Lingua Italiana
Università degli studi di Trieste
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18) Illustrare come per definire l’italiano “medio” si possa fare riferimento
ai concetti di neutralità (non marcatezza) del registro, correttezza
grammaticale e rilevanza statistica.
Nel 1985 Sabatini individua una nuova varietà dell’italiano che denomina “italiano
dell’uso medio” o neo-standard. Questa varietà di media formalità nell’uso parlato e
scritto si differenzia dallo standard perché è decisamente ricettiva dei tratti generali
del parlato ed è il risultato del processo di oralizzazione e ristandardizzazione
della varietà standard.
Le caratteristiche più importanti di questa varietà si riscontrano in ambito
fonetico/fonologico, ortografico, morfosintattico e lessicale.
Dal punto di vista della pronuncia/grafia, sembrerebbero in remissione la d eufonica
e la “i prospettica” (che era la norma comune in italiano e ora si trova soltanto in
forme cristallizzate come “per iscritto”).
Dal punto di vista della realizzazione fonetica pura e semplice ci sono aspetti a cui
nessun italiano fa caso, perché sono ormai entrati nell’uso comune: la pronuncia della
parola “piede” con la “e”chiusa invece che aperta, ad esempio.
Tra i fenomeni di morfologia, i cambiamenti principali riguardano soprattutto il
sistema pronominale, le cui innovazioni sono state rafforzate molto dall’uso parlato
della lingua. Un aspetto abbastanza comune è l’indebolimento dei dimostrativi che
assomigliano sempre di più agli articoli (es: vogliamo discutere di tutti quelli che sono i
problemi…). Per compensare, il dimostrativo viene allora rafforzato (questo qui/quello
qui invece di semplicemente questo/quello). Frequente è l’utilizzo di “questo” e
“quello” in funzione di pronome neutro, anziché ciò. Altro fenomeno comune è la
caduta della prima sillaba (stamattina/cos’è sto coso). Ancora, l’uso di “gli” come
pronome dativale per persona generica per “a lei-a lui-a loro”, l’uso dei pronomi forti e
l’abbandono dei pronomi soggetto deboli (“lui-lei diventano pronomi soggetto anche
se la scuola continua ad imporre l’uso di “egli-ella”); altro uso fortemente criticato,
bandito dalla scuola è il partitivo con le preposizioni (condisco l’insalata con olio e sale
e non con dell’olio e del sale/Esco con amici e non con degli amici); l’uso di verbi
procomplementari, ovvero i verbi che hanno al loro interno dei pronomi clitici
(prendersela, farcela, volerci, averci, esserci, poterne, andarsene..). La prevalenza dei
locativi ci/ce su vi/ve (ce ne sono) e l’uso del ci attualizzante (ce l’hai l’ombrello? /
vederci).
Tra ridondanza pronominale e sintassi di frase troviamo fenomeni come le
dislocazioni (a destra e sinistra), le frasi segmentate (“Quand’è che parti?”).
L’introduzione di nuove espressioni, che accompagnano quelle tradizionali (“come
mai” al posto di “perché”). Contemporaneamente abbiamo un altro fenomeno molto
frequente che è la riduzione del congiuntivo, spesso sostituito dall’indicativo
imperfetto (se lo sapevo non ci venivo), che è conseguenza di uno snellimento delle
strutture sintattiche e dell’influenza del parlato.
