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Dossier
Parole chiav e
La parola «romanzo»
Il romanzo propriamente detto non esclude l’esistenza di un «genere senza nome», ep-
La più importante forma narrativa moderna è il romanzo. pure definito da tutta una serie di convenzioni letterarie
Nel mondo antico il romanzo non è un genere ricono- di cui gli autori erano consapevoli. Per parlare delle loro
sciuto come tale e, più in generale, manca il termine per opere essi fecero comunque ricorso a termini generici
designare la narrativa d’invenzione. «Romanzo» infatti è come ἱστορία (Longo Sofista I 1, 1), μῦθος e δρᾶμα
una parola francese, roman, indicante nel medioevo feu- (Achille Tazio I 2, 3 e I 9, 1), ὑπόθεσις (Giuliano, Epist.
dale e cavalleresco un testo narrativo volgare (o roman- 89 B: Ὅσα δέ ἐστιν ἐν ἱστορίας εἴδει παρὰ τοῖς
Paraletteratura Dunque, il fatto che il romanzo fosse «un genere senza nome» (M. Fusillo) non
significa che non possedesse una codificazione implicita, cioè una serie di con-
venzioni non solo osservate nella pratica scrittoria, ma delle quali esisteva con-
sapevolezza negli scrittori. Si tratta, probabilmente di quello che definiamo un
genere paraletterario, cioè «minore», con una serie di elementi ripetuti e cari a
un pubblico vasto, e soprattutto capace di trarre spunto da tutte le altre forme
letterarie «alte» (vedi scheda).
I tratti distintivi del paraletterario tale, l’ambientazione snobistica nelle classi alte, il carattere
Studi recenti hanno indicato i tratti caratteristici, anche se non consolatorio dell’inevitabile happy end, l’abbondanza di rica-
esclusivi, della paraletteratura nella tendenza alla ripetizione pitolazioni che aiutano il lettore. Sono elementi che ritornano
(inter- e intra-testuale), nella caratterizzazione netta («ma- anche negli attuali discendenti dei feuilletons ottocenteschi, i
nichea») dei personaggi che favorisce una lettura fortemente serials televisivi di tipo sentimentale (Dallas, Dynasty, Beauti-
proiettiva. Quanto alle analogie tra i romanzi greci e la paralet- ful), dove compare spesso, per esempio, il topos della morte
teratura moderna, queste concernono soprattutto «la ripetiti- apparente prediletto dai romanzieri antichi» (M. Fusillo). Leg-
vità dei loro topoi e delle loro situazioni narrative, l’elementare giamo un approfondimento su questa caratteri-
caratterizzazione psicologica, l’assoluta dominante sentimen- stica e sul pubblico a cui era rivolta questa narrazione.
4 DOSSIER: L’AVVENTURA DEL ROMANZO
l’imitazione è parte integrante del fare letterario e di per sé non è segno di minore
qualità artistica. Il romanzo greco riscrive, borghesizzandoli, i generi letterari
classici. L’abbassamento ha il duplice effetto di nobilitare la vicenda erotica e
«borghese » e di avvicinare il lettore non troppo colto alla letteratura «alta». Am-
pia è la gamma dei generi coinvolti nel gioco dei rinvii intertestuali.
L’epica
Un’epica «borghese»
D ella presenza nel romanzo dell’epica omerica, già abbiamo parlato. Secondo
alcuni studiosi il romanzo avrebbe preso il posto dell’epos assolvendo per un
pubblico «borghese» la funzione svolta dai poemi omerici in un diverso contesto
culturale e sociale:
Il bisogno spirituale di evasione, presupposto di ogni poesia di invenzione
fantastica, era appagato prima dalla poesia epica mediante la idealizzazione
del passato eroico; in seguito, con l’imborghesirsi del mondo rappresentato
e l’umanizzarsi del mito, il fantastico rivestì le forme del verosimile, senza
perdere in straordinarietà, e il dramma umano, in uno dei suoi sentimenti
più universali, l’amore, divenne centro dell’interesse creativo del poeta […]
Allora sorse il romanzo, che assunse le stesse funzioni che prima aveva assolte
le poesia epica.
[Q. Cataudella, Il Romanzo Classico, Sansoni, Firenze 1958, p. XXII ss.]
Imitazione di forme Spesso l’ispirazione omerica è segnalata, oltre che dal carattere «odisseico» delle
e procedimenti peripezie, anche da continue citazioni dall’Iliade e dall’Odissea, in particolare
narrativi
nel romanzo di Caritòne. Dei poemi omerici sono imitati anche i procedimenti
narrativi come nel caso delle Etiopiche, che iniziano in medias res e recuperano
l’antefatto tramite la tecnica, inaugurata da Ulisse alla corte di Alcinoo, del rac-
conto nel racconto.
La tragedia
C i sono nel romanzo riecheggiamenti della tragedia, soprattutto euripidea. I
drammi ad intreccio dell’ultimo Euripide hanno schema e colore «romanze-
sco»: ambientazione esotica, «riconoscimento finale» (anagnòrisis), ricerca di
suspense, happy end. Il modello tragico è però borghesizzato, abbassato e reso
DOSSIER
La storiografia
Un rapporto
genetico? C ’è chi ha istituito tra storiografia e romanzo un rapporto di tipo genetico, nel
senso che questo sarebbe nato dall’inserimento di leggende locali (a carattere
sacro) sull’impianto della storiografia. L’influsso di questa è riscontrabile sia
nell’uso della prosa, sia nei tentativi di inquadramento storico soprattutto dei
romanzi greci della prima fase. Ad esempio, Le avventure di Cheréa e Callíroe
sono ambientate nella Siracusa del V secolo a.C. Altri hanno colto il punto di
congiunzione tra storiografia e romanzo nelle storie di Alessandro: «I biografi di
Alessandro mostrano una spiccata sensibilità per l’esotismo e l’avventura […]
Entrambi questi toni si ritrovano nei romanzieri, che amano la suggestione di
scenari remoti (il misterioso d’Egitto è una presenza costante) e costruiscono
storie irte di pericoli e di sventure» (G. Zanetto).
La storiografia Più in generale si può dire che il romanzo si ricollega al filone «mimetico»
«mimetica» della storiografia, e non a quello che fa capo a Tucidide (V sec. a.C.) e che
Polibio (II sec. a.C.) definisce «pragmatico». Questo indirizzo, che rifiuta ogni
elemento non vagliabile criticamente e assume l’utile come fine del discor-
1. Scrive Mario Vargas Llosa, Le culture del romanzo, Einaudi, Torino 2001, p. 35: «Niente, meglio dei
buoni romanzi, insegna a vedere nelle differenze etniche e culturali la ricchezza del patrimonio umano e
ad apprezzarle come una manifestazione della sua molteplice creatività. Leggere buona letteratura è diver-
tirsi, certo; ma, anche, imparare, nel modo diretto e intenso che è quello dell’esperienza vissuta attraverso
le opere di finzione, cosa e come siamo, nella nostra interezza umana, con le nostre azioni e i nostri sogni
e i nostri fantasmi, da soli e nell’intelaiatura delle relazioni che ci legano agli altri, nella nostra presenza
pubblica e nel segreto della nostra coscienza, quella complessissima somma di verità contraddittorie di cui
è fatta la condizione umana. Quella conoscenza totalizzante e in presa diretta dell’essere umano si trova
soltanto nel romanzo».
La satira menippea Un’altra componente è rappresentata dalla «satira menippea », creazione del filo-
sofo cinico Menippo di Gadara (II secolo a.C.). Si trattava di composizioni miste
di versi e prosa, che toccavano argomenti vari con toni ora crudamente realistici
ora faceti ora seriosi. La mescolanza degli stili, l’uso di citazioni classiche a fine
parodico e soprattutto l’adozione del prosimetro hanno indotto gli studiosi ad
avvicinare alla satira menippea il Satyricon di Petronio.
La commedia
La Commedia Nuova
C ertamente rilevante è l’influsso della commedia di Menando, modello di con-
vivenza borghese per eccellenza. Al pari del romanzo la commedia valorizza
lo spazio privato, familiare, in cui è centrale il legame amoroso che trova il coro-
namento nel matrimonio. Talora le trame dei romanzi greci sembrano la traspo-
I riconoscimenti In comune con la commedia c’è sempre l’espediente narrativo del riconoscimen-
to (anagnórisis), come in questa scena delle Efesiache:
Il giorno dopo, visto che non c’era la possibilità di prendere il mare, Anzia tornò
al tempio assieme ad Ippotoo, e, seduta accanto alle offerte, piangeva e geme-
va: in quel momento arrivarono Leucone e Rode che avevano lasciato a casa
Abrocome, scoraggiato. Entrati videro Anzia senza riconoscerla, ma mettendo
insieme la sua passione, le lacrime, le offerte e il suo aspetto, un po’ alla volta
la riconobbero, e precipitandosi alla sue ginocchia restarono muti. Anzia era
stupita e si chiedeva chi erano e che cosa volevano: non avrebbe mai pensato
di vedere Leucone e Rode. Loro, quando si furono riavuti, le dissero: «Siamo i
tuoi servi, padrona, Leucone e Rode, i tuoi compagni di esilio e di cattività. Ma
quale fortuna ti ha portata qui? Coraggio, signora: Abrocome è sano e salvo,
ed è qui che piange sempre per te!». A queste parole, Anzia rimase colpita, e
quando a fatica si riebbe, li riconobbe anch’essa, li abbracciò e si fece racconta-
re tutto su Abrocome.
(V 12, tr. di Guido Paduano)
Il lieto fine Nel romanzo come nella commedia c’è il lieto fine, che dopo Menandro diventa
una convenzione del genere comico. Ma soprattutto in entrambi i generi domi-
na l’amore: «Non esiste commedia del gentile Menandro che sia senza amore»,
recita un verso di Ovidio. E la conclusione canonica delle fabulae menandree
(non è un caso che fabula indichi sia la commedia sia il romanzo, come anche il
termine greco drama) sono le nozze, che coronano una storia di passioni messe
a repentaglio dall’equivoco e dall’imprevisto, proprio come nel romanzo. Del
resto anche Menandro era, sotto il profilo del «mercato culturale», un fenomeno
di letteratura di consumo: era, dopo Omero, l’autore più letto nell’Egitto greco-
romano, come dimostrano le molte edizioni delle sue commedie.
Diversità rispetto Rispetto alla commedia, nel romanzo muta, oltre ovviamente alla forma narra-
alla commedia tiva e non dialogica, lo scenario dell’azione: non
più lo sfondo chiuso e rassicurante della città, ma
paesaggi esotici, mari aperti, isole deserte. Inol-
tre, diversamente dalla donna della commedia
l’eroina del romanzo non è relegata in casa senza
possibilità d’iniziativa autonoma, ma agisce con
coraggio e in piena autonomia.
DOSSIER
Lirica
I topoi saffici
N on mancano certo nel romanzo gli spunti tratti dalla grande lirica di Saffo,
in particolare nell’analisi della sintomatologia amorosa, e dall’elegia eroti-
ca alessandrina. All’istantaneo innamoramento dei protagonisti tien dietro una
serie di condizioni psicofisiche rappresentate attingendo al bagaglio dei topoi
dell’eros-passione o dell’eros-malattia codificati nella lirica arcaica ed ellenisti-
ca. Prima c’è lo charme irresistibile e ipnotico dei due giovani, poi l’infatuazione
fatale, repentina e incoercibile. Seguono talora la paralisi della mente e del corpo
fino all’afasia di saffica memoria, oppure l’insonnia, la consunzione fisica per
l’indicibile struggimento o altre condizioni patologiche riconducibili alla sin-
tomatologia del languore (inappetenza, tremito, annebbiarsi della vista, sbalzi
d’umore, improvvisi rossori e pallori, ecc.). Ecco i segni della sindrome amorosa
in Cloe:
Non riusciva a capire quel che le succedesse, la giovinetta allevata in campagna
e che non aveva mai sentito neppure pronunziare da altri la parola «amore»:
Una malinconia grande le stringeva il cuore; non era più padrona dei suoi oc-
chi e non faceva che parlare di Dafni. Non si curava di mangiare, la notte non
riusciva a dormire, si disinteressava del gregge: ora rideva, ora piangeva, cedeva
al sonno per balzare subito di nuovo su in piedi, ora era pallida in volto, ora
era tutta una fiamma: cose che non accadrebbero nemmeno ad una giovenca
punta dall’assillo. Una volta, trovandosi da sola fece press’a poco queste rifles-
sioni: «Ora sono malata sì, ma quale sia il mio male lo ignoro: provo dolore,
eppure non ho ferita; sono triste, eppure non ho perso nessun capo del gregge;
avvampo, eppure sto seduta sotto un’ombra tanto fitta. Quante spine spesso mi
punsero, eppure non piansi; quante api mi trafissero col pungiglione, eppure
seguitai a mangiare: certo questo che ora tormenta il mio cuore è cosa ancor
più pungente di tutte quelle».
