1.2. Definire il bi/plurilinguismo: alcune prospettive disciplinari. Hamers e Blanc (2000) notano come le
definizioni precedenti si siano soffermate solo su un unico aspetto di bilinguismo, cioè la padronanza e le
competenze, ignorando le dimensioni extralinguistiche.
Gosjean fa notare che il problema è che un bilingue è stato spesso erroneamente considerato come la
somma di due monolingui.
Li Wei (2000) prende in considerazione il livello culturale, psicologico, sociologico e comunicativo.
Mackey: è necessario andare oltre la sfera linguistica.
1
La dilalìa si differenzia dalla diglossia perché il codice A è usato, almeno da una parte della comunità,
anche nel parlato convenzionale usuale, e perché, pur essendo chiara la distinzione funzionale di ambiti
di spettanza A e B rispettivamente, vi sono impieghi e domini in cui vengono usati di fatto ed è normale
usare, sia l’una che l’altra varietà, se alternativamente o congiuntamente.
1.3.1. Il fattore età. VI è un luogo comune secondo il quale il bilinguismo è influenzato dal fattore
età, per cui si può avere un bilinguismo precoce (infanzia), precoce simultaneo (acquisizione
contemporanea di due lingue), precoce consecutivo (le due lingue vengono apprese a scuola), o tardivo
(dopo la pubertà). In realtà, non esiste una correlazione diretta tra la variabile età e la capacità di
apprendimento di una L2.
1.3.2. Interdipendenza linguistica e ruolo del transfer. Il bilinguismo bilanciato implica una
competenza elevata in entrambe le lingue in tutti i domini, mentre quello dominante prevede l’uso
prevalente di una lingua rispetto all’altra, che non riesce però a coprire tutti i domini. A seconda
dell’ambiente o della necessità, la lingua più debole può diventare dominante, e viceversa.
1.3.3. L’organizzazione cognitiva delle lingue. Weinreich distinse tra bilinguismo coordinato (la
L2 viene appresa in un contesto differente dalla famiglia) e composito (la L2 viene appresa in famiglia,
come nel caso delle famiglie di immigrati). Nel bilinguismo subordinato un soggetto pensa prima in
lingua dominante per poi tradurre in L2.
L’apprendimento della L2 è influenzato dal livello di proficiency e la loro vicinanza tipologica: più le
lingue sono vicine, maggiore sarà la possibilità per l’apprendente di trasferire risorse già a disposizione
nel proprio repertorio linguistico.
Jim Cummins approfondisce il rapporto tra le competenze linguistiche in L1/L2 e l’importante ruolo del
transfer nell’acquisizione di L2. L’ipotesi dell’interdipendenza linguistica viene chiarita attraverso la
metafora dell’iceberg: mentre al di sopra della superficie le punte dell’iceberg (le lingue note), sono
riconoscibili e apparentemente separate, sotto la superficie – nella mente dell’apprendente − le due
lingue operano attraverso lo stesso sistema centrale di processazione. Questa competenza, la CUP
(Common Underlying Proficiency), faciliterebbe i processi di transfer, ovvero il passaggio di nozioni e
saperi linguistici da una lingua all’altra.
1.3.4. Uso funzionale delle abilità linguistiche. Si può comprendere una lingua ma non essere in
grado di parlarla? Si ha una distinzione tra bilinguismo ricettivo (o passivo) e bilinguismo produttivo (o
attivo). Quello passivo spesso si trasforma in “latente, dato che col tempo la lingua può andare perduta,
ma il fatto che non sia più “attivo” non significa che non abbia più importanza nell’acquisizione
linguistica.
1.3.5 Valore sociale e rappresentazioni delle lingue. Qual è lo status delle lingue coinvolte nel
plurilinguismo? Quali sono i rapporti di potere tra di esse? Nei soggetti in cui l’acquisizione di una
2
seconda lingua avviene successivamente a quella della L1 (bilinguismo consecutivo), la L2 va
necessariamente a modificare, oltre che l’organizzazione mentale delle conoscenze pregresse, anche lo
status e il mantenimento della L1. In base a queste considerazioni, Lambert distingue fra bilinguismo
additivo (le due lingue vengono sviluppate e mantenute parallelamente) e bilinguismo sottrattivo (una
delle due lingue va gradualmente perduta a causa dell’uso crescente dell’altra): quest’ultimo è il caso
della seconda generazione provenienti da famiglie migranti. Se l’ambiente circostante (familiare, sociale,
scolastico) attribuisce sufficiente valore ad entrambe le lingue, è possibile che il soggetto trarrà i massimi
benefici dalla sua esperienza bilingue e che L1 fungerà da supporto all’acquisizione di L2 e viceversa.
