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- Repertorio linguistico: insieme dei sistemi linguistici parlati all'interno di una comunità, intendendo anche i rapporti
fra di esse, le gerarchie, le norme d'impiego e la diffusione. Ognuna delle lingue o dialetti che compongono un
repertorio linguistico è a sua volta costituita da un insieme di varietà. Berruto definisce il repertorio come l’insieme
delle risorse linguistiche di una comunità, non intendendo soltanto la somma di lingue e varietà, ma anche i rapporti fra
esse, le gerarchie, le norme d’impiego, la diffusione/accessibilità ai membri stessi.
Il repertorio linguistico può essere comunitario, ma anche individuale. Difficilmente un parlante conoscerà l'intera gamma di
lingue\dialetti che compongono il repertorio comunitario, ne conoscerà un solo segmento, in base alla sua storia
sociolinguistica. Ciò che conta è che i parlanti adulti che compongono la comunità siano consapevoli della composizione del
repertorio comunitario.
I repertori linguistici presentano una struttura gerarchica al loro interno: le lingue e i dialetti a disposizione dei parlanti non si
trovano tutti sullo stesso livello, sia nell'uso, sia nelle funzioni che la comunità assegna loro, sia nel grado di standardizzazione.
A seconda dei rapporti che si delineano fra i sistemi linguistici di una comunità, si ottengono diversi tipi di repertorio
linguistico. I tre tipi ideali sono il bilinguismo sociale, la diglossia e la dilalia. Nella realtà i repertori di una comunità si
avvicinano tra loro e spesso sono una combinazione di essi.
- Bilinguismo sociale (non individuale, di un’intera comunità): compresenza di due codici, entrambi dotati della
stessa distribuzione in termini di domini d'uso (alti/formali, e bassi/informali), di statuto giuridico-sociale, di
standardizzazione. Il bilinguismo sociale può essere:
1. Bicomunitario: due comunità etnico-linguistiche coesistono nello stesso territorio – Quebec, Belgio, Alto Adige.
2. Monocomunitario: vi è una sola comunità bilingue – Valle d'Aosta.
Nel bilinguismo bicomunitario la toponomastica è bilingue, come anche le scritte e i testi rivolti al pubblico. Quando è solo una
la comunità ad essere ufficialmente bilingue la scelta dei codici è più spesso dettata da criteri funzionali e di praticità.
Il bilinguismo sociale può essere de facto e de jure, nei cui stati/regioni il bilinguismo è regolato dalla legge per garantire
l'uguaglianza linguistica di diritto, sebbene il bilinguismo individuale non sia poi così diffuso. Dato il caso di bb de jure non è
difficile immaginare la coesistenza di 2 comunità quasi totalmente monolingui. Tuttavia, anche in questi casi esiste un codice
dotato di maggiore potere e prestigio. (Es italiano in Valle D’Aosta e in Alto Adige).
- Diglossia: quando il rapporto tra sistemi linguistici è di natura gerarchica e dunque i codici non coesistono negli stessi
ambiti d’uso, ma il loro uso dipende dal canale di comunicazione (scritto vs parlato) o dal grado di formalità
situazionale.
Dobbiamo il termine a Ferguson che nel 1959 dà una definizione che esemplifica con 4 casi paradigmatici:
1. Arabo classico e arabo colloquiale egiziano;
2. Tedesco e svizzero tedesco;
3. Francese e creolo haitiano;
4. Greco moderno standard e greco parlato di Atene. (Termine diglossia fu originariamente introdotto da William Marcais
1930, a sua volta notato nello studio sociolinguistico greco).
I parlanti, dunque, usano sotto condizioni diverse le varietà di una stessa lingua. Le funzioni dei due codici sono molto
specializzate e vi è una poca o nulla sovrapposizione dei domini d'uso. Le situazioni di diglossia sono molto stabili e si
mantengono per almeno 3 generazioni, durante le quali ogni varietà si ritaglia il suo ambito funzionale. In una situazione
classica si ha una varietà alta A e una varietà bassa B. Caratteristica distintiva in una situazione di diglossia è che A gode di
prestigio presso tutti i membri della comunità linguistica, il suo corpus letterario è utilizzato nel sistema scolastico, è codificata
in grammatiche e dizionari. I bambini imparano prima B nella prima infanzia, mentre A viene appresa a scuola, nonostante
abbiano una competenza passiva nella prima infanzia attraverso i mass-media.
La diglossia è diffusa nell’ambito dei paesi arabi (Marocco, Algeria, Siria, Libia, Tunisia, cc). Sono tutti accomunati dalla
presenza dell’arabo classico, lingua del Corano impiegato come varietà A (lingua ufficiale, scritta e letta, di cultura, mai parlata
a livello informale), a cui si oppongono le varierà locali di arabo parlato (dialetti arabi, neoarabo) utilizzate esclusivamente in
forma orale. Chi padroneggia la lingua classica fa parte dell’élite, per gli altri è solo un modello verso cui tendere. (es Francia
latino e francese).
La varietà alta di arabo è un codice unitario ed è la sola a cui i parlanti riconoscano lo statuto di lingua. Le varietà di arabo
parlato sono molte e spesso non intercomprensibili. La muta comprensibilità è, infatti, condizionata da vari fattori:
- Distanza geografica: la prossimità regionale aiuta a comprendersi avendo maggiori contatti; difficoltà a comprendere varietà
parlate in regioni distanti con cui hanno pochi contatti.
- Il prestigio di certe varietà, alle quali viene riconosciuto lo status di varietà sovraregionali: i dialetti dei centri urbani o usati al
cinema e nei media, che contribuiscono a diffondere la lingua oltre la nazione;
- Gli atteggiamenti verso il proprio dialetto e delle varietà delle regioni limitrofe;
- Il livello di istruzione e la loro possibilità ad accedere alla lingua classica.
La diglossia di questi paesi ricorda quella italiana alla vigilia dell’unità nazionale, continuata fino alla scolarizzazione della
maggior parte della popolazione e alla diffusione dei mass media.
Nel 1861 solo il 2,5% della popolazione parlava l’italiano e aveva come lingua materna uno dei dialetti italo- romanzi,
l’obbligo scolastico era solo per il biennio delle elementari. L’italiano viene imposto come lingua ufficiale e nazionale del
Regno d’Italia allo scopo di creare uno stato unitario. L’italiano rimase una lingua per lo più scritta sino allo scoppio della IGM,
impiegata nell’amministrazione pubblica e in ambito ufficiale, mentre i dialetti venivano usati oralmente per la comunicazione
quotidiana e informale, nonostante potessero essere utilizzati anche ad un alto grado di formalità.
Poi con la IIGM, le migrazioni esterne ed interne e l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, si è raggiunta una
diffusione e omologazione linguistica.
Un caso particolare è la diglossia mediale (caratteristica della Svizzera tedesca): “mediale” perché si basa sul mezzo di
comunicazione, cioè lo scritto vs il parlato. A è usata solo per lo scritto e per molti contesti di parlato-scritto (celebrazioni
religiose, lezioni universitarie, discorsi pubblici), mentre B è usata per quasi tutti i contesti orali (trasmissioni televisive,
conferenze universitarie, rapporti con la pubblica amministrazione) e in alcuni contesti di scritto-parlato (annunci su giornali,
lettere private, fumetti, chat).
Nella Svizzera tedesca (Berna, Zurigo, ecc) si ha una A, ovvero il “tedesco scritto”, e una B, ovvero il dialetto svizzero–
tedesco.
Si è parlato di diglossia nella situazione italiana attuale ma non è così. Oggi sembra mancare proprio del parametro cruciale per
la definizione di diglossia, cioè quello della non sovrapponibilità dei codici, rigidamente gerarchizzati tra loro. Italiano e
dialetto non sono nettamente separati, gli ambiti d’uso si sovrappongono nei domini bassi, italiano è usato in contesti informali
e in famiglia. La situazione italiana secondo Berruto è di Dilalia.
