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ARCHETIPI LOVECRAFTIANI
L’India e i Miti di Cthulhu
3
© 2009 by Dagon Press
Immagine di copertina:
Dipinto di Nicholas Roerich, “La Stella dell’Eroe” (1933).
Illustrazioni interne:
di Nicholas Roerich, ad eccezione di quella a p. 32 , che è del
figlio Svyatoslav, di quella a p. 12 © Jason Middelton, e p. 23
© di Gea.
(H. P. Lovecraft)
5
“Il Vecchio Re” (1910). Dipinto di Nicholas Roerich
7
demoni che combattono e vivono in esso le più
fantastiche epopee. Cicli grandiosi che ruotano lenti e
inesorabili nella maestosa giostra cosmica. Eroi, mostri,
titani che si muovono e danzano la loro gioiosa danza di
vita per tutte le ere dell'eternità.
Tutto questo non poteva passare inosservato alla
curiosa intelligenza di Lovecraft, e soprattutto non
poteva non condizionare la sua già naturalmente fervida
fantasia; così tutti questi elementi, desunti da numerose
letture, si sono andati accumulando nel suo immaginario
sommandosi con i dati tradizionali che già costituivano il
suo background culturale, creando infine quel variegato e
fantasmagorico mondo che ben conosciamo. Una parte
del materiale mitico inoltre arrivò in maniera indiretta
tramite le speculazioni e i racconti dell'ambiente
teosofistico, fonte non pura ma da un punto di vista
artistico comunque accettabile.
E' necessario però aggiungere che l'India da noi
intesa non è solo l'attuale nazione asiatica, ma è
soprattutto la patria atemporale del mito, la principale
depositaria e custode dei più antichi simboli umani, che
si sono conservati integri fino ad oggi proprio grazie a lei.
Non tratteremo quindi dell’India dei fachiri e delle
vacche sacre, ma dell’India deposito della tradizione,
antichissima sede dell’umanità, erede della “dimora
artica”, punto di origine di molte fra le più importanti
civiltà storiche e mitiche.1
11
I.
Mito e folklore
1.
2.
3.
4.
19
Egli trova una pietra preziosa, ma non la conserva
come una reliquia, bensì la lavora, la intaglia e la cesella
secondo il proprio gusto, dando libero sfogo alla propria
facoltà immaginativa, riuscendo a creare con il materiale
grezzo un oggetto completamente nuovo.
Fondamentale da questo punto di vista è stata
l'esperienza narrativa di Lord Dunsany, il quale ha
delineato con il suo esempio ciò che lo scrittore di
Providence considererà una “terza via” per l'evasione,
alternativa all'idealismo ed al fideismo religioso, e cioè
l'elaborazione cosciente dei materiali del mito e la
creazione da questi di nuovi elementi fantastici. Tale
operazione, comunque disincantata e priva di velleità
teologiche, prende il nome di “Dunsanian conjuration” ed
è caratterizzata certamente dall'accettazione piena della
realtà ma anche dalla contemporanea costruzione al di
sopra e oltre questa di un nuovo universo, fantastico e
immaginativo, avente come valore fondante un puro
interesse estetico.
21
essere ritrovate nella più antica letteratura sanscrita
dell'India.”11
23
II.
Il teosofismo
1.
2.
25
“Il ciarpame teosofistico, che rientra nell'ambito della
falsificazione volontaria, può essere comunque a
tratti interessante.”12
3.
16
Quanto scritto finora non ha la pretesa di esaurire l'argomento dei
rapporti tra Lovecraft ed il teosofismo, argomento che esula dal tema
principale del nostro studio e che abbiamo affrontato in questa sede soltanto
come precisazione preliminare.
Per chi volesse approfondire questa tematica possiamo rimandare
quindi all'articolo di Robert M. Price Lovecraft's Use of Theosophy,
pubblicato sul periodico Crypt of Cthulhu, Vol. 1, n. 5, 1982, ora reperibile
anche in internet.
31
"Nicholas Roerich", dipinto dal figlio Svyatoslav, 1938.
III.
Roerich
Ladakh (1933)
39
“Vivo in quel mondo di sopportabile memoria, sogno
ed espansione cosmica che miei deboli poteri creativi
sono in grado di creare per me – sempre sottratto al
suicidio dall' illusione di avere in futuro l'abilità di
riuscire a descrivere le possibilità di avventura che la
vista del tramonto dietro strane torri, di una casupola
su una collina rocciosa o di un monolito di roccia a
Leng come dipinto da Nicholas Roerich,
invariabilmente accendono in me.”