(I 13-14, tr. di G. Balboni)
La poesia pastorale Al modello teocriteo si avvicinano Gli amori pastorali di Dafni e Cloe, che con-
taminano il genere romanzesco e quello bucolico, e rappresentano il primo di una
serie di romanzi pastorali che si susseguono nella letteratura occidentale. Enorme
è la suggestione esercitata nei secoli dal romanzo di Longo su letterati e artisti:
da Boccaccio a Sannazzaro, da Saint-Pierre a Rousseau, da Annibal Caro che ne
diede una celebre traduzione a Goethe – che affermò che ci vorrebbe un libro
intero per enumerare i pregi del Dafni e Cloe – e, fuori dell’arte della parola, a
Corot e Ravel. Del genere pastorale il romanzo di Longo possiede tutti i tratti
distintivi. Si tratta di un codice che passerà immutato alla poesia rinascimentale
e costituirà un filone importante della letteratura (e della musica) europea fino a
tutto il Settecento.
C’è il «semiprimitivismo» (vita allo stato di natura, a mezza via tra natura e
10 DOSSIER: L’AVVENTURA DEL ROMANZO
civiltà) dei protagonisti allevati sotto gli auspici di una nutrice benefica, la
natura. C’è la lode della semplicità agreste implicitamente contrapposta all’ar-
tificiosità cittadina. C’è la pace, la serenità, la fruizione armonica e appagante
della natura, che, come in questo passo, ha caratteri edenici e riecheggia fedel-
mente i sentimenti e il canto del pastore, in un rapporto di reciproca e totale
sintonia:
Era l’inizio della primavera e tutti i fiori erano in pieno rigoglio: quelli delle
selve, quelli dei prati e quanti ve ne sono sui monti; e già per tutto era un
ronzare di api, un cinguettar di uccelli canori e un ruzzare festoso dei piccoli
nati del gregge: gli agnelli saltellavan pe’ monti, sui prati ronzavano le api, per
le selve cantavano gli uccelli. Mentre dunque tanta letizia della stagione per
Miniatura bucolica dal
tutto si spandeva, i due giovinetti, nella freschezza dell’età, tutto quel che udi-
Codex Vergilius Romanus vano e vedevano si davano ad imitare: sentendo cantare gli uccelli, anch’essi
(Cod. Vat. lat. 3867) del cantavano, vedendo saltare gli agnelli, anch’essi agilmente saltavano, e, per
V secolo d.C. Biblioteca
Apostolica Vaticana. imitare le api, coglievan fiori, de’ quali alcuni si ponevano sul petto, altri,
intrecciandoli in piccole corone, portavano
in dono alle Ninfe. Siccome avevano i pascoli
vicini, i due ragazzi facevano tutto in comu-
ne. Sovente Dafni riportava alla disciplina del
gregge le pecore sbandate; sovente Cloe allon-
tanava dai precipizi le capre troppo ardimen-
tose; e già era accaduto che l’un d’essi badasse
a tutt’e due i greggi, mentre l’altro s’indugiava
in trastulli. Ed erano trastulli da pastori e da
ragazzi: Cloe raccoglieva ramoscelli d’asfode-
lo da qualche parte d’una palude e ne intesse-
va gabbiette per grilli e, tutta presa in questo
lavoro, perdeva di vista le sue pecorelle; Dafni
tagliava sottili canne, le forava nei tramezzi
tra nodo e poi, unitele insieme con molle ce-
ra, s’esercitava fino a notte a modulare motivi
di zampogna. Talora mettevano in comune il
latte e il vino e si spartivano le provviste che si
erano portati da casa. Sarebbe stato più facile
trovar separate pecore e capre, che non Dafni
e Cloe.
(I 9-10, tr. di G. Balboni)
Il manierismo C’è, forse, anche l’allegorismo tipico della poesia pastorale, infatti il romanzo ha
avuto interpretazioni in chiave misticheggiante, come allegorizzazione di espe-
rienze misteriche o di Pan o di Eros o di Dioniso. C’è soprattutto la centralità
dell’eros, visto come graduale presa di coscienza del desiderio sessuale nell’ani-
mo dei protagonisti: «L’evolvere della coscienza erotica nell’anima e nei sensi,
la ricerca psicologica e fisiologica dell’appagamento in un regno primordiale ove
DOSSIER
l’istinto trova le sue vie più schiette e più trepide, avide e pudiche, spregiudicate
e ingenue, è intuizione geniale» (F.M. Pontani). C’è infine il manierismo lette-
rario proprio di questo genere, sempre incline all’artificio. Si veda come questa
IMITAZIONE DI MODELLI CLASSICI 11
descrizione dell’antro in cui Cloe neonata è stata allevata da una pecora riprodu-
ca lo schema topico del locus amoenus:
C’era una grotta sacra alle Ninfe, un roccione enorme, profondamente scavato
all’interno, rotondo al di fuori. V’erano scolpite in pietra le statue delle Ninfe
stesse, nudi i piedi, nude le braccia fino alle spalle, sciolte le chiome spioventi
sulla cervice, stretta alla vita una cintura, ridente il ciglio: tutta la figurazione
s’armonizzava in una danza di tripudianti fanciulle. L’imboccatura della grotta
costituiva esattamente il centro della gran massa di roccia. Una vena d’acqua
sorgiva, zampillando dalla fonte, dava origine ad un ruscelletto, che si riversava
sul piano, sì che davanti all’antro si stendeva un amenissimo prato d’erba folta
e tenera, dal fresco umore alimentata. Pendevano dalle pareti secchi, flauti obli-
qui, zampogne e zufoli, doni votivi di antichi pastori.
(I 3, tr. di G. Balboni)
L’epistolografia
Lettere di fantasia
N ata nelle scuole di retorica, dove la composizione di lettere fittizie tra perso-
naggi immaginari o mitici o storici era un esercizio consueto, l’epistologra-
Eros e gamos
L’eros come motore
narrativo P rima di tutto c’è l’amore che avvampa improvviso e travolgente dei due innamo-
rati. Nella dinamica narrativa l’amore si esplica in forme topiche, in situazioni
ricorrenti, ad esempio il momento dell’innamoramento: per lo più un colpo di ful-
mine, cui segue l’afasia di saffica memoria. La centralità dell’elemento sentimen-
tale è sottolineata dalla particolare designazione pathos erotikón con cui Caritone
chiama l’opera sua. Dopo l’innamoramento viene la separazione con la serie infi-
nita degli ostacoli (guerre, decessi presunti, naufragi e agguati pirateschi, boschi
popolati di briganti, prigionie, processi, intrighi erotici) che rimandano il lieto fine,
obbligatorio, del ricongiungimento e del matrimonio. Dunque, il motore narrativo
è l’eros, inteso però non come breve e bruciante passione, ma come sentimento
casto, totale e definitivo, che si sublima nel legame matrimoniale (gamos). Ecco la
gioia subitanea di Calliroe all’improvviso annunzio delle nozze con Cherea:
DOSSIER
Calliroe riconoscendo l’amato, come la luce di una lampada che, mentre va spe-
gnendosi, al versarvi dell’olio sfolgora di nuovo, si fece più animata e più bella!
(I 1, 15)
I CONTENUTI DEL ROMANZO ANTICO 13
Negatività È considerato negativamente l’amore aggressivo e libidinoso, come quello di
dell’amore libidinoso Tersandro che, nel romanzo di Tazio, dal corteggiamento passa alle minacce e
alle percosse ai danni di Leucippe che lo respinge:
Sentendo queste parole, Tersandro non fu più in sé: amava ed era furioso.
L’amore e l’ira sono due fiaccole: anche l’ira infatti ha un altro fuoco, contrario
per natura a quello dell’amore ma simile per violenza. L’uno infatti spinge ad
odiare, l’altro costringe ad amare, e le sorgenti del fuoco sono vicine, l’una nel
fegato, l’altra nel cuore. Quando tutt’e due insieme prendono un uomo, la sua
anima diventa una bilancia dove sui due piatti c’è il fuoco dei due, e combat-
tono per chi pesa di più: la maggior parte delle volte prevale l’amore, purché il
desiderio venga soddisfatto; ma se la persona amata lo disprezza, l’amore stesso
chiama in suo aiuto l’ira, la quale, da buon vicino, dà ascolto alla chiamata,
e insieme accendono il fuoco. Ma una volta che l’ira abbia preso presso di sé
l’amore, e lo abbia deviato dalla sede sua propria, essendo per natura infida,
non combatte assieme all’alleato per il soddisfacimento del suo desiderio, ma
lo riduce in servitù come schiavo del desiderio, e se vuole riconciliarsi con la
persona amata, non glielo consente. Sommerso dall’ira l’amore affonda, e se
anche desidera tornare alla condizione di prima, non è più libero di farlo, ed è
costretto ad odiare l’oggetto del suo affetto. Peraltro quando l’ira gorgogliando
ha raggiunto il colmo e per l’eccesso trabocca, viene indebolita dalla sazietà e
indebolendosi si allenta: a quel punto l’amore va alla riscossa, arma il desiderio
e sconfigge l’ira, che ha cominciato a sonnecchiare. E considerando le offese
che nella sua ubriacatura ha fatto alla persona amata, se ne addolora e se ne
scusa con lei, e la invita a fare la pace, promettendo di placare l’ira col piacere.
Se ottiene il suo scopo diventa mite, ma se invece è disprezzato, sprofonda nuo-
vamente nell’ira, la quale si sveglia dal suo sonno e torna a comportarsi come
prima. Dell’amore disprezzato, l’ira è infatti alleata.
(V 19, tr. di G. Paduano)
Invece Anzia, nelle Efesiache, finita nelle mani del tenutario di un bordello o
obbligata a vendere il proprio corpo, difende la castità – quanto mai insidiata in
una simile condizione – con l’astuzia. Si finge epilettica:
Dopo un po’ di tempo il lenone che aveva comprato Anzia la costrinse a esporsi
nel bordello: la abbigliò con un bel vestito e molto oro e la accompagnò alla
porta. Anzia piangeva forte dicendo: «Ahimè infelice, non bastano le disgrazie
di prima, la prigionia, i pirati, devo anche essere costretta a prostituirmi?» […]
Come arrivò e fu messa in mostra, si rovesciò una folla di uomini ammirati della
sua bellezza e moltissimi erano disposti a pagare per lei. Disperata, Anzia trovò
un modo per sfuggire: si lasciò cadere a terra abbandonata, mostrando i sintomi
di quella che viene chiamata malattia sacra. Da parte dei presenti ci fu allora
compassione e paura: non desideravano più far l’amore con lei, ma piuttosto
soccorrerla.
(V 7, tr. di G. Paduano)
Nel finale felice delle Efesiache i due protagonisti si rassicurano della reciproca
fedeltà:
«Sono rimasta pura perché ho escogitato ogni sorta di espedienti per salvare
la mia castità. E tu Abrocome, sei rimasto casto, oppure qualche altra bel-
la donna mi ha esautorata? Qualcuna ti ha costretto a dimenticare Anzia
e i tuoi giuramenti?». Così diceva baciandolo continuamente e Abrocome
rispose: «Ti giuro in nome di questo giorno tanto desiderato, che con tan-
ta fatica abbiamo ottenuto, che nessun’altra ragazza mi è piaciuta. Ritrovi
Abrocome come lo hai lasciato in prigione a Tiro». Per tutta la notte si ras-
DOSSIER
Disinteresse Se il matrimonio rappresenta la meta agognata del romanzo greco, la vita matri-
per la vita moniale non sembra rivestire alcun interesse narrativo. Col matrimonio si con-
dopo il matrimonio
clude la vicenda. Anche il valore della maternità e della paternità è secondario.
Molto probabilmente dopo l’happy end la coppia avrà dei figli, ma questi non
compaiono.
Un tale disinteresse per la dimensione borghese della vita nel genere letterario
più borghese che ci sia non deve stupire. Anche dei promessi sposi Renzo e Lucia
non è descritta la routine matrimoniale, né vediamo i bambini giocare. Manzoni
dice solo, nell’ultima pagina del romanzo, che nasce una bambina e aggiunge
sbrigativamente: «ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’al-
tro sesso». La spiegazione più ovvia è che col matrimonio cessano le avventure
e si arresta la macchina narrativa. Ma c’è una spiegazione più profonda, legata
alla natura individualistica del genere romanzo, come ci dice un romanziere con-
temporaneo:
Ci sono molti romanzi che terminano con un matrimonio, ma forse credo di
avvicinarmi di più alla verità segreta dell’arte del romanzo se dico che essi fini-
scono prima che i protagonisti possano diventare genitori. Questa non fertilità
non è dovuta all’intenzione cosciente dei romanzieri; è lo spirito del romanzo
(o il suo subcosciente) che prova ripugnanza nei confronti della procreazione.
Il romanzo è nato in tempi che hanno fatto dell’individuo il «fondamento di
L’avventura e il meraviglioso
Un tratto
del romanzo
d’ogni tempo
L e avventure si legano all’amore, sia nel senso che vengono affrontate in vista
del ricongiungimento finale, sia nel senso che assai spesso uno dei motori
dell’azione, generatore di suspense, è proprio il desiderio di sapere come l’eroina
potrà salvaguardare, tra le mille insidie, la propria verginità. Ma l’avventura ha
anche un valore narrativo autonomo, è forse il tratto maggiormente caratterizzan-
te del «romanzesco» di ogni tempo; infatti accomuna al romanzo antico quello
16 DOSSIER: L’AVVENTURA DEL ROMANZO
cavalleresco medioevale, il moderno romanzo d’avventura e, in minor misura,
quello realistico ottocentesco. L’avventura – che consiste in una serie di imprese
individuali affrontate dal protagonista costretto ad allontanarsi dal luogo in cui
si trovava all’inizio della narrazione – può avvenire nella foresta, nel mare, nella
giungla o nel deserto, nella città straniera e tentacolare (come nei moderni ro-
manzi d’azione e di spionaggio),
nello spazio cosmico come nei
romanzi di fantascienza. Le im-
prese di Alessandro toccano tutti
questi spazi simbolici, dalla fo-
resta alle profondità marine, dal
deserto al cielo.