- Dilalia: compresenza di italiano e dialetto nella stessa conversazione. È il risultato dell'evoluzione di un repertorio
diglottico. In questo caso A e B non sono rigidamente separati e attaccati a determinati ambiti. È il caso italiano, in cui
gli ambiti funzionali di italiano e dialetto si sovrappongono nei domini d'uso bassi in tutte le regioni d'Italia. Il dialetto
e l'italiano sono spesso presenti nella stessa conversazione, cosa impossibile nella diglossia.
Combinando bilinguismo (insieme di competenze individuali) e diglossia, si ottengono almeno 4 tipi di comunità linguistica
(Fishman).
• Caso 1 bilinguismo e diglossia La capacità dei singoli individui di avere due codici è fortemente incoraggiata e sostenuta a
livello istituzionale (svizzera tedesca). Permangono le condizioni di diglossia, per cui le varietà si ritagliano ambiti d’uso
complementari. Tuttavia, il sentimento di appartenenza fa sì che i membri possiedano una certa competenza di entrambe e
nessuna delle due è considerata estranea alla comunità stessa. Es. Svizzera tedesca (varietà alta non è solo dell’élite).
• Caso 2 diglossia senza bilinguismo Unione di più comunità monolingui, dove solo una lingua (quella della comunità
politicamente dominante) viene impiegata come lingua di prestigio e riceve appoggio istituzionale. (Russo nella ex Unione
Sovietica). Esiste quindi un’opposizione tra l’unica lingua scritta utilizzata a livello ufficiale e le altre lingue parlate localmente.
Tipica dei rapporti di colonialismo (la lingua dei colonizzatori si impone come unica lingua scritta su un territorio in cui si
parlavano decine di lingue diverse). Situazione instabile che tende ad evolversi in 2-3 generazioni verso una condizione di
diglossia con bilinguismo.
• Caso 3 bilinguismo senza diglossia Mancata distribuzione complementare delle varietà in ambiti d’uso distinto, come in
diglossia classica. Entrambe le varietà devono competere per essere impiegate. Situazione ridondante poco stabile: dopo alcune
generazioni si ha la prevalenza di una delle due varietà.
• Caso 4 né diglossia né bilinguismo È il risultato dell’evoluzione del caso 3, una delle due varietà predomina sull’altra e
l’altra abbandonata. Situazione di monolinguismo nella realtà difficilmente osservabile.
Non tutte le lingue presenti in un repertorio sono ugualmente elaborate: una lingua caratterizzata da elaborazione (AUSBAU) è
una lingua scritta e standardizzata usata per ambiti formali, ufficiali, tecnici e specialistici. In Europa, tutti i repertori linguistici
dispongono di almeno una lingua elaborata, standard, che fa da tetto ad altre varietà o dialetti non elaborati, ma ad essa affini.
In alcuni casi, A convive con delle varietà di lingua che non possono riconoscersi come suoi dialetti in senso stretto: è il caso
delle minoranze linguistiche.
Il modello di repertorio più diffuso in Europa è caratterizzato da una A (che coincide di solito con la lingua standard nazionale)
e da B (dialetto o varietà regionale, dotata di sufficiente autonomia per rappresentare un codice a sé).
Repertori del genere si trovano in Italia (tranne la Toscana dove si parlano varietà diatopiche dell’italiano), area tedescofona.
Il dialetto o varietà regionale può non essere direttamente imparentato con la lingua standard, come in Alsazia dove l’alsaziano
(d. alemannico) è parlato accanto al francese standard.
Il rapporto tra A e B può essere diglottico o dilalico.
Immagine... nel caso in cui la lingua standard sfondo bianco e la varietà dialettale/sfondo grigio si ritagliano gli ambiti d’uso
complementari (diglottico); varietà impiegata anche nei domini familiari, informali, togliendo spazio alla varietà dialettale
(dilalia). Se ci fosse una comunità del tutto monolingue il quadrato avrebbe un colore uniforme. Nella realtà esistono molte
combinazioni.
Ad esempio, in Toscana il cui dialetto rappresenta una varietà diatopica (variazione linguistica su base geografica) della lingua
nazionale (varietà standard), può essere quindi considerata una situazione monolingue poiché le due varietà appartengono ad un
unico diasistema caratterizzato dalla presenza di un continuum di varietà. Berruto lo definisce un caso di bidialettismo.
Un terzo tipo di repertorio in Europa vede la presenza a livello basso di una varietà dialettale B1 imparentata con la varietà A,
ma anche di una seconda varietà dialettale B2 parlata da una minoranza dei membri della comunità (minoranze arberesh
nell'Italia meridionale – albanese antico con influenze dei dialetti meridionali). A seconda della diffusione del dialetto di
minoranza B2 e dell’importanza reciproca di questo e del dialetto locale, si configurano diversi sottotipi di repertorio:
1. B2 usato da pochissimi parlanti in pochissimi ambiti (es. solo in famiglia);
2. B2 e B1 occupano insieme equamente tutto lo spazio informale;
3. B1 (d locale) è in posizione minoritaria e marginale.
Negli ultimi anni i repertori del tipo 3 hanno mostrato una tendenza ad evolvere verso una maggiore complessità, in seguito alla
introduzione nel sistema scolastico e in ambito pubblico-amministrativo della varietà standardizzata della lingua parlata della
minoranza. Ecco due ulteriori sottotipi: è il caso dell'Alto- Adige e della Valle d'Aosta. Alto Adige: bilinguismo italo-tedesco e
diglossia solo per la minoranza tedescofona (tedesco e bavarese). Valle D’Aosta: francese in ambiti formali e scritti, il patois
francoprovenzale per quasi tutti gli ambiti informali, italiano nell’intero spazio del repertorio.
L'ufficializzazione, l'elaborazione e la diffusione della lingua di minoranza può portare alla diacrolettia, ossia una dilalia
rovesciata, caratterizzata dalla presenza di due acroletti o varietà alte. Dunque, ad una lingua utilizzata in tutti gli ambiti
funzionali (lingua regionale, di minoranza a livello nazionale), si aggiunge una seconda lingua (lingua nazionale) utilizzata solo
nei domini alti e sempre in sovrapposizione alla prima lingua (situazione Catalogna).
I primi tre gradi sono tipici delle lingue nazionali in Europa, mentre i sistemi linguistici parlati in territorio africano si collocano
negli ultimi tre, ad eccezione dell'arabo classico, detto standard arcaico. Mentre in Africa gli standard sono giovani e devono
ancora ricevere il riscontro dagli utenti. Non sono stabili, esistono anche grafie differenti. La creazione di uno standard è
sempre il risultato della scelta tra diverse varietà della stessa lingua in competizione tra loro, per cui capita che i parlanti
percepiscano lo standard come arbitrario e artificiale: solo se una comunità comprende e condivide le motivazioni alla base
delle scelte operate nell'elaborazione di uno standard, quest'ultimo avrà la possibilità di essere accettato con successo.
Una varietà può essere scelta perché è potenzialmente adatta ad essere utilizzata in più regioni, come lingua veicolare. Esistono
numerose varietà diatopiche molto diverse da quella scelta come varietà da utilizzare come standard. Cioè nel contesto africano
si osservano quelle chiamate catene linguistiche o continua dialettali: i parlanti di una varietà X sono in grado di comprendere
la varietà parlata nell'area immediatamente vicina a quella in cui vivono (Y), ma hanno difficoltà a capire le varietà che si
trovano all'estremo opposto del continuum dialettale riconoscibile in una determinata regione (var W o Z). Nasce quindi il
bisogno di una lingua veicolare, ossia è una lingua parlata da un maggior numero di persone come L2 invece che come Lingua
Madre. Queste lingue sono impiegate come mezzo di comunicazione tra parlanti di Lingue Madri differenti e di solito queste
varietà veicolari sono semplificate dal pdv lessicale e strutturale (sinonimo di lingue franche). Ciò dipende dal fatto che
assolvono funzioni comunicative diverse rispetto alle varietà parlate come LM: sarà usata per contrattare il prezzo di una merce,
nel centro urbano per chiedere informazioni, per richiedere il salario. Quindi esse godono di un prestigio variabile, che sembra
dipendere soprattutto dalle competenze dei singoli parlanti: coloro che le parlano come LM tendono ad attribuire alla varietà
veicolare uno scarso prestigio, in quanto la percepiscono come estremamente semplificata.