Fishman distinse tra ‘bilinguismo popolare’ (folk bilingualism), tipico dei membri di una comunità
linguistica minoritaria che si trovano a dover apprendere la L2, lingua dominante della comunità
ospitante e, quindi, dotata di alto prestigio nel contesto dato, e ‘bilinguismo elitario’ (élite bilingualism),
legato ad uno status di prestigio della L2, generalmente una lingua straniera ricercata soprattutto dai
ceti medio-alti come valore aggiunto nella formazione linguistica dei propri figli.
1.4. Valorizzare il plurilinguismo: benefici e qualche falso mito. Dal punto di vista cognitivo, valorizzare
il bi/plurilinguismo significa dare visibilità e potenziare la capacità dell’apprendente di saper riflettere sul
funzionamento e sulla struttura della lingua, ovvero di fare leva sulla sua consapevolezza metalinguistica
(language awareness). I soggetti plurilingui hanno una maggiore consapevolezza della natura del
linguaggio e una maggiore flessibilità mentale dovuta alla conoscenza di più lingue. La conoscenza e
l’apprendimento di più lingue sviluppa una maggiore capacità di distinguere tra la forma e il significato
delle parole, consentendo di intuire come ad esempio il concetto di ‘libro’ (significato) possa essere
associato a più parole in diverse lingue (significante). Questa maggiore disponibilità di significanti
aumenta la capacità di riflessione sul linguaggio e sui vari sistemi linguistici, stimolandone l’acquisizione.
Un altro potenziale beneficio del bi/plurilinguismo è quello legato all’attenzione selettiva, ovvero alla
maggiore capacità di concentrarsi su un determinato oggetto di interesse e di rielaborare le informazioni
rilevanti senza farsi distrarre da informazioni accessorie o dati inutili. L’attenzione selettiva e
l’indipendenza dal campo contribuiscono ad una spiccata capacità di problem-solving.
La conoscenza di più lingue, inoltre, aumenta la flessibilità e l’originalità del pensiero: i parlanti
bi/plurilingui imparano più precocemente a cogliere le necessità comunicative dell’interlocutore, a
cambiare lingua o registro per adattarsi ai suoi bisogni, sviluppando così una maggiore empatia
comunicativa.
3
Una visione del repertorio plurilingue degli studenti può costituire un vantaggio e una risorsa di
apprendimento. Con la cosiddetta ‘svolta plurilingue’, i documenti di politica linguistica dell’Unione
Europea e, ancor più, quelli prodotti dal Consiglio d’Europa hanno largamente promosso l’adozione di
una prospettiva plurilingue nell’insegnamento/apprendimento delle lingue, a partire dal Quadro
comune europeo di riferimento (2001).
Il termine plurilinguismo si riferisce alla capacità dei parlanti di usare più di una lingua e considera le
lingue dal punto di vista di coloro che le parlano e di coloro che le apprendono, mentre multilinguismo,
rimanda alla presenza di più lingue in una determinata area geografica, indipendentemente dai loro
parlanti: così, il fatto che due o più lingue siano presenti in un’area geografica non implica
automaticamente che i suoi abitanti siano in grado di usare più di una di queste lingue.
Conteh e Meier (2014) e May (2014) parlano di “svolta plurilingue” (multilingual turn), fondata sulla
consapevolezza che apprendenti ed insegnanti portano in classe diversi saperi e risorse linguistiche che
rappresentano una sfida, ma anche una grande opportunità nell’apprendimento linguistico ed oltre.
Tutto ciò si intreccia con la storia di altre ‘svolte’ plurilingui in ambiti di ricerca affini come la
sociolinguistica e, soprattutto, il campo di studi noto come critical applied linguistics. Tra i suoi fondatori
spicca la figura di Alastair Pennycook, che mise in evidenza la reciproca influenza tra la dimensione
educativa e quella sociale. Di conseguenza, la didattica delle lingue riconosce l’importante ruolo delle
famiglie e delle comunità nella costruzione degli apprendimenti degli alunni.
Il plurilinguismo stesso viene concepito come una sorta di lingua franca in cui le lingue sono
strettamente interconnesse.