Sempre a livello pronominale o comunque di connettori o complementatori, il
fenomeno del “che polivalente” indica un abuso del che in relative laddove sarebbe
necessario il pronome flesso e in sostituzione a frasi con valore temporale, finale,
causale, in frasi scisse o come relativo invariabile con ripresa pronominale (la sera che
ci siamo incontrati/aspetta che te lo spiego/copriti che fa freddo/quand’è che parti? / la
valigia che ci ho messo i libri/Marco è un ragazzo che ci si può fidare). Altre possibilità
del “che” polivalente sono le riduzioni dei nessi, “Tieni conto che si fa tardi” invece di
“Tieni conto del fatto che si fa tardi” (tenere conto di qualcosa e non tenere conto che
I tecnicismi collaterali sono scelte e accostamenti lessicali che non contribuiscono alla
definizione precisa di un’entità, ma sono soltanto preferenze linguistiche legate
un’esigenza di registro che generalmente aumenta la distanza tra specialista e non
specialista (es. accusare un dolore, per os, escutere un teste, 3 pillole al dì, pubblica
istruzione). Si tratta, in breve, di falsi tecnicismi.
2. è corretto definire un corpus come “un insieme di testi aventi una qualche
caratteristica in comune”?
Un corpus è una raccolta di testi (scritti orali o multimediali) o parti di essi in numero
finito (in formato elettronico) che vengono trattati in modo uniforme; tali testi
condividono alcune caratteristiche, quali ad esempio l’autore, la tipologia testuale, la
varietà o anche la stessa modalità di produzione. Con l’aiuto di informazioni aggiuntive
interne (di tipo linguistico, che ad esempio assegnano automaticamente la categoria
grammaticale a una parola) o esterne, i corpora possono essere gestibili ed
interrogabili informaticamente. Qualora le finalità dell’analisi siano prettamente
I precorpora sono raccolte di testi prodotte dagli estensori del Vocabolario della Crusca
prima dell’avvento del computer, quindi in formato non elettronico e sono
analizzati da esseri umani. Un certo numero di opere letterarie di autori di prestigio è
stato infatti preso in esame e confrontato da umani, con lo scopo di dare un significato
alle parole dei testi in base a come queste venivano usate. Tuttavia, non si può
affermare che il loro studio appartenga già alla linguistica dei corpora dato che non è
sufficiente unire diversi testi tra loro e analizzarli: manca l’elemento automatico.
E’ qui la differenza principale tra le due raccolte di testi: i corpora raccolgono testi in
formato elettronico e sono il vero oggetto di studio della linguistica dei corpora. Il
tratto fondamentale di questa scienza, che apparve negli anni 60’, non è il lavoro
soggettivo di un team di esseri umani, bensì un approccio che prevede l’analisi
tramite strumenti elettronici (elaborazione elettronica), quindi automatica, di
un numero di testi di grandi dimensioni che sfugge alla possibilità di controllo
dell’essere umano. L’obbiettivo principale è quello dell’oggettività, intesa come
replicabilità, unito alla fattibilità, ovvero il fatto di poter dimostrare una tesi in termini
di dispendio di tempo ed energia ragionevoli, ottenendo dei risultati concreti.
4. Quale può essere una definizione rigorosa di “corpus”?
La distinzione tra un approccio basato sui corpora (corpus-based) e uno diretto dai
corpora (corpus driven) è stata introdotta per la prima volta da Elena Tognini
Bonelli nel 2001.
Le ricerche corpus-based riguardano generalmente un approccio deduttivo in cui
l’analisi del corpus aiuta a confermare o confutare una teoria pre-esistente.
Praticamente, tramite l’analisi del corpus si testa la veridicità o la falsità di
un’ipotesi.
Le ricerche corpus-driven invece sono di tipo induttivo, vale a dire che il corpus
viene considerato come punto di partenza e attraverso l’analisi e l’interpretazione dei
suoi dati viene elaborata una teoria ex novo, rendendo così il corpus una teoria
linguistica di per sé.
Una linguistica basata sui corpora presenta però dei forti limiti, poiché se da un lato
il corpus è reale e rappresentativo degli usi della lingua e permette lo studio di
fenomeni circoscritti, dall’altro è impossibile che la propria ricerca conduca a risultati
al di fuori del campo di indagine.