3. Caratterizzato dall'assenza di lingue veicolari sia a livello nazionale sia a livello regionale. La comunicazione tra
gruppi etnici aventi per lingua materna sistemi linguistici diversi è assicurata da un'esolingua o da una varietà
pidgin di essa.
Costa d'Avorio: francese (A), vernacoli locali (B)
In contesto africano, le varietà presenti nei repertori si ritagliano domini d’uso diversi e complementari: i vernacoli locali sono
utilizzati in famiglia, le lingue veicolari a lavoro o nelle transazioni commerciali, l’esolingua in politica, nei rapporti con le
istituzioni amministrative del paese e nei rapporti economici e commerciali di carattere internazionale.
Alternanza di codice
Uno dei fenomeni che si riscontrano in questi casi è l’alternanza di codice, ossia il passaggio da una (varietà di) lingua a
un’altra realizzato, come sostiene Berruto, a seconda o dello speech event o della situazione comunicativa di cui si è
partecipanti, o del destinatario cui ci si rivolge. È il comportamento linguistico tipico di quei parlanti plurilingui che utilizzano
un sistema linguistico sul luogo di lavoro e un altro in famiglia e con gli amici, o di quei bambini che utilizzano la lingua
italiana a scuola per comunicare con l’insegnante e i compagni, mentre usano prevalentemente il dialetto in famiglia. (es
immigrato ghanese).
Questa modalità comunicativa è, dunque, strettamente legata al dominio, cioè alle classi di situazioni nella quale ciascuna
lingua a disposizione del parlante (o comunità) viene utilizzata (es. di domini: la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro ecc.).
La scelta dipende anche dall’argomento della conversazione.
Fishman spiega che i parlanti plurilingui tendono a sviluppare l’abitudine a parlare di un dato argomento x nella lingua X in
seguito a una serie di ragioni:
- Avendo potuto addestrarsi a discutere tale argomento servendosi della lingua X (procedura permesso di soggiorno in
italiano, quindi naturale parlare in italiano con impiegati della prefettura);
- Perché sia il parlante sia gli interlocutori potrebbero non essere a conoscenza del lessico specialistico al fine di
discutere in modo soddisfacente l’argomento x in una lingua Y (difficile per immigrato ghanese trovare gli esatti
termini burocratici italiani nella lingua di origine o in inglese).
- Poiché la lingua Y potrebbe in effetti essere priva dei termini esatti e/o specialistici necessari al fine di discutere
dell’argomento x (es molte lingue africane meno elaborate di quelle europee);
- Poiché potrebbe risultare strano o inappropriato discutere dell’argomento x servendosi della lingua Y (l’italiano gode
dello status di lingua ufficiale in Italia ed è la scelta non marcata negli uffici pubblici e documenti, una scelta alla quale
devono adeguarsi anche i cittadini di origine straniera.)
Tuttavia, l’argomento, o topic, della conversazione non può essere l’unico tratto utile per la definizione di un dominio e della
scelta del codice. Occorre osservare le relazioni di ruolo che legano i partecipanti dell’atto comunicativo e che concorrono a
determinare il grado di formalità/informalità di quest’ultimo, sia il luogo in cui la conversazione avviene. I domini non sono
astrazioni a priori, ma sono estrapolati dal ricercatore a seguito di un’analisi dei dati raccolti sul campo, ovvero a concrete
pratiche linguistiche.
Si parla di Tag switches (scambi-coda) quando il segmento commutato coincide con una proposizione parentetica (you know),
un'interiezione (accidenti!) o un riempitivo (I mean, cioè, voglio dire). La presenza predominante di tag switches sembra essere
correlata a bassi livelli di competenza o comunque ad una competenza sbilanciata in favore di una delle lingue in contatto,
solitamente la materna.
Si è cercato di chiarire non solo il loro aspetto linguistico ma anche quelli psicologici e sociali. Tuttavia, è difficile arrivare a
delle restrizioni assolute.
Tale strategia comunicativa può assumere forme anche notevolmente diverse al variare delle lingue in contatto e in relazione ad
una serie di parametri di natura sociolinguistica e pragmatica e possono essere così riassunti:
Posizione e status delle lingue coinvolte.
Durata del contatto.
Origini della situazione di bilinguismo o plurilinguismo.
Distribuzione funzionale delle diverse lingue presenti nel repertorio comunitario e/o individuale.
Significato simbolico, status e prestigio delle lingue contatto.
Atteggiamenti linguistici dei parlanti verso la commutazione di codice e del parlato bilingue.
Tipo di contesto interazionale e reticolo sociale dei parlanti (insieme costituito dalla rete di relazioni che gli individui
intessono tra loro).
Grado di competenza bilingue.
Variabili sociolinguistiche classiche, come sesso o età.
Le caratteristiche assunte dalla commutazione di codice non dipendono quindi soltanto da fattori linguistici interni, ma anche da
fattori extra-linguistici e da norme di comportamento sociale.
La frequenza delle commutazioni in direzione di una lingua piuttosto che dall'altra risulta essere asimmetrica e ci porta a
distinguere tra lingua base/matrice (qualitativamente e quantitativamente dominante, fornisce la cornice morfosintattica
dell'enunciato e il maggior numero di morfemi) e lingua incassata (emerge nell’ambito dei costituenti misti (proposizioni o
sintagmi), ha un ruolo secondario e fornisce per lo più morfemi lessicali).
La lingua matrice non è per forza la lingua dominante, quindi è difficile individuarla. Inoltre, non sempre si riesce a determinare
una netta prevalenza quantitativa (numero di morfemi) o qualitativa (parametri morfosintattici) di un codice rispetto all'altro.
Ad es. i morfemi di uno e dell’latro codice possono coincidere. Quindi individuare la lingua matrice è un processo dinamico,
sottoposto a continua variazione.
Di maggiore efficacia sono invece gli approcci di tipo funzionale, volti a determinare le funzioni di tipo pragmatico-
comunicativo e/o legate alle preferenze e alla competenza linguistica del parlante.
La commutazione di codice serve per risolvere problemi comunicativi, evitando fraintendimenti. Negli anni ‘80 Auer osserva
che alcune attività discorsive (nuovo topic, selezione interlocutore diverso, citazioni e commenti parentetici) tendono ad essere
segnalate dai parlanti bi-plurilingui attraverso il passaggio ad un sistema linguistico diverso rispetto quello utilizzato fino a quel
punto. La commutazione di codice è paragonabile alle strategie di contestualizzazione che tutti adoperiamo, anche i monolingui
(segnali prosodici, cinesici, prossemici, comunicazione non verbale, ecc) per segnalare la transizione da un tipo di attività
verbale all'altra, facilitando lo sviluppo della conversazione.
In alcune comunità caratterizzate da uno stabile plurilinguismo, l'impiego di più sistemi linguistici nello stesso enunciato
rappresenta la regola piuttosto che l'eccezione: è una commutazione non marcata, una scelta neutra e frequente. Essa è di fatto
un atto di identità.
Enunciazione mistilingue
Una terza strategia comunicativa tipica della conversazione plurilingue è l’enunciazione mistilingue (o code-mixing) che
consiste nel passaggio da una (varietà di) lingua a un’altra nell’ambito del medesimo enunciato o microtesto, senza che al
segmento commutato sia possibile attribuire alcuna precisa funzione pragmatico- comunicativa, al punto che il parlante accosta
elementi di sistemi linguistici diversi senza una precisa intenzionalità e senza averne consapevolezza. Non riconducibile ad una
evidente funzione comunicativa.
