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Riassunto libro 'Argomenti

scelti di Glottologia e
Linguistica' Romano (UniTo)
Linguistica Generale
Università di Torino
56 pag.

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Linguistica generale
Riassunto 'Argomenti scelti di Glottologia e Linguistica' – A. Romano, A.M.Miletto

Glottologia: è una scienza umana che affonda le sue radici nello studio
sistematico delle lingue e nella ricostruzione delle tappe storico-evolutive che
determinano la presenza in una lingua di date strutturate.

Linguistica: è lo studio delle lingue da un punto di vista descrittivo più generale; si


delinea nel XIX secolo e trova la sua ridefinizione particolarmente proficua grazie
all’apporto delle riflessioni di De Saussure, un glottologo svizzero vissuto tra l’800 e
il 900.

I. Linguaggio, lingua, dialetto, varietà linguistica


1.1 Lingue, linguaggio, varietà linguistiche, dialetti
 Linguaggio: capacità specifica degli esseri umani di imparare a comunicare
usando una o più lingue. Tutti gli esseri umani dispongono della facoltà del
linguaggio, ad eccezione di alcuni stati patologici individuali.
Alla parola linguaggio restano associati i significati di 'lingua speciale'
(linguaggi settoriali, tecnoletti ecc)
 Lingue: tutti i sistemi di comunicazione verbale che le diverse comunità
umane usano per trasmettersi e scambiarsi informazioni.
Le lingue possono essere studiate come codici, cioè sistemi organizzati di
elementi di comunicazione, di elementi sonori e di regole per la creazione di
messaggi strutturati
 Varietà linguistica: termine più generale per indicare un sistema linguistico
 Dialetto: varietà di una lingua con caratteristiche distinte dalle altre. Le
differenze possono essere fonetiche, lessicali e/o grammaticali, linguistiche,
interne, di uso e di valutazione sociale e culturale
1.2 Bilinguismo e diglossia, bidialettalismo e dilalìa
 Bilinguismo: (o plurilinguismo) situazione in cui ciascuno dei membri della
comunità può usare indifferentemente una delle lingue parlate all'interno
della comunità
 Bilinguismo individuale: relativo agli individui (es. figlio di genitori di
nazionalità diverse)
 Bilinguismo collettivo: relativo principalmente alle città (es. Montreal, dove
si parla inglese e francese)
 Bilinguismo sociale: due gruppi diversi si servono prevalentemente di una
diversa lingua all’interno del gruppo pur disponendo di una competenza
passiva (o anche attiva con una padronanza ridotta) della lingua dell’altro
gruppo

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 Diglossia: situazione in cui alle diverse lingue si attribuiscono diversi livelli di
prestigio, per cui possono avere varietà alte (A), o acroletti, e varietà basse
(B), o basiletti.
 Bidialettalismo: indica la situazione in cui un membro di una comunità può
usare più di un dialetto
 Biglottismo: condizione di un bilingue che abbia acquisito le sue due lingue
in tempi diversi
 Dilalìa: (termine introdotto da Berruto) indica i casi in cui la lingua A acquista
potere, divenendo l’unico codice formale scritto e orale, e viene usata che in
ambiti informali mentre la lingua B è limitata solamente agli ambiti informali e
non viene impiegata in contesti formali, anche perché non standardizzata.
 Repertorio: insieme delle varietà linguistiche di cui un parlante dispone. Usi
linguistici che un individuo possiede in proprio.
1.3 Dialetti territoriali o sociali
 Dialetti storici: parlate romanze diffuse nel nostro territorio con continuità
storica per evoluzione dei volgari del latino
 Dialettologia italiana: si occupa principalmente dei dialetti che presentano
caratteristiche comuni all’interno di ciascuna delle aree geografiche in cui
sono tradizionalmente delimitati (dialetti d’Italia)
 Sociologia del linguaggio: rivolge le sue attenzioni alla società; oggetto di
studio è proprio l'atteggiamento che la società assume nei riguardi delle
lingue
 Politica linguistica: scelte politiche atte a favorire la diffusione o lo sviluppo
sociale di un determinato modello di lingua o assetto linguistico nazionale
 Etnografia della comunicazione: branca della sociolinguistica che si dedica
all'analisi dei risvolti socio-culturali di determinate scelte linguistiche (es.
pronomi di cortesia o espressioni di saluto...)
 Pragmalinguistica: studia come nella conversazione di ottengano dei
risultati e delle risposte
 Variazione diacronica: variazione della lingua nel corso del tempo
 Variazione diastratica: variazione linguistica all’interno degli strati socali
della stessa società
 Variazione diatopica: variazione linguistica in base allo spazio geografico
 Variazione diafasica: variazione linguistica in base al contesto e quindi al
registro (formale o informale) utilizzato dal parlante
 Variazione diamesica: variazione linguistica in base al mezzo (scritta: SMS,
lettere, chat, articoli di giornale, etc.. ; orale: radio, televisione, telefonata,
etc..) usato per comunicare
1.4 Famiglie e gruppi linguistici
 Tutte le varietà linguistiche, siano esse parlate da piccoli o grandi gruppi,
sono soggette a questi tipi di variazione e, in particolare, a un’evoluzione
diacronica

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 A seconda dell’origine di ciascuna lingua, possiamo riconoscerne un certo
numero di elementi lessicali, morfologici o fonetici che ne rivelano la
parentela con altre
 Relazioni genealogiche: relazioni di tipo di discendenza tra le lingue
 Italiano, spagnolo, galiziano, portoghese, catalano, occitano, francese,
friulano, sardo, romano moldavo e tutti i dialetti romanzi fanno parte dello
stesso gruppo linguistico, cioè il gruppo delle lingue neo-latine.
Tutte queste lingue anche se diverse risalirebbero ad un’unica
matrice/famiglia indo-europea.
 Indoeuropeo: bacino linguistico comune che ha generato sia lingue
neolatine, slave e germaniche, sia gruppi di lingue diffuse in Asia
 Lingue Caucasiche e Dravidiche: lingue non-indoeuropee della penisola
indiana
 Famiglia Uralo-altaica: gruppi linguistici diffusi dai territori uralici agli
altopiani dell'est-asiatico, con propaggini nella penisola anatolica (turco) e
aree distinte dall'est-europeo in cui sono diffuse le lingue del gruppo ungro-
finnico
 Famiglia Afro-asiatica: si riconducono le lingue cuscitiche dell'Africa
orientale del gruppo camitico, ricongiungendosi con il gruppo semitico, che
comprende ebraico e arabo
 Famiglia Nilo-sahariana: raggruppa lingue parlate a sud del Sahara e lungo
il corso del Nilo
 Famiglia Niger-kordofaniana: include gruppi di lingue dell'Africa equatoriale
e meridionale
 Famiglia Khoisan: lingue diffuse soprattutto in Sud-Africa e Namibia
 Famiglie Sud-amerindiana/ Nord-amerindiana/ Nadene: lingue
precolombiane delle Americhe che sopravvivono nelle riserve del Nord-
America o come lingue co-ufficiali di alcuni Paesi dell'America del Sud
 Famiglia Eskimo-aleutina: diffusa a cavallo tra l'estremo nord della del
continente americano e la Siberia
 Famiglia Paleo-siberiana: lingue diffuse nel territorio della Siberia
 Famiglia Sino-tibetana: lingue diffuse tra Cina, Tibet e Birmania
 Famiglia Austro-thai: [o Kam-thai] gruppi nella Thailandia e sud-est asiatico
 Famiglia Austro-asiatica: lingue del sud-est asiatico, comprende il
vietnamita
 Famiglia Austronesiana: gruppi di lingue disperse tra Indonesia e altre isole
dell'Oceano Indiano (tra cui Madagascar)
 Famiglia Australiana: lingue dell'Australia
 Famiglia Indo-pacifica: lingue della Papua-Nuova Guinea e Polinesia
 Ipotesi della sostituzione: [o teoria 'out of Africa'] assume la diffusione di
comunità di ominidi evoluti (che avevano conquistato e raffinato l'uso di un
sistema propriamente linguistico) e il conseguente confinamento di gruppi

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meno evoluti (emarginati proprio per l'arretratezza dei loro metodi di scambio
delle informazioni)
 Ipotesi multiregionale: [o 'teoria del candelabro'] presuppone
un'integrazione di ulteriori ondate colonizzatrici di ominidi evoluti che,
integrandosi con altre comunità già disperse, portarono elementi di
comunicazione più progrediti a innestarsi su matrici pre-linguistiche già
distintamente caratterizzate
1.5 Gerghi, pidgin e creoli
 Gerghi: lingue convenzionali, ristrette a gruppi sociali ben definiti, create
deliberatamente per essere usate in modo criptolaico (es. gerghi giovanili,
dei camorristi...)
 Pidgin: varietà linguistiche ibride e rudimentali nate dal contatto forzato di
lingue diverse. Alla base di un pidgin c’è spesso una lingua coloniale
europea oppure una lingua africana o americana.
Esso mescola due lingue per crearne una più comune per comunicare, in più
ha caratteristiche grammaticali del gruppo linguistico dominante
 Creolo: evoluzione del pidgin che, arricchendosi progressivamente sul piano
lessicale e strutturale, assume una morfologia e sintassi più stabili e diventa
così una lingua nativa della comunità
1.6 Proprietà generali delle lingue
 Plurifunzionalità delle lingue, che si prestano agli usi più svariati, incluso
quello di permettere di parlare di sé stesse e delle proprie caratteristiche
(proprietà metalinguistica)
 Tutti i sistemi di comunicazione si caratterizzano per un certo numero di
proprietà:
 Universalità: non esiste un gruppo umano che non usi un sistema di
comunicazione
 Priorità del parlato: tutte le lingue di avvalgono di una lingua parlata
per scambiarsi informazioni, mentre solo alcune di un codice scritto
 Transponibilità di mezzo: per tutte le lingue è possibile trasporre le
produzione verbale secondo codici scritti
 Arbitrarietà e intenzionalità: ogni sistema si basa su segni linguistici
convenzionali che consentono la produzione di messaggi costruiti da
elementi discreti organizzati linearmente
 Produttività: è possibile disporre di un sistema che consente la
generazione di un numero teoricamente illimitato di enunciati dalla
complessità crescente che possono dare luogo a produzioni ai limiti
dell’ambiguità o dell’equivocità
 Libertà da stimoli (o distanziamento): ci permette di parlare di cose
non presenti nello spazio fisico in cui ci troviamo
 Trasmissibilità culturale: ci permette di trasferire per tradizione l’uso
di una lingua di generazione in generazione
 Biplanarità del segno linguistico
 Dualità di struttura del significante

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II.La struttura di messaggi linguistici
2.1 Biplanarità del segno linguistico: significato e significante
 Ferdinand de Saussure, glottologo svizzero vissuto a cavallo del 900, ha
definito che il segno linguistico è diviso in due parti: significato (parte
concettuale) e significante (parola fisica)
 Le lingue, soprattutto quelle parlate, indipendente dalla presenza di loro
eventuali forme scritte, possono essere studiate come sistemi organizzati di
elementi di comunicazione, si elementi sonori che permettono la
realizzazione concreta di regole per la creazione di messaggi strutturati
 Ne Cours de Linquistique Génenérale di de Saussure (1916) è nota la
divisione tra Langue e Parole:
 Parole: è l’insieme degli atti linguistici individuali e concreti che attraverso
i quali i parlanti di una lingua dispongono di questa per formulare un
messaggio
 Langue: è il corpo complessivo di conoscenze linguistiche condivise
dall’intera comunità linguistica e a disposizione di ogni individuo
 Il singolo parlante conosce la sua lingua ed è in grado di sviluppare qualsiasi
riflessione al suo riguardo ed elaborare i suoi giudizi sulla struttura dei
messaggi potenziali che con essa potrebbe formare ma, finché non emette
un messaggio verbale, li può dire che si sta muovendo nell’ambito della
Langue. Nel momento in cui produce un enunciato invece mette in atto
queste conoscenze e le concretizza individuandole e adattandole al proprio
modo personale di esprimersi, atti di Parole.
 Segno linguistico: l’elemento che due interlocutori si scambiano durante un
evento comunicativo. Nel segno si ritrovano associate due diverse facce: un
lato più materiale (parole fisiche, sonore) detto significante, e un lato più
sfuggente che rimanda gli aspetti concettuali all’informazione che si vuole
trasmettere (concretamente) , detto significato
 Alla biplanarità del segno linguistico, che dimostra l’esistenza di diversi tipi di
arbitrarietà linguistica (decidere o meno di dire una data osa solo se la si
conosce), hanno affiancato altre distinzioni, come quella tra forma e
sostanza
 È importante ricordare che la dicotomia saussuriana tra significante e
significato è stata in seguito riproposta all’interno di uno schema noto come
triangolo semiotico nel quale viene dato maggiore risalto alla nozione di
referente. Oltre al significato e al significante, che occupano due vertici di
questo triangolo, sul terzo vertice si può disporre il referente (oggetto non
linguistico, concreto o astratto, extralinguistico) cui si riferisce il segno
SIGNIFICATO

SIGNIFICANTE REFERENTE

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2.2 Dualità di strutturazione del significante
 A partire dalle riflessioni di Martinet, si definisce la doppia articolazione del
significante
 Sul piano del significante, che costituisce l’aspetto concreto con cui si
manifestano i “segni” presenti in un messaggio
 Possiamo distinguere un primo livello in cui si concatenano unità portatrici di
significato: morfemi. Essi sono la prima unità di strutturazione del
significante e ne costituiscono quei segmenti cui può essere associato un
significato o funzione morfologica
 Un secondo livello di strutturazione è quello dei fonemi. Essi costituiscono il
secondo livello di strutturazione del significato e rappresentano i segmenti in
cui è possibile suddividerei i morfemi
2.2.1 Relazioni sintagmatiche e paradigmatiche tra morfi e tra foni
 Al primo livello di strutturazione, costruiamo il significante dei nostri
messaggi, attingendo al cospicuo inventario di forme lessicali e grammaticali
della nostra lingua (ex di morfemi: part-, toss-, guar-, accend-, -ire, -ere, -are,
etc..)
 Al secondo livello di strutturazione invece, possiamo osservare come questi
morfemi sia ottenibili a partire da un piccolo inventario di elementi fonologici
altrettanto caratteristici del codice lingua (ex di fonemi: /p/, /a/, /r/ e /t/)
 Su entrambi questi livelli si instaurano due tipi di relazioni tra le unità di
strutturazione: rapporti sintagmatici (in proesentia) oppure rapporti
paradigmatici (in absentia)
 I morfemi part- e -ire si legano in quest’ordine per formare la parola partire e
intrattengono una relazione sintagmatica
Lo stesso morfema part- non si lega la morfema toss-. Questa relazione è
una relazione paradigmatica
 Le stesse riflessioni valgono anche per le unità del secondo livello.
 I fonemi tra di loro si legano tra loro, per formare morfemi, definendo
sequenze con un ordine specifico e risentendo della specificità di alcune
relazioni sintagmatiche
 Le relazioni che i fonemi intrattengono sull’asse paradigmatico permettono di
operare una prova di commutazione utile per valutare la funzione che due
unità sonore possono avere in una data posizione
 La prova di commutazione ci permette di ottenere una coppia minima
(coppia di parole di diverso significato in cui si alternano, nella stessa
posizione, due fonemi diversi che in questo modo si dimostrano essere in
opposizione fonologica)
 Le coppie minime forniscono la prova delle distinzioni su cui poggia il sistema
fonologia di una lingua. Un esempio può essere torta-corta dove nello stesso
punto si alternano i fonemi /t/ e /k/
 Fonemi → fonologia; foni → fonetica
2.2.2 Opposizioni fonologiche: distribuzione e rendimento