Si passa così da una visione che vede nel bi/plurilinguismo un deficit ad una di valorizzazione del
fenomeno. L’importante implicazione che ne deriva è che le lingue non sono realtà fisse e monolitiche,
ma appartengono a tutti i parlanti e non solo agli autoctoni.
Il focus degli studi dell’insegnamento linguistico si sposta così dal modello ideale del native speaker alla
nozione più complessa e fluida di “voce” e all’idea di lingua come pratica sociale che si ritroverà anche
nel Quadro comune europeo attraverso la nozione di “agente sociale”. Secondo questa prospettiva, per
esprimere la propria identità il locutore/attore plurilingue deve crearsi una sua ‘voce’ personale in
ciascuna delle lingue note, attraverso le sue diverse lingue e in tutto il suo repertorio linguistico: essa è
al contempo l’espressione della sua stessa identità e una prospettiva sul mondo e gli permette di agire
come soggetto plurilingue e pluriculturale.
4
A partire dagli anni ’50 ci sono stati molti progetti ed i programmi europei che hanno promosso
l’apprendimento di più lingue e la valorizzazione della diversità linguistica e culturale dell’Unione
Europea, e dal 2000 in particolare le istituzioni europee si impegnano per una sempre maggiore
diffusione del multilinguismo. La diversità linguistica e culturale costituisce infatti un elemento
costitutivo dell’Unione Europea e della sua identità fin dal Trattato di Roma (2005), nel quale il principio
dell’“unità nella diversità” viene assunto come suo valore fondante, in antitesi al modello del melting
pot statunitense in cui le differenze si fondono. Anche dal punto di vista sociale e culturale la posizione
dell’Europa a favore del multilinguismo è chiara, in quanto le competenze linguistiche aumentano le
possibilità di lavorare, studiare e viaggiare in tutta Europa e permettono la comunicazione interculturale.
Le politiche linguistiche europee a favore dello sviluppo del multilinguismo hanno investito molto sulla
formazione e sull’educazione linguistica, articolandosi attorno a due assi principali:
l’avvicinamento precoce alla diversità linguistica e culturale attraverso l’inserimento delle LS nei
curricula fin dalla scuola dell’infanzia e la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti, la
ricerca e la diffusione di metodologie e tecnologie didattiche;
l’educazione permanente, che coinvolge l’intera persona facendo in modo che ogni sua
esperienza possa fungere da fonte di educazione, come ben compendiato nelle espressioni
Lifelong Learning e Lifewide Learning; formazione e istruzione lungo tutto l’arco della vita
costituiscono un requisito fondamentale per esercitare una cittadinanza attiva e democratica
che, in una società multilingue e multiculturale, richiede necessariamente competenze
linguistiche e interculturali.
Le istituzioni europee si sono occupate anche della tutela delle lingue minoritarie e regionali, dei dialetti,
delle comunità alloglotte nei Paesi membri e della promozione della diversità linguistica e dell’aumento
delle competenze in lingue straniere europee e non, perseguiti attraverso una crescente diversificazione
dell’offerta linguistica delle istituzioni formative, il sostegno alla mobilità internazionale di studenti e
docenti, e così via1.
Nel 2018, il Consiglio dell’Unione ha emanato delle nuove Raccomandazioni relative alle competenze
chiave all’apprendimento permanente, tra cui quella alfabetica funzionale e quella multilinguistica
La prima competenza chiave (“competenza alfabetica funzionale”) è connessa alla seconda
(“competenza multilinguistica”): entrambe rappresentano la necessità di sviluppare le principali abilità
linguistiche (comprensione e produzione orale, comprensione e produzione scritta) in una varietà di
contesti sociali e culturali. Allo stesso modo ci si concentra sulle competenze interculturali.
1
Tutto ciò, però, in un certo senso mette in ombra la presenza delle lingue materne ed etniche degli immigrati residenti in
Europa. Finché l’educazione dei migranti si concentrerà solo sulla conoscenza della lingua del Paese ospitante e trascurerà di
considerare i repertori plurilingui dei migranti come una risorsa, le politiche di integrazione non saranno mai del tutto
efficienti.
5
A tale riguardo, le Raccomandazioni fanno espresso riferimento al QCER e al suo volume integrativo
noto come Companion Volume (Consiglio d’Europa, 2018), che al Quadro ha aggiunto nuovi descrittori
relativi alla mediazione, all’interazione online e un ulteriore livello linguistico (Pre-A1).