Una differenza rispetto alla commutazione di codice riguarda le dimensioni dei segmenti commutati: mentre nella
commutazione di codice i segmenti non possono coincidere con intere preposizioni (com di cod interfrasale), nell’enunciazione
mistilingue il passaggio da una lingua all’altra è esclusivamente a livello intrafrasale. Essendo parlanti inconsapevoli di
adottarlo tale comportamento è stigmatizzato dagli stessi parlanti che lo praticano. (immigr ghanese e italiano). Esistono
tutt’oggi problematiche ed interrogativi sulla commutazione di codice. (il passaggio è casuale e asimmetrico oppure esistono
motivazioni specifiche? Tale passaggio è governato da principi ling? Esiste un modello teorico unitario? Esiste una grammatica
del code-switching? Quali info ci dà il code-switching sui diversi ambiti del linguaggio?
Fused lect: quando il parlante bilingue non ha la possibilità di scegliere fra dire qualcosa solo in una lingua o solo nell'altra. E'
la fase incipiente di formazione di una lingua mista, allo stadio in cui elementi del contatto tra lingue nel discorso cominciano a
fissarsi nel contatto fra lingue come sistema. Si tratta di un code mixing congelato; gli ibridismi sono parole costruite con
contributi morfematici di lingue diverse (es. kratz = graffiare > crazzetti = graffi).
Interferenza: deviazione dalle norme di una lingua, come risultato della familiarità con un'altra lingua. Uso di tratti
appartenenti ad un'altra lingua negli enunciati della lingua che si sta parlando. E' originata dalle differenze nelle strutture delle
due lingue a contatto.
Tocca tutti i livelli della lingua:
- morfosintattico: 'aiuto a mio fratello';
- lessicale-semantico: 'mi bendi le scarpe?'.
L'interferenza è in parte bloccata dalla lingua in cui il fenomeno si riproduce, ossia è in parte soggiacente alla lingua
d'accoglimento, secondo la sua accettabilità.
>Transfer: tendenza all'isomorfismo linguistico; presupporre che i sistemi linguistici abbiano le stesse strutture e si comportino
allo stesso modo, che a forme simili corrispondano gli stessi significati.
Code shifting: mescolamento a livello dei sistemi linguistici. Non riguarda fatti occasionali, ma le stesse strutture linguistiche e
porta alla formazione di varietà miste (pidginizzazione).
Prestito
Il prestito, ovvero l’adozione di elementi linguistici da una lingua a un’altra è la forma più semplice dell’avvenuto contatto tra
due lingue e ormai sedimentato nel sistema della lingua ricevente. Termine polisemico, qui è inteso come l’adozione di un
segno linguistico (come unione di significato e significante) da una lingua-modello a una lingua-replica.
Non bisogna pensare a un passaggio automatico e passivo di materiale linguistico da una lingua all’altra ma di un processo che
coinvolge attivamente le strutture della lingua-replica, la quale assorbe in sé il materiale linguistico preso dal modello di
un’altra lingua. Alla fine del processo di adozione, il prestito può così dirsi a tutti gli effetti un elemento facente parte del nuovo
sistema linguistico e la sua origine straniera resta poco rilevante al funzionamento del sistema lingua (interessa poi solo gli studi
do carattere etimologico).
Il più tipico è il prestito lessicale adottare lessemi (nomi) da una lingua ad un’latra: mouse dall’inglese, soprano
dall’italiano. Volendo anche parole grammaticali (congiunzioni o preposizioni) e raramente morfemi grammaticali legati.
È però cruciale limitare la nozione di prestito all’imitazione contemporanea di significato e significante di concrete unità
linguistiche, dunque ne restano esclusi fenomeni di interferenza fonologica (un bilingue tedesco-italiano che trasferisce in
italiano la mancata opposizione tedesca fra consonanti geminate e semplici) o morfosintattica (come un bilingue italiano-
tedesco che inserisce in tedesco caratteristiche della sintassi italiana come il parametro pro-drop o inserire liberamente il verbo
finito).
Un caso in parte assimilabile al prestito lessicale è il calco, cioè la riproduzione della struttura di un lessema straniero con
materiale autoctono come grattacielo e retroterra, rispettivamente calchi di skyscraper e Hinteland.
Il calco-semantico si ha quando la lingua-replica ricalca la gamma di significati di una propria parola su modello di una parola
parzialmente corrispondente nella lingua straniera. In alcuni dialetti tedeschi parlati nell’Italia nordoccidentale (walser) la
parola zit (tempo) ha esteso il suo significato sul modello italiano tempo, anche per il tempo atmosferico.
Il prestito avviene sempre per contatto. Non mancano però i prestiti cosiddetti a distanza: una lingua funge da ponte tra altre
due che non hanno avuto alcun tipo di contatto, ad esempio da lingue “esotiche”, amerindiane in italiano con il tramite le lingue
europee. Il prestito avviene grazie ai parlanti bi o plurilingui.
Inizialmente si pesava che ci dovessero essere dei limiti al prestito e che il prestito di elementi grammaticali, soprattutto legati,
non fosse possibile. In realtà si è dimostrato come tutto può essere prestato, il solo fattore discriminante è l’intensità del
contatto.
Se il contatto è intenso, di lunga durata, e i bilingui sono molti, allora il prestito sarà su vasta scala e verranno coinvolti aspetti
delle strutture grammaticali.
Weinreich cercò di individuare dei fattori linguistici e psico-sociolinguistici per ottenere delle gerarchie di trasferibilità. Quanto
più un elemento è strutturato, legato, di significato grammaticale e generico, tanto meno verrà copiato da un’altra lingua. Se
avviene è perché il contatto è di lunga durata ed intenso.
Sono state elaborate delle sotto-gerarchie di trasferibilità:
- Il lessico precede la grammatica
- Nomi e segnali discorsivi precedono tutte le parti del discorso
- Tra gli elementi grammaticali, le congiunzioni precedono tutto il resto
- Tra i morfemi legati, i derivativi precedono i flessivi.
Innanzitutto, si tratta esclusivamente di prestiti dall'inglese ed è una conseguenza dell’egemonia culturale ed economica degli
Stati Uniti a partire dal secondo dopoguerra, un’egemonia prima di tipo diretto e poi in parte mediata dalla globalizzazione.
Carattere monodirezionale dall'inglese all'italiano.
Gli esempi citati mostrano il restringimento, ovvero la specializzazione, del significato di questi termini rispetto ai lessemi
modello dell’inglese e anche rispetto ai sinonimi dell'italiano ai quali tali prestiti di lusso si affiancano. Un drink non è una
bevanda ma una bevanda alcolica, costosa, che si beve in un contesto di socializzazione.
Il prestito restringe la gamma di significati del termine originale e acquisisce tratti semantici (qui una connotazione di
prestigio). Il 54,4% dei forestierismi lessico dell'italiano contemporaneo è di origine inglese il 21,7% dai francesismi. Il 74%
degli inglesismi entra nell’italiano dal 1950 ma dal 1975 sono aumentati sempre di più. Sono molto più numerosi italiani con
competenze in inglese che viceversa per lo sbilanciamento di potere e prestigio.
Un caso ancora diverso è dato da ticket, termine dall'italiano burocratico usato nel servizio sanitario nazionale: ad una novità di
referente (contributo da pagare per accedere al servizio) il sistema dell'italiano attinge da una lingua straniera un termine di
significato generico attribuendogli però un significato del tutto nuovo, molto tecnico. Sembrerebbe quindi che la distinzione fra
prestiti di necessità è di lusso non ha ragione d’esistere. Il prestito sembra infatti ritagliarsi una sfera di significato solo
parzialmente in sovrapposizione con il significato originario e può dirsi ‘necessario’ perché risponde ad esigenze comunicative
dei parlanti.
