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Contatto: dinamiche ed esiti del plurilinguismo Libro di Federica Guerini e Silvia Dal Negro

CONTATTO: DINAMICHE ED ESITI DEL PLURILINGUISMO


Cap 1. Introduzione
La complessità del mondo contemporaneo coincide sempre più con una complessità linguistica. Alcuni esempi in ambito
italiano: incontro tra gruppi etnico-linguistici diversi nelle periferie delle grandi città, lavoro di dirigenza nelle grandi aziende
con multi e plurilinguismo, prodotto grazie ai mezzi di comunicazione e dagli spostamenti delle persone, annullamento della
distanza fisica grazie ai pc e agli spostamenti veloci, offrono spazi di interazione linguistica. Dialetti e lingue minoritarie
resistono in sovrapporsi di fattori locali e globali. Quindi esistono numerose lingue nella comunicazione commerciale (insegne
dialettali, marche in inglese). Bisogna quindi analizzare ed interpretare i segnali linguistici, questo libro parte da una prospettiva
empirica partendo da dati familiari fino a situazioni meno note al lettore italiano.
Quindi studiare anche in fenomeni migratori recenti i quali costituiscono un’occasione di arricchimento anche per la comunità
autoctona. Lo studio delle lingue di contatto comprende diversi aspetti sociolinguistici, linguistici cioè come il contatto provoca
effetti sui sistemi linguistici stessi e a quelli relativi all’individuo bi- o plurilingue e degli effetti del contatto sulle forme
individuali. Si è scelto di adottare una prospettiva sincronica ma nondimeno, il sociolinguista avendo come oggetto di studio la
variazione, è sempre intrinsecamente diacronico. La sociolinguistica si occupa dell'interazione tra fatti di lingua e fattori di
natura sociale, in particolare l'organizzazione sociale di gruppi di parlanti.
La relazione fra fattori sociali e fenomeni linguistici è di causa-effetto, per cui è il contesto sociolinguistico a rendere possibile
in contatto. Per capire il contatto bisogna conoscere il contesto: osservare cosa succede quando due sistemi linguistici si
incontrano e dopo studiare le condizioni esterne che rendono possibile il contatto. Una delle conseguenze è l’insorgere di
mutamenti di una di esse o più di una “è la storia sociolinguistica dei parlanti il principale determinate degli esiti del
plurilinguismo.
La inevitabile influenza reciproca può assumere forme e dimensioni diverse al variare di una serie di parametri di natura non
linguistica: durata e stabilità del contatto, prestigio e status di ciascuna lingua, atteggiamenti dei parlanti nei confronti della
propria lingua materna e quella in contatto ecc. un esempio sono i prestiti e allo estremo la ristrutturazione di un intero sistema
linguistico. Tutto ciò dipende sempre dai fattori non linguistici. Parole inglese entrate molto di più nell’italiano che viceversa.
Sapere leggere la realtà linguistica serve per conoscere e interpretare i fatti del mondo. Prima parte del volume si occupa di
nozioni, strumenti, unità di analisi nel plurilinguismo e delle lingue in contatto. La seconda di specifiche situazioni
sociolinguistiche per mostrare come il contatto tra lingue si manifesti concretamente.

Cap 2 – COMUNITÀ PLURILINGUI


2.1 Comunità linguistiche e repertori plurilingui
Modelli di descrizione ed analisi delle comunità plurilingui:
- Comunità linguistica: insieme delle persone che parlano la stessa (o le stesse) lingue e che ne condividono le norme
d'uso in essa condivise (es: la comunità linguistica italiana è costituita dal gruppo di persone che parla abitualmente
l'italiano e che in parte parla o capisce un dialetto italo-romanzo e sa in quali situazioni e con quali interlocutori è più
opportuno usare l'uno o l'altro codice); la lingua non è considerata come mero sistema, ma viene preso in
considerazione il suo valore “sociolinguistico”. Viene implicato:
- Un aspetto sociale, riguardante gli utenti di una certa varietà di lingua, i loro comportamenti e la loro organizzazione sociale,
che finisce inevitabilmente per influenzare i comportamenti linguistici;
- Un atteggiamento che i membri di una comunità condividono nei confronti della lingua parlata (Labov); essi sono accomunati
da un sentimento di solidarietà e di appartenenza, determinati dalla condivisione delle stesse risorse linguistiche e dal fatto di
condividere i medesimi atteggiamenti uniformi nei confronti di tali risorse (es. comunità di immigrati di diverse nazionalità
insediatisi in Italia);
- Un aspetto geografico, ossia la comunanza di stanziamento e contiguità territoriale (le comunità italiane all’estero non fanno
parte della comunità linguistica italiana d’Italia, non ne condividono le varietà o i dialetti, le norme d’uso e gli atteggiamenti
linguistici).
La nozione di comunità linguistica (dev’essere generica, applicabile a realtà di scala diversa) non è assimilabile a quella di
nazione, se si pensa che esistono circa 220 Stati nazionali e le lingue parlate sono invece più di 5000.

- Repertorio linguistico: insieme dei sistemi linguistici parlati all'interno di una comunità, intendendo anche i rapporti
fra di esse, le gerarchie, le norme d'impiego e la diffusione. Ognuna delle lingue o dialetti che compongono un
repertorio linguistico è a sua volta costituita da un insieme di varietà. Berruto definisce il repertorio come l’insieme
delle risorse linguistiche di una comunità, non intendendo soltanto la somma di lingue e varietà, ma anche i rapporti fra
esse, le gerarchie, le norme d’impiego, la diffusione/accessibilità ai membri stessi.
Il repertorio linguistico può essere comunitario, ma anche individuale. Difficilmente un parlante conoscerà l'intera gamma di
lingue\dialetti che compongono il repertorio comunitario, ne conoscerà un solo segmento, in base alla sua storia
sociolinguistica. Ciò che conta è che i parlanti adulti che compongono la comunità siano consapevoli della composizione del
repertorio comunitario.
I repertori linguistici presentano una struttura gerarchica al loro interno: le lingue e i dialetti a disposizione dei parlanti non si
trovano tutti sullo stesso livello, sia nell'uso, sia nelle funzioni che la comunità assegna loro, sia nel grado di standardizzazione.
A seconda dei rapporti che si delineano fra i sistemi linguistici di una comunità, si ottengono diversi tipi di repertorio
linguistico. I tre tipi ideali sono il bilinguismo sociale, la diglossia e la dilalia. Nella realtà i repertori di una comunità si
avvicinano tra loro e spesso sono una combinazione di essi.

- Bilinguismo sociale (non individuale, di un’intera comunità): compresenza di due codici, entrambi dotati della
stessa distribuzione in termini di domini d'uso (alti/formali, e bassi/informali), di statuto giuridico-sociale, di
standardizzazione. Il bilinguismo sociale può essere:
1. Bicomunitario: due comunità etnico-linguistiche coesistono nello stesso territorio – Quebec, Belgio, Alto Adige.
2. Monocomunitario: vi è una sola comunità bilingue – Valle d'Aosta.
Nel bilinguismo bicomunitario la toponomastica è bilingue, come anche le scritte e i testi rivolti al pubblico. Quando è solo una
la comunità ad essere ufficialmente bilingue la scelta dei codici è più spesso dettata da criteri funzionali e di praticità.
Il bilinguismo sociale può essere de facto e de jure, nei cui stati/regioni il bilinguismo è regolato dalla legge per garantire
l'uguaglianza linguistica di diritto, sebbene il bilinguismo individuale non sia poi così diffuso. Dato il caso di bb de jure non è
difficile immaginare la coesistenza di 2 comunità quasi totalmente monolingui. Tuttavia, anche in questi casi esiste un codice
dotato di maggiore potere e prestigio. (Es italiano in Valle D’Aosta e in Alto Adige).

- Diglossia: quando il rapporto tra sistemi linguistici è di natura gerarchica e dunque i codici non coesistono negli stessi
ambiti d’uso, ma il loro uso dipende dal canale di comunicazione (scritto vs parlato) o dal grado di formalità
situazionale.
Dobbiamo il termine a Ferguson che nel 1959 dà una definizione che esemplifica con 4 casi paradigmatici:
1. Arabo classico e arabo colloquiale egiziano;
2. Tedesco e svizzero tedesco;
3. Francese e creolo haitiano;
4. Greco moderno standard e greco parlato di Atene. (Termine diglossia fu originariamente introdotto da William Marcais
1930, a sua volta notato nello studio sociolinguistico greco).
I parlanti, dunque, usano sotto condizioni diverse le varietà di una stessa lingua. Le funzioni dei due codici sono molto
specializzate e vi è una poca o nulla sovrapposizione dei domini d'uso. Le situazioni di diglossia sono molto stabili e si
mantengono per almeno 3 generazioni, durante le quali ogni varietà si ritaglia il suo ambito funzionale. In una situazione
classica si ha una varietà alta A e una varietà bassa B. Caratteristica distintiva in una situazione di diglossia è che A gode di
prestigio presso tutti i membri della comunità linguistica, il suo corpus letterario è utilizzato nel sistema scolastico, è codificata
in grammatiche e dizionari. I bambini imparano prima B nella prima infanzia, mentre A viene appresa a scuola, nonostante
abbiano una competenza passiva nella prima infanzia attraverso i mass-media.
La diglossia è diffusa nell’ambito dei paesi arabi (Marocco, Algeria, Siria, Libia, Tunisia, cc). Sono tutti accomunati dalla
presenza dell’arabo classico, lingua del Corano impiegato come varietà A (lingua ufficiale, scritta e letta, di cultura, mai parlata
a livello informale), a cui si oppongono le varierà locali di arabo parlato (dialetti arabi, neoarabo) utilizzate esclusivamente in
forma orale. Chi padroneggia la lingua classica fa parte dell’élite, per gli altri è solo un modello verso cui tendere. (es Francia
latino e francese).
La varietà alta di arabo è un codice unitario ed è la sola a cui i parlanti riconoscano lo statuto di lingua. Le varietà di arabo
parlato sono molte e spesso non intercomprensibili. La muta comprensibilità è, infatti, condizionata da vari fattori:
- Distanza geografica: la prossimità regionale aiuta a comprendersi avendo maggiori contatti; difficoltà a comprendere varietà
parlate in regioni distanti con cui hanno pochi contatti.
- Il prestigio di certe varietà, alle quali viene riconosciuto lo status di varietà sovraregionali: i dialetti dei centri urbani o usati al
cinema e nei media, che contribuiscono a diffondere la lingua oltre la nazione;
- Gli atteggiamenti verso il proprio dialetto e delle varietà delle regioni limitrofe;
- Il livello di istruzione e la loro possibilità ad accedere alla lingua classica.

La diglossia di questi paesi ricorda quella italiana alla vigilia dell’unità nazionale, continuata fino alla scolarizzazione della
maggior parte della popolazione e alla diffusione dei mass media.
Nel 1861 solo il 2,5% della popolazione parlava l’italiano e aveva come lingua materna uno dei dialetti italo- romanzi,
l’obbligo scolastico era solo per il biennio delle elementari. L’italiano viene imposto come lingua ufficiale e nazionale del
Regno d’Italia allo scopo di creare uno stato unitario. L’italiano rimase una lingua per lo più scritta sino allo scoppio della IGM,
impiegata nell’amministrazione pubblica e in ambito ufficiale, mentre i dialetti venivano usati oralmente per la comunicazione
quotidiana e informale, nonostante potessero essere utilizzati anche ad un alto grado di formalità.
Poi con la IIGM, le migrazioni esterne ed interne e l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, si è raggiunta una
diffusione e omologazione linguistica.
Un caso particolare è la diglossia mediale (caratteristica della Svizzera tedesca): “mediale” perché si basa sul mezzo di
comunicazione, cioè lo scritto vs il parlato. A è usata solo per lo scritto e per molti contesti di parlato-scritto (celebrazioni
religiose, lezioni universitarie, discorsi pubblici), mentre B è usata per quasi tutti i contesti orali (trasmissioni televisive,
conferenze universitarie, rapporti con la pubblica amministrazione) e in alcuni contesti di scritto-parlato (annunci su giornali,
lettere private, fumetti, chat).
Nella Svizzera tedesca (Berna, Zurigo, ecc) si ha una A, ovvero il “tedesco scritto”, e una B, ovvero il dialetto svizzero–
tedesco.
Si è parlato di diglossia nella situazione italiana attuale ma non è così. Oggi sembra mancare proprio del parametro cruciale per
la definizione di diglossia, cioè quello della non sovrapponibilità dei codici, rigidamente gerarchizzati tra loro. Italiano e
dialetto non sono nettamente separati, gli ambiti d’uso si sovrappongono nei domini bassi, italiano è usato in contesti informali
e in famiglia. La situazione italiana secondo Berruto è di Dilalia.

- Dilalia: compresenza di italiano e dialetto nella stessa conversazione. È il risultato dell'evoluzione di un repertorio
diglottico. In questo caso A e B non sono rigidamente separati e attaccati a determinati ambiti. È il caso italiano, in cui
gli ambiti funzionali di italiano e dialetto si sovrappongono nei domini d'uso bassi in tutte le regioni d'Italia. Il dialetto
e l'italiano sono spesso presenti nella stessa conversazione, cosa impossibile nella diglossia.

Combinando bilinguismo (insieme di competenze individuali) e diglossia, si ottengono almeno 4 tipi di comunità linguistica
(Fishman).
• Caso 1 bilinguismo e diglossia La capacità dei singoli individui di avere due codici è fortemente incoraggiata e sostenuta a
livello istituzionale (svizzera tedesca). Permangono le condizioni di diglossia, per cui le varietà si ritagliano ambiti d’uso
complementari. Tuttavia, il sentimento di appartenenza fa sì che i membri possiedano una certa competenza di entrambe e
nessuna delle due è considerata estranea alla comunità stessa. Es. Svizzera tedesca (varietà alta non è solo dell’élite).
• Caso 2 diglossia senza bilinguismo Unione di più comunità monolingui, dove solo una lingua (quella della comunità
politicamente dominante) viene impiegata come lingua di prestigio e riceve appoggio istituzionale. (Russo nella ex Unione
Sovietica). Esiste quindi un’opposizione tra l’unica lingua scritta utilizzata a livello ufficiale e le altre lingue parlate localmente.
Tipica dei rapporti di colonialismo (la lingua dei colonizzatori si impone come unica lingua scritta su un territorio in cui si
parlavano decine di lingue diverse). Situazione instabile che tende ad evolversi in 2-3 generazioni verso una condizione di
diglossia con bilinguismo.
• Caso 3 bilinguismo senza diglossia Mancata distribuzione complementare delle varietà in ambiti d’uso distinto, come in
diglossia classica. Entrambe le varietà devono competere per essere impiegate. Situazione ridondante poco stabile: dopo alcune
generazioni si ha la prevalenza di una delle due varietà.
• Caso 4 né diglossia né bilinguismo È il risultato dell’evoluzione del caso 3, una delle due varietà predomina sull’altra e
l’altra abbandonata. Situazione di monolinguismo nella realtà difficilmente osservabile.

2.2 Tipologie di repertori plurilingui in contesto europeo


Bilinguismo e diglossia rappresentano due casi prototipici, gli estremi di un continuum lungo il quale si collocano le comunità
plurilingui concretamente esistenti. Adesso analizzeremo i casi intermedi, determinati dalla sovrapposizione di tratti
caratteristici ad entrambi i modelli.
Variabili sono:
• Ripartizione funzionale e la sovrapponibilità̀ delle lingue
• Diffusione più o meno ampia nella comunità̀ di parlanti
• Grado di somiglianza/differenziazione dei codici, ovvero il loro reciproco distanziamento o ABSTAND (definizione di
Kloss).

Non tutte le lingue presenti in un repertorio sono ugualmente elaborate: una lingua caratterizzata da elaborazione (AUSBAU) è
una lingua scritta e standardizzata usata per ambiti formali, ufficiali, tecnici e specialistici. In Europa, tutti i repertori linguistici
dispongono di almeno una lingua elaborata, standard, che fa da tetto ad altre varietà o dialetti non elaborati, ma ad essa affini.
In alcuni casi, A convive con delle varietà di lingua che non possono riconoscersi come suoi dialetti in senso stretto: è il caso
delle minoranze linguistiche.
Il modello di repertorio più diffuso in Europa è caratterizzato da una A (che coincide di solito con la lingua standard nazionale)
e da B (dialetto o varietà regionale, dotata di sufficiente autonomia per rappresentare un codice a sé).
Repertori del genere si trovano in Italia (tranne la Toscana dove si parlano varietà diatopiche dell’italiano), area tedescofona.
Il dialetto o varietà regionale può non essere direttamente imparentato con la lingua standard, come in Alsazia dove l’alsaziano
(d. alemannico) è parlato accanto al francese standard.
Il rapporto tra A e B può essere diglottico o dilalico.
Immagine... nel caso in cui la lingua standard sfondo bianco e la varietà dialettale/sfondo grigio si ritagliano gli ambiti d’uso
complementari (diglottico); varietà impiegata anche nei domini familiari, informali, togliendo spazio alla varietà dialettale
(dilalia). Se ci fosse una comunità del tutto monolingue il quadrato avrebbe un colore uniforme. Nella realtà esistono molte
combinazioni.
Ad esempio, in Toscana il cui dialetto rappresenta una varietà diatopica (variazione linguistica su base geografica) della lingua
nazionale (varietà standard), può essere quindi considerata una situazione monolingue poiché le due varietà appartengono ad un
unico diasistema caratterizzato dalla presenza di un continuum di varietà. Berruto lo definisce un caso di bidialettismo.
Un terzo tipo di repertorio in Europa vede la presenza a livello basso di una varietà dialettale B1 imparentata con la varietà A,
ma anche di una seconda varietà dialettale B2 parlata da una minoranza dei membri della comunità (minoranze arberesh
nell'Italia meridionale – albanese antico con influenze dei dialetti meridionali). A seconda della diffusione del dialetto di
minoranza B2 e dell’importanza reciproca di questo e del dialetto locale, si configurano diversi sottotipi di repertorio:
1. B2 usato da pochissimi parlanti in pochissimi ambiti (es. solo in famiglia);
2. B2 e B1 occupano insieme equamente tutto lo spazio informale;
3. B1 (d locale) è in posizione minoritaria e marginale.

