Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
LINGUISTICA
ITALIANA
Professoressa M.Dota, anno 2021/22
LINGUISTICAITALIANA- lezione 1
Programma di studio:
Strutture dell’italiano standard e neo-standard
Varietà dell’italiano sociolinguistica
Italiano come lingua prima e seconda glottodidattica
Organizzazione esame: l’esame sarà scritto, informale con data non ufficiale più o meno nella seconda metà di
maggio. Tre domande aperte + una facoltativa. Le domande verteranno sui 3 macro-argomenti del corso: ambito
delle strutture linguistiche, ambito sociolinguistico, ambito dell’insegnamento della grammatica + domanda
random. Saranno poi disponibili, come da norma, due appelli a giugno, uno a luglio e uno a settembre; tutti orali.
Che cos’è la LINGUISTICA ITALIANA? È, banalmente, la disciplina che studia la lingua che si usa in Italia. La
linguistica è una disciplina descrittiva (ed estremamente analitica) che studia le lingue in uso nel territorio
italiano, nel passato e nel presente.
L’acquisizione naturale della lingua in famiglia è seguita dall’apprendimento materno, poi quello elementare in cui
c’è l’abbandono delle forme sbagliate apprese spontaneamente (selezione + eliminazione delle forme sbagliate +
conservazione delle forme giuste) secondo regole e filtri datici dall’insegnamento grammaticale ovvero dalla
grammatica normativa. Questa dichiara quali forme sono giuste e quali sbagliate (censurate dalla stessa grammatica
normativa). Tutti i manuali di grammatica partono da due assunti fondamentali:
- In Italia si parla una lingua unitaria
- Ci sono due modi di parlare e scrivere: giusto e sbagliata
L’idea di lingua non ci viene spiegata come essa è nella realtà quotidiana ma come dovrebbe essere in un mondo
ideale. Le grammatiche, infatti, sono prescrittive ci descrivono norme e regole.
La linguistica, invece, è descrittiva perché non si preoccupa di distinguere il giusto dallo sbagliato. Si occupa della
lingua che viene usata realmente tutti i giorni e in tutte le epoche. La linguistica, infatti, non condivide i due assunti
grammaticali soprascritti. Raccoglie, piuttosto, dati empirici e fa osservazioni.
Se dovessimo rivedere quegli assunti, sotto l’ottica della linguistica:
- In Italia non si usa una lingua unitaria, ma più varietà di lingua (e di dialetto). La situazione in cui ci troviamo,
modifica il modo in cui usiamo la lingua (esame vs. aperitivo). Quando scriviamo compiamo delle scelte
linguistiche che sono diverse da quelle che facciamo quando parliamo.
- Per l’italiano esiste un complesso di norme, che ci consentono di compiere la scelta linguistica, di volta in
volta, più adeguata al nostro scopo e alle circostanze della comunicazione.
Ci sono questioni linguistiche su cui gli stessi grammatici non concordano. Espressioni come “il giorno che ci siamo
conosciuti” oppure “non fate casino”, alcuni le considerano accettabili, alcuni le considerano da evitare, altri ancora
le considerano accettabili solo in certe occasioni (conversazioni informali).
Ciò vale per l’italiano contemporaneo, ma la linguistica italiana ha anche una dimensione storica legata ad una
variazione nel tempo dalla quale non possiamo prescindere per due motivi:
- La variazione nel tempo (o diacronica) di una lingua è una costante basta pensare alla differenza che c’è
tra un testo di Boccaccio e un testo di un autore contemporaneo. Cambiano i termini, la composizione della
frase, l’uso dei verbi ecc… Rispetto agli altri, noi italiani siamo fortunati perché, nonostante le differenze e gli
anni trascorsi, possiamo comunque comprendere i testi del Boccaccio piuttosto bene. Al contrario, la lingua
inglese è cambiata molto nel tempo un parlante anglofono trova difficoltà a comprendere Shakespeare.
- La dimensione storica è indispensabile per conoscere e capire le caratteristiche dell’italiano di oggi. Sapere
che l’italiano ha una storia più scritta che orale è importante per capire il perché del prevale di alcune forme.
Questa variazione nel tempo è stata causata anche dal contatto che l’italiano ha avuto con altre lingue.
Fattori esterni che incidono sul cambiamento della nostra lingua:
- Unificazione tarda rispetto ad altri paesi. Anche per questo motivo l’italiano non è stato parlato per molti
secoli.
- Alfabetizzazione, più le persone sono alfabetizzate più la lingua ha possibilità di cambiare.
*Esiste una distanza abissale tra linguistica (descrittiva) e grammatica (prescrittiva).
Che cos’è la NORMA di una lingua? Un insieme di regole che riguardano tutti i livelli della lingua (fonologia,
morfologia, sintassi, lessico, testualità) accettato da una comunità di parlanti e scriventi (o per lo meno dalla
stragrande maggioranza) in un determinato periodo e contesto storico-culturale.
La norma a cui si doveva attenere Ariosto è diversa da quella a cui dovrebbe attenersi uno scrittore contemporaneo.
Che cos’è lo STANDARD di una lingua? Oggi non parliamo lo standard (mai usato da nessuno) ma un neo-standard.
Lo standard dell’italiano è valido soprattutto per lo scritto e le occasioni molto formali. Lo STANDARD è quella
particolare varietà di una lingua eletta, dai parlanti, come quella di riferimento perché dotata di un certo prestigio.
Nel caso dell’italiano, questo prestigio è stato conferito dall’uso letterario che ne è stato fatto a partire dal ‘300.
Tale uso letterario ha spinto la codificazione di questo italiano usato nella letteratura, nei libri e nelle grammatiche.
Standard italiano scritto: il fiorentino. Il fiorentino parlato a Firenze, nel ‘300. Epurato e privato, nella forma parlata,
di quei tratti troppo marcati in senso locale (per esempio l’aspirazione della C occlusiva velare sorda. Tale
fenomeno è detto gorgia).
• Per il parlato, quindi, le grammatiche hanno scelto di eliminare tratti come la gorgia o la realizzazione lenita
delle consonanti C e G (come nel caso di fagiolo, cacio).
Nessun italiano parla l’italiano standard né lo ha mai parlato, almeno ché non abbia seguito un corso di dizione. Lo
standard, soprattutto dal punto di vista del parlato, è un ideale raggiungibile solo tramite lo studio.
Tutti siamo influenzati e assorbiamo il particolare modo di parlare l’italiano (suoni e parole, costruzione frase) del
luogo in cui abitiamo o del luogo da cui provengono i nostri genitori.
Parametri di variazione di una lingua:
- Diacronia, in relazione al tempo.
- Diatopia, in relazione al luogo di provenienza del parlante.
- Diamesia, in relazione al mezzo linguistico che scegliamo di usare (scritto o parlato).
- Diafasia, in relazione alla situazione comunicativa (situazioni molto formali e molto informali, noi oscilliamo
tra questi due estremi).
- Diastratia, in relazione alla classe sociale di appartenenza del parlante e allo status sociale cui appartiene il
parlante. Esempio: l’italiano usato dai nostri nonni (sfortunatamente poco istruiti) vs. l’italiano usato da noi
stessi (studenti universitari). Quindi, anche in relazione al livello d’istruzione. Più si è istruiti meglio ci si riesce
a destreggiare nell’ambito della lingua italiana. Anche l’età influisce (es. termini alla moda o giovanilismi
incomprensibili ai nostri nonni). Anche il sesso sembra influire (oggi questo aspetto è messo in discussione);
ci sono studi che ritengono che il parlato delle donne abbia delle caratteristiche specifiche (es. uso del
diminutivo) che non ritroviamo nel parlato maschile.
- Diatecnìa, in relazione ai nuovi mezzi tecnici e tecnologici di cui disponiamo. Mette a fuoco i mutamenti che
l’italiano subisce quando viene “digitato”. L’italiano standard e i parametri di variazione
Si tratta di una rappresentazione grafica elaborata da Gaetano Berruto (studioso di linguistica italiana) nel 1987,
aggiornata negli anni ’90. Nel 2011 c’è stata l’ultima rivisitazione, ad opera di Giuseppe Antonelli che volle portarlo
al passo con i tempi.
L’asso orizzontale rappresenta la variazione diamesica. Quindi, sulla dx c’è il parlato, sulla sx c’è lo scritto, nella
loro manifestazione prototipica.
L’asso verticale rappresenta la diastratia; in alto le persone con
status socio-economico e grado d’istruzione elevati, in basso le
persone con status e grado d’istruzione bassi. L’asse obliquo
rappresenta la diafasia; in alto a sx c’è il polo più formale, in basso
a dx c’è il polo dell’informalità.
Sullo sfondo c’è la diatopia, che quindi non è rappresentata come
un asse. Tale scelta è legata al fatto che nessuno parla lo standard
e che tutti siamo influenzati dallo spazio, dal luogo di origine. La
variazione diatopica tocca tutte le varietà dell’italiano.
Parliamo per ora SOLO dell’italiano standard che:
- Non è connotato in diatopia, quindi non è legato a regioni geografiche tende al fiorentino ma un fiorentino
epurato.
- È collocato verso il polo elevato della diafasia (formalità) e verso il polo elevato della diastratia (uso colto),
perché l’italiano standard è a panaggio di chi possiede un certo grado di istruzione. - Collocato verso il polo
dello scritto in diamesia.
Lo standard dovrebbe collocarsi nello zero degli assi cartesiani. Ma la storia dell’italiano è stata per secoli la storia di
una lingua scritta, per persone molto colte e contesti molto formali ciò spiega la sua posizione decentrata, nel
grafico.
L’italiano contemporaneo (o neo-standard) mantiene delle strutture in comune con l’italiano standard. Non è uno
standard che si è abbassato all’uso comune ma qualcosa che si è separato dallo standard per via di una maggior
circolazione post-guerra, quando la tv entra nelle case degli italiani, l’alfabetizzazione si diffonde e avviene la perdita
graduale del dialetto.