Lo spazio aperto Nel romanzo greco (e latino) lo sfondo più comune è il mare. Comunque si tratta
sempre di uno spazio aperto, privo di vie tracciate, nel quale si procede a caso e si
giunge quasi sempre dove non si voleva, si incontrano la persone sbagliate e non
quella che si sta cercando. È uno spazio costellato di mille insidie, imprevisti,
meraviglie. È labirintico, dunque ingannevole, ed in esso si rimane imprigionati,
costretti a un moto ricorsivo che riconduce sempre al punto di partenza. Di ciò è
possibile rendersi conto anche solo leggendo le trame dei romanzi greci.
Le avventure come Le peripezie e gli ostacoli, soprattutto quando sono affrontati da giovani, posso-
iniziazione no configurarsi come «prove» di un’iniziazione, che si conclude con la reintegra-
zione dell’individuo nel gruppo. A proposito delle trame della commedia – assai
simili a quelle del romanzo greco – si è pensato che alcuni elementi ricorrenti
(rapimento, esposizione, morte apparente, riduzione in schiavitù, agnizione fi-
nale, matrimonio) siano simboli del passaggio dall’adolescenza alla condizione
adulta. Si tratta di un’interpretazione il cui primo fondamento sta negli studi di
Propp. Il quale, enucleati gli elementi narrativi della fiaba (funzioni), mostrò
come questi corrispondessero a fasi di un rito di iniziazione tribale: alla man-
canza corrisponde lo stato sociale incompleto del ragazzo; all’allontanamento,
l’uscita dalla casa dei genitori; al rapimento o vendita, i riti del trasferimento; al
bosco animali), i celebranti con maschere di animali; all’uccisione del mostro
(o neutralizzazione di un antagonista), il superamento delle prove; al palazzo
incantato, il soggiorno nella «casa degli uomini»; al premio, il ritorno alla tribù
in condizione di adulto.
DOSSIER
L’happy end Il finale culminante nel matrimonio conclude la serie delle avventure e rappre-
senta il termine oltre il quale il romanzo non potrebbe procedere.
I CONTENUTI DEL ROMANZO ANTICO 17
Il meraviglioso Accanto all’avventura c’è il meraviglioso, l’incredibile, l’utopico rappresentato
dal Romanzo di Alessandro anche nelle sue riscritture medioevali e dalla Storia
vera di Luciano, esempio di letteratura fantastica antica confrontabile col fantasy
di ambientazione medioevale e la moderna fantascienza.
Per una conoscenza del romanzo fantastico antico è certamente grave la perdita
delle Meraviglie al di là di Tule di Antonio Diogene, che in un crescendo mi-
rabile conduceva il lettore dalle regioni nordiche alla luna (come accade anche
nella Storia vera) al di là dei confini, già fantastici (l’ultima Tule), del mondo
esistente.
Il caso
O ltre all’eros e all’avventura c’è un terzo motore dell’azione, che è il Caso
(Tyche), la fortuna malevola e capricciosa che innesca e complica le infinite
peripezie dei protagonisti, dissemina ostacoli, moltiplica a dismisura le situazio-
ni di pericolo. Il potere del caso è illimitato, accresciuto dalla «decontestualizza-
zione » dei personaggi. Questi sono in condizione di perenne disorientamento,
immersi in un mondo ignoto ed estraneo, in cui si trovano ad agire sempre per
la prima volta. Ne deriva l’impossibilità di prevedere razionalmente gli eventi in
base all’esperienza o all’analisi razionale. Il futuro non è mai ipotizzabile, al più
è presagibile attraverso sogni premonitori o oscuri segnali del destino: non c’è
romanzo greco in cui manchino descrizioni di sogni, anzi in molti di essi questi
sono il mezzo indispensabile al progredire dell’azione narrativa. Lo strapotere
della Tyche, che vanifica l’agire umano provocando eventi imprevedibili, è un
tratto che il romanzo condivide con la commedia e con la tragedia.
Paesaggio Anche i riferimenti geografici a luoghi reali e noti non modifica l’atmosfera fia-
e ambiente umano besca. Le vicende si svolgono in Grecia, Persia, Fenicia, Egitto, ma non han-
no alcun legame con questi luoghi. Ciò che accade in Egitto potrebbe accadere
in qualsiasi altro posto. Il mare è lo spazio privilegiato delle avventure, come
nell’Odissea, ma è uno spazio quasi vuoto, che vale soprattutto per la funziona-
18 DOSSIER: L’AVVENTURA DEL ROMANZO
lità assunta in rapporto alla vicenda di separazione e ricongiungimento: è essen-
zialmente l’elemento di separazione dei promessi o novelli sposi. I quali peraltro
non svolgono mai un lavoro, non hanno impegni sociali di alcun genere, non
praticano culti cittadini, non invocano divinità della loro città o patria, ma solo le
grandi divinità ellenistiche come Iside o il Sole.
Alla genericità dello sfondo, storico e paesaggistico, corrisponde la scarsa o nulla
capacità di approfondimento dei personaggi, per lo più male disegnati e stereoti-
pi, almeno nei romanzi della prima fase. Inesistente è pure, nell’atmosfera rare-
fatta e aristocratica in cui si muovono i personaggi, ogni riferimento ad esigenze
economiche, al lavoro, a impegni di carattere sociale.
La suspense
Un tratto tipico
del genere U na caratteristica comune al romanzo antico e al romanzo moderno è la ricerca
di suspense, che è lo stato di tensione ansiosa provocato nel lettore dall’in-
treccio avventuroso di una vicenda complicata, di cui non si riesce a prevede-
re l’esito. La suspense non è solo tipica del «giallo», ma è una caratteristica
formale del «modo romanzesco»: dal romanzo greco a quello medievale, nel
quale l’entrelacement interrompeva un’avventura per intrecciarla con un’altra,
fino al romanzo d’appendice, che appariva a puntate sui quotidiani lasciando
il lettore col fiato sospeso proprio sul più bello (in modo che acquistasse la
puntata seguente).
L’esempio Un esempio notevole di suspese nel romanzo greco è rappresentato dalle Etio-
delle Etiopiche piche di Eliodoro. Scrive Massimo Fusillo: «L’incipit non solo racconta eventi
che appartengono al centro della storia, ma lo fa occultando al massimo l’infor-
mazione narrativa. Con uno splendido effetto di suspense il lettore è chiamato a
ricostruire lentamente il senso di questa enigmatica scena iniziale in cui i perso-
naggi sono ancora anonimi: un mistero che dura fino alla metà del romanzo» (M.
Fusillo, Lo spazio letterario della Grecia antica, Sellerio Editrice, Roma, 1994,
t. I, vol. III, pp. 256 ss.).
I personaggi
Belli ma scialbi BI protagonisti sono giovani di ceto elevato, bellissimi, dotati di grande carica se-
duttiva. Mentre Calliroe fa il bagno nuda, «la sua pelle brilla lasciando come uno
scintillio e la sua carne è tenerissima » (II 2). Il suo fascino abbaglia le schiave,
che fissano attonite quella bellezza straordinaria. Avvenenza a parte, si tratta in
genere di creature scialbe, astratte, stereotipate che, come nella moderna lette-
DOSSIER
FORTUNA LETTERARIA
Caritone
Amori di Cherea
e Calliroe I l più antico fra i romanzi greci a noi pervenuti integralmente attraverso la
tradizione manoscritta medievale, gli Amori di Cherea e Calliroe (Τὰ περὶ
Χαιρέαν καὶ Καλλιρόην ἐρωτικὰ διηγήματα), in 8 libri, è da collocare, vero-
similmente, grazie al contributo dei papiri, nel I secolo d.C. L’autore, Caritone
(Χαρίτων) di Afrodisia (in Caria), fu scrivano – come egli stesso ci informa – di
un retore di nome Atenagora.
La vicenda ruota intorno a Calliroe, bellissima siracusana figlia di Ermocrate (lo strate-
trama
go che aveva contrastato vittoriosamente gli Ateniesi nel 415-413 a.C.), la quale nella
prima fase dell’opera va in sposa a Cherea (i due si sono innamorati durante una festa
sacra ad Afrodite), nonostante i dissapori fra le rispettive famiglie. In seguito, reso
folle di gelosia dalle maligne insinuazioni di un pretendente deluso di Calliroe, Cherea
percuote la sposa che, caduta a terra priva di sensi, viene creduta morta e pertanto se-
polta con preziosi ornamenti, salvo risvegliarsi giusto in tempo per essere rapita da una
banda di pirati profanatori di tombe e poi venduta schiava a un ricco vedovo signore di
Mileto di nome Dionisio, che di lei si innamora e vorrebbe sposarla. Si apre così una
serie di avventure che vedono da una parte la ricerca affannosa della sposa da parte di
Cherea, dall’altra le peripezie della giovane, agognata per la sua prodigiosa bellezza
da uomini sempre più potenti, fino al re di Persia Artaserse II. Proprio una ribellione
egiziana contro quest’ultimo favorisce lo scioglimento della vicenda, col ricongiungi-
mento della coppia.
Schema narrativo La narrazione, calata con molta approssimazione nella Siracusa della seconda
odissiaco metà del V secolo a.C. ma ben presto attratta irresistibilmente verso l’Oriente,
segue uno schema, chiaramente modellato sull’Odissea, per cui si raccontano
dapprima le vicende di Calliroe, poi quelle di Cherea, infine quelle dell’uno e
dell’altra ormai vicini; e con l’adozione di questo modello narrativo appare con-
gruente l’inserzione di numerose citazioni omeriche.
IL ROMANZO GRECO
Tra stereotipi Anche se le figure dei protagonisti appaiono costrette negli stereotipi del genere,
e felici e anche se sulla caratterizzazione prevale il gusto per i colpi di scena, alcune
caratterizzazioni
figure collaterali risaltano con felice rilievo: Dionisio, il ricco milesio, che si
rassegna a vedersi privato di Calliroe; l’eunuco Artaxate, scaltro come un servo
della Commedia Nuova; Rodogune che, accorgendosi (lei bellissima fra le donne
di Persia) di essere inferiore a Calliroe, entra nel carro coperto della rivale per
T. 1 sottrarsi agli sguardi della folla.
I ROMANZI DEL FILONE AMOROSO 21
MEMORIA LETTERARIA
Metioco e Partenope
La dimensione storica (sia pure di una storia tanto antica da prestarsi a diventare quasi mitica) caratterizza
i frammenti papiracei del Metioco e Partenope (ambientato nella Samo di Policrate, tiranno dell’isola dal
538 al 522 a.C. L’opera fu composta probabilmente nel I secolo d.C. Ne possediamo alcuni frammenti su
papiro (P. Berol. inv. 7927, 9588 e 21179; P. Oxy. 435; P. Bodl. 2175) da cui possiamo arguire che Metio-
co, dopo aver ironizzato sulla tradizionale iconografia di Eros arciere ed essersi dichiarato immune dalla
passione amorosa, doveva essere punito dal dio, che lo faceva innamorare di Partenope (a cui fra l’altro
Metioco inviava un’ardente missiva).
Senofonte Efesio
Vaghe coordinate
cronologiche S enofonte (Ξενοφῶν) Efesio, autore delle Efesiache (Ἐφεσιακά), in 5 libri,
è stato collocato nelle più varie epoche fra il II e il V secolo d.C., ma oggi si
conviene di collocarlo verso la metà del II secolo d.C. Un probabile terminus ante
quem è il 263 d.C., anno della distruzione ad opera dei Goti dell’Artemisio di Efe-
so, che viene analiticamente descritto nel romanzo di Senofonte; inoltre in II 13,
22 IL ROMANZO GRECO
3 c’è un riferimento all’irenarca di Cilicia: la magistratura fu istituita da Adriano,
imperatore dal 117 al 138, e questo sarebbe dunque il terminus post quem. Non
conosciamo nulla della sua vita, neppure se il nome sia reale e se l’appellativo
«Efesio» si riferisca alla sua patria o sia stato desunto dal titolo dell’opera.
trama Le Efesiache hanno per tema gli amori e le disgrazie di due giovani sposi, Anzia e
Abrocome, che, separati l’uno dall’altra per la cattura ad opera dei pirati della nave su
cui viaggiavano da Efeso verso l’Egitto, si mantengono fedeli attraverso innumerevoli
disavventure (fra cui la schiavitù) fino all’immancabile lieto fine.
Una probabile La concisione paratattica e la mediocrità dello stile con cui si susseguono le
epitome avventure rendono verosimile l’ipotesi che si tratti di un’epitome, tanto più che
nella Suda [ξ 50] si legge che le Efesiache erano in 10 libri.