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 In italiano l’opposizione tra /o/ e /ᴐ/ che può non può essere rappresentata in
altre varietà. Ed esempio /’kolto/ e /’kᴐlto/
 Sebbene l’ortografia non tenga conto di questo contrasto, i due suoni [o] e [ᴐ
], oggettivamente diversi, si oppongono funzionalmente in quella posizione
nella varietà standard dell’italiano (definendo una coppia minima)
 Accade di solito che in una lingua alcune opposizioni siano facili da trovare
perché il numero i contesti in cui due fonemi si oppongono è molto
consistente (ex: l’opposizione tra /i/ e /a/ è molto frequente -> spiro-sparo) si
parla in tal caso di opposizione ad alto rendimento funzionale
 Tuttavia anche se provassimo a commutarli in diverse posizioni, avremmo
poche probabilità di imbatterci in quell’unica coppia in cui si presentano in
opposizione distintiva. Si tratta in questi casi di opposizioni a basso
rendimento funzionale
 In italiano, si perse la possibilità di contrapporre i fonemi vocalici medio-bassi
a quelli medio-alti. In questo caso si parla di neutralizzazione
dell’opposizione: è il venir meno di un’opposizione fonologica in determinati
contesti.
2.2.3 Fonemi e varianti
 La parola italiana filo /’filo/ con un suono di tipo [I] al posto di [i], che in
inglese e tedesco rappresentano realizzazioni di due fonemi distinti per
mezzo di numerose coppie minime.
 È dunque evidente che quelli che in alcune lingue rappresentato fonemi
distinti, in altre lingue possono rappresentare varianti di un unico fonema
 Trubeckoj, linguista russo, ha stabilito che:
 Quando due suoni possono ricorrere nelle medesime posizioni e non
possono essere scambiati fra loro senza modificare il significato della
parola essi rappresentano due realizzazioni fonetiche naturali di due
fonemi diversi
 Quando due suoni possono comparire nelle medesime posizioni e si
possono scambiare fra loro senza variare il significato della parola essi
rappresentano due realizzazioni fonetiche di uno stesso fonema
(allofoni) come ad esempio ulivo-olivo
 Quando sue suoni di una lingua che mostrano affinità articolatori non
ricorrono mai nelle stesse posizioni allora essi rappresentano due
realizzazioni fonetiche di uno stesso fonema (tassofoni)
 Sono allofoni (varianti libere) ad esempio in italiano le numerose
realizzazioni che può assumere il fonema [r] in base alla caratteristiche del
parlante
 In italiano sono tassofoni (varianti combinatorie) le numerose varianti di
nasale preconsonantica, cioè i distinti suoni nasali che pronunciamo subito
prima di una consonante
 Quindi dobbiamo generalmente considerare questi tassofoni come varianti di
un fonema nasale senza caratteristiche di luogo specificate (arcifonema)

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dato che ciascuno di essi può comparire come realizzazione di un qualsiasi
dei due fonemi nasali possibili in posizione finale
 La preposizione italiana con termina con il fonema nasale /n/;
concatenandola con una parola a iniziale bilabiale, passione ad ex, possiamo
osservare come si ottenga una sua resa come /m/. Concatenandola a una
parola con iniziale velar, calma ad ex, si osserva la sua resa come //.
 In italiano, è una coppia minima manta-manca anche se, al livello fonetico,
compare un’ulteriore distinzione nel luogo di articolazione nasale
preconsonantica
 Coppia minima -> stesso numero di fonemi
 Milione-maglione non è una coppia minima. Milione /lj/; maglione //
/lj/ è un esempio di nesso tautosillabico (entrambi gli elementi
appartengono alla stessa sillaba) mentre
// è un nesso eterosillabico: il primo elemento appartiene alla sillaba
precedente, il secondo alla seguente
Risulta quindi rilevante a questo scopo il riferimento al tipo sillabico: il
contrasto tra due fonemi deve essere valutato in base alla posizione da essi
occupata in rapporto ai costituenti sillabici
 La definizione di sillaba (), come aggregazione di segmenti con minore
sonorità vocalica e maggiore forza consonantica attorno al nucleo di
maggiore sonorità, porta a distinguere una posizione nucleare (il nucleo, N),
due posizioni periferiche di attacco ( A, che precede il nucleo) e di coda (C,
che segue il nucleo, aggregandosi a esso per formare la cosiddetta rima, R)
 Sillaba aperta: una sillaba in cui, pur ponendovi essere elementi periferici in
attacco, nessun altro elemento consonantico disposto successivamente al
nucleo si aggrega con esso
 Sillaba chiusa: una sillaba in cui, sempre prescindendo dalla presenza di
elementi in attacco, uno o più segmenti consonantici si aggregano con il
nucleo che li precede
 Non è una coppia minima la coppia fata-fatta a meno che non ipotizziamo la
monofoneticità di /tt/ che ci consentirebbe di opporre /’fata/ a /’fatta/
 Opposizioni del tipo fata-fatta sono invece coppie minime se si accetta la
possibilità di avere un’alternanza, nella terza posizione segmentale, tra un
ipotetico segmento nullo e un reale segmento consonantico; /’fa_ta/ - /’fatta/
 La diversa organizzazione sillabica produce una prima sillaba aperta nel
primo caso e chiusa nel secondo, con conseguenza udibili nella diversa
lunghezza delle vocali accentate

III.La rappresentazione fonetica e fonologica degli elementi sonori di una


lingua
3.1 Il modello della comunicazione audio-verbale
 Alfabeto fonetico internazionale -> IPA

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 Un metodo schematico per rappresentare alcune nozioni fondamentali della
linguistica (referente, significante, significato, codice, messaggio, etc..)
distinguendo alcuni di questi livelli, è quello offerto dal modello della
comunicazione di Jakobson, che permette d’individuare facilmente gli
elementi grazie ai quali avviene la trasmissione dei messaggi linguistici
 La comunicazione linguistica consente uno scambio di informazioni tra due
individui appartenenti a uno stesso universo reale o concettuale (fato cioè di
“cose” o “idee” che possono essere note, apprese o condivise da entrambi)
 Jakobson definisce referenti questi elementi presenti nell’universo in cui si
svolge la comunicazione
 Il passaggio d’informazione avviene con la produzione di un messaggio
linguistico che transita su un canale di comunicazione
 I due soggetti coinvolti sono un individue emittente, sorgente
dell’informazione e un individuo ricevente, destinatario dell’informazione

Modello della comunicazione audio-verbale ( R = referente; S = sorgente del


messaggio linguistico; Rs = risultato della concettualizzazione del referente alla
sorgente; /F/ = processori fonologici; F = processori fonetici; D = destinatario del
messaggio linguistico; Rd = risultato della concettualizzazione del referente al
destinatario; C = codice linguistico; C1 = codice fonologico; C2 = codice fonetico;
l’area rettangolare delimitata dal tratteggio esterno indica il contesto di
comunicazione; riguardo al clock)

 I sei elementi essenziali sono quindi: il referente, il messaggio, il canale,


l’emittente o sorgente, il ricevente o destinatario e il codice. A ciascuno di
questi elementi corrisponde una funzione comunicativa che può
caratterizzare più o meno il messaggio. Se ad es. nel messaggio sono

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presenti soprattutto informazioni sul referente si dice che in esso domina la
funzione referenziale; se il messaggio è formulato per esprimere
principalmente dati relativi al locutore (sorgente) ha una funzione dominante
che viene detta emotiva; se invece presenta una formulazione tale da
attirare l’attenzione su sé stesso (messaggio) si parla di funzione poetica.
Altre importanti funzioni sono quella conativa, che domina in messaggi
destinati ad agire sul destinatario (fargli fare o dire qualcosa), quella fàtica,
caratteristica di messaggi emessi per verificare il canale, e quella
metalinguistica, tipica di messaggi con contenuto prevalentemente
incentrato sul codice
 Perché la comunicazione riesca, è necessario che l’informazione contenuta
nel messaggio sia codificata e decodificata in base a un codice condiviso tra i
due interlocutori
 È ovvio che il modello, con questi suoi sei elementi ( R, S, D, C, messaggio
e Canale), riassume le condizioni in cui avviene la comunicazione nel caso
più generale
 Il continuum sonoro prodotto (che è quello realmente affidato al canale di
comunicazione), pur mantenendo la strutturazione segmentale e
sovrasegmentale posseduta dall’input fonologico di questo processore
condizionato da una serie di fattori psicologici e fisiologici specifici e risente
dei vincoli imposti dall’apparato fono-articolatorio del parlante (e dalle sue
interazioni col canale)
 + vedi esempi da libro
3.2 I punti di vista della fonetica e della fonologia
 La parte trasmissille del significante è infatti costituita da onde sonore che si
propagano attraverso il mezzo di contatto tra emittente e destinatario del
messaggio
 La disciplina che studia questi aspetti si chiama fonetica e costituisce una
parte importante della riflessione linguistica
 Ponendosi a osservare le produzioni linguistiche di un parlante al momento
della loro codifica finale (in corrispondenza dell’immissione sul canale) si
adotta il punto di vista tipico della fonetica articolatoria
 Captando invece i segnali sonori che veicolano il messaggio nel corso del
suo passaggio sul canale e analizzandolo dal punto di vista della sua
struttura fisica si adottano le prospettive della fonetica acustica.
 Ponendosi, infine, dal punto di vista della loro ricezione da parte
dell’ascoltatore e della prima decodifica generale (cercando di fare
astrazione delle categorizzazioni operate) si procede con i metodi e gli
obiettivi della fonetica uditiva o percettiva
 Nel momento in cui ci si occupa invece proprio della categorizzazione delle
unità sonore da parte del ricevente e del loro uso funzionale da parte dei
parlanti di una lingua, all’aumentare del grado di astrattezza delle riflessioni
che si fanno e delle semplificazioni sul piano della precisione di

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rappresentazione, si passa dalla fonetica funzionale, alla fonematica, alla
fonologia
3.3 La descrizione del sistema sonoro di una lingua
 Il sistema fonologico di una lingua può essere visto come un insieme di suoni
(fonemi) la cui importanza è legata a un loro distinto statuto e a una loro
funzione caratteristica
 Tuttavia, nella descrizione di sistema sonoro non si possono trascurare le
varianti combinatorie (tassofoni) né la segnalazione delle direzioni in cui è
possibile riscontrare rilevanti forme di variazione allofonica.
 Gli xenofoni, suoni che non appartengono al sistema sonoro patrimoniale di
una lingua, ma vi compaiono più o meno saltuariamente nella pronuncia di
parole straniere introdotte nell’uso comune da parlanti più o meno colti
 Rapportando tra loro gli inventari sonori di diverse lingue, notiamo che in
molti casi è il sistema vocalico che si presenta più differenziato mentre, in
altri casi, sono i sistemi consonantici o le strutture sovrasegmentali che
presentano una selezione diversa di elementi distintivi
3.4 Inventario sonoro dell’italiano


 Suoni consonantici -> contoidi
Suoni vocalici -> vocoidi
 I contoidi con distribuzione più ampia sono 23, organizzati in coppie sordo-
sonore oppure in serie oppure in ordini.
 Si noti che t, d, ts, dz, s z sono prevalentemente dentali e che k e g tendono
ad assumere un luogo d’articolazione leggermente più avanzato, a contatto
con vocali anteriori o elementi palatali
 [ჳ] è uno xenofono piuttosto comune in prestito dal francese o dall’inglese

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 È notevole la presenza di dittonghi.
 Tra quelli “falsi”, ascendenti sono particolarmente diffusi, per ragioni
storiche, /j / e /w / con [j] e [w] extra-nucleari.
 I “veri” dittonghi, discendenti, sono invece [iu, eu, u, au, u, ou] e [iu, eu,
u, au, u, ou] e sono meno frequenti
 Hanno alcune distinzioni tra dittongo (nucleo vocalico formato da due timbri)
e iato (separazione tra due vocali forti), es. baule ba-u-le
3.4.1 Caratteristiche segmentali e fonosintassi dell’italiano
 Questa lingua si caratterizza per la presenza di 28/30 fonemi di base (21/23
consonantici e 7 vocalici)
 Il sistema vocalico è soggetto:
 A una riduzione di timbri distintivi in assenza d’accento
 Alla formazione di dittonghi ascendenti e discendenti con
configurazioni e distribuzione particolati
 A una marginale diffusione di contrasti tra dittongo e iato
 Quanto al sistema consonantico, è necessario precisare la presenza di alcuni
tassofoni, con distribuzione regolare in fonosintassi e in fonotassi, oppure
osservar l’assimilazione di sonorità che interessa l’alternarsi di [s] e [z]
davanti a consonante
 Tra le altre caratteristiche fonotattiche, si potrebbe ricordare la diffusione di
tradizionali nessi di tipo /C(L/J)/ (con C= p, t, k, b, d, g, f, v, s, ts, ds,t o d ,
L=r o l, e J= j o w)
 È interessante la discussione sulla diffusione di nessi in finale ( come /rt/, /lm/
o /nt/)
 Non avendo nel suo lessico tradizionale molte parole terminanti con
consonante, italiano ha adattato i prestiti stranieri on queste caratteristiche,
ristrutturandolo con l’aggiunta di una vocale finale
3.4.2 Caratteristiche sovrasegmentali
 In italiano l’accento primario si trova nella maggio parte dei casi sulla
penultima sillaba; vi è tuttavia un discreta presenza di parole con accento
sulla terzultima e una minor parte presenza di parole con accento sull’ultima
3.4.3 Fonosintassi

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 Nel formarsi delle strutture sonore dell’italiano, acquistano infatti una certa
regolarità il processo di cogeminazione (raddoppiamento fonosintattico) e i
fenomeni di contatto tra vocali
 La cogeminazione (RF) è la manifestazione regolare di geminazione
(raddoppiamento di una consonante) post-lessicale, a confine tra due parole
 Il processo ha regioni storico-evolutive e presenta una diffusione limitata sul
territorio nazionale
 Se oggi diciamo io e te, con /t/ raddoppiata, posiamo verosimilmente
imputare questa geminazione alla presenza di /t/ finale in latino e al suo
incontro con la /t/ iniziale di te
 I casi in cui si manifesta il RF nella varietà più tradizionale d’italiano standard
s’ispirano al modello d’italiano parlato a Firenze, ma una norma con una
certa diffusione mediatica riduce leggermente il numero di contesti di
applicazione
 Lo standard tradizionale prevede che il RF avvenga per quattro categorie di
parole:
 Alcune parole funzionali monosillabiche: le preposizioni a, da, su,
tra, fra; i connettori e, o, ma, s, che, né; un dimostrativo ciò, un
pronome tu; avverbi già, più, qui/a e lì/à
 Forme monosillabiche forti (nominali, aggettivali, verbali): lessemi
come dì, re, si, tè, blu; i nomi delle lettere dell’alfabeto e delle note
musicali; alcuni pronomi tonici me, te, sé e chi; alcune forme verbali di
largo uso è, ho, ha, va, fa, do, dà, di’, può, so, sa, sto, sta, etc..
 Alcuni polisillabi parossitoni: qualche, dove, come
 Tutti i polisillabi ossitoni: perché, poiché, cos’, chissà, etc..; è invece
definito da una classe aperta di parole che si può arricchire a
piacimento di qualsiasi forma ossitona
 Altrettanto caratteristica è la diffusione di alcune specificità nella risoluzione
degli incontri vocalici come:
 Dialefe: iato fonosintattico
 Sinalefe: mantenimento di timbri distinti in dittongo fonosintattico
 Crasi: tipo di coalescenza con fusione dei due timbri in un nucleo con
caratteristiche nuove
 Cancellazione: elisione e aferesi
 Apocope: è la cancellazione di uno o più suoni finali i una parola
indipendentemente dalla presenza di una vocale seguente
3.5 Organizzazione sovrasegmentale dei messaggi linguistici
 Fenomeni sovrasegmentali che stabiliscono le regole con cui da un flusso
continuo di suoni sia possibile recuperare le informazioni sull’inizio e/o la fine
delle unità concatenate, siano esse unità ritmico-intonative o aggregazioni
tono-accentuali
 I parametri fisici usati a tal fine tendono ad esser: durata, altezza, intensità
e timbro