Lingua e cultura di origine (LO), lingua e cultura straniera (LS), lingua e cultura del Paese di arrivo (L2)
sono – o dovrebbero poter diventare − parti costitutive di pari dignità di una più ampia “competenza
multilinguistica”.
2
Secondo la teoria della multicompetenza di Vivian Cook (2002), ogni lingua che viene appresa cambia l’assetto preesistente.
6
Con il Companion Volume la prospettiva delle politiche linguistiche educative europee è ancora più
netta: da una visione ‘verticale’ o monoglossica del bi/plurilinguismo, basata sull’apprendimento
separato di più lingue e al raggiungimento di performance linguistiche sul modello del native speaker, si
passa ad una visione più ‘orizzontale’ e democratica o eteroglossica, in cui viene valorizzata anche la
capacità di mettere in relazione le diverse lingue-culture conosciute o le loro varietà per una
comunicazione e un apprendimento efficaci.
2.4 L’educazione plurilingue e interculturale nel contesto europeo: alcuni quadri di riferimento
Nel Quadro non si parlava che vagamente del ruolo della lingua di scolarizzazione con cui è impartita
l’educazione a partire dai primi anni scolastici, che non sempre coincide con la lingua ‘materna’.
Il progetto del Consiglio d’Europa “Lingue nell’educazione, Lingue per l’educazione” (Languages in
Education, Languages for Education) si proponeva di unificare le politiche linguistiche educative europee
in una sola piattaforma. Il Documento Europeo di Riferimento per le Lingue dell’Educazione (DERLE) ha
riportato al centro del dibattito quanto scritto nel capitolo 8 del QCER sul rapporto tra competenza
plurilingue e costruzione curricolare, proponendo un curriculum plurilingue in cui tutte le lingue
dell’educazione possano trovare una propria collocazione.
2.4.1 Le lingue dell’educazione. Il DERLE esplora anche il concetto di “lingue dell’educazione”.
Tutte le lingue presenti nel contesto scolastico (nazionali/ufficiali, straniere, regionali, minoritarie, ecc.)
compartecipano allo sviluppo delle competenze plurilingui e interculturali funzionali all’esercizio della
cittadinanza. Al centro di tutto c’è la lingua di scolarizzazione (language of schooling), in genere la lingua
ufficiale o ‘nazionale’ di un determinato Paese, vista sia come materia scolastica e disciplina
d’insegnamento al pari di altre (“lingua come materia”) che come lingua veicolare degli apprendimenti
disciplinari nelle altre materie (“lingua/e delle altre materie”) e dunque trasversale al curriculum.
Nel DERLE la lingua di scolarizzazione e, di conseguenza, della socializzazione, è vista anche come un
mezzo linguistico di trasmissione dei valori e delle norme della comunità (nazionale, regionale o
minoritaria) in questione.
2.4.2 Il curriculum plurilingue. La Guida per i curricula (2016) indica gli orientamenti e le azioni
da compiere per realizzare l’EPI (educazione plurilingue e interculturale) nei curricula scolastici,
proponendo due prospettive o possibilità di integrazione e, per ognuna di esse, due ambiti di attuazione
che facilitano la convergenza tra lingue.
1. L’evoluzione del curriculum verso una migliore sinergia degli apprendimenti, che presuppone a
sua volta un migliore coordinamento tra insegnamenti delle LS e classiche e la ricerca di coerenza
ed economia tra i diversi insegnamenti;
7
2. l’EPI come finalità esplicita del curricolo sia per le lingue straniere e classiche che per la lingua
di scolarizzazione, base stessa dell’EPI.
La proposta curricolare della Guida è basata su due dimensioni connesse tra loro, caratterizzate dalla
ricerca di coerenza o continuità nei curricula di ogni ordine e grado scolastico:
- una dimensione orizzontale, intesa come coerenza sincronica, per livello e per anno, cioè come ricerca
di trasversalità tra le lingue e le altre discipline in termini di obiettivi, contenuti, metodi, materiali e
modalità di valutazione;
- una dimensione verticale, ossia la continuità a livello diacronico e, quindi, l’avanzamento nello sviluppo
di competenze lungo il percorso scolastico ed oltre (lifelong learning).
L’«economia curricolare» è l’organizzazione coerente delle parti che costituiscono l’intero curriculum
relativo alle lingue. A tal proposito vi è una suddivisione delle lingue coinvolte nel curriculum scolastico
tra le lingue come discipline linguistiche (DL), le discipline “non linguistiche” (DNL) e tra DL e DNL.