1.
41
l’immaginazione”23, miti e simboli che resistono
all’intellettualizzazione e che rivelano differenti
sfumature di significato, secondo le esperienze e i bisogni
vitali dell’individuo.
Le considerazioni che seguono non hanno la pretesa
di esaurire la complessità dell’argomento ma solo di
suggerire a chi si voglia avventurare in questa
esplorazione una direzione che, lungi dal sottrarre
fascino al panorama, possa condurre alla scoperta di
punti di riferimento decisamente poco conosciuti.
Aggiungiamo quindi altro materiale agli studi su
Lovecraft, ben sapendo che il “solitario di Providence”,
con la sua immancabile ironia avrebbe certamente
gradito questo e simili altri interventi che, accrescendo il
raggio d’azione della ricerca e disvelando nuovi ed
affascinanti scenari, non avrebbero fatto altro che
aumentare l’interesse per la sua fantasmagorica mitologia
ed il suo insondabile genio.
2.
23
Per la capacità comunicativa dei miti indù cfr. H. Zimmer, Miti e simboli
dell’India, Adelphi, Milano, 2007, pp. 53 e sgg.
24
Cfr. S. Fusco, Tentativo di una ipotipòsi, in Storia del Necronomicon di
H.P. Lovecraft, Venexia, Roma, 2007, pp. 98-102.
corso del tempo ed il relativo accrescimento con i
contributi, le spiegazioni e gli insegnamenti che i vari
sapienti venuti in contatto con esso si sono pregiati di
aggiungere. Da questa analisi emergerebbe la realtà di un
testo non fissato in forme fisse ma mutevole, vivo, dalla
natura proteiforme, sempre pronto ad adattarsi alle varie
epoche e ad interagire attivamente con la loro sensibilità
ed il loro spirito.
Pur apprezzando questo esercizio e condividendone
gli esiti, riteniamo tuttavia di dover effettuare una
precisazione che, sia pure di apparente piccola portata, è
tuttavia importante al fine di evitare errori di prospettiva;
se è giusto sostenere infatti che il testo in questione,
partendo da “un remoto nucleo originario” avrebbe poi
conosciuto nei secoli tutta una serie di aggiunte tali da
portarlo alla cospicua dimensione di un migliaio di
pagine, è fondamentale sottolineare anche il modo con cui
si sia formato questo testo. Ed a tal riguardo è necessario
sgombrare il campo da quella posizione che si potrebbe
definire “storicistica”, che sostiene come ogni realtà
storica sia frutto di un’evoluzione continua a partire da
una forma originaria primitiva e grossolana. Posizione
questa che nel caso in questione ci porterebbe a
considerare il Necronomicon attuale come forma ultima e
completa cresciuta a partire da un’opera involuta, messa
per iscritto dal suo primo autore e suscettibile di vari
progressi in epoche successive, progressi che come una
serie di stratificazioni si sarebbero aggiunte al fondo
primitivo, avendo con questo solo un rapporto di
discendenza più o meno diretta. Viceversa ci sentiamo di
sostenere una posizione a prima vista simile, ma tuttavia
43
opposta, che porterebbe a considerare tutte le aggiunte al
testo di Alhazred non come produzione eteroclita o libera
interpretazione ma come sviluppi continui e diretti
nonché applicazioni pratiche dei principi originari
dell’opera, attuati in maniera più o meno consapevole dai
vari intellettuali venuti in contatto con essa, ma sempre
coerenti con il nucleo basilare fondamentale.
Ogni sapiente, mago, studioso, dopo avere avuto tra
le mani il testo (e non essere impazzito nel frattempo)
avrebbe infatti aggiunto spiegazioni, glosse, chiarimenti e
consigli che, pur sembrando tra loro differenti, sarebbero
tutti, come raggi di una ruota, partiti dal nucleo originale
codificato in principio, in maniera criptica, dallo stesso
Alhazred. Così anche le aggiunte più strane ed
apparentemente eterodosse (magia sessuale, magia
“enochiana”, magia pseudo-paracelsiana) non sarebbero
tuttavia nient’altro che una particolare versione del testo
originario, non essendo queste che una sua esplicazione
in sintonia con il determinato momento storico -
l’autenticità e la “canonicità” essendo però garantite
dall’efficacia operativa, dalla continuità degli esiti e
dall’identità delle entità contattate. Il testo, a seguito di
questo processo di ex-plicatio, si sarebbe trovato così
nell’epoca attuale ad essere pienamente fiorito e
sviluppato in ogni sua parte, pronto ad essere messo per
iscritto e cristallizzato nella sua versione “definitiva”
(definitiva in senso relativo, in rapporto all’attuale
momento storico, ma suscettibile di ulteriori sviluppi).
