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Il 240 a.C.

è anno in cui Livio Andronico fece rappresentare un suo testo scenico, probabilmente una
tragedia, alle spalle di questa data resta un periodo considerato “muto” per la letteratura, esteso forse per
4 secoli. Le origini della letteratura non coincidono con quelle delle “forme comunicative” in cui un cultura
trova espressione. I Romani avevano presente, come guida per conoscere il proprio passato, il riferimento
alle origini della letteratura greca. Il teatro greco del 5 secolo deve aver avuto una preistoria, le opere
letterarie di Andronico, che i Romani usano come soglia della cronologia letteraria, sono “testi di riporto”
che nascono dalla traduzione di un genere letterario già maturo, la tragedia greca di età classica ed
ellenistica. Fin dall’antichità gli abitanti del Lazio che parlavano latino, affidavano alla scrittura messaggi
semplici, legati alla vita pratica e quotidiana. La presenza di iscritti di tipo strumentale, cioè su oggetti di uso
quotidiano e domestico, ci fa capire che già nella Roma arcaica una certa capacità di scrivere era diffusa
anche tra persone di media condizione. Tuttavia la scrittura era più diffusa nei ceti superiori, tra i sacerdoti
e tra chi aveva accesso a cariche pubbliche. In questa fase non è attestata nessuna circolazione libraia. I più
antichi libri sono I Libri Sibyllini, testi religiosi scritti in greco, introdotti a Roma ai tempi di Tarquinio il
Superbo. Nella Roma medio-repubblicana l’alfabetizzazione si presenta più ampia e articolata, nel 3 secolo,
invece, viene riconosciuta una corporazione di scrivani, gli scribae, all’inizio la loro considerazione sociale
non era molto alta, d’altra parte essi sono dei semplici “artigiani della scrittura” dediti al lavoro manuale. Le
forme comunicative non letterarie sono forme pre-letterarie infatti l’uso del latino come lingua ufficiale
(nelle leggi, nei trattati, nel formulario religioso, nelle iscrizioni pubbliche) produsse uno sviluppo della
lingua latina e della cultura letteraria. Nella storia romana c’è sempre stato un influsso greco grazie a
contatti commerciali. Anche nella letteratura c’è una contrapposizione tra il formulario etico e rigoroso
romano e la sinuosità delle forme greche. L’uso della scrittura fu legato fin dall’inizio alla necessità di avere
registrazioni ufficiali (trattati, patti internazionali e leggi) che esercitano un forte influsso sulle origini della
prosa latina. Dei trattati abbiamo solo testimonianze indirette, importanti furono le leges regiae, che
risalgono alla fase monarchica e avevano un’impostazione sacrale. Le prime vere leggi scritte furono Le
leggi XXII Tavole, così dette perché erano affidate a 12 tavole di bronzo esposte nel Foro romano, emanate
tra il 451 e il 450 a.C. con la quale i plebei ottennero i loro diritti. Un altro uso della scrittura era destinato ai
calendari. La comunità romana aveva sviluppato un suo calendario ufficiale, sancito dalle autorità religiose,
regolato e sancito dalle autorità religiose, diviso in fasti e nefasti, ovvero i giorni in cui era permesso o no
fare affari pubblici. Garanti del calendario erano i pontefici. Ben presto il termine fasti incominciò a
designare anche le liste dei magistrati nominati ogni anno, la registrazione dei tronfi militari e la
registrazione degli atti ufficiali dei magistrati. Importante era l’uso della tabula dealbata: una tavola bianca
esposta pubblicamente dal pontefice che dichiarava i nomi dei magistrati dell’anno in corso e gli
avvenimenti di pubblica rilevanza come date di trattati, dichiarazioni di guerra. Queste registrazioni ufficiali
presero il nome di annales. Publio Muzio Scevola si incaricò di riunire in volumi gli annales degli ultimi 280
anni, la raccolta prese il nome di Annales Maximi. Accanto agli annales si possono affiancare i commentarii,
indicano appunti, memorie, osservazioni a carattere privato. Il termine sarà usato da Giulio Cesare per
indicare le sue narrazioni della guerra gallica e della guerra contro Pompeo. Sono opere di attenta cura
letteraria e impostazione politica, si tratta di una rievocazione condotta di prima mano. Silla aveva scritto
almeno 22 libri di Memorie. I commentarii sono quindi opere non professionali, caratterizzate da
informazioni e memorie personali. L’origine di questa accezione risale alla pratica dei magistrati di
raccogliere in una sorta di diario personale i provvedimenti e gli eventi principali dei suo periodo di carica.