Negli ultimi anni i repertori del tipo 3 hanno mostrato una tendenza ad evolvere verso una maggiore complessità, in seguito alla
introduzione nel sistema scolastico e in ambito pubblico-amministrativo della varietà standardizzata della lingua parlata della
minoranza. Ecco due ulteriori sottotipi: è il caso dell'Alto- Adige e della Valle d'Aosta. Alto Adige: bilinguismo italo-tedesco e
diglossia solo per la minoranza tedescofona (tedesco e bavarese). Valle D’Aosta: francese in ambiti formali e scritti, il patois
francoprovenzale per quasi tutti gli ambiti informali, italiano nell’intero spazio del repertorio.
L'ufficializzazione, l'elaborazione e la diffusione della lingua di minoranza può portare alla diacrolettia, ossia una dilalia
rovesciata, caratterizzata dalla presenza di due acroletti o varietà alte. Dunque, ad una lingua utilizzata in tutti gli ambiti
funzionali (lingua regionale, di minoranza a livello nazionale), si aggiunge una seconda lingua (lingua nazionale) utilizzata solo
nei domini alti e sempre in sovrapposizione alla prima lingua (situazione Catalogna).

2.3 Tipologie di repertori plurilingui in contesto africano


Lo status (di un sistema linguistico è determinato da ciò che con esso si può fare dal punto di vista pratico, culturale, politico e
sociale) delle principali lingue parlate in contesto africano è diverso da quello della maggior parte delle lingue europee. I criteri
per definire una lingua in contesto europeo non sono strettamente linguistici, ma piuttosto storico-culturali: presuppongono la
presenza di uno standard, un certo grado di elaborazione, l'impiego in ambito amministrativo. In contesto africano, invece, il
termine 'lingua' indica che la distanza tra una varietà linguistica e le varietà ad essa più prossime dal punto di vista genetico o
geografico permette di considerarle a tutti gli effetti due sistemi linguistici differenti, a prescindere dagli atteggiamenti dei
parlanti.
La natura dei processi di standardizzazione che hanno luogo in Africa è assai diversa rispetto a quanto è avvenuto nel
continente europeo. In Europa, l'esistenza di una varietà standard per ognuna delle principali lingue europee è fondamentale e
ormai scontato: si pensi solo a quelle istituzioni come l'Accademia della Crusca che hanno il compito di assicurare il rispetto e
il mantenimento di tale standard, con modifiche o innovazioni. Esso viene anche difeso dal sistema educativo, che ha il compito
di sanzionare gli errori di ortografia con severità, interpretati come indizio di incompetenza legata ad un insufficiente grado di
istruzione.
Nella maggior parte dei paesi africani, i processi di standardizzazione dalla seconda metà del ‘900 sono molto recenti e solo un
ristretto numero di lingue possiede uno standard completamente sviluppato e si tratta comunque di uno standard 'giovane',
utilizzato al massimo da 2 o 3 generazioni di parlanti.
Per comprendere la differenza tra gli standard presenti in Europa e quelli in Africa è utile la classificazione di Kloss 1988
proponendo 6 diversi gradi di standardizzazione:
1. Lingue standard completamente sviluppate
2. Lingue minori standardizzate
3. Lingue standard arcaiche
4. Lingue di recente standardizzazione
5. Lingue scritte ma non standardizzate
6. Lingue non scritte

I primi tre gradi sono tipici delle lingue nazionali in Europa, mentre i sistemi linguistici parlati in territorio africano si collocano
negli ultimi tre, ad eccezione dell'arabo classico, detto standard arcaico. Mentre in Africa gli standard sono giovani e devono
ancora ricevere il riscontro dagli utenti. Non sono stabili, esistono anche grafie differenti. La creazione di uno standard è
sempre il risultato della scelta tra diverse varietà della stessa lingua in competizione tra loro, per cui capita che i parlanti
percepiscano lo standard come arbitrario e artificiale: solo se una comunità comprende e condivide le motivazioni alla base
delle scelte operate nell'elaborazione di uno standard, quest'ultimo avrà la possibilità di essere accettato con successo.
Una varietà può essere scelta perché è potenzialmente adatta ad essere utilizzata in più regioni, come lingua veicolare. Esistono
numerose varietà diatopiche molto diverse da quella scelta come varietà da utilizzare come standard. Cioè nel contesto africano
si osservano quelle chiamate catene linguistiche o continua dialettali: i parlanti di una varietà X sono in grado di comprendere
la varietà parlata nell'area immediatamente vicina a quella in cui vivono (Y), ma hanno difficoltà a capire le varietà che si
trovano all'estremo opposto del continuum dialettale riconoscibile in una determinata regione (var W o Z). Nasce quindi il
bisogno di una lingua veicolare, ossia è una lingua parlata da un maggior numero di persone come L2 invece che come Lingua
Madre. Queste lingue sono impiegate come mezzo di comunicazione tra parlanti di Lingue Madri differenti e di solito queste
varietà veicolari sono semplificate dal pdv lessicale e strutturale (sinonimo di lingue franche). Ciò dipende dal fatto che
assolvono funzioni comunicative diverse rispetto alle varietà parlate come LM: sarà usata per contrattare il prezzo di una merce,
nel centro urbano per chiedere informazioni, per richiedere il salario. Quindi esse godono di un prestigio variabile, che sembra
dipendere soprattutto dalle competenze dei singoli parlanti: coloro che le parlano come LM tendono ad attribuire alla varietà
veicolare uno scarso prestigio, in quanto la percepiscono come estremamente semplificata.

Tipi di repertorio osservabili in territorio africano riassunti in tre modelli principali:


1. Average type (repertorio più diffuso), prevede:
- A varietà alta (esolingua), di origine europea introdotta sul territorio in epoca coloniale; è l'unica a godere dello statuto
di lingua ufficiale, è percepita come simbolo dell'unità nazionale nel caso non esista una lingua africana che possa
essere riconosciuta come tale da tutti i gruppi etnici presenti nel paese;
- M a livello medio, una o più lingue veicolari di origine africana, aventi diffusione regionale (wolof);
- B varietà basse costituite dai vernacoli locali, che per lo più non possiedono una forma scritta.
Senegal: francese (A) esolingua, wolof (M) lingua veicolare, vernacoli locali (B)

2. Paesi con lingua standard nazionale, prevede:


- Lingua standard nazionale in grado di competere per prestigio e diffusione sul territorio con l'esolingua, retaggio
dell’epoca coloniale;
- Non è prevista alcuna varietà intermedia;
- L’esolingua, impiegata insieme alla lingua standard nazionale nei contesti formali\scritti;
- I vernacoli locali usati in contesti informali e orali.
Tanzania: swahili (A1) lingua stand naz, inglese (A2) esolingua, vernacoli locali (B)

3. Caratterizzato dall'assenza di lingue veicolari sia a livello nazionale sia a livello regionale. La comunicazione tra
gruppi etnici aventi per lingua materna sistemi linguistici diversi è assicurata da un'esolingua o da una varietà
pidgin di essa.
Costa d'Avorio: francese (A), vernacoli locali (B)
In contesto africano, le varietà presenti nei repertori si ritagliano domini d’uso diversi e complementari: i vernacoli locali sono
utilizzati in famiglia, le lingue veicolari a lavoro o nelle transazioni commerciali, l’esolingua in politica, nei rapporti con le
istituzioni amministrative del paese e nei rapporti economici e commerciali di carattere internazionale.

Cap 3 – ASPETTI LINGUISTICI DEL CONTATTO

3.1 Mescolanza di codici nel discorso


Due o più sistemi linguistici entrano in contatto  quando un parlante ha a disposizione due o più lingue diverse, egli tende
naturalmente a non tenerle completamente separate ma ad alternarle in uno stesso enunciato comunicativo. Tutto ciò
presuppone la capacità di focalizzarsi simultaneamente sull’utilizzo di due o più sistemi linguistici.
Il monolinguismo è generalmente una condizione che viene imposta, poiché quando un parlante possiede la competenza in più
codici, è tendenzialmente invogliato ad utilizzarli tutti.

Alternanza di codice
Uno dei fenomeni che si riscontrano in questi casi è l’alternanza di codice, ossia il passaggio da una (varietà di) lingua a
un’altra realizzato, come sostiene Berruto, a seconda o dello speech event o della situazione comunicativa di cui si è
partecipanti, o del destinatario cui ci si rivolge. È il comportamento linguistico tipico di quei parlanti plurilingui che utilizzano
un sistema linguistico sul luogo di lavoro e un altro in famiglia e con gli amici, o di quei bambini che utilizzano la lingua
italiana a scuola per comunicare con l’insegnante e i compagni, mentre usano prevalentemente il dialetto in famiglia. (es
immigrato ghanese).
Questa modalità comunicativa è, dunque, strettamente legata al dominio, cioè alle classi di situazioni nella quale ciascuna
lingua a disposizione del parlante (o comunità) viene utilizzata (es. di domini: la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro ecc.).
La scelta dipende anche dall’argomento della conversazione.
Fishman spiega che i parlanti plurilingui tendono a sviluppare l’abitudine a parlare di un dato argomento x nella lingua X in
seguito a una serie di ragioni:
- Avendo potuto addestrarsi a discutere tale argomento servendosi della lingua X (procedura permesso di soggiorno in
italiano, quindi naturale parlare in italiano con impiegati della prefettura);
- Perché sia il parlante sia gli interlocutori potrebbero non essere a conoscenza del lessico specialistico al fine di
discutere in modo soddisfacente l’argomento x in una lingua Y (difficile per immigrato ghanese trovare gli esatti
termini burocratici italiani nella lingua di origine o in inglese).
- Poiché la lingua Y potrebbe in effetti essere priva dei termini esatti e/o specialistici necessari al fine di discutere
dell’argomento x (es molte lingue africane meno elaborate di quelle europee);
- Poiché potrebbe risultare strano o inappropriato discutere dell’argomento x servendosi della lingua Y (l’italiano gode
dello status di lingua ufficiale in Italia ed è la scelta non marcata negli uffici pubblici e documenti, una scelta alla quale
devono adeguarsi anche i cittadini di origine straniera.)

Tuttavia, l’argomento, o topic, della conversazione non può essere l’unico tratto utile per la definizione di un dominio e della
scelta del codice. Occorre osservare le relazioni di ruolo che legano i partecipanti dell’atto comunicativo e che concorrono a
determinare il grado di formalità/informalità di quest’ultimo, sia il luogo in cui la conversazione avviene. I domini non sono
astrazioni a priori, ma sono estrapolati dal ricercatore a seguito di un’analisi dei dati raccolti sul campo, ovvero a concrete
pratiche linguistiche.

Commutazione di codice – code switching


Una seconda pratica comunicativa risultante dal contatto di sistemi linguistici diversi a livello del singolo parlante è la
commutazione di codice (o code-switching), ovvero l’utilizzo funzionale di più di una lingua, da parte dello stesso parlante,
nel corso di un singolo microtesto o del medesimo evento comunicativo. “Funzionale” implica che il passaggio da un sistema
linguistico all’altro sia correlato ad un cambiamento nell’intenzioni comunicative, nell’argomento, nei ruoli, ecc.
La commutazione di codice è sempre caratterizzata da una componente di intenzionalità comunicativa presupponendo che il
passaggio da una (varietà di) lingua a un’altra venga realizzato intenzionalmente dal parlante nell’intento di assolvere
determinate funzioni discorsive.
Può coinvolgere unità linguistiche di dimensioni diverse: frasi, discorsi, sintagmi o singole parole.
Poplack  distinzione tra code-switching interfrasale (realizzato tra frasi diverse) e code-switching intrafasale (all’interno di
una singola frase).
Il passaggio da un sistema linguistico ad un altro assolve diverse funzioni discorsive.
La capacità di realizzare commutazioni di codice intrafrasale sarebbe padroneggiata solo dai parlanti più abili in entrambi i
sistemi linguistici in contatto; invece, i meno abili usano una commutazione interfrasale nel timore di violare le regole
grammaticali di entrambe le lingue. Infatti, la commutazione è un parametro utile per conoscere il grado di competenza del
parlante bi o plurilingue.

Le motivazioni dell’utilizzo del code switching possono essere:


- Rimediare ad una competenza sbilanciata (passare al codice che si conosce meglio)
- Segnalare il cambio dell'interlocutore
- Segnalare il disaccordo con l'interlocutore
- Segnalare il cambio di tema o il tipo di discorso.

Si parla di Tag switches (scambi-coda) quando il segmento commutato coincide con una proposizione parentetica (you know),
un'interiezione (accidenti!) o un riempitivo (I mean, cioè, voglio dire). La presenza predominante di tag switches sembra essere
correlata a bassi livelli di competenza o comunque ad una competenza sbilanciata in favore di una delle lingue in contatto,
solitamente la materna.
Si è cercato di chiarire non solo il loro aspetto linguistico ma anche quelli psicologici e sociali. Tuttavia, è difficile arrivare a
delle restrizioni assolute.
Tale strategia comunicativa può assumere forme anche notevolmente diverse al variare delle lingue in contatto e in relazione ad
una serie di parametri di natura sociolinguistica e pragmatica e possono essere così riassunti:
 Posizione e status delle lingue coinvolte.
 Durata del contatto.
 Origini della situazione di bilinguismo o plurilinguismo.
 Distribuzione funzionale delle diverse lingue presenti nel repertorio comunitario e/o individuale.
 Significato simbolico, status e prestigio delle lingue contatto.
 Atteggiamenti linguistici dei parlanti verso la commutazione di codice e del parlato bilingue.
 Tipo di contesto interazionale e reticolo sociale dei parlanti (insieme costituito dalla rete di relazioni che gli individui
intessono tra loro).
 Grado di competenza bilingue.
 Variabili sociolinguistiche classiche, come sesso o età.

Le caratteristiche assunte dalla commutazione di codice non dipendono quindi soltanto da fattori linguistici interni, ma anche da
fattori extra-linguistici e da norme di comportamento sociale.

La frequenza delle commutazioni in direzione di una lingua piuttosto che dall'altra risulta essere asimmetrica e ci porta a
distinguere tra lingua base/matrice (qualitativamente e quantitativamente dominante, fornisce la cornice morfosintattica
dell'enunciato e il maggior numero di morfemi) e lingua incassata (emerge nell’ambito dei costituenti misti (proposizioni o
sintagmi), ha un ruolo secondario e fornisce per lo più morfemi lessicali).
La lingua matrice non è per forza la lingua dominante, quindi è difficile individuarla. Inoltre, non sempre si riesce a determinare
una netta prevalenza quantitativa (numero di morfemi) o qualitativa (parametri morfosintattici) di un codice rispetto all'altro.
Ad es. i morfemi di uno e dell’latro codice possono coincidere. Quindi individuare la lingua matrice è un processo dinamico,
sottoposto a continua variazione.
Di maggiore efficacia sono invece gli approcci di tipo funzionale, volti a determinare le funzioni di tipo pragmatico-
comunicativo e/o legate alle preferenze e alla competenza linguistica del parlante.
La commutazione di codice serve per risolvere problemi comunicativi, evitando fraintendimenti. Negli anni ‘80 Auer osserva
che alcune attività discorsive (nuovo topic, selezione interlocutore diverso, citazioni e commenti parentetici) tendono ad essere
segnalate dai parlanti bi-plurilingui attraverso il passaggio ad un sistema linguistico diverso rispetto quello utilizzato fino a quel
punto. La commutazione di codice è paragonabile alle strategie di contestualizzazione che tutti adoperiamo, anche i monolingui
(segnali prosodici, cinesici, prossemici, comunicazione non verbale, ecc) per segnalare la transizione da un tipo di attività
verbale all'altra, facilitando lo sviluppo della conversazione.
In alcune comunità caratterizzate da uno stabile plurilinguismo, l'impiego di più sistemi linguistici nello stesso enunciato
rappresenta la regola piuttosto che l'eccezione: è una commutazione non marcata, una scelta neutra e frequente. Essa è di fatto
un atto di identità.