Quest’ultima area di razionalizzazione è caratterizzata dalla trasversalità linguistico-cognitiva.
Occorre quindi modificare i curricula scolastici in base ad attività plurilingui che promuovano gli scambi
tra insegnanti e tra studenti, e che incoraggino questi ultimi a familiarizzare anche con altre lingue oltre
a insegnate a scuola.
2.4.3 Competenze e risorse dell’apprendente. Le competenze globali individuate dal CARAP
(ossia la “consapevolezza dei fenomeni linguistici”) si dividono in sottocompetenze. Si tratta nello
specifico dell’approccio interculturale, dell’éveil aux langues, della didattica integrata delle lingue e
dell’intercomprensione tra lingue affini.
Le competenze globali dell’apprendente secondo il CARAP
Secondo il CARAP, le competenze globali dell’apprendente valgono per ogni lingua e cultura e riguardano i
rapporti tra le due entità. Tali competenze, inoltre, sono alla base di varie forme di sapere, saper fare e saper
essere (le cosiddette “risorse interne” dell’apprendente.
C1. Competenza nel gestire la comunicazione linguistica e culturale in un contesto di alterità
Competenza di: risoluzione dei conflitti/ostacoli/malintesi, negoziazione, mediazione e adattamento
C2. Competenza di costruzione e ampliamento di un repertorio linguistico e culturale plurale
Competenza: nel trarre vantaggio dalle proprie esperienze interlinguistiche e interculturali e nell’attivare
processi di apprendimento più controllati in contesti di alterità
C3. Competenza di decentramento
C4. Competenza nel dar senso a elementi linguistici e/o culturali non familiari
C5. Competenza di distanziamento
C6. Competenza nell’analisi critica della situazione e delle attività (comunicative e/o di apprendimento) in cui si
è impegnati
C7. Competenza nel riconoscimento dell’alterità
8
In aggiunta a queste competenze, l’apprendente deve poter sviluppare tre livelli di “risorse interne”:
knowledge [K]: conoscenze dichiarative (sapere) = fattori personali relativi agli atteggiamenti, alle
motivazioni, ai valori e all’identità del discente;
attitudes [A]: atteggiamenti (saper essere) = “saper osservare/analizzare”, “saper
identificare/situare”, “saper parlare delle lingue e delle culture”, ecc.;
skills [S]: abilità procedurali (saper fare).
Il REFIC (Référentiel de compétences de communication plurilingue en intercompréhension) ha realizzato
il progetto Miriadi per una migliore comprensione delle competenze di comunicazione in un contesto di
apprendimento/insegnamento attraverso l’intercomprensione. Il quadro offre una guida per la
programmazione di percorsi formativi e una base per la valutazione delle competenze acquisite
attraverso l’intercomprensione ed è accompagnato da un altro referenziale, il REFDIC (Référentiel de
compétences en didactique de l’intercompréhension), che descrive le competenze didattiche del docente
che intenda proporre un percorso formativo di questo tipo nelle proprie classi. Entrambi i quadri si
rivolgono agli insegnanti e ai loro formatori, ma mentre il REFIC riguarda i saperi, i saper fare, gli
atteggiamenti e le strategie più efficaci che un insegnante o un formatore di insegnanti può mettere in
atto in classe e che deve egli stesso poter sviluppare, il REFDIC si focalizza su quanto è necessario
all’insegnante/formatore per inserire la didattica dell’intercomprensione nella propria pratica
professionale.
Il REFIC declina i descrittori in cinque dimensioni, di cui le prime due sono di tipo procedurale e
metalinguistico e le altre tre di natura comunicativa: 1. il soggetto e l’apprendimento plurilingue; 2. le
lingue e le culture; 3. la comprensione della lettura; 4. la comprensione orale; 5. l’interazione
plurilingue. I descrittori di competenza sono invece organizzati su tre livelli di progressione:
sensibilizzazione (degli studenti circa il loro repertorio linguistico e culturale), pratica e
perfezionamento.
9
D’Ovidio usò questa espressione nell’ambito dei dibattiti linguistici e pedagogici emersi in seguito alle
diverse condizioni sociali, culturali e scolastiche dell’Italia unificata. Il termine continuò ad apparire negli
studi e nelle proposte di Lombardo Radice nel primo Novecento su temi come la valorizzazione del
repertorio linguistico dell’apprendente.