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 Occorre però distinguer tra prominenza locale, un accento più o meno
esteso e più o meno involontario e accento vero e proprio, quello
funzionale, strumentale, di alcune lingue
 La prominenza può interessare una o più sillabe messe in rilievo
involontariamente: quando realizza un’enfasi o un contrasto (acc. enfatico o
contrastivo)
 L’accento è un fenomeno associato agli stessi correlati fisici di durata,
movimento melodico, variazione d’intensità e/o di qualità e contraddistingue
una sillaba rispetto alle altre dell’unità di riferimento
3.5.1 Prominenze locali: l’accento di parola
 Un primo fenomeno sovrasegmentale, dotato di una funzione distintiva
evidente in italiano è quello dell’accento lessicale, una prominenza che,
localizzata in una determinata posizione, contribuisce a distinguere una
stessa sequenza di suoni da altre identiche sul piano segmentale. In italiano
si sprecano gli esempi, passando per numerose altre coppie minime
determinate da sole differenze nella posizione dell’accento e terminando con
le più rare terne
 Una conseguenza della posizione dell’accento si manifesta particolarmente
nella durata delle sillabe salienti che diventano in generale più lunghe
rispetto alle altre sillabe non accentate
 La terminologia specialistica designa come ossìtoni le parole con accento
sull’ultima sillaba, parassìtoni quelle con accento sulla penultima e
proparossìtoni quelle con accento sulla terzultima
 In italiano si osserva regolarmente una certa mobilità dell’accento (che
giustifica maggiormente un’altra designazione usata solamente per lingue
con queste caratteristiche dette lingue ad accento mobile in cui l’accento
radicale scompare favore di quello presente sul suffisso oppure si riduce a
un accento secondario)
 In particolare si può constatar come gli accenti possano avere anche una
funzione demarcativa, che contribuisce alla segnalazione delle informazioni
relative alle giunture
 In alcune lingue, dette lingue ad accento fisso, in cui questi fenomeni
avvengono con regolarità anche al livello lessicale, una sillaba viene
contrassegnata melodicamente per indicare l’inizio delle unità lessicali da
ricercare nella catena fonica
3.5.2 Organizzazione ritmico-melodica: toni e accenti tonali
 Le sequenze di accenti, cioè di sillabe prominenti e sillabe non prominenti,
con le loro conseguenze di dilatazione o compressione locale sul piano
temporale, definiscono un ritmo che l’uditore deve correttamente agganciare
in fase di decodifica e di cui deve saper riconoscere le manifestazioni,
ricollegandole all’organizzazione sintattica e pragmatica degli enunciati,
discernendo quelle che derivano da un’organizzazione linguistica da quelle

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che invece riproducono caratteristiche para- o extra- linguistiche presenti
nell’esecuzione
 I messaggi manifestano anche un’organizzazione melodica che contribuisce
alla loro caratterizzazione sovrasegmentale, definendo l’intonazione
 Quest’intonazione melodica è molto più indipendente dall’intonazione in
quelle lingue, dette lingue tonali, in cui sono presenti toni o accenti tonali
lessicali, livelli o modulazioni di altezza vincolati alla struttura fonologica della
parola
3.6 L’intonazione
 L’intonazione è un fenomeno prosodico è un fenomeno prosodico
sovrasegmentale mediante il qual le variazione d’altezza melodica presenti in
un enunciato permettono di (de)codificare informazioni grammaticali nella
sua struttura
 Nelle lingue non-tonali è possibile che movimenti melodici siano usati in
associazione a particolari schemi di strutturazione, per rispondere a proprietà
semantiche generale e a necessità di costruzione sintattica, e di
organizzazione informativa degli enunciati
 Queste variazioni d’altezza melodica di presentano con una certa regolarità
che, in associazione con variazioni di durata e d’intensità, determina le
proprietà intonative di una lingua
 Una conferma dell’esistenza di regole intonative può venirci proprio dal
riferimento alla lettura, pensando a quante volte, leggendo un messaggio
scritto, ci troviamo nella situazione in cui una virgola in più o in meno ci ha
impedito di ricostruire subito il senso del testo
3.6.1 La mobilità intonativa
 Su alcuni risvolti linguistici e grammaticali dell’intonazione legati
all’interpunzione, non si discute: è infatti evidente che almeno in italiano, la
mobilità delle frasi è di solito affidata all’intonazione. Una domanda o
un’affermazione si possono distinguer proprio da una particolare
conformazione ritmico-melodica dell’enunciato
 Che cosa ha comprato Gianni? Il giornale.
In questo caso, data la finalità dell’intonazione assertiva dell’enunciato,
l’eventuale inquisitore percepirà una risposta alla sua domanda
 Che cosa ha comprato Gianni? Il giornale?
In questo caso, l’interlocutore constaterà che interlocutore spera di poter
conoscere da lui una risposta
 In generale, nel caso d’intonazione assertiva siamo in presenza di un profilo
melodico discendente
 L’intonazione interrogativa che caratterizza invece domande come “Che
cosa ha comprato Gianni? Il giornale?” è evidente un profilo melodico finale
di solio, almeno in parte, ascendente
 In italiano esistono 4 tipi di domande:

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 Domande K: Che..? Chi..? Cosa..? Dove..? (che si dividono
ulteriormente in ingentilite e reiterate)
 Domande si/no: l’informazione è già disponibile nella domanda stessa
e all’interlocutore non si chiede altro che di confermarla o negarla
 Domande-coda: domande si/no la cui intonazione viene abbandonata
in favore a un andamento discendente di tipo più assertivo e poi
ripresa in fondo con l’aggiunta di una nuova clausola realmente
interrogativa di tipo no?
 Domande alternative: in cui si chiede una risposta tra due soluzioni
alternative
 Nonostante nei sistemi di scrittura di diverse lingue sia segnalata con “!”
l’intonazione esclamativa spesso corrisponde a schemi imperativi
 L’intonazione sospensiva “…” che in realtà non sospende quanto
l’intonazione continuativa
 Altri due schemi intonativi distinti sono quelli relativi all’eco e alla parentesi:
 L’intonazione di eco: riguarda una clausola aggiuntiva che riprende
all’incirca il profilo di una clausola precedente interrogativa totale. La
vera domanda è segnalata dalla prima clausola, delimitata dalla
virgola, mentre il vocativo finale de richiama il profilo. Ex: L’hai preso il
giornale, Gianni?
 L’intonazione di parentesi: si manifesta su clausole di commento. Ex:
Gianni, che è uscito presto stamattina, ha preso il giornale
 La particolare indipendenza con cui gli schemi intonativi si manifestano
rispetto alle clausole sintattiche con le quali non corrispondono esattamente
in termini di estensione e di funzione: l’intonazione definisce un livello
piuttosto autonomo di organizzazione
3.6.2 La focalizzazione intonativa
 Ai nostri sistemi ortografici mancano spesso espedienti grafici per segnalare
efficacemente alcuni aspetti dell’intonazione del parlato. Anche nel parlato
esistono regole al di là delle “cadenze” regionali, governano la produzione
intonativa degli enunciati. Uno di questi è il focus
 Attraverso la focalizzazione intonativa, una stessa sequenza sintagmatica
può presentare alcune sue parti “messe in evidenza” per rispondere a
esigenze linguistiche diverse, di rilievo informatico o contrastivo del
messaggio
 Focalizzazione informativa: quando un elemento riceve maggiore
importanza. Ex: Chi ha preso il giornale? Gianni ha preso il giornale. Gianni
riceve particolare enfasi
 Focalizzazione contrastiva. Ex: Gianni ha preso il giornale? e Gianni ha
preso il giornale? Nel primo caso si chiede se Gianni ha comprato il giornale
mentre nel secondo se il giornale è ciò che ha preso Gianni
 Focus largo: quando la messa in rilievo sia stesa a una parte relativamente
ampia di un enunciato

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 Focus ristretto: localizzato solo su pochi elementi
3.6.3 La scansione intonativa: confini maggiori e minori
 Oltre agli schemi intonativi delimitati da confini maggiori (frontiere terminali) ci
sono anche confini intonativi minori (frontiere non terminali)

La descrizione dei suoni delle lingue: fonetica articolatoria


4.1 Fonetica articolatoria
 La produzione dei messaggi linguistici avviene attraverso un processo fono-
articolatorio che si sviluppa infatti secondo fasi distinte
 Il processo generale è evidentemente controllato da attività celebrai e si
innesta sulla respirazione, di cui sfrutta i movimenti d’aria in ingresso e in
uscita da e verso i polmoni e le loro cavità
 L’intercettazione dell’aria in transito nella laringe, un organo situato alla
sommità della trachea, permette la fonazione, cioè la generazione della
voce
 La fonazione avviene mediante un complesso meccanismo aerodinamico in
parte controllato dalle condizioni mio-elastiche presenti nei tessuti della
laringe e delle cavità respiratorie
 L’ultima tappa del processo di generazione dei suoni linguistici viene svolta
dalle cavità orali e nasali che modificano le caratteristiche del flusso d’aria
controllato dalla laringe, mediante l’articolazione, la creazione di diverse
configurazione articolato rie che producono suoni (o foni) dalle proprietà
distinte che vengono poi emessi all’esterno
4.1.1 Coordinazione oro laringea
 È dalla coordinazione oro laringea, tra le fasi di attivazione e disattivazione
della laringe e le fasi di creazione di diverse configurazione articolatoria, che
deriva la realizzazione di un continuum sonoro
 Il parlato che analizziamo può essere visto come il risultato di un’attività
complessa che ha origine in alcuni nostri processi cognitivi e che sfrutta poi
processi, organi e meccanismi fisiologici legati alla sopravvivenza
(respirazione, deglutizione, masticazione) e si estrinseca in una produzione
continua frutto di una costante coordinazione tra le attività fonatorie e
articolatorie
 In questo continuum riusciamo a distinguere fasi di stabilità che etichettiamo
come “suoni”
 I cosiddetti sistemi di scrittura alfabetici sono quelli in cui di più gli essere
umani si sono sforzati di adattare un sistema simbolico alla rappresentazione
dell’inventario completo di suoni più ricorrenti in quella lingua
 Queste rappresentazioni sono spesso inficiata dal problema del mutamento
linguistico che porta le lingue parlate ad allontanarsi dalla forma scritta in cui
si cerca di fissarle

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 Un metodo convenzionale per la
descrizione simbolica dei suoni del
parlato è quello di riferirsi all’ alfabeto
fonetico internazionale (IPA),
costantemente aggiornato e applicato a
nuove lingue
 Per la classificazione dei suoni si fa
solitamente riferimento ad alcuni
parametri articolatori elementari che
determinano le principali caratteristiche
dei suoni
 La maggior parte dei suoni linguistici
delle lingue del mondo sono suoni
egressivi (prodotti cioè sfruttando l’aria
che attraversa la laringe provenendo dai polmoni e diretta all’esterno
dell’organismo )
 Il flusso d’aria egressivo può rifluire verso l’esterno senza incontrare
impedimenti nella laringe (quando la glottide, lo spazio tra le pliche vocali,
risulta sufficientemente aperta): in tal caso gli eventuali suoni prodotti si
presentano come sordi
 La caratteristica specifica di questi suoni prodotti in uno stato d’inattività della
laringe è quella di essere “sordi” (cioè non sonori). Se invece al passaggio di
questo flusso le pliche vocali si trovano accostate le condizione
aerodinamiche che si stabiliscono hanno l’effetto di farle entrare in rapida
vibrazione, determinando la “voce”: i suoni così prodotti sono quindi “sonori”
 In entrambi i casi il flusso può essere modificato in diversi punti (luoghi di
articolazione) e con diverse configurazioni (modi d’articolazione)
 Dopo le pliche vocali, il flusso d’aria proveniente dalle cavità polmonari si
trova obbligato a transitare all’interno della faringe da dove può poi
proseguire per le cavità nasali oppure nella cavità buccale a seconda della
posizione in cui si trova il velo palatino
 Con il velo innalzato il flusso è infatti convogliato esclusivamente nella cavità
orale, determinando la produzione di suoni orali, mentre con il velo
abbassato il flusso può dividersi lungo due percorsi, uno ancora orale e l’altro
nasale
 Attraverso la rino-faringe può penetrare nella cavità nasali per poi fuoruscire
dalle narici:in tal caso i suoni orale presentano caratteristiche nasali e
vengono quindi detti nasalizzati
 In presenza di un’occlusione completa del condotto vocale l’aria può essere
convogliata totalmente nelle cavità nasali definendo in tal modo suoni
esclusivamente nasali. Non essendo però presenti nelle cavità nasali altri
articolatori mobili, le caratteristiche di nasalità sono praticamente immutabili
per tutti i suoni nasali

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 Entrando nella cavità buccale, il flusso d’aria può essere alterato dalla
presenza di ostacoli di diversa natura che mediante il ricorso degli articolatori
mobili disponibili (lingua e labbra) possono essere localizzati in diversi punti
 Il suono risultante si dice articolato in un luogo d’articolazione, in base alla
posizione in cui è presente l’ostacolo, e con un modo d’articolazione, in base
alle modalità con cui il flusso viene ostacolato
 Un luogo d’articolazione distinto può essere definito in base al punto di
articolazione dell’organo fisso interessato, ma anche alla posizione specifica
dell’organo mobili coinvolta nella formazione dell’ostacolo
 L’organo mobile per eccellenza è la lingua di cui distinguiamo diverse
posizioni indipendenti nella formazione dei suoni:
 Apice
 Dorso
 Radice
 Anche le labbra presentano una notevole mobilità e contribuiscono a
differenziare suoni con altri punti d’articolazione che possono essere così,
secondariamente, protrusi o arrotondati
4.1.2 Luoghi d’articolazione
 Si distinguono diversi luoghi d’articolazione:
 Bilabiale
 Labio-dentale
 Inter-dentale
 Dentale
 Alveolare
 Postalveolare
 Alveolo-palatale
 Palatale
 Velare
 Uvulare
 Faringale
 Laringale o glottidale
 In base al grado di restringimento presentato dall’ostacolo è possibile
operare un prima divisione dei suoni:
 Suoni vocalici o vocoidi (vocali): quando il restringimento resta
sufficientemente largo da non ingenerare un soffocamento del flusso
 Suoni consonantici o contoidi(consonanti): quando il flusso viene
interrotto o soffocato , con la conseguente creazione di rumori
4.1.3 Modi d’articolazione
 Per i contoidi occorre distinguere tra i seguenti modi d’articolazione (che
riassumono le condizioni in cui gli organi mobili vanno a formare l’ostacolo in
prossimità degli organi fissi):
 Occlusivo (occlusione totale con rilascio istantaneo, esplosivo)
 Vibrante (occlusione intermittente, sequenze di occlusioni e rilasci)