Prima della grecizzazione a Roma era più importante saper parlare: i romani consideravano l’abilità oratoria
come forma di potere e di fonte di successo. L’oratoria era considerata l’unica attività intellettuale degna di
un cittadino di elevata condizione. La capacità di convincere are necessaria per una carriera politica. Mentre
la letteratura rientra negli otia: nel tempo libero, l’oratoria è considerata parte integrante della vita attiva.
Appio Claudio Cieco, di nobile stirpe, fu console nel 307, nel 296 censore e nel 312 dittatore. Combatté
contro etruschi e sabini, fu il vincitore dei sanniti nella terza guerra sannitica, permise l’ingresso dei plebei
in senato. Viene ricordato per la sua abilità oratoria, fu esperto di diritto e si occupò anche di questioni
linguistiche. Scrive una raccolta di massime (Sententiae) a carattere moraleggiante e filosofeggiante.
Le forme comunicative con finalità pratiche hanno comunque portato un contributo alla formazione del
latino letterario. Le leggi, così come le preghiere e le formule rituali erano testi autorevoli e avevano uno
stile solenne, con l’uso di alcune formule fisse così da rendere più facile la memorizzazione. Il significato più
usuale di carmen (da cano: “cantare, suonare”) è poesia. Ennio lo traduce con la parola greca poema per
due motivi: da un lato vuole marcare la sua predisposizione a poetare “alla greca”, dall’altro vuole
sottolineare così il rifiuto di una tradizione antichissima. A Roma carmen era un vocabolo indifferenziato,
indicava diverse cose, non era lo stesso per il suo contenuto o il suo uso, per individuarlo dobbiamo
guardare la sua forma. La prosa romana antica è caratterizzata da una forte stilizzazione, ha una tessitura
ritmica segnata e percettibile; la poesia invece ha una struttura metrica debole in quanto sottostante a
norme non rigide. Per questo motivo versi e prosa sembrano avvicinarsi reciprocamente. La tradizione
stilistica dei carmina unisce il periodo delle origini alla storia letteraria di Roma, non sparisce mai del tutto,
è un modo di scrivere che non pratica nette distinzioni tra versi e prosa, ma nel suo complesso si oppone
allo stile casuale e informale della conversazione quotidiana. Le più antiche forme di carmina sono a
carattere religioso e rituale. Le più importanti testimonianze riguardano due importanti carmina rituali: il
Saliare e l’Arvale: il primo era il canto di un collegio sacerdotale, i Salii, cha sarebbe stato istituito da re
Numa Pompilio. Erano 12 sacerdoti del dio Marte, che ogni anno, nel mese di marzo, recavano in
processione i 12 scudi sacri, gli ancilia, uno degli scudi era quello caduto dal cielo come pegno della
protezione divina su Roma. I Salii proferivano una serie di carmina diversi, avanzando in un balletto rituale
scandito in 3 tempi (tripudium perché battevano 3 volte i piedi a terra), accompagnato da percussioni, e
invocavano tutte le potenze divine. Il carmen Arvale era cantano nel mese di maggio dai Frates Arvales, un
collegio di 12 sacerdoti promosso da Romolo. Essi levavano un inno di purificazione dei campi, implorando
protezione da Marte a dai Lares, gli antenati. Del testo abbiamo una riproduzione abbastanza attendibile,
anch’esso ha un ritmo ternario. Proverbi, maledizioni, scongiuri, precetti agricoli, formule medicinali sono
testimonianze consistenti, che riguardano una produzione orale con caratteri di facezia e comicità. Erano
definiti Fescennini versus (deriva o da Fescennia cittadina dell’Etruria, o da fascinum malocchio). Il termine
sarebbe l’espressione di una funzione apotropaica (di allontanamento, di malocchio appunto) che questi
canti avrebbero avuto. Circolavano in occasioni sociali dell’antica Roma come feste nuziali, pubbliche
diffamazioni e tronfi. Poesie a funzione celebrativa eseguite in riunioni private sono i canti eroici, questi
canti potrebbero aver influenzato lo sviluppo di un epica latina autoctona, e sarebbero stati i veicoli per
tramandare miti e leggende. Questa ricostruzione è solo ipotetica perché c’è scarsa rilevanza dei canti
eroici della Roma arcaica. Catone e Cicerone sono i nostri principali testimoni sulla diffusione di questi
canti. Catone però cita solo per tradizione indiretta, noi non abbiamo indizi di una circolazione scritta di
queste poesie.