Enunciazione mistilingue
Una terza strategia comunicativa tipica della conversazione plurilingue è l’enunciazione mistilingue (o code-mixing) che
consiste nel passaggio da una (varietà di) lingua a un’altra nell’ambito del medesimo enunciato o microtesto, senza che al
segmento commutato sia possibile attribuire alcuna precisa funzione pragmatico- comunicativa, al punto che il parlante accosta
elementi di sistemi linguistici diversi senza una precisa intenzionalità e senza averne consapevolezza. Non riconducibile ad una
evidente funzione comunicativa.
Una differenza rispetto alla commutazione di codice riguarda le dimensioni dei segmenti commutati: mentre nella
commutazione di codice i segmenti non possono coincidere con intere preposizioni (com di cod interfrasale), nell’enunciazione
mistilingue il passaggio da una lingua all’altra è esclusivamente a livello intrafrasale. Essendo parlanti inconsapevoli di
adottarlo tale comportamento è stigmatizzato dagli stessi parlanti che lo praticano. (immigr ghanese e italiano). Esistono
tutt’oggi problematiche ed interrogativi sulla commutazione di codice. (il passaggio è casuale e asimmetrico oppure esistono
motivazioni specifiche? Tale passaggio è governato da principi ling? Esiste un modello teorico unitario? Esiste una grammatica
del code-switching? Quali info ci dà il code-switching sui diversi ambiti del linguaggio?

Fused lect: quando il parlante bilingue non ha la possibilità di scegliere fra dire qualcosa solo in una lingua o solo nell'altra. E'
la fase incipiente di formazione di una lingua mista, allo stadio in cui elementi del contatto tra lingue nel discorso cominciano a
fissarsi nel contatto fra lingue come sistema. Si tratta di un code mixing congelato; gli ibridismi sono parole costruite con
contributi morfematici di lingue diverse (es. kratz = graffiare > crazzetti = graffi).

Interferenza: deviazione dalle norme di una lingua, come risultato della familiarità con un'altra lingua. Uso di tratti
appartenenti ad un'altra lingua negli enunciati della lingua che si sta parlando. E' originata dalle differenze nelle strutture delle
due lingue a contatto.
Tocca tutti i livelli della lingua:
- morfosintattico: 'aiuto a mio fratello';
- lessicale-semantico: 'mi bendi le scarpe?'.
L'interferenza è in parte bloccata dalla lingua in cui il fenomeno si riproduce, ossia è in parte soggiacente alla lingua
d'accoglimento, secondo la sua accettabilità.
>Transfer: tendenza all'isomorfismo linguistico; presupporre che i sistemi linguistici abbiano le stesse strutture e si comportino
allo stesso modo, che a forme simili corrispondano gli stessi significati.

Code shifting: mescolamento a livello dei sistemi linguistici. Non riguarda fatti occasionali, ma le stesse strutture linguistiche e
porta alla formazione di varietà miste (pidginizzazione).

3.2 Mescolanza di codici nel sistema

Prestito
Il prestito, ovvero l’adozione di elementi linguistici da una lingua a un’altra è la forma più semplice dell’avvenuto contatto tra
due lingue e ormai sedimentato nel sistema della lingua ricevente. Termine polisemico, qui è inteso come l’adozione di un
segno linguistico (come unione di significato e significante) da una lingua-modello a una lingua-replica.
Non bisogna pensare a un passaggio automatico e passivo di materiale linguistico da una lingua all’altra ma di un processo che
coinvolge attivamente le strutture della lingua-replica, la quale assorbe in sé il materiale linguistico preso dal modello di
un’altra lingua. Alla fine del processo di adozione, il prestito può così dirsi a tutti gli effetti un elemento facente parte del nuovo
sistema linguistico e la sua origine straniera resta poco rilevante al funzionamento del sistema lingua (interessa poi solo gli studi
do carattere etimologico).
Il più tipico è il prestito lessicale  adottare lessemi (nomi) da una lingua ad un’latra: mouse dall’inglese, soprano
dall’italiano. Volendo anche parole grammaticali (congiunzioni o preposizioni) e raramente morfemi grammaticali legati.

È però cruciale limitare la nozione di prestito all’imitazione contemporanea di significato e significante di concrete unità
linguistiche, dunque ne restano esclusi fenomeni di interferenza fonologica (un bilingue tedesco-italiano che trasferisce in
italiano la mancata opposizione tedesca fra consonanti geminate e semplici) o morfosintattica (come un bilingue italiano-
tedesco che inserisce in tedesco caratteristiche della sintassi italiana come il parametro pro-drop o inserire liberamente il verbo
finito).

Un caso in parte assimilabile al prestito lessicale è il calco, cioè la riproduzione della struttura di un lessema straniero con
materiale autoctono come grattacielo e retroterra, rispettivamente calchi di skyscraper e Hinteland.
Il calco-semantico si ha quando la lingua-replica ricalca la gamma di significati di una propria parola su modello di una parola
parzialmente corrispondente nella lingua straniera. In alcuni dialetti tedeschi parlati nell’Italia nordoccidentale (walser) la
parola zit (tempo) ha esteso il suo significato sul modello italiano tempo, anche per il tempo atmosferico.

Il prestito avviene sempre per contatto. Non mancano però i prestiti cosiddetti a distanza: una lingua funge da ponte tra altre
due che non hanno avuto alcun tipo di contatto, ad esempio da lingue “esotiche”, amerindiane in italiano con il tramite le lingue
europee. Il prestito avviene grazie ai parlanti bi o plurilingui.

Inizialmente si pesava che ci dovessero essere dei limiti al prestito e che il prestito di elementi grammaticali, soprattutto legati,
non fosse possibile. In realtà si è dimostrato come tutto può essere prestato, il solo fattore discriminante è l’intensità del
contatto.
Se il contatto è intenso, di lunga durata, e i bilingui sono molti, allora il prestito sarà su vasta scala e verranno coinvolti aspetti
delle strutture grammaticali.
Weinreich cercò di individuare dei fattori linguistici e psico-sociolinguistici per ottenere delle gerarchie di trasferibilità. Quanto
più un elemento è strutturato, legato, di significato grammaticale e generico, tanto meno verrà copiato da un’altra lingua. Se
avviene è perché il contatto è di lunga durata ed intenso.
Sono state elaborate delle sotto-gerarchie di trasferibilità:
- Il lessico precede la grammatica
- Nomi e segnali discorsivi precedono tutte le parti del discorso
- Tra gli elementi grammaticali, le congiunzioni precedono tutto il resto
- Tra i morfemi legati, i derivativi precedono i flessivi.

Ecco alcuni casi più rari di prestito di elementi grammaticali.


Tra le congiunzioni un esempio è quello del subordinatore generico ki (con valore assimilabile a quello di pronome relativo)
che il turco ha adottato dal persiano con la possibilità di creare strutture subordinate non incassate, diverse da quelle tipiche del
turco. Molti dialetti minoritari in Italia (ted, slavi, albanesi) ad esempio hanno adottato il subordinatore generico che,
rimpiazzando le loro strutture originarie. Un caso di suffisso derivativo è quello dell’italiano –eria nel tedesco scritto in
Svizzera dove sono attestati nomi come fitteria “luogo per il fitness” e wäscheria “lavanderia”, chiamato prestito di secondo
grado, dovuto all’induzione di un morfema a partire da prestiti già in uso come pizzeria.

Due sono i fattori propulsivi all’adozione di un prestito da un’altra lingua:


 Prestiti di necessità  la necessità di colmare una lacuna lessicale, denominando un oggetto o concetto di
introduzione recente (i nomi dei cibi “esotici” come patata/spag-haiti, sushi- giappo/ing, kebap-turco, yogurt/turco).
 Prestiti di lusso  il prestigio che sembra essere associato all’uso di termini stranieri in generale (drink, single,
coffee, ticket), come spaghetti, zucchini per l’estero. Il termine straniero non colma necessariamente una lacuna, ma
adottato come scelta stilistica di prestigio.

*-Prestiti adattati e non: i non adattati mantengono la loro forma originale;


*-Prestiti definitivi e non riusciti: i non riusciti sono di breve durata e caduti in disuso, spesso per difficoltà ad adattarsi al
sistema fono-morfologico della lingua d'arrivo;
*-Prestiti apparenti (falsi prestiti): espressioni create con elementi stranieri che non poggiano su modelli della presunta lingua
d'origine (es. beauty-case, due parole esistenti in inglese, ma in inglese non esiste questo composto);
*-Prestiti ripetuti: voci prese in prestito da una lingua in momenti diversi (es. dall'arabo dar as-sina'a = fabbrica, darsena
derivano arsenale e poi darsena);
*-Prestiti interni (dialettismi): elementi provenienti da varietà locali della lingua;
*-Prestiti dotti (latinismi): prestiti non adattati come deficit, gratis, curriculum. In alcuni casi i prestiti dal latino all'italiano
sono mediati da altre lingue, come item, media, sponsor, ecc.
Si è soliti parlare di prestiti quando l'elemento di origine straniera è ormai parte integrante del sistema della lingua-replica e ne
condivide quindi le strutture ad ogni livello (fonologico, morfosintattico, semantico), viene utilizzato spesso sia nel parlato che
nello scritto, e anche da parlanti monolingui. In caso contrario si parla di forestierismo*: ogni prestito è stato in precedenza un
forestierismo, ma non tutti i forestierismi sono destinati a diventare prestiti.

Innanzitutto, si tratta esclusivamente di prestiti dall'inglese ed è una conseguenza dell’egemonia culturale ed economica degli
Stati Uniti a partire dal secondo dopoguerra, un’egemonia prima di tipo diretto e poi in parte mediata dalla globalizzazione.
Carattere monodirezionale dall'inglese all'italiano.
Gli esempi citati mostrano il restringimento, ovvero la specializzazione, del significato di questi termini rispetto ai lessemi
modello dell’inglese e anche rispetto ai sinonimi dell'italiano ai quali tali prestiti di lusso si affiancano. Un drink non è una
bevanda ma una bevanda alcolica, costosa, che si beve in un contesto di socializzazione.
 Il prestito restringe la gamma di significati del termine originale e acquisisce tratti semantici (qui una connotazione di
prestigio). Il 54,4% dei forestierismi lessico dell'italiano contemporaneo è di origine inglese il 21,7% dai francesismi. Il 74%
degli inglesismi entra nell’italiano dal 1950 ma dal 1975 sono aumentati sempre di più. Sono molto più numerosi italiani con
competenze in inglese che viceversa per lo sbilanciamento di potere e prestigio.

Un caso ancora diverso è dato da ticket, termine dall'italiano burocratico usato nel servizio sanitario nazionale: ad una novità di
referente (contributo da pagare per accedere al servizio) il sistema dell'italiano attinge da una lingua straniera un termine di
significato generico attribuendogli però un significato del tutto nuovo, molto tecnico. Sembrerebbe quindi che la distinzione fra
prestiti di necessità è di lusso non ha ragione d’esistere. Il prestito sembra infatti ritagliarsi una sfera di significato solo
parzialmente in sovrapposizione con il significato originario e può dirsi ‘necessario’ perché risponde ad esigenze comunicative
dei parlanti.
In senso stretto si parla di prestito solo quando l'elemento di origine straniera è ormai parte integrante del sistema della
lingua replica, condivide le strutture ad ogni livello (fonologico, morfosintattico, semantico), compare nel parlato e nello
scritto con molta frequenza e viene utilizzato anche da parlanti monolingue.

In caso contrario si parla di forestierismi. Ogni prestito è stato in precedenza a un forestierismo mentre non tutti i forestierismi
diventano necessariamente prestiti. La differenza fra prestiti e forestierismi è di tipo scalare e presenta casi intermedi tra questi
due estremi: es. prestito come bistecca dall'inglese beef steak e un forestierismo come curling sport divenuto popolare durante
le Olimpiadi di Torino 2006. Essi dimostrano come l'adozione di un prestito è un processo lungo e pluridimensionale.
Un forestierismo comincia ad essere usato nel discorso di parlanti bilingue con altri bilingui e presuppone consapevolezza
nell'utilizzo del termine straniero. Col tempo si diffonde all'interno della comunità tramite i mezzi di comunicazione e infine
esteso a tutta la comunità linguistica inclusi individui che non hanno competenza nella lingua modello né sono specialisti nel
settore. Diventa sempre meno marcato.
I forestierismi sono numerosi in sottosettori marginali come nei linguaggi settoriali ad esempio pubblicità, linguaggi tecnico-
specialistici ad esempio medicina o economia, ristretti gruppi limitati di parlarti in situazioni particolari, ad esempio,
programma tv per giovani utilizzano aggettivi e avverbi inglesi.
Il numero di forestierismi scende drasticamente all'interno del lessico comune e ulteriormente nel lessico di base. Un esempio
sono i numerali nei dialetti di minoranza in Italia: nei dialetti walser i numerali fino a 10 sono ancora attestati nella loro forma
tedesca così come numerali indicanti decine o centinaia, il resto invece è sostituito dai corrispondenti nella lingua a contatto, in
questo caso l'italiano o dialetti italo-romanzi della zona (vintòt). Fenomeni simili sono i dialetti arberesh dell'Italia meridionale
ovvero varietà di albanese parlate ad esempio a Cosenza (unici).
Dal punto di vista dell’adattamento formale dei prestiti vanno considerati i livelli di analisi della lingua. Il primo tipo di
adattamento si riscontra a livello fonologico. La lingua replica sostituisce fonemi o strutture sillabiche non previste nel proprio
sistema, con foni e strutture simili: in bistecca viene semplificato il nesso consonanti beef_steak e viene inserita una vocale
finale; in gilet, la fricativa sonora iniziale, sconosciuta nell'italiano standard, viene fatta corrispondere ad una affricata, anche
per influenza del modello scritto. Il lessico di base o lessico fondamentale rappresenta un sotto insieme del lessico di una lingua
costituito dalle parole più frequenti note a tutti parlanti. In genere più conservative e meno influenzabili dal contatto, ad
esempio nomi delle parti del corpo, relazioni di parentela, i numeri da 0 a 10.
Più complesso è l'adattamento morfologico, alla base c'è il tentativo da parte dei parlanti della lingua replica di riconoscere e
attribuire una struttura morfologica al forestierismo. Alcuni esempi. I parlanti anglofoni utilizzano il termine
macaronis/maccheroni, sembrano non aver riconosciuto -i come morfema di plurale; macaroni sarà la forma del singolare e va
aggiunto il morfema -s di plurale.
I primi italiani immigrati negli Stati Uniti confrontati con nuovi oggetti e nomi ad essi corrispondenti e disponendo di una
scarsa conoscenza del sistema grammaticale inglese, faticavano a riconoscere la loro struttura morfologica. Una parola come
noccioline/peanuts già marcata come plurale dal morfema -s veniva invece interpretata come morfema lessicale, cioè come
radice alla quale seguono i diversi morfemi flessivi, ecco allora pinozzo e pinozzi.
In maltese un lessico composito con morfologia semitica di tipo introflessivo con morfemi non concatenativi, le parole straniere
vengono ricondotte ad uno dei diversi schemi a pettine e in base ad esso vengono ricostruite le forme flesse. Ad esempio, nella
parola inglese kettle/bollitore viene individuato un morfema lessicale non concatenativo formato da tre consonanti k-t-l inserito
poi in una classe flessiva su analogia di altri nomi autoctoni, es kietli (plurale).
Un aspetto dell'adattamento morfosintattico dei prestiti riguarda, nel caso dei nomi, l'assegnazione del genere grammaticale.
Molte lingue, fra cui l'italiano, dispongono di un sistema di assegnazione del genere su base formale morfologica o fonologica.
Per cui ad ogni nome, anche prestiti e forestierismi, è assegnato un genere grammaticale che non dipende dalle caratteristiche
semantiche e/o inerenti al referente, se non in scarsa misura per nomi riferiti ad umani. Esempio tavolo e sedia sono in genere
maschile e femminile per ragioni indipendenti dal significato; in inglese invece il genere è assegnato su base naturale e tripartito
(maschile femminile neutro) per cui agli oggetti inanimati table e chair è assegnato il genere neutro.
Nei prestiti dall'inglese si notano diverse forze interne al sistema morfologico dell'italiano: l'analogia semantica per cui
Authority è di genere femminile su analogia di autorità, budget è maschile su analogia di bilancio; banana femminile perché
termina in -a, mango maschile in –o; la regolarità dei suffissi per cui i nomi dall'inglese e terminanti in - tion sono
tendenzialmente femminili esempio escalation, quelli in -er e in -al maschile esempio personal trainer. A volte due criteri sono
in competizione fra loro e ciò permette di ipotizzare gerarchie fra essi nella competenza dei parlanti:
- Panda maschile anche se termina in -a avendo prevalso il criterio semantico (per analogia con orso) su quello formale.
- Su tutti sembra prevalere la preferenza per il maschile come genere non marcato dell'italiano moltissimi, infatti, gli esempi di
maschile in prestiti e forestierismi esempio derby kiwi bum trend.