LINGUISTICAITALIANA- lezione 2
LINGUISTICAITALIANA- lezione 3
Il volgare è ancora in rapporto con il latino e ne porta debiti. Primi esempi di volgare latino classico vs. prima forma
di italiano (dalle prime attestazioni del X sec. d.C. – XIV sec).
Il DE VULGARI ELOQUENTIA (1303-05) dedicata a rendere legittimo l’uso del volgare. La scrive in latino perché
vuole convincere i letterati, gli intellettuali dell’epoca (che scrivevano e studiavano solo in latino) che anche il volgare
era degno di trattare temi elevati.
• Progetto enciclopedico: nelle sue intenzioni, voleva esaminare tutti i volgari fino ad arrivare alla forma più
pregiata del volgare quello municipale (il volgare nella sua forma più localizzata, particolareggiata). Questo
progetto enciclopedico non è stato mai concluso perché l’opera è rimasta incompiuta. Oggi disponiamo del primo
e del secondo libro, interrotto al capitolo XIV. Cosa dice nei libri che ci sono arrivati?
Nel primo libro annuncia il tema: la lingua volgare. Affianco al volgare, in molte comunità, esiste una lingua
secondaria e artificiale, ovvero la grammatica latina (opposizione tra una lingua che non è spontanea, ovvero
la grammatica, ed una naturale che è il volgare).
Poi da uomo medievale si domanda “quale essere umano abbia parlato per primo?”. Il linguaggio, Danta lo sa, è una
facoltà dell’essere umano. La risposta è Adamo. Secondo la sua ottica, la lingua d’Adamo e l’ebraico coincidono,
poiché la lingua d’Adamo è rimasta (dopo l’episodio della Torre di Babele) come appannaggio esclusivo della
popolazione ebraica. Per questo motivo, in questo libro c’è la rappresentazione dell’episodio della Torre di Babele
come un episodio nefasto per l’essere umano; però questo episodio è la chiave per capire che le lingue sono
soggette a variazione. In Europa, individua tre lingue:
• A NORD: gruppo germanico
• A EST: la lingua dei greci
• RESTO EUROPA: una terza lingua, il tripharium tripartita
▪ lingua d’oc (provenzale)
▪ lingua d’oil (antenato del francese) ▪ lingua del sì (italiano).
Riesce ad individuare in che modo complesso si possono differenziare le lingue. Egli vuole arrivare al volgare latium,
al volgare dell’Italia. Fa tutto questo discorso, in un’ottica enciclopedica, per arrivare ad un volgare ancora più
localizzato non è ancora municipale come sarebbe stato il suo intento, ma è più localizzato dell’idioma tripharium.
Cosa fa quando arriva a trattare il volgare Latium? Svolge una rassegna empirica dei volgari italiani, alla ricerca del
volgare illustre, cardinale, aulico, curiale.
• Illustre = utilizzabile in contesti letterari, che dia lustro e che sia illustre.
• Cardinale = deve fare da cardine a tutti gli altri volgari presenti nella penisola italica.
• Aulico = deve essere usato nell’aura.
• Curiale = deve essere utilizzato nelle corti.
Dante non trova un volgare già presente nella penisola italica che rispecchi tutte queste caratteristiche.
Si dimostra aspro nei confronti del fiorentino (troppo municipale, dai suoni aspri), neanche siciliano e bolognese,
che prima del fiorentino hanno dato uso notevole in letteratura, possono assurgere al ruolo di volgare illustre
questi però, a differenza di altri, si sono distinti provando ad emanciparsi dal tratto di municipalità.
Dante cercava un volgare sopra-municipale, e che fosse in grado di proporsi come lingua unitaria.
Il “De Vulgari Eloquentia” importante perché era la prima riflessione esplicita sullo stato linguistico dell’Italia in un
momento cronologico legato al ‘300. Dante nel suo progetto considera in totale 14 volgari (non solo il fiorentino).
Prima analisi sociolinguistica citazioni e trascrizioni dei vari volgari.
Sunto del ‘400: età dell’Umanesimo è caratterizzata dalla riscoperta dei testi classici, greci e latini e quindi un
momento di revival che ha conosciuto il latino nel suo aspetto classico, nell’Umanesimo, il volgare è tornato in
secondo piano. Già alla fine del ‘400, però, sempre a Firenze ricomincia un momento di rivalutazione del volgare ad
uso letterario e politico ad opera di Lorenzo de’ Medici. Questa scelta ha un riflesso politico, Lorenzo voleva proporsi
come alternativa alla corte papale. Prima realtà grammatica del volgare fiorentino: Leon Battista Alberti, pubblicata
nella seconda metà del ‘400.
Teoria dell’imitazione. Prima di riflettere sul volgare, Pietro Bembo mostra un’attenzione al latino data la sua
formazione umanista, ed il suo interesse per il latino classico. Anche Bembo ha scritto opere in latino tenendo in
mente il latino dei grandi classici della letteratura: Cicerone (prosa) e Virgilio (poesia). Bembo scrive le sue opere in
latino tenendo in mente questi due grandi modelli. Teoria dell’imitazione che lui mantiene anche quando parla del
volgare anche nel caso del volgare ha due riferimenti: Petrarca (poesia) e Boccaccio (prosa), solo quei punti del
Decamerone in cui egli si mostra più vicino al latino.
Petrarca = emblema del monolinguismo VS Boccaccio = monolinguismo nella cornice e nelle novelle della decima
giornata.
Bembo non ama molto il pluristilismo dantesco ma pone come modelli, due autori e due opere che sono
caratterizzate da una forte coerenza interna.
Teoria arcaizzante Pietro Bembo (scrive nel 1525, le opere delle tre corone sono state scritte nel 1300) non
considera come modello di riferimento il fiorentino a lui contemporaneo bensì il fiorentino scritto quasi due secoli
prima, quindi arcaizzante. Egli guarda al fiorentino di un’epoca precedente e lo propone come modello da seguire
nell’era a lui contemporanea.
“Prose della volgar lingua” = dialogo e non grammatica come la intendiamo noi oggi (fonetica, sintassi, morfologia).
Dialogo fra vari personaggi, che si fanno portatori di ideologie linguistiche alternative a quella proposta da Bembo.
Alla fine del dialogo egli fa vincere la sua teoria. Tra quelle proposte abbiamo: teoria della superiorità del latino
(ereditata dagli Umanisti e prima che rifiuta Bembo), teoria cortigiana, teoria fiorentinista
Teoria della superiorità del latino: tutta la comunicazione intellettuale nel mondo occidentale fino al XVIII secolo è
avvenuta in latino, anche perché le lingue romanze hanno alla base la lingua latina. La lingua latina, non poteva che
essere di riferimento per tutti gli intellettuali. In quanto lingua di vari campi del sapere, il latino veniva considerato
superiore alla lingua volgare (che era la lingua del popolo e dei non colti). Questa teoria nel corso del ‘500 non è
tanto seguita come nell’Umanesimo, perché già nel ‘400 con Lorenzo il Magnifico c’è un processo di rivalutazione
del volgare, se ne fa una codificazione grammaticale e se ne continua a fare uso letterario.
Teoria fiorentinista: sostenuta dagli intellettuali come Machiavelli che ritenevano il fiorentino contemporaneo (in
uso nel parlato e nello scritto) degno di essere utilizzato in letteratura e anche di fare da modello nella letteratura
successiva per letterati anche non fiorentini. Secondo loro, il fiorentino, passato e presente, ha la virtù intrinseca di
essere della naturalezza e della spontaneità, lo renderebbero idoneo agli usi letterali. Bembo suppone che il
fiorentino si fosse corrotto poiché aveva ammesso forme del parlato popolare del contado, delle campagne che ne
avevano fatto perdere il pregio.
LINGUISTICAITALIANA- lezione 4
La teoria cortigiana
I maggiori esponenti sono Vincenzo Calmeta e Baldassarre Castiglione. Questa teoria difende l’uso della lingua
koinè* (lingua che ha un carattere sovra-regionale perché unisce le caratteristiche di diverse regioni in una stessa
area. Nessuno parlava le koinè, erano lingue create a tavolino a partire da varie lingue reali) che si faceva al tempo
(‘400-‘500) nelle corti d’Italia, in particolare quella romana nella quale confluivano persone anche dall’estero o da
altre parti d’Italia. La koinè che era usata nelle corti cancelleresche e in particolare a Roma, secondo i sostenitori di
questa teoria, era degna di essere utilizzata anche in letteratura, perché capace di mescolare vari apporti linguistici
tenendo in considerazione il modello toscano. Questa teoria non aveva un fondamento teorico, nessun libro
codificava questa prassi nelle corti. Queste koinè non erano coerenti ed omogenee tra di loro. VS La proposta di
Bembo che è coerente e omogenea. Riesce a smontare questa teoria facendone vedere proprio l’incoerenza
generale, data la mancanza di regole.
I letterati che hanno pubblicato opere post-Bembo, si sono conformati ai dettami di Bembo. Per esempio, L’Orlando
Furioso (‘32) viene riscritto secondo le forme petrarchesche (sulla base di ciò che Bembo ha detto). Bembo però non
ha fatto in tempo a difendere la sua teoria da tutte le possibili alternative successive.
Teoria italiana di Trissino
Gian Giorgio Trissino pubblica nel 1529 il suo libro “Il Castellano”. La sua teoria si fondava su una lettura personale
del “De Vulgari Eloquentia”, egli sostiene che Dante nella sua ricerca voleva proprio individuare, far emergere la
presenza di una lingua italiana sopra-municipale e comune che fosse in grado di unificare linguisticamente la
penisola. Secondo Trissino Dante già parla di una lingua italiana.
Trissino non si fonda sullo stesso principio di imitazione che segue Pietro Bembo (Petrarca – Boccaccio) ma apre la
strada ai sostenitori dei contributi regionali del lessico, ammette apporti regionali anche esterni all’uso fiorentino e
toscano.