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 Semi-occlusivo o affricato (occlusione con rilascio graduale con
frizione)
 Costrittivo o fricativo (costrizione con passaggio stretto,
restringimento pronunciato)
 Approssimante (costrizione con passaggio piuttosto largo e instabile)
 In presenza di un’occlusione orale, il velo palatino è abbassato il flusso
ostacolato può rifluire nelle cavità nasali:
 nasale
 Tra le articolazioni orali occorre ancora distinguere quei casi in cui una
contrizione più o meno larga viene localizzata solo lateralmente rispetto a un
ostacolo che ostruisce il flusso. A seconda della larghezza del passaggio e
dalle condizioni dinamiche della sua formazione si distinguono ancora:
 Laterale approssimante
 Laterale costrittivo
4.1.4 Vocoidi
 Occorre osservare che oltre alla diverse posizioni occupate dalla lingua
sull’asse antero-posteriore e ai vari gradi di sollevamento delle diverse sue
posizione, è necessario tener conto anche dell’atteggiamento assunto dalle
labbra
 Si distinguono quindi:
 Vocali procheile (con protrusione e arrotondamento delle labbra)
 Vocali aprocheile (senza protrusione e/o con stiramento orizzontale
delle labbra)
 Sul “trapezio vocalico” si distinguono si solito:
 Quattro gradi di apertura
o Alto (o chiuse): [i y u]
o Medio-alto (medio-chiuse o semi-chiuse): [e ø o]
o Medio-basso (medio-aperte o semi-aperte): [ε ᴧ ɔ]
o Basso (o aperte): [a ɑ]
 Tre assi posizionali principali (anteriore, centrale, posteriore): luoghi
d’articolazione più propriamente (pre-)palatale, prevelare e velare

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 Si noteranno in particolare:
 Il grado quasi chiuso: timbri quasi alti e centralizzati [I Ʊ Ƴ]
 Il grado medio: vocale centrale e media, lo schawa [ə]
 Il grado quasi aperto: qualità vocaliche quasi basse [æ ɐ]
 In italiano il sistema vocalico in posizione accentrata permette di distinguere
fino a sette timbri vocalici cioè [i e ε a ᴐ o u]. I primi tre timbri rappresentano
vocoidi anteriori non arrotondati mente gli ultimi tre rappresentano vocoidi
posteriori arrotondati. [a] viene usato per vocoidi centrale più che anteriori
 I quattro gradi di apertura sono:
 Quello chiuso [i u]
 Quello semi-chiuso [e o]
 Quello semi-aperto [ε ᴐ]
 Quello aperto [a]
4.1.5 Contoidi
 La classificazione articolatoria dei suoni consonantici in termini di modi e
luoghi d’articolazione può essere basata sulla tabella IPA
 I due suoni che compaiono in ciascuna casella possono essere relativi a
contoidi sordi (disposti nella metà SX) oppure contoidi sonori (disposti nella
metà DX)
 Le caselle contrassegnate da aree più scure prevedono articolazioni
giudicate impossibili. Le caselle vuote lasciano spazio a combinazioni di tratti
(di luogo e di modo) possibili, ma fono logicamente non sfruttate o poco
sfruttate nelle lingue del mondo
labi
bilabi o- dent alve postal retrof pal velar uvul farin glotti
ali dent ali olari veolari lesse atali i ari gali dali
ali
occlusi
pb tt dt td tt dt ʈɖ cɟ kg qɢ ʔ
ve
nasali mm m ɱɱ ɱ nm n ɳɱ ɳ ɲɱ ɲ ŋɱ ŋ ɴm ɴ
vibranti ʙm ʙ rm r ʀm ʀ
monovi
ɾ ɽ
branti
affricat ppp ɸ ppp f p tt θ dpt tp t s d p p p ʈp ʈ ʂ ɖɖp ccp ç kkp x qqp χ
tt ʃ ddt t ʒ ʔʔp h
e bbp β bbp v dpt ð dp z ʐ ɟp ɟ ʝ ggp ɣ ɢɢp ʁ
fricativ
ɸβ fv θð sz ʃʒ ʂʐ çʝ xɣ χʁ ħʕ hɦ
e
fricativ
e ɬɮ
laterali
appros
ββ ʋ ðβ ɹ ɹt ɻ j ɰ ʁβ
simanti
appros
simanti lm l ɭɱ ɭ λm λ ʟm ʟ
laterali

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4.1.6 Illustrazione dei simboli IPA
 Alcuni suoni possono assumere durate minori o maggiori oppure
raggrupparsi in sillabe contrassegnate da un rilievo accentuale rispetto alle
altre
 Nel primo caso di parla di durata dei suoni, un fenomeno che viene
convenzionalmente indicato facendo seguire al simbolo di base di suoni
lunghi il diacritico. Nel secondo caso si tratta invece del fenomeno
dell’accentazione: per quelle lingue che possiedono un accento lessicale il
simbolo usato nelle trascrizioni IPA per l’accento primario è [‘]
 Un’illustrazione dei principali simboli usati per le articolazioni vocaliche deve
comprendere almeno i seguenti:
 A questi si aggiungono le consonanti:
 Costrittive laterali (alveolari) sorda e sonora
 Retroflesse
 Alveolo-palatali
 L’alfabeto e le convenzioni IPA prevedono inoltre alcuni simboli speciali usati
come modificatori dei simboli di base visti fino a qui (simboli diacritici)
 Le vocali nasali sono trascritte col ricordo a un importante diacritico, la tilde
[˜]
 Le vocali rotacizzate o retroflesse hanno però una certa importanza. Il
diacritico usato in questo caso è [˞], una piccola r
 La desonorizzazione di un suono sonoro si indica con un circoletto
sottoscritto al simbolo di partenza [˳]
 La palatalizzazione, cioè il risultato della presenza, nell’articolazione di un
suono non normalmente palatale, si un’articolazione secondaria palatale [j]
4.1.7 Segmentazione e trascrizione
 Il parlato è stato interpretato come il risultato della concatenazione di
segmenti distinti.
 Si deve a questa convenzione la soluzione di rappresentarlo come
combinazione di vocoidi e contoidi
 Il parlato è il risultato di un movimento di parti diverse dell’apparato di
produzione sonora e di una particolare sincronizzazione tra i gesti articolatori
compiuti da questi sulla base di principi di organizzazione che esulano dal
rigido quadro lineare, risentendo invece verosimilmente dei condizionamenti
derivanti dalle loro partecipazione a strutture di dimensioni e di portata
crescenti
 Al livello locale, questi complessi meccanismi danno luogo a fenomeni di
dilatazione o di riduzione e a fenomeni di sovrapposizione che producono
fasi di coarticolazione particolarmente evidenti in alcuni casi o eventi
macroscopici di assimilazione a contatto o a distanza
 Il difficile compito di attribuire a quelle fasi o a quei fenomeni più regolari
un’etichetta linguistica è stato storicamente risolto con l’adozione di un

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sistema di rappresentazione grafica di tipo alfabetico ma soprattutto con la
riflessione grammaticale, che attribuisce alle lingue che ne beneficiano un
maggior grado generale di formalizzazione
 I parlanti di una lingua definiscono forme di regolarizzazione della pronuncia
e stili di lingua accurati in cui rendere particolarmente salienti i modelli
articolatori (o percettivi o misti) di riferimento
 Un inventario sonoro oltre a prevedere le proprietà fonetiche principali dei
suoni più comuni di una lingua, dovrebbe comunque isolare le unità sonore
funzionalmente distintive, considerarne le varianti combinatorie più
sistematiche e i fenomeni di riduzione più tipici
 È possibile procedere al riconoscimento e all’attribuzione di un simbolo a
ciascuna delle unità sonore presenti o attese nelle realizzazioni di parlato da
analizzare, siano esse classificate a un livello di dettaglio oppure a un livello
più alto di astrazione, siano esse riferite a un parlato più spontaneo (di solito
ipoarticolato) oppure a un parlato più controllato (e quindi quando non
iperarticolato)
4.2 Luoghi e modi d’articolazione dei contoidi più comuni in italiano
 L’italiano sfrutta con particolare sistematicità i seguenti luoghi
d’articolazione:
 Il bilabiale, per la produzione di realizzazioni di /p/, /b/, /m/ e, in
parte, /w/

 il labio-dentale, per la produzione di realizzazioni di /f/ e /v/ e del


tassofono [ʋ] di /w/

 l’alveodentale: apico-dentale+predorso-alveolare (a punta bassa) per


la produzione di realizzazioni di /ts/ e /dz/ e dei tassofoni [n+] di /n/ e
[l+] di /l/; apico(lamino)-alveodentale in comuni rese di /t/ e /d/;
lamino(o predorso)-alveolare (a punta alta) nelle altre realizzazioni

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di /n/ e /l/; lamino-alveolare nella maggior parte delle realizzazioni
di/s/ e /z/; apico-alveolare (più o meno avanzata) nelle rese mono- o
poli-vibranti di /r/

 il postalveolare, per la produzione di realizzazioni di /ʃ/, /tʃ/ e /dჳ/ e del


tassofono [n] di /n/

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 il palatale, per le realizzazioni di /j/, /ɲ/ e /ʎ/

 il velare, per le realizzazioni di /k/ e /g/, del tassofono [ɳ] di /n/ e, in


parte, di /w/

 I modo d’articolazione sfruttati più abitualmente per i contoidi italiani sono


sempre relativi a contoidi pneumonici:
 Un modo d’articolazione piuttosto distinto è quello nasale (in presenza
di un’occlusione orale, ma con velo palatino abbassato e flusso
egressivo convogliato all’esterno attraverso le cavità nasali)

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 Occlusivo (occlusione totale con rilascio istantaneo, esplosivo)

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 Costrittivo (costrizione con passaggio stretto, restringimento
pronunciato tale da costringere il flusso a produrre una frizione) o
fricativo

 Semi-occlusivo (occlusione con rilascio graduale con frizione) o


affricato

 Laterale (approssimante, nel caso in cui una costrizione più o meno


larga venga localizzata solo lateralmente – da un lato o da
entrambi – rispetto a un ostacolo che ostruisce il flusso solo nella
porzione mediana del condotto vocale)

 Vibrante (occlusione intermittente, sequenze di occlusioni e rilasci,


oppure brevi interruzioni dovute a contatti rapidi)

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 Approssimante (costrizione con passaggio piuttosto largo ma molto
variabile nel pur breve tempo d’articolazione). Si caratterizza proprio
per una variazione dinamica continua che porta un articolatore mobile
(proveniente da una posizione corrispondente a quella determinata dal
suono articolato precedentemente) ad approssimarsi
temporaneamente a un articolatore fisso, per poi allontanarsene
gradualmente (verso la posizione richiesta dall’articolazione del suono
seguente)

Struttura delle parole nelle lingue: l’analisi morfologica


5.1 Parola e morfema
 Morfemi: unità di livello superiore che intervengono nella costruzione
lessicale e grammaticale del messaggio stesso
 Il significante dei messaggi linguistici si costituisce anche in base a una
selezione dei messaggi linguistici si costruisce anche in base a una
selezione di unità che preleviamo da un inventario più o meno finito di
elementi morfologici che possiamo distinguere in morfi o morfemi
 Le stessa nozione di parola non sembra infatti universale e la usa presenza
come concetto operativo nelle diverse tradizioni glottologiche dipende in
genere dal sistema di scrittura
 Questo concetto offre un riferimento di sicura utilità nelle tradizioni culturali in
cui è diffuso e presenta in molti casi una buona corrispondenza con i
segmenti del livello di analisi in cui ci stiamo situando, le unità elementari che
più generalmente si rivelano utili a questo scopo sono quelle più universali
definite precedentemente: i morfemi
 Domani ti comprerò un regalo
 Comprerò: possiamo osservare come sia possibile distinguere il
contributo di tre morfi compr-, -er-, -ò, riconoscendo l’informazione
semantica associata al primo morfo compr- e recuperato altre
informazioni distinte da quelle degli altri due: quella del tempo verbale
-er-, e quella funzionale del soggetto -ò
La ragione per cui -er- si chiama morfo e non morfema è legata al fatto
che il morfema grammaticale con questa funzione può manifestarsi
anche con altre forme (allomorfi): i due formi -er- e -ir- sono due
manifestazioni del morfema del futuro

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Sono quindi allomorfi, quei morfi che rappresentano varianti di uno
stesso morfema e che quindi, pur avendo una forma diversa, hanno la
stessa funzione linguistica
 Domani: è associato a un significato ben preciso e che infatti risulta
monomorfematico con proprietà lessicali e referenziale (relative al
contesto temporale dell’informazione)
 Ti: sembra gravitare più stabilmente attorno alla parola seguente:
anche a confronto con altre tradizioni linguistiche, per molti si porrebbe
il dubbio sulla possibilità di considerare ti comprerò come una parola
unica
 Un: elemento monomorfematico sicuramente poco mobile ma
abbastanza labile da essere facilmente sostituito nell’uso da altri
elementi paradigmatici
 Regalo: parola polimorfematica. Regal- è stabile, portatrice di
significato e quindi considerata radice lessicale, è legato un morfo
grammaticale, -o, che manifesta la classe morfologica d’appartenenza
della parola
5.2 Morfi grammaticali e lessicali
 Nella costituzione delle nostre parole vediamo che, al primo livello di
strutturazione, attingiamo a un serbatoio di forme precostituite di una lingua,
un inventario costituito da classi chiuse di morfi (prefissi, suffissi o desinenze)
con funzione grammaticale
 Alcuni esempi possono essere:
 Nominali: -o, -a, -i, -e, -ì+a, -ièr+e, -ètt+o, -ità, -aumènt+o
 Verbali: -ìre, -ére/°ere, --(i)àmo, -àrono, -à
 Aggettivali: -(à/ì/ù)bil+e, -ìssimo
 Avverbiali: -ménte
 Altri elementi grammaticali, con funzioni referenziali più evidenti possono
essere poi:
 Possessivi: mi+o, tu+o, etc
 Determinanti: il / (-l) l’/ (-l) l+o / gli / i, (-l) l’ / (-l) l+a, un/un + o,
quest+o, quell+o, etc
 Qualificatori/intensificatori: molt+o, poc+o, tutt+o, etc
 Connettori: e, o, ma, se, che, etc
 Preposizioni: a, con, di, da, su, per, in, dentro, dopo, etc
 Pronomi: io, tu, te, lo, ci, gli, vi, che, etc
 Deittici avverbiali: qui, oggi, subito, etc
 Altri morfi che si situano a cavallo delle classi viste sopra: sì, no, non,
ahi, mannaggia, accidenti, etc
 Questi morfi grammaticali presentano però caratteristiche diverse a seconda:
 Appartengono a un paradigma flessionale: come ad esempio -o, -a, -i,
-e che completano la parola, determinandone la classe di
appartenenza che ne fanno variare alcune proprietà grammaticali