Il nesso fra trama Una novità è rappresentata da un nesso fra trama e personaggi per cui la salvezza
e personaggi sembra spesso dipendere, più che dal gioco del caso, dalle risorse d’ingegno dei
protagonisti (ad es. quando Anzia, finita in un postribolo di Taranto, inscena un
attacco di epilessia) o dalla loro pietas (come quando Abrocome, condannato
al rogo, supplica il Nilo, cosicché, quando è già stato collocato sulla pira, il dio
fluviale spegne la fiamma).
Achille Tazio
Vaghi indizi
cronologici A nche per Achille Tazio (Ἀχιλλεὺς Τάτιος: Τάτιος dal dio egizio Thot) di
Alessandria, autore delle Avventure di Leucippe e Clitofonte (Τὰ κατὰ
Λευκίππην καὶ Κλειτοφῶντα), in 8 libri, i ritrovamenti papiracei hanno con-
tribuito a mutare la cronologia, che un tempo si faceva oscillare fra III e V secolo
e che oggi si tende a fissare intorno al II secolo d.C. Come ad Eliodoro, anche ad
Achille Tazio fu attribuita una sospetta adesione al cristianesimo (sarebbe stato
addirittura vescovo), secondo una tendenza a legittimare i più popolari romanzie-
ri tramite il rapporto con la religione cristiana.
che raffigura il ratto di Europa, un giovane, appunto Clitofonte di Tiro, che gli narra la
propria storia quale esempio della potenza e capricciosità di Eros. La coppia di innamo-
rati, separata dalla sorte avversa e dalla malvagità umana, si riunisce alla fine e celebra le
nozze. Ma le avventure sono più complicate e più strane del solito – la storia comprende
IL ROMANZO GRECO
rapimenti, fatti di sangue e venefici, filtri che trascinano alla pazzia, torture, ordalie, mi-
racoli, morti apparenti – e almeno il protagonista maschile appare meno idealizzato dei
suoi colleghi di genere: si lascia irretire da una ricca vedova di origine efesina (Melite), fa
poco o nulla per salvare l’amata e si propone in sostanza come un debole, ludibrio costan-
te della sorte (anche in contrasto con la propensione di Leucippe ad agire razionalmente).
Atticismo formale La dizione atticista orna di grazia manierata (una «semplicità» ottenuta col ricor-
so ai più scaltriti espedienti) sia la narrazione degli eventi sia una serie di percorsi
I ROMANZI DEL FILONE AMOROSO 23
laterali (descrizioni di opere d’arte, di città, di processioni sacre, citazioni di miti
e di favole, disquisizioni erudite su piante e animali), che finiscono spesso per
T. 2 confinare i personaggi sullo sfondo.
Longo Sofista
Autore ignoto
di una vicenda
celebre
A Longo (Λόγγος), noto correntemente come Longo Sofista (secondo un epi-
teto attribuitogli nel 1601) la tradizione manoscritta attribuisce il romanzo
pastorale in quattro libri Dafni e Cloe o, più precisamente, Vicende pastorali di
Dafni e Cloe (Ποιμενικὰ τὰ κατὰ Δάφνιν καὶ Χλόην). Di lui sono incerti sia
il luogo di nascita (che potrebbe essere Lesbo, vista la cura con cui nel romanzo
sono descritti particolari dell’isola che presuppongono una conoscenza diretta)
sia la cronologia (gli svariati tentativi di datazione lo hanno collocato in quasi
tutti i secoli fra il II e il VI d.C.; oggi si propende per il II-III secolo d.C.).
Due fanciulli abbandonati nella campagna di Mitilene e allattati l’uno da una capra,
trama
l’altra da una pecora, vengono raccolti da due pastori, Lamone e Driante, che danno ai
trovatelli nomi pastorali: Dafni e Cloe. I due fanciulli crescono insieme: divenuti ado-
lescenti, avvertono inconsapevolmente l’insorgere di un reciproco sentimento d’amore;
poi, presa coscienza delle proprie emozioni (l’uno ricevendo un casto bacio di Cloe,
l’altra vedendo il giovinetto lavarsi nudo nel fiume), si giurano eterna fedeltà. Dopo
varie vicende (fra cui il rapimento di Cloe insieme col suo gregge ad opera di un gruppo
di marinai di Metimna, che per altro ben presto la rilasciano in seguito all’intervento del
dio Pan) Dafni viene istruito da una donna sposata, Licenio, nell’arte di amare. Muove
quindi alla ricerca di Cloe, che nel frattempo è stata destinata dai genitori adottivi a un
ricco pretendente. Alla fine i due giovani non solo si ritrovano ma vengono raggiunti
dai rispettivi genitori (ambedue benestanti): così possono coronare con le nozze il loro
amore, preferendo all’agiata vita cittadina che si aprirebbe dinanzi a loro il mondo pa-
storale in cui sono cresciuti.
La fortuna Questo romanzo, che si contraddistingue per la riduzione ai minimi termini delle
del romanzo bucolico peripezie e dei motivi caratteristici del genere, eserciterà influssi molteplici sulla
letteratura europea soprattutto per la sua ambientazione bucolica: dall’Arcadia
di Jacopo Sannazaro al Pastor fido di G.B. Guarini, dall’Ermanno e Dorotea di
Goethe a Paul et Virginie di J.H. Bernardin de Saint-Pierre.
Un altro prologo Colpisce innanzi tutto la finzione dell’esordio consistente nel richiamare come
ecfrastico ispiratrice del romanzo un’opera pittorica, quasi esplicitando (Proemio, 1-2) quel
IL ROMANZO GRECO
parallelismo, che abbiamo incontrato in Achille Tazio, fra il ratto di Europa raf-
figurato su un dipinto e la vicenda di Clitofonte e Leucippe:
[1] Ero a caccia nell’isola di Lesbo e in un boschetto sacro alle Ninfe si presentò
al mio sguardo lo spettacolo più bello che avessi mai visto: immagini dipinte,
una storia d’amore. Il boschetto era incantevole, con tanti alberi, tanti fiori: lo
irrigava una sorgente che da sola alimentava tutto, sia i fiori sia gli alberi; però
quella pittura procurava maggior diletto, non solo per l’alto livello artistico della
24 IL ROMANZO GRECO
figurazione, ma anche per il carattere erotico della vicenda avventurosa. Molti
visitatori, anche stranieri, incuriositi dal gran parlare che si faceva di quell’ope-
ra d’arte, andavano lì col pretesto di adorare le Ninfe, in realtà per osservare il
quadro. [2] In esso c’erano donne in atto di partorire ed altre che avvolgevano
in belle fasce i loro piccini: vi erano poi bambini abbandonati, animali che li
allattavano, coppie di giovani che si scambiavano promesse d’amore, pirati che
facevano un’incursione, nemici che attaccavano in forze.
[Tr. di R. Di Virgilio]
«Possesso perenne Dall’osservazione del dipinto rupestre nasce nell’«io» narrante il desiderio di
piacevole» realizzarne una trascrizione letteraria (ἀντιγράψαι): perciò egli va in cerca di un
cicerone che gli illustri quelle immagini e, trovatolo, elabora i suoi quattro libri
dedicandoli ad Eros, alle Ninfe e a Pan, con la speranza che l’opera riesca un
«piacevole acquisto per tutti gli uomini» (κτῆμα ... τερπνὸν πᾶσιν ἀνθρώποις).
Se Achille Tazio, come abbiamo visto, abbozzava il recupero di una poetica della
letteratura come «pittura parlante», e dunque come suscitatrice di quelle emozio-
ni immediate e sensibili che l’occhio più che l’orecchio è solito destare, Longo
vi aggiunge un ammiccante riferimento a Tucidide, che aveva proclamato che la
propria opera sarebbe stata «un acquisto per sempre»: «acquisto» (κτῆμα) nel
senso dell’utilità militare e politica, mentre Longo precisa che il suo è un acqui-
sto «piacevole» (τερπνόν), in quanto «guarirà chi è malato d’amore, consolerà
chi è afflitto, a chi è stato innamorato rammenterà le esperienze già fatte, inizierà
alle arti amorose chi non le conosce».
Pittura e manierismo E la dimensione pittorica proposta nel prologo trova un puntuale correlativo alla
campestre fine del romanzo allorché veniamo a sapere che Dafni e Cloe, ormai destinati a vi-
vere felici e contenti dedicando la maggior parte del loro tempo ad attività pastorali,
abbellirono «con immagini pittoriche» (εἰκόνες) proprio la grotta entro il boschetto
delle Ninfe che era stata richiamata all’inizio dell’opera. Sono dunque gli stessi
pastorelli a proporsi come i primi «autori», attraverso la pittura, della loro storia: un
modo grazioso, in effetti, da parte di Longo per dichiarare l’artificiosità programma-
tica dei propri personaggi prevenendo ogni possibile accusa (che pure non sarebbe
mancata) di manierismo campestre o di inconsistente spessore psicologico.
Eco delle Due dimensioni, quelle del realismo e della psicologia, che non possono orien-
pastorellerie tare la lettura di questo ricamo, fra nostalgico e divertito, sull’arte e sulla lette-
bucoliche
ratura, dove poesia, musica e danza diventano occasioni per un gioco letterario
che ruota intorno al riecheggiamento di antichi generi poetici. Così, ad esempio,
l’agone bucolico viene riplasmato da Longo, attraverso la mediazione della sua
IL ROMANZO GRECO
Mélange di generi: Analogamente, corrono per tutta l’opera allusioni ad altri generi che, nel mo-
threnoi e poesia mento in cui sono richiamati, non vengono riattivati direttamente, nel loro co-
pastorale…
dice poetico originario, ma appaiono come antologizzati e ritrascritti in alcuni
tratti salienti; soprattutto, essi sono dispiegati al lettore nella risonanza emotiva
che suscitano negli attori della vicenda. Ecco allora i pastorelli «allietati da un
colombo selvatico che dal bosco fece loro ascoltare un canto bucolico» (I 27, 1);
ecco il compianto funebre (θρῆνος) per Dorcone (I 31, 4) scandito dagli stessi
troppo umani animali («Si udirono anche lamentevoli muggiti delle vacche e si
videro quelle bestie correre disordinatamente ritmando la loro corsa con quei
muggiti; e come interpretarono pecorai e caprai, questo era il compianto fune-
bre offerto dalle mucche al loro pastore morto»);ecco l’esperto Fileta (probabile
allusione a uno dei padri fondatori della poesia ellenistica,Fileta di Cos) che si
esibisce come virtuoso di musica pastorale (II 35, 4):
...facendo sfoggio di tutti i ritrovati tecnici necessari per gli effetti armonici della
musica pastorale, suonò la zampogna ora come si addice a un armento di buoi,
ora come è utile a un gregge di capre, ora come piace a un gregge di pecore. Il
tono dolce era destinato alle pecore, quello grave era adatto ai buoi, quello acu-
to andava bene per le capre: insomma, una sola zampogna riuscì a riprodurre
il suono di tutte.
[Tr. di R. Di Virgilio]
IL ROMANZO GRECO
…mimi, lamenti Ecco infine il «mimo» danzerino interpretato da Dafni e Cloe e immediatamente
amorosi seguito da un lamento (γοερόν) amoroso dello stesso Dafni (II 37, 1):
...Si alzarono e – novità assoluta – si misero a danzare il racconto di Lamone1.
Dafni mimava Pan, Cloe Siringa: l’uno supplicava Siringa, cercava di sedurla
1. Che aveva raccontato la favola di Siringa, la fanciulla invano inseguita da Pan e trasformatasi nello stru-
mento musicale, tipicamente pastorale, che da lei prese il nome.
26 IL ROMANZO GRECO
con le sue parole; l’altra non lo filava proprio, e rideva. [2] L’uno la inseguiva,
correva sulla punta dei piedi imitando gli zoccoli di un capro; l’altra faceva la
parte di colei che è stanca di correre mentre fugge. Poi Cloe corse a nascondersi
nel bosco come in una palude. [3] Dafni allora prese la grande zampogna di Fi-
leta e intonò il lamento dell’innamorato esprimendo sentimenti d’amore come
per persuadere l’amata e facendo squillare dei richiami come per cercarla. File-
ta rimase strabiliato e si alzò d’impeto per baciare Dafni, e baciatolo gli regalò
la zampogna formulando l’augurio che anche Dafni potesse un giorno lasciarla
a un successore che avesse il suo stesso talento.
[Tr. di R. Di Virgilio]
Struttura musicale Un senso virtuosistico del ritmo che in Longo non si esprime soltanto nelle com-
piaciute allusioni al mondo della musica, della danza, della letteratura, ma nella
stessa strutturazione narrativa di una vicenda che propriamente non segue una
vera progressione ma sembra organizzarsi in «puntate» autosufficienti, fruibili
ciascuna come scansione unitaria all’interno di una partizione che ogni volta
ripercorre i successivi momenti dell’idillio amoroso, dell’ostacolo che irrompe
all’improvviso e dell’idillio ritrovato. Sul tempo rettilineo viene a sovrapporsi
un’organizzazione di tipo musicale o pittorico, la produzione di «cicli» impostati
per «tempi» o «quadri» distinti.
