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PROSA PRELETTERARIA

Sappiamo che nell’età arcaica che possiamo dire va dal 753 a:C. Fondazione di Roma fino al 510
a.C. con la cascciata dei Re e l’inizio della Repubblica distinguere nettamente tra prosa e poesia non
è del tutto possibile, perciò si tende a considerare produzioni proprie della prosa quelle che in
seguito si svilupparono come generi propri della letteratura in prosa, cioè, ad esempio, i trattati, le
leggi, le orazioni, gli annali, i fasti, le laudationes funebres, nei quali si possono distinguere molti
tratti originari dell’oratoria e della storiografia.
SI TRATTA DI PRODUZIONI LETTERARIE LEGATE AD UNA SFERA PRATICA E
POLITICA.

COMMENTARII E FASTI
Nell’esercizio del suo mandato politico, ogni magistrato romano aveva il compito di registrare i
provvedimenti più significativi della sua magistratura. All’origine queste note ebbero carattere
privato e vennero conservate negli archivi familiari. Successivamente ebbero rilevanza pubblica e
specialmente quelle riferite ai collegi sacerdotali furono custodite dai capi religiosi nelle loro sedi
ufficiali. All’origine, suesti documenti ebbero indifferentemente il nome di commentarii o libri, poi
il termine commentarius designò più precisamente la registrazione «i avvenimenti, mentre con liber
si indicò l’insieme di norme di carattere rituale, di protocolli e di statuti. A essi attinsero nei secoli
gli i storici e annalisti romani per documentare gli avvenimenti narrati nelle loro opere e da essi
furono ricavate le liste dei consoli dette fasti consulares. Queste liste, note con il nome di Fasti
Capitolini, sono pervenute a noi in forma epigrafica e conservate ancora oggi in Campidoglio. Ai
pontefici, da quanto viene tramandato dalle fonti storiografiche, era demandato il compito di
conservare e aggiornare l’archivio dello Stato.

Appartenenti tutti alle famiglie patrizie, i pontefici, nella parte più antica della storia romana, si
tramandavano oralmente statuti e regole concernenti il funzionamento dello Stato, istituendo tra
potere politico e religioso un legame che si mantenne a lungo nella storia romana. A loro era
affidata la compilazione del calendario, i cosiddetti FASTI in cui annotavano scrupolosamente i
dies fasti, cioè i giorni in cui si poteva amministrare la giustizia, trattare gli affari politici, militari e
commerciali, celebrare le festività religiose e i ludi, e i dies nefasti, considerati infausti per le
diverse attività. Il pontifex maximus, inoltre , esponeva davanti alla propria residenza una tavola
bianca (tabula dealbata), su cui annotava i consoli e gli altri magistrati dell’anno in corso e gli
avvenimenti salienti dell’annata con la loro data. Rientravano nel numero degli eventi da registrare
non solo guerre, paci e alleanze, ma anche fenomeni naturali come terremoti, eclissi o carestie.
Questa registrazione divenne regolare a partire dal 249 a.C., dando origine agli annales. Dal
momento che le tabulae dealbata al termine dell’anno, venivano conservate negli archivi, verso il
123 a.C. il pontefice P. Mucio Scevola raccolse in 80 volumi gli annales dei precedenti 280 anni di
storia romana. Questa raccolta venne denomina: Annales maximi e fu la principale fonte degli
avvenimenti storici dell’età repubblicana.
Essa fu anche importante dal punto di vista letterario, perché forni' il modello a cui si sarebbero
attenuti i successivi storici.

LE XII TAVOLE
Il diritto e le leggi
Nella fase più arcaica della storia romana e per un lungo periodo non vi furono leggi scritte. La
giustizia infatti era amministrata secondo una prassi consuetudinaria, anche se occasionalmente era
possibile venissero emanati provvedimenti scritti a carattere legislativo. Questi provvedimenti, che
sono denominati genericamente e leges regiae perché videro la luce al tempo della monarchia,
secondo quanto scrive lo storico Pomponio sarebbero stati raccolti da un certo Gaio Papirio,
pontefice massimo nella primissima età repubblicana, e avrebbero formato il cosiddetto ius
Papirianum. Oggi gli studiosi sono inclini a dar credito a tale testimonianza, anche sulla base degli
studi linguistici effettuati sui più antichi documenti.