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 Presentino una proprietà derivazionale: cioè in grado di formare parole
nuove a partire da una radice originaria. Ad esempio i suffissi -étt-,
-ità-, -ìzz-, -éggi-, etc
 Riguardo la flessione (che include declinazione e coniugazione) diciamo che
può interessare classi qualitativamente a quantitativamente diverse e che in
una stessa lingua può mostrare comportamenti mutevoli e capricciosi
 Sono morfemi grammaticali tutti quei morfi che contribuiscono al
riconoscimento della classe grammaticale di appartenenza della parola o che
consentono di derivare nuove parole da forme di partenza, con informazioni
semantiche che restano invece ancorate a morfemi lessicali
 Lupo
 Da lup+o è possibile ottener, per suffissazione, lup+étt+o, una parola
che conserva un legame semantico con la precedente
 Allo stesso modo, possiamo ottenere, per prefissazione ad esempio
disordine da ordine
 Gli affissi (prefissi e suffissi) possono avere la proprietà di derivare forme
appartenenti a classi diverse (da nominale a verbale, da verbale a nominale,
da verbale ad aggettivale, da aggettivale ad avverbiale etc)
 In italiano la derivazione avviene comunemente per prefissazione e/o
suffissazione
 La parasintesi interessa numerosi verbi (e derivati) ottenuti per prefissazione
e suffissazione simultanee. Ad esempio sbarcare, da barca (= s- + barc(a) +
àre)
 La retroformazione è un procedimento di derivazione che rinuncia alla
normale suffissazione presente nei casi più comuni. Accade nella formazione
di nomi deverbali come esproprio, modifica, o sbarco i quali, pur derivando
da verbi non presentano i comuni suffissi deverbali
 I morfi flessionali e derivazionali sono produttivi a partire da altri morfi
 Oltre ai morfi grammaticali, è esperienza comune riconoscere un ben più
cospicuo numero di morfi con proprietà esclusivamente semantico-lessicali
 Morfi come lup-, amic-, gall-, elevant-, etc, che finora avevamo designato
come radici, costituiscono appunto le basi lessicali della lingua, elementi del
vocabolario, più che della grammatica, di cui dispone il parlante
5.3 Allomorfia e suppletivismo
 Forme di variazione di uno stesso morfema sono spesso presenti anche per i
morfemi derivazionale e sono comuni nelle lingue flessive
 In queste lingue, casi di allomorfia sono diffusi a confine di morfema
 Il legame tra gli allomorfi è trasparente in termini sincronici e si giustifica
come risultato dell’applicazione di regolari processi fonetici
 Molti allomorfi lessicali si presentano collegati tra loro da relazioni più
accidentali talvolta riconducibili a ragioni etimologiche

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 La variazione che lega corp- e corpor-, or- e aur- e zolf- e solfur- si definisce
suppletivismo, dato che morfi alternativi si manifestano nella derivazione
delle varie parole
 È cosi che il morfo lessicale corp-, ottenuto per regolare evoluzione, nella
formazione dell’aggettivo corrispondente supplisce un morfo corpor-
 Suppletivismo forte: quando l’origine dei due allomorfi è addirittura
riconducibile a lingue originarie diverse e, pur essendo evidente il loro
legame semantico, non è più possibile riconoscere somiglianze tra i
significanti
 In italiano questo accade in un numero cospicuo d’esempi come
acqua/ìdrico, cuore/cardiaco
 Nel derivare l’aggettivo dal nome nei primi due esempi si è scelto un
allomorfo di origine greca
 Altri esempi di suppletivismo forte si hanno spesso della formazione di
aggettivi etnici. Ex Germania/tedesco
5.4 Derivazione e composizione
 Derivazione: parole formate a partire da una radice originaria con l’aggiunta
di prefissi e/o suffissi
 La derivazione permette la creazione di parole nuove, partendo da una
radice pre-esistente, con l’aggiunta di affissi
 Il processo è molto diffuso in italiano al punto che una parola derivata può
diffondersi e sopravvivere anche più della base da cui deriva in uno stadio
evolutivo precedente
 Reale, realmente, realizzo, realizzazione, realizzabile, etc derivano tutti da
reale
 La derivazione può presentarsi anche per la prefissazione; da reale si ha per
ex irreale, con l’aggiunta del prefisso ir-
 La formazione delle parole può avvenire infatti anche per composizione,
assemblando una o più basi lessicali diverse nella produzione di parole
composte
 Numerose parole composte dell’italiano è però di derivazione dotta e risale
prevalentemente all’epoca rinascimentale
 Si tratta i quelle parole note come composti neo-classici (ex centrifugo,
multiforme, filosofia, metamorfosi, etc)
 I due elementi lessicali di queste formazioni sono di solito entrambi di origine
latina
 Ciascuno dei componenti può infatti occupare diverse posizioni: si parla di
solito di prefissoidi per tutti quei morfi che occupano la posizione tipica del
prefisso e i suffissoidi per quei morfi che occupano la posizione tipica del
suffisso
 Più recentemente, alcuni di questi morfi sono stati usati con maggior libertà al
punto da produrre composti ibridi, detti appunto ibridismi, in cui uniscono
prefissoidi e suffissoidi di origine diversa come televisione o elettroshock

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 Alcuni di essi hanno acquisito maggiore autonomia fino a determinare morfi
lessicali con nuovi significati. Ex autocritica, autovettura. Proprio a partire da
quest’ultimo, per accorciamento, comincia a essere usato come morfo
indipendente: auto che acquista il significato di automobile
 Si distinguono composti come capostazione o cassapanca da composti
come manomorta o attaccapanni.
 Cassapanca e capostazione
Capostazione s’usa per indicare una persona, il capo della stazione;
cassapanca s’usa per designar una cassa adatta anche a essere usata
come panca: il primo di dice composto con testa a sinistra perché, tra i
due morfi che partecipano alla composizione, quello più a sinistra è
ancora associabile a referente di partenza; il secondo si dice invece
composto a due teste perché entrambe le basi del composto sono test,
infatti cassa-panca può anche essere una panca che funge da cassa.
Entrambi questi composti si definiscono endocentrici
 Manomorta e attaccapanni
Nessuno dei due si riferisce a qualcosa di già designato dalle parti
originarie: manomorta designa un insieme di beni o diritti che in
passato alcune classi sociali dominanti si arrogavano a scapito delle
classi povere: il significato associato non è attribuibile a nessuno di due
elementi del composto, né si può suddividere tra essi. Allo stesso
modo attaccapanni indica un arnese per appendere indumenti né
attacca né panni si riferiscono originariamente a quest’arnese. Questi
composti si definiscono senza testa o testa esterna oppure composti
esocentrici
 Tuttavia più recentemente, in conseguenza di una tendenza sempre più
diffusa a riprodurre l’ordine delle parole straniere, si sono affermati anche
composti come scuolabus o ferrovia, i quali designano un referente specifico
già significato da uno dei due elementi del composto: quello più a destra. Si
chiamo composti con testa a destra
 Una derivazione può avvenire per semplice passaggio di categoria, senza
aggiunta di affissi
 Unità multilessicali sono definite polirematiche dato che esse contendono più
contributi semantici che determinano significati finali nuovi. Ad esempio aceto
balsamico, camera da letto
 Un modo relativamente più recente di costruire le parole che presenta
scarsa attinenza con la morfologia tradizionale, tipica e produttiva di una
lingua, è quello offerto dalle cosiddette parole macedonia, come motel,
smog, docufilm
 Casi di aplologia in casi in cui la riduzione è indotta dalla presenza di due (o
più) sillabe simili in successione che vengono così semplificate, come
tragicomico invece di tragico-comico
5.5 Tipologia morfologica

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 Le lingue possono differenziarsi notevolmente in base alle loro specifiche
tendenze a previlegiare una data strategia nel costruir e nell’organizzare
parole e frasi
 Anche solo confrontando italiano e inglese, inserite in un contesto socio-
geografico e culturale piuttosto permeabile si riscontrano notevoli differenze
morfologiche
 L’inglese presenta una scarsissima propensione a segnalare variazione di
genere: come l’italiano alterna due morfi flessionali per realizzarla, la parola
inglese corrispondente reta invariata. Nella formazione del plurale, si noterà
che l’italiano privilegi alternanza di morfi, mentre l’inglese faccia ricorso a
morfi additivi
 Sia l’inglese che l’italiano sono lingue flessive.
 Le lingue fusive sono quindi, in generale tra le flessive, quelle che
presentano un maggior carico morfologico per i morfi grammaticali
 La diffusione di proprietà di questo tipo può portare alla fusione di un unico
morfo di inumazioni che in altri esempi della stessa lingua sono affidate a
morfi diversi
 Un esempio è il caso del francese au la cui funzione è quella di preposizione
e di articolo. Si parla in questi casi di amalgama
 In molte lingue flessive si è in presenza di morfi cumulativi, che accumulano
informazioni grammaticali distinte in un unico elemento morfologico
 Estranee da questi fenomeni sono le cosiddette lingue agglutinanti, nelle
quali tutte le informazioni grammaticali sono affidate a morfi distinti che si
aggregano tra loro, senza fenomeni di fusione. In questo tipo ideale di lingue
non vi sono manifestazioni di flessione ma solo di aggregazione (es. turco)
 Le lingue polisintetiche aggregano diverse basi lessicali dello stesso tipo
creando composti che a volte possono corrispondere a espressioni che in
altre lingue sarebbero affidate a sintagmi (es. tedesco)
 La tendenza alla composizione si radicalizza in quelle lingue, dette
incorporanti, in sui compaiono regolarmente composti che presentano
simultaneamente basi nominali e verbali, che rivelano la loro tendenza a
formare interi enunciati come se fossero una parola unica (es. islandese)
 Un’eccezione possono essere, in italiano, le parole come pòrtalo o
pòrtaglielo in cui si aggregano forme verbali e pronominali con la funzione di
vere e proprie frasi indipendenti
 Nelle lingue in cui le parole possono anche essere mascherate da sistemi
ortografici che ignorano gli spazi di separazione, come il cinese mandarino,
sono dette isolanti. C’è tuttavia chi ha riconosciuto comportamenti simili in
numerosi esempi dell’inglese
 La conclusione che si trae è che le lingue possono presentare in genere
comportamenti vari e assorti e apparentemente a tipo morfologico soltanto
per certi aspetti e in una certa misura
 Con la minore o maggiore fusione sono misurabili attraverso un indice di
fusione (IF), che stima il numero medio di informazioni grammaticali distinte

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presenti negli eventuali morfi flessionali di una lingua, così una misura di
sinteticità di una lingua si può determinare mediante un indice di sintesi (IS)

Il lessico delle lingue: l’analisi semantico-lessicale


6.1 Lessici: struttura ed evoluzione
 La comunicazione linguistica però avviene mediante segni, mediante quella
che si definisce la significazione, la quale consiste nell’associazione di un
significato a certe porzione del messaggio
 Quando si analizza il lessico una lingua sul piano del significante di
distinguono le parole:
 In base alla funzione che svolgono e alla posizione che occupano
solitamente nella frase
 In base alla distinta morfologia che le caratterizza (tipo di flessione o di
coniugazione)
 L’organizzazione all’interno della quale si studiano i rapporti tra le parole di
una lingua è tradizionalmente il lessico il quale, pur tenendo conto di una
classificazione formale delle parole, si struttura essenzialmente in base alle
relazioni tra i significati
 Il significato delle parole è centrale nell’organizzazione linguistica mentale di
ogni parlante e dell’intera comunità d’individui che condivide una lingua
 Le parti del discorso, che costituiscono le categorie funzionali, lessicali o
grammaticali, da cui attingiamo per formulare i nostri messaggi linguistici,
definiscono una base importante di classificazione degli elementi del lessico
di una lingua
 L’unità minima fondamentale su cui si base quest’organizzazione di elementi
linguistici, in cui prevalgono i rapporti di significato, è quindi il lessema
6.1.1 Omonimia e polisemia
 Omonimia: fenomeno per cui due parole hanno uguale suono e grafia, ma
etimo e significato diversi
 Lemma: parola che per convenzione è scelta per rappresentare tutte le
forme di una flessione
 Polisemia: parole ortograficamente e fono logicamente uguali ma con
pluralità di significati
 Le modalità in cui un lessema assume nuovi significati (traslati/figurati) sono
diverse; tra le principali si ricordano appunto quelle per contiguità o
metonimia e quelle per analogia o metàfora
 Quando una parola assume più significati si parla di spostamento di
significato e di usi figurati
 Sinèddoche: restrizione (ex: tanto per molto) o di generalizzazione o
amplificazione (ex: grosso per grande, finito per andato)
 Ipèrbole o esagerazione (ex: colossale per grande)
 Eufemismo o interdizione (ex: estinto o scomparso per defunto)
 Disfemismo (ex: vecchi per genitori)

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 Antifrasi (ex: bestiale per bello)
6.1.2 Il lessico tra Langue e Parole
 Vi sono significati referenziali, relativi alla concettualizzazione elementare
di qualcosa che esiste al di fuori della lingua (referente)
 L’uso creativo del lessico da parte del singolo parlante nell’esecuzione di
ogni suo atto di Parole che origina significati operazionali
 Significato denotativo del lessema cioè quello oggettivo e referenziale
 Significato connotativo, più soggettivo, indotto dell’uso specifico che ne fa il
parlante
 Lessicologia: relazioni tra i lessemi
 Lessicografia: relazioni semantiche e fono-morfologiche tra lessemi
6.1.3 Il lessico tra lingua, cultura e società
 I significati sono codificati linguisticamente in un sistema di opposizioni che
prescinde dalla conoscenza del mondo esterno che i parlanti hanno nello
spazio determinato in cui si trovano a vivere in un doto momento storico
 Si distingue solitamente tra lessico e enciclopedia proprio alla base del fatto
che le relazione semantico-lessicali tra le parole di una lingua dipendono da
proprietà immanenti e non da corrispondenze con una realtà esperienziale
 Significato sociale: contribuisce a marcare alcuni lessemi (con modalità che
sono in genere abbastanza chiare ai parlanti nativi), interferendo con
l’evoluzione lessicale della lingua
6.1.4 Semantica componenziale e proto tipica
 I legami tra i lessemi non stabiliscono soltanto sul piano del significante ma
su quello del significato
 Solidarietà semantica (comprende il campo semantico e la sfera
semantica): parole morfologicamente diverse che possono appartenere alla
stessa area semantica o avere parentela di significato
 Uno spazio semantico può essere suddiviso tra veri lessemi che non si
sovrappongono ma che risultano complementari nella sua copertura
esaustiva: si parla di campo semantico
 Abbracciando invece l’insieme dei significati correlati in un settore ampio si
parla invece di sfera semantica
 Assumendo alcuni elementi semantici come tratti componenziali (binari o
graduati) si potrebbe descrivere il significato dei lessemi che ricoprono un
campo con un insieme di questi
 Prototipo: primo esemplare, modello originale di una serie di realizzazioni
 La semantica prototipica ci permette di osservare come alcune parole non
siano sullo stesso piano
 Una distinzione utile a questo proposito riguarda la valutazione delle
proprietà che descrivono un significato e ne definiscono quindi una
concettualizzazione logica (intensione), nonché l’insieme dei referenti cui
quel significato può essere applicato (estensione)
6.1.5 Altre relazioni semantico-lessicali