A titolo di paragone e di esempio ci siano d’aiuto le
riflessioni sul cosiddetto “Quinto Veda”25. René Guénon,
alla luce della Sophia Perennis (Sanatana Dharma), negando
uno sviluppo concorrente delle varie dottrine indù
(vedismo, bramanesimo, induismo) sostiene come queste
siano in realtà unite da una intima coerenza implicante
un’unità di fondo degli insegnamenti che, al di là delle
contraddizioni superficiali, troverebbe la sua unità nel
considerare i medesimi come diversi aspetti della
dottrina originaria, differenziatasi ed adattatasi nel corso
del tempo a seconda dei bisogni e delle attitudini delle
varie comunità umane.
Così l’accrescimento del corpus dottrinale non
sarebbe altro che un’esplicitazione dei molteplici aspetti
latenti ed impliciti nella primeva formulazione; e se il
Veda è nel corso dei secoli divenuto triplice e poi
quadruplice (fors’anche quintuplice col tantrismo) non
bisogna dimenticare che esso è divenuto tale solo a causa
dei mutamenti avvenuti nello spirito dei tempi ma che
questo non muta la sua vera essenza che in realtà rimane,
nella sua intemporalità, invariabilmente unica.
E quindi, analogamente, lo stesso testo “sacro” per
eccellenza della mitologia lovecraftiana, manterrebbe un
suo nucleo non solo primigenio, ma a tutti gli effetti
immutabile, posto fuori dal tempo e di origine non
umana.
25
Cfr. R. Guénon, Il quinto Veda, in Studi sull’Induismo, Luni, Milano,
1996.
45
3.
26
H. Zimmer, Miti e simboli dell’India, Adelphi, Milano, 2007, pp. 139-
Oltre i testi c’è un imponderabile segreto, che solo pochi
individui possono arrivare ad intuire, una dimensione di
incomunicabilità della verità ultima implicante l’idea che,
immettendosi in un ordine sovraindividuale di esistenza,
i concetti fondanti del linguaggio umano vengano
espressi in un altro modo, che è segreto perché
incomunicabile.
Il canto di Visnu27 contemporaneamente crea il
mondo e rivela la sacra conoscenza: siamo qui alle soglie
dei più profondi misteri della cosmogonia che, ben lungi
dal voler ulteriormente investigare, ci limitiamo soltanto
a lumeggiare, nei limiti delle nostre esigue possibilità.
Senza quindi l’intenzione di mischiare il sacro con il
profano e tornando al mondo letterario di H.P.L.,
possiamo concludere dicendo che esiste soltanto un essere
che, primigenio e solitario, emette suoni che creano la
realtà; costui, al di fuori del divenire della “grande ruota
cosmica”, nella sua posizione “al centro dell’infinito”, in
uno stato di quieta idiozia, blatera e farfuglia frasi senza
senso, suoni scomposti che formano i mondi e i pensieri
degli uomini. Parla di lui il sonetto XXII dei Fungi from
Yuggoth, di cui riportiamo un frammento:
…
Lì nel profondo buio farfugliava
il Signore di Tutto, biascicando
di cose viste in sogno, e non capite.
140.
27
Visnu, in qualità di Prajapati, signore-creatore-generatore-di-tutti-gli-
esseri, intona un canto, detto “dell’oca immortale”.
49
A lui d’intorno, cose-pipistrello
informi tramenavano le ali,
in insulse spirali illuminate
da babelici raggi.
Danzavan folli nel lamento acuto
d’uno stridulo flauto aggraffignato
da un artiglio bestiale:
ne scorrevan le note senza senso
che sovrapposte e combinate a caso
conferiscono a tutti gli universi
fragili e momentanei, leggi eterne.28
28
Traduzione di S. Fusco in Storia del Necronomicon di H. P. Lovecraft,
Venexia, Roma, 2007, pp. 192-193.
N. Roerich, “Il Guardiano del Calice” (1937)
51
V.
1.
2.
