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La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua, e si può dividere in due sottocampi

principali: -la linguistica generale che si occupa di che cosa sono, come sono fatte e come funzionano le
lingue; -la linguistica storica, che si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue
e fra lingua e cultura.

La linguistica studia le cosiddette lingue storico-naturali, cioè quelle nate spontaneamente lungo il corso
della civiltà umana e usate dagli essere umani ora o nel passato. Tutte le lingue storico- naturali sono
espressione del linguaggio verbale umano, che è una facoltà innata dell’homo sapiens ed è uno degli
strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione che questi abbia a disposizione. Da questo punto di vista
non c’è alcuna differenza tra lingue e dialetti, entrambi manifestazione specifica del linguaggio verbale
umano. La distinzione tra lingua e dialetti è basata solo su considerazioni sociali e storico-naturali. Si apre
qui il campo della sociolinguistica, che studi l’interazione fra lingua e società, la variazione dei
comportamenti linguistici e come le lingue si articolano in varietà secondo diverse dimensioni di variazione.
Per inquadrare il linguaggio verbale umano può essere utile partire dalla nozione di segno, che è qualcosa
che sta per qualcos’altro e serve per comunicare questo qualcos’altro. Tuttavia sono diverse le concezioni
di cosa voglia dire “comunicare/comunicazione”: secondo una concezione molto larga, comunicazione
equivale a “passaggio di informazione”, un ingrediente fondamentale nella comunicazione è
l’intenzionalità, quindi in senso più stretto si ha comunicazione quando c’è un comportamento prodotto da
un emittente al fine di far passare dell’informazione, e che viene percepito da un ricevente come tale,
altrimenti si ha “semplice passaggio di informazione”. Più precisamente si potrebbero distinguere 3
categorie di comunicazione, a seconda del carattere di chi produce il messaggio (emittente), chi lo riceve o
lo interpreta (ricevente o interpretante) e dell’intenzionalità del loro comportamento: -comunicazione in
senso stretto, se l’emittente e il ricevente sono intenzionali (es. linguaggio verbale umano, i gesti ecc.) –
passaggio di informazione, se l’emittente non è intenzionale, ma il ricevente (interpretante) intenzionale
(comunicazione non verbale umana, orme di animali, sintomi di condizioni fisiche). –formulazione di
inferenze, se al posto dell’emittente c’è un oggetto culturale che viene interpretato come volto a fornire
un’informazione, ma c’è un interpretante (es. case dai tetti aguzzi e spioventi: qui nevica molto). Da un
categoria all’altra l’insieme di conoscenze di riferimento (codice) che permette di interpretare
correttamente l’informazione diventa via via meno forte e più vago, e l’associazione fra un certo segnale e
l’informazione che esso veicola è affidata all’interpretante, e può generare fraintendimenti.

Il segno è l’unità fondamentale della comunicazione, infatti è l’unica entità a fare da supporto alla
comunicazione o al passaggio di informazione. Esistono diversi tipi di segni, una possibile tassonomia di
questi è basata su 2 criteri fondamentali: l’intenzionalità e la motivazione relativa, cioè dal grado di
rapporto naturale esistente tra le due facce del segno. 1. INDICI (sintomi): motivati naturalmente/non
intenzionali (basati sul rapporto causa o condizione scatenante ed effetto. Esempio: starnuto> avere il
raffreddore); 2. SEGNALI motivati naturalmente/usati intenzionalmente (esempio: sbadiglio volontario>
sono annoiato); 3. ICONE

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