Le testimonianze più antiche della poesia romana sono composte con un particolare verso, il saturnio. In
saturni sono composti i due primi testi epici romani: la versione dell’Odissea di Livio Andronico e il Bellum
Poenicum di Nevio, ci sono inoltre elogi funebri degli Scipioni. I due componimenti più antichi si riferiscono
a Lucio Cornelio Scipione, console nel 259, e suo padre, console nel 298. Sono testi di notevole fattura
letteraria con familiarità alla cultura greca. L’etimologia del saturnio fa pensare a qualcosa di puramente
italico, ma tutte le attestazioni ci parlano di un influsso greco. Gli epitaffi degli Scipioni e il Carmen Arvale
presuppongono influssi greci. Andronico e Nievo non compongono solo in saturni, ma anche con una
metrica tipica della poesia scenica greca. Tuttavia la sua struttura metrica non si lascia ricondurre a nessun
verso canonico della poesia greca. Il saturnio però non si può collocare completamente fuori dall’unità
culturale greco-latina. Si può vedere nel saturnio la trasformazione di certi cola: unità metriche rintracciabili
anche in filoni della poesia greca. Esistono altre forme metriche che, pur riconducibili a un modello greco,
godono di una loro vitalità autonoma e non letteraria, il cosiddetto versus quadratus, un settenario trocaico
attestato per l’età classica per usi popolari.

Nel secolo che va dal 240 a.C. all’età dei Gracchi, la cultura romana conosce la fioritura di opere sceniche e
di rappresentazioni teatrali. Tutti i principali generi teatrali romani sono, in origine, prodotti di
importazione. Di origine greca sono Infatti il principale genere comico, la palliata (il palio era il tipico
abbigliamento dei greci, autori di questo genere sono Plauto, Stazio e Terenzio), e il principale genere
tragico, la cothurnata (coturni erano i calzati degli attori tragici greci). Gli autori di palliate e coturnate
presentano le loro opere ambientate in Grecia e derivate da precisi e conosciuti modelli greci. Si sviluppano
quindi una palliata e una coturnata romana che si chiameranno rispettivamente togata (da toga) e
praetexta (dall’abbigliamento dei magistrati romani). Queste usano gli stessi canoni drammatici e hanno le
stesse tendenze stilistiche. Anche i termini tecnici della drammaturgia sono tutti di origine greca o etrusca.