Nel 1979, con i nuovi programmi della scuola media unica, il concetto di educazione linguistica trova la
sua prima menzione ufficiale ed applicazione. Inizialmente l’espressione veniva utilizzata con due
accezioni diverse legate ai due grandi gruppi di studiosi che se ne sono occupati: da un lato essa è vista
come l’insegnamento dell’italiano nella sua dimensione scolastica e sociale (De Mauro e gruppo
GISCEL3), dall’altro si riferisce alla proposta di Titone (1961) di “educazione linguistica integrata” che
include l’apprendimento-insegnamento delle lingue (materna, nazionale, seconde, straniere, classiche) e
dei linguaggi non verbali, di cui sono esponenti gli studiosi di didattica delle lingue straniere.
Si ebbero così numerose iniziative nate dalla necessità di progredire in ambito pedagogico e di rifondare
l’insegnamento linguistico.
In questo contesto di rinnovamento il GISCEL, fondato in seno alla Società di Linguistica Italiana, elaborò
le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica. Le prime quattro tesi auspicavano la fondazione di
un nuovo progetto di educazione linguistica efficace, fondato sulla centralità del linguaggio verbale e
dell’apprendente. Nelle tesi 5-7 il documento si concentrava sui limiti della didattica linguistica
tradizionale considerata oscura, anacronistica e poco efficace. Nelle tesi successive si individuavano i
principi dell’EL democratica, per dedicarsi poi alla formazione dei docenti e al necessario rinnovamento
della scuola. Le Dieci Tesi furono le prime a mettere in luce - soprattutto nell’ottava tesi - il bisogno di
dare visibilità e tenere conto delle “lingue” di tutti gli alunni, in quanto la scuola doveva avere come
obiettivo il rispetto e la tutela di tutte le varietà linguistiche. Le Dieci Tesi proponevano insomma un
modello di educazione plurilinguistica.
I nuovi programmi per la scuola media unica del 1979 accolsero diverse sollecitazioni proposte dalle
Dieci Tesi4, anche per le lingue straniere.
2.5.2 L’educazione plurilingue nelle politiche educative italiane. La Via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007), un documento redatto dall’Osservatorio
nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, rappresentò un importante passo
in avanti nell’approccio alla diversità linguistico-culturale e al plurilinguismo nella scuola italiana. Con lo
scopo di proporre un modello nazionale di integrazione degli alunni stranieri, il documento insisteva
sulla necessità di valorizzare il plurilinguismo sia come tratto comune della scuola (plurilinguismo di
sistema) che come ricchezza della persona, (plurilinguismo individuale), in modo da rappresentare
un’opportunità per tutti gli alunni e non solo per quelli stranieri. L’edizione aggiornata del 2018 include
3
Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica.
4
Molto simili alle proposte promosse dal Consiglio d’Europa.
10
un invito alla realizzazione di una scuola al passo con la complessità della moderna società globale. In
entrambe le versioni è possibile ritrovare vari concetti chiave dell’EPI e dell’educazione linguistica
democratica.
L’apprendimento di più lingue consente all’alunno di decentrarsi dal proprio sistema linguistico-culturale
per prendere coscienza dell’esistenza di diverse varietà di mezzi espressivi nelle varie lingue, concepite
come strumenti di comunicazione, espressione e pensiero.
Per sottolineare l’importanza delle pratiche di inclusione degli alunni immigrati, l’Osservatorio nazionale
per l’integrazione degli studenti stranieri e per l’intercultura ha elaborato il documento Diversi da chi?
Raccomandazioni per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura (2015) per una migliore
realizzazione dei percorsi formativi per delle scuole sempre più eterogenee, sottolineando l’importanza
del sostegno dell’apprendimento dell’italiano L2 e del coinvolgimento delle famiglie 5.
L’integrazione scolastica dei bambini e dei ragazzi con origini migratorie è stata in questi anni una sorta
di “compensazione”, carente, lacunosa e poco attenta alle LO. La diversità linguistica è un’opportunità di
arricchimento sia per i parlanti plurilingue che per gli autoctoni, che possono così precocemente
sperimentare la varietà dei codici e crescere più aperti al mondo e alle sue lingue.