Aspetto semantico. L'adattamento di un forestierismo comporta la riduzione della polisemia originaria con il mantenimento del
solo significato deducibile dal contesto nel quale sia il prestito. Parole come mouse o chat entrano in italiano con il solo
significato di periferica del computer e comunicazione reale attraverso internet, non con significati comuni di topo e
chiacchiera. Il prestito adattato ha un significato più specifico del termine originario. Vi sono però delle eccezioni: prestiti ben
adattati come bistecca che indica qualsiasi fetta di carne da cuocere, il significato originario più specifico (pezzo di manzo)
risulta in italiano generico, per cui la bistecca può essere anche di maiale o di pollo.
In casi di contatto molto intenso si può avere una risemantizzazione di termini autoctoni.
Si pensi ai termini indicanti animali destinati alla macellazione in inglese: dopo un lungo periodo di sinonimia, i termini di
origine antico francese pork/maiale, beef/manzo, mutton/montone si specializzano nel significato di carne macellata o di
pietanza; mentre i termini autoctoni pig/maiale, steer/toro, cow/mucca, ram/montone si specializzano con significato di animale
vivo.
L'edizione del 2003 del Sabatini-Coletti conta tra i forestierismi escludendo i prestiti adattati quasi 4000 voci corrispondenti al
3,5% del totale. Tale dato si abbassa a meno del 1% se si considera il solo vocabolario di base più stabile. Forestierismi poco
più della metà 56% circa si tratta di anglismi, la stragrande maggioranza sono sostantivi. Considerando i forestierismi nel
parlato questi dati scendono: nel lessico di frequenza dell'italiano parlato LIP la percentuale di forestierismi è estremamente
ridotta appena allo 0,3 %.
Quindi non conta soltanto il numero di forestierismi entrati nel lessico di una lingua ma anche la percentuale di occorrenza
degli stessi nell'uso linguistico concreto. Lo scritto presenta un grado di adattamento minore del parlato così come i testi
specialistici rispetto alla slingua comune. Passando ad una lingua minoritaria notiamo che la componente straniera invece sale:
nei dialetti walser la componente romanza nel lessico sale al 13% circa anche qui soprattutto sostantivi. Tuttavia, conteggi
effettuati su corpora di parlato e non su dizionari locali, danno valori in termini di tokens (cioè di singole occorrenze) inferiori.
Intorno al 6% per il dialetto di Rimella più misto e il 2% per il dialetto di Formazza più conservativo. Una ricerca sui dati di
Formazza rivela che nel parlato i sostantivi dei forestierismi è pari a quella di parole funzionali come connettivi (ma e perché) e
focalizzatori (anche e neanche).

3.3 NASCITA DELLE LINGUE DI CONTATTO

3.3.1 LINGUE PIDGIN


I pidgin sono varietà di lingua semplificate, nate come mezzo di comunicazione tra parlanti di lingue materne diverse, che
devono comunicare, anche se per questioni pratiche o di sopravvivenza. Le occasioni di comunicazione sono così limitate che
nessuno dei due gruppi avverte il bisogno di apprendere la lingua materna dell’altro. Si tratta quindi di lingue impiegate nella
comunicazione essenziale e funzionalmente ridotte.
I pidgin sono costituiti da elementi di lingue indigene, dette anche di sostrato, che solitamente godono di scarso prestigio, ed
elementi di una esolingua, detta lingua di superstrato, che gode di elevato prestigio a livello internazionale e presenta un grado
di elaborazione maggiore rispetto a quello raggiunto dalla lingua di sostrato.
La lingua che fornisce al pidgin la maggior parte dei morfemi lessicali prende il nome di lingua lessicalizzatrice; infatti, poi
vengono classificati in base a quest’ultima (pidgin a base inglese, portoghese, francese, etc..). I pidgin non sono una semplice
varietà di quest’ultima, ma sono sistemi linguistici distinti da essa, al punto che un’elevata competenza nella lingua
lessicalizzatrice non implica necessariamente la capacità di comprendere ed esprimersi in pidgin.
Gli elementi delle lingue in contatto subiscono un processo di elaborazione che dà origine ad una grammatica diversa.
I pidgin non sono la lingua materna di nessun parlante e dunque la loro diffusione si realizza attraverso un processo di
ibridazione terziaria: il pidgin viene trasmesso da parlanti non nativi ad altri parlanti non nativi.
Più il pidgin viene usato nel corso del tempo, più assumerà una struttura elaborata per rispondere a bisogni comunicativi sempre
più ampi e diversificati, non più solo legati a questioni di sopravvivenza.

L’assenza di parlanti nativi determina numerose caratteristiche di natura strutturale e linguistica: grammatica semplicissima per
facilitare la comunicazione. Questo processo di semplificazione è chiamato “di pidginizzazione”.
Per questioni di sopravvivenza i pidgin subiscono una fase di stabilizzazione e una fase di espansione. Il sistema fonologico di
un pidgin è molto semplice e include meno fonemi rispetto ai sistemi fonologici delle lingue in contatto. I parlanti pidgin
interpretano i fonemi della lingua di superstrato sulla base dell’inventario dei fonemi a disposizione nella lingua materna.
Questa strategia ha due esiti principali:
 Fusione in un unico suono di due fonemi della lingua lessicalizzatrice;
 Sovra estensione di restrizioni fonologiche presenti nella lingua materna ma assenti nella lingua lessicalizzatrice.

Il lessico delle varietà di WAPE (west african pidgin english) è caratterizzato da un generale processo di risillabificazione
avente lo scopo di uniformare la struttura delle sillabe del pidgin a quella non marcata della lingua materna (attraverso
fenomeni come la sincope (omissione di uno o più suoni all’interno di parola), l’aferesi (omissione di uno o più suoni all’inizio
di parola), l’apocope (omissione di uno o più suoni in posizione finale) e l’epentesi (l’inserimento di una vocale all’interno di
parola per trasformare nessi consonantici complessi in sillabe più semplici).
I pidgin sono lingue di contatto destinate alla comunicazione orale, non ha usi scritti perché non ritenute all’altezza di essere
impiegate in documenti scritti. Sono quindi prive per la maggior parte di un sistema di convenzioni ortografiche. Nella scrittura
pidgin si tende ad usare una grafia fonetica che riproduce la pronuncia nel modo più fedele possibile.
Dal punto di vista morfologico presentano un sistema di marche flessive molto ridotto e meno complesso rispetto alla lingua
lessicalizzatrice da cui deriva. I pidgin si caratterizzano per la presenza di parole multifunzionali, che possono fungere sia da
nome che da verbo, per cui in certi casi solo la sintassi permette di stabilire a quale categoria grammaticale appartengono.
Le lingue pidgin si avvalgono di elementi originariamente dotati di significato lessicale per esprimere buona parte della
morfologia grammaticale di cui sono inizialmente prive. Il mutamento da morfema lessicale a morfema grammaticale prende il
nome di grammaticalizzazione. Le lingue pidgin sono prive di flessione e quindi informazioni come tempo e aspetto vengono
espresse tramite la grammaticalizzazione di elementi originariamente lessicali.
Per quanto riguarda la morfologia nominale nelle varietà di WAPE, il plurale dei sostantivi è espresso facendo seguire al
sostantivo stesso la particella “dem” che assolve la funzione di una marca di numero. Una delle principali caratteristiche delle
forme verbali in pidgin è l’assenza di flessione. Il tempo passato viene espresso tramite la particella “bi”, il tempo futuro si
esprime attraverso la grammaticalizzazione del verbo “go”.
Per quanto riguarda l’aspetto, vi è una distinzione tra aspetto iterativo/abituale, aspetto progressivo e aspetto perfettivo.
Quest’ultimo si articola in passato e presente. Esso viene espresso facendo precedere al verbo privo di flessione la marca “don”.
Il tempo passato è espresso mediante la combinazione di 2 marche, “bi” con valore di passato e “don” con valore completivo.
Anche l’aspetto progressivo prevede un’articolazione in due tempi: passato e presente. Il verbo privo di flessione è preceduto
dal morfema “de” o “di”.

3.3.2 LINGUE CREOLE


Si tratta di un pidgin che con il tempo è diventato la lingua materna e dunque viene appreso come lingua materna presso una
comunità di parlanti. Il creolo deve soddisfare i bisogni comunicativi più ampi e diversificati rispetto a quelli soddisfatti dai
pidgin, per cui si rendono necessari lo sviluppo di un lessico e di una morfosintassi più ricchi e complessi di quelli del sistema
pidgin.
Il processo che da un pidgin conduce allo sviluppo di un creolo è chiamato processo di creolizzazione e si completa nell’arco
di 1 o 2 generazioni. Il sistema fonologico si arricchisce, nascono nuove categorie grammaticali, la flessione diventa più
complessa e si allargano i domini d’uso. Si tratta di un’evoluzione graduale che prevede il delinearsi di un continuum di varietà,
a partire da forme gergali fino ad arrivare al vero e proprio creolo come lingua materna.
Tra le lingue creole più note vi sono il creolo di Haiti a base francese (menzionato da Ferguson nel riportare un esempio di
diglossia), il creolo giamaicano a base inglese, tok pisin, nato come lingua veicolare. Esso presenta un particolare sistema di
pronomi personali, basato sulla distinzione tra singolare e plurale, ma anche l’espressione di categorie più rare come quella di
duale (2 referenti) e triale.
Ciò che distingue un creolo da un pidgin sono le forme diverse del verbo essere, il verbo è privo di flessione e tempo e aspetto
sono veicolate attraverso l’impiego di forme grammaticalizzate collocate tra il pronome soggetto e il verbo principale.

Quando un creolo viene parlato nell’ambito di una comunità dove è presente anche la lingua di superstrato, i parlanti di creolo
tendono ad assumere quest’ultima come modello da imitare al punto tale che il creolo diventa una vera e propria varietà della
lingua di superstrato; la lingua lessicalizzatrice viene percepita come la principale forma verso cui orientare il proprio
comportamento linguistico. Il processo di avvicinamento delle strutture del creolo alla lingua di superstrato è definito
decreolizzazione.
In questo ambito la lingua lessicalizzatrice viene chiamata acroletto, il creolo originario basiletto, il continuum di varietà
intermedie (dette mesoletti), viene chiamato continuum postcreolo.
3.3.3 LINGUE MISTE
È una lingua emersa in un contesto di bilinguismo comunitario, caratterizzata da una scissione per quanto riguarda l’origine.
Sistema linguistico nuovo che non può essere ricondotto ai regolari processi di trasmissione linguistica intergenerazionale, per
cui una ricostruzione genetica risulta impossibile, caratteristica condivisa da pidgin e creoli. Due criteri delimitano le lingue
miste:
 Presenza di due genitori che contribuiscono più o meno equamente alla formazione del sistema;
 Il fatto di costruire una lingua nuova indipendente dalle 2 lingue genitrici.

Origine non genetica. Le lingue miste differiscono da pidgin e creoli per due motivi.
- Dal punto di vista funzionale una lingua mista nasce come esigenza di una comunità di mantenersi distinta da una
comunità più ampia nella quale si trova inserita. È fortemente connotata dal punto di vista identitario, un we-code nato
non per facilitare la comunicazione, ma per delimitare un sottogruppo e per comunicare all’interno di esso (per es. la
media lengua nata in Ecuador tra 1920 e 1940, utilizzata dagli operai pendolari per distinguersi dai campesinos e dalla
popolazione contadina).
Una lingua mista può nascere anche come tentativo estremo di resistenza ad un processo di sostituzione di lingua in favore della
lingua dominante. In questo caso allora la lingua mista conserverebbe le vestigia di una diversità linguistico-culturale in una
forma di “fedeltà linguistica”.
Dal punto di vista strutturale, invece, le lingue miste, a differenza dei pidgin e dei creoli, non reinventano una grammatica
basata sulla semplificazione, ma adottano la grammatica di una delle due lingue in contatto; oppure entrambe le lingue
contribuiscono alla formazione del sistema grammaticale. La grammatica presenta dunque tutte le caratteristiche di una lingua
naturale pienamente sviluppata.

3.4 MORTE DI LINGUE


La morte di lingue è uno dei possibili risultati estremi di situazioni di contatto in cui una delle due lingue viene sopraffatta
dall’altra, tanta è la pressione culturale e sociale esercitata in tale direzione. A differenza di altri esiti estremi, il processo di
morte porta all’annullamento di una identità linguistica: la comunità che si riconosceva nella lingua “moribonda” risulta
assimilata alla lingua dominante con la quale era entrata in contatto.
Dal punto di vista del contatto potremmo dire che una lingua muore quando, all’interno di una comunità, viene rimossa da
un’altra con cui era entrata in contatto. Tale processo è progressivo e può durare alcune generazioni.
Il fenomeno della morte di lingua può essere osservato da due prospettive: o la lingua muore perché perde ambiti d’uso
all’interno della comunità dove funzionava come veicolo principale di comunicazione e inoltre perde parlanti nativi. Può
avvenire perché la comunità si trasforma (immigrazione e/o emigrazione) o perché si interrompe la trasmissione linguistica
intergenerazionale: i genitori non trasmettono più la lingua ai figli (per es., nelle comunità albanofone del Molise, il
mantenimento della parlata minoritaria è sempre meno frequente in quanto è vista come inutile, di scarso prestigio e quindi i
genitori si rifiutano di trasmetterla ai figli. Questa situazione porterà all’acquisizione imperfetta o alla mancata acquisizione di
questa parlata da parte dei figli).
 si crea allora la generazione dei cosiddetti semi-parlanti. L’interesse è rivolto all’insieme delle cause sociali, storiche,
economiche, etc..
Secondo un’altra prospettiva di ricerca che pone l’accento sui cambiamenti di carattere strutturale, la lingua morente si
trasforma drasticamente in virtù del fatto di essere parlata sempre meno, e da parlanti sempre meno competenti, sebbene nativi.
Si crea così una generazione dei cosiddetti semi-parlanti: ovvero individui che hanno interrotto l’acquisizione della loro prima
lingua molto presto, senza raggiungere una competenza linguistica adulta; oppure individui che hanno appreso la lingua in un
momento successivo alla socializzazione primaria, grazie a nonni, amici. L’interesse è rivolto all’intero processo di
trasformazione del sistema linguistico chiamato “decadenza linguistica” (language decay).
Dal punto di vista sociolinguistico le cause che portano alla sostituzione e poi alla morte di una lingua vanno ricercate nel
rapporto gerarchico fra i codici, ai fattori di prestigio esplicito e implicito, al ruolo svolto dagli atteggiamenti linguistici e alla
politica linguistica.
Due esempi sono il titsch, dialetto tedesco della minoranza walser presente in alcune zone dell'Italia come Piemonte e Valle
d'Aosta, e l'arberesch in Molise.
1.Un atteggiamento negativo nei confronti di una lingua minoritaria, vista come inutile e di scarso prestigio, è seguito dalla
rinuncia alla trasmissione linguistica ai figli. Si parla in questi casi di suicidio linguistico da parte di una comunità:
atteggiamenti negativi > volontà di non trasmettere il codice ai figli > effettiva non trasmissione > mancata acquisizione.
2.Secondo una prospettiva strutturale, la lingua morente si trasforma drasticamente proprio in virtù del fatto di essere parlata
sempre meno, in un minor numero di contesti e da parlanti sempre meno competenti. Ne consegue una generazione di semi-
parlanti, ossia individui che hanno interrotto l'acquisizione della loro L1 molto presto, senza raggiungerne una competenza
linguistica adulta, oppure individui che hanno appreso tale lingua in un momento successivo alla socializzazione primaria. In
questo caso si parla di decadenza linguistica e l'interesse è rivolto ai mutamenti del sistema linguistico.
Esempio East Southerland Gaelic (varietà di gaelico scozzese): comparando le produzioni linguistiche di anziani fluenti, più
giovani ma sempre fluenti, e semi-parlanti, si assiste ad una perdita progressiva degli strumenti morfologici e delle categorie
grammaticali mano a mano che la fluenza diminuisce. Ad esempio, i semi-parlanti, e in parte anche i parlanti fluenti, annullano
l'opposizione di genere nell'accordo pronominale di terza persona, generalizzando la forma maschile. Vengono mantenute
invece le marche che segnalano il genere direttamente sul nome, ma limitate ai diminutivi e ad alcune classi nominali. Sono
evidenti segnali di cedimento nel sistema del genere grammaticale e dell'accordo (su pronomi e aggettivi).
Esempio dyirbal (Australia): sta subendo un processo di neutralizzazione, adeguandosi al modello della lingua dominante a
contatto: riduzione allomorfia, perdita categorie grammaticali, soprattutto se assenti nella lingua in contatto, riduzione
massiccia del sistema semantico di classificazione di nomi (in dyirbal ci sono 4 classi nominali nelle quali si organizzano tutti i
sostantivi in base a criteri semantico-culturali, e ogni nome deve essere preceduto dal classificatore corretto). Il sistema si sta
riducendo drasticamente, ma ordinatamente: i nomi vengono ora ordinati in sole 3 classi basate su criteri di classificazione più
naturali e meno culturalmente specifici (animato\non animato, m\f).
3.Dal pdv sociolinguistico, le cause che portano alla sostituzione e poi morte di una lingua vanno ricercate nei rapporti
gerarchici fra i codici, nei fattori di prestigio espliciti o impliciti, negli atteggiamenti e politiche linguistici.
4.Dal pdv più strettamente linguistico, alcuni parlanti di lingue minoritarie lamentano l'alto grado di commistione linguistica dei
parlanti giovani e attribuiscono a questo aspetto le cause del declino della lingua e del suo abbandono. Gli studiosi hanno invece
sminuito il ruolo della lingua dominante nel parlato dei semi-parlanti, privilegiando i fenomeni interni al sistema.
Al contrario di quanto ritenuto dai parlanti, l'aspetto misto del codice di minoranza potrebbe essere un indizio di sopravvivenza,
come si è visto per le lingue miste, un ultimo tentativo di mantenere in vita un codice fortemente svantaggiato rendendolo quasi
parassitario rispetto alla lingua a contatto, ma ancora marcato nella sua individualità.
Le cause della morte di una lingua vanno cercate nell'atteggiamento quasi suicida dei parlanti, che per diverse ragioni (di natura
non linguistica) decidono di interrompere la trasmissione linguistica.