Raffinatezze Insieme con uno stile non meno orientato in senso musicale e in chiave lettera-
da pubblico colto riamente sofisticata, data la sua tendenza a modularsi per brevi periodi gremiti
di risonanze interne e di talvolta recondite allusioni ai testi del passato, questa
struttura narrativa non poteva che indirizzarsi a un pubblico almeno discretamen-
te colto, che proprio in quanto radicato nella vita cittadina doveva sentirsi attratto
da questa nostalgia pastorale suscettibile di essere degustata, a scelta del lettore,
come raffinato esperimento di letteratura o (secondo una definizione di R. Di
Virgilio) come «catechismo erotico per giovani dabbene».
Eliodoro
Una non certa
cronologia N ativo di Emesa in Siria, Eliodoro (Ἡλιόδωρος), che si dichiara fenicio «del-
la stirpe del Sole, figlio di Teodosio», fu autore, forse verso la metà del III
secolo d.C. (ma non è escluso il IV), delle Etiopiche (Αἰθιοπικά), in 10 libri.
Cariclea, figlia del re di Etiopia Idaspe, è stata esposta appena nata perché bianca in
trama
IL ROMANZO GRECO
Biografie romanzate
F ra i testi narrativi di età imperiale che, pur al di fuori del filone del romanzo
d’amore idealizzato, si possono annoverare nell’ambito del genere romanze-
sco (o, più precisamente, della biografia romanzata) hanno un posto di rilievo il
cosiddetto Romanzo di Esopo, la Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato (a cui
abbiamo accennato sopra 000) e il Romanzo di Alessandro.
Il Romanzo di Esopo
Gli Aesopica
TT. 5-8 C iò che a noi è pervenuto in relazione a Esopo (i cosiddetti Aesopica) si riparti-
sce in tre categorie fondamentali:
a) le testimonianze, fra cui quelle che abbiamo ricordato nel volume 1 sul perso-
naggio di Esopo;
b) le favole anonime o di autore noto, in greco o in latino, raccolte in specifiche
collezioni o inserite in diversi contesti letterari;
c) la fittizia biografia di Esopo (Vita Aesopi o Romanzo di Esopo).
detta da Anton Westermann, che la pubblicò nel 1845 sulla una drastica riduzione del racconto, quella di G meno elegante
base del codice Laurenziano conventi soppressi 627), e la Vita ma più ampia (ancora più completa, e insieme stilisticamente
G (dal codice 397 della Pierpont Morgan Library di New York). A più elegante, riesce la redazione offerta dal papiro ossirinchita
queste si è aggiunta nel 1986, per i capp. 107-111, la testimo- 3720). Elemento comune alle redazioni W e G è la presenza di
nianza di un papiro del III secolo d.C. (P. Oxy. 3720) e il P. Oxy. non pochi latinismi, ciò che presuppone una fonte comune non
3331, frr. 1-2 (osservo che il fr. 1, non identificato dall’edi- anteriore al I secolo d.C. – e d’altra parte non posteriore al II/
tore, si riferisce in effetti al cap. 18, come mi ha confermato III secolo, essendo presupposta già da P. Berol. 11628 (che è
Revel Coles), oltre ad altri papiri precedentemente pubblicati stato appunto vergato in quel periodo) – prodotta in Egitto
(su cui cfr. B.E. Perry, Studies in the Text History of the Life and (B.E. Perry, M.W. Haslam) o in Siria (A. La Penna).
BIOGRAFIE ROMANZATE 29
Rielaborazione Al di qua della fonte comune che potrebbe essere alla base delle due redazio-
del materiale esopico ni pervenuteci direttamente e prescindendo dall’episodio desunto dalla storia di
Ahiqar, questo romanzo, tutto giocato sull’escogitazione di battute spiritose da
parte di un servo geniale a spese del suo presuntuoso padrone, rielabora una
lunga tradizione specificamente legata a Esopo. E questa tradizione biografica,
per quanto legata ad altre culture orientali (vedi Lettura critica) ha quei caratteri
«laici» tipici della cultura greca. Ma quali sono questi elementi di una cultura
«laica» nel Romanzo di Esopo?
La scena tipica Innanzi tutto la risoluzione del contrasto, tipico della Commedia Nuova e della
del contrasto palliata romana, fra l’astuzia dello schiavo e la dabbenaggine del suo padrone
nel contrasto tra due forme di filosofia: quella, rudimentale ma concreta, di Eso-
po e quella, aulica e tradizionale, di Xanto. E poi l’irrisione verso forme specifi-
che del sapere religioso o della cultura dominante quali la mantica e la retorica.
Contro mantica e superstizione appare diretto l’episodio narrato nel cap. 77 (re-
dazione G):
Xanto disse a Esopo: «Visto che sono un indovino, esci e guarda se davanti all’an-
ticamera c’è qualche uccello di cattivo augurio. Se vedi una coppia di cornacchie,
chiamami: è un presagio che dà letizia a chi lo vede». Esopo, appena uscito, vede
una coppia di cornacchie ferme dinanzi all’anticamera e, rientrato, dice a Xanto:
«Padrone, per te è il momento buono per uscire: sì, la coppia di cornacchie era lì».
E il padrone: «Bene, andiamo!». Appena Esopo fu uscito una cornacchia si alzò
in volo, e il padrone, facendosi innanzi a sua volta, ne vede una sola e dice: «Ma-
ledetto, non ti avevo ordinato: “Se vedi una coppia di cornacchie, chiamami”? E
tu mi hai chiamato quando hai visto una cornacchia sola?». Allora Esopo: «Una
è volata via». Il padrone: «Hai mancato ancora una volta.
Spogliatelo! Portate le cinghie!». Fu scuoiato a puntino, ma prima della fine
dell’operazione si presentò lo schiavo di un amico di Xanto recando l’invito a
un pranzo. Ed Esopo: «Padrone, mi fai spellare ingiustamente». Xanto: «Perché
accostamenti con la letteratura sapienziale egiziana, babilone- dalla cultura sacerdotale, a volte in contrasto con essa; i sette
se, giudaica (penso soprattutto al libro di Giobbe, le cui ascen- saggi non sono profeti o santi, non si propongono di ravvivare
denze babilonesi sono probabili) sono ovvi, ma, almeno per lo la religione tradizionale o di portarne una nuova: sono maestri
schema di fondo (per singoli elementi, si capisce, le cose stan- di vita, esempi e propagandisti di una nuova etica. Né essi so-
no diversamente), non è certo da pensare a derivazione. E più migliano ad un tipo di filosofo che è di là da venire, cioè al tipo
delle somiglianze contano certe differenze. Nei libri sapienziali del filosofo assorto nella meditazione e nella contemplazione,
egiziani l’elemento narrativo è ridotto per lo più al minimo, indifferente alla vita che intorno a lui si svolge.
all’indicazione del personaggio che tiene le ammonizioni, del A. La Penna, Il Romanzo di Esopo, in «Athenaeum» 40, 1962,
personaggio a cui furono indirizzate, dell’occasione in cui furo- 264-313 (297 s.)
30 IL ROMANZO GRECO
ingiustamente?». Esopo: «Perché dicevi che una coppia di cornacchie è un pre-
sagio bello e lieto. Io due ne ho viste e mentre venivo ad annunciartelo una volò
via. Tu invece sei uscito, ne hai vista una sola e sei stato invitato a una cena. E
io che ne ho visto una coppia sono stato preso a nerbate! Vuol dire che uccelli e
presagi sono cosa vana». Stupitosi anche per questo Xanto, dopo aver detto che
sarebbe andato alla cena, aggiunse: «Lasciatelo, non lo battete più!».
ETTURE CRITICHE
Esempio parodico Ironia contro la retorica attraverso la parodia di un δισσὸς λόγος di tipo sofistico
di δισσὸς λόγος è nell’episodio dei capp. 51-55, dove Esopo, all’ordine di Xanto di cucinare per
un banchetto ciò che vi è di meglio nella vita, prepara una serie di portate a base
di lingua giustificando così la propria scelta (cap. 53, redazione G):
E dunque che cosa c’è di più utile o più grande nella vita? Renditi conto che
ogni filosofia e ogni educazione sono nate grazie alla lingua. Senza la lingua
nulla accade: non si dà, non si prende, non si commercia. E grazie alla lingua si
raddrizzano gli stati, si formulano decreti e leggi.
Un’altra volta, dopo il fallimento del primo banchetto, lo stesso Esopo, visto che
Xanto (convintosi di ottenere coi suoi ordini l’effetto contrario) gli ha ordinato di
cucinare quanto vi è di peggio nella vita, serve di nuovo portate a base di lingua
e si giustifica dicendo (cap. 55, redazione W):
E che cosa c’è di peggio della lingua? A causa della lingua odi, calunnie, censu-
re, liti, invidie, gelosie, distruzioni di città.
…tra oriente Non è allora sorprendente che in essa anche gli antichi ammaestramenti del con-
e occidente sigliere assiro Ahiqar possano convivere con le massime più trite e convenzionali
della tradizione didattica greca. Se infatti i precetti e gli ammonimenti dati da
BIOGRAFIE ROMANZATE 31
Ahiqar al figlio adottivo Nadan nella varie versioni della Storia di Ahiqar (del
resto assai divergenti anche fra loro) appaiono nel Romanzo di Esopo pressoché
completamente rimpiazzate da motti parenetici del repertorio greco, in due casi
riscontriamo invece coincidenze puntuali con le versioni rispettivamente armena
e siriaca del romanzo assiro che ci suonano tanto inconsuete rispetto alla tradi-
zione greca quanto connaturate agli ambienti delle grandi corti orientali.
Il Romanzo di Alessandro
Il frutto di una lunga
tradizione I l Romanzo di Alessandro in tre libri, ci è pervenuto, talora sotto il nome di
Callistene, in varie redazioni1 la cui fonte comune presuppone a sua volta la
fioritura, già a partire dal periodo immediatamente successivo alla morte del Ma-
cedone, di aneddoti e resoconti fantastici collegati alle sue imprese.
La redazione «egizia» Redatta probabilmente da un egizio di Alessandria intorno al III secolo d.C. uti-
lizzando fonti svariate, fra cui epistolari apocrifi e la «leggenda di Nectanebo»,
l’ultimo faraone d’Egitto, questa fonte comune delle nostre redazioni doveva
già mostrare una netta tendenza filoegiziana (Alessandro non è presentato come
figlio di Filippo II ma di Nectanebo, e inoltre si sottolinea come visiti il santuario
di Ammone e a Menfi sieda sul trono di Efesto-Ptah) e un farraginoso assemblag-
gio di materiali di assai diversa qualità storica.
Testimonianza unica, La trattazione appare disorganica e caotica, tanto più a confronto con altre nar-
stilisticamente razioni delle gesta di Alessandro d’età imperiale come quelle di Plutarco e di
farraginosa
Arriano. Il testo è carente anche in termini di cura stilistica e di personalità nar-
rativa: «Dietro le parole non c’è nessuna voce che le parli, non c’è narratore,
né un’arte che detti e organizzi l’opera lasciando una chiara e definita impronta
dei suoi principî. Esiste soltanto il racconto, così incoerentemente “montato”,
ed esistono gli occhi e la mente del lettore che il racconto tenta in vari modi di
incantare» (M. Centanni). Nonostante tutto, però, questa narrazione ha potuto
diffondere anche nell’immaginario culturale bizantino e in quello delle leggende
orientali un’idea tenacemente suggestiva di Alessandro come l’uomo che cerca
costantemente un “oltre”, verso cui muovere con inesauribile tensione, sospinto
sulle orme di Achille da un desiderio di gloria che per fortuna conosce anche le
pause di qualche tratto più disteso, come nella lapidaria ironia nei confronti di
uno degli aspiranti Omeridi che pullulavano nel suo seguito (I 42):
IL ROMANZO GRECO
Esotismo Quella ricerca del lontano e dell’incognito in cui risiede la nota più intensa del
e «meraviglioso» Romanzo si esalta specialmente in due momenti: nella sequenza epistolare in
cui il protagonista narra alla madre
Olimpiade del viaggio compiuto
verso le zone più deserte della Per-
sia e, nel III libro, nella spedizione
T. 9 contro Poro, il re degli Indi.
Come si vede, la narrazione è scheletrica e frammentaria Originario della narrazione sembra tuttavia essere il miscu-
(l’invito a puntare la lancia sul serpente non ha risposta né glio di suggestioni e di banalità, di simbologie cosmiche
sviluppo) anche per l’opera di scorciamento e di sunto che (il disco fra le spire del serpente) e di notazioni terra terra
ha modificato, insieme con le espansioni e le ornamentazio- («Ero più morto che vivo »), di slanci verso l’assoluto e di
ni, le singole versioni rispetto al modello. realistiche retromarce.
Alcifrone
I l principale rappresentante del genere epistolare fu Alcifrone (ΔΑλκίφρων),
vissuto nel II secolo d.C.
Motivi e stilemi Sfrutta l’antico arsenale di motivi legati alla vita quotidiana (la dura esistenza
di contadini e pescatori, le ansie e le risorse dei parassiti, il lusso e le civetterie
delle etere) attraverso variazioni talora felici improntate a un gusto spiccato per
l’elemento curioso e bizzarro. L’effetto d’insieme, che a tratti può richiamare
l’amore per la variazione del contemporaneo Luciano, è suscitato dalla ripetizio-
ne di incidenti, situazioni, motti similari.