Nonostante tutto, però, anche questo documento si fa portavoce di una prospettiva alquanto riduttiva in
cui, in particolare, si contrappone al “parlante plurilingue” (straniero) viene contrapposto l’alunno
“autoctono” (locale), come se quest’ultimo non fosse a sua volta portatore di altre lingue e varietà: tale
categorizzazione è carente e pericolosa, in quanto vede il plurilinguismo come appannaggio solo di
alcuni e non di altri.
5
L’integrazione scolastica dei bambini e dei ragazzi con origini migratorie è stata in questi anni una sorta di “compensazione”,
carente, lacunosa e poco attenta alle LO. La diversità linguistica è un’opportunità di arricchimento sia per i parlanti plurilingue
che per gli autoctoni, che possono così precocemente sperimentare la varietà dei codici e crescere più aperti al mondo e alle
sue lingue.
6
Detto anche Sensibilizzazione alle lingue e alle culture, Consapevolezza dei fenomeni linguistici o Awakening to Languages
11
dall’inglese Eric Hawkins con lo scopo di far riflettere sui fenomeni linguistici attraverso la comparazione
delle lingue studiate, il tutto mettendo in luce il ruolo trasversale della lingua nel curriculum scolastico
(“bridging subject”). Questo approccio è al centro di due progetti europei: Evlang (1997-2001), acronimo
di Éveil aux Langues à l’école primaire, e Jaling (2000-2004), acronimo di Janua Linguarum, volto ad
attuare le condizioni necessarie per un efficace inserimento curricolare dell’EAL.
Questo approccio ha portato a un atteggiamento positivo verso le lingue straniere e a una maggiore
motivazione verso l’apprendimento linguistico anche di lingue non studiate a scuola.
L’EAL ha un carattere interdisciplinare e riunisce diverse dimensioni a cui corrispondono vari obiettivi:
- una dimensione linguistica e cognitiva (l’obiettivo è la comprensione dei fenomeni linguistici, del
funzionamento delle lingue e dei linguaggi e della loro trasversalità rispetto alle discipline “non
linguistiche”);
- una dimensione sociolinguistica (ci si concentra sulla diversità linguistica e sulle relazioni gerarchiche
esistenti tra le lingue e le loro varietà nei contesti plurilingui);
- una dimensione psicologica (volta ad agevolare il decentramento dell’alunno rispetto alla propria
lingua o alla lingua di scolarizzazione, quando questa è diversa dalla prima);
- una dimensione emotiva (si guarda anche allo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti della
diversità linguistico-culturale).
12
sottolineare la trasferibilità delle competenze apprese in L1 nell’apprendimento di una lingua straniera.
I vari metodi di questo approccio includono la didattica delle lingue terziarie, in cui la L2 funge da
transfer-bridge (una sorta di lingua-ponte) sul piano delle competenze linguistiche: al contempo, le
abilità già acquisite nell’apprendimento della L2 vengono consolidate e aiutano nella comparazione tra
L1, L2 e L3.
13
6. Sviluppo di strategie di comunicazione e di apprendimento efficaci: = promuove l’autonomia di
apprendimento e il ricorso a materiali autentici nelle lingue affini a quelle insegnate al fine di
agevolare lo sviluppo di capacità di intercomprensione; impiega modalità didattiche di tipo
intercomprensivo, ossia baste sul riconoscimento di somiglianze lessicali e morfologiche tra le
lingue di una stessa famiglia linguistica.
Per realizzare il curriculum plurilingue, la DIL opera in base a due principi fondamentali che operano sul
piano sia cognitivo sia didattico:
- il principio dell’anticipazione, che riguarda l’ordine di acquisizione delle lingue;
- il principio di retroazione, che si riferisce a come, sul piano cognitivo, l’apprendimento di
un’altra lingua ristrutturi le conoscenze già acquisite.
Il compito degli insegnanti di lingue sarebbe quindi lo sviluppo, negli apprendenti, una “competenza
strategica trasversale” affinché il transfer di conoscenze, competenze e strategie da una lingua all’altra
diventi sempre più automatico e spontaneo. A tal proposito sono state individuate tre diverse modalità
(o livelli progressivi) basate sui principi di Wokusch:
1) un livello minimo o preliminare sarà votato alla creazione di una “cultura” comune tra i
docenti di lingue, prevedendo per esempio lo scambio reciproco di informazioni;
2) un livello intermedio si occuperà di un lavoro di programmazione congiunto su determinate
aree specifiche del curriculum, di cui verranno definiti obiettivi, contenuti, metodi di
insegnamento e procedure di valutazione almeno in parte comuni;
3) un livello avanzato di DIL avrà come scopo la realizzazione di un vero e proprio curriculum
integrato delle lingue, nell’ambito del quale gli insegnanti hanno il compito di:
- integrare gli obiettivi in sequenze didattiche comuni;
- sfruttare e consolidare la trasferibilità delle strategie e delle acquisizioni linguistiche e
pragmatiche;
- raccordare le modalità di valutazione in modo ancora più preciso;
- promuovere l’uso di più lingue in classe, valorizzando l’alternanza linguistica;
- creare occasioni di confronto interlinguistico.