(PRO alla teoria cortigiana) (CONTRO al monolinguismo di Bembo)
Il Varchi
Successivamente il teorico Varchi cerca di conciliare la teoria di Bembo con quella fiorentinista. Benedetto Varchi,
nel suo “Ercolano” (1570) cerca di dare risalto alle qualità del fiorentino vivo. Provando ad affiancare al principio
di autorità degli scrittori (principio bembiano) il principio dell’autorità popolare guardando il popolo nelle sue
manifestazioni di medietà (non in quelle troppo basse).
Lionardo Salviati
Lionardo Salviati è l’ultimo che entra in dialogo con la proposta di Bembo. Lui è stato uno dei fondatori
dell’Accademia della Crusca (1582 Firenze). Fonda la sua teoria di riferimento linguistico sul principio di imitazione
bembiano ma al contempo snatura l’idea di Bembo; perché sosteneva che era possibile rifarsi a tutte le scritture del
’300 purché fossero fiorentine e toscane (non solo Petrarca e Boccaccio). Quindi lui identifica il valore non tanto
nell’uso letterario quanto nella provenienza diatopica di Firenze del ‘300.
A cosa serve questa rivisitazione dell’idea bembiana? L’Accademia ha dato luce al primo dizionario storico della lingua
italiana, un’Accademia che ha investito in un’imponente attività lessicografica presa a modello in tutta Europa (i
dizionari storici francesi, spagnoli e inglesi hanno guardato al dizionario italiano).
La prima edizione del vocabolario risale al 1612. Salviati e i suoi compagni hanno spogliato manualmente molti testi
toscani del ‘300 e successivi solo se adeguati al canone trecentesco. Il canone portato avanti dalla prima edizione del
vocabolario della Crusca è arcaizzante, perché continua a proporre come lingua di riferimento quella del ‘300.
Nel ‘600 però questo canone arcaizzante non era accettato Barocco.
La prima e la seconda edizione furono contestate da molti letterati e intellettuali contemporanei. Fece scalpore il
fatto che in queste due edizioni era stato escluso dal canone Torquato Tasso. Ma Tasso non scriveva attenendosi
al canone arcaizzante, perché nei suoi testi troviamo voci settentrionali e molti latinismi.
Inaccettabile anche il fatto che le opere in volgare di Galileo Galilei non fossero prese in considerazione, perché non
contenevano temi letterari, ma riguardavano l’ambito tecnico-scientifico.
Il vocabolario dell’Accademia della Crusca ha conosciuto cinque edizioni totali.
Il canone non si mantiene stabile ed immutabile in tutte le edizioni, perché le idee iniziali mutano per le continue
proteste degli intellettuali contemporanei.
Nella terza edizione (1691) ci sono delle modifiche:
• due accademici della Crusca, allievi di Galilei, riescono ad aggiungere tra le voci inserite nel lemmario anche
le innovazioni fisiche del loro maestro.
• Inserimento di Torquato Tasso.
• Inserimento di una marca d’uso esplicita, per segnalare quando le voci erano arcaiche e quando erano di uso
ancora corrente.
La quinta edizione, interrotta nel 1923 alle soglie dell’affermazione del regime fascista. I metodi di compilazione
tradizionali dell’Accademia della Crusca vengono considerati obsoleti (ozono= ultima parola).
Tutto il dibattito sulla lingua italiana nel XVII gira intorno all’Accademia ed il suo vocabolario.
Contro le idee dell’Accademia Fratelli Verri e tutti gli autori del Caffè (rivista milanese) – Melchiorre Cesarotti
• Alessandro Verri è autore della “Rinunzia avanti notaio all’Accademia della Crusca”, in cui dimostra quanto
fosse inutile l’uso del vocabolario della Crusca nel ‘700 (pieno Illuminismo).
• Melchiorre Cesarotti
autore del “Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana” (1800). Cesarotti, diversamente
dalla Crusca, era favorevole all’accrescimento del linguaggio tecnico e all’inserimento di voci dialettali e
anche di prestiti linguistici. Secondo il suo pensiero illuminista, nessuna lingua può essere perfetta,
esaustiva, dalla nascita senza l’apporto di contributi esterni perché ogni lingua è sempre perfezionabile, non
è possibile fissare il suo periodo d’oro nel passato e pensare che possa essere ritenuto valido anche nei
secoli successivi. Il saggio di Cesarotti cadde in un contesto sociopolitico, socioeconomico e socioculturale
sfavorevole, perché fu pubblicato durante la dominazione napoleonica in Italia e quindi gli italiani sentivano
il peso di questa dominazione straniera e per reazione sviluppa un’ostilità nei confronti degli apporti
stranieri soprattutto quelli francesi.
L’Accademia oggi esiste ancora, anche se la sua attività lessicografica è stata interrotta nel ‘23 poi venne ripresa negli
anni ’50- ’60 avviando l’opera del TLIO nuova impresa dell’Italiano delle origini portata avanti dal CNR. Oggi si occupa
di fare consulenza linguistica, rispondere a domande e promuovere attività di studio della lingua italiana anche
all’estero. Esiste ancora ma non ha più il compito di elaborare dizionari.
Manzoni si fa carico della questione della lingua durante la stesura dei “Promessi Sposi” e nell’edizione del ‘40 riesce a
trovare una lingua più vicina all’uso vivo di Firenze lingua nazionale dell’Italia unita.
Riflette sulla questione della lingua anche nella “Lettera a Giacinto Carena” - Relazione al Ministro Broglio “Dell’unità
della lingua e dei modi di diffonderla”. Il ministro Broglio incarica due commissioni per risolvere questa questione,
una è proprio quella milanese guidata dal Manzoni. La proposta manzoniana è quella che verrà seguita da scrittori
come Collodi e De Amicis.
In questo saggio suggerisce alcuni modi per diffondere la lingua italiana, alcuni vengono poi messi in pratica.
• che venga concesso, agli studenti migliori, un viaggio gratuito in Toscana per acquisire migliori abilità
linguistiche.
• che tutti gli insegnanti possano formarsi a Firenze per apprendere la corretta ortoepia.
• che venga redatto un vocabolario della lingua italiana dell’uso vivo “Giorgini Broglio” pubblicato ma seguito
da una scarsa circolazione perché molto caro.
• riscrivere insegne, documenti amministrativi in fiorentino in tutta Italia.
• Vocabolari bilingui: da una parte lemmi nei vari dialetti italiani e poi nella descrizione del lemma il
corrispettivo italiano toscano.
Ascoli e il Proemio dell’Archivio glottologico italiano (1873)
LINGUISTICAITALIANA- lezione 5
VOCALI e CONSONANTI
Prospettiva fonologica:
Vocale = costituente il nucleo di una sillaba.
Consonante = non occupa il nucleo della sillaba e accompagna il suono vocalico,
occupando i margini della sillaba
La sillabazione fonologica-fonetica è diversa da quella che conosciamo, legata alla conservazione dell’etimologia di
una parola.
Tradizionalmente: as-pra Fonologicamente: a-spra
In fonetica e fonologia il raggiungimento del picco di sonorità indica l’inizio di una nuova sillaba.
Prospettiva fonetica:
Vocale = fono prodotto in modo che l’afflusso dell’aria proveniente dai polmoni non incontri ostacoli.
Criteri di classificazione delle vocali:
- La posizione della lingua nel momento dell’articolazione
- Il grado di apertura della bocca
- La posizione delle labbra
Grado di apertura della bocca e posizione delle labbra.
La prima possibilità è che la bocca sia aperta ma rilassata come nel caso della
vocale /a/.
L’altra opzione è quella che prevede le labbra tese come nel caso della /e/.
Ultimo caso, quello della /o/.
*Quanti fonemi vocalici ha l’italiano standard? Sette.
Le vocali italiane e la loro rappresentazione in IPA o AFI
• /a/ = vocale centrale, aperta, bassa, non arrotondata.
• / ɛ / = vocale anteriore, medio-aperta, non arrotondata.
• /e/ = vocale anteriore, medio-chiusa, non arrotondata.
• /i/ = vocale anteriore, chiusa, non arrotondata.
• /ɔ/ = vocale posteriore, medio-aperta, arrotondata.
• /o/ = vocale posteriore, medio-chiusa, arrotondata.
• /u/ = vocale posteriore, chiusa, arrotondata.
Semivocali e semiconsonanti
Jod /j/: approssimante orale palatale sonora ieri
Uau /w/: approssimante orale labiovelare sonora uomo Questi
suoni appaiono solitamente dei dittonghi.
Allofoni di /n/
Inverno, inferno, panfilo, anfora, invidia ecc.
occlusiva nasale labiodentale sonora [ ɱ ] Un pezzo, un picchio, un boccone ecc.
Panfilo: ['paɱfilo]. Unpezzo, unpicchio, unboccone…
consonante nasale bilabiale sonora [m]
Angolo, ancora, tinca, fungo ecc. un pezzo [um ˈpɛʦʦo]
Occlusiva nasale velare sonora [ ŋ ]. Tinca:
['tiŋka].
Allofoni di /k/ e /g/
Chiesa, chiedere, inchiesta…
J J occlusiva palatale
sorda: [c] oppure [K ]: ['cjɛsa] oppure [K jɛsa].
LINGUISTICAITALIANA- lezione 7
LA FONETICA REGIONALE
Per fonetica regionale si intende come cambia la pronuncia delle parole a seconda dell’area geografica del parlante.
L’aggettivo regionale, in linguistica, non si riferisce precisamente alle regioni amministrative.
Varietà settentrionali: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria ed Emilia e Friuli (linea La Spezia-Rimini).
Béne vs Bène pronunciano le vocali toniche che terminano in vocale, come sillabe chiuse. Pronunciano, invece,
come aperte quelle vocali toniche che si trovano in sillaba chiusa (terminano in consonante).
Témpo vs Tèmpo eccezione: sillabe chiuse da consonanti nasali. Trè
vs perchè, perché vs tré.
Varietà meridionali: Sicilia, Calabria, il Salento. In queste zone il sistema vocalico tonico non è costituito da 7 vocali
ma da 5 vocali, tutte aperte.
Discorso sociolinguistico: ci sono varietà regionali ritenute più prestigiose di altre per motivi extra-linguistici. Ad oggi,
le varietà regionali, considerate più prestigiose, sono quella settentrionale dell’area milanese e quella romana.