CAPITOLO 4. Aspetti psico-sociali del contatto

Il parlante bilingue
Weinreich nella sua opera Languages in contact definisce l’individuo bilingue il luogo dove le lingue entrano in contatto, che
non è dunque un luogo geografico. Quanto alle caratteristiche che contraddistinguono il parlante bilingue non c’è accordo fra
gli studiosi: alcuni ritengono che il bilinguismo presupponga un’uguale competenza in due sistemi linguistici, altri ammettono
livelli di competenza molto diversi. Se la definizione di bilingui si applicasse soltanto ai primi, i parlanti bilingui nel mondo
sarebbero davvero pochi.
Una prima distinzione utile nell’ambito del bilinguismo individuale è quella tra:
- Bilinguismo produttivo o attivo: quando sussistono le abilità attive, quelle che riguardano la formazione di nuovi
enunciati (2 abilità ling- produzione orale e scritta).
- Bilinguismo ricettivo o passivo (semi-bilinguismo): riguarda le abilità passive, quelle che implicano soltanto una
capacità di comprensione della lingua (2 abilità ling- comprensione orale e scritta). Lo sviluppo delle abilità ricettive
tende a precedere lo sviluppo di quelle produttive sia in bambini che in adulti. Il bilinguismo ricettivo è stato accostato,
in riferimento ad alcune minoranze linguistiche ed etniche, alla nozione di semi-linguismo (Bloomfield 1927 tribù
Nord America) e alla nozione di semi-speakers: figlio di immigrati che apprendono in modo incompleto la lingua
ospitante ma anche perdita di competenza della lingua materna, quindi senza un codice completamente sviluppato.

Esiste un’ulteriore distinzione fra:


- Bilinguismo primario: quando i due sistemi linguistici sono acquisiti tramite apprendimento spontaneo
- Bilinguismo secondario: è riferito alla competenza bilingue ottenuta attraverso un processo di istruzione formale.

Altra distinzione importante è quella tra:


- Bilinguismo additivo: quando il nuovo sistema linguistico viene ad aggiungersi a quelli già conosciuti consentendo un
ampliamento del repertorio linguistico individuale.
- Bilinguismo sottrattivo: quando l’apprendimento di un nuovo sistema linguistico comporta una progressiva perdita di
competenza dei sistemi linguistici già noti.

Chiedersi se i due o più sistemi linguistici coesistano nella mente come entità giustapposte oppure se si unifichino in un unico
sistema. Tale approccio coinvolge la natura stessa del segno: a seconda del tipo di segni – tipi diversi di bilinguismo. Weinreich
in Languages in contact: rappresentare tipi di “segni bilingui” sulla base della triplice distinzione tra bilinguismo coordiante/
composto/ subordinante.

Bilinguismo coordinante: i due sistemi linguistici (i due segni) si trovano giustapposti poiché, ad esempio, sono stati appresi in
periodi diversi dell'esistenza del parlante, oppure in contesti separati (nella mente di una madrelingua inglese che si trovi ad
imparare l'italiano, il significante /buk/ e il significato ad esso associato sono separati dal corrispondente segno in italiano, il cui
significato è legato al significante /libro/);
Bilinguismo composto: è il tipo di bilinguismo considerato più puro; i due sistemi linguistici si troverebbero fusi nella mente
del parlante bilingue, per cui il significante lbuk/ e il significante /libro/ sarebbero legati ad un'unica rappresentazione mentale.
È tipico di quei parlanti che hanno appreso i due codici durante la socializzazione primaria, o comunque simultaneamente;
Bilinguismo subordinante: i due sistemi linguistici sono subordinati l'uno all'altro; i significati dei segni della L2, appresa
attraverso una lingua già nota al parlante, non si riferiscono ai referenti veri e propri, ma a segni equivalenti della lingua già
nota (metasegni). Tipico dell'apprendimento guidato di una seconda lingua in cui la L1 continua a mantenere una posizione
dominante. A due significanti corrisponde di fatto un solo significato, al quale si può accedere solo attraverso la lingua
dominante.
A partire dagli anni ’60 gli studiosi cercavano di capire quanto nei bilingui vi fosse una lingua dominante rispetto all’altra. Si
osservava la velocità e l’automatismo nella risposta in una lingua e poi in nell’altra, con domande decontestualizzate: si riteneva
che la dominante fosse quella che il parlante utilizzava più velocemente. Nel decennio successivo notare i limiti di questo
approccio globale. Si dà quindi attenzione ai domini e alle situazioni. La distribuzione delle L nei domini d’uso dà luogo alla
configurazione di dominanza (W.). Essa indica qual è la scelta normale del codice del parlante plurilingue (ita, ing, akan) nelle
classi di situazioni. (Famiglia: figli I moglie A, amici IN e A, religione I e IN, quartiere, lavoro I, ass. culturale A e IN, rapporti
con le istituzioni I).
Weinreich aveva applicato questo concetto al singolo parlante, altri studiosi su un’intere comunità plurilingui. Serva per testare
la stabilità del bilinguismo: mutamenti nella distribuzione delle lingue possono essere sintomo di processi di sostituzione, di
decadenza o di morte della lingua. Si usa in alcuni domini per incoraggiare la fedeltà linguistica nei confronti delle lingue
minacciate. Nello studio si dovrebbe unire l’analisi delle produzioni del singolo parlante e le scelte prevalenti nei vari domini
d’uso.

L’acquisizione di una competenza linguistica


Apprendimento (guidato) e acquisizione (spontanea) sono due processi differenti: il processo di acquisizione si ritiene avvenga
a livello subconscio e implichi conoscenze implicite; il processo di apprendimento avviene a livello conscio e risulta in un
incremento delle conoscenze esplicite relative al funzionamento di una lingua. Tuttavia, non è possibile tracciare una linea netta
tra i due in quanto concorrono entrambi sia all’apprendimento di una L2 sia al perfezionamento della L1, seppur in misure
diverse. In una situazione di plurilinguismo deve superare le barriere ling e lo fa imparando la lingua del proprio vicino. La
maggior parte delle persone possiede un cero grado di competenza bilingue e ciò suggerisce che l’apprendimento L2 non sia un
evento straordinario.
Nel processo di apprendimento, input (possibilità di essere esposti alla lingua che si vuol imparare) e motivazione sembrano i
fattori più importanti, persino più dell’età in cui si viene a contatto. Tutti possono imparare una L2.
La motivazione può essere strumentale, che mira all'apprendimento delle abilità necessarie ai fini della sopravvivenza e della
comunicazione essenziale, oppure integrativa, tipica di chi si immerge in una nuova lingua e nella corrispettiva cultura con
l'intenzione di integrarsi, di farla propria nel miglior modo possibile. Un certo di quest’ultima è necessaria a tutti per apprendere
una L2. Entrambe le motivazioni si hanno presenti entrambe, in peso diverso. La motivazione di tipo esclusivamente
strumentale porta spesso ad una situazione di fossilizzazione, per cui il processo di apprendimento si arresta prima di essere
terminato.
Influenza del pluri-bilinguismo sullo sviluppo cognitivo: inizialmente si pensava che una situazione di bilinguismo ‘non
equilibrata’ (es. b. sotr.) avesse degli effetti negativi sullo sviluppo cognitivo dell'individuo, al punto di essere responsabile di
deficit cognitivi QI basso (test di intelligenza svolti su migranti nella lingua della comunità d’accoglienza anziché la materna).
Anche fossero stato più dei risultati dei monolingui, comunque non sarebbe sufficiente a dimostrare una correlazione tra
competenza bilingue ed intelligenza. Negli anni '50 si adottò una posizione più vaga e prudente: il possesso di una competenza
bilingue non sarebbe in grado di esercitare alcuna influenza sullo sviluppo cognitivo dell'individuo.
Solo a partire dagli anni '60 si comincia ad apprezzare l'interazione tra bilinguismo ed intelligenza, attribuendo alla capacità di
comprendere ed esprimersi attraverso più sistemi linguistici un ruolo notevole nello sviluppo cognitivo dell'individuo. Inoltre,
gli individui bilingui si rivelano, di regola, dotati di una competenza comunicativa più sviluppata rispetto ai monolingui: ciò
dipenderebbe dalla maggiore attenzione che gli individui bilingui sono soliti riservare all'input linguistico e al feedback
ricevuto dall'interlocutore, anche comportamenti metalinguistici, e ad una più sviluppata capacità di sintesi e di analisi delle
produzioni linguistiche.
L'apprendimento di una o più lingue influenza la percezione di sé stessi e della realtà. Il contatto di due sistemi linguistici
determina un’influenza reciproca. Non è solo imparare i lessemi e la grammatica: imparare una lingua significa imparare anche
norme di comportamento. Il parlante bilingue è luogo d'incontro di due culture, due schemi categorizzanti della realtà, due modi
di concepire i rapporti tra individui.
Benjamin Lee Whorf: la lingua materna di un individuo determina in modo pervasivo la sua visione del mondo e il pensiero
risulta modellato dalla grammatica e dalle categorie della lingua appresa nel corso della prima infanzia → determinismo della
lingua sul pensiero. Oggi è una teoria abbastanza confermata. Ogni lingua esercita una funzione di categorizzazione, che riflette
ed influenza il modo d’interpretare la realtà della comunità. Ciascuna lingua induce ad evidenziare alcune caratteristiche della
realtà a scapito di altre. Anche se imparentate ciò non implica la presenza di maggiori somiglianze nel modo di strutturare la
realtà. In inglese il medesimo segmento di realtà è strutturato in tre lessemi: tree albero, wood (legno lavorato e legna
combustibile) e (terreno con alberi o bosco) e forest foresta. Considerando l’aspetto percettivo: alcune lingue riconoscono
nell’aspetto cromatico (anche ita e ing) diverse gradazioni distinte tramite un lessema/aggettivo: colori primari-rosso, giallo,
azzurro e colori secondari-arancio, verde, viola, e i neutri- bianco e nero.
Secondo uno studio la suddivisione dello spettro cromatico delle principali lingue indoeuropee non è universale. Ad esempio, lo
spettro cromatico varia sensibilmente da una lingua all'altra; in akan (gruppo kwa della famiglia Niger-Congo) si distinguono
solo 3 colori fitaa, tuntum, kokoo traducibili con bianco, nero e rosso. Questo sistema di colori è in realtà organizzato attorno
all'opposizione dei tratti +-acceso, +-opaco, +- brillante (guardare schema pag 122); combinando queste caratteristiche si
ottengono i 3 colori principali. Ad esempio, il termine kokoo per + accesso + brillante saranno in italiano rosso/arancio/giallo.
Quindi la lingua materna in parte influenza il processo percettivo di un individuo.
La gamma della variazione non è infinita ma è regolata da rapporti di implicazione precisi. I due antropologi Berlin e Kay di
questo studio formulano un universale di lessicalizzazione.
Elaborano un universale di lessicalizzazione mostrando che tutte le lingue del mondo posseggono almeno un termine per
indicare il bianco e uno per indicare il nero (poi rosso, verde\giallo, verde\giallo, blu, marrone, etc). Dunque, può essere uno
strumento predittivo, essendoci il blu vuol dire che la L lessicalizza anche i colori che lo precedono. Alcune categorie sono più
basiche. Inoltre, dimostra che la differenza dei colori non presuppone una minore complessità cognitiva: in akan è possibile
indicare altre gradazioni modificando i lessemi tramite l'aggiunta di uno o più aggettivi, come pallido/ado più kokoo= rosa,
maturo, estremo. Altre usando composti descrittivi, ovvero descrivono un colore evocando un referente concreto a cui tale
colore è culturalmente associato. Si possono verbalizzare sempre nuove esperienze. Nessuno è però prigioniero della propria
lingua materna e l'apprendimento di una L2 non fa crollare il proprio modo di percepire la realtà, ma piuttosto lo arricchisce

Atteggiamenti linguistici
Gli atteggiamenti linguistici sono importanti nel determinare il prestigio goduto da una varietà di L. La vita di un sistema
linguistico è condizionata dagli atteggiamenti che i parlanti nutrono nei suoi confronti; quindi, è un parametro per misurare lo
stato di salute di una lingua, positivi aumentano la trasmissione, negativi sfavoriscono o portano a proibire. Non vanno confusi
con le opinioni, esse formulazioni esplicite e più mutevoli e superficiali. Inoltre, si basano sugli atteggiamenti. Gli
atteggiamenti da delineare sono difficili perché non sono osservabili direttamente ma si possono dedurre dal comportamento.
Non sono esso ma l’inclinazione a comportarsi in determinato modo rispetto ad un oggetto di riferimento. Gli atteggiamenti
possono essere eliminati con tecniche escussive.
Gli atteggiamenti, definiti da Berruto "l'insieme delle posizioni concettuali assunte da una persona circa un determinato
"oggetto"". Conoscerli permette di prevedere le scelte linguistiche in determinati contesti. Gli atteggiamenti assumono la forma
di sentimenti di apertura o di chiusura nei confronti di tale "oggetto". Gli oggetti possono essere:
 Le singole lingue/varietà di lingua giudicate portatrici di determinate caratteristiche (come chiarezza, musicalità ecc.);
 L'impiego di una lingua/varietà di lingua in determinati domini o classi di situazioni;
 Le comunità che si distinguono per l'impiego di una certa lingua/varietà di lingua (comunità alloglotta in Italia);
 L'infrazione di certe norme linguistiche o l'introduzione di forme considerate agrammaticali o substandard (pronome
2sig te con ruolo di soggetto).
Nutrire atteggiamenti positivi verso la lingua da apprendere influisce positivamente sia sulla velocità che sugli esiti del processo
di apprendimento. Si nutrono atteggiamenti positivi maggiormente verso lingue che si conoscono in parte, rispetto ad una
lingua che non si è mai avuto il modo di conoscere. La studiosa Beker lo nota nei giovani del Galles in relazione ad inglese e
gallese: chi frequenta una scuola bilingue nutre atteggiamenti positivi anche verso il gallese. Ovviamente non si può stabilire se
sia stata una migliore competenza del gallese a nutrire atteggiamenti positivi o atteggiamenti positivi verso il gallese ad aver
determinato la scelta della scuola bilingue e una maggior facilità di apprendimento. Infatti, il comportamento può dissimulare i
reali atteggiamenti nutriti: il comportamento linguistico può cambiare in base al contesto e a vari fattori, la formalità, le
preferenze linguistiche, l’argomento, ecc.
Gli atteggiamenti sono posizioni concettuali, costituiti da componenti cognitive (credenze fondate sull’esperienza o sull’autorità
altrui/inferenza) e da componenti affettive/emozionali e sono le maggiori. Inoltre, sono costituiti da un aspetto conativo
(intenzioni di comportamento e disposizioni all’azione). Conoscere prima l’oggetto al quale associare emozioni positive o
negative.
La formazione degli atteggiamenti è collegata a variabili sociali e linguistiche. Difficile distinguere gli atteggiamenti verso una
lingua e quelli verso i parlanti di tale varietà. La lingua è un tratto distintivo della comunità stessa. Labov: comunità linguistica
è un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua. Sono uniformi, comunicare
ed interpretare in modo omogeno. Studiarli permette di cogliere il mutamento linguistico.
Oggi non si rietine più che gli atteggiamenti determinino il comportamento in modo univoco. Gli atteggiamenti sono
predisposizioni ad agire in modo. Agiscono nel dirigere il comportamento ma insieme a altri fattori: le circostanze della
situazione, i valori, le norme, le consuetudini della comunità, e le capacità soggettive di valutazione. Ecco perché i comp.
appaiono spesso contraddittori. Gli atteg. Non lo sono.
Sono acquisiti implicitamente nella socializzazione primaria e secondaria e possono mutare ed evolversi, nonostante siano
abbastanza stabili. A volte sono infatti resistenti al cambiamento. Il sistema linguistico influenza la struttura sociale, la
percezione e il modo di pensare. Ma anche l’inverso, una struttura sociale può influenzare gli atteggiamenti verso le varietà
parlate dalla comunità. Le differenze sociali vengono simbolizzate anche dalle differenze linguistiche, discriminando e
controllando. Gli atteggiamenti positivi e negativo cambia al ruolo e status che ha quella lingua o varietà. (es. bambino e amici,
bambino e insegnante).la lingua ha prestigio perché la comunità che la parla lo possiede. Il prestigio di una lingua è detto
indessicale (non inerente ma socialmente attribuito). La var standard sarà quella parlata da gruppo socialmente dominante anche
se è un’élite. (l’italiano non è parlato dalla maggioranza). Questa lingua verrà promosso come il modello verso cui tendere per
migliorare la propria posizione sociale.
Le opinioni sono verbalizzate, gli atteggiamenti no. I pregiudizi sono un tipo di atteggiamenti, formati nel corso della prima
infanzia, indipendente dalla conoscenza diretta dell’oggetto. Si basano su categorie prestabilite, gli stereotipi, categorie
irreversibili che si manifestano in credenze, opinioni, immagini mentali, ecc. in base a generalizzazioni frettolose o infondate.
Pregiudizi contro una lingua, significa pregiudizi contro quella comunità linguistica. E i gruppi sociali si distanziano sempre di
più, creando stereotipi verso altre comunità, es. chi pronuncia l’italiano popolare è poco intelligente o cmq occupa un ruolo
marginale nella società. Viceversa, l’italiano standard.