In senso stretto si parla di prestito solo quando l'elemento di origine straniera è ormai parte integrante del sistema della
lingua replica, condivide le strutture ad ogni livello (fonologico, morfosintattico, semantico), compare nel parlato e nello
scritto con molta frequenza e viene utilizzato anche da parlanti monolingue.
In caso contrario si parla di forestierismi. Ogni prestito è stato in precedenza a un forestierismo mentre non tutti i forestierismi
diventano necessariamente prestiti. La differenza fra prestiti e forestierismi è di tipo scalare e presenta casi intermedi tra questi
due estremi: es. prestito come bistecca dall'inglese beef steak e un forestierismo come curling sport divenuto popolare durante
le Olimpiadi di Torino 2006. Essi dimostrano come l'adozione di un prestito è un processo lungo e pluridimensionale.
Un forestierismo comincia ad essere usato nel discorso di parlanti bilingue con altri bilingui e presuppone consapevolezza
nell'utilizzo del termine straniero. Col tempo si diffonde all'interno della comunità tramite i mezzi di comunicazione e infine
esteso a tutta la comunità linguistica inclusi individui che non hanno competenza nella lingua modello né sono specialisti nel
settore. Diventa sempre meno marcato.
I forestierismi sono numerosi in sottosettori marginali come nei linguaggi settoriali ad esempio pubblicità, linguaggi tecnico-
specialistici ad esempio medicina o economia, ristretti gruppi limitati di parlarti in situazioni particolari, ad esempio,
programma tv per giovani utilizzano aggettivi e avverbi inglesi.
Il numero di forestierismi scende drasticamente all'interno del lessico comune e ulteriormente nel lessico di base. Un esempio
sono i numerali nei dialetti di minoranza in Italia: nei dialetti walser i numerali fino a 10 sono ancora attestati nella loro forma
tedesca così come numerali indicanti decine o centinaia, il resto invece è sostituito dai corrispondenti nella lingua a contatto, in
questo caso l'italiano o dialetti italo-romanzi della zona (vintòt). Fenomeni simili sono i dialetti arberesh dell'Italia meridionale
ovvero varietà di albanese parlate ad esempio a Cosenza (unici).
Dal punto di vista dell’adattamento formale dei prestiti vanno considerati i livelli di analisi della lingua. Il primo tipo di
adattamento si riscontra a livello fonologico. La lingua replica sostituisce fonemi o strutture sillabiche non previste nel proprio
sistema, con foni e strutture simili: in bistecca viene semplificato il nesso consonanti beef_steak e viene inserita una vocale
finale; in gilet, la fricativa sonora iniziale, sconosciuta nell'italiano standard, viene fatta corrispondere ad una affricata, anche
per influenza del modello scritto. Il lessico di base o lessico fondamentale rappresenta un sotto insieme del lessico di una lingua
costituito dalle parole più frequenti note a tutti parlanti. In genere più conservative e meno influenzabili dal contatto, ad
esempio nomi delle parti del corpo, relazioni di parentela, i numeri da 0 a 10.
Più complesso è l'adattamento morfologico, alla base c'è il tentativo da parte dei parlanti della lingua replica di riconoscere e
attribuire una struttura morfologica al forestierismo. Alcuni esempi. I parlanti anglofoni utilizzano il termine
macaronis/maccheroni, sembrano non aver riconosciuto -i come morfema di plurale; macaroni sarà la forma del singolare e va
aggiunto il morfema -s di plurale.
I primi italiani immigrati negli Stati Uniti confrontati con nuovi oggetti e nomi ad essi corrispondenti e disponendo di una
scarsa conoscenza del sistema grammaticale inglese, faticavano a riconoscere la loro struttura morfologica. Una parola come
noccioline/peanuts già marcata come plurale dal morfema -s veniva invece interpretata come morfema lessicale, cioè come
radice alla quale seguono i diversi morfemi flessivi, ecco allora pinozzo e pinozzi.
In maltese un lessico composito con morfologia semitica di tipo introflessivo con morfemi non concatenativi, le parole straniere
vengono ricondotte ad uno dei diversi schemi a pettine e in base ad esso vengono ricostruite le forme flesse. Ad esempio, nella
parola inglese kettle/bollitore viene individuato un morfema lessicale non concatenativo formato da tre consonanti k-t-l inserito
poi in una classe flessiva su analogia di altri nomi autoctoni, es kietli (plurale).
Un aspetto dell'adattamento morfosintattico dei prestiti riguarda, nel caso dei nomi, l'assegnazione del genere grammaticale.
Molte lingue, fra cui l'italiano, dispongono di un sistema di assegnazione del genere su base formale morfologica o fonologica.
Per cui ad ogni nome, anche prestiti e forestierismi, è assegnato un genere grammaticale che non dipende dalle caratteristiche
semantiche e/o inerenti al referente, se non in scarsa misura per nomi riferiti ad umani. Esempio tavolo e sedia sono in genere
maschile e femminile per ragioni indipendenti dal significato; in inglese invece il genere è assegnato su base naturale e tripartito
(maschile femminile neutro) per cui agli oggetti inanimati table e chair è assegnato il genere neutro.
Nei prestiti dall'inglese si notano diverse forze interne al sistema morfologico dell'italiano: l'analogia semantica per cui
Authority è di genere femminile su analogia di autorità, budget è maschile su analogia di bilancio; banana femminile perché
termina in -a, mango maschile in –o; la regolarità dei suffissi per cui i nomi dall'inglese e terminanti in - tion sono
tendenzialmente femminili esempio escalation, quelli in -er e in -al maschile esempio personal trainer. A volte due criteri sono
in competizione fra loro e ciò permette di ipotizzare gerarchie fra essi nella competenza dei parlanti:
- Panda maschile anche se termina in -a avendo prevalso il criterio semantico (per analogia con orso) su quello formale.
- Su tutti sembra prevalere la preferenza per il maschile come genere non marcato dell'italiano moltissimi, infatti, gli esempi di
maschile in prestiti e forestierismi esempio derby kiwi bum trend.
Aspetto semantico. L'adattamento di un forestierismo comporta la riduzione della polisemia originaria con il mantenimento del
solo significato deducibile dal contesto nel quale sia il prestito. Parole come mouse o chat entrano in italiano con il solo
significato di periferica del computer e comunicazione reale attraverso internet, non con significati comuni di topo e
chiacchiera. Il prestito adattato ha un significato più specifico del termine originario. Vi sono però delle eccezioni: prestiti ben
adattati come bistecca che indica qualsiasi fetta di carne da cuocere, il significato originario più specifico (pezzo di manzo)
risulta in italiano generico, per cui la bistecca può essere anche di maiale o di pollo.
In casi di contatto molto intenso si può avere una risemantizzazione di termini autoctoni.
Si pensi ai termini indicanti animali destinati alla macellazione in inglese: dopo un lungo periodo di sinonimia, i termini di
origine antico francese pork/maiale, beef/manzo, mutton/montone si specializzano nel significato di carne macellata o di
pietanza; mentre i termini autoctoni pig/maiale, steer/toro, cow/mucca, ram/montone si specializzano con significato di animale
vivo.
L'edizione del 2003 del Sabatini-Coletti conta tra i forestierismi escludendo i prestiti adattati quasi 4000 voci corrispondenti al
3,5% del totale. Tale dato si abbassa a meno del 1% se si considera il solo vocabolario di base più stabile. Forestierismi poco
più della metà 56% circa si tratta di anglismi, la stragrande maggioranza sono sostantivi. Considerando i forestierismi nel
parlato questi dati scendono: nel lessico di frequenza dell'italiano parlato LIP la percentuale di forestierismi è estremamente
ridotta appena allo 0,3 %.