14
Benché questi approcci varino per quanto riguarda il numero delle discipline del curriculum e al tipo di
esposizione alla lingua da insegnare ed al suo uso, essi condividono il ruolo della lingua, che da semplice
“lingua come materia” diventa “lingua delle altre materie” con tratti ben delineati:
- formalità = si usa uno stile più formale, soprattutto nel testo scritto;
- specificità = si riferisce a precisi campi semantici e usa termini specifici per designare i concetti;
- astrattezza = opta per termini più astratti in riferimento alla collocazione di verbi ed avverbi (per
esempio, “subisce un incremento esponenziale” invece di “cresce più velocemente”);
- esplicitezza = usa una lingua più esplicita e dettagliata in base alla forma del discorso;
- coesione = idee e frasi sono strettamente legate tra loro tramite pronomi, subordinazione,
ripresa di termini e così via;
- coerenza = è più coerente e orientata allo scopo per quanto riguarda la struttura del testo e del
discorso.
Affinché un insegnamento bi/plurilingue possa considerarsi anche “plurale”, dunque, le lingue coinvolte
devono essere compresenti, in modo che ciascuna possa fungere da specchio dell’altra per collaborare
al potenziamento delle abilità metalinguistiche del discente.
15
“Gala”) negli anni ‘90.
L’IC prevede un lavoro parallelo su due o più lingue appartenenti alla stessa famiglia.
16
avvenendo attraverso il canale scritto, l’IC in interazione a distanza non è dunque un’attività utile allo
sviluppo della sola ricezione scritta, ma può anche essere un utile ponte verso l’oralità.
L’IC interattiva online è particolarmente efficace quando ogni interlocutore usa delle strategie di
semplificazione e facilitazione orientate allo specifico repertorio linguistico dell’interlocutore, che
rendono la propria produzione linguistica più accessibile all’altro: questo processo è detto
“interproduzione” ed è un’anticipazione dell’“intercomunicazione” tipica della pratica dell’IC.
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6.2 Dal plurilinguismo al translanguaging: una svolta epistemologica?
Il translanguaging può essere visto come affine al concetto europeo di plurilinguismo e, dal punto di
vista educativo, alla nozione di educazione plurilingue e interculturale. Negli ultimi tempi, il concetto di
plurilinguismo proposto dal Consiglio d’Europa è stato abbandonato per il suo legame con la
competitività sul mercato del lavoro e il suo essere strumento per ottenere profitto economico e
successo personale.
Il concetto di competenza plurilingue e pluriculturale afferma che le lingue non sono giustapposte o
sommate l’una all’altra nella mente dell’apprendente, ma formano un’unica metacompetenza, ovvero la
capacità di usare progressivamente diverse competenze in diverse lingue.
Proponendosi come una svolta, il translanguaging cerca di scardinare la concezione, tipica di molte
pratiche di insegnamento linguistico, delle lingue come entità isolate. A differenza dei modelli più
tradizionali di bilinguismo, esso si concentra sugli effettivi usi dei parlanti plurilingui che attingono dal
proprio repertorio adattando di volta in volta i propri usi linguistici alla specifica situazione 7.
7
Vs code-switching (alternanza di codici di lingue diverse all’interno di uno stesso discorso).
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6.4 Diffusione e contesti di applicazione del translanguaging: l’apporto italiano
Il translanguaging è ancora poco diffuso e conosciuto in Italia, e per ora è applicato solo in progetti
sperimentali per diversi motivi, tra cui la differenza con il contesto migratorio di riferimento (quello
statunitense) e il fatto che viene data per scontata la capacità degli studenti bilingui (bambini e
adolescenti) di saper leggere e scrivere nella LO8.
Uno dei primi progetti italiani dedicati al translanguaging è il progetto del 2016 LI.LO (Lingua Italiana.
Lingua d’Origine).
8
La loro competenza è nella maggior parte dei casi di tipo orale.
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