Tra le funzioni attribuibili agli atteggiamenti linguistici se ne riconoscono quattro principali, ossia:
- Una funzione utilitaristica, per cui gli atteggiamenti nei confronti di una lingua evolvono in una certa direzione quando ciò si
rivela vantaggioso o evita conseguenze spiacevoli (ad esempio, nel sistema educativo del Galles del XIX secolo l’impiego della
lingua inglese era obbligatorio e vietato il gallese, altrimenti pesanti punizioni); anche incentivi o punizioni meno palesi e
cruente. Guardare di più l’alunno che sa parlare meglio, e ammiccare o guardare ironicamente tra amici. L’incoraggiamento
verso una varietà linguistica passa anche da canzoni, libri, tv.
- Una funzione di difesa dell'identità personale, per cui l'abbandono di una lingua il cui impiego provochi sentimenti di
inadeguatezza o d’imbarazzo è mirato al ripristino di un sentimento di sicurezza e di autostima dell’individuo, ecco
l’abbandono in favore di un altro sistema linguistico;
- Una funzione di manifestazione di valori, per cui un parlante avverte che una lingua più di un'altra esprime efficacemente la
propria identità etnica, la propria cultura e i propri valori, quindi verso altre lingue l’atteggiamento sarà negativo;
- Una funzione di orientamento cognitivo, per cui un parlante sviluppa un atteggiamento positivo nei confronti di una lingua che
percepisce come utile al fine di sviluppare il proprio sistema di conoscenze.
Gli atteggiamenti linguistici possono subire dei mutamenti con il variare dell'età del parlante, o in seguito a esperienze
drammatiche con forti stress emotivi. Esiste una gerarchia determinata dallo status ed elaborazione di una lingua.
Generalmente, gli atteggiamenti che i parlanti nutrono nei confronti di una lingua utilizzata a livello istituzionale (la scuola la
più rilevante) sembrano più positivi di quelli nutriti nei confronti di una lingua impiegata in ambiti orali e informali.
Gli atteggiamenti linguistici pongono dei problemi di tipo metodologico, dal momento che sfuggono all'osservazione diretta e
devono essere dedotti sulla base del comportamento dei parlanti. Il metodo più usato nel loro rilevamento consiste nell'inchiesta
con questionario o nell'intervista con domande sia dirette che indirette (meglio se è una conversazione). Due temi più
domandati: i motivi che spagnolo ad apprendere una L2 e glia atteggiamenti verso le lingue parlate dai bi-plurilingue, non
avendo tutte il medesimo prestigio.
A seconda di come sono formulate le domande si ottengono risposte diverse. Anche la scelta della lingua (quest o interv.) può
rivelare info sugli atteggiamenti dell0ìintervistatore o tradire le sue aspettative. Anche in suo comportamento non linguistico
può influenzare l’intervista. Bisogna essere monitorati. Tra gli studiosi pessimisti su queste tecniche escussive c’è Baker la
quale ritiene che le tecniche dirette non saranno mai affidabili a causa di tre problemi:
1. Gli informanti tendono a presentarsi come vorrebbero essere piuttosto che come sono in realtà, dissimulando i propri
atteggiamenti soprattutto se si ha l’impressione che non sianp approvati dall’intervistatore, è detto “effetto alone”;
2. Gli informanti tendono a lasciarsi influenzare dalle opinioni del ricercatore e dallo scopo dell'indagine che
percepiscono o suppongono.
3. È difficile scegliere un campione di informanti rappresentativo della comunità linguistica che si vuole indagare che non
implichi distorsioni, le quali emergono nella fase di raccolta dei dati;
nonostante ciò restano i due metodi più economici anche dal punto di vista del tempo, per la raccolta dei dati sia in singoli
individui sia in comunità ampie.
Un'altra tecnica diffusa e importante è la matched guise technique, ideata da Lambert ’60 (per studiare i rapporti del fr. ed ing.
in Canada). Anche lui sosteneva l’inadeguatezza delle domande direte. Tale approccio è, infatti, incluso negli approcci indiretti
e consistente nel far sentire una serie di registrazioni di brevi testi- stimolo, dal contenuto il più neutro possibile, a dei valutatori
invitati a esprimere, senza rifletterci troppo, la propria opinione sulle persone che parlano, collocandole nella posizione sociale
a loro avviso più adatta utilizzando coppie di aggettivi come intelligente/stolto brillante/noioso.
Il fatto che i valutatori debbano esprimere giudizi su persone sconosciute (si tratta in realtà di registrazioni prodotte dal
medesimo parlante, spesso un attore professionista con diverse varietà diastratiche e diafasiche di entrambe le L) invece che su
una varietà di lingua, favorisce la spontaneità dei giudizi, non filtrati in termini di accettabilità sociale.
Non influenzati da variabilità come l’età, il sesso, la modulazione della voce ma soltanto dagli atteggiamenti che nutrono verso
la varietà presentata. Risultato: tanto più le registrazioni si avvicinavano alle varietà standard di entrambe le L, tanto più gli
autori venivano descritti come persone di successo, intelligenti e di una classe medio-alta. Viceversa, con le varietà regionali,
anche se ritenuti più affidabili e amichevoli. Così si colgono gli stereotipi. Il testo-stimolo è neutro e devono pensare che siano
espressi da più parlanti. Servono tempi e costi maggiori, essendo i testi testati e monitorati e un professionista che conosca le
varietà.

Politica e pianificazione linguistica.


Ovvero osservare gli aspetti che legano le lingue e i dialetti alle società organizzate e alle istituzioni politiche e culturali.si tratta
del paesaggio linguistico, cioè della presenza concreta e scritta (insegne, cartelloni stradali, graffiti) delle lingue in un
determinato territorio. Tale analisi permette di individuare i rapporti di potere ufficiali fra le lingue (e relativi gruppi sociali),
contrasti e le tendenze. Ad esempio, modifica del nome del luogo con la bomboletta spray dall’italiano al dialetto come
tentativo esplicito di riappropriazione territoriale dallo stato. Recentemente si hanno cartelloni bilingui per andare incontro alle
rivendicazioni autonomiste. Al contempo però il dialetto diventa un oggetto turistico-folcloristico (corsivo e colorato) invece di
risaltarlo in quanto codice di comunicazione. Come convivono plurilinguismo e contatto linguistico negli stati moderni? Nel
concetto di stato-nazione coincidono il potere politico (stato), appartenenza etnica (nazione) e unità linguistica (lingua
nazionale). Nato nell’800 oggi ha problemi e fuori dall’Europa non ha molta ragion d’essere. In Europa esistono tanti dialetti e
minoranze linguistiche e quest’ultime a volte superano i confini nazionali (tirolesi a Bolzano) o casi di migrazione di lunga
durata (comunità slavofone o albanofone in Italia) o le comunità di recente immigrazione. Oppure i gruppi etnico-linguistici
autoctoni che non però collegabili alla maggioranza nazionale, ad esempio il baco fra Francia e Spagna.
In questi casi si parla di parlate alloglotte o eteroglossie (lingue diverse), diffuso in tutta Europa. L’ideologia nazionalista non è
in declino, basti pensare alle nazioni post Jugoslavia, basate su sulla differenziazione del continuum linguistico realizzando
croato, serbo e croato. La ricerca dello standard è tipico dell’Europa orientale e anche le minoranze linguistiche vogliono un
riconoscimento ufficiale per realizzare piccoli stati idealmente monoetnici e monolingui. Esistono infine i gruppi di tradizione
nomade e le comunità di lavoratori stranieri recenti che non sono tutelati.
Lingua nazionale: è la L nazionale costitutiva dello stato e ha valore simbolico.
Lingua ufficiale: non connotata da valori simbolici e identitari se non a livello nazionale, e si caratterizza per i suoi ambiti d’uso
e valori ufficiali.
Lingua regionale: si indicano le lingue autoctone parlate da una piccola parte della popolazione localizzata in un specifico
territorio.
Lingua di minoranza: deve rapportarsi ad una maggioranza dentro una entità statale.
Politica linguistica: comprende le attività e le ideologie che una società e le sue istituzioni esprimono nei confronti delle lingue.
Pianificazione linguistica: gli interventi consapevoli sulla lingua e sui contesti sociolinguistici (plurilingui). Le attività di PL
vanno dalle accademie preposte alla salvaguardia della lingua nazionale, al collocare cartelli bilingui, stabilire le norme
ortografiche e un sistema linguistico. I processi di PL coincidono con la nascita di grammatiche normative o nel momento in cui
una lingua comincia ad esser scritta. Proposta famosa è il De vulgari eloquenzia 1305: trattato in cui si spiega come dovrebbe
essere il volgare italiano (urbano, nazionale, non marcato da regionalismi) e quale status avere (illustre, cardinale, aulico,
cortigiano). Dante è funzionalista, guarda agli ambiti d’uso. questione della Lingua: da Dante a Manzoni fino al Fascismo con
interventi espliciti la PL è solo teorica.
Oggi PL si occupa della salvaguardia delle L minoritarie a rischio estinzione. Oltre 5000 lingue al mondo, solo 15 parlate dalla
metà della popolazione mondiale, le altre in numeri piccoli di parlanti o a volte di poche decine. Spesso vittime di glottofagia da
quelle più importanti. Morendo una L muore anche la cultura di riferimento. Se muore la cultura e rimane la lingua, spesso
codificano la cultura di maggioranza per non fare estinguere la L. Possibilità per salvaguardare una L minacciata: -
rivitalizzazione esistono ancora parlanti nativi (irlandese)
- revival, non più nativi (cime il corinco? lingua celtica estinta). Tutto dipende dall’atteggiamento dei parlanti nei confronti
della lingua minoritaria.
Esistono due aspetti nelle attività di pianificazione linguistica: corpus planning (vera e propria PL) e status planning (P dello
status di una L). incrociando tali aspetti con gli ambiti di applicazione (forme e funzione) si ha il modello classico di Haugen
articolato in quattro fasi:
In una prima fase, identificazione del problema, vengono prese decisioni relative al futuro status della lingua posta a tutela,
ossia si deciderà se essa sarà ufficiale o meno, se sarà anche mezzo di istruzione o solo materia di insegnamento esplicito (es
inglese come L straniere), se saranno promossi i singoli dialetti minoritari, o una lingua elaborata nella quale possono
riconoscersi i dialetti, o una L di cultura alla quale sono riconducibili i dialetti locali minoritari. Capire cosa ne pensano i
parlanti e domini d’uso delle L. ad esempio il tedesco è L co-ufficiale con l’italiano, per le minoranze alemanniche del
Piemonte, bavaresi del Veneto, del Trantino mocheni e del Friuli carnici, usare il tedesco o promuovere a lingua il dialetto
locale è oggetto di discussione, di carattere ideologico.
La seconda fase, processo di PL, riguarda l'insieme delle attività di standardizzazione di una lingua che fino a quel momento
era solo o prevalentemente parlata e con un certo numero di varietà: perciò va introdotta un’ortografia; quindi, una var da
standardizzare e vanno normati il sistema grammaticale e il lessico. Esempio è il ladin dolomitan: il ladino standard che si
vorrebbe adottato per gli usi scritti nelle cinque valli ladine ufficialmente riconosciute in Italia. Non deve sostituire i vernacoli
locali scritti e orali, ma fungere da lingua- tetto (dachsprache) e var alta da usare nei domini amministrativi e per la
comunicazione intercomunitaria. (mass media).
È il frutto di mediazione tra le cinque varietà, sul livello fonetico, morfologico, lessicale, regolarità di forme e funzione e
mantenere la ladinità. Livello fonetico: hanno i nessi consonantici PL, BL, FL del latino (simile al francese fluer). Placere latino
sarà plajei in badiotto, altri per contatto con i dialetti veneti e trentini e l’italiano hanno pièjer. Il ladin dolomitan userà la forma
più attesta e più ladina: plajei.
La terza fase, analogamente alle strategie di marketing, prevede la promozione della lingua standardizzata. Sono le istituzioni a
doversi occupare della diffusione nei diversi ambiti, previsti nella prima fase dello status planning. Questo è il momento di
verifica dell'impatto della pianificazione L sulla comunità, che potrebbe rifiutarne alcune scelte sancendo il fallimento del
progetto; pertanto, in questa fase vanno previste eventuali correzioni. Infatti, non tutte le comunità ladine hanno accolto bene
tale progetto. Infatti, il maggior ostacolo è la mancanza di un senso di appartenenza sovralocale.
La quarta e ultima fase consiste nell'elaborazione della lingua minoritaria, ossia nella promozione del suo sviluppo in ambiti
d'uso sempre più specialistici e sovralocali. Ad esempio, per l ladino si cerca di ampliare gli ambiti funzionali, tra cui testi
scientifici, scolastici, e la ricerca sul ladino con l’istituto dei servizi di pianificazione ed elaborazione della lingua ladina (spell),
aumentando i lessemi e le regole.
L’elaborazione/ausbau contribuisce anche alla definizione di lingua in opposizione a dialetto ed è allo status di L che le parlate
ambiscono e per questa intraprendono la PL. Una lingua può definirsi sia per distanziamento sufficiente rispetto le parlate più
vicine o imparentate, sia per elaborazione cioè poterla usare in contesti funzionalmente alti, scritti, formali e banalmente d’uso
(libretti d’istruzione), trattando temi anche fuori dell’ambito locale. L’espressione artistica e folcloristica non indica un alto
livello di elaborazione, ma la creatività dei singoli nell’esibirla, non di usarla per comunicare. In questo caso si parla di
elaborazione incipiente, una fase che precede l’elaborazione vera e propria.
L’elaborazione è un concetto scalare (più o meno elaborata), è possibile misurare il grado di elaborazione raggiunto da una
lingua incrociando due parametri: 1- i diversi livelli di sviluppo dei testi e 2- il tipo di argomenti trattati (più o meno locali, più
o meno generali). Quindi procede per gradi seguendo la griglia klossiana. È utile in fase esplorativa prima di una PL. Una L col
tempo e cause esterne può perdere il liv di elaborazione raggiunto in passato. Ad esempio, l’inglese ha soppiantato in tanti
campi disciplinari altre L’importante come il francese, ecc. Si ha prestigio se gli articoli scientifici si dirigono in inglese, per
essere diffusi a livello internazionale. Politica linguistiche è legata alla politica e ci mostra cosa succede nel mondo.
Capitolo 5 Situazioni di contatto in Europa
La distinzione tra lingua e dialetto ha sempre presentato delle difficoltà. Per un linguista generale è indifferente il taglio
sociolinguistico, guardano alla struttura funzionale in modo univoco, che sia l’italiano o il bergamasco. Invece
sociolinguisticamente bisogna guardare al contesto in cui sono utilizzate per chiarire le etichette semplicistiche di non-linguisti
usate a scopo politico o demagogico: querelle sullo statuto di varietà italo-romanze soprattutto settentrionale e varietà alloglotte
di tutta Italia. Oppure scardinare l’ida di dialetto per molte lingue africane o indiane.
Il dialetto può essere caratterizzato da diatopia, ovvero in base alla dimensione spaziale in questo senso, le varietà regionali
dell’italiano possono essere definite dialetti. Soprattutto il romanesco e le varietà toscane: sono i dialetti dell’italiano che a sua
volta è basato sul fiorentino letterario del XIII e XIV secolo. Nel Regno Unito dialect è usato con accezione più ampia che
coincide col nostro varietà di una lingua, cioè come una delle diverse realizzazioni del sistema lingua. Può quindi essere un
socioletto (varietà di un determinato gruppo sociale), un etnoletto (varietà di un gruppo etnico) o un registro (varietà di una
determinata situazione o argomento) In Italia, però, il dialetto è distante e subordinato alla lingua standard, a causa del suo
raggio d’azione. Infatti, definiamo l’italiano una lingua, con un diverso raggio funzionale, sociale e comunicativo. Sono
sviluppati dal latino, e rientrano dello stesso sottogruppo romanzo dell’italiano detti dialetti italo-romanzi. Sono quindi
autonomi, hanno strutture di codice molto diverse dall’italiano nonostante la loro somiglianza ad esso.
Esempi da dialetti settentrionali:
1) nei dialetti gallo-italici (piemontesi, lombardi, liguri, emiliano-romagnoli) la negazione è, a differenza che in italiano,
postverbale, mia o nen.
2) nei dialetti settentrionali l'espressione del pronome soggetto è obbligatoria seguendo egole sintattiche a seconda della
persona del verbo o del tipo di frase. L’è mia luntan? Oppure con pronome espletivo (qui caso enclitico) coi verbi atmosferici,
pio-el? / piove? Oppure con soggetto esplicito, lu l’e ndac/ lui (gli) è andato.
3) in molti dialetti le subordinate sono introdotte dal doppio complementatore "quando che"
4) in vari dialetti i numerali "due" e "tre" prevedono forme distinte a seconda del genere, du gac/do gate (2 gatti/e)
5) in tutti i dialetti italiani esistono mezzi morfologici alternativi rispetto all'italiano: morfema sostitutivo tende a lasciare intatta
la radice della parola. Invece nei dialetti a subire mutazioni sono sia le consonanti finali della radice (gat-gac s-pl) che le vocali
toniche (biellese gat-ghet).
Una lingua si caratterizza, rispetto a un dialetto, per almeno due criteri:
1) Distanziamento/Abstand, per cui una lingua è tale in quanto sufficientemente diversa da altre lingue.
2) Elaborazione/Ausbau, per cui una lingua è tale se è dotata di un sistema di scrittura e di un alto grado di
standardizzazione/codificazione, se ha parlanti alfabetizzati, se può essere impiegata in testi letterati, tecnici, scientifici di
argomento non solo locale.
L’italiano corrisponde ai due parametri. Alcuni dei dialetti possono aspirare, sicuramente di più dei dialetti secondari (varietà
regionali). I confini tra lingua, dialetto, varietà sono determinati da contesti culturali e politici. Quindi sono relativi.
Guardiamo agli aspetti significativi nel rapporto italiano-dialetti i quali lo distinguono dai casi di diglossia.
Il primo punto riguarda l’erosione dei dialetti in Italia in concomitanza all’allargamento di funzione dell’italiano. Ma questo
processo di erosione dei dialetti, a favore dell’italiano standard, si sta pian piano arrestando, per diverse ragioni. È
l’allargamento dei domini, soprattutto nei domini moderni, giovanili per eccellenza, come la musica pop, internet, fumetti,
pubblicità ma anche scrittura giornalistica.
Si sta scrollando lo stigma di deprivazione culturale e linguistica che lo ha accompagnato dall’unità d’Italia sino a pochi
decenni fa, persa la funzione di codice primario, viene oggi utilizzato in repertori sempre più ampi e concreti. L’uso dialettale
spontaneo (primario) delle generazioni più anziane è stato stigmatizzato e rifiutato dai giovani che ne prediligono un uso
intenzionale e controllato (secondario, di ritorno) che si riflette nelle enunciazioni mistilingue cose-mixing o in code-switching
emblematico (uso di stilemi o locuzioni fisse in dialetto/ per lo più), una neo-dialettofonia. Quindi diventano una ‘risorsa’
linguistica con funzione stilistica.
Questo è il quadro emerso anche dai dati ISTAT del 2000 da cui si è rilevato che il dialetto, pur diminuendo l’uso esclusivo dei
dialetti, aumenta. Unendo i dati dell’uso esclusivo del dialetto con quelli della doppia comunicazione, si ottiene che più della
metà della popolazione usa il dialetto in famiglia, poco meno della metà con amici e circa un quarto usa il dialetto al di fuori
delle due sfere. Escludendo l’Italia centrale dove i dialetti sono diversi, i valori più alti di dialettofonia si riscontrano in
meridione (più combinazione) e nord- orientale (dialettofonia pura più alta). Valor più bassi in nord-ovest per i tanti centri
urbani, immigrazione consistente e di lunga durata. Interazione con gli estranei bassa nei centri urbani e alta nei piccoli comuni,
questo perché il dialetto emerge di più dalla percezione di una comunità condivisa.
Infatti, è pochissimo presente nelle varietà semplificate di italiano che si usano coi bambini piccoli /baby talk e con stranieri
/foreigner talk. Sono individui che non fanno ancora parte a pieno titolo della comunità e quindi il dialetto appare fuori luogo.
Secondo i dati ISTAT ci sono così tanti usi mistilingui, anche nella stessa frase, per la situazione di dilalìa che permette la
permeabilità dei codici nei bassi repertori, soprattutto la conversazione informale. Tali modelli di conversazione mistilingue
corrispondono ad esigenze discorsive diverse, a tipi di parlanti diversi e assolvere a funzioni diverse.
Esempi area settentrionale:
1. Ma mezza età me anziana, conversazione informale prima dell’inchiesta dialettologica tradizionale;
2. Contesto simile ma familiare, era una parente anche la rilevatrice);
3. Annotato in un negozio di parrucchiere per donne; parlante giovane proprietaria.
1. Incertezza al codice da usare in presenza ad una conoscente (intervistatrice) della quale non conoscono la competenza
dialettale e situazione formale con registratore acceso e fogli. Signora anziana buon grado di mistilinguismo e cambiamenti di
codice in concomitanza di elementi salienti del discorso.