Perché questi due poli?
• Roma, per la presenza delle strutture politiche del Paese ma anche per la presenza di Cinecittà, l’industria del
cinema.
• Milano, per l’idea dello stile di vita all’avanguardia della Milano moderna e per il ruolo della televisione
privata che ha dato ampio spazio a giornalisti locali (es. la RAI).
*Viceversa, ci sono alcune varietà regionali che vengono stigmatizzate dai parlanti stessi, perché ritenute troppo
marcate. Si tratta di stereotipi, ovviamente.
C’è da dire che anche un parlante toscano, che parla quasi lo standard, può conformare la propria pronuncia ad una
delle due varianti prestigiose citate precedentemente. A partire dagli anni ’80, infatti, certe pronunce (es. la vocale
chiusa in vénto, béne) si sono diffuse anche a Firenze; questo per via delle trasmissioni televisive fortemente
settentrionali/milanesi (es. canali Mediaset).
*i due punti :, all’interno di una trascrizione fonetica, indicano la durata della sillaba. Nello standard, si usano per le
sillabe toniche aperte.
(135) Phonemes and Allophones, Part 1 - YouTube link per capire meglio il concetto di fonema
LINGUISTICAITALIANA- lezione 8
BASI E AFFISSI
Base o radice
Affissi: prefissi, suffissi, infissi noi, in italiano, usiamo molto suffissi e prefissi, pochi infissi
INALBERAVANO
Si riconosce: un
prefisso IN- una
base –ALBER-
un suffisso flessionale –AV- ciò ci dimostra che il tempo è l’imperfetto
un suffisso flessionale –ANO- ciò dimostra che si tratta della terza pers. Plurale
PELAPATATE
Pela “pelatore” (testa) + patata
Gli affissi ci servono per dar vita a parole autoctone. E soprattutto nei composti, è importante riconoscere la testa.
Non possiamo decidere in che ordine collocare tutti questi elementi; è la lingua stessa che ci obbliga seguire un certo
ordine, detto ordine sintagmatico.
GIOCATTOLINO
Morfema lessicale gioc-, un suffisso derivazionale –attol-, un suffisso derivazionale alternativo –in-, e un elemento
flessivo –o, in coda.
I MORFEMI FLESSIVI in rapporto all’evoluzione della lingua italiana dal latino allo standard e dallo standard al neo-
standard
Il CASO (in latino) è l’espressione morfica del ruolo sintattico di un elemento linguistico nominale.
Oggi non esiste più il caso, questo ruolo spetta alle preposizioni. La maggior parte delle nostre parole, però, deriva
dal caso accusativo. In italiano, quindi, la flessione di
caso è relittuale. Cioè, esistono dei relitti del caso
visibili sul sistema pronominale tonico io, tu, egli VS
me, te, se/si… VS mi, ti, gli, le…
Il GENERE è la categoria grammaticale che viene associata alla capacità del nome e degli elementi nominali di
esprimere varie caratteristiche che permettono ai parlanti di raggrupparli in classi omogenee per via di qualche
caratteristica condivisa, cioè di qualche tratto semantico comune.
Il genere si esprime attraverso morfi comulativi (cioè che accumulano, al proprio interno, più informazioni).
La DISTINZIONE di genere è fatta in base a:
- Criterio semantico (in relazione al sesso del referente), che non funziona sempre - Altri criteri
semantici
- Criterio formale (la parola termina in –a? è femminile)
Analisi dei nomi femminili delle professioni lavorative ricoperte dalle donne, a partire dal secondo ‘900 in avanti.
Serie di esempi: la Sindaca, la ministra, la pilota, la giudice, la guardalinee, l’arbitra…
Tutte queste forme sono, in ogni caso, morfologicamente e grammaticalmente accettabili. Chi non le accetta, a volte,
sono i parlanti stessi.
Cosa ci fa dire, che il parallelo maschile è più autorevole? L’uso che ne fanno i parlanti, legato a fattori sociali.
- Se si dice la giudice, si può dire anche la magistrato? No, perché violerebbe una regola morfologica, non ci
sarebbe concordanza formale tra genere e nome.
- Avvocata o avvocatessa, ministra o ministressa? Queste forme sono, ancora, tutte accettabili.
Tutto questo dibattito è esploso con Il sessismo nella lingua italiana (1987) di Alma Sabatini, in cui si osserva l’uso
anomalo di forme marcate nel femminile che non si verificavano nei corrispettivi maschili. Es. la Thatcher ma non
il De Gasperi. A. Sabatini propone anche delle vere e propria raccomandazioni per evitare il sessismo nella lingua
italiana.
“Ora le donne addottorate in qualche disciplina, così fiere come esse sono della loro dignità, come chiamarle? A dottora
non ci si ausa e dottoressa sa di saccente, e pare contenere in sé alcuna parte di scherno o almeno di estraneo all’ideale
femminista: onde è che le donne che hanno diploma di laurea scrivono spesso sul biglietto dottore”.
(Alfredo Panzini, Dizionario moderno, 1905, s.v.
dottora) Dizionario moderno uno dei primi dizionari neologici.
I MORFEMI DERIVATIVI
Quando applichiamo ad una radice, un suffisso, creiamo una parola che appartiene ad un’altra categoria
grammaticale: es. torre torreggiare
Questo procedimento prende il nome di transcategorizzazione: derivato denominale aggettivale (amore > amoroso)
e denominale verbale (amore > amoreggiare); derivato deverbale aggettivale (scrivere > scrivibile) e deverbale
nominale (scrivere > scrivano ); deaggettivali verbali (rosso > rosseggiare) e deaggettivali nominali (rosso > rossore).
Quando applichiamo un prefisso non cambiamo categoria grammaticale di appartenenza della parola che creiamo
rispetto a quella della parola originale: es. furto antifurto; nebbia antinebbia
Bambola + suffissi alternativi: solo nomi (bambolina, bamboletta…)
FORMAZIONI PARASINTETICHE: quando applichiamo sia un suffisso che un prefisso. Es. rosso arrossire;
fame affamare; dubitare indubitabile…
Analisi della produttività, nel corso del tempo, di un affisso. Ci sono alcuni affissi che sono molto produttivi, cioè
riusciamo, grazie ad essi, a coniare nuove parole per molto tempo. Altri sono meno produttivi.
-ACCIO: oggi è suffisso alternativo applicabile a nomi e aggettivi, ma in passato ha creato deverbali legaccio,
strofinaccio.
Alcuni affissi possono essere produttivi solo o per lo più in alcune varietà della lingua o sottocodici circoscritti. Per
esempio, nella lingua della chimica, abbiamo una serie di suffissi come –oso, -ico, molto produttivi.
LA COMPOSIZIONE
• I conglomerati originano dalla fusione di elementi che formerebbero isolati un sintagma con un componente
verbale o una frase intera: si pensi a messinscena da messa in scena.
• Le parole macedonia sono in risultato dell'aggregazione di frammenti di parole e assomigliano alle sigle:
cartolibreria informatica (da carto[LERIA] + libreria, informa[zione] + [auto]matica).
• Le unità polirematiche: gli elementi lessicali impiegati per la composizione mantengono la loro individualità
grafica ma hanno tutte le caratteristiche proprie di una parola tradizionale cioè:
a) un significato specifico differente da quello che si otterrebbe sommando logicamente significati di ciascuno
degli elementi componenti nella loro indipendenza;
b) l’unità e la non interrompibilità. Una frase come oggi non voglio usare il ferro da stiro potrà diventare il ferro
da stiro non la voglio usare oggi ma non *il ferro non lo voglio usare oggi da stiro;
c) identità individuale: la polirematica cane poliziotto può comparire in isolamento ed essere pronunciata tra
pause; i suoi componenti isolati invece non possono essere pronunciato in isolamento mantenendo lo stesso
significato del composto.
• dattiloscritto eliocentrico internauta aerofagia ematofago cronologia eccetera: in essi appaiono in posizione
iniziale, finale o sia iniziale sia finale, costituenti di etimologia greca che non si possono considerare parole
libere: morfemi come dattilo- elio- nauta- fagìa- emato- sono prefissoidi e suffissoidi o semi parole.
LINGUISTICAITALIANA- lezione 9
Cos’è il LESSICO?
L’insieme delle “parole” di cui dispone una lingua. Non esiste nessun parlante che dispone in maniera ativa e passiva
di tutte le parole di una lingua e neanche un unico dizionario in grado di raccoglierle tutte.
Stimare la quantità di parole che compongono una lingua è molto approssimativa.
Parola Lessema: unità di base del lessico. All’interno dell’etichetta lessema ci finiscono sia le parole singole, sia
le unità polirematiche (ferro da stiro, cane da caccia…). Quindi parole costituite dalla sola radice semantica come i
pronomi personali ma anche quelle parole formate dalla base semantica più il morfema flessionale (cane, gatta…).
Lemma = lessema? NO. Lemma: lessema contestualizzato all’interno dei dizionari, secondo ovviamente
determinati criteri. Cioè ogni parola è registrata all’interno del dizionario sempre secondo lo stesso assetto
morfologico. Per esempio, i nomi vengono registrati tutti al maschile singolare, i verbi all’infinito… Le convenzioni,
è chiaro, variano da lingua a lingua.
Gatto= lessema e lemma. Gatta= lessema ma non lemma.
L’insieme dei lemmi costituisce il lemmario. Sappiamo già che nessun dizionario, con il suo lemmario, può raccogliere
tutti i lessemi esistenti in una lingua.
Cos’è la SINTASSI?
Sotto-branca della linguistica. Essa studia le modalità e le regole in base alle quali fonemi, morfemi, lessico, sintagmi
si combinano tra loro in un certo ordine, e non in un altro, per formar Cos’è una frase?
• È espressione di un senso compiuto
• È espressione di un giudizio
• È quell’oggetto che contiene sempre un verbo di modo finito
Tutte definizione giuste ma incomplete. “Rigore!” frase (a tutti gli effetti, per la linguistica) che non rispecchia i tre
criteri.