Un primo codice essenziale di leggi scritte, noto con il nome di leggi delle Dodici Tavole, fu
sicuramente redatto negli anni 451-450 a.C., ad opera di un organismo appositamente , istituito i
decemviri legibus scribundis. ESSO È IL PORTATO DELLA LOTTA TRA PATRIZI E PLEBEI
E DELLE CONCESSIONI EFFETTUATE AI PLEBEI.
La tradizione vuole che queste dodici tavole bronzee, andate distrutte in un incendio ai tempi della
conquista dei Galli (390 a.C.), fossero esposte nel Forum e che i ragazzi romani le imparassero a
memoria. Benché gli originali siano perduti, il contenuto delle leggi è stato citato moltissime volte
da storici e giuristi delle epoche successive e quindi siamo in grado di ricostruirne i caratteri. Da
sempre considerate base del diritto romano, le leggi delle Dodici Tavole rispecchiavano quanto già
praticato dalla consuetudine a vantaggio dei patrizi, ma rappresentavano comunque una sicura
conquista per i ceti più deboli, perché stabilivano la certezza equanime della pena contro l’arbitrio
dei singoli giudici. Il testo che riportiamo qui di seguito testimonia, ad esempio, la persistenza, nella
legge, della consuetudine romana, riconfermando il tradizionale potere del padre sui figli: così
tradizione e legge non si discostano tra loro, ma anzi la seconda è diretta conseguenza della prima.

Si pater filium ter venum duit, filius a patre liber esto.

Se un padre vende per tre volte un figlio, il figlio sia libero dalla patria potestà.

Lo stile in cui le leggi sono redatte si caratterizza per una prosa asciutta, essenziale, in cui risulta
presente il fenomeno del parallelismo fonico e sintattico, particolarmente utile per la
memorizzazione.
La parola Lex deriva dalla stessa radice di lego, leggere, e indica appunto la possibilità di “leggere”
la norma a differenza di quelle forme di prescrizione che passavano attraverso altri mezzi, come la
parola, la memoria, gli atti rituali. La legge quindi si diifferenziava dal mos (ciò che era decretato
dalla tradizione), o dal fas (ciò che era indicato dalla volontà divina), proprio per l’uso delle lettere
scritte attraverso le quali si codificava il comportamento collettivo.

L'ORATORIA
Nel mondo romano dell’età repubblicana l’oratoria ebbe un peso di gran lunga maggiore rispetto a
quello che potrebbe avere nella società moderna. Chiunque avesse compiti legislativi,
amministrativi o militari doveva essere un buon oratore, perchè attraverso la propria capacità di
convincere, di citare al momento opportuno esempi, tratti alla storia oppure dal mos, (costume,
tradizione) poteva portare l’opinione di chi lo ascoltava verso una posizione di concordia. Grazie
allo stretto legame che esisteva tra eloquenza e vita nella Roma repubblicana, Cicerone fece nascere
l’oratoria con la repubblica stessa, immaginando che uno dei primi ora. tori sia stato quel Bruto che,
cacciato il re, assunse l’incarico di primo console di Roma.
L' oratoria dovette avere quindi fin dalle origini scopi pratici, legati a eventi reali; non sempre di
grande rilevanza politica, ma per i quali si rendeva necessaria l'espressione delle opinioni in un
confronto immediato. Accanto a questa eloquenza di tipo politico e giudiziario, trovò posto
un’eloquenza di carattere celebrativo, come la LAUDATIO FUNEBRIS. Si trattava di un discorso
elogiativo, pronunciato al momento del funerale di un patrizio; poteva avere carattere. rivato ed
essere pronunciata da un membro della famiglia, oppure carattere pubblico ed essere sostenuta da
un magistrato. Nell'ambito del mondo aristocratico, la laudatio funebris era l'occasione per esaltare,
insieme con il singolo, l’intera casata nobiliare e si poneva come conclusione della cerimonia
funebre. Essa non era improvvisata, come le neniae, ma era un vero e proprio discorso scritto, il cui
testo veniva successivamente conservato negli archivi della famiglia. La situazione stessa nella
quale esso veniva pronunciato voleva essere dimostrazione dell’importanza di quell'uomo non solo
all'interno della gens, ma anche all’interno della città, della cui storia ognuno dei maiores di quella
casata aveva fatto parte: le imagines lo dimostravano e lo evocavano alla memoria di tutti. La
laudatio aveva quindi un carattere celebrativo, ma nel contempo aveva una vera e propria funzione
sociale.
Accanto ad essi annoveriamo anche gli elogia scitti sulle tombe dei grandi, in versi saturni. A Roma
sull'Appia antica sono stati trovati quelli relativi agli Scipioni.