Tito Livio, in un passo, precisa che l'origine degli spettacoli romani è etrusca. L'occasione di cui parla Livio e
contrassegnata da pubbliche cerimonie religiose: la sede regolare del teatro latino sarà rappresentata dal
ricorrere di feste religiose. La più antica ricorrenza teatrale è legata alla celebrazione dei ludi Romani in
onore di Giove Ottimo Massimo. Durante l'età di Plauto e Terenzio 4 erano le ricorrenze destinate alla
rappresentazione teatrale: ludi Romani (settembre), i ludi Megalenses, in onore della Magna Mater (aprile),
i ludi Apollinares (luglio), i ludi plebei, dedicati a Giove Ottimo Massimo (novembre). I committenti delle
opere teatrali si identificavano con le autorità; in un epoca in cui le cariche pubbliche sono rette dalla
nobiltà era forte l'importanza dei clan nobiliari nel favorire lo sviluppo del teatro. La natura della
committenza spiega anche la scelta degli argomenti (esaltazione di imprese eroiche o di antenati illustri). La
praetexta avrà non solo una tematica nazionale e nazionalista, ma anche un riferimento a singole figure
politicamente influenti. Inoltre la commedia latina non esercita forme di critica sociale o di costume, non
sono consentiti attacchi personali o prese di posizione politiche. La commedia può essere realistica, ma non
ha punti di contatto con l'attualità politica. Un'altra data importante per il teatro romano è il 207, quando
fu fondata la “confraternita degli autori e degli attori”, ma il riconoscimento fu limitato. L'assunzione del
termine greco poeta, indicherà il crescere di una più elevata autocoscienza. Il riconoscimento sociale
crebbe con il consolidarsi di legame tra autori e aristocrazia: figure chiave di questa ascesa furono Ennio per
la letteratura “seria”, e Terenzio per il teatro comico. Gli oneri finanziari erano dello stato, rappresentato
dai magistrati organizzatori, i quali dovevano trattare con gli autori e con il “capocomico” che dirigeva la
compagnia. Il primo teatro di pietra risale al 55 a.C., prima erano in legno. L'azione si svolge va sempre in
esterni, di fronte a due o tre case collocate su una strada che portava da una parte al centro della città,
dall'altra all'esterno. Fondamentale era l'uso delle maschere, queste erano fisse per determinati tipi di
personaggi (vecchio, giovane innamorato, matrona, cortigiana, schiavo, parassita, soldato). Avevano la
funzione di far riconoscere subito quale tipo di personaggio fosse. L'uso delle maschere ebbe un forte
influsso sulla poetica dei commediografi latini, aveva inoltre una funzione pratica: uno stesso attore,
cambiando la maschera poteva interpretare più ruoli.

L'autore di palliate più conosciuto è Plauto che scrive commedie: non divise in atti e composte da parti
recitate e cantate. Il teatro plautino comprendeva tre modi di esecuzione di formazione metrica: le parti
recitate senza accompagnamenti musicali (in senari giambici), le parti recitative con accompagnamento
musicale (in settenari trocaici), le parti cantate composte in molte varietà di metri. Tutti questi tipi di verso
trovano corrispondenza in versi greci, con alcuni adattamenti. La struttura metrica della palliata offre quindi
un'impressione di ricchezza e musicalità. Le commedie erano generalmente divise in atti e composte solo
da parti recitate e recitative. La struttura della tragedia attica prevedeva un alternarsi di parti dialogate,
recitate o recitative, e parti liriche, queste avevano l'aspetto di grandi costruzioni strofiche: i cori, che
prevedevano una fusione fra il testo e la “coreografia”. La funzione delle parti corali era il commento
all'azione. I tragediografi Latini non disponevano delle strutture necessarie a riproporre nel teatro romano
le inserzioni corali del teatro attico. La scomparsa della lirica corale apriva nelle tragedie come un “vuoto”
di stile e di immagini. I tragici latini avviarono a questo “vuoto” alzando il livello stilistico dei loro drammi. A
fianco al teatro “regolare” vi è un teatro di genere letterario: l’atellana, accostato alla nostra commedia
dell’arte. Il nome viene dalla città di Atella, sono spettacoli basati su un canovaccio rudimentale, un
intreccio che prevedeva equivoci, incidenti e bisticci. Ma la caratteristica più importante è che i canovacci
comportavano della maschere fisse e ricorrenti come il chiacchierone e il gobbo malizioso.