La linguistica cerca di considerare la frase come concetto pluridimensionale: pragmatico, semantico e sintattico.
Nozioni di TEMA e REMA
Il tema o topic quella parte di frase che offre all’interlocutore le informazioni già note
Il rema o comment indica la parte di una frase che dal punto di vista dell’informazione presenta una novità per
l’interlocutore.
Tendenzialmente in italiano strutturiamo le frasi mettendo prima il tema e poi il rema. Il tema coincide spesso col
soggetto e il rema con la predicazione e quindi il resto della frase. Non è sempre così ma dal punto di vista
prototipico possiamo dire cosi.
Ci sono frasi che seguono l’ordine corretto di tema e rema ma presentano anomalie dal punto di vista sintattico
• Io/ il morale è alto e sono sempre allegro (tema/rema).
• Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro (Manzoni, Promessi Sposi, 36)
• Il primo che va in giro di notte gli faremo la pelle (Verga, Novelle, I)
Il problema dal punto di vista sintattico è che in queste frasi manca un accordo morfo-sintattico tra quello che è il
tema-soggetto e il resto della frase anacoluto. Utilizzando un punto di vista pragmatico, quindi guardando più alla
distribuzione della parole nella frase, possiamo parlare di tema sospeso.
Tali strutture sono tipiche del parlato informale, collocato in basso nell’asse diastratico. Già di norma, nel parlato c’è
meno progettualizzazione della frase ed è possibile cambiarla in corso d’opera. Nel parlato dei ceti bassi questo
fenomeno è ancora più accentuato.
E allora perché lo troviamo anche in testi letterali? Perché gli autori hanno voluto spesso avvicinarsi al popolo.
LINGUISTICAITALIANA- lezione 10
Marcatezza: un oggetto linguistico è marcato quando possiede una caratteristica diversa dalla forma base.
La scrittura “ke” è una scrittura marcata e anche le due espressioni sottostanti.
• Ma è Marco che ha rotto il vaso! Frase scissa: costrutto marcato frase costruita da una prima parte
costituita dal verbo essere cui segue un elemento. Si tratta di un costrutto marcato, proveniente dal francese.
Nelle frasi scisse c’è l’inversione tema-rema, utilizzate per mettere in primo piano l’informazione nuova. Frase
marcata dal punto di vista pragmatico ma non sintattico
• Il c’è presentativo struttura importata ancora dal francese. Frase totalmente rematica, usata per dividere
in due blocchi un’informazione nuova. Non è da confondere il c’è presentativo con quello esistenziale
(c’è=esiste). Frase marcata dal punto di vista pragmatico ma non sintattico.
• Il giornale l’ho già comprato struttura marcata sintatticamente poiché l’oggetto è posto in prima posizione,
O+S+V. Si tratta di una dislocazione a sinistra che prevede lo spostamento del complemento oggetto o di
termine in prima posizione così da creare coesione con la battuta precedente, nel parlato soprattutto. La
frase è marcata anche dal punto di vista di un grammatico standard l’ho pronome anaforico: riprende un
tema già citato prima.
*Esiste un costrutto standard simile alla dislocazione a sinistra la struttura passiva. Perché non usiamo il passivo
ma preferiamo la dislocazione a sinistra? Perché la dislocazione a sinistra è una soluzione più economica, ed
egocentrica, cioè mette l’io al centro. Tutto il parlato, soprattutto quello informale è egocentrico quindi c’è una
certa coerenza.
• L’ho già comprato il giornale dislocazione a destra. Non c’è marcatezza dal punto di vista sintattico. Eppure
presenta un pronome cataforico cioè che punta ad un elemento che viene dopo. La frase è marcata dal punto
di vista pragmatico poiché è messo in prima posizione il rema.
Sono tutti fenomeni di sintassi marcata
La frase complessa
• I periodi, oggi, sono più brevi si arriva al massimo al secondo grado di subordinazione.
• Nel settecento si inizia ad imitare lo stile degli illuministi che usavano periodi brevi e stile spezzato frase
semplice e punti, mono-proposizioni, no subordinate. È come se venisse meno la frase complessa.
• Maggioranza di coordinazione
• Nell’italiano contemporaneo, rispetto al passato, viene a ridursi anche il numero dei connettivi subordinanti.
Descrivi il brano giornalistico.
TESTUALITÀ
Testo: unità fondamentale dell’attività linguistica, dotata dei caratteri di unità, completezza e autonomia per
rispondere a una precisa volontà comunicativa. Requisiti fondamentali di un testo
• Coesione: si realizza attraverso l’ordine delle parole e i rapporti grammaticali, parliamo di morfosintassi,
concordanze e forme sostituenti anafora (un pronome è anaforico quando rimanda ad un elemento citato
prima: gli, suo), catafora (un pronome è cataforico se rimanda a qualcosa che viene citato dopo), iperonimi
(termine più generale: barca), iponimi (sottospecie: gondola) e sinonimi. La coesione, in italiano, si realizza
a) Eh no Vale l ho già cacciato per questo motivo nessuno deve parlare così ne di noi ne di quello che facciamo
se non vi piace la serata o altro liberi di andare dove volete ma noi tutto quello che facciamo lo facciamo con
il cuore e sentire dai miei allievi cose così non mi piace - E infatti non è la prima volta ovviamente a) Lo
capisco
b) Ok grazie Vale
c) Mi spiace
d) Così lo abbiamo mandato via
e) Mi spiace…Non so che dire. Capisco che possa essere fastidioso.
f) Eh infatti guarda dovresti vedere cosa mi ha detto e scritto in privato
- Comunque sai cosa Vale anche con i nostri difetti cerchiamo di dare e lasciare qualcosa […] Pazienza
anche attraverso le ellissi.
A cosa servono le parole evidenziate in azzurro? Per mantenere il contatto (anche emotivo), per far capire
all’interlocutore di aver capito, per anticipare cosa dirà l’interlocutore, per attirare l’attenzione (es. guarda). Hanno
anche la funzione di focalizzatori. Si tratta di modulatori o riempitivi. Appartengono alla categoria dei segnali
discorsivi. Servono a gestire i turni della conversazione e a mitigare i nostri turni stessi, in questo senso realizzano la
coesione del testo.
Tra i segnali discorsivi possiamo far rientrare anche i connettivi testuali (dunque, quindi, poiché, anche..) che servono
per collegare porzioni di testo. Sono connettivi anche frasi intere es. “come vedremo prossimamente”
• Coerenza:
1. Tematica, possiamo varie progressioni tematiche lineare (il rema della prima frase diventa il tema
della successiva), a tema costante, a temi derivati da un ipertema o iperrema…
2. Logica, che può manifestarsi in vari modi
Successione temporale L’uomo entrò nella stanza. Si diresse verso le finestre; le aprì
Rapporto causa-effetto Domani Guglielmo non andrà a scuola. C’è uno sciopero dei
professori
Scopo Luisa ha preso il treno delle quattro. Per le sei deve essere a Milano
3. Semantica dettata dalla possibile sequenzialità. Morse con gli occhi l’acqua per soffocare le catene
delle canzoni frase non coerente
dal punto di vista semantico. TIPO DI TESTO PROCESSO COGNITIVO REFERENTI
Narrativo percezione nel tempo fenomeni (persone, oggetti, concetti) nel contesto
temporale
Espositivo: comprensione di concetti attraverso l’analisi in concetti generali, costrutti mentali elementi
a) di analisi costituenti concettuali semplici
b) di sintesi
comprensione di rapporti tra elementi attraverso
la sintesi; generalizzazione
MUTAMENTI RILEVANTI DALLA SOCIETÀ ITALIANA TRA FINE NOVECENTO E PRIMI ANNI XXI SECOLO
• l’espansione della lingua nazionale a scapito dei dialetti è proseguita, ma non in modo uniforme sul territorio;
ci sono, infatti, aree come il Veneto o la Campania in cui il dialetto resiste molto, anche tra i giovani. In altre
regioni, come la Lombardia e il Piemonte, i dialetti sono conservati per lo più da parlanti di generazioni adulte
o addirittura anziane.
• agli innegabili progressi sul piano dell’alfabetizzazione e del conseguimento di un titolo di studio superiore al
diploma di licenza media fa da contrappeso la crescita del fenomeno dell’analfabetismo di ritorno, facilitato
dalla scarsa diffusione della lettura di libri e di giornali in ampie fasce della popolazione. L’ “analfabetismo di
ritorno” è la perdita dell’abilità di comprensione e produzione di testi. In questo caso la fascia della
popolazione interessata è anche istruita. Allora, perché questa regressione? A causa della scarsa diffusione
della lettura in tali fasce della popolazione.
• vari rapporti nazionali e internazionali (es. INVALSI) hanno rilevato lacune e difficoltà degli studenti nella
comprensione e nella produzione di testi scritti in italiano.
FATTORI EXTRALINGUISTICI CHE HANNO AVUTO IMPATTO SULL’ITALIANO CONTEMPORANEO
- Diffusione CMT (Comunicazione Mediata Tecnicamente): perché la messaggistica istantanea ha influito più
sull’italiano che su altre lingue? Perché ha incentivato l’instaurarsi, in ampie fasce della popolazione, di una
scrittura veramente quotidiana. Questa pratica quotidiana con la scrittura ha anche cambiato la percezione
dell’atto della scrittura. In passato, ci si avvicinava alla scrittura con una certa sacralità, formalità; gli errori di
ortografia erano fortemente stigmatizzati, come altri tipi di errori. Oggi, invece, questa pratica quotidiana e
molto diffusa ha abbassando la sorveglianza rispetto alla correttezza dell’italiano e ha alzato la tolleranza nei
confronti degli errori. Il trasferimento di abitudini ortografiche da un contesto ad un altro meno adeguato
crea problemi perché dimostra che non c’è la capacità di adeguare la lingua alle varie situazioni comunicative.