La lingua non è definibile come qualcosa di stabile (così come la popolazione che la
parla), ma è l’insieme di tutti gli enunciati che sono stati, sono e saranno prodotti, sia
scritti che orali. È potenzialmente infinita, perché in continua crescita ed
evoluzione, di conseguenza nessuno studio statistico può dirsi veramente completo,
per quanto esteso possa essere, perché entrano in gioco fattori che interferiscono
costantemente nello studio oggettivo dei fenomeni linguistici (diacronia, diatopia,
diastratia, diamesia, diafasia).
Nell’esempio le parole sono 12, di cui 8 di esse sono ripetute (la, panca e capra),
mentre le altre compaiono una sola volta; in totale, si contano 7 diverse forme
grafiche (word types).
Le 12 occorrenze (tokens) indicano la grandezza del corpus, mentre le diverse forme
grafiche (types) rappresentano il vocabolario del corpus.
14. Sulla base della tabella qui sotto, che ne descrive la composizione, che
critiche possiamo fare alla composizione del Brown Corpus?
La prima critica che si può muovere alla composizione del Brown Corpus riguarda la
scelta dei tipi di testi, che è da considerare come ingiustificata e arbitraria. Inoltre,
l’elenco dei tipi di testo presenti nel corpus si rivela inutile, in quanto non aggiunge
informazioni in più riguardo le caratteristiche dei testi e soprattutto riguardo alla
lunghezza temporale del corpus (ovvero il range temporale dei testi scelti). Infine, la
scelta di osservare un milione di parole risulta del tutto arbitraria, poiché non c’è la
certezza che il numero sia sufficiente o meno. Lo stesso discorso vale anche per la
decisione, ingiustificata, di utilizzare campioni di 2000 parole e per la distribuzione dei
campioni per ogni categoria.
Il testo sopra riportato è datato in realtà 1866, ma il lettore odierno non lo distingue
da un testo attuale, perché questo presenta un linguaggio istituzionale usato ancora
oggi al quale chi legge è abituato. I tratti conservati principalmente e tipici di tale
linguaggio sono:
- l’aggettivo anteposto al nome (dovuto importo; perentorio termine; richiesti dati)
- scelta di termini in disuso (presentemente, caposoldo, mora)
- tendenza all’astrazione, preponderanza di nomi che indicano cose astratte,
minoranza di termini tecnici
- inerzia (ripetizione delle formule)
- ricerca dell’eleganza a scapito della chiarezza
- non curanza di chi è il destinatario, non si tiene conto di chi dovrà usufruire del
testo
A livello sintattico, il testo è complesso, con diversi gradi di subordinazione impliciti
ed espliciti. Sono presenti sovra informazioni, sarebbe consigliabile attenersi il più
possibile a “una frase=un’informazione”. L’informazione principale è posta in
fondo, comportando un’ulteriore difficoltà di decodifica.
10) Cosa si intende per “mettersi dalla parte del destinatario” quando si
scrive un testo?
18) Quali possono essere i problemi che emergono nella SELEZIONE delle
informazioni in un testo istituzionale?
Nel selezionare le informazioni in un testo istituzionale, chi scrive non si pone nei
panni del destinatario, scegliendo quindi di inserire dati che sono probabilmente
rilevanti per chi scrive ma non per chi legge, o addirittura inserendo dati confusi,
19) Quali possono essere i problemi che emergono nella DISPOSIZIONE delle
informazioni nell’italiano istituzionale?
Chi si occupa della stesura di un testo istituzionale, per inerzia, pigrizia o scarsa
competenza, e anche perché non si pone nei panni del destinatario, spesso
distribuisce le informazioni selezionate in maniera poco chiara e confusa. Infatti, si
tende a porre in primo luogo informazioni secondarie che non riguardano direttamente
il destinatario, lasciando l’informazione principale e che più interessa il lettore in
fondo. Il destinatario si trova così in difficoltà, perché non trova subito
l’informazione che cerca; chi legge si trova infatti a scorrere per prima una serie di
dati che, casomai, lo concernono secondariamente, richiedendogli ulteriore tempo e
concentrazione (dato che non si tratta nemmeno di informazioni formulate in maniera
tale da facilitarne la comprensione).