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 Molti significati si organizzano in termini di somiglianza, inclusione o
incompatibilità semantica
 Una proprietà che lega semanticamente i lessemi in base alla somiglianza
dei loro significati è la sinonimìa, che accomuna in modo sistematico,
talvolta anche solo in minima parte, le parole di significato identico o, più
spesso, solo simile
 Relazioni d’inclusione semantica o di iponimìa sono quelle in cui il significato
di un lessema può essere compreso in un termine più generico
 I lessemi di una famiglia semantica, interessati da relazioni d’inclusione, si
possono organizzare in alberi semantici. Non tutti i sovraordinati sono però
sempre definiti su livelli omogenei di ramificazione
 Esempi d’incompatibilità semantica si presentano invece in casi di antonimia,
contraddizione e inversione quando la presenza di un lessema in un
enunciato esclude quella di un altro
 Si ha antonimìa quando i significati di due lessemi sono l’opposto
lungo una scala graduabile
 Si ha contraddizione quando i significati di due lessemi si collocano
all’opposto lungo una scala con due poli che non ammettono gradi
intermedi
 La complementarietà può prevedere più di due poli di significato: la
negazione di un lessema non implica un significato univoco
 Le relazioni d’inversione sono quelle che legano lessemi come
debitore-creditore
 Vi è poi associazione lessicale con appartenenza alla stessa area di
significato oppure per corrispondenza da una lingua all’altra (per traduzione)
 Etronimìa cioè di designazioni variabili su base geografica o sociale
6.2 Lessici e sub-lessici: uso, disponibilità, evoluzione
 Il lessico di una lingua si costituisce, si struttura ed evolve tenendo conto dei
legami interni tra i lessemi e degli usi dinamici cui questi vengono sottoposti
 Parole come occhio, casa, dito nonostante la loro frequenza d’uso possa
indurre ambigui ed equivoci e/o forse proprio per un certo grado si usura si
prestano a usi diversi da quelli originari
 Vi sono parole di uso comune, appartenenti a un lessico fondamentale che
sono maggiormente presenti nei nostri enunciati o nel nostro quotidiano
linguistico
 A queste si affiancano circa 2000 parole dette ad alto uso e altre 2000 note
ma non sempre (da tutti) usati che sono classificate come ad alta disponibilità
 Vi sono lessemi detti comuni che (ri)conosciamo indipendentemente dal
nostro ambiente di vita
 Per finire con gruppi di parole sempre meno vitali e universali nella comunità
dei parlanti: si distinguono infatti lessemi di basso uso o obsoleti, talvolta
solo varianti grafiche o fonetiche arcaiche sconosciute alla maggior parte dei
parlanti e ritenute soltanto ai fini lessicografici

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 Il lessico di una lingua è costituito da sub-lessici a diffusione più o meno
limitata: si distinguono di solito lessici e linguaggi specialistici e lessici e
linguaggi settoriali. Tra questi, una menzione va anche ai termini letterari
 Completano il quadro gli esotismi o forestierismi oppure le neo-formazioni
con accezioni sconosciute alla lingua straniera da cui regionalismi
6.2.1 Composizione ed evoluzione del lessico di una lingua
 Indipendentemente dall’uso che il parlante fa del lessico nella sua lingua e
indipendentemente dalla rappresentazione che questo si può fare secondo
impressioni quantitative, il lessico può essere visto anche in termini dinamici
e diacronici, distinguendo quelle tra le sue forme che appartengono a una
lunga tradizione particolare da quelle che rappresentano formazioni
relativamente recenti di diversa matrici
 Neologismi: in genere, parola o locuzione nuova
 Parlanti nativi o patrimoniali: coloro che hanno fatto ricorso continuato da
tempi più antichi di una lingua
 Il lessico nativo della lingua italiana trae origine principalmente dal latino
 Molti lessemi fondamentali sono di regolare derivazione latina
 Nel lessico d’uso italiano sono però entrate anche voci di lingue straniere
(forestierismi)
 Una menzione particolare meritano molte forme d’origine latine, introdotte
successivamente o reintrodotte come cultismi (voci dotte) e tecnicismi
 Molti lessemi, di origine diversa, sono però obsoleti e sono anche usciti dal
nostro lessico, al punto che molti dizionari non li menzionano neanche più
oppure li registrano solo come arcaismi (obsoleti)
 Tabuismi: lessemi il cui uso assume connotazioni soggette a censura
(bidello o handicappato)
 Gergalismi: eufemismi o giudizi sociali variabili e transitori (matusa per
anziano)
6.2.2 Prestiti e calchi
 Nella situazione lessicale, giocano un ruolo essenziale il contatto linguistico e
le valutazioni sociali. Così come per l’obsolescenza, anche nell’introduzione
di neologismi possiamo osservare diverse dinamiche, quando questi si
basino sul modello di altre lingue
 Si parla in generale di prestiti quando i nuovi lessemi introdotti derivano da
quelli usati in una lingua straniera (donatrice) e di calchi quando nuove
espressioni lessicali sono create soltanto ispirandosi al modello di
un’espressione diffusa nella lingua straniera di riferimento, senza
l’introduzione di nuovi lessemi
 Prestiti di necessità: sono prestiti di necessità perché introducono significati
nuovi associati a referenti o pratiche non attestati precedentemente nella
cultura o nella società che li accoglie (yoga, mouse, yogurt)
 Prestiti di lusso: sono prestiti inessenziali e artificiosi in quanto inutili e
inspiegabili

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 Prestiti adattati: parole con caratteristiche fono-morfologiche tali da essere
confusi con parole native
 Prestiti non adattati: parole che sono evidentemente non native
 Prestiti di ritorno: parole che una lingua presta all’altra e che da questa
vengono restituiti anche se modificati nella forma o nel contenuto
 Si ha invece un calco semantico quando ci si ispira al modello di
un’espressione diffusa nella lingua straniera di riferimento senza importarne
esplicitamente i lessemi
6.2.3 Prestiti di adstrato e di superstrato
 Prestiti di adstrato: quelli che avvengono nei casi in cui una lingua,
confinando con un’altra, la influenza trasmettendole elementi lessicali per
contatto alla pari
 Prestiti di superstrato: quando le popolazioni parlanti queste lingue si
erano imposte militarmente nel quadro politico-economico
 La concentrazione di molti di questi prestiti in un lessico specifico militare o
giuridico-sociali rivela però una supremazia che, ancora una volta, può
essere anche solo settoriale

Frasi ed enunciati: l’analisi sintattica delle lingue


7.1 La sintassi tra scritto e parlato
 La lingua parlata presenta notevoli differenze da quella scritta
 Con la riflessione grammaticale (metalinguistica), molte varietà linguistiche
hanno raggiunto un certo grado di formazione in virtù del quale i parlanti
hanno l’impressione di parlare producendo enunciati accurati che
corrispondono ai modelli di riferimento offerti dalla grammatica
 Al centro della sintassi è infatti il concetto di frase, intesa come entità
linguistica che funziona da unità comunicativa autosufficiente
 A questo concetto molte tradizioni grammaticali associano di solito la
presenza di una predicazione, cioè l’attribuzione di un predicato a un
soggetto –di un verbo a un nome- che risulta, in genere, in una struttura del
tipo attante-azione
 Tuttavia nel parlato spontaneo si fatica a riconoscere strutture con queste
caratteristiche: la comunicazione parlata di base sull’enunciazione, cioè sulla
produzione di un’entità delimitante (spesso semanticamente e
sintatticamente incompiuta) che definiamo enunciato
 Alcuni criteri di definizione delle entità autonome della sintassi, in genere
basati su criteri basati su indipendenza sintattica, compiutezza ed efficacia
semantica, si scontrano con le reali condizioni di realizzazione degli enunciati
 Frasi vere e proprie, come quelle descritte dalle grammatiche tradizionali,
sono invece difficili da trovare nello parlato spontaneo

7.2 Parti del discorso e analisi in costituenti


 Gianni ha comprato il giornale

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 Notiamo un certo ordine delle parole che potrebbe essere modificato in
molti modi
 Alcune parole con certe caratteristiche morfologiche possono occupare certe
posizioni, altre no
 La ragione di questi vincoli risiede proprio nel fatto che alcune classi di parole
presentano una diversa distribuzione oppure, anche in base a questa,
possono assumere funzioni diverse
 Quali siano le regole con cui si ordinano e si aggregano le parole costituisce
uno degli oggetti di riflessione tradizionale della grammatica che ha indicato
alcune relazioni fondamentali
 La base di partenza è offerta dalla cosiddetta analisi di costituenti immediati,
un’analisi della frase nei suoi costituenti di primo livello e, successivamente,
di questi nei loro costituenti di rango inferiore
 Le prime teorie generativo-trasformazionali hanno inferito un insieme di
regole di “riscrittura” che permettono di rappresentare le modalità con cui la
frase (F) si “trasforma” da una sua formazione elementare, pretesa più
profonda e universale (del tipo F-> SN + SV), alla sua realizzazione finale,
seguendo le tappe di riscrittura del tipo:
F -> SN + SV
SN -> N -> Gianni,
SV -> V + SN,
V -> legge
SN -> D + N,
D -> un,
N -> libro
 La riscrittura delle variabili formali si basa sulla nozione di sintagma, inteso
come gruppo di parole coeso
7.2.1 Parti del discorso e categorie grammaticali
 Tradizionalmente le grammatiche di alcune lingue distinguono parti del
discorso variabili e invariabili a seconda della loro morfologia
 Verbo (V): è una parte del discorso che assolve la funzione della
predicazione, contribuendo a definire i contenuti dell’enunciato legati al
divenire, all’azione, allo stato del soggetto
 Nome (N): insieme di parole che più universalmente usiamo per designare
entità concrete o astratte. I nomi sono però spesso “determinati”, cioè
preceduti o seguiti da altre parole che servono a delimitare meglio i termini
della loro applicazione e/o esenzione (il, un, quel, certi, etc)
 Determinante (D): corrisponde in molte lingue all’articolo o al dimostrativo
(possessivo) che usiamo davanti al nome per rendere operativo il suo
significato nell’ambito di un enunciato
 Preposizione (P): lega il nome ad altre strutture precedenti o seguenti in una
relazione di dipendenza
 Aggettivo (A): funzione di modificatore del nome.

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Davanti al nome, tuttavia, alcuni aggettivi tendono ad assumere una funzione
descrittiva, mentre dopo il nome agiscono di solito restringendone il
significato, funzione restrittiva.
In questa categoria, la grammatica tradizionale ha fatto rifluire parti del
discorso varie e distinguibili, includendo ad esempio quantificatori, numerali e
i cosiddetti indefiniti, i quali rappresentano funzione, distribuzione e
morfologia notevolmente diverse
 Possessivo (Poss): parole che possono essere aggiunte a quelle dei
determinanti, degli aggettivi o dei pronomi (ex: mio, tuo, suo)
 Avverbio (Avv): un modificatore verbale.
Sono avverbi tutte quelle parole che finiscono con –mente. Gli avverbi si
distinguono in avverbi intensificatori aggettivali (ex: molto bello, molto veloce)
e in avverbi focalizzatori (ex: proprio, anche, ancora, soprattutto, etc) che
oltre ala funzione avverbiale, ne hanno una legata alla possibilità di dare
maggior rilievo informatico a un costituente in un enunciato (ex: è proprio
bello, è proprio lui, etc)
 Pronome (ProN): parole che sostituiscono i costituenti nominali per
riprendere un significato implicito, precedente o seguente. In questi ultimi
casi, il procedimento è noto come anàfora, quando il pronome segue il
costituente cui fa riferimento, o come catàfora, quando lo anticipa (ex: a
Gianni piace molto questo libro l’ha letto di getto)
Alcuni pronomi non appaiono però solo in virtù di questi procedimenti e sono
invece legati alla deissi, cioè all’associazioni con elementi non linguistici, ma
referenziali
Allo stesso modo funzionano altri deìttici non pronominali che classifichiamo
di solito tra gli avverbi (qui, ora, subito, presto, etc)
 Connettore (CONN): elemento che assicura la concatenazione tra le parti di
un enunciato
Un connettore universale è la congiunzione e. Altri connettori sono o, ma,
tuttavia, se, sia, etc
 Parole di dubbia classificazione sono:
 Le tradizionali interiezioni come ahimè, mannaggia, dai!, eh, etc
 Le tradizionali intercalari come dunque, cioè, allora, diciamo, etc. Oggi
sono visti come marcatori discorsivi cioè elementi essenziali per la
riuscita della comunicazione linguistica
 Profrasi: elementi che sostituiscono intere frasi come sì e no
7.2.2 sintagmi, teste sintagmatiche, relazioni tra i sintagmi
 La definizione di sintagma, inteso come aggregazione di parole
sintatticamente coese, poggi sulla nozione di testa, cioè la parola che
rappresenta l’elemento minimo (essenziale) del sintagma, attorno al quale di
raggruppano gli altri suoi elementi
 I principali costituenti sintagmatici con cui abbiamo a che fare hanno, di
solito, teste nominali, verbali o preposizionali
 Sintagma nominale (SN): Gianni legge molti libri antichi

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 Sintagma verbale (SV): Gianni legge molti libri il quale intrattiene relazioni
con l’altro sintagma presente nella frase
 Sintagma preposizionale (SP): la cui testa, meno intuitivamente che negli
altri due casi, è una preposizione. Gianni legge molti libri di linguistica
 Un altro tipo di relazione sintagmatica diffuso tra le lingue è l’accordo
7.2.3 Criteri per l’individuazione dei sintagmi
 La coesione di un gruppo di parole e la sua struttura di dipendenze si
valutano per mezzo di criteri che testano la facilità d’inserzione di nuovo
materiale linguistico o le possibilità di movimento dello stesso ipotetico
gruppo
 Vi sono cinque criteri utili ai fini d’individuazione dei sintagmi in una frase:
 Criterio della sostituzione (sostituibilità): i cuochi tagliano le cipolle
 Criterio del movimento (mobilità): i cuochi tagliano le cipolle tutti i
giorni
 Criterio dell’ininseribilità: consiste nel provare a inserire in un gruppo i
parole che sospettiamo sia un sintagma, materiale linguistico mobile
(ex avverbi di tempo o simili): il cuoco del ristorante accanto ha
preparato una zuppa di cipolle rosse
 Criterio della coordinabilità: consiste invece nel provare a coordinare
a un sintagma ipotetico un gruppo di parole che sospettiamo sia dello
stesso tipo: i cuochi tagliano le cipolle e le carote
 Criterio della enunciabilità in isolamento: è sintagma un gruppo di
parole che si può isolare da una frase, per formare un enunciato
autonomo: cosa tagliano i cuochi?
7.2.4 Dipendenze e alberi sintagmatici
 I cuochi tagliano le cipolle
SN -> i cuochi
SV -> tagliano le cipolle, alla cui costituzione partecipa un SN(le cipolle)
 Tradizionalmente queste trasformazioni si dispongono in uno schema
grafico, detto albero sintagmatico, che permette di coglierle a colpo d’occhio,
individuando le relazioni di dipendenza che si stabiliscono tra i costituenti
 L’albero si caratterizza per la presenza di diramazioni in corrispondenza di
ogni nodo in cui avviene una riscrittura (F -> SN + SV corrisponde al nodo F
da cui partono due rami verso i nodi SN e SV;
SN -> D + N si manifesta con due diramazioni verso due nodi D e N). La
dipendenza del sintagma le cipolle nel nodo SV è regolata del criterio 1, cioè
dalla possibilità di sostituire questo

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 Applichiamo il criterio 4 a questo sintagma