57
la dimora-sepolcro di Cthulhu, coronata naturalmente da
una enorme pietra, centro rituale di tutte quelle terre. La
stessa città di R'lyeh però non è nient'altro che una
piccola parte di un immenso continente ancora
sommerso dalle acque, un tempo non solo visibile e
completamente emerso, ma anche dominatore della
propria epoca e dell'intera civiltà terrestre. Questo
mondo sommerso è un tipico esempio di quello che nella
tradizione indiana si definisce come dvipa, ovverosia un
enorme continente-isola che emerge o scompare sotto le
acque oceaniche in determinati momenti storici,
portando con sé anche le relative civiltà ospitate sulla sua
superficie. Di solito, a seguito di grandi cataclismi queste
civiltà tramontano, sprofondando (letteralmente e
metaforicamente) nell'oblio lasciando il posto a nuove
terre, naturalmente dando così inizio ad una nuova
epoca. Ma la temibile e spettrale R'lyeh sembra quasi non
rassegnarsi e, come uno spirito dannato, vuole tornare
nel mondo dei viventi per occupare il posto che un
tempo le apparteneva. Proprio come cerca di fare il suo
abitante principale.
Ben diverse sono le divinità più antiche, come ad
esempio l'arcaico Nodens, che sia pure rassegnate alla
perdita dei loro poteri, sono tuttavia benevole nei
confronti degli uomini.
Cthulhu e Nodens, due aspetti di una stessa
questione, rappresentano bene il mistero degli dèi
decaduti. E proprio riguardo questo tema non possiamo
non citare una particolare e significativa coincidenza
estremamente illuminante. Secondo Plutarco il sovrano
dell'antica età dell'oro, cioè Kronos (Saturno), si trova su
di un'isola posta all'estremo nord del mondo, ancora
vivo, ma prigioniero e ridotto all'impotenza da uno stato
di sonno:
59
3.
37 Il linga è una forma del dio che può farsi risalire ai simboli primitivi in
pietra del neolitico. Centro vitale dello spazio sacro rientra pienamente
nella categoria della pietra sacra, dimora divina ed asse del mondo.
63
4.
67
N. Roerich, “Luci della Vittoria” (1931)
VI.
La realtà e il resto
1.
69
universo, infatti, i personaggi si muovono tutti sull'orlo
di un baratro costituito dalla comprensione della vera
essenza del reale, conoscenza ultima e suprema,
sviluppando le loro esistenze in maniera tanto più
tranquilla quanto più ignara di essa. La realtà
fenomenica, sia pure con tutti i suoi accidenti e le sue
vicissitudini, costituisce infatti una barriera nei confronti
del caos universale, un muro di ignoranza che
involontariamente forma una vera e propria protezione
contro la follia e l'annichilimento. Il genere umano, nella
sua esistenza comune ed ordinaria, si trova così in una
situazione singolare: come avvolto in una rete sospesa su
di un abisso, è imbrigliato e limitato nei suoi movimenti e
nella visuale, ma contemporaneamente è sorretto e
mantenuto al sicuro, al riparo da una catastrofica caduta.
E anche se questa rete lascia talvolta filtrare, come oscuri
presentimenti, vaghe e mostruose presenze del mondo
“di fuori”, permette comunque alla maggioranza
dell'umanità di condurre un'esistenza tranquilla e
finanche serena, a tutti gli effetti ignara degli orrori che
incombono su di essa.
Aveva già ben chiare le idee Lovecraft quando nel
1917, in The Tomb, manifestò tramite il suo alter ego Jervas
Dudley, in una sorta di dichiarazione d’intenti, la sua
personale visione del mondo:
2.
44
H. P. Lovecraft, L’incubo – Tutte le storie dell’orrore puro – tomo I,
Newton, Roma, 1993, p. 45.
71
termine, solitamente tradotto come “illusione”, presenta
tuttavia molteplici sfumature e può essere reso in vari
altri modi, fra di loro anche differenti, ma stanti tutti ad
indicare una particolare capacità, ovvero un potere
creativo-produttivo. Maya è misurazione, creazione,
manifestazione di forme, ma è anche gioco di prestigio,
inganno, magia. E' un'attività che produce. E' una grande
arte.
La maya divina è simile a quella umana, ma
estremamente più potente: un'abilità artistica che implica
la produzione di tutto quanto esiste nell'universo, ossia la
manifestazione concreta di tutte le forme prima della
creazione esistenti solo a livello potenziale.
