel volto del Padre, trasportati per l’unità del volere e del conoscere, e
saranno partecipi della Grandezza incommensurabile del Padre, Uno-Solo e perfetto, Colui
che è il veramente buono. Il riposo è la regione dei beati, meta finale del gnostico nel seno di
Dio, conoscenza sperimentata dall’autore dell’omelia, che può trasmettere soltanto ai figli
del Padre, che sono figli del Nome, al termino dell’iniziazione (Nag-Hammadi II, 144)
L’EvV descrive così il riposo:
Costoro non discendono nel tartaro. Essi non hanno né invidia né gemiti; tra loro non c’è più
morte, ma hanno la loro quiete in colui che la sua quiete, senza penare o volgersi imbarazzati
alla ricerca della verità. Anzi, essi stessi sono la verità. Il Padre è in loro ed essi sono nel
Padre, perfetti ed inseparati dal buono per eccelenza. Non sono causa di alcun danno, ma
largiscono benessere, rinfrescati dallo Spirito. Essi si accorgeranno della loro radice. Quelli in
cui egli avrà trovato la sua radice, saranno oggetto di solecitudine particolare. L’individuo
eviterà ogni danno alla sua anima (42, 17-39).
En sintesi, quali sono gli insegnamenti secreti di questo Gesù Rivelatore della gnosi secondo
l’EvV?
In realtà, per una parte, sono poche le novità, poiché:
1. “Insegnamento secreto” secondo la dottrina dei primi principi dell’EvV altro non è che una
serie di miti e de speculazioni sulla base conosciuta del platonismo medio, ben noto da altre
fonti6 .
Per l’altra sono importanti le differenze:
2. Gli insegnamenti sull’azione salvatrice e rivelatrice della Parola è radicale: solo la gnosi
salva, non il sacrificio della Croce. Questo supera ciò che è già conosciuto partendo dalla
tradizione evangelica canonica. Certamente il vangelo di Giovanni ha in parte questa dottrina.
Il primo redattore del Vangelo dice che Gesù avvia detto: L’uomo chi ascolta le mie parole e
crede a chi m’ha inviato ha la vita eterna. Non avrà per lui condanna, ma ha passato della
morte alla vita. Questo è certo, ma il autore del Quarto Vangelo accetta il valore salvifico del
sacrifico redentore nella Croce. Il autore del Vangelo della Verità naturalmente non.
Tuttavia si può dire che il Vangelo della Verita è un commento in chiave gnostica di
Gv 10 e 14-17, sempre in un modo sottile e allusivo. C.I.K. Story riassume brevemente la
dottrina dell’EvV: “Il Vangelo della Verità” sostiene che la necessità fondamentale dell’essere
umano consiste nel ricevere la gnosi, la conoscenza della natura divina, che è la Verità. Per
venire incontro a questa necessità si dichiara che il Vangelo della Verità procede dal Pleroma
(16,31-35) e discende fino all’ambito medio, dove sono gli uomini, mediante la
manifestazione di Gesù Cristo (26,27-28) e provoca nell’eletto dal Padre una risposta (26,28-
32). Il destino dell’eletto è il Padre e la sua pienezza. Alla fine sono presi verso di Lui, sono
assorti nella Verità, che è il Padre ... Per questo si può dire che i gnostici sono “il giorno
perfetto” (32.32), che ognuno è il pleroma (41,16), che essi sono “l’intendimento” (33,8), in
una parola, la Verità, la realtà che nasce di una identificazione con il Redentore (pp. 40-41).
Senza dubbio un personaggio importante dentro il gruppo gnostico valentianiano. Per la sua
profondità e per la sua bellezza, un certo numero di studiosi si è visto spinto ad attribuire
6
Vedi l’”Introducción general” nella Biblioteca copta de Nag-Hammadi (NH I 42-50.55-72)
l’opera al propulsore o al fondatore della setta, Valentino, sulla base soprattutto della
tradizione che attribuisce a lui la composizione di omelie. Ma benché sia suggestiva l’ipotesi,
non è in assoluto sicura.
Senza dubbio così l’autore è un uomo che si considera in possesso di certe “rivelazioni”. Per
questo afferma:
È quello il luogo dei beati, quello è il loro luogo. Quanto agli altri, sappiano pure, dovunque si
trovino, che non conviene a me, dopo la mia permanenza nel luogo della quiete, parlare di
cose diverse. Ma è là dove dimorerò, per dedicarmi in ogni momento al Padre del tutto e ai
veri fratelli, su cui si riversa l’amore di lui e tra i quali nulla di lui fa difetto (42. 39-43,9).
Si intende che l’autore è già stato, in visione, nel luogo di riposo e ritornerà lì quando finisca
la sua vita mortale, Nel fra tempo, provveduto degli insegnamenti celesti ricevuti si dedica a
istruire a persone come quelle che ascoltano il suo discorso/meditazione.
Nella composizione pratica della sua omelia, l’autore gnostico (Valentino?) agisce
come il Maestro di Giustizia degli Inni (hodayot) y pesharim di tra i manoscritti del Mar
Morto (soltanto lui conosce il senso occulto della Scrittura), o fino certo punto come il Gesù
del Vangelo di Matteo (che per ispirazione divina è un interprete qualificato della Legge,
l’unico in verità), o come lo sconosciuto autore del IV Vangelo quando ripensa e interpreta di
nuovo il senso profondo –che lui crede autentico- della figura e della missione di Gesù.