Sono spesso presenti incisi e parentetiche che interrompono il flusso della frase e
aggiungono ulteriori informazioni. Molto spesso questi incisi dividono il soggetto e il
verbo, che dovrebbero sempre stare insieme.
27) Quali sono le caratteristiche dei testi istituzionali a livello dei modi e
tempi verbali?
28) Quali sono le caratteristiche dei testi istituzionali a livello del lessico?
30) Riscrivere il testo che segue in forma più efficace dal punto di vista
comunicativo.
Riguarda l’aggiunta di informazioni da parte del traduttore che nel testo originale
erano lasciate implicite, favorendo una maggiore comprensione da parte del lettore.
Nelle traduzioni i nessi logici vengono esplicitati attraverso l’inserimento di connettivi
che esplicitano i legami tra le varie parti del testo, facilitandone così la comprensione.
Si inseriscono informazioni aggiuntive e precisazioni attraverso l’uso di proposizioni
relative e un forte uso di aggettivi. In questo modo le informazioni implicite vengono in
superficie, così da proporre al lettore nella lingua di arrivo un testo di più facile lettura.
Anche per questo le traduzioni tendono ad essere più lunghe dei testi di partenza.
Talvolta anche a livello sintattico e riguardante gli elementi funzionali si riscontra
un’incidenza minore di complementatori (I think you are a pretty girl > in italiano il
“che” sottinteso viene ripristinato: “Penso CHE tu sia una bella ragazza”).
In alcuni casi nei parlanti quasi nativi sottoposti al contatto continuo con una lingua
straniera si verifica una modificazione della grammatica mentale della lingua
nativa. Questo fenomeno non coinvolge le strutture base della lingua, ma le
interfacce, ovvero il punto di incontro tra sintassi e grammatica. Un esempio è la
tendenza ad esplicitare in italiano il pronome personale soggetto, che di solito si
omette, perché sotto l’influenza di una lingua in cui non è possibile ometterlo.
10) Sulla base degli studi disponibili, illustrare i principali tratti dell’italiano
delle traduzioni a livello del lessico.
11) Sulla base degli studi disponibili, illustrare i principali tratti dell’italiano
delle traduzioni a
livello della morfologia.
13) Sulla base degli studi disponibili, illustrare i principali tratti dell’italiano
delle traduzioni a
livello della testualità.
14) Sulla base degli studi disponibili, illustrare i principali tratti dell’italiano
delle traduzioni a livello di lessico, morfologia, sintassi e testualità
Vedi sopra
15) Perché è difficile ricondurre i tratti che differenziano testi tradotti e testi
originali a un preciso universale traduttivo? Fornire qualche esempio.
In primo luogo, gli italiani hanno una scarsa conoscenza della differenza tra l’italiano
delle traduzioni e la loro lingua, anche perché difficilmente entrano in contatto con
testi in lingua. Le caratteristiche delle traduzioni non corrispondono a quelle dei testi
scritti direttamente in lingua italiana, ma ciò non è immediato e percepibile poiché è
necessario un gran numero di testi per riuscire a osservare le differenze tra i due tipi
di italiano. In ogni caso, anche avvalendosi dell’analisi automatica della linguistica dei
corpora, è difficile individuare elementi chiari ed eventi, è più probabile piuttosto
individuare delle caratteristiche del traduttese che sono percepibili più che altro come
delle tendenze di fondo.
Ad esempio, dallo studio di Cortelazzo emerge che c’è un grosso divario nell’uso di
egli/ella tra l’italiano scritto generale e quello scritto delle traduzioni. Considerando
soltanto “egli”, questo viene usato nelle traduzioni circa il 43% delle volte, mentre
WEBWRITING
4) Quali sono le caratteristiche della lettura di testi online? Cosa ci dicono gli
studi di eyetracking?