Livio Andronico data di nascita e morte sono ignote. Era un greco originario della colonia di Taranto, giunse
a Roma nel 272 a.C. alla fine della guerra tra Roma e Taranto, al seguito del nobile romano Livio Salinatore,
di cui fu liberto. A Roma fu professore di latino e greco, scriveva testi drammatici, tragedie e commedie. Nel
240 a.C. rappresenta ai ludi una sua opera. Nel 207 a.C. compose un partenio (canto di fanciulle) in onore di
Giunone, destinato all’esecuzione in pubblico nel corso di cerimonie religiose. Ebbe pubblici onori e la sua
associazione professionale venne insediata in un edificio pubblico, il tempio di Minerva sull’Aventino. Tutto
quello che ci è giunto si limita a una sessantina di frammenti, tra cui i titoli di 8 tragedie tutte legate al ciclo
della guerra di Troia: Achilles, Aiax mastigòphorus, tratto dall’Aiace di Sofocle, l’Equos Troianus. Le palliate
ebbero minore importanza, vi sono 6 frammenti di un solo verso a volte non completo, uno solo è
attestato, il Gliadiolus (sciaboletta). L’opera più significativa composta nel tradizionale verso latino, il
saturnio, è l’Odissea di Omero. Ce ne sono giunti 36 frammenti, non tutti completi. Le informazioni sulla
vita si basano su Cicerone e Livio. Cicerone testimonia un’antica controversia sulla biografia di Livio: pare
che Accio poeta tragico e filologo, fissa il 209, anno della presa di Taranto, come arrivo di Andronico a
Roma. Ipotesi non probabile perché sarebbe contemporaneo a Plauto e Ennio. I grandi classici romani del I
secolo a.C. lo considerano l’iniziatore della letteratura latina. L’operazione di traduzione di Livio ebbe
finalità letterarie e culturali. Traducendo Omero rese disponibile ai romani un testo fondamentale della
cultura greca, ebbe fortuna soprattutto come testo scolastico. Concepì la traduzione come un’operazione
artistica: propone un testo che affianchi l’originale che sia fruibile come opera autonoma ma che conservi
anche la qualità artistica originale. Egli creò a Roma una lingua letteraria adatta a recepire il linguaggio e lo
stile dell’epica greca, e a restituirne le risonanze e gli effetti formule del linguaggio religioso romano o
forme grammaticali e vocaboli arcaici. Trasforma il testo di partenza se concetto o personaggio risultano
inaccettabili alla mentalità dei romani del tempo. Inoltre traduce inserendo l’aspetto del phatos, estraneo
alla poesia greca. La ricerca del patetico è una costante in tutta la poesia arcaica romana.

Nevio Nevio cittadino romano, di origine campana. Molte più perplessità sono presenti riguardo la sua data
di nascita. Sappiamo che combatté nella prima guerra punica (264-241 a.C.) e che quindi, a rigor di logica, la
sua nascita oscilla tra il 285 e il 260 a.C. Di spirito mordace e ironico si mise spesso contro potenti famiglie
di Roma. Si scontrò con Scipione l’Africano e soprattutto con la famiglia dei Metelli. Nei confronti di
Scipione l’Africano, Gneo Nevio nel frammento 86 ci riporta un episodio piccante in cui è coinvolto il grande
comandante di Roma. Egli da giovane fu sorpreso dal padre in casa di una donna e fu portato via, vestito
del solo pallio. Secondo Aulo Gellio (scrittore romano del II secolo d.C.), Scipione l’Africano si sarebbe
vendicato mandandolo in esilio. Ben grave fu però la sorte riservata a Nevio quando attirò su di sé le ire
della potente famiglia dei Metelli. Quando i Metelli divennero consoli di Roma, Nevio scrisse una frase
piuttosto ambigua, con la quale voleva denunciare l’assenza di merito per la carica ricevuta. I Metelli
risposero con un’espressione inequivocabile: Malum dabunt Metelli Naevio Poetae (I Metelli recheranno
danni al poeta Nevio). Ne seguì l’imprigionamento in carcere. Quando ne uscì andò in esilio in Africa, forse
volontariamente per ragioni di prudenza, e lì morì nel 201 a.C. Gneo Nevio iniziò la sua attività teatrale nel
235 a.C. Di Gneo Nevio ci rimangono: 35 titoli di commedie palliate (opere di imitazione e ambientazione
greca) 6 tragedie cothurnate, cioè di argomento greco (due delle quali hanno lo stesso titolo delle opere di
Livio Andronico) 2 tragedie praetextae, cioè tragedie di argomento romano e 111 frammenti per un totale
di 137 versi. L’opera principale è il Bellum Poenicum, in saturni. Omaggio alla poetica ellenistica, si
estendeva per 4000-5000 versi, ne restano una 60ina. Il Bellum Poenicum è concepito come un carmen