Il mondo, con tutto ciò che contiene (dèi, demoni,
uomini, animali, cose), non sarebbe altro che un' opera
d'arte nella quale il Principio Supremo avrebbe infuso il
soffio vitale e avrebbe dotato di una reale ma fragile
autonomia, una sorta di realtà “relativa”, non
completamente illusoria, ma comunque legata sempre
dalla realtà assoluta dell'artefice.
Questa arte è un mistero insondabile al quale anche i
più saggi veggenti non hanno saputo trovare una
risposta, una realtà misteriosa coestensiva alla natura
divina, una tela di volta in volta tessuta e disfatta di cui
anche l'umanità sarebbe uno degli elementi decorativi.
In questo stato di cose l'uomo comune si troverebbe
quindi nella duplice condizione di essere ingannato
dall'arte divina e di essere egli stesso un prodotto della
medesima. Agitato dalla corrente delle forme, mosso da
sentimenti, ambizioni, emozioni e dai vari accadimenti
della vita, egli avrebbe perso la nozione del suo vero
essere e vivrebbe un'esistenza parzialmente illusoria
dedicandosi a progetti, inseguendo traguardi e lottando
per affermazioni che, ancorché reali, non avrebbero una
consistenza maggiore di quella del sogno. Il velo di Maya
sarebbe quindi una limitazione, un ostacolo che farebbe
vivere l'uomo in uno stato di ignoranza, cecità (avidya) e
che gli impedirebbe la piena realizzazione e la
comunione con il Principio Supremo: il cammino
spirituale per il suo dissolvimento sarebbe pertanto
cercato dai saggi e, se concluso con successo porterebbe,
per i meritevoli, benefici spirituali incommensurabili.
Quando tutti i prodotti e gli effetti dell'ignoranza sono
stati trascesi si raggiunge la liberazione, stato
indescrivibile e supremo, al di là di ogni vicissitudine
dell'esistenza, ovvero oltre ogni condizione limitativa e
contingente.
3.
75
protettive illusioni di ciò che vediamo
comunemente.”46
4.
Strani eoni
1.
79
Nel periodo di non manifestazione, nell'intervallo
della notte cosmica, maya cessa di operare e lo spettacolo
svanisce. In questo quadro tutto è terminato e non ha più
nessun effetto: successione, causalità, divenire sono
svaniti; poco prima della fine l'Essere Supremo, nella sua
personificazione di Shiva, ha distrutto tutto quanto
faceva parte del cosmo senza eccezione alcuna, e l'ultima
cosa ad essere eliminata è stata la morte stessa. Shiva
Yamantaka è colui il quale uccide la Morte e “riduce in
niente il ritmo e il gorgo dei fenomeni, dissolve ogni cosa,
ogni essere, ogni divinità nell'oceano, cristallino ed
immobile, dell'eternità.”48
Egli dà inizio ad uno di quegli strani eoni di cui già
sappiamo esistere altrove una testimonianza:
2.
85
“Gli esseri umani hanno introdotto la nozione di
tempo solo per spiegare il concetto di cambiamento:
ma anche quello è un'illusione. Tutto ciò che è stato,
è, e sarà, esiste simultaneamente.” … “Come le figure
prodotte dal sezionamento di un cono sembrano
variare a seconda dell'angolazione con cui si effettua
la sezione – diventando cerchio, ellisse, parabola o
iperbole al variare di quell'angolo, ma senza che il
cono venga trasformato – così le visioni parziali di
una realtà immutata ed infinita sembrano cambiare a
seconda dell'angolazione cosmica da cui li si
osserva.”61
“Sono il Signore-Creatore-e-Generatore-di-tutti-gli-
Esseri (prajapati), l'ordine del rito sacrificale, e sono
chiamato il Signore della Sapienza Sacra. Mi
manifesto come luce celeste, come vento e terra,
come l'acqua degli oceani e come spazio che si
estende nei quattro punti cardinali, che sta fra i punti
cardinali, che continua al di sopra e al di sotto di essi.
Sono l'Essere Primo e il Rifugio Supremo. Da me
prende origine quello che è stato, che sarà che è. E
qualunque cosa tu possa vedere, sentire o conoscere
nell'intero universo, sappi che io vi risiedo.”62
4.
Through the gates of the silver key, anche grazie alla prima
stesura di E. Hoffman Price63, è il racconto che più è
intriso di suggestioni orientali e che più riecheggia nelle
sue righe gli insegnamenti di antiche religioni.