LE MASCHERE FUNERARIE Quando un cittadino appartenente a famiglia patrizia moriva,


veniva ricavata dal suo volto una maschera funeraria, che poi veniva conservata in appositi armadi.
AI momento di un funerale le maschere degli antenati (imagines) venivano tolte dagli armadi e fatte
indossare da attori che precedevano il feretro in un solenne corteo. Pianti ritualì e canti di lutto (le
neniae), intonati dalle preficae, accompagnavano il percorso della salma, fino a giungere nel Foro.
Qui il corteo funebre si arrestava e il figlio o un altro parente del defunto pronunciava la
laudatio funebris, che seguiva gli schemi prefissati del compianto e della lode.

RIASSUNTO

La prima prosa latina ebbe per lo più un uso ufficiale; a essa appartengono i commentarii, cioè la
registrazione degli avvenimenti salienti verificatisi durante una magistratura, i libri, cioè l'insieme
delle norme, dei protocolli e degli statuti necessari per l'esercizio del potere, i fasti, con cui si
intende sia l'elenco dei consoli e dei magistrati che si succedevano in Roma, sia il calendario (con
l'annotazione dei dies fasti e dei dies nefasti), infine gli annales, raccolta del nome dei magistrati e
degli eventi accaduti annualmente, operata dai pontefici. Importanti furono gli Annales maximi,
pubblicati a cura del pontefice P. Mucio Scevola nel 123 a.C.

Essendo il diritto una delle più importanti caratteristiche della mentalità romana e una delle più
significative eredità della civiltà di Roma all'umanità, gran parte della produzione in prosa fin
dall'età più remota è costituita da testi giuridici. Tra i primi testi giuridici vanno ricordate le leges
regiae, dette così perché videro la luce in età monarchica, raccolte, secondo quanto tramanda la
tradizione, a cura di Gaio Papirio (ius Papirianum).

Di estrema importanza sono le leggi delle Dodici Tavole, primo esempio di legge scritta e
pubblicata, per la cui stesura venne incaricato un apposito organismo, i decemviri legibus
scribundis. Le leggi videro la luce nel 451-450 a.C., furono incise su tavole bronzee e affisse nel
Foro. Improntate ancora a un rigido conservatorismo, esse sono tuttavia importanti perché
limitarono l'arbitrio dei giudici e garantirono un trattamento equanime a tutti i cittadini.

Nella società romana ebbe enorme importanza sociale e politica l'’oratoria. Le prime orazioni sono
andate ovviamente perdute; di esse si ha traccia nei racconti degli storici delle età successive.
Accanto a un'oratoria politica andò subito sviluppandosene una giudiziaria. Un posto di rilievo ebbe
anche l’oratoria celebrativa, testimoniata dalle Laudationes funebres, discorsi saldamente strutturati,
messi per iscritto e conservati negli archivi familiari, pronunciati in forma solenne durante i funerali
dei cittadini appartenenti alle famiglie patrizie. Oltre a celebrare le qualità e le imprese del defunto,
esse divenivano l'occasione per esaltare l'intera casta aristocratica. Accanto ad essi annoveriamo
anche gli elogia scitti sulle tombe dei grandi, in versi saturni. A Roma sull'Appia antica sono stati
trovati quelli relativi agli Scipioni.

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