Quindi non conta soltanto il numero di forestierismi entrati nel lessico di una lingua ma anche la percentuale di occorrenza
degli stessi nell'uso linguistico concreto. Lo scritto presenta un grado di adattamento minore del parlato così come i testi
specialistici rispetto alla slingua comune. Passando ad una lingua minoritaria notiamo che la componente straniera invece sale:
nei dialetti walser la componente romanza nel lessico sale al 13% circa anche qui soprattutto sostantivi. Tuttavia, conteggi
effettuati su corpora di parlato e non su dizionari locali, danno valori in termini di tokens (cioè di singole occorrenze) inferiori.
Intorno al 6% per il dialetto di Rimella più misto e il 2% per il dialetto di Formazza più conservativo. Una ricerca sui dati di
Formazza rivela che nel parlato i sostantivi dei forestierismi è pari a quella di parole funzionali come connettivi (ma e perché) e
focalizzatori (anche e neanche).
L’assenza di parlanti nativi determina numerose caratteristiche di natura strutturale e linguistica: grammatica semplicissima per
facilitare la comunicazione. Questo processo di semplificazione è chiamato “di pidginizzazione”.
Per questioni di sopravvivenza i pidgin subiscono una fase di stabilizzazione e una fase di espansione. Il sistema fonologico di
un pidgin è molto semplice e include meno fonemi rispetto ai sistemi fonologici delle lingue in contatto. I parlanti pidgin
interpretano i fonemi della lingua di superstrato sulla base dell’inventario dei fonemi a disposizione nella lingua materna.
Questa strategia ha due esiti principali:
Fusione in un unico suono di due fonemi della lingua lessicalizzatrice;
Sovra estensione di restrizioni fonologiche presenti nella lingua materna ma assenti nella lingua lessicalizzatrice.
Il lessico delle varietà di WAPE (west african pidgin english) è caratterizzato da un generale processo di risillabificazione
avente lo scopo di uniformare la struttura delle sillabe del pidgin a quella non marcata della lingua materna (attraverso
fenomeni come la sincope (omissione di uno o più suoni all’interno di parola), l’aferesi (omissione di uno o più suoni all’inizio
di parola), l’apocope (omissione di uno o più suoni in posizione finale) e l’epentesi (l’inserimento di una vocale all’interno di
parola per trasformare nessi consonantici complessi in sillabe più semplici).
I pidgin sono lingue di contatto destinate alla comunicazione orale, non ha usi scritti perché non ritenute all’altezza di essere
impiegate in documenti scritti. Sono quindi prive per la maggior parte di un sistema di convenzioni ortografiche. Nella scrittura
pidgin si tende ad usare una grafia fonetica che riproduce la pronuncia nel modo più fedele possibile.
Dal punto di vista morfologico presentano un sistema di marche flessive molto ridotto e meno complesso rispetto alla lingua
lessicalizzatrice da cui deriva. I pidgin si caratterizzano per la presenza di parole multifunzionali, che possono fungere sia da
nome che da verbo, per cui in certi casi solo la sintassi permette di stabilire a quale categoria grammaticale appartengono.
Le lingue pidgin si avvalgono di elementi originariamente dotati di significato lessicale per esprimere buona parte della
morfologia grammaticale di cui sono inizialmente prive. Il mutamento da morfema lessicale a morfema grammaticale prende il
nome di grammaticalizzazione. Le lingue pidgin sono prive di flessione e quindi informazioni come tempo e aspetto vengono
espresse tramite la grammaticalizzazione di elementi originariamente lessicali.
Per quanto riguarda la morfologia nominale nelle varietà di WAPE, il plurale dei sostantivi è espresso facendo seguire al
sostantivo stesso la particella “dem” che assolve la funzione di una marca di numero. Una delle principali caratteristiche delle
forme verbali in pidgin è l’assenza di flessione. Il tempo passato viene espresso tramite la particella “bi”, il tempo futuro si
esprime attraverso la grammaticalizzazione del verbo “go”.
Per quanto riguarda l’aspetto, vi è una distinzione tra aspetto iterativo/abituale, aspetto progressivo e aspetto perfettivo.
Quest’ultimo si articola in passato e presente. Esso viene espresso facendo precedere al verbo privo di flessione la marca “don”.
Il tempo passato è espresso mediante la combinazione di 2 marche, “bi” con valore di passato e “don” con valore completivo.
Anche l’aspetto progressivo prevede un’articolazione in due tempi: passato e presente. Il verbo privo di flessione è preceduto
dal morfema “de” o “di”.
Quando un creolo viene parlato nell’ambito di una comunità dove è presente anche la lingua di superstrato, i parlanti di creolo
tendono ad assumere quest’ultima come modello da imitare al punto tale che il creolo diventa una vera e propria varietà della
lingua di superstrato; la lingua lessicalizzatrice viene percepita come la principale forma verso cui orientare il proprio
comportamento linguistico. Il processo di avvicinamento delle strutture del creolo alla lingua di superstrato è definito
decreolizzazione.
In questo ambito la lingua lessicalizzatrice viene chiamata acroletto, il creolo originario basiletto, il continuum di varietà
intermedie (dette mesoletti), viene chiamato continuum postcreolo.
3.3.3 LINGUE MISTE
È una lingua emersa in un contesto di bilinguismo comunitario, caratterizzata da una scissione per quanto riguarda l’origine.
Sistema linguistico nuovo che non può essere ricondotto ai regolari processi di trasmissione linguistica intergenerazionale, per
cui una ricostruzione genetica risulta impossibile, caratteristica condivisa da pidgin e creoli. Due criteri delimitano le lingue
miste:
Presenza di due genitori che contribuiscono più o meno equamente alla formazione del sistema;
Il fatto di costruire una lingua nuova indipendente dalle 2 lingue genitrici.
Origine non genetica. Le lingue miste differiscono da pidgin e creoli per due motivi.
- Dal punto di vista funzionale una lingua mista nasce come esigenza di una comunità di mantenersi distinta da una
comunità più ampia nella quale si trova inserita. È fortemente connotata dal punto di vista identitario, un we-code nato
non per facilitare la comunicazione, ma per delimitare un sottogruppo e per comunicare all’interno di esso (per es. la
media lengua nata in Ecuador tra 1920 e 1940, utilizzata dagli operai pendolari per distinguersi dai campesinos e dalla
popolazione contadina).
Una lingua mista può nascere anche come tentativo estremo di resistenza ad un processo di sostituzione di lingua in favore della
lingua dominante. In questo caso allora la lingua mista conserverebbe le vestigia di una diversità linguistico-culturale in una
forma di “fedeltà linguistica”.
Dal punto di vista strutturale, invece, le lingue miste, a differenza dei pidgin e dei creoli, non reinventano una grammatica
basata sulla semplificazione, ma adottano la grammatica di una delle due lingue in contatto; oppure entrambe le lingue
contribuiscono alla formazione del sistema grammaticale. La grammatica presenta dunque tutte le caratteristiche di una lingua
naturale pienamente sviluppata.
Il parlante bilingue
Weinreich nella sua opera Languages in contact definisce l’individuo bilingue il luogo dove le lingue entrano in contatto, che
non è dunque un luogo geografico. Quanto alle caratteristiche che contraddistinguono il parlante bilingue non c’è accordo fra
gli studiosi: alcuni ritengono che il bilinguismo presupponga un’uguale competenza in due sistemi linguistici, altri ammettono
livelli di competenza molto diversi. Se la definizione di bilingui si applicasse soltanto ai primi, i parlanti bilingui nel mondo
sarebbero davvero pochi.
Una prima distinzione utile nell’ambito del bilinguismo individuale è quella tra:
- Bilinguismo produttivo o attivo: quando sussistono le abilità attive, quelle che riguardano la formazione di nuovi
enunciati (2 abilità ling- produzione orale e scritta).