Ma al di là della reale convinzione degli autori
riguardo la veridicità di quanto descritto, è sorprendente
constatare la coerenza con la quale l'esposizione di tali
teorie abbia poi implicazioni pratiche su tutto l'universo
onirico lovecraftiano, che risulta plasmato in perfetta
conformità delle medesime.
I temi affrontati sono molteplici ma riconducibili
tendenzialmente ad alcuni aspetti fondamentali:
illusorietà del reale, relatività delle categorie spazio-
89
E' il principio formativo universale che, nel processo
di manifestazione materiale, assume le forme più
variegate, rimanendo comunque unico nella sua essenza;
aspetto questo da considerarsi valido sia a livello
generale per quanto riguarda la totalità dell'esistente, sia
a livello più particolare, interessando l'individualità
umana nel rapporto tra l’”io” personale ed il “Sé”
incondizionato trascendente.68
5.
E, ottima chiosa:
91
Processo creativo che in Lovecraft ha raggiunto livelli
eccelsi di originalità e precisione tali da imitare
veramente, salve fatte le debite proporzioni, l'attività
creatrice divina.
N. Roerich: Armageddon, 1935-36
93
VIII.
Cicli cosmici
1.
2.
95
utilizzando in maniera sempre minore parti della
precedente civiltà. E dopo la scomparsa di tutti
questi frammenti, ci sarà una rinascita a partire dallo
stadio nomade-pastorale, con un sacerdote-re-
guerriero, un concilio dei nobili, e tutte le familiari
forme antropologiche che sorgono dagli istinti
fondamentali della specie nel quadro di una natura
non artificiale ed incorrotta. Queste persone
ascolteranno le leggende che le loro anziane e i loro
sciamani racconteranno riguardo le rovine di ponti,
metropolitane, e fondamenta di edifici, e riguardo la
Sfinge e le piramidi e i templi rocciosi di Petra.
Quante volte questa commedia si ripeterà, non
sappiamo dirlo. Ma non ha importanza, visto che la
quantità è una cosa davvero insignificante.”70
3.
75 Per dare un'idea dell'enormità dei periodi considerati si può dire che
secondo la tradizione un giorno di Brahma ha la durata di 4.320.000.000
anni umani, così come la notte, che ha la stessa lunghezza. Il ciclo di
durata maggiore ha termine dopo cento anni di Brahma.
corrente delle forme e stabiliscono per loro, a questo
riguardo, una vera e propria fine del mondo.
Anche in Lovecraft abbiamo qualcosa di simile, anche se
caratterizzato da aspetti decisamente anti-provvidenziali.
Come abbiamo già visto, anche la Morte verrà uccisa in
un'epoca futura ed imprecisata, ma prima innumerevoli
altre forme sorgeranno e decadranno, marcando con la
loro presenza il passare delle ere.
Ma mentre nel calendario cosmico si segnano le
scadenze di giorni, mesi e anni in una serie continua e
indefinita, è forse possibile pensare ad una vera fine?
Da questo punto di vista è fondamentale la figura
dell'ultimo avatar, colui il quale porterà a questo riguardo
la parola definitiva.
Si noti quindi un dato interessante: mentre Cthulhu
segna la fine di un mondo, è Nyarlathotep che porta la
fine del mondo. Egli è l'annunciatore e il messaggero del
caos, l'esecutore dei suoi irrazionali deliri. I princìpi che
egli incarna sono gli stessi che informano la vita stessa
dell'universo, e sono quindi primordiali, fondamentali ed
invincibili. La sua figura anti-messianica va oltre quella
del demone degli abissi, la supera e la trasporta in una
dimensione universale, riuscendo a mutare con la sua
ultima venuta non solo il pensiero degli uomini, ma
anche il corso degli astri e le leggi della natura stessa.
In una certa epoca della storia, temuta ma forse
attesa, scenderà sulla Terra una divinità dell'“altrove”,
non su di un cavallo bianco76 ma negli stravaganti panni
103
Appendice:
L'ERA OSCURA
109
111
INDICE
PREMESSA... p. 7
I. Mito e Folklore… p. 13
II. Il Teosofismo… p. 24
III. Roerich… p. 33
IV. Testi Sacri e Cosmogonie… p. 41
V. L’Asse del Mondo… p. 52
VI. La Realtà e il Resto… p. 69
VII. Strani Eoni… p. 78
VIII. Cicli Cosmici… p. 94
Appendice:
L’ERA OSCURA… p. 104
113
Edizioni Dagon Press
Pineto (TE) Italy.
Finito di stampare a maggio 2009
115