«ROMANZI EPISTOLARI»: ALCIFRONE E ARISTENETO 35
Lettera Ecco la lettera di una giovane appena innamoratasi (Glaucippe) alla madre (Ca-
di una innamorata rope) e la replica di costei (I 11-12):
alla madre
Non sto più nella pelle, cara mamma, e non mi passa neppure per la mente di
diventar moglie di quel ragazzo di Metimna, il figlio del nostromo, a cui recente-
mente mio padre mi ha fidanzata. Questo è accaduto da quando ho visto quel gio-
vinetto di città in veste di portatore alla processione; quel giorno che m’invogliasti
a recarmi in Atene in occasione delle Oscoforie. È bello mamma, proprio bello e
tanto garbato! Porta i riccioli più fitti del muschio marino; quando sorride appare
più incantevole del mare in bonaccia, i suoi occhi hanno lo stesso colore azzurro-
cupo che assume la superficie del mare, percossa a primo mattino dai raggi del so-
le! Tu stessa diresti che le Grazie abbiano eletto dimora nelle sue guance dopo aver
lasciato Orcomeno e fatto il bagno nella fonte Argafia. E le sue labbra! È riuscito a
portar via due rose dal grembo di Afrodite e se l’è tinte col loro incarnato.
O mi lasci sposare con lui oppure, imitando il gesto di Saffo di Lesbo, mi getterò
nei gorghi non dalla rupe di Lesbo, ma dagli scogli del Pireo.
Bambina mia, sei impazzita e davvero fuori di te! Ti ci vuole l’elleboro1, ma non
di quello comune bensì di Anticira nella Focide. Invece di mostrarti vereconda
come si addice ad una fanciulla per bene, ti sei liberata di ogni riserbo. Sta cal-
ma e ritorna in te dopo aver scacciato quel malanno dai tuoi pensieri. Se tuo
padre venisse a sapere simili novità, senza riflettere e senza por tempo in mezzo
ti userebbe come esca per pescare i mostri marini.
[Tr. di L. Fiore]
Richiesta di aiuti Ed ecco una pressante richiesta di granaglie da parte di un contadino al collega di
un fondo vicino dopo una rovinosa grandinata (II 3):
La grandine cadendo fitta fitta ha rovinato tutto il nostro raccolto e non si vede
alcun rimedio per scamparci dalla fame. Non c’è nemmeno la possibilità di com-
prare altro grano perché non abbiamo soldi. Sento dire che ti sono avanzate delle
granaglie dell’anno scorso. Ti supplico di darmene venti moggi perché io possa
tirare avanti con mia moglie e i miei figli. Se il raccolto tornerà buono te ne resti-
tuirò la medesima misura e in maggior quantità se l’annata sarà proprio fertile.
Non lasciare che dei buoni vicini, stretti dalla sfortuna, vadano in rovina.
[Tr. di L. Fiore]
Menandro e Glicera Respiro più ampio mostrano alcune lettere quali le due che abbiamo sopra ricordato
fra Menandro e Glicera (IV 18-19), dove, in particolare, l’occasione offerta dall’invito
IL ROMANZO GRECO
indirizzato da Tolomeo I Sotèr al poeta a recarsi in Egitto fa sì che l’amore per la bella
etera (vista come assidua collaboratrice all’allestimento delle sue commedie) si confon-
da e quasi si identifichi con quello per le consuetudini della vita ateniese (IV 18, 4-11):
[4] Quel che ora mi ha spinto a scriverti, qui, dal Pireo, dove sono trattenuto da
un’indisposizione (tu conosci i miei soliti acciacchi, che i miei detrattori imputano
a mollezza e presunzione), mentre tu sei in città per gli Aloa1 di Demetra, è questo:
Aristeneto
A ssai più tardi, nel V secolo d.C., il filone epistolografico trovò un altro rap-
presentante in Aristeneto (Ἀρισταίνετος), di patria ignota, autore di 50 let-
IL ROMANZO GRECO
tere fittizie (divise in due libri) a carattere erotico, composte (senza le formule
canoniche di saluto e di congedo) attingendo ai più vari autori del passato (fra cui
Platone, Luciano, Filostrato e lo stesso Alcifrone).
L’eleganza stilistica Prosatore scrupolosamente atticista, sollecito dell’armoniosa cadenza dei periodi
atticista (ottenuta anche ricorrendo a clausole di tipo accentuativo), Aristeneto tocca con
segno elegante perfino i motivi più scabrosi ed è prezioso testimone di motivi
della tradizione erotica antica.
Il romanzo greco
Caritone
Amori di Cherea e Calliroe
T. 1 La straordinaria In questa breve pagina emerge la bellezza sfavillante di Calliroe. La fanciulla
bellezza greca è preceduta dalla propria fama, i Persiani la aspettano, Rodogune, la più
di Calliroe
bella delle donne di Persia, prima sembra sfidarla poi deve piegarsi di fronte
alla superiorità di Calliroe: abbiamo un piccolo squarcio dello stile e delle forme
tipiche del romanzo di Caritone.
[3, 1] Ἧκον παρὰ Στάτειραν τὴν γυναῖκα τὴν βασιλέως τῶν ἐνδοξοτά-
των Περσῶν αἱ γυναῖκες καί τις εἶπεν ἐξ αὐτῶν· «ὦ δέσποινα, γύναιον
Ἑλληνικὸν ἐπιστρατεύεται ταῖς ἡμετέραις οἰκίαις, ὃ καὶ πάλαι μὲν
πάντες ἐθαύμαζον ἐπὶ τῷ κάλλει, κινδυνεύει δὲ ἐφ᾽ ἡμῶν ἡ δόξα τῶν
Περσίδων γυναικῶν καταλυθῆναι. Φέρ᾽ οὖν σκεψώμεθα πῶς μὴ πα-
ρευδοκιμηθῶμεν ὑπὸ τῆς ξένης». [2] Ἐγέλασεν ἡ βασιλὶς ἀπιστοῦσα
τῇ φήμῃ, ἅμα δὲ εἶπεν· «ἀλαζόνες εἰσὶν Ἕλληνες καὶ πτωχοὶ καὶ διὰ
τοῦτο καὶ τὰ μικρὰ θαυμάζουσι μεγάλως. οὕτως φημίζουσι Καλλιρόην
καλὴν ὡς καὶ Διονύσιον πλούσιον. Μία τοίνυν ἐξ ἡμῶν, ἐπειδὰν εἰσίῃ,
IL ROMANZO GRECO
[3, 1] Le spose dei Persiani più in vista si recarono presso Statira, la moglie del Re,
e una di esse le disse: «Signora, una donnetta greca marcia contro le nostre case: da
tempo tutti l’ammirano per la sua bellezza, e ora la fama delle donne persiane rischia
con noi di essere cancellata. Suvvia, studiamo il modo di non essere surclassate dalla
straniera!». [2] La regina sorrise, diffidando della voce popolare, e rispose: « I Greci
sono degli smargiassi, degli accattoni: ecco perché hanno grande ammirazione per
ciò che è modesto. Così esaltano la bellezza di Calliroe proprio come fanno con la
ricchezza di Dionisio. E allora una sola di noi, quando farà il suo ingresso in città, si
38 AMORI DI CHEREA E CALLIROE
φανήτω μετ᾽ αὐτῆς, ἵνα ἀποσβέσῃ τὴν πενιχράν τε καὶ δούλην». [3]
Προσεκύνησαν πᾶσαι τὴν βασιλίδα καὶ τῆς γνώμης ἀπεθαύμασαν
καὶ τὸ μὲν πρῶτον ὡς ἐξ ἑνὸς στόματος ἀνεβόησαν· «εἴθε δυνατὸν ἦν
ὀφθῆναι σέ, δέσποινα». Εἶτα διεχέθησαν αἱ γνῶμαι καὶ τὰς ἐνδοξο-
τάτας ὠνόμαζον ἐπὶ κάλλει. [4] Χειροτονία δὲ ἦν ὡς ἐν θεάτρῳ, καὶ
προεκρίθη Ῥοδογούνη, θυγάτηρ μὲν Ζωπύρου, γυνὴ δὲ Μεγαβύζου, μέ-
γα τι χρῆμα καὶ περιβόητον, οἷον τῆς Ἰωνίας Καλλιρόη, τοιοῦτο τῆς
Ἀσίας ἡ Ῥοδογούνη. Λαβοῦσαι δὲ αὐτὴν αἱ γυναῖκες ἐκόσμουν ἑκάστη
τι παρ᾽ αὑτῆς συνεισφέρουσα εἰς κόσμον· ἡ δὲ βασιλὶς ἔδωκε περιβρα-
χιόνια καὶ ὅρμον. [5] Ἐπεὶ τοίνυν εἰς τὸν ἀγῶνα αὐτὴν κατεσκεύασαν,
ὡς δῆθεν εἰς ἀπάντησιν Καλλιρόης παρεγίνετο· καὶ γὰρ εἶχε πρόφα-
σιν οἰκείαν, ἐπειδὴ ἦν ἀδελφὴ Φαρνάχου τοῦ γράψαντος βασιλεῖ περὶ
Διονυσίου. [6] Ἐξεχεῖτο δὲ πᾶσα Βαβυλὼν ἐπὶ τὴν θέαν καὶ τὸ πλῆθος
ἐστενοχώρει τὰς πύλας. Ἐν δὲ τῷ περιφανεστάτῳ παραπεμπομένη βα-
σιλικῶς ἡ Ῥοδογούνη περιέμενεν· εἱστήκει δὲ ἁβρὰ καὶ θρυπτομένη
καὶ ὡς προκαλουμένη, πάντες δὲ εἰς αὐτὴν ἀπέβλεπον καὶ διελάλουν
πρὸς ἀλλήλους· «νενικήκαμεν· ἡ Περσὶς ἀποσβέσει τὴν ξένην. [7] Εἰ
δύναται, συγκριθήτω· μαθέτωσαν Ἕλληνες ὅτι εἰσὶν ἀλαζόνες». Ἐν
τούτῳ δὲ ἐπῆλθεν ὁ Διονύσιος καὶ μηνυθέντος αὐτῷ τὴν Φαρνάκου
συγγενίδα παρεῖναι, καταπηδήσας ἐκ τοῦ ἵππου προσῆλθεν αὐτῇ φι-
λοφρονούμενος. [8] Ἐκείνη δὲ ὑπερυθριῶσα, «θελω, φησί, τὴν ἀδελφὴν
ἀσπάσασθαι», καὶ ἅμα τῇ ἁρμαμάξῃ προσῆλθεν. Οὔκουν δυνατὸν ἦν
mostri al suo fianco, per far scomparire quella miserella, quella schiava». [3] Tutte
si prosternarono ai piedi della regina, plaudendo alla sua decisione, e dapprima gri-
darono all’unisono: «Oh, se potessi mostrarti tu, o signora!», poi le loro opinioni si
divisero via via che menzionavano le donne più rinomate per bellezza. [4] Si arrivò
a una votazione per alzata di mano, come a teatro, e fu scelta Rodogune, figlia di
Zopiro9, moglie di Megabizo, un prodigio, celeberrima in Asia quanto Calliroe nella
Ionia. La condussero presso di loro e l’adornarono, offrendole ognuna qualcosa di
personale: la regina le donò un braccialetto e una collana. [5] Quando l’ebbero ade-
guatamente preparata in vista della gara, si avviò per incontrare Calliroe: del resto
poteva contare su un pretesto di carattere personale, come sorella di Farnace10, che
aveva scritto al Re a proposito di Dionisio. [6] Tutta Babilonia si riversava per le stra-
IL ROMANZO GRECO
de per assistere allo spettacolo e la folla ostruiva le porte. Scortata con la pompa de-
gna di una regina, Rodogune era in attesa nel luogo più in vista: stava in piedi in una
posa morbidamente sensuale, quasi di sfida, e tutti volgevano su di lei i loro sguardi e
si dicevano l’un l’altro: «Abbiamo vinto! La persiana surclasserà la straniera. [7] Se
è possibile, la si porti a confronto: imparino i Greci a essere smargiassi!». A questo
punto Dionisio arrivò e, come gli fu annunciata la presenza della parente di Farnace
saltò giù da cavallo e si avvicinò a lei per salutarla affettuosamente. [8] Rodogune
arrossì un po’ e disse: «Voglio abbracciare mia sorella», e subito si accostò alla car-
LA STRAORDINARIA BELLEZZA DI CALLIROE 39
αὐτὴν ἔτι μένειν κεκαλυμμένην, ἀλλ᾽ ὁ Διονύσιος μὲν ἄκων καὶ στέ-
νων ὑπ᾽ αἰδοῦς τὴν Καλλιρόην προελθεῖν ἠξίωσεν· ἅμα δὲ πάντες οὐ
μόνον τοὺς ὀφθαλμοὺς ἀλλὰ καὶ τὰς ψυχὰς ἐξέτειναν καὶ μικροῦ δεῖν
ἐπ᾽ ἀλλήλους κατέπεσον, ἄλλος πρὸ ἄλλου θέλων ἰδεῖν καὶ ὡς δυ-
νατὸν ἐγγυτάτω γενέσθαι. [9] Ἐξέλαμψε δὲ τὸ Καλλιρρόης πρόσωπον,
καὶ μαρμαρυγὴ κατέσχε τὰς ἁπάντων ὄψεις, ὥσπερ ἐν νυκτὶ βαθείᾳ
πολλοῦ φωτὸς αἰφνίδιον φανέντος· ἐκπλαγέντες δὲ οἱ βάρβαροι προ-
σεκύνησαν καὶ οὐδεὶς ἐδόκει Ῥοδογούνην παρεῖναι. Συνῆκε δὲ καὶ ἡ
Ῥοδογούνη τῆς ἥττης, καὶ μήτε ἐπελθεῖν δυναμένη μήτε βλέπεσθαι
θέλουσα ὑπέδυ τὴν σκηνὴν μέτα τῆς Καλλιρόης, παραδοῦσα αὑτὴν
τῷ κρείττονι φέρειν. [10] Ἡ μὲν ἁρμάμαξα προῄει συγκεκαλυμμένη,
οἱ δὲ ἄνθρωποι, μηκέτι ἔχοντες Καλλιρόην ὁρᾶν, κατεφίλουν τὸν δί-
φρον.