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7.2.5 Valenza verbale e nominale
 Verbi come dormire e riposano, rispetto a frasi con verbi tagliano e preparano
in cui compaiono altri sintagmi nel SV, fanno perdere le ramificazioni
 Transitivi sono quei verbi che richiedo un oggetto diretto per completarsi
 Gianni trasporta pacchi tutto il giorno
È evidente che tutto il giorno non serve alla realizzazione della frase mente
pacchi serve a trasporta. Si dice allora che tutto il giorno è un circostanziale
mentre pacchi è un argomento del verbo trasporta da cui dipende. Gli
argomenti sono quindi sintagmi più o meno direttamente collegati col verbo o
da questo dipendenti, mentre i circostanziali (o avverbiali) sono più liberi e
hanno funzioni inessenziali
 Il sistema di dipendenze che inducono verbi diversi è rianalizzato in termini di
valenza verbale, cioè in base al numero di argomenti che il verbo richiede
per costruire una frase ben formata
 Cammina è un verbo monovalente perché richiede soltanto un argomento
 Trasporta è un verbo bivalente perché richiede un altro argomento
 Vi sono poi verbi trivalenti e quadrivalenti (dare, ricevere, dire, etc)
 Esistono anche verbi avalenti (o zerovalenti) che realizzano pienamente tutte
le loro funzioni grammaticali e semantiche senza richiedere argomenti
espliciti (piovere, grandinare, etc)

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 Alcuni deverbali mostrano infatti la necessità di conservare uno o più
argomenti, tra quelli necessari al verbo da cui derivano, attraverso relazioni
esplicitate da sintagmi preposizionali, si tratta della valenza nominale
 Molti verbi intransitivi possono infatti essere bivalenti (andare, vedere, salire,
etc)

 La rappresentazione schematica tipica per una frase simile (Gianni va a


Roma), nell’ambito della grammatica tesnetiana, che tribuna un’importanza
particolare al verbo e ai suoi argomenti sarebbe stata mutatis mutandis uno
stemma del tipo seguente

 Nell’ambito generativista invece, l’analisi dei costituenti è stata rivisitata in


una teoria più recente (nota come X-barra) nella quale il simbolo di categoria
più generico e consente alcuni livelli di proiezione che prevedono lo stesso
ruolo sintattico (in generale una testa X) riscrivibile come X II -> Spec + XI -> X
+ Comp, in cui Spec è uno specificatore, un modificatore di un sottolivello
inferiore (un determinante, un soggetto = NII etc) e Comp è un complemento
(un aggettivo, un oggetto = NII, un SP = PII o un SV = VII etc)

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7.3 Tipi di frase e proposizioni
7.3.1 Popolarità e diatesi
 È possibile distinguere le frasi in base alla loro polarità, cioè in base al valore
positivo o negativo della dichiarazione che contengono: è affermativa la
polarità di Gianni legge libri mentre è negativa quella di Gianni non legge libri
 Diàtesi: rapporto tra frasi attive e frasi passive

7.3.2 Dipendenza e coordinazione


 Oltre che in base alla loro modalità, le frasi possono essere classificate
anche in base alla loro complessità, cioè in base alla presenza di uno o più
predicati, e dal tipo di rapporto che si instaura tra le preposizioni
(dipendenza)
 Si dice semplice una frase con un solo predicato
 Si dice complessa una frase con più predicazioni. Oltre a permettere di
distinguere una predicazione principale, le frasi complesse possono poi
includere altre predicazioni che si organizzano in proposizioni subordinate o
coordinate
 Pensa, predicato di questa che consideriamo una proposizione dell’intera
frase, è preceduto da un elemento introduttivo di connessione, il connettore
mente. La proposizione mentre pensa è in ipotassi rispetto alla proposizione
principale Gianni cammina, è cioè una frase dipendente o subordinata
 I cuochi tagliano le cipolle e preparano il sugo
Notiamo come in una stessa frase due predicazioni possono definire
proposizioni non dipendenti l’una dall’altra, ma essere coordinate in relazione
di paratassi

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7.3.3 Tipi di dipendenti
 Oltre alle preposizioni dipendenti con valore circostanziale o avverbiale ve ne
sono alcune con valore argomentale.
 Vi sono cioè preposizioni in grado di sostituire un sintagma presente nella
frase per “saturare” una valenza verbale
 La frase dipendente viene detta completiva e, in base alla funzione sintattica
realmente svolta può distinguersi in completiva oggettiva, soggettiva o
nominale

 Gianni sa che non verrai


Si tratta di una frase completiva oggettiva per via del fatto che si trova nella
posizione di un complemento oggetto diretto di cui svolge la funzione
 Vi sono anche completive soggettive (completa la frase con funzione di
soggetto) e completive nominali (si ritrova in frasi che descrivono idee, fatti,
possibilità, sensazioni. Costituiscono l’oggetto di un nome o di un aggettivo
che senza di esse non avrebbe significato specifico)
 Un altro tipo di dipendenti molto diffuso anche in italiano è quello delle
relative, che aggiungono una predicazione introno a uno dei costituenti
nominali della principale, richiamandolo mediante un pronome
 Si distingue infatti tra relative restrittive (che restringono il significato del
nome cui sono associate) e relative descrittive (appositive, quando
aggiungono, contengono la virgola)
 Tutte le relative viste fino a qui hanno un antecedente, un elemento espresso
in precedenza cui si ricollega il pronome relativo. Una subordinazione può
tuttavia avvenire anche per mezzo delle cosiddette relative senza
antecedente (ex: chi vuole andare, vada)
 Le modalità sintattiche della subordinate relative hanno ricevuto nell’italiano
scritto una codifica esplicita che ne ha stabilizzato l’uso anche nell’italiano

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parlato colto; non è così nell’italiano popolare in cui sopravvivono modalità
non standard e un uno molto più libero del cosiddetto che polivalente
7.3.4 Segmentazione (frasi segmentate)
 Pleonasmo: presenza cioè di riprese e sottolineature considerate ridondanti
e, quindi, poco eleganti (ex: a me mi piace)
 Se nel parlato colloquiale e informale sono naturali e, anzi, molto funzionali,
in una produzione scritta soltanto all’occhio come piuttosto inappropriati e
inadeguati
 In realtà questi usi pleonastici non sono altro che una manifestazione di una
segmentazione, cioè dell’estrazione di alcuni elementi frasali per la
produzione di enunciati collegati, ma rispondenti a esigenze di
focalizzazione, promozione del tema o del rema o, in generale,
manifestazione di una prominenza semantica, pragmatica e/o informatica
 Nel parlato, in generale in tutte le lingue, la realizzazione di frasi come quelle
già viste è in genere soggetta a formulazioni alternative che portano alla
produzione di enunciati molto più frammentari e “irregolari”
 Frase dislocata a destra: isolamento a DX per marginare un qualcosa (ex: si
tratta di vedere come attuarle, queste norme)
 Frase dislocata a sinistra: l’oggetto viene anticipato e ripreso da una
particella pronominale (ex: queste norme, si tratta di vedere come attuarle)
 Tema sospeso:si inizia la frase con un soggetto e la si termina con un altro
(ex: Gianni, abbiamo regalato un libro a Gianni)
 Frase scissa: frase tagliata, da una frase unica se ne ricavano due (ex: è a
Gianni che abbiamo regalato un libro)
7.4 Tra sintassi e semantica
7.4.1 Ambiguità semantiche e/o funzionali
 L’ultima rilettura di Benigni è stata molto divertente
L’ambiguità semantica consiste in questo caso nel fatto che la “rilettura di
Benigni” può essere “la rilettura dei lavori o delle interpretazioni di Benigni
da parte di qualcun altro” o “la rilettura di qualche opera da parte di B.”. In
entrambi i casi, l’albero sarebbe il seguente, dato che il sintagma nominale
l’ultima rilettura di B. è oggettivamente formato dagli stessi costituenti
sintagmatici

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La soluzione viene dal fatto che rilettura può essere considerato bivalente e
che l’argomento che svolge la funzione di soggetto, nel primo caso, non è
esplicitato, mentre s’intende che l’oggetto della “rilettura” sia B.
7.4.2 Funzioni sintattiche e ruoli semantici
 In molte lingue, sono le marcature morfologiche (il caso nominativo per il
soggetto e il caso accusativo per l’oggetto diretto) che sottolineano le
funzioni sintattiche
 In altre lingue, come l’italiano, è l’accordo tra verbo e nome o la loro
posizione reciproca nell’ordinamento delle parole che attribuisce ai costituenti
nominali o preposizionali le funzioni di soggetto, oggetto diretto, indiretto o di
completamento
 Si tende a distinguere le funzioni sintattiche dai ruoli semantici (o tematici):
 Agente: per il soggetto della frase (Gianni cammina)
 Paziente: per l’oggetto della frase (Gianni calpesta la strada, Gianni è
ancora agente)
 Sperimentatore: (Gianni dorme)
 Beneficiario: entità a vantaggio della quale va l’evento predicato
(Gianni riceve un regalo)
 Strumento: al ruolo di sperimentatore o paziente associato al
complemento, corrisponde il ruolo di strumento del soggetto (a Gianna
dà fastidio il vento)
 Destinazione: a questi complimenti che costituiscono mete o obiettivi
di verbi di movimento si attribuisce il ruolo di destinazione (Gianna va a
Roma)
 Come si vede non si corrispondenza costante tra le funzioni e ruolo, la cui
distribuzione o selezione dipende il parte dalle proprietà semantiche e
sintattiche del verbo e in parte dalle proprietà degli stessi sintagmi che
realizzano i suoi argomenti. Vi sono verbi italiani (aumentare, crescere,
affondare, etc) permettono costruzioni intransitive o transitive
7.4.3 Organizzazione pragmatico-informativa
 Gianni va a Roma
Gianni è soggetto (sintattico), soggetto logico (o semantico-referenziale:
l’agente, l’individuo che realmente si sposta) e il tema di cui si parla
Quello che accade a Gianni è predicato e rema, cioè l’informazione che la
frase dà attorno al tema
 Esistono lingue che dispongono di elementi grammaticali in grado di isolare
e/o sottolineare ciascuna delle due parti di queste strutture tema-rema
 Dopo Gianni, anche Carlo sarà interrogato dalla polizia
Se analizziamo la frase sul piano delle informazioni date e nuove ci
accorgiamo di un altro tipo di organizzazione. L’organizzazione tematica
risente quindi delle informazioni condivise che si presentano in una struttura
piuttosto indipendente
 Solo in alcuni casi (e solo parzialmente) l’organizzazione informativa ricalca
quella tematica

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L’analisi pragmatica degli enunciati: alcune caratteristiche
 La struttura della lingua è descritta suddividendola in diversi livelli: fonetico-
fonologico, semantico-lessicale, morfo-sintattico, testuale
 Il livello pragmatico è considerato da alcuni come un piano di analisi estraneo
alla struttura della lingua, ma per certi versi trasversale ad esse
 La pragmatica linguistica (o pragma-linguistica) si occupa di tutto ciò che
costituisce il contesto: chi sono gli interlocutori; chi sono l’uno per altro; cosa
sanno che l’altro sa; di quale argomento parlano; con quale scopo; in quale
ambiante; ciò che si sono già detti (contesto)
 La pragma-linguistica è “lo studio dell’uso della lingua”
 Questa definizione presuppone che la lingua sia considerata come uno
strumento per comunicare. In questo senso la comunicazione è una forma di
azione che usa la lingua per modificare la realtà (l’interlocutore) secondo
l’intenzione di un parlante (locutore)
 Secondo la teoria di Austin, ogni scambio comunicativo è un’azione
8.1 Gli atti linguistici
 In realtà la “forza” dell’azione è rintracciabile nelle parole che si usano tutte le
volte che si pone una domanda, si fa un’affermazione o si dà un ordine. In
questo modo si realizza un atto linguistico
 Formulando i nostri messaggi, noi componiamo contemporaneamente tre
atti:
1. Atto locutivo: consistente nel formare il messaggio con una certa
attenzione alla sua struttura linguistica (la formulazione vera e propria
è invece un atto proposizionale). È l’atto con cui il parlante costruisce il
messaggio, concentrandosi sulla sua struttura
2. Atto illocutivo: con il quale si manifesta un’intenzione comunicativa
sottostante all’enunciato, una volontà di agire da parte
dell’interlocutore. Consiste nel dare rilievo al suo significato oggettivo,
al suo valore.
Ci possono essere vari tipi di atti illocutivi come la domanda, la ricerca,
la dichiarazione, la promessa, etc.. e ciascuno di loro deve rispondere
a regole precise, dette regole costitutive di quella specifica classe si
atti. Esse rappresentano le condizioni di buona riuscita, di successo
della sua intenzione comunicativa.
In realtà, l’atto illocutivo, con il quale il locutore presente
all’interlocutore la sua intenzione comunicativa è spesso mascherato
da accorgimenti locutive (e proposizionali) che lo “travestono” di parole
che sembrerebbero esprimere un’altra intenzione comunicativa, meno
diretta, meno “aggressiva” nei confronti dell’interlocutore
Questi atti linguistici in cui l’atto locutivo non è trasparente rispetto
all’atto illocutivo, sono detti atti linguistici indiretti
3. Atto perlocutivo: con il quale si cerca di produrre un effetto
nell’interlocutore. Si concentra sull’effetto che s’intende ottenere

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8.1.1 Atti linguistici, comunicazione e contesto
 Lo studio dell’acquisizione del linguaggio del bambino ha rivelato che l’atto
illocutivo si può esprimere attraverso atti “locutivi” anche molto primitivi come
la ricerca dell’attenzione condivisa con l’interlocutore sull’oggetto desiderato
 A un certo punto della sua crescita cognitiva e sociale, il bambino sarà in
grado di formulare in sé stesso le prime intenzioni comunicative, che
gradualmente andrà esprimendo in atti locutivi sempre più elaborati, fino al
momento in cui inizierà a usare a tal fine il codice-lingua, in modo sempre più
sofisticato
 Una forma esplicita e diretta di azione compiuta su una componente del
contesto è la deissi
 Essa consiste in espressioni con cui il parlante designa, indica, quali sono le
coordinate contestuali entro cui il suo messaggio va situato per essere
compreso, con l’uso di pronomi personali, dimostrativi, avverbi di luogo, di
tempo, etc
 Il parlante da ricorso a un’espressione deittica nella formulazione dei suoi
messaggi, nella misura in cui esso è sicuro di condividere il contesto con
l’ascoltatore, altrimenti essi non sarebbero comprese
 I deittici sono il segno di come il parlante modella il suo messaggio, a
seconda del contesto condiviso
8.1.2 Atti linguistici e funzioni comunicative
 Se la lingua è uno strumento da usare, essa può servire a svolgere delle
funzioni
 Sono queste funzioni l’oggetto di studio di Jakobson che le descrive
attraverso uno schema di sei funzioni basato su un modello di evento
comunicativo
 In ogni scambio comunicativo
 Un parlante
 Invia a un ricevente
 Un messaggio
 Che è ottenuto mediante l’uso di un codice
 E che viaggi lungo una canale
 Per trasmettere informazioni riguardo a un referente (cioè il dato di cui
ci si riferisce)
 Le sei funzioni si realizzano a seconda di quale di questi sei elementi (o
fattori) è particolarmente in gioco in quell’evento comunicativo:
 Se lo scambio avviene per permettere al parlante di esprimere le sue
credenze e i suoi sentimenti, in quel caso si svolge prevalentemente
una funzione emotiva
 Se il parlante intraprende lo scambio per influenzare il ricevente, farlo
agire in un certo modo, si tratta si funzione conativa