Questi sono tutti maestri inspirati che interpretano, grazie a una ispirazione personale
dello Spirito Santo, i testi sacri che hanno davanti. Il Maestro di Giustizia: gli scritti che oggi
chiamiamo Antico Testamento; Gesù, come maestro della stessa Scrittura, d’accordo come lui
pensa (“il nuovo Mosè”, secondo l’evangelista Matteo). Con Valentino (¿?), o lo sconosciuto
autore dell’ EvV, capita la qualche cosa di simile: ha davanti i suoi occhi due corpi di
Scritture:
-La prima consiste nei testi evangelici: la “tradizione delle parole di Gesù, il
Rivelatore” = la tradizione sinottica, che più tardi saranno i Vangeli di Marco, Matteo e Luca,
più la tradizione o il testo stesso del Vangelo di Giovanni Forse anche le lettere di Paolo, quasi
sicuro l’Apocalisse ..., testi che lui già considera “sacri” per la dottrina implicita o esplicita
della chiesa cristiana, alla quale appartiene probabilmente quella di Alessandria.
-Gli scritti di Platone intesi secondo la corrente del platonismo medio, dovutamente
volgarizzata, la quale, come facevano gli stoici in tempi passati con il testo di Homero-
interpreta in un modo sia letterale che simbolico/allegorico, poiché crede fermamente che il
suo autore ha trasmesso una dottrina divina. Se ben intesi, certi testi platonici offrono la
chiave per la scoperta di secreti umani e celesti. La dottrina dei primi principi di Platone, nel
suo tempo, erano soltanto concetti e formulazioni matematiche o filosofiche, adatte per
spiegare intellettualmente l’universo. Più tardi furono concepite come entità reali.
Commenta José Montserrat, che per Platone, i così detti “primi principi”, concetti e
formulazioni matematiche, “servivano soltanto come funzione di oggetto della conoscenza.
Valevano per spiegare e capire la realtà fisica tanto mondana come celeste. Più tarde, il
platonismo medio, i successori di Platone, fondati probabilmente nel fatto che il Maestro nella
Repubblica aveva assimilato con il Bene il principio trascendente, soggiacente alle formule
matematiche, l’Uno, invertirono e alterarono le basi del platonismo antico. Questi principi
che, insisto, erano per Platone soltanto oggetti o mezzi di conoscenza, diventarono soggetti
coscienti, degni di venerazione: l’Uno, o il Bene, furono considerati entità reali, e anche esse
potevano produrre altri esseri per mezzo della generazione o dell’emanazione. Queste due
operazioni –il passaggio da oggetto a soggetto e la possibilità de generazione/emanazione- si
trovano in tutte le manifestazioni del platonismo posteriore. 7
“Valentino” utilizza questi due corpi di dottrina in un modo libero, d’accordo con la
sua ispirazione personale data dallo Spirito. In un modo letterale, qualche volta, e in generale
allegoricamente. L’autore prende nel EvV il posto visibile della Parola e dello Spirito.
Beato chi ha aperto gli occhi dei ciechi! Lo Spirito è corso da lui in fretta, quando lo fece
risorgere. Stesa la mano a chi giaceva per terra, l’ha rimesso sui suoi piedi; quegli non si era
ancora alzato (30, 18-22).
Ebbe bisogno “Valentino” di una rivelazione strettamente speciale, qualche cosa come un
rapimento o un estasi dell’anima? In realtà non lo sappiamo. Probabilmente non. Si può
pensare nella stessa ispirazione avuta dall’autore del quarto vangelo, o dal Maestro di
giustizia; cioè una conoscenza profonda –che egli credeva mossa da Dio- de Platone e dei testi
che contenevano la parola di Gesù e erano già a sua disposizione. Mediante lo studio della
tradizione filosofica spiritualista –specialmente la platonica nella quale aveva un ruolo
speciale il Timeo- la introspezione interiore, e il paragone con quello che capita nell’universo
ed è percettibile per i “conoscitori”, “Valentino” ottiene di sapere cosa accadde nel Pleroma e
7
J. Montserrat nella “Introducción general” all’opera Textos gnósticos. Biblioteca de Nag
Hammadi I. Tratados filosóficos y cosmológicos (eds. A. Piñero – J. Montserrat – F. García Bazán),
Trotta, Madrid 3/2007, 47.
come si sviluppò ... come fu la “caduta” degli eoni e la salvezza mediante la Parola ... e poi lo
applica alla salvezza dell’uomo.
Questo è il processo logico, ma il processo reale cominciò probabilmente con una
meditazione di quello che fece il Gesù terreno come Salvatore, come sta scritto nei “vangeli”
(non formati ancora del tutto), ma interpretati allegoricamente dal ispirato “Valentino”.
L’autore dell’EvV, quale fosse, è così l’erede della filologia alessandrina e degli stoici nel uso
dell’allegoria.
Non possiamo sapere con esattezza. Ma la maggioranza degli studiosi sono d’accordo nei
seguenti punti: a) Dato lo sviluppo non ancora completo del sistema valentiniano; e b) Dato
che lo cita Ireneo in Adv Haer. III, 11,19, deve essere stato scritto circa gli anni 140-150 d.C.,
gli anni degli inizi dell’attività di Valentino –o del suo circolo- nella sua maturità. Doveva
essere una epoca in cui circolavano nella città di Alessandria testi totalmente cristiani che
avevano una aureola di santità, come prima è già stato indicato.
Quasi con sicurezza la lingua greca, come il resto dei trattati tradotti al copto e che formano il
corpus di Nag Hammadi.8
8
Vedi su questo punto il EvV, Orlandi p. 31-41, specialmente p. 32.