Ciò, ovviamente, è dato dall’abitudine quotidiana (molte occasioni di scrittura informale, pochissime di
scrittura formale). La tendenza contemporanea appiattirsi su un livello di media formalità in cui possono
convivere varie varianti diafasiche ma rimane la tendenza a livellarsi sul piano medio.
- Espansione dell’inglese: in alcuni settori come l’economia, finanza, informatica è quasi obbligatorio che ci sia
una forte presenza dell’inglese mentre in altri come la comunicazione aziendale, pubblicitaria, politica la
presenza dell’inglese inizia ad essere ingombrante, immotivata.
- Fenomeni migratori: in Italia hanno origine già nei primi anni’80, dai Balcani, poi Africa, Medio Oriente.
Vengono a crearsi, con le varie lingue madri delle persone che emigrano in Italia, varie forme di lingue di
contatto. Si inizia a toccare con mano l’italiano come Lingua2 (usuale per l’inglese, meno per l’italiano). Si
tratta di lingue di transizione che cambiano nel tempo, anche perché si presuppone che pian piano gli
immigrati apprendano ad utilizzare la lingua italiana.
Fattori standardizzanti:
- Autorità della norma, nel caso dell’italiano sono Le Tre Corone
- Codificatori, quindi grammatiche e dizionari
- Esperti linguistici, abbiamo visto gli accademici della Crusca o gli insegnanti stessi - Parlanti/scriventi modello
Questi fattori possono avere un peso diverso nel corso del tempo e uno standard rispetto ad un altro può fare
affidamento su un fattore più che su un altro.
• Italiano standard: altamente codificato, è il modello adottato nell’insegnamento e per la compilazione di
dizionari e grammatiche prescrittive.
• Italiano neostandard: varietà di italiano parlata e scritta da parlanti colti in contesti mediamente controllati;
è scarsamente codificato; i suoi testi ‘modello’ non sono testi letterari bensì giornalistici.
Oggi anche la narrativa usa il neo-standard, perché l’intento è cercare un rispecchiamento con i propri lettori che
adottano esclusivamente l’italiano neo-standard.
ITALIANO NEO-STANDARD
Vediamo come caratterizzare sui vari livelli che abbiamo considerato, guardando le strutture, l’italiano neo-standard.
Per il fatto che è nato come italiano affiancatosi al dialetto (nella conversazione), già dalla sua creazione è più
prossimo al polo dell’oralità. È sempre regionale, dell’uso medio etichetta coniata da Francesco Sabatini (anni ’80)
che ha descritto l’italiano neo-standard individuando 35 tratti caratterizzanti. Altri tratti son stati trovati nel 2012 da
Lorenzo Renzi. Dell’uso medio perché impiegato nell’uso parlato e scritto di media formalità.
Sabatini ha individuato come tendenze generali, sotto cui raggruppare questi 35 tratti, da una parte la semplificazione
dei paradigmi presenti nello standard e dall’altra l’esigenza di espressività. Si è particolarmente concentrato sul fatto
che il neo-standard è più semplice nelle struttura rispetto allo standard. Quindi, alcuni tratti del neo-standard
semplificano i paradigmi dello standard, altri ne riempiono delle lacune.
Per esempio, le interrogative a doppio fuoco “Chi fa cosa?” sono tipi di interrogative non presenti nello standard,
arrivateci dall’influenza della lingua inglese e quindi presenti, invece, nel neo-standard. Il neo-standard,
introducendo questa struttura, ha colmato una lacuna dello standard. Altra struttura, sempre derivata dall’inglese,
che colma una lacuna, è la possibilità di usare la congiunzione alternativa “e/o”.
Per la fonologia
• si è neutralizzata l’opposizione tra e aperta ed e chiusa, insieme ad o aperta ed o chiusa, in favore
dell’elemento di volta in volta prediletto dalla particolare varietà regionale;
• si accolgono le terminazioni consonantiche delle parole, presenti negli stranierismi (autobus, Madrid, stop),
a scapito della propensione toscana, quindi standard, all’epitesi l’aggiunta di una sillaba o di una semplice
vocale per evitare che la parola termini per consonante (autobusse, Madridde, stoppe);
• il raddoppiamento fonosintattico ha una realizzazione variabile in diatopia: molto presente al sud,
praticamente assente al nord.
Per il prestigio conferito soprattutto alle varietà regionali settentrionali, e in particolare al milanese, si sono diffusi in
tutta la penisola tratti propri di quella varietà, come ad esempio:
• la tendenza a chiudere la vocale e seguita da nasale in sillaba chiusa (['vento], ['tempo]);
• la sonorizzazione della s intervocalica (['rɔ:za], ['Ka:za], in luogo di ['rɔ:sa], ['Ka:sa]);
• a sonorizzazione dell’affricata alveolare iniziale di parola (['dzukkero] in luogo di ['tsukkero]).
Questa influenza del milanese è legata alla fortuna della rappresentazione dello stile di vita della Milano da bere degli
anni ’80, probabilmente anche adesso con l’immagine di una Milano moderna, green, alla moda il modello milanese
continuerà ad avere un’attrattiva. Con il Covid, che ha sdoganato la possibilità di lavorare da remoto, non si avrà più
quel desiderio di abitare a Milano e imitare quello stile di vita. Quindi, probabilmente, nel tempo il prestigio attribuito
a questa varietà scemerà e magari se ne creeranno altre di varietà prestigiose. Il prestigio cambia nel tempo e in basa
alla percezione che i singoli parlanti hanno del valore di quella particolare varietà.
Per la morfologia
• la riduzione del sistema pronominale con i pronomi soggetto lui, lei, loro usati nel parlato in sostituzione di
egli, ella, essi, esse (che sopravvivono nello scritto); la cancellazione di ella non solo nel parlato, ma anche
nello scritto; l’uso di gli come dativo sia per il maschile che per il femminile (Quando vedo Silvia gli dico che
la cercavi); l’uso di gli in luogo di loro, a loro, a essi e a esse (Ora vado dai vicini e gli dico che la devono
smettere di fare tutto questo chiasso);
• l’uso ridondante di ne (Di questo ne parlerò con Luigi).
LINGUISTICAITALIANA- lezione 12
In morfosintassi
• il che polivalente (es. attento che cadi), cioè l’uso nell’italiano neo-standard della congiunzione “che” con
significato generico, come introduttore di subordinate che nell’italiano standard avrebbero più spesso
congiunzioni subordinanti semanticamente più precise (“stai attento altrimenti cadi”); tratto tipico del
parlato, perché non sempre ci arriva la parola giusta per ogni occasione.
• Alcuni tempi del modo indicativo assorbono le funzioni di altri tempi e modi verbali. La semplificazione della
coniugazione verbale
il presente indicativo usato al posto del futuro semplice (Questa sera uscirò con Silvia → Questa sera
esco con Silvia; Tra un mese sarà Natale → Tra un mese è Natale); Questa semplificazione
morfologica, non implica che il futuro scompaia del tutto.
futuro epistemico utilizzato per esprimere una probabilità, una supposizione (Anna non risponde,
avrà il cellulare spento) o una necessità (Per finire in tempo dovrò lavorare anche sabato)
il passato prossimo al posto del passato remoto anche per eventi molto lontani nel tempo (Mario ha
conosciuto Francesca nel lontano 1986 ed è stato amore a prima vista!); l’imperfetto, oltre al
rapporto temporale usato per:
a) indicare un rapporto aspettuale (Andavo a scuola, quando incontrai Maria)
b) esprimere la modalità contro-fattuale, ossia per esprimere il periodo ipotetico dell’irrealtà
andando a sostituire il condizionale e il congiuntivo (Se lo sapevo che venivi a Milano ti avrei potuto
ospitare); c) imperfetto ludico: parlato infantile (Facciamo che io ero Luke Skywalker e tu Darth
Fener);
d) imperfetto di cortesia: con una funzione conversazionale, attenuativa, di cortesia (Volevo
chiederle se fosse possibile spostare l’appuntamento alla settimana prossima), lo standard richiede il
condizionale;
e) imperfetto di pianificazione: quando si parla di un evento futuro già pianificato, ma nello
standard si dovrebbe esprimere con il futuro semplice, ma il fatto che la nostra idea è avvenuta prima
del momento dell’enunciazione induce ad usare l’imperfetto di pianificazione (Domani volevo andare
al cinema);
I vari domini dell’indicativo si erodono in domini standard tra di loro e lo erodono i domini che lo standard riserva al
condizionale e al congiuntivo, troppo complessi.
• L’espansione dell’uso dell’indicativo in sostituzione del congiuntivo dello standard, in particolare nelle
subordinate (Non so che cosa gli è preso);
• l’infinito usato:
a) nelle istruzioni (Agitare il contenuto prima dell’uso. Versare il prodotto in una pentola senza aggiungere
acqua. Scaldare a fuoco lento per pochi minuti mescolando di tanto in tanto); lo standard prevede delle
forme impersonali;
b) nella tematizzazione del verbo (Leggere, leggo, ma non ho molto tempo); “leggere” = per quanto
concerne l’attività di lettura, ridotto ai minimi termini diventa un infinito che svolge la funzione di
topicalizzare un argomento
c) nel foreigner talk, ossia nel linguaggio semplificato che i parlanti nativi utilizzano quando parlano con gli
stranieri, è una varietà marginale (Andare diritto, poi al semaforo girare a sinistra fino alla piazza).
Percependo come più semplice l’infinito abolisce tutta la morfologia flessionale dell’italiano facendo un
danno nei confronti dello straniero che percepisce un input substandard.
• La progressiva scomparsa del gerundio composto per esprimere l’anteriorità rispetto alla reggente
(difficilmente nel parlato e nello scritto non troviamo forme come “essendo stato votato”) e il parallelo
affermarsi del gerundio presente cosiddetto «iconico», esprimiamo il rapporto di anteriorità non attraverso
alla morfologia ma mettendo sempre le proposizioni che contengono questo gerundio prima della principale
(Avendo perso il treno, non sono riuscita ad arrivare all’appuntamento non sono riuscita ad arrivare
all’appuntamento, avendo perso il treno > perdendo il treno, non sono riuscita ad arrivare
all’appuntamento.) *se invece usassimo il gerundio composto potremmo collocare la subordinata senza
ledere l’espressione del rapporto di anteriorità, proprio perché è affidata alla morfologia verbale.
