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Interventi

Tu scendi dalle stelle a Dunwich


Il figlio di Yog-Sothoth e il figlio di Dio: Lovecraft non è tutto Vangelo, ma quasi

L’orrore di Dunwich è, in assoluto, uno dei racconti di Howard Phillips Lovecraft in cui sono più
espliciti i riferimenti al cristianesimo. Ovviamente, conoscendo il tipo, tutto finisce ribaltato: il Figlio
di Dio disceso dal cielo e nato da una Vergine, nelle pagine dello scrittore di Providence, diventa un
mostro concepito da una donna dopo un rapporto sessuale con una spaventosa entità cosmica chiamata
Yog-Sothoth. Sarà un caso che il nome contiene le quattro lettere Y-h-o-h (Y-h-w-h) che compongono
il nome ebraico di Dio?
I paralleli con il Vangelo e con la teologia non finiscono qui. Qualche esempio.
Il racconto si apre con una lunga citazione da Witches and Other Night-Fears, “Streghe e altri
terrori notturni”, del poeta e saggista inglese Charles Lamb (1755-1834). Fra l’altro, Lamb scrive che
studiare questi argomenti può “probabilmente aprirci uno sguardo sulla nostra condizione prima che
venissimo al mondo”. Di per sé, l’idea che noi esistessimo in un’altra dimensione prima di scendere
quaggiù non è tipica del Nuovo Testamento ma del filosofo greco Platone e dei suoi seguaci, però è
stata sostenuta, intorno al 200 d.C., anche dal più extraterrestre degli intellettuali cristiani, cioè
Origene, a cui contiamo di dedicare una puntata in futuro.
E qui, di nuovo, Lovecraft - disperatamente, tuttavia con sottile humour - gira la frittata. Va bene,
insinua, al di sopra di questo Universo ne esiste un altro diverso dal nostro, in cui abitano Energie
cosmiche infinitamente più potenti di quanto possiamo immaginare. E noi tutti arriviamo da lì, sia i
comuni mortali sia il “figlio del dio”. Però, quel mondo superiore non è l’Iperuranio di Platone né
tantomeno il Paradiso di Origene. È l’orrore puro.
Così Wilbur interpreta il ruolo di un nuovo, oscuro Messia. Parlando di lui, sua madre Lavinia
profetizza che avrà “poteri insoliti e un futuro eccezionale”. Evidente la somiglianza con il Cristo che
compie miracoli e diventa lo spartiacque della Storia.
Entrando nei dettagli, le affinità si fanno ancora più numerose e intriganti. Per esempio, per quanto
riguarda l’aspetto fisico sono due le caratteristiche di Wilbur Whateley che saltano subito all’occhio:
difficilmente potrebbe trovare lavoro come fotomodello, e la sua enorme statura.
E Gesù? Dal punto di vista estetico, è vero che molti autori cristiani hanno riferito a lui la frase della
Bibbia: “Tu sei il più bello degli esseri umani”. Ma c’è chi ha descritto il Figlio di Dio tutto
all’opposto, sempre basandosi sulla Bibbia: “Il suo aspetto era sfigurato al di là di quello umano”.
Sant’Agostino afferma che, scendendo sulla Terra per salvarci, Gesù è diventato foedus e deformis,
orribile e deforme.
Vengono in mente le Crocifissioni dipinte da Francis Bacon negli Anni ’60 (che si possono
ammirare sul sito www.francisbacon.cx). Oppure, pensiamo alla scena più lovecraftiana della Divina
Commedia, nel Canto 25 dell’Inferno, quando un rettile mostruoso si fonde con un umano e viene fuori
un essere con le seguenti caratteristiche: “Le cosce e le gambe, il ventre e il torace si trasformarono in
organi mai visti prima”. Sembra proprio il giovane Whateley. Così diverso dal Nazareno, così simile a
lui.
Passando alla statura, i Vangeli non dicono se Gesù fosse alto o basso. Ci soccorre la sacra Sindone,
che raffigura un uomo di un metro e ottanta. Per l’epoca - gli antichi romani arrivavano sì e no al metro
e sessanta - significava essere un mezzo gigante. Ma non è solo una faccenda di centimetri. È una
questione di carisma, cioè della capacità di imporsi fisicamente, con il fascino della propria persona, su
coloro che stanno intorno. Secondo il filosofo Tommaso Campanella, vissuto tra il Cinquecento e il
Seicento, Gesù aveva appunto questa capacità, che Campanella chiama “magia” (per aver esternato
bazzeccole di questo genere finì sotto le torture dell’Inquisizione). Nel XX secolo, a riprendere l’idea
di un Gesù in grado di fermare i suoi avversari semplicemente fissandoli negli occhi, è stata la scrittrice
new age Hannah Hurnard. In tempi recentissimi, l’alta statura e il forte carisma del Cristo sono stati
sottolineati dal film La Passione di Mel Gibson.
Già, la Passione. L’orrore di Dunwich si chiude con una scena grandiosa, che senza il minimo
dubbio riecheggia il Calvario. L’evento accade in cima a una collina. Il cielo si copre di nubi, gli
spettatori assistono terrorizzati, e un ultimo grido, tremendo, squarcia l’aria. Poi, la fine.
Il Figlio di Dio, al tragico termine della sua missione, aveva urlato: “Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?”. Al termine del racconto di Lovecraft, le parole che fanno tremare l’aria sono
altrettanto inquietanti: “AIUTO! AIUTO!… pp-pp-pp- PADRE! PADRE! YOG-SOTHOTH!”.
“Tutto è compiuto” ansimò Gesù prima di spirare. “E fu tutto” commenta lo scrittore di Providence.
Con una sorpresa finale. A pronunciare il grido di morte non è Wilbur, ucciso già molte pagine fa. È il
suo gemello eterozigote, che finora era rimasto invisibile, e che appare ancora più simile al padre
alieno. Di umano non gli è rimasto quasi niente.
Il Padre celeste aveva mandato in Terra il suo unico Figlio. Yog-Sothoth, per sicurezza, ne ha inviati
due insieme. Due Anticristi al prezzo di uno.
“Era… be’, a grandi linee, era una specie di Forza che non appartiene alla nostra sfera dello spazio.
Una forza che agisce, cresce e si organizza per mezzo di leggi biologiche diverse da quelle della Natura
che conosciamo. Non c’è nessun motivo di richiamare dall’Esterno Cose di questo tipo, perché
vengano a noi.”
Grazie al coraggio del professor Armitage, per stavolta siamo scampati all’invasione. E la prossima?
A proposito, appuntiamoci sul calendario la festa di anti-Natale: perché Wilbur Whateley e suo fratello
sono nati il 2 febbraio.

Dario Rivarossa

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