2. Mistilinguismo intenso dissociato però da funzione conversazionale o testuale, in un contesto intimo.


3. La locuzione dialettale che conclude la a descrizione in italiano serva a contestualizzare, e ridimensionare il discorso. Così da
marcare come locale un intero discorso, mutando così il tono.
Istat uno su quattro dichiara di usare il dialetto rivolgendosi ad estranei. Inchiesta su diverse località piemontesi, registrate 500
brevi interazioni fra sconosciuti, condotti da giovani della zona che fingevano di chiedere informazioni. Controllando variabili
sociolinguistiche come l’età, il sesso dell’interrogato, la località nella quale avveniva l’incontro e l’uso del dialetto nella
domanda. La presenza del dialetto nei turni del richiedente aumentava il dialetto nella risposta, seguito dall’età più anziana e di
trovarsi in un piccolo centro. Quindi il contesto ha un ruolo decisivo nelle scelte linguistiche di p plurilingui. Più nel sotto-
campione delle donne. Come il parlante agisca interpretando l’atto comunicativo nel momento stesso in cui si svolge; l’uso del
richiedente del dialetto porta le interlocutrici a rivedere lo scambio DA due sconosciuti A due appartenenti alla stessa comunità,
potendo quindi fare domande personali. (lei è di qui?).
Ambiti inediti nei quali si può incontrare il dialetto:
• Internet svolge un ruolo di grande rilievo, permettendo al dialetto di passare dalla sua dimensione locale, ad una dimensione
globale, potendo tutti democraticamente, a poco costo, avere uno spazio. Molti siti adoperano consapevolmente il dialetto per
mostrare il loro “marchio” per dimostrare di poter parlare o scrivere in dialetto di qualsiasi argomento in qualsiasi ambito. Tale
uso sbandierato/flagged del dialetto porta al paradosso, perché il linguaggio specialistico di internet presenterà meno anglismi e
molti prestiti adattati di quanto non avvenga nei siiti in italiano: adattamenti grafici (om peig romagnolo) e tanti calchi
strutturali e semantici (schiscia- cliccare bresciano).
La Svizzera Tedesca
È noto da saggio di Fergurson 1959 come uno degli esempi prototipici di diglossia.
Secondo dati statistici ella Svizzera Tedesca la situazione è abbastanza diversa rispetto a quella italiana: qui tutti gli svizzeri
tedeschi dichiarano di parlare il dialetto svizzero-tedesco o una combinazione di dialetto. Dai dati statistici e sono più dell’80%,
pochissimi solo il tedesco standard, il restante il 10% un’latra lingua diversa dal tedesco o dialetti tedeschi (francese, italiano o
romancio). Il dialetto è diffuso e amentato negli ultimi decenni anche in ambito scolastico, diversamente che in Italia, poiché il
dialetto costituisce un elemento fondamentale dell’identità culturale svizzera. In ogni entità territoriale solo una è la lingua
ufficiale. Per definire il rapporto di diglossia opposto a quello di bilinguismo, Fergurson fa riferiemnto s 4 situazioni nelle quali
due varietà di lingua coesistono nella stessa comunità è appunto della Svizzera tedesca.
La situazione svizzera si è distaccata dal modello diglottico ed è mutata.
Sappiamo che la differenza tra varietà A e B (parag. 2.2) porti ad una gerarchizzazione dei codici con specializzazione delle
funzioni e divisione dei domini d’uso. Ciò garantisce stabilità nel tempo e sfavorisce l’emergere di pratiche discorsive
mistilingui.
All’epoca del saggio di F la diglossia si applicava bene al contesto svizzero-italiano che tedesco. Da allora nell’area tedesca i
domini si sono sempre più estesi; nella zona italiana l’inverso, l’erosione dei dialetti e diffusione dell’italiano standard in tutti
gli ambiti. La diglossia svizzera si può definire mediale: è il mezzo di comunicazione (scritto o orale) a definire gli ambiti d’uso
dei due codici di una comunità, al di là della formalità della situazione.
Non si può parlare di bilinguismo perché sarebbe asimmetrico in quanto nella popolazione autoctona non vi è una competenza
piena della lingua standard parlata. Il tedesco standard, infatti, viene chiamato “tedesco scritto” percepito alla stregua di una
lingua straniera, cioè si un insegnamento esplicito. Una conseguenza dell’uso solo scritto è la mancanza dialect-standard-
kontinuum, presente invece in altre zone tedescofone. Infatti, nella Svizzera tedesca non hanno una varietà intermedia, un
tedesco colloquiale svizzero o delle varietà regionali di tedesco.
Perdita progressiva di validità della definizione di F: nella S.T. i dialetti hanno maggior prestigio della LS, ciò è dovuto anche a
fattori di tipo nazionalistico, che portano la Svizzera a non volersi uniformare con l’area linguistico-culturale tedescofona,
motivi politici sociali che sono alla base della federazione elvetica ed emersi con revival recenti, al ritorno delle origini rurali e
alpini, per non essere fagocitata dalla Germania.
Tale diffusione è resa possibile dall’intercomprensibilità fra le diverse varietà dialettali, un alto grado di laissez faire a livello
ortografico e l’abitudine ad accettare la varietà dialettale. Diffusione sempre maggiore dello svizzero-tedesco nei media, in
politica e pubblica amministrazione, anche se con critiche essendoci in totale 4 gruppi nazionali e numerosi immigrati. Ecco
allora l’uso dell’inglese come lingua franca in molti ambiti. E l’influsso dell’inglese si nota anche nei dialetti soprattutto nelle
varietà giovanili, con prestiti adattati nel sistema morfologico, diverso al contesto italiano dove i dialetti sono impermeabili
all’adozione di materiale allogeno. (fuude/food/mangiare nei fastfood).
Minoranze linguistiche
Il concetto di minoranza linguistica è intrinsecamente relativo, cioè non valido in assoluto ma solo in relazione ad una
maggioranza. (sloveno minoritario in Italia non in Slovenia). Dunque, parliamo di minoranze linguistiche in Italia per quei casi
di comunità linguistiche che non rientrano nel modello di dilalìa con italiano/dialetto italo-romanzo a contatto. Si hanno
minoranze autoctone e minoranze di diaspora e fra queste minoranze di antico e di recente insediamento. Le minoranze
linguistiche sono affrontate anche dalla polistica linguistica e dai diritti dei gruppi etnico-linguistici. Ma vi è una differenza fra
minoranze linguistiche e lingue di minoranza: 1- gruppo di persone, minoritarie sulla base della lingua che parlano; 2- insieme
di lingue parlate in uno stato, minoritarie in esso.
Sul territorio italiano si distinguono quattro tipologie di eteroglossi rispetto l’Italino e i dialetti italo-romanzi:
1. Aree nelle quali si parla una lingua/dialetti che, al di fuori dei confini italiani, si trova in una situazione di maggioranza
(come il tedesco o lo sloveno);
2. Aree nelle quali si parlano i dialetti di una lingua della quale non esiste ancora una ‘lingua-tetto’ né in Italia né in altri
paesi (le parlate ladine delle Dolomiti e il friulano, o le varietà di sardo);
3. Aree in cui si parla un dialetto italo romanzo “di diaspora”, diverso da quelli circostanti ma simile a quelli parlati in
una regione italiana piuttosto distante, una situazione originatasi in seguito al dislocamento di intere comunità,
soprattutto da nord a sud, nei secoli passati (le comunità gallo- italiche della Sicilia, dell’Italia meridionale e della
Sardegna);
4. Minoranze diffuse, cioè disseminate a piccoli gruppi sul territorio senza costituire un’area compatta (i gruppi rom e
sinti o le nuove minoranze dovute all’immigrazione recente)
Dunque, le minoranze linguistiche sono il risultato della mancata simmetria tra entità nazionali, etniche e linguistiche per la
formazione degli Stati-nazione dell’Europa dell’800. Questo produce l’identificazione delle lingue di minoranza con uno
specifico territorio con l’esito di esclusione e discriminazione. Tali minoranze sono invece il risultato di un contatto linguistico
e culturale che ha dato luogo a comunità complesse.
Esiste una serie di criteri che ci consentono di classificare le diverse minoranze linguistiche di antico insediamento in Italia con
maggiore precisione:
1. Criterio genealogico relativo ai gruppi linguistici di appartenenza, dal quale si deduce che tutte le minoranze
linguistiche in Italia appartengono alla famiglia indoeuropea;
2. Presenza o meno di una lingua-tetto, fuori dall’Itali, nella quale la minoranza possa riconoscersi. Conoscere la
percezione che i parlanti hanno delle lingue che usano nella loro comunità e della lingua standard esterna.
3. Parlate alloglotte in Italia: se abbiano o meno elaborato una loro lingua-tetto, ad esempio standardizzando una varietà
locale o realizzando uno standard regionale.
4. La posizione geografica della minoranza, se sia o meno di confine e la compattezza territoriale.
5. Il prestigio. Le minoranze di antico insediamento hanno ampio prestigio (tranne rom) sia dentro che fuori la
comunità ma in realtà eteroindotto, ovvero proiettato sulla comunità da ideologie politiche o culturali spesso in
disaccordo alla stessa comunità. (schema pagina 175)
Consideriamo questi parametri per il caso della comunità di Issime, riconosciuta come parte della cosiddetta minoranza walser,
cioè tedesco-alemannica di origine vallesana (XII-XII pastori del Vallese/Svizzera), inserita però in un ampio contesto
minoritario, quello della Valle d’Aosta, dove l’uso delle lingue è regolamentato per legge e a italiano e francese è data pari
dignità, mentre i diversi patois francoprovenzali sono riconosciuti e tutelati, sebbene non godano di ufficialità. A questa
situazione di per sé complessa, si deve aggiungere la conoscenza del piemontese dati gli scambi commerciali. Cinque codici!
I gruppi linguistici a Issime sono due, quello germanico (un dialetto tedesco del gruppo alemannico alpino, anche se il loro
dialetto tedesco si è staccato dalle varietà tedesche e dal tedesco) e quello romanzo (il piemontese e l’italiano del sottogruppo
italo-romanzo e il patois francoprovenzale ed il francese, in forma scritta, del sottogruppo galloromanzo). Mentre le altre
minoranze linguistiche sono in un rapporto di conflittualità con la maggioranza, a Issime c’è una spiccata propensione al
plurilinguismo di tipo additivo, senza problemi nell’allargare il proprio repertorio linguistico. Il piemontese è etnicamente
neutrale, il walser è tipicamente un codice domestico.
Anche la questione della lingua-tetto è complessa: alla coppia italiano-piemontese si contrappongono il patois e il francese da
un lato e il dialetto alemannico (walser) dall’altro. Il problema del rapporto del patois col francese interessa Valle d’Aosta:
anche se l’ufficialità del francese in questa regione ha le sue ragioni storiche e culturali, esso non può fungere da lingua- tetto ai
patois che sono un tipico esempio di lingua per distanziamento ma senza elaborazione e senza un centro di riferimento.
Per quanto riguarda il tedesco invece, per ragioni storiche le minorane linguistiche tedescofone in Italia stentano/non a
riconoscere una continuità linguistico-culturale con il tedesco standard, quindi con l’area a Nord delle Alpi. La mancanza di
continuità è anche culturale a favore di contatti con l’ambiente circostante. Dunque, se la memoria del dialetto locale si è
mantenuta intatta per sette/otto secoli, si invece perso il senso di appartenenza alla più ampia comunità tedescofona. Di
conseguenza a Issime il tedesco standard non fa da tetto al töitschu locale, tramite ai contatti con le varietà romanze.
Le proposte di creare uno standard di riferimento per i dialetti walser non sono mai state accolte dalle diverse comunità per
l’impossibilità di trovare una base comune accettabile. Le scelte di politica linguistica sembrano piuttosto orientate verso la
tutela e l’espansione delle potenzialità d’uso dei singoli dialetti nell’ambito delle singole comunità. Essendo in Val D’Aosta e
data la migrazione verso la Savoia, a Issime il francese (scritto) è molto diffuso. Esistono registrazioni che attestano una buona
competenza parlata prima dell’avvento del fascismo. (Ricordi scolastici e del catechismo con prestiti francesi mentre ne
parlano).
Per quanto riguarda la dislocazione territoriale la comunità walser di Issime risulta strettamente intrecciata a quella
francoprovenzale di Gaby, sebbene i due gruppi etnico-linguistici continuino a mantenersi ben differenziati, anche
linguisticamente, in una situazione non dissimile da quella delle aree o leghe linguistiche.
La discontinuità linguistica con l’ambiente circostante fa del toutschu di Issime un esempio di codice domestico. L’estremo
localismo di tali lingue di minoranza impedisce la comunicazione in dialetto tedesco anche con la vicina Gressoney, dove il
dialetto locale appare estremamente diverso da quello di Issime, quindi non inter-comprensione.
Nella comunità di Issime, come per tutte le min lin, il prestigio associato alle lingue si presenta sotto un duplice aspetto: da una
parte, godono di prestigio le lingue standard in quanto condizione necessaria al raggiungimento o al mantenimento di
un’elevata posizione socio- economica; dall’altra, una forma di prestigio “coperto” è attribuito ai codici minoritari in quanto
espressione dell’unicità del gruppo in rapporto al contesto circostante, un tratto fondante dell’identità minoritaria. Il toitschu,
codice basso, è quello al quale la comunità walser dà il massimo prestigio. (Al potois invece vengono associati stereotipi legati
al gruppo confinante). Atteggiamento neutro verso il piemontese slegato da un gruppo identificabile. Il prestigio di cui gode il
töitschu è oggi molto alto anche perché l’appartenenza al gruppo minoritario non è più un motivo di emarginazione e
discrimine ma una fonte di valorizzazione economica, culturale e politica della comunità.
Le lingue degli immigrati
L'immigrazione/emigrazione comporta complessi problemi di natura linguistica. Il contesto migratorio può essere considerato
da due punti di vista contrapposti. Da una parte vi è la prospettiva della lingua del paese ospite, che si trova d'un tratto a
contatto con lingue nuove rispetto alle quali però mantiene una posizione di vantaggio in quanto lingua della maggioranza. In
questi casi il contatto si manifesta nello sviluppo di varietà di apprendimento (o interlingue) di questa stessa lingua, che
possono scomparire qualora le nuove generazioni di immigrati raggiungano una competenza nativa (o quasi) nella nuova
lingua, ma di cui in genere restano tracce, come anche tracce della cultura e modi di vita d’origine. Restano tracce anche delle
lingue dei primi immigrati.
Secondo un'altra prospettiva, invece, è interessante vedere gli effetti del contatto della nuova lingua su quella d'origine, la quale
si trova in una situazione di minoranza, ulteriormente svantaggiata dal contesto di diaspora, lontana dalla madrepatria e
territorialmente discontinua; in questo caso si indagano le modalità del mantenimento o della perdita delle lingue di origine
degli immigrati. Buona parte della ricerca linguistica si è concentrata soprattutto sulla prima delle due prospettive,