Tutti questi tratti sono legati alla semplificazione
Varietà settentrionali
• In fonetica
[fato] ‘fatto’, [pele] ‘pelle’: le consonanti lunghe tendono ad essere pronunciate come
brevi scempiamento delle consonanti geminate o doppie. Si realizza in tutti i dialetti
dell’Italia settentrionale e che può trasferirsi in modo marcato anche nell’italiano regionale.
la fricativa dentale sorda [s] in posizione intervocalica è sempre resa come sonora [z];
l’affricata dentale in posizione iniziale è realizzata sempre come sonora [dz];
• Per la morfosintassi:
l’articolo determinativo precede spesso i nomi di persona, sia maschili che femminili: la Maria, la
Giovanna, ma anche il Paolo, il Mario;
si usa il passato prossimo anche per avvenimenti e azioni accadute in un passato lontano, là dove lo
standard richiede il passato remoto. Questo fenomeno, espandendosi dal nord, si è ormai pressoché
generalizzato;
la negazione di una frase prevede l’uso di mica: ho capito, mica sono stupido;
la forma verbale dell’italiano sto seguita dal gerundio, che indica l’azione durante il suo svolgimento
(sto mangiando, sto facendo i compiti) è realizzata con la costruzione sono dietro a: sono dietro a
mangiare; sono dietro a fare i compiti.
LINGUISTICAITALIANA- lezione 13
Se ci concentriamo sul rapporto tra gli interlocutori e sul ruolo parliamo di registri formali o informali.
si' mi piace molto per la posizione / un po' meno per i servizi / nel senso che non non ci sono servizi ce'
ci sono gli autobus che passano/ passano gli autobus passa il diciotto ma non ci sono panettieri /non
ci sono negozietti / macellerie nulla. Registro informale elementi fortemente colloquiali, ripetizione
di una stessa parola a poca distanza, l’apertura col si’, parlato egocentrico con conseguente uso della
prima persona singolare, sintassi nominale.
Dopo Francis Chichester / un altro navigatore solitario inglese / Alec Rose / ha concluso felicemente
il giro del mondo su un’imbarcazione a vela di undici metri / Quarantasettemila chilometri / coperti
sugli oceani in poco meno di un anno / Come Chichester, /anche Rose non è più giovane / ha
sessant’anni / fa il commerciante / ma / come Chichester / ha il mare nel sangue. Registro formale o
sorvegliato appare più pianificato, non ci sono ripetizioni, la sintassi è più organizzata.
Fenomeni caratteristici dei registri formali e informali
Presenza di un linguaggio parallelo espresso Poca monosemia, i tecnicismi molto vaghi (glamour, nuance,
attraverso simboli, grafemi particolari + “drama”) sono vocaboli di uso comune che possono essere
tecnicismi (neutrino, leptoni, antineutrini..) + caricati di vari significati + forte disponibilità ad accogliere parole
forte monosemia. della moda (italiana + inglese + francese). Gli unici elementi
monosemici (capospalla doppiopetto) sono legati più alla
professione sartoriale che al mondo della moda.
SINTASSI
Carattere espositivo, ma impersonale (non c’è Carattere espositivo, ma con volontà di rivolgersi direttamente al
alcuna volontà di rivolgersi al lettore). Sintassi lettore (presenza di una domanda che lo chiama in causa).
non troppo complessa a parte per il nesso Maggioranza di coordinate e sintassi nominale.
relativo “Il che” tipico dei registri formali.
-----------------------------------
LINGUISTICAITALIANA- lezione 14
L’aziendalese
L’italiano burocratico, però, non è più contemplato dallo schema di Antonelli. Questo perché, ultimamente, ha perso
prestigio. Oggi, il centro del potere è espresso dalle realtà aziendali. C’è l’idea, infatti, che la realtà aziendale sia quella
più produttiva mentre quella amministrativa è denominata come “nullafacente”.
La lingua praticata nel contesto aziendale ha, oggi, assunto il prestigio che prima apparteneva agli uffici pubblici.
L’aziendalese, però, non è completamente avulso dall’italiano burocratico, anzi ne riprende alcune locuzioni e
perifrasi. L’italiano aziendale poggia sul neo-standard (non sullo standard come l’italiano burocratico) accogliendo
anche molti termini inglesi. Alcuni sono prestiti di necessità, altri sono evidenti prestiti di lusso che rimandano
all’idea di efficienza e avanguardia legata al prestigio della lingua inglese.
Esempio di aziendalese
Egregio Dott. X, faccio seguito al report dell’ultimo incontro del GBS avente ad oggetto Bilancio Sociale
Aziendale 2019. Alcune
osservazioni. Mi preme focalizzare l’attenzione sul punto relativo al network di relazioni con i diversi stakeholder,
evidenziando che il gap rilevato tra gli obiettivi prefissati ed i risultati ottenuti nel 2019 denota una seria carenza
nel Management da Lei gestito. Nel rammentarLe che la nostra mission aziendale è quella di migliorare
l’engagement ed il consenso della clientela, del personale e dell’opinione pubblica, ritengo necessario ed
urgente addivenire ad una sintesi strategica d’impatto, per colmare le imperdonabili carenze rilevate
ed allinearci alle priorità prefissate in sede previsionale.
Interfacciamoci a breve, attendo un suo feedback.
L’aziendalese colloca, dunque, una struttura neo-standard con moltissimi forestierismi inglesi e prestiti dall’italiano
burocratico e si manifesta soprattutto nella comunicazione scritta infra-aziendale. Possiamo, però, trovare delle
perle aziendali anche in uno scritto amministrativo. Questo, per dire, che l’aziendalese ha contaminato anche luoghi
tipici dell’italiano burocratico.
Aziendalese, burocratese il suffiso –ese già esprime una connotazione negativa.
L’ITALIANO NEOMEDIALE
Si tratta di una varietà scritta, ma orientata verso il polo del parlato. L’italiano scritto, usato in rete, si sposta verso
l’oralità; sembra un controsenso ma è così.
Nello schema di Berruto, l’italiano neomediale non c’è ma egli aveva comunque riconosciuto una “comunicazione
mediata dal computer”. Oggi, però, tale mediazione non avviene solo attraverso il pc, ma anche attraverso il
cellulare, tablet… Si è passato, dunque, alla seguente etichetta: Comunicazione Mediata Tecnicamente.
• L’italiano digitato (o E-taliano) si manifesta come trasmesso, scritto.
• La digitazione quotidiana di messaggi, post, commenti ha creato e promosso un atteggiamento disinibito
verso la scrittura. Non abbiamo più paura di sbagliare scrivendo sulla rete. La quotidianità della digitazione
ha alzato la soglia di tollerabilità degli errori.
• I testi trasmessi tramite i vari servizi hanno due caratteristiche:
Brevità, principio nato con delle restrizioni tecniche legate al servizio SMS.
Frammentarietà spesso parliamo di ipotesti, testi non del tutto coesi.
• Vivacità espressiva a scapito della struttura logica del discorso; impostiamo il discorso come se fosse una
conversazione simultanea, orale, quando non lo è.
Esempi di CMT informale o Spotted: UNIMI
Al ragazzo/a che settimana scorsa ha lasciato una cicca attaccata al banco nelle prime
file in P4:
spero ti venga un cagotto micidiale e che tu rimanga incastrato in ascensore. Firmato
una alla quale hai rovinato i pantaloni.
Italiano popolare o dei semicolti? ➡ oggi vogliono indicare la stessa cosa, ma in realtà hanno accezioni diverse.
popolare: utente dialettofono non istruito VS semicolto: utente dialettofono, che ha avuto un qualche periodo di
istruzione, ma per qualche motivo ha perso la capacità di scrivere testi complessi; quindi, è rimasto distante dalle
manifestazioni più culturali. Questo fa sì che nelle sue produzioni scritte ci siano dei tratti dell’oralità colloquiale
e per questo ha tratti in comune con l’italiano popolare.
La dialettofonia esclusiva è in forte esclusione semicolti > popolari.
ITALIANO DI SEMICOLTI (digitato), esempio
L' osservazione che ho fatto al Dottor […]( sia tramite e mail è sia telefonicamente), se si può correggere sul Regolamento del
Super Condominio alcuni Articoli della Bozza. Devo ammettere che è stato molto gentile e confidenziale a darmi delle
delucidazioni in merito.
Parte 2 - Spese e ripartito. [….].
La mia domanda che ho rivolto al Dottor XXX: «La parte Giardinaggio» Possiamo lasciare hai singoli Amministratori per evitare
costi di scavo per collegare la palazzina X e la palazzina Y con la Palazzina Z? Bisogna tenere presente i costi per scavo ed
allattamento in quanto nei lavori straordinari c'è ne sono tanti d'affrontare, siamo sicuri che tutti hanno la possibilità di poter
affrontare queste Spese? Tanti sono Pensionati, tanti sono rimasti soli/e sé qualcuno non può pagare chi paga per loro? Se
questo avviene? Anche perché c'è la potatura Alberi e cespugli, chi li ha, e chi non li ha e come taglia erba. Potrebbe nascere un
piccolo qui, quo, qua, tra Condomini. La risposta datomi telefonicamente dell'amministratore! È stata che tutti hanno il diritto di
dire la sua in assemblea e con la maggioranza si può trovare una via di intesa ed'é per questo che giorno 2 di Aprile abbiamo
questa riunione Mi è stato detto (testuale parole), tutte le riunioni Straordinarie tutti i Condomini possono intervenire e dire la
sua, la maggioranza decide. Mentre solo nelle Assemblee Ordinario possono essere presenti i rappresentanti delle tre palazzine
per verificare i conti di bilancio fine Anno e quant'altro. Di cui mi ha confermato che tutti i Condomini possono telefonare da
Lunedì al Venerdì dalle ore 09:00 alle 18:30 loro sono sempre a disposizione dei Condomini per qualsiasi cosa ha bisogno. Questo
è quanto ho potuto Confermarvi. Per accertamenti potete telefonare per avere tutte le risposte personali gli indirizzi li avete tutti.