- Bilinguismo ricettivo o passivo (semi-bilinguismo): riguarda le abilità passive, quelle che implicano soltanto una
capacità di comprensione della lingua (2 abilità ling- comprensione orale e scritta). Lo sviluppo delle abilità ricettive
tende a precedere lo sviluppo di quelle produttive sia in bambini che in adulti. Il bilinguismo ricettivo è stato accostato,
in riferimento ad alcune minoranze linguistiche ed etniche, alla nozione di semi-linguismo (Bloomfield 1927 tribù
Nord America) e alla nozione di semi-speakers: figlio di immigrati che apprendono in modo incompleto la lingua
ospitante ma anche perdita di competenza della lingua materna, quindi senza un codice completamente sviluppato.
Chiedersi se i due o più sistemi linguistici coesistano nella mente come entità giustapposte oppure se si unifichino in un unico
sistema. Tale approccio coinvolge la natura stessa del segno: a seconda del tipo di segni – tipi diversi di bilinguismo. Weinreich
in Languages in contact: rappresentare tipi di “segni bilingui” sulla base della triplice distinzione tra bilinguismo coordiante/
composto/ subordinante.
Bilinguismo coordinante: i due sistemi linguistici (i due segni) si trovano giustapposti poiché, ad esempio, sono stati appresi in
periodi diversi dell'esistenza del parlante, oppure in contesti separati (nella mente di una madrelingua inglese che si trovi ad
imparare l'italiano, il significante /buk/ e il significato ad esso associato sono separati dal corrispondente segno in italiano, il cui
significato è legato al significante /libro/);
Bilinguismo composto: è il tipo di bilinguismo considerato più puro; i due sistemi linguistici si troverebbero fusi nella mente
del parlante bilingue, per cui il significante lbuk/ e il significante /libro/ sarebbero legati ad un'unica rappresentazione mentale.
È tipico di quei parlanti che hanno appreso i due codici durante la socializzazione primaria, o comunque simultaneamente;
Bilinguismo subordinante: i due sistemi linguistici sono subordinati l'uno all'altro; i significati dei segni della L2, appresa
attraverso una lingua già nota al parlante, non si riferiscono ai referenti veri e propri, ma a segni equivalenti della lingua già
nota (metasegni). Tipico dell'apprendimento guidato di una seconda lingua in cui la L1 continua a mantenere una posizione
dominante. A due significanti corrisponde di fatto un solo significato, al quale si può accedere solo attraverso la lingua
dominante.
A partire dagli anni ’60 gli studiosi cercavano di capire quanto nei bilingui vi fosse una lingua dominante rispetto all’altra. Si
osservava la velocità e l’automatismo nella risposta in una lingua e poi in nell’altra, con domande decontestualizzate: si riteneva
che la dominante fosse quella che il parlante utilizzava più velocemente. Nel decennio successivo notare i limiti di questo
approccio globale. Si dà quindi attenzione ai domini e alle situazioni. La distribuzione delle L nei domini d’uso dà luogo alla
configurazione di dominanza (W.). Essa indica qual è la scelta normale del codice del parlante plurilingue (ita, ing, akan) nelle
classi di situazioni. (Famiglia: figli I moglie A, amici IN e A, religione I e IN, quartiere, lavoro I, ass. culturale A e IN, rapporti
con le istituzioni I).
Weinreich aveva applicato questo concetto al singolo parlante, altri studiosi su un’intere comunità plurilingui. Serva per testare
la stabilità del bilinguismo: mutamenti nella distribuzione delle lingue possono essere sintomo di processi di sostituzione, di
decadenza o di morte della lingua. Si usa in alcuni domini per incoraggiare la fedeltà linguistica nei confronti delle lingue
minacciate. Nello studio si dovrebbe unire l’analisi delle produzioni del singolo parlante e le scelte prevalenti nei vari domini
d’uso.
Atteggiamenti linguistici
Gli atteggiamenti linguistici sono importanti nel determinare il prestigio goduto da una varietà di L. La vita di un sistema
linguistico è condizionata dagli atteggiamenti che i parlanti nutrono nei suoi confronti; quindi, è un parametro per misurare lo
stato di salute di una lingua, positivi aumentano la trasmissione, negativi sfavoriscono o portano a proibire. Non vanno confusi
con le opinioni, esse formulazioni esplicite e più mutevoli e superficiali. Inoltre, si basano sugli atteggiamenti. Gli
atteggiamenti da delineare sono difficili perché non sono osservabili direttamente ma si possono dedurre dal comportamento.
Non sono esso ma l’inclinazione a comportarsi in determinato modo rispetto ad un oggetto di riferimento. Gli atteggiamenti
possono essere eliminati con tecniche escussive.
Gli atteggiamenti, definiti da Berruto "l'insieme delle posizioni concettuali assunte da una persona circa un determinato
"oggetto"". Conoscerli permette di prevedere le scelte linguistiche in determinati contesti. Gli atteggiamenti assumono la forma
di sentimenti di apertura o di chiusura nei confronti di tale "oggetto". Gli oggetti possono essere:
Le singole lingue/varietà di lingua giudicate portatrici di determinate caratteristiche (come chiarezza, musicalità ecc.);
L'impiego di una lingua/varietà di lingua in determinati domini o classi di situazioni;
Le comunità che si distinguono per l'impiego di una certa lingua/varietà di lingua (comunità alloglotta in Italia);
L'infrazione di certe norme linguistiche o l'introduzione di forme considerate agrammaticali o substandard (pronome
2sig te con ruolo di soggetto).
Nutrire atteggiamenti positivi verso la lingua da apprendere influisce positivamente sia sulla velocità che sugli esiti del processo
di apprendimento. Si nutrono atteggiamenti positivi maggiormente verso lingue che si conoscono in parte, rispetto ad una
lingua che non si è mai avuto il modo di conoscere. La studiosa Beker lo nota nei giovani del Galles in relazione ad inglese e
gallese: chi frequenta una scuola bilingue nutre atteggiamenti positivi anche verso il gallese. Ovviamente non si può stabilire se
sia stata una migliore competenza del gallese a nutrire atteggiamenti positivi o atteggiamenti positivi verso il gallese ad aver
determinato la scelta della scuola bilingue e una maggior facilità di apprendimento. Infatti, il comportamento può dissimulare i
reali atteggiamenti nutriti: il comportamento linguistico può cambiare in base al contesto e a vari fattori, la formalità, le
preferenze linguistiche, l’argomento, ecc.
Gli atteggiamenti sono posizioni concettuali, costituiti da componenti cognitive (credenze fondate sull’esperienza o sull’autorità
altrui/inferenza) e da componenti affettive/emozionali e sono le maggiori. Inoltre, sono costituiti da un aspetto conativo
(intenzioni di comportamento e disposizioni all’azione). Conoscere prima l’oggetto al quale associare emozioni positive o
negative.
La formazione degli atteggiamenti è collegata a variabili sociali e linguistiche. Difficile distinguere gli atteggiamenti verso una
lingua e quelli verso i parlanti di tale varietà. La lingua è un tratto distintivo della comunità stessa. Labov: comunità linguistica
è un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua. Sono uniformi, comunicare
ed interpretare in modo omogeno. Studiarli permette di cogliere il mutamento linguistico.
Oggi non si rietine più che gli atteggiamenti determinino il comportamento in modo univoco. Gli atteggiamenti sono
predisposizioni ad agire in modo. Agiscono nel dirigere il comportamento ma insieme a altri fattori: le circostanze della
situazione, i valori, le norme, le consuetudini della comunità, e le capacità soggettive di valutazione. Ecco perché i comp.
appaiono spesso contraddittori. Gli atteg. Non lo sono.