concentrandosi sulle modalità di acquisizione della lingua ospite.ad esempio studi per individuare sequenze di acquisizione in
contesto naturale, in modo diretto senza la mediazione di alcun tipo di insegnamento. Invece sul mantenimento delle lingue
d’origine degli immigrati non c’è molto se non in paesi con lunga immigrazione come gli Usa, l’etnoletto più studiato è i Black
English Vernacular da non confondere col Black English, essendo un registro di determinati gruppi di giovani afroamericani
legati ad una determinata subcultura urbana.
Quando il gruppo immigrato è numericamente consistente e la sua presenza costante nel tempo è possibile che nel contatto tra
minoranza e maggioranza l'influsso sia, almeno in parte, bidirezionale; affinché si dia tale condizione occorre che il gruppo
minoritario non venga socialmente discriminato e che nei suoi confronti si nutrano atteggiamenti positivi. Questo è, ad esempio,
il caso della Svizzera tedesca; a partire dalla fine del '900 una politica di integrazione volta al mantenimento delle lingue
materne degli immigrati e la percezione degli italiani come parte integrante della comunità (1/5 popolazione). Prima era solo
per i domini familiari, essendo terza lingua nazionale e vicina geograficamente all’Italia, è stato lingua di comunicazione
interetnica fra i gruppi di immigrati diversi, poi si è diffuso fra la popolazione autoctona fino a toccare il tedesco e lo svizzero
tedesco: ticketeria da pizzeria.
Caso particolare di diffusione dell’italiano nella Svizzera tedesca è il Fremdarbeiteritalienisch: è una varietà linguistica di
contatto in quanto si sviluppa da parlanti che non condividono alcuna lingua e in assenza o quasi di interlocutori nativi come
documentato ad esempio in area zurighese. Il F è somigliante ai contesti linguistici che portano ai pidgin e anche a livello
linguistico. Registrazione del 1993 vicino a Zurigo, imbianchino turco. 12 in Svizzera, Omar ha imparato lo svizzero-tedesco,
competenza passiva del tedesco standard, forma di italiano usato nei cantieri e vicini di casa stranieri con i quali si sviluppa
solidarietà di gruppo. (immagini storici come turchi, italiani, spagnoli vs. popolazione autoctona vs. nuovi immigrati asiatici e
africani).
Omar nel suo italiano: usa come forme verbali solo participi passati, a volte ricostruite con regole analogiche come i bambini
nativi, per azioni già concluse; vi è anche un esempio di frase senza verbo sempre per il passato; il nome del predicato (pittore)
è la parte che si fa carico del significato di frase. Manca l’accordo di persona, mentre sono obbligatoriamente presenti i pronomi
soggetto o i nominali con funzione di soggetto. L’ancoraggio temporale si ha tramite elementi con funzione avverbiale: un
esempio tipico è la parola Turchia che assume sia valori spaziali che temporali (quando ero in T). influsso tedesco nella
palatizzazione di /s/ nella parola Svizzera. Le azioni non concluse (aspetto imperfettivo) le esprime sempre con la forma
dell’infinito. La presenza dell’infinito nel F ricorda il pidgin e lo allontana dall’italiano.
Il F. è la varietà di contatto sviluppatasi dalla lingua di uno dei gruppi di immigrati più antichi e meglio integrati, usata nel
lavoro accanto ai dialetti svizzeri. Esiste anche un “italiano di necessità” tra commesso- cliente o per indicazioni stradali. Sono
molti i non nativi italofoni secondo delle ricerche ad avere una qualche competenza o un’ottima padronanza dell’italiano.
Le strategie degli informatori inconsapevoli erano: l’uso di lingue d’appoggio, in primis il tedesco, l’inglese, adozione di
sintassi ellittica spesso con strutture topic-comment, uso di adattamenti di ermini tedeschi o altre lingue (plazza/piazza).
La tenuta dell’italiano in questi contesti avviene tramite apprendimento non focalizzato, cioè casuali, inconsapevoli, dovuti ad
una situazione di contatto generalizzato e di lunga durata. Prima fase: 1950/60 da atteggiamenti xenofobi da un lato ed
assimilazionisti dall’altro, ammessi solo comportamenti monolingui svizzero tedesco fuori casa, italiano in casa). Seconda fase:
1980/1990 politica di integrazione volta al mantenimento delle LM degli immigrati e la percezione degli italiani sempre più
come parte integrante della comunità che ha portato ad una seconda generazione di italiani nati in Svizzera a metà fra due
culture che si esprimeva in una forma di linguistica mista.
L'italo-schwyz divenne popolare come varietà di svizzero tedesco caratteristica degli Italos, italiani nati e cresciuti in Svizzera
orgogliosi della propria alterità rispetto alla comunità svizzera e rispetto alle loro famiglie ancora legate alla lingua e alla
cultura d'origine. Oggi sappiamo che il code-switching dialetto tedesco- italiano si ha in giovani e adulti, in area urbana e rurale
e anche tra altri gruppi etnici e popolazione locale. Diverso il caso della Germania, dove l'immigrazione italiana è ormai
arrivata alla terza generazione senza aver raggiunto un alto grado di integrazione sociale, mentre l'italiano e i dialetti di origine
(come il siciliano) godono di grande vitalità.
I ragazzi italiani di terza generazione in quartieri-ghetto, altamente stranieri, è attiva l’integrazione dell’italiano con il tedesco e
altre lingue immigrate, in primis il turco. In Germania si parla di Ghettodeutsch riferendosi al tedesco parlato da giovani di
varia origine, un tedesco semplificato e volutamente scorretto con elementi delle lingue a contatto. Il G, insieme a dorme di
comportamento, abbilgliamento e attività creative, assume un valore identitario per distinguersi dalle generazioni precedenti e
ad altri gruppi di giovani socialmente meno marginalizzati e meno taff/tough/toto. Il G ha cominciato ad uscire dal ghetto
tramite i mezzi di comunicazione e “rivisti” da tutta la comunità linguistica come registri meno de-etnicizzati, cioè slegati dallo
specifico gruppo che lo ha prodotto. Auer parla di etnoletto primario (di un gruppo di giovani immigrati) e secondario (la sua
ripresa come variante stilistica nei mass media) e terziario (fase di de- etnicizzazione).
Un caso speciale di questo percorso dagli etnoletti fino a raggiungere le varietà colloquiali e giovanili è costituito dal Kanakisch
o Kanaksprak (viene/veniva usato come insulto verso i lavoratori immigrati, con significato di selvaggio, parola è prestito dallo
hawaiano uomo). È uno slang tedesco basato sull’imitazione e sulla ridicolizzazione del Turkendeutsch, varietà di
apprendimento del tedesco parlate dagli immigrati turchi. Diffusione grazie ad autori di origine turca, spettacoli e programmi
tv. Si definisce orami come gergo giovanile di moda, l’uscita dal ghetto è completata. Vi è l’uso esclusivo del genere maschile e
del caso dativo o accusativo, cancellazione delle preposizioni di luogo, realizzazioni fonetiche sub-standard (isch per ich), l’uso
di rafforzativi, elementi turchi molto tipizzanti soprattutto insulti volgari.
Situazione simile in Svezia nei quartieri periferici di Stoccolma, adolescenti di varia entina ed estrazione culturale, sviluppano
varietà di svedese che deviano da quelle degli adolescenti che vivono in altre aree della città. Gli stessi giovani immigrati le
chiamano con nomi di scarso prestigio ma che hanno una connotazione positiva che rimanda ai valori del gruppo antisociali:
lingua kebab/immigrantese. Hanno aspetti prosodici e fonetici diversi (presenza vibrante di r assente nello svedese standard).
Tratti morfosintattici dipendono da deficit di apprendimento dovuti a imput scarso. Molti lessemi della L1 e di slang. Queste
varietà di periferia con quelle più vicine allo standard sono talmente vicine che formano un continuum. L’etnoletto o lingua
etnica possono diventare parte del repertorio linguistico al quale i parlanti attingono.
Lega balcanica
Un particolare caso di plurilinguismo è quello che sfocia in una lega linguistica (Sprachbund), con la quale si intende l’insieme
di convergenze linguistiche che si sviluppano per contatto nelle lingue parlate in un’area geograficamente ristretta e
caratterizzata da influenze culturali omogenee e di lunga durata. Thomason: un’area linguistica è una regione geografica con tre
o più lingue che condividono delle caratteristiche strutturali come risultato di una situazione di contatto o ereditate da un
antenato comune. Secondo Thomason, tre sono gli elementi essenziali: la somiglianza strutturale, la relativa indipendenza
genetica e la contiguità territoriale. Capire quale sia il numero di tratti minimi in comune che fanno di una serie di lingue
un’area linguistica, il quale misura devono condividerli, se tali tratti possono uscire dai confini dell’area, l’origine dei tratti,
come si sviluppano nelle lingue e se vi è una lingua modello. Infine, l’aspetto socioculturale dell’area e la prossimità geografica
per capire se parlare di area linguistica
Una tipica area di questo genere è quella dei Balcani le cui lingue maggiormente caratterizzate da questi fenomeni di
convergenza sono tutte lingue indoeuropee: il rumeno e dialetti della Romania e Moldavia, i dialetti arumeni dell’Albania e il
meglenorumeno (Grecia e Macedonia) per quanto riguarda le lingue romanze; il bulgaro, il macedone e i dialetti serbi
meridionali per le lingue slave; il greco moderno; l’albanese; varietà rom; i dialetti europei del turco (il ruolo del turco è stato
centrale nella storia recente della formazione della lega linguistica balcanica, anche se il suo influsso diretto è stato soprattutto
relativo all’ambito lessicale). Fra queste lingue e varietà dialettali si riconosce un gruppo centrale definibile sia su base
linguistica che geografica.
Lindstedt costruisce un indice di balcanizzazione sulla base di 12 tratti linguistici: il valore massimo è raggiunto dalle varietà
slave, dall’albanese, dalle varietà romanze e dal greco. Fra tutte il più alto indice di balcanizzazione è raggiunto dal macedone.
Per quanto riguarda l’area geografica, invece, l’epicentro dei balcanismi corrisponde alla zona attorno ai laghi di Ocrida e
Prespa, in cui le varietà a contatto sono molto più simili e convergenti.
Uno dei problemi che gli studiosi si trovano a fronteggiare quando si parla di leghe linguistiche è quello delle loro origini:
l’origine dei balcanismi è stata studiata da Thomason e si sofferma su quella classica ma non più sostenibili, del sostrato e
dell’apprendimento imperfetto da parte di popolazioni (illiri, progenitori degli attuali albanesi) che occupavano il territorio
prima dello stabilirsi dei gruppi attuali (slavi e romanzi) secondo questa ipotesi molti balcanismi sarebbero il frutto di
interferenze delle L autoctone sulle L a contatto. Lindstedt vaglia altre ipotesi di sostrato (es. arumeno) e di superstrato (es.
greco).
La sua conclusione è di tipo sociolinguistico. Gruppi etnico-linguistici a stretto contatto ma ben differenziati sono stati soggetti
a guerre, invasioni, invasione ottomana, fino ad un plurilinguismo diffuso e simmetrico, molte aree di intercomprensibilità ma
mantenendo specificità identitarie. Inoltre, si tratti in tutti i casi di mutamenti che portano ad una maggiore analiticità delle
strutture, attraverso processi di grammaticalizzazione, maggiore trasparenza e identificabilità degli elementi grammaticali –
effetto di un PL diffuso. Una situazione di questo genere costituisce di per sé un tratto di specificità rispetto al più comune
contatto fra lingue perché non ci sono i soliti rapporti di dominanza e la conseguente direzionalità nell’influenza reciproca. Tali
processi di mutamento linguistico sono “attraenti” nei processi di code-copyng, cioè di calco strutturale, grammaticale.
I principali tratti morfosintattici di questo gruppo di lingue sono i seguenti:
 La posizione post-nominale dell’articolo determinativo che può assumere, come in albanese, l’aspetto di un affisso.
Questa caratteristica riguarda il gruppo centrale dell’area balcanica (rumeno, albanese, bulgaro e macedone). È
interessante notare che con questo tratto il rumeno si differenzia in modo netto dalle altre lingue romanze nelle quali è
invece preposto al nome; anche bulgaro e macedone si differenziano dalle altre lingue slave nelle quali l’articolo
determinativo non esiste o è in fase di sviluppo e manca in serbo-croato.
Il neogreco invece continua la tradizione neoclassica con posizione prenominale. Il greco è la prima lingua balcanica di cui si
conosca l’uso dell’art det e con art prepositivo all’aggettivo, elemento condiviso da albanese e rumeno. (pero piuma/ pero-to la
piuma)
 L’assenza della categoria morfologica dell’infinito e, di conseguenza, della possibilità di costrutti infinitivi. L’infinito è
sostituito da subordinate esplicite introdotte da congiunzioni con valore dichiarativo o finale. Questo tratto interessa il
neogreco, il bulgaro, il serbo-croato, i dialetti meridionali dell’albanese, ma anche i dialetti greci del Salento e della
Calabria e i dialetti romanzi della stessa area. (dammi da bere- dammi che io beva)

 Lo sviluppo di perifrasi futurali a partire da un verbo corrispondente a “volere” un tipico processo di


grammaticalizzazione (come will da modale a valore temporale. Il processo è completo in bulgaro, macedone,
albanese, neogreco e in alcune varietà rom dell’area dove la forma “fossilizzata” della terza persona singolare di
“volere” funziona da particella invariabile + verbo principale flesso all’indicativo o al congiuntivo. Nel rumeno e nel
serbo-croato, invece, “volere” compare ancora come verbo flesso perché l’erosione dell’ausiliare non è completa.
Aerea di grammaticalizzazione: gruppo di lingue geograficamente contigue che hanno subìto lo stesso processo di
grammaticalizzazione per contatto. È un criterio oggettivo per definire un’area linguistica.

 Lo schema locativale o superessivo per la formazione dei numeri da 11 a 19 formato dalla sequenza: “x (unità) + sopra
+ 10”. Lo si riscontra nelle lingue slave meridionali, in rumeno e in albanese. Non molto diffuso.

 La sostituzione delle forme sintetiche degli aggettivi al grado comparativo con costrutti analitici, tratto diffuso nelle
lingue d’Europa. Anche qui proc di gram con la sostituzione di forme vecchie con nuove. Ad esempio forme come “più
+ aggettivo) sono più trasparenti delle forme flesse e sono adatte nelle lingue a contatto. ad esempio il rumeno mai bun
per dire “più bello”. Si ha in bulgaro, rumeno, neogreco, turco nonostante la distanza.

 Le convergenze lessicali riconducibili a diverse fasi di influenze culturali nell’area dei balcani. Ad esempio dal neo
greco kpbbati (letto) – albanese krevét, turco keveret, bulgaro kravat. Il prestito dal turco asker “soldato” albanese
asquer, bulgaro asker, serbo asker, rumeno ascheriu.
Oppure un grecismo che passa per alcune lingue attraverso il turco in epoca ottomana: fanari lanterna/fanale –turco fenér –
albanese fenér, serbo fenjer. Dal greco – rimeno fanar.

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