Ciao.
Caratteristiche:
• Anacoluto all’inizio del testo (“l’osservazione che ho fatto al Dottor “) [tratto dell’oralità- chi scrive inizia con
una topicalizzazione, inizia la frase ma non la continua. Difficoltà di continuare un testo]
• Sforzarsi di scrivere in un registro più elevato utilizzando sintagmi fissi burocratici, perché percepiti come
formali: [“la risposta datomi” – “soli/e” (non sviluppato nel testo) – “in quanto” - “giorno 2 di Aprile” – “e di
cui”.
• Errori ortografici.
• Formule fisse poco maneggiate che vengono storpiate [“testuale parole”] – [“potrebbe nascere un piccolo
qui, quo, qua”< quiproquò ] - lo stilema [“ Di cui”] non ha senso nella sintassi del testo.
• Uso di plastismi [“Quant’altro”]
• Mancata pianificazione del testo e quindi di una sintassi traballante che produce un testo poco coerente
[“Anche perché c’è la potatura…taglia erba”]
• [“la risposta datami…in assemblea”] & [“e tutti i condomini … la maggioranza decide”] a causa di una lacuna
nelle conoscenze morfosintattiche si produce un esito comico.
• L’uso di [“ciao”] come chiusura è tipico del parlato. Elemento che stona in un testo che voleva raggiungere
un registro formale.
Nel testo si percepisce una forte volontà di avvicinarsi ad un italiano standard, ma non avendo gli strumenti adatti,
l’esito è quello di creare un registro totalmente inappropriato al contesto (miscuglio di generi).
LINGUISTICAITALIANA- lezione 16
VARIETÀ DIAMESICHE:
variazione del mezzo. I due poli sono il parlato fonico (colloquiale che si realizza nelle conversazioni) e lo scritto-
scritto (nei testi tradizionali, come manuali).
Perché “fonico”? Esistono diverse manifestazioni del parlato; esiste il parlato fonico recitato (teatro, film) che simula
il parlato spontaneo ma dentro di sé contiene dei tratti dello scritto fonico.
Tratti del parlato fonico
• scarsa accuratezza della produzione di un enunciato, che porta a fenomeni di allegro (forme tronche: dir, son,
far; forme aferetiche: sto > ‘questo’, notte > ‘buona notte’; forme abbreviate: cine, bici, moto); (giovanilese
= parlato fonico o trasmesso digitato)
• scarsa pianificazione del discorso, con conseguente frammentazione dello stesso, insieme a riprogettazioni,
ripetizioni ecc.;
• stretto legame con il contesto di enunciazione, che si esprime attraverso deittici3 e segnali discorsivi fatici,
che servono a stabilire il contatto con l’ascoltatore (senti, guarda, capisco);
Deittici3 = parole che puntano al contesto spaziale e temporale. (qui, li, oggi, domani)
• sul piano lessicale, uso di genericismi (coso, roba,tipo), dovuti alla scarsa pianificazione.
Dall’altra parte dell’asse c’è lo scritto-scritto o scritto grafico:
• caratterizzato da una maggiore pianificazione del testo rispetto al parlato fonico. La pianificazione è vincolata
alle specificità richieste da ciascuna tipologia testuale (ad esempio, un’accurata paragrafazione nei saggi; una
struttura a elenco nei testi burocratici, ecc.);
• ricchezza di connettivi che collegano le diverse porzioni testuali, e assicurano la coesione del testo, spesso i
testi conversazionali del parlato fonico sono poco coesi.
• elevata coerenza del testo;
• maggiore varietà del lessico rispetto al parlato fonico. Il lessico dello scritto grafico possiede, di solito, una
maggiore densità lessicale. Chi scrive medita, scegliendo le parole più appropriate. (facile trovare tecnicismi
o parole monosemiche)
Il trasmesso: racchiude quelle varietà che presentano dei tratti sia appartenenti allo scritto grafico prototipico che al
parlato fonico sono delle varietà ibride come l’italiano digitato, televisivo o radiofonico.
DIAPOSITIVA 4
• Il Quadro O è stato strutturato onde consentire, per i versamenti eseguiti rispettivamente dal dichiarante e/o
del coniuge, l’indicazione di eventuali versamenti integrativi dell’acconto e/o del saldo già versato in misura
inferiore a quella dovuta, nonché il calcolo per il versamento a saldo dell’addizionale straordinario ILOR.
Varietà: italiano burocratico -- polo scritto-scritto.
Tratti tipici del burocratese:
• Uso di connettivi culti/aulici: [“onde” - “nonché”]
• Uso del participio presente in funzione nominale [“dichiarante”]
• [“coniuge”] vocabolo appartenente ad un registro formale, ma che non stona in un testo burocratese.
• [“e/o”] una delle possibilità che il neo-standard ha ereditato modellandosi sull’inglese e che è ritenuto
funzionale nei discorsi burocratici.
• Uso dell’ipotassi tendenza a strutturare periodi lunghi su varie subordinate.
• Suffissati in [“-ale” addizionale]
• Presenza di sottocodici economici finanziari entrati nell’italiano burocratico [addizionale -saldo-
finanziamento].
• Presenza di un acronimo [ILOR] (anche nell’italiano tecnico- scientifico)
• Presenza dell’accumulazione di specificazioni nominali [ il calcolo, per il versamento, a saldo, dell’addizionale]
• Spersonalizzazione del testo grazie a costruzioni passive o al “si” impersonale [“Il quadro è stato strutturato]
DIAPOSITIVA 5
Mentre che guardava le facce [...] dei due pulotti americani (uno biondo l’altro bruno, centomila volte meglio il
bruno) ha continuato a tirare giù sorsate discrete di grappa. A un certo punto si è sentita da dio. Ha cambiato un
paio di volte il programma, si è messa a guardare una storia di canzoni e di dediche a richiesta su Tele Monte
Carlo e si è sentita bene. Niente magone, [...] le cose che la facevano amareggiare non se le ricordava più. Ora
sapeva cosa bisognava fare nella vita se hai un po’ di merde che ti ronzano per la testa. Quando è arrivato il
padre le ha dato un’occhiata e ha detto: E che brava! Chi fa per sé fa per tre! Lei ha continuato a strafocarsi e non
ha risposto nient’altro che un Mh. Lui ha detto: E non c’è mai un cazzo di pronto, non fai mai niente, potevi
cominciare a fare qualcosa che sono le otto.
Varietà: parlato colloquiale informale – polo parlato fonico, tratti tipici
dell’italiano colloquiale informale (lo fanno scadere nel trascurato):
• [“mentre che”] connettivo anormativo, non grammaticale.
• Presenza del turpiloquio (scende in diastratia) & gergo giovanilese [“sentirsi da Dio” – “strafogarsi” – “culotti”
– “centomila volte meglio” uso iperbolico.
• Presenza di un’interiezione [“Mh”]
• [“tirare giù sorsate”] costruzione analitica (sostituzione di una parola unica precisa con perifrasi)
• Uso di frasi nominali [“niente magone”].
• Semplificazione dei paradigmi verbali: uso dell’imperfetto > condizionale [“potevi fare qualcosa che sono le
8”].
• Uso del che polivalente [“che sono le 8”].
• Dislocazione a sinistra [ “le cose che la facevano amareggiare non se le ricordava più”] – uso del [“le”]
anaforico – [“cosa”] genericismo.
• Uso di espressioni idiomatiche [“chi fa per sé, fa per tre”].
• Semplificazione del pronome interrogativo “che cosa?” [“ora sapeva cosa fare”].
DIAPOSITIVA 6
Quale sarà il mio foturo in poche parole e sempre presente il rientro in Patria visto anche liniziativa contro gli stranieri
ci anno dato linsicuressa e ci anno fatto sentire di essere ancora di piu Italianissimi, io non vedo certamente come tanti
nostri emigranti una seconda Patria, di Patria per me e i miei figli ce ne una Sola. Varietà: italiano popolare tradizionale
prototipico Tratti caratteristici del popolare:
• concrezioni dell’articolo (liniziativa, linsicuressa).
• Interferenza dialettale [“insicuressa”] (settentrione, assibilazione della fricata alveolare).
• Mancato uso dell’ortografia corretta [“h”] come diacritico, [“e”] senza accento, [ce ne] senza giusta
discrezione del verbo essere.
• Uso ideologico delle maiuscole. (legato al senso di appartenenza alla nazione). [“Italianissimi”]
• Uso di un futuro improprio.
• La sintassi: anacoluto (nessun collegamento morfosintattico tra l’inizio del testo e quello che segue) scarsa
pianificazione del discorso, dovuta ad una scarsa padronanza della lingua scritta. Questo porta anche ad una
mancata interpunzione.
Professore, buonasera.
Sono costernato per il ritardo della consegna del secondo capitolo ma sono stato bloccato alcuni giorni per colpa di
un’ernia lombale. Ho iniziato il terzo capitolo e conto di inviarvelo entro fine settimana, sempre con il vostro bene
placido. Vi ringrazio della disponibilità
Cordiali saluti. Varietà: italiano di semicolti del XXI secolo Tratti caratteristici
dell’italiano semicolto:
• Presenza di malapropismi [“ernia lombale” < ernia lombare] – [“bene placido” < beneplacito].
• Arcaismo & pressione dell’italiano regionale sottostante: uso del voi > lei.
• Pur essendo una comunicazione scritta formale ritroviamo tratti tipici del parlato fonico [“buonasera”].
[“conto di inviarvelo”] tratto colloquiale.
• [“Professore, buonasera”] attacco con vocativo, dovuto al forte peso dell’oralità.
LE VARIETÀ DI APPRENDIMENTO
Nello schema Berruto-Antonelli non sono comprese le varietà italiane estremamente semplificate:
(interlingue o varietà di apprendimento, teacher talk, foreign talk)
• Interlingua = “sistema linguistico a sé stante […] che risulta dal