continuum, un testo poetico continuativo, senza divisioni; verrà poi diviso in 7 libri da un contemporaneo di
Accio, il grammatico Lampadione. Il poema narrava la storia di Enea che da Troia giunge nel Lazio e, la
storia della prima guerra punica, che Nevio aveva vissuto. Nel Miles Gloriosus di Plauto si allude al fatto che
forse venne incarcerato dagli avversari. Autentiche sono le notizie degli attacchi di Nievo contro la famiglia
dei Metelli. Egli è il primo letterato latino di nazionalità romana, era inserito nelle vicende contemporanee e
partecipe ad eventi storici e politici. Il forte impegno nella vita politica traspare nei caratteri delle sue
opere: il Bellum Poenicum e le tragedie di argomento romano Romulus, drammatica storia della fondazione
di Roma, e Clastidium, celebrazione della vittoria di Casteggio contro i Galli (222 a.C.). La sua opera
principale ha uno strato “omerico” la fondazione di Roma si ricollega alla caduta di Troia, e i viaggi per mare
di Enea erano paralleli alle peregrinazioni di Odisseo, in questa fase Nevio doveva dare spazio anche
all’intervento divino: il tradizionale apparato divino assumeva una missione storica, e sanzionava la
fondazione di Roma. Questa saldatura tra mito e storia innestava l’ascesa di Roma in una sorta di visuale
cosmica. Non sappiamo come avvenisse il passaggio dalla narrazione mitica al racconto della guerra contro
Cartagine, certo è il fatto che erano due blocchi distinti. L’unico collegamento con il mito forse è l’incontro
di Enea con Didone, che avrebbe saldato i destini dei due popoli. Nevio era conoscitore di poesia greca e
anche la sua Campania era zona di lingua e cultura ellenica. Il Bellum Poenicum presuppone Omero e anche
la tradizione ellenistica del poema storico-celebrativo. L’idea di intrecciare una storia di viaggi e di guerra
sembra indicare un incrocio fra l’Iliade e l’Odissea. Nello stile c’è una mescolanza della cultura ellenistica e
di quella nazionale, notevoli varietà di tono e di impasto lessicale, importanza delle figure di suono:
ripetizioni, allitterazioni, assonanze. La sperimentazione di un nuovo linguaggio poetico si sviluppò in due
direzioni: la sezione mitica imponeva a Nevio la sfida del linguaggio poetico greco, la sezione storica poneva
dei problemi altrettanto cruciali, però di natura diversa, egli adatta il suo stile poetico a una lunga
narrazione continua. È un testo caratterizzato da forte sperimentalismo, in cui forse le diverse componenti
stilistiche non trovano un equilibrio stabile. La sua opera conteneva attacchi personali contro avversari
politici e scandiva il suo amore per la libertà. Nevio compose anche tragedie mitologiche, di cui parecchie
legate al ciclo troiano: Equos Troianus e Danae. Di gran lunga più importante sembrerebbe la produzione
comica, che suggerisce un talento letterario versatile. Tra i testi comici si distingue la Tarentilla (la ragazza
di Taranto), è possibile conoscere la trama, dato che di essa ci sono pervenuti una quindicina di frammenti:
due giovani scappano di casa e vanno a stare in una grande città, Taranto. Tutti e due si innamorano di una
ragazza di facili costumi, la Tarentilla, e insieme se la spassano sperperando il patrimonio di famiglia, finché
non arrivano i rispettivi genitori a ricondurli alla ragione. Dai frammenti si ricava l’impressione di una
colorita inventiva verbale. È certo comunque che il teatro di Nevio era più impegnativo di quello del secolo
successivo. Riguardo il teatro tragico, la tragedia di cui ci rimane il maggior numero di frammenti è
Lucurgus, una reinterpretazione delle Baccanti di Euripide. Nella versione di Nevio, però, il protagonista è
Licurgo e non Penteo, e la vicenda è ambientata nella Tracia e non a Tebe, ma la situazione rappresentata è
la stessa: c’è uno scontro tra il dio Dioniso, favorevole alla diffusione del suo culto e sostenitore della libertà
di professare la propria religione, e Licurgo, re di Tracia, che teme che tale culto possa macchiare la virtù
dei suoi sudditi. Il tema era attuale a Roma. Il culto di Dioniso infatti era praticato anche dalle più alte
famiglie aristocratiche, ma raggiunse limiti così scandalosi che una legge dovette vietare la partecipazione ai
riti orgiastici, tipici delle feste dionisiache.

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