Sono acquisiti implicitamente nella socializzazione primaria e secondaria e possono mutare ed evolversi, nonostante siano
abbastanza stabili. A volte sono infatti resistenti al cambiamento. Il sistema linguistico influenza la struttura sociale, la
percezione e il modo di pensare. Ma anche l’inverso, una struttura sociale può influenzare gli atteggiamenti verso le varietà
parlate dalla comunità. Le differenze sociali vengono simbolizzate anche dalle differenze linguistiche, discriminando e
controllando. Gli atteggiamenti positivi e negativo cambia al ruolo e status che ha quella lingua o varietà. (es. bambino e amici,
bambino e insegnante).la lingua ha prestigio perché la comunità che la parla lo possiede. Il prestigio di una lingua è detto
indessicale (non inerente ma socialmente attribuito). La var standard sarà quella parlata da gruppo socialmente dominante anche
se è un’élite. (l’italiano non è parlato dalla maggioranza). Questa lingua verrà promosso come il modello verso cui tendere per
migliorare la propria posizione sociale.
Le opinioni sono verbalizzate, gli atteggiamenti no. I pregiudizi sono un tipo di atteggiamenti, formati nel corso della prima
infanzia, indipendente dalla conoscenza diretta dell’oggetto. Si basano su categorie prestabilite, gli stereotipi, categorie
irreversibili che si manifestano in credenze, opinioni, immagini mentali, ecc. in base a generalizzazioni frettolose o infondate.
Pregiudizi contro una lingua, significa pregiudizi contro quella comunità linguistica. E i gruppi sociali si distanziano sempre di
più, creando stereotipi verso altre comunità, es. chi pronuncia l’italiano popolare è poco intelligente o cmq occupa un ruolo
marginale nella società. Viceversa, l’italiano standard.
Tra le funzioni attribuibili agli atteggiamenti linguistici se ne riconoscono quattro principali, ossia:
- Una funzione utilitaristica, per cui gli atteggiamenti nei confronti di una lingua evolvono in una certa direzione quando ciò si
rivela vantaggioso o evita conseguenze spiacevoli (ad esempio, nel sistema educativo del Galles del XIX secolo l’impiego della
lingua inglese era obbligatorio e vietato il gallese, altrimenti pesanti punizioni); anche incentivi o punizioni meno palesi e
cruente. Guardare di più l’alunno che sa parlare meglio, e ammiccare o guardare ironicamente tra amici. L’incoraggiamento
verso una varietà linguistica passa anche da canzoni, libri, tv.
- Una funzione di difesa dell'identità personale, per cui l'abbandono di una lingua il cui impiego provochi sentimenti di
inadeguatezza o d’imbarazzo è mirato al ripristino di un sentimento di sicurezza e di autostima dell’individuo, ecco
l’abbandono in favore di un altro sistema linguistico;
- Una funzione di manifestazione di valori, per cui un parlante avverte che una lingua più di un'altra esprime efficacemente la
propria identità etnica, la propria cultura e i propri valori, quindi verso altre lingue l’atteggiamento sarà negativo;
- Una funzione di orientamento cognitivo, per cui un parlante sviluppa un atteggiamento positivo nei confronti di una lingua che
percepisce come utile al fine di sviluppare il proprio sistema di conoscenze.
Gli atteggiamenti linguistici possono subire dei mutamenti con il variare dell'età del parlante, o in seguito a esperienze
drammatiche con forti stress emotivi. Esiste una gerarchia determinata dallo status ed elaborazione di una lingua.
Generalmente, gli atteggiamenti che i parlanti nutrono nei confronti di una lingua utilizzata a livello istituzionale (la scuola la
più rilevante) sembrano più positivi di quelli nutriti nei confronti di una lingua impiegata in ambiti orali e informali.
Gli atteggiamenti linguistici pongono dei problemi di tipo metodologico, dal momento che sfuggono all'osservazione diretta e
devono essere dedotti sulla base del comportamento dei parlanti. Il metodo più usato nel loro rilevamento consiste nell'inchiesta
con questionario o nell'intervista con domande sia dirette che indirette (meglio se è una conversazione). Due temi più
domandati: i motivi che spagnolo ad apprendere una L2 e glia atteggiamenti verso le lingue parlate dai bi-plurilingue, non
avendo tutte il medesimo prestigio.
A seconda di come sono formulate le domande si ottengono risposte diverse. Anche la scelta della lingua (quest o interv.) può
rivelare info sugli atteggiamenti dell0ìintervistatore o tradire le sue aspettative. Anche in suo comportamento non linguistico
può influenzare l’intervista. Bisogna essere monitorati. Tra gli studiosi pessimisti su queste tecniche escussive c’è Baker la
quale ritiene che le tecniche dirette non saranno mai affidabili a causa di tre problemi:
1. Gli informanti tendono a presentarsi come vorrebbero essere piuttosto che come sono in realtà, dissimulando i propri
atteggiamenti soprattutto se si ha l’impressione che non sianp approvati dall’intervistatore, è detto “effetto alone”;
2. Gli informanti tendono a lasciarsi influenzare dalle opinioni del ricercatore e dallo scopo dell'indagine che
percepiscono o suppongono.
3. È difficile scegliere un campione di informanti rappresentativo della comunità linguistica che si vuole indagare che non
implichi distorsioni, le quali emergono nella fase di raccolta dei dati;
nonostante ciò restano i due metodi più economici anche dal punto di vista del tempo, per la raccolta dei dati sia in singoli
individui sia in comunità ampie.
Un'altra tecnica diffusa e importante è la matched guise technique, ideata da Lambert ’60 (per studiare i rapporti del fr. ed ing.
in Canada). Anche lui sosteneva l’inadeguatezza delle domande direte. Tale approccio è, infatti, incluso negli approcci indiretti
e consistente nel far sentire una serie di registrazioni di brevi testi- stimolo, dal contenuto il più neutro possibile, a dei valutatori
invitati a esprimere, senza rifletterci troppo, la propria opinione sulle persone che parlano, collocandole nella posizione sociale
a loro avviso più adatta utilizzando coppie di aggettivi come intelligente/stolto brillante/noioso.
Il fatto che i valutatori debbano esprimere giudizi su persone sconosciute (si tratta in realtà di registrazioni prodotte dal
medesimo parlante, spesso un attore professionista con diverse varietà diastratiche e diafasiche di entrambe le L) invece che su
una varietà di lingua, favorisce la spontaneità dei giudizi, non filtrati in termini di accettabilità sociale.
Non influenzati da variabilità come l’età, il sesso, la modulazione della voce ma soltanto dagli atteggiamenti che nutrono verso
la varietà presentata. Risultato: tanto più le registrazioni si avvicinavano alle varietà standard di entrambe le L, tanto più gli
autori venivano descritti come persone di successo, intelligenti e di una classe medio-alta. Viceversa, con le varietà regionali,
anche se ritenuti più affidabili e amichevoli. Così si colgono gli stereotipi. Il testo-stimolo è neutro e devono pensare che siano
espressi da più parlanti. Servono tempi e costi maggiori, essendo i testi testati e monitorati e un professionista che conosca le
varietà.
Lo schema locativale o superessivo per la formazione dei numeri da 11 a 19 formato dalla sequenza: “x (unità) + sopra
+ 10”. Lo si riscontra nelle lingue slave meridionali, in rumeno e in albanese. Non molto diffuso.
La sostituzione delle forme sintetiche degli aggettivi al grado comparativo con costrutti analitici, tratto diffuso nelle
lingue d’Europa. Anche qui proc di gram con la sostituzione di forme vecchie con nuove. Ad esempio forme come “più
+ aggettivo) sono più trasparenti delle forme flesse e sono adatte nelle lingue a contatto. ad esempio il rumeno mai bun
per dire “più bello”. Si ha in bulgaro, rumeno, neogreco, turco nonostante la distanza.
Le convergenze lessicali riconducibili a diverse fasi di influenze culturali nell’area dei balcani. Ad esempio dal neo
greco kpbbati (letto) – albanese krevét, turco keveret, bulgaro kravat. Il prestito dal turco asker “soldato” albanese
asquer, bulgaro asker, serbo asker, rumeno ascheriu.
Oppure un grecismo che passa per alcune lingue attraverso il turco in epoca ottomana: fanari lanterna/fanale –turco fenér –
albanese fenér, serbo fenjer. Dal greco – rimeno fanar.