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 Se al centro è posto il messaggio e l’evento comunicativo “gioca”
attorno alla capacità dei sui significati e i sui significanti hanno di
evocare “oltre”, quell’evento, esso svolgerà una funzione poetica
 Se oggetto dello scambio è il codice usato dagli interlocutori in quanto
tale, con la sua struttura, le sue regole, allora si tratterà di una funzione
metalinguistica
 Se lo scambio nasce per rinsaldare la coesione tra gli interlocutori,
quindi aprire o verificare l’esistenza di un canale che li unisce, ma
senza comunicare precise informazioni, esso svolge una funzione
fàtica
 Se lo scambio nasce per trasmettere un’informazione riguardo al
referente, svolge una funzione referenziale
8.2 La logica della conversazione
 Se comunicare vuol dire “agire”, la comunicazione è un tipo di azione che
coinvolge sempre almeno due persone, le quali se vogliono davvero
comunicare devono collaborare
 Questo è l’assunto di Grice, un filosofo che ha analizzato una particolare
forma di collaborazione comunicativa, la conversazione, considerandola
come uno speciale tipo di interazione cooperativa
 Questo tipo di scambio è molto frequente nel corso delle quotidiane
occasioni comunicative e può essere considerato un contesto comunicativo
fondamentale dal momento che è quello in cui tutti abbiamo imparato la
struttura linguistica e le regole d’uso se non altro della nostra lingua-madre
 Nella conversazione è implicito, un principio di cooperazione che si realizza
su quattro livelli: nell’essere chiari, sinceri, pertinenti e adeguatamente
informativi
 Grice identifica così quattro massime conversazionali da tutti implicitamente
rispettate quando di vuole far riuscire, efficacemente, la conversazione:
 La massima del modo, che si potrebbe rendere con l’imperativo “siate
perspicui” (cioè chiari, in equivoci, ordinati)
 La massima della qualità, che si potrebbe tradurre nell’imperativo
“fornite un contributo vero” (cioè non dite cose false o di cui non
disponete di prove)
 La massima della pertinenza, che si potrebbe tradurre nell’imperativo
“fornite contributi pertinenti” (cioè non cambiate argomento)
 La massima della quantità, che si potrebbe rendere con l’imperativo
“fornite le informazioni nella quantità che serve alla conversazione in
questione (cioè né in eccesso, né in difetto)
 Queste massime rappresentano i pre-requisiti razionali di una conversazione
efficace
8.2.1 Semantica frasale: implicature e presupposizioni
 L’analisi di ciò che guida una conversazione può aprire un paragrafo sul
funzionamento della comprensione dei messaggi trasmessi da parte dei
partecipanti e delle frasi che essi possono formulare

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 Ci chiediamo su che si basino le loro inferenze, cioè come avvengano le
attribuzioni di significato alle diverse unità sintattiche usate
 Le massime convenzionali di Grice rientrano in un quadro più ampio che
studia la semantica frasale in base alle implicature conversazionali
 In questo tipo di analisi si intende dar conto di come i partecipanti a una
conversazione possano compiere le inferenze che permettono loro di
convergere su significati condivisi, dedotti non dal significato delle parole, ma
da regole contestuali, di natura sociale
 Una natura più semantica hanno le inferenze che si basano sul concetto di
presupposizione
 Esse sono compiute sulla base si alcune espressioni linguistiche che aprono
l’accesso a informazioni extra-linguistiche che hanno completato
l’attribuzione di significato a una messaggio
 Nel concetto generale di significato presupposto rientrano poi ancora altre
informazioni che contribuiscono a creare inferenze: l’enciclopedia e i concetti
di “nuovo” e “dato”
 Enciclopedia: insieme delle conoscenze che gli interlocutori posseggono
sulla base della loro cultura e delle loro esperienze
 Allo stesso modo sarà cruciale per la buona riuscita dello scambio
comunicativo, che gli interlocutori sappiano quali sono le informazioni
contestuali già conosciute, “date”, dall’ascoltatore e quali invece sono per lui
“nuove”
 Le modalità in cui si distribuisce la forza informativa si quanto va affermando
è oggetto di studio e di apprendimento dai tempi della retorica classica
 Ogni volta che parliamo, tutti noi operiamo più o meno inconsciamente delle
scelte “retoriche” a questo livello
 In italiano infatti nelle frasi non marcate il soggetto sintattico e l’argomento
generale, il tema dell’enunciato, coincidono con l’informazione già conosciuta
e sono poste dal parlate in prima posizione, mentre il complemento oggetto
sintattico e lo sviluppo dell’argomento (rema) coincidono con l’informazione
nuova e sono posti in seconda posizione
 Nella dislocazione a SX, il parlante trasforma l’informazione nuova in quello
che potremmo definire il “titolo” dell’enunciato, facendogli occupare la
posizione sintattica naturalmente tenuta dal soggetto della frase
8.2.2 Comunicazione referenziale e pragmatica cognitiva
 Per la buona riuscita di uno scambio comunicativo, non serve solo la volontà
di fondo di cooperare e quindi il rispetto di alcuni principi convenzionali da
parte del parlante, come sostiene Grice, ma serve basarsi su un contratto di
reciproca responsabilità nella gestione passo per passo di quanto viene detto
e capito, fino al raggiungimento di un accordo accettabile da entrambi
sull’argomento in questione
 In questo tipo di scambio il parlante esprime la propria volontà di comunicare
realmente formulando messaggi in argomento, chiari, sinceri e completi, ma

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contemporaneamente controlla l’effetto sull’ascoltatore di quanto sta
trasmettendo e modifica i propri enunciati sulla base di questo
 L’ascoltatore a sua volta ha la responsabilità di fornire dei chiari feedback fin
tanto che non ritiene di aver capito il messaggio in modo accettabile per quel
contesto
 Lo scambio procederà quindi attraverso una sequenza di successivi accordi
raggiunti dai partecipanti, detti contributi
 Negli ultimi anni ci sono stati molti lavori di ricercatori italiani coinvolti nello
studio di dialoghi detti di tipo map task (dialoghi tra due persone che cercano
di ricostruire un percorso su mappe fittizie senza la possibilità per ciascuno di
vedere quello che fa o ha l’altro)
 Si dispone di numerosi dialoghi che sono stati analizzati con un’attenta
classificazione degli enunciati e delle loro parti in termini di mosse
convenzionali compiute dai parlati nell’approssimarsi alla meta e nel
raggiungimento dell’obiettivo del “compito”
 In ambito più generale è stato studiato da Camaioni come si apprende
l’articolata capacità di portare a buon fine una comunicazione referenziale
 Il contesto sperimentale adottato è peraltro facilmente assimilabile a
situazioni comunicative reali e frequenti: il parlante deve fornire
all’ascoltatore le informazioni necessarie perché quest’ultimo riesca a
individuare il referente da lui scelto tra altri
 La competenza referenziale viene quindi intesa dall’autrice come la capacità
di chi parla di fornire le informazioni necessarie e di chiedere che vi ponga
rimedio
 L’autrice individua alcune abilità che sono necessarie per acquisire la
competenza referenziale come parlante:
 Abilità percettive, necessarie per discriminare le differenze tra il
referente e gli altri oggetti/figure non-referenti
 Abilità di sapere procedere con il metodo del confronto per
individuare quali differenze sono essenziali per discriminare il referente
 Memoria di lavoro per tenere a mente insieme tali caratteristiche in
attesa di verbalizzarle
 Abilità linguistiche per tradurre un linguaggio verbale
 La competenza referenziale nel ruolo dell’ascoltatore risiederebbe invece in
abilità meta-comunicative come:
 La capacità di monitorare costantemente la propria comprensione
 Saper individuare le ambiguità e gli errori
 Capire che cosa del messaggio verbale del parlante ha creato
l’ambiguità
 Sapervi porre rimedio
 Ambedue queste competenze pragmatiche risulterebbero acquisite non
prima del secondo ciclo della scuola elementare e risentono di fattori socio-
culturali oltre che cognitivi

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 Nell’ambito della pragmatica comunicativa, sono in corso degli studi che
intendono chiarire la natura cognitiva dei meccanismi necessari alla
comunicazione
 Bara, Bosco & Bucciarelli hanno indagato in ambito evolutivo il legame che
sembra esistere tra la capacità di affrontare con successo scambi linguistici
di crescente complessità e che richiedono quindi:
 Rappresentazioni mentali via via più complesse e catene inferenziali
progressivamente più lunghe
 Sviluppo della teoria della mente (abilità di attribuire agli interlocutori
rappresentazioni mentale e in particolare di distinguere queste
rappresentazione dalle proprie
 L’analisi di come di articola una conversazione ha attirato un crescente
interesse da parte di chi si occupa di patologie della comunicazione
 L’oggetto di studio di tali ricerche è non solo qualsiasi testo prodotto da un
parlante in relazione a un contesto, cioè il discorso, ma l’analisi più generale
di tutti gli scambi comunicativi del parlante con i suoi interlocutori

Elementi di analisi testuale


 Possiamo dire che il testo è un’unita comunicativa e che in tutti i casi si
caratterizza per la presenza di relazioni interne linguistiche e concettuali e di
legami all’esterno con il contesto nel quale viene prodotto
 La sua testualità, cioè la sua natura di testo, nasce dall’insieme di tutte
queste relazioni
9.1 Criteri di testualità
 L’insieme delle relazioni interne ed esterne che legano tra loro gli elemnti
testuali è stato studiato da De Beaugrnade & Bresseler (1984) che lo hanno
descritto secondo sette criteri di testualità:
 Coesione: essa realizza la struttura linguistica del testo attraverso una
rete di richiami semantico-lessicali, morfosintattici e prosodici che
rendono coesi gli enunciati tra loro. Legami come i diversi tipi di
giunzione, la ripetizione, la co-referenza, le parafrasi, i parallelismi,
l’ellissi, etc rispondono all’esigenza di compattare le diverse
componenti formali del testo per renderne più efficiente l’elaborazione
a tutti i livelli coinvolti in produzione e in comprensione
 Coerenza: consiste nei collegamenti logico-concettuali, semantici,
degli enunciati tra loro. Essi possono essere attivati dalle relazioni di
coesione, quindi dalle rete testuale linguistica del testo, ma possono
essere anche inferiti da rimandi al contesto, quali le aspettative e le
conoscenze condivise. Le relazioni che costituiscono la coerenza
possono essere di diversa natura: temporali, causali.. Esse
contribuiscono a configurare il significato del testo che non avrà origine
quindi dalle semplice somma dei significati delle singole parole e delle
singole frasi, ma nascerà proprio da legame che collega tra loro queste
unità linguistiche e dalle loro relazioni con in contesto

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 Intenzione comunicativa del parlante: è lo scopo comunicativo del
parlante che raccoglie per sé, giustificandoli, tutti i singoli passaggi
semantici. È il criterio fondamentale
 Accettabilità: consiste nel ritenere che, fino a prova contrari il testo
dia accettabile come tale
 Informatività: consiste nella valutazione da parte de locutore di
quanto sia già noto al suo interlocutore e di quali informazioni risultino
invece nuove per lui
 Situazionalità:consiste nell’insieme di relazioni con il contesto nel
quale il testo si situa
 Intertestualità:consiste nel fatto che un testo è sempre riconducibile a
un certo tipo di testi e ne riproduce almeno in parte la comune struttura
di fondo
9.2 L’organizzazione concettuale dei testi
 Il testo è stato oggetto di studia anche dalla psicologia cognitiva che ha
prodotto alcune teorie sull’organizzazione concettuale dei testi
 Secondo tale modello, la comprensione testale consiste dapprima, a livello
linguistico, nella decodifica sequenziale delle singole frasi connesse tra loro
da legami sintattici e semantici, che permette poi la loro organizzazione, a
livello cognitivo , in reti concettuali i cui nodi sono costituiti da proposizioni,
secondo la teoria della semantica generativa, cioè di unità cognitive formate
da un predicato e dai suoi argomenti
 Clinicamente di costruiscono in tal modo alcune micro-strutture concettuali
che raccolgono il significato generale delle frasi fin lì trattate, eliminando le
eventuali connessioni semantiche non pertinenti con il contesto in questione
 Tali elaborazioni vendono inviate in un magazzino di memori a più lungo
termine, dove restano fino al momento in cui sono confrontate con le micro-
strutture provenienti da ulteriori cicli di elaborazione
 Tale confronto determina la possibilità di integrare i nuovi significati con quelli
già raccolti, eliminando le ridondanze informative e cercando un legame
significativo con il contesto nel quale si sta svolgendo l’elaborazione del testo
 Si viene così gradualmente a formare la macrostruttura, cioè il significato
globale del testo
 Tale processo sarà tanto più facile, quanto più ma macrostruttura ottenuta
coinciderà con lo schema ideale, la superstruttura, dello specifico tipo di testo
cui appartiene il testo in questione
 Un esempio di superstruttura che guida nella comprensione, è la
superstruttura del testo narrativo, descritta negli studi relativi alla cosiddetta
grammatica delle storie
 Una storia che risponda alla “grammatica delle storie” vuol dire che ha
organizzato i suoi contenuti informativi secondo reti concettuali che
riproducono un’organizzazione di cornici concettuali che raccolgono al loro
interno le rappresentazioni della realtà che convergono insieme perché
riguardano azioni, persone, oggetti vissuti nell’esperienza in modo unitario

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 Una storia “ben formata” riproduce gli eventi secondo il loro specifico
schema-tipo, cioè secondo il loro copione. Esso consiste in una storia di
sceneggiatura dell’evento in questione, che raccoglie le rappresentazioni
spazio-temporali, le azioni, gli attori e i loro ruoli
9.3 Una semantica testuale
 Un’estensione linguistica di questi concetti, maturata nell’ambito di questi
studi, può essere quella suggerita da Ciceri & Bagarozza (2001) che,
riprendendo in ambito semantico i concetti di frame e di script, affermano
che ogni significato (di una parola, frase o testo) si configura all’interno di
una cornice, che raccoglie e organizza le informazione della realtà che si
sono trasformate in rappresentazioni mentali collegate tra loro attraverso
copioni, rappresentazioni della realtà generate da episodi di esperienza
ripetuti, riprodotti attraverso la stessa sequenza di eventi e con lo stesso
scopo
 I tratti semantici non sono quindi liste di caratteristiche memorizzate come
tali, ma informazioni organizzate tra loro all’interno di un frame-cornice che
contiene una rete i cui nodi sono i tratti semantici di quel significato, cioè
azioni, attori, oggetti che lo riguardano e che si attivano interagendo tra loro
nel momento in cui si usa un certo significato
 Ad ogni attribuzione di significato, il frame circoscrive al suo interno una rete
di “tratti semantici-nodi concettuali” pertinenti al contesto in cui viene usato
quel significato, selezionandoli tra i vari nodi che l’esperienza ci ha portato a
mettere in relazione tra i loro script relativi
 Questo processo semantico caratterizza l’apprendimento semantico in età
evolutiva, ma poi prosegue costantemente, modificando e arricchendo la
competenza semantica dei parlanti
9.4 La comprensione del testo
 In ambito psicolinguistico la comprensione del testo cine descritta attraverso
il modello delle reti cognitive
 Ipotizza che la comprensione di un testo avvenga in tre momenti che
possono avvenire a livelli diversi, ma contemporaneamente
 In essi le informazioni del testo sono organizzate in tre tipi di reti cognitive
diverse e interagenti tra loro:
 Strutturale: il risultato della trasformazione cognitiva degli aspetti
linguistici del testo in proposizioni formate da argomenti e predicati.
Individua i “chi” e i “che cosa”
 Esplicativa: stabilisce i legami logico-semantici tra questi nodi, i
“perché” che collegano queste proposizioni
 Gerarchia di scopi: cogliere le intenzioni comunicative dell’autore,
“come mai l’autore dice quella cosa..”

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