rozza. Non era più possibile che Calliroe restasse nascosta: allora Dionisio, a ma-
lincuore e sospirando per la vergogna, chiese a Calliroe di uscire. Tutti all’istante
tesero non solo gli occhi ma l’anima stessa verso di lei e per poco non precipitarono
gli uni sugli altri nella furia di vedere, di avvicinarsi il più possibile. [9] Il volto di
Calliroe sfavillò e il suo scintillio invase gli sguardi di tutti come nella notte fonda
l’improvvisa apparizione di una gran luce: stupefatti i barbari si prosternarono e
nessuno pensava più alla presenza di Rodogune, che comprese da sé la sconfitta e
non potendo ritirarsi né volendo più essere vista si rifugiò sotto la copertura della
carrozza accanto a Calliroe, consegnandosi spontaneamente al vincitore. [10] La
carrozza avanzava con le tende abbassate e gli uomini, non potendo più vedere
Calliroe, baciavano il veicolo.
spunto anche da questa improvvisata gara di bellezza per può talora consentire qualche nota meno prevedibile: sia
riproporre alcuni motivi ricorrenti del suo romanzo: in parti- qui, con l’azione silenziosa di Rodogune in cerca di un ri-
colare, l’immagine ormai di maniera di un Oriente variopinto paro che nasconda la sua bellezza umiliata agli sguardi di
e lussuoso, le cui folle anelano al trionfo sui Greci grazie alla una folla a sua volta ritratta mentre si prosterna dinanzi a
bellezza della loro rappresentante (già nel I libro l’Asia si Calliroe, sia in I 9, 6, con la molto pratica meditazione del
proponeva come la regione vasta e ricca che attira i mercanti bandito Terone sul fatto che «la bellezza di Calliroe vale più
ma che, proprio per la sua vastità, rende assai difficile la ri- dell’argento e dell’oro», o in IV 1, 2, con la preoccupazione
cerca di Calliroe), e il topos, canonico del genere, del fulgore dell’innamorato (ma non meno interessato) Dionisio che le
della protagonista, il cui volto scintilla «come nella notte lacrime non abbiano a sfigurare il volto della giovane.
40 AVVENTURE DI LEUCIPPE E CLITOFONTE
Achille Tazio
Avventure di Leucippe e Clitofonte
T. 2 Prologo In questo prologo l’«io» narrante è l’autore del romanzo, che esordisce con una
ekphrasis del ratto di Europa. Questo gli pemette di anticipare attraverso la de-
scrizione del dipinto i temi dell’eros e dei rapimenti che costituiranno la materia
del romanzo.
I 1-3, 1 [I 1, 1] Sidone: una città sul mare; il mare, quello degli Assiri; la città: madre dei
Fenici; il popolo: padre dei Tebani. Un doppio porto si allarga in un golfo, formando
un leggero sbarramento contro il mare; là dove il golfo piega sul fianco, a destra,
era stata scavata una seconda entrata; l’acqua vi rifluisce e il porto genera un altro
porto, così che le imbarcazioni da trasporto vi passino l’inverno al sicuro, mentre
d’estate si spostano nell’avanporto. [2] Arrivato laggiù dopo una violenta tempesta
stavo offrendo, in segno di riconoscenza per la mia salvezza, un sacrificio alla dea dei
Fenici (gli abitanti di Sidone la chiamano Astarte). Mentre visitavo il resto della città
e osservavo le offerte votive, vidi un quadro consacrato che raffigurava sia la terra
che il mare. Soggetto: Europa; mare: quello dei Fenici; terra: Sidone. [3] Sulla terra,
un prato e un coro di vergini. Nel mare nuotava un toro e sul suo dorso era seduta
una bella vergine: navigava col toro alla volta di Creta. Il prato era chiomato di molti
fiori: mescolata ad essi una schiera d’alberi e d’arbusti; serrati gli alberi, denso il fo-
gliame; i rami giovani univano le loro foglie e l’intreccio delle foglie formava un tetto
per i fiori. [4] L’artista aveva dipinto anche l’ombra sotto le foglie e appena appena il
sole calava in sprazzi di luce giù fino al prato, nelle zone dove il pittore aveva schiuso
la chioma folta del fogliame. [5] Una staccionata chiudeva tutt’intorno il prato, e
il prato giaceva all’interno della corona formata dal tetto delle foglie. Le aiuole dei
fiori erano state piantate in fila, sotto le foglie delle piante: narcisi, rose, mirti. Acqua
correva al mezzo del prato dipinto, in parte zampillando dal basso fuori dal terreno,
in parte spandendosi intorno ai fiori e agli arbusti. [6] Era stato dipinto un uomo
che con la zappa in mano derivava l’acqua, piegato su un canale, mentre liberava il
corso alla corrente. All’estremo del prato, sui cumuli di terra che si allungavano nel
mare, l’artista aveva collocato le ragazze1. [7] Il loro atteggiamento era misto di gioia
e paura. Corone strette sulle fronti, le chiome sciolte sulle spalle, la parte inferiore
della gamba tutta nuda, in alto senza chitone, in basso senza calzari: la cintura teneva
sollevato il chitone sopra il ginocchio. Pallide in viso, le guance contratte, gli occhi
spalancati in direzione del mare, la bocca leggermente dischiusa, come se stessero
IL ROMANZO GRECO
per lanciare un grido di paura; tendevano le braccia verso il toro. [8] Si muovevano
sul bordo del mare, quel tanto che il flutto passasse appena sopra la pianta dei loro
piedi: sembrava che volessero correre verso il toro e nello stesso tempo temessero di
avanzare nel mare. Doppia la tinta del mare: rossastro accosto a terra, azzurro scuro
verso il largo. [9] Non mancavano la spuma, scogli, flutti: gli scogli sovrastanti la
1. Le compagne di Europa.
PROLOGO 41
terra, la spuma che faceva biancheggiare le rocce, l’onda che montava altissima e si
frangeva spumeggiante contro le rocce. Il toro era stato raffigurato in mezzo al mare
cavalcante sulle onde mentre il flutto s’innalzava come una montagna, nel punto in
cui si piega ad arco la gamba dell’animale. [10] La ragazza era seduta a mezzo il
dorso, non a cavalcioni ma di fianco, con ambo i piedi sulla destra e tenendosi con la
mano sinistra al corno dell’animale, proprio come un auriga impugna le redini: non
a caso il toro piegava in questa direzione, assecondando il movimento del braccio. La
tunica che circondava il petto della ragazza scendeva fino al delta; di lì in giù un man-
to avvolgeva la parte bassa del corpo. Bianca la tunica, rosso il manto. Le forme del
corpo trasparivano dalla veste. [11] Ombelico profondo, ventre teso, fianchi stretti:
la fine silhouette si allargava via via che scendeva verso le anche. I seni spuntavano
delicatamente sul petto; la cintura che stringeva la tunica chiudeva anche i seni; la
tunica era specchio del corpo. [12] Braccia staccate dal corpo: una mano sul corno,
l’altra in direzione della coda; ambedue trattenevano d’ambo i lati al di sopra del ca-
po il velo steso tutt’intorno sulle spalle; le pieghe del peplo si tendevano gonfiandosi
da ogni parte: è così che il pittore aveva rappresentato il vento. E lei, la ragazza, stava
seduta sul toro come un vascello in navigazione, usando il peplo come una vela. [13]
Attorno al toro danzavano delfini, giocavano Amorini: avresti detto che fossero stati
raffigurati anche i loro movimenti. Eros tirava il toro: Eros, un fanciullino con le ali
spiegate, la faretra appesa sul dorso e la torcia in mano. Si voltava verso Zeus e sorri-
deva, come volesse deriderlo perché a causa sua si era cangiato in toro. [2, 1] Ammi-
ravo il quadro nel suo complesso ma, essendo innamorato, guardavo con particolare
attenzione Eros che conduceva il toro. «Che gran potere ha un bimbo su cielo e terra
e mare!». All’udire le mie parole un giovinetto che si trovava lì anch’egli esclamò:
«Credo proprio di saperlo, io che ho subito tanti oltraggi dall’amore!». [2] «Subito
che cosa, mio caro? – replicai: vedo dal tuo aspetto che non sei ignaro dei misteri del
dio». «Risvegli – disse – uno sciame di racconti: le mie vicissitudini assomigliano a
storie da romanzo». «E allora, carissimo – dissi – non esitare, in nome di Zeus e di
Eros stesso, a dilettarmi tanto più così, se sembrano storie
da romanzo ». [3] Così dicendo lo prendo per mano e
lo conduco in un boschetto dove erano piantati molti e
fitti platani e l’acqua scorreva fresca e trasparente come
provenisse da neve appena sciolta. Dopo averlo invitato
a sedere su un basso sedile ed essermi seduto io stesso
accanto a lui: «È il momento – dissi – per te di recitare i
Pittura parietale. Circa 50 d.C. da Pompei (IX 5, 18); ora a Napoli, Museo
IL ROMANZO GRECO
Archeologico Nazionale.
Europa seminuda è seduta sulla groppa di un toro; accanto sono tre fanciulle,
probabilmente compagne che si dispongono a salutare l’amica che parte.
L’ambientazione è agreste ed improntata a una grande tranquillità; all’interno
del paesaggio roccioso con poca vegetazione spiccano una colonna isolata e un
pilastro. La pittura pompeiana, che trae spunto verosimilmente da un quadro
o da una pittura ellenistica, dimostra la vitalità del tema e le sue molteplici
soluzioni. Senz’altro più diffusa è l’immagine di Europa sul toro che supera le
onde del mare (cfr. figura a fianco) come era nel quadro – non importa se reale
o immaginario – minuziosamente descritto da Achille Tazio al principio delle
sue Avventure di Leucippe e Clitofonte (I, 1, 3-13, pp. 508 ss.).
42 ETIOPICHE
tuoi racconti; e un luogo come questo è assolutamente incantevole e adatto a storie
d’amore». [3, 1] Egli cominciò così: «La mia origine: fenicia; patria: Tiro; nome:
Clitofonte; padre: Ippia; zio per parte di padre: Sostrato...
1. Cfr. L. Curtius, Die Wandmalerei Pompeijs, New York 1972, 289 s., tav. IV (vedi sopra).
Eliodoro
Etiopiche
T. 3 Un’apertura Il romanzo si apre con una scena dall’andamento cinematografico. È lo stesso
cinematografica Eliodoro a svelare, attraverso il continuo riferimento al lessico drammatico e al
IL ROMANZO GRECO
[I 1, 1] Stava appena sorgendo una ridente giornata e il sole illuminava con i suoi
raggi le cime dei monti, quando degli uomini, armati da predoni, affacciandosi al di
sopra dell’altura che si estende presso le foci del Nilo e la bocca chiamata Eracleotica,
si fermarono un momento e percorsero con lo sguardo il mare sottostante. E rivolti
dapprima gli occhi al mare aperto, constatando che, privo di navi, non offriva loro
alcuna preda, si fermarono a guardare la spiaggia sottostante.
[2] Ed ecco quel che si trovava sulla spiaggia: c’era lì ormeggiata una nave da carico,
priva di uomini, ma con tutto il suo carico; questo lo si poteva capire anche da lonta-
no, perché il peso faceva salire l’acqua fino alla terza cintura della fiancata.
[3] La spiaggia poi era tutto un groviglio di corpi umani trucidati da poco: alcuni
davvero morti, altri invece agonizzavano; inoltre era piena di membra che ancora
IL ROMANZO GRECO
guizzavano e che indicavano che la battaglia era appena finita. [4] E le tracce che
si potevano scorgere non erano quelle di una regolare battaglia, ma si potevano ve-
dere, mescolati, i miseri resti di uno sfortunato banchetto, terminato tragicamente.
Infatti c’erano tavole ancora cariche di cibi, alcune ancora strette tra le mani di
quelli che giacevano a terra, i quali se ne erano serviti come armi durante lo scontro
(la lotta infatti era scoppiata improvvisamente), mentre altre nascondevano quelli
che avevano tentato di ripararsi sotto di esse. C’erano poi dei crateri rovesciati,
sfuggiti dalle mani di coloro che li avevano presi per bere o, magari, per servirsene
44 ETIOPICHE
ἀντὶ λίθων κεχρημένων· τὸ γὰρ αἰφνίδιον τοῦ κακοῦ τὰς χρείας ἐκαινο-
τόμει καὶ βέλεσι κεχρῆσθαι τοῖς ἐκπώμασιν ἐδίδασκεν. [5] ἔκειντο δὲ
ὁ μὲν πελέκει τετρωμένος, ὁ δὲ κάχληκι βεβλημένος αὐτόθεν ἀπὸ τῆς
ῥαχίας πεπορισμένῳ, ἕτερος ξύλῳ κατεαγώς, ὁ δὲ δαλῷ κατάφλεκτος,
καὶ ἄλλος ἄλλως, οἱ δὲ πλεῖστοι βελῶν ἔργον καὶ τοξείας γεγενημένοι.
[6] καὶ μυρίον εἶδος ὁ δαίμων ἐπὶ μικροῦ τοῦ χωρίου διεσκεύασεν, οἶνον
αἵματι μιάνας, καὶ συμποσίοις πόλεμον ἐπιστήσας, φόνους καὶ πότους,
σπονδὰς καὶ σφαγὰς ἐπισυνάψας, καὶ τοιοῦτον θέατρον λῃσταῖς Αἰγυ-
πτίοις ἐπιδείξας. [7] οἱ γὰρ δὴ κατὰ τὸ ὄρος θεωροὺς ἑαυτοὺς τῶνδε
καθίσαντες οὐδὲ συνιέναι τὴν σκηνὴν ἐδύναντο, τοὺς μὲν ἑαλωκότας
ἔχοντες, οὐδαμοῦ δὲ τοὺς κεκρατηκότας ὁρῶντες, καὶ τὴν μὲν νίκην
λαμπράν, τὰ λάφυρα δὲ ἀσκύλευτα, καὶ τὴν ναῦν μόνην ἀνδρῶν μὲν
ἔρημον τἄλλα δὲ ἄσυλον ὥσπερ ὑπὸ πολλῶν φρουρουμένην καὶ ὥσπερ
ἐν εἰρήνῃ σαλεύουσαν. [2,1] ἀλλὰ καίπερ τὸ γεγονὸς ὅ τι ποτέ ἐστιν
ἀποροῦντες εἰς τὸ κέρδος ἔβλεπον καὶ τὴν λείαν· ἑαυτοὺς οὖν νικητὰς
ἀποδείξαντες ὥρμησαν.
come proiettili: l’attacco improvviso infatti aveva suggerito nuovi mezzi di offesa
ed insegnato ad usare le coppe come armi da lancio. [5] Ed essi giacevano là, chi
dilaniato da una scure, chi colpito da un sasso trovato proprio lì sulla spiaggia, altri
trucidati a colpi di bastone, altri ancora bruciati dalle torce, altri infine uccisi in
modo diverso: la maggior parte tuttavia era rimasta vittima dell’arco e delle frecce.
[6] Il destino in quel piccolo spazio aveva voluto sparpagliare le cose più disparate,
insozzando il vino col sangue, facendo subentrare la battaglia al banchetto e mesco-
lando uccisioni e bevute, libagioni e stragi: questo era lo spettacolo che si presentava
ai predoni egiziani. [7] Costoro, contemplando una simile scena dall’altura su cui si
trovavano, non riuscivano a comprenderne il significato, perché avevano davanti a
sé le vittime, ma non vedevano da nessuna parte i vincitori: la vittoria era manifesta,
ma il bottino era rimasto intatto e quella nave, pur abbandonata e priva di uomini,
conservava tutto il suo carico, come se fosse difesa da molti, e rollava come se tutto
fosse tranquillo. [2, 1] Però, pur essendo incerti su ciò che potesse essere accaduto,
essi miravano al guadagno e al bottino: perciò, facendo conto che a vincere fossero
stati loro, si lanciarono verso la nave.
[Tr. di F. Bevilacqua7
IL ROMANZO GRECO
III 7-9 [III 7, 1] Quando giungemmo1 dove abitava Cariclea, entrammo e la trovammo che
languiva sul letto, con gli occhi umidi di amore. Abbracciò il padre come al solito e
quando lui le chiese che cosa si sentisse, rispose che aveva mal di testa e che, se era
possibile, si sarebbe riposata volentieri. [2] Turbato da queste parole, Caricle uscì
dalla camera insieme a me, raccomandando alle ancelle di lasciarla tranquilla. Una
volta uscito dalla casa, mi disse: «Che significa questo, mio buon Calasiri? Che sarà
questo languore che si è impadronito della mia bambina?». «Non devi meravigliarti»
risposi «se, sfilando in processione davanti a tanta gente, si è tirata addosso il maloc-
chio». Allora Caricle con un sorriso ironico mi domandò: «Anche tu, come la mag-
gior parte della gente del popolo, credi che esista il malocchio?» «Sì» risposi «è una
cosa verissima. [3] L’aria che ci circonda, penetrando attraverso gli occhi, le narici,
il respiro e le altre aperture fin nel profondo dei nostri visceri, porta con sé le qualità
esterne e infonde in quelli che la ricevono le affezioni che ha quando vi penetra. Per-
ciò ogni volta che qualcuno guarda con invidia le cose belle, riempie l’aria circostante
di influenza maligna e il suo respiro pieno di cattiveria si riversa sui vicini. Questo
respiro, poi, a causa della sua tenuità, s’insinua fin nelle ossa e nel midollo stesso: ed
è così che spesso si prende la malattia dell’invidia, che propriamente si chiama ma-
locchio. [4] Pensa del resto, Caricle, a quanti sono colpiti da oftalmia o da qualche
malattia epidemica senza aver assolutamente toccato i malati, senza aver diviso con
loro né la tavola né il letto, ma per aver semplicemente respirato la stessa aria. [5]
Ti serva di testimonianza in proposito, più di ogni altro argomento, la genesi della
passione amorosa, che ha origine dalla vista di un oggetto: portate, per così dire, sulle
IL ROMANZO GRECO
ali del vento, le passioni, attraverso gli occhi, colpiscono come frecce la nostra anima.
E ciò è perfettamente naturale: infatti poiché la vista è il più mobile e il più caldo dei
nostri organi e dei nostri sensi, è dunque il più adatto a ricevere le emanazioni e ad
attirare, con il suo spirito vivido come il fuoco, l’amore che passa.
1. Calasiri, l’«io» narrante di questa fase del romanzo, e Caricle (sacerdote di Apollo delfico).
46 ROMANZO D’ESOPO
[8, 1] Se poi bisogna sottoporti, come esempio, un caso tratto dal regno della natura, lo
troviamo scritto nei libri sacri sugli animali. Il piviere guarisce gli itterici e se una per-
sona affetta da questa malattia fissa lo sguardo su questo uccello, guarisce; esso invece
si volta e fugge via chiudendo gli occhi, non perché, come pensano alcuni, sia invidioso
del bene che fa agli infermi, ma perché il suo sguardo ha per natura la proprietà di at-
tirare e far convergere su di sé la malattia come una corrente fluida, e per questo evita,
al pari di un flagello, la vista di un itterico. [2] Forse avrai sentito parlare anche di quel
serpente chiamato basilisco, che solo con il fiato e lo sguardo dissecca e corrompe tutto
ciò che gli capita a tiro. E se alcuni gettano il malocchio anche alle persone che sono
loro più care e a cui vogliono bene, non c’è da meravigliarsene: infatti, invidiosi per
natura, essi non agiscono come vogliono, ma come comanda la loro natura».
[9, 1] Dopo aver riflettuto un momento sulle mie parole: «Il problema» disse «tu l’hai
risolto nel modo più saggio e più convincente. Volesse il cielo che anche lei provasse
un giorno amore e desiderio: vedrei in ciò non una malattia, ma un ritorno alla salute!
Sai bene che proprio per questo ti ho chiamato in aiuto. Ma, per ora, non c’è nessun
pericolo che questo sia capitato a quella nemica del matrimonio e dell’amore: piutto-
sto sembra veramente che sia vittima di un maleficio. Sono sicuro che tu, che sei mio
amico e sapiente in ogni campo, vorrai liberarla da questo malanno». Io promisi che
se l’avessi vista soffrire di qualche male avrei fatto tutto il possibile per aiutarla.
[Tr. di F. Bevilacqua]
Romanzo d’Esopo
IL ROMANZO GRECO
Capp. 1; 7-8; Ὁ κατὰ πάντα τὸν βίον γενόμενος βιωφελέστατος Αἴσωπος, ὁ λογο-
20-22; 27 μυθοποιός, τῇ μὲν τύχῃ γέγονε δοῦλος τῷ δὲ γένει Φρὺξ ἐξ Ἀμορίου
τῆς Φρυγίας, κακοειδὴς μὲν εἰς ὑπερβολήν, προκέφαλος, κοντοδείρης,
σιμός, μέλας, μυστάκων, προγάστωρ, γαλιάγκων, στρεβλός, ὑπόκυρ-
τος, † ἡμερινὸν ἁμάρτημα †. πρὸς τούτοις δέ, ἦν καὶ βραδύγλωσσος καὶ
βομβόφωνος. (1)
Ἡ δὲ Τύχη ἐπιστᾶσα καθ᾽ ὕπνους ἐχαρίσατο αὐτῷ ἄριστον λόγον καὶ
Quell’Esopo, che pur fu durante l’intera sua esistenza uomo di straordinaria utili-
tà per gli altri, il creatore di favole, per condizione riservatagli dalla sorte era nato
schiavo e per discendenza Frigio, da Amorio di Frigia, brutto a vedersi oltre ogni
aspettativa, tutto testa, con il collo a bastone, con il naso in fuori, nero, mostacciuto,
pancione, con le braccia corte, gobbo, ricurvo, scherzo di natura (?). Per giunta, era
pure lento a parlare e balbuziente.
La Fortuna gli si presentò nel sonno e gli donò una straordinaria capacità di espri-
Fattezze di Bertoldo
Prima era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte cre-
spa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l’orecchie
asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba
IL ROMANZO GRECO
folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato a l’insù, con le
nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci1 sotto la gola, i quali,
mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa
di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte
rappezzate sulle ginocchie, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. In somma costui era tutto il
roverso di Narciso.
mersi tanto nella scioltezza della lingua quanto nella prontezza di trovar le parole
giuste in ogni tipo di discorso, poiché onorava gli dei e gli ospiti.
Esopo svegliatosi dal sonno disse «Oh, come ho dormito bene; e ho fatto anche un
bel sogno, ed ecco, ora parlo senza impicciarmi e riesco a dare il giusto nome a ciò
che vedo: vanga, asino, bue, carro. Parlo, per gli dei! Donde ho tratto la grazia?»,
«Ho capito!» disse «Sono stato pio con gli stranieri, cosicché l’aver agito bene ha
trovato buona accoglienza da parte del dio».
Dopo aver percorso un certo tratto di strada giunsero ad Efeso e là dalla vendita
degli schiavi trasse il suo guadagno. Gliene rimasero acquistati tre: il grammati-
co, il citarista ed Esopo. Un amico disse allora al mercante: «Se vuoi vendere gli
schiavi, recati a Samo; è là infatti che abita il filosofo Xanto e molti dalla Grecia
e dalle isole fanno avanti indietro da lui, ed è tutta gente che sta bene a denaro
IL ROMANZO GRECO
Costui riesce a oscurare anche la bellezza degli altri». Esopo, però, pur dileggiato
da molti, se ne stava impassibile. Xanto, dopo essere andato alla Scuola ed aver
portato a termine la sua lezione, giunse con gli amici al mercato.
Recatosi dunque dal mercante di schiavi Xanto domandò: «A quanto lo vendi
questo?». Ed egli rispose: «Vieni al mio emporio per prendermi in giro?». Xanto
ribatté «Perché?», e quello «perché dopo aver scartato gli schiavi più degni della
tua persona mi vieni a scegliere quello schifoso. Compra piuttosto uno di quelli e
beccati questo in omaggio». Ma Xanto insisté: «Dimmi il prezzo di questo.» Ed
egli «Dammi sessanta denari ed è tuo.» I suoi discepoli sborsarono e Xanto lo
acquistò.
T. 6 Parte seconda Esopo acquista grande fama presso gli abitanti di Samo ed è affrancato dalla
(capp. 30-102) schiavitù del filosofo Xanto. Mandato come ambasciatore da Creso (evidente
la ripresa dell’episodio dal noto incontro tra il re Lidio e il legislatore atenie-
se Solone, uno dei Sette Saggi della tradizione), ottiene da lui la libertà per
Samo.
Cap. 100 Ὁ δὲ βασιλεὺς θαυμάσας, ἅμα δὲ καὶ συμπαθήσας αὐτῷ, ἔφη «Αἴσω-
πε, ἐγώ σοι τὸ ζῆν οὐ δίδωμι, ἀλλ᾽ ἡ μοῖρα. Ὃ δὲ θέλεις αἴτησαί με
καὶ λήψει». Αἴσωπος ἔφη «δέομαί σου, δέσποτα, διαλλάγηθι Σαμίοις».
Εἰπόντος δὲ τοῦ βασιλέως «κατήλλαγμαι» προσπεσὼν Αἴσωπος ηὐχα-
ρίστησε. Συγγράψας οὖν τοὺς ἰδίους μύθους τοὺς μέχρι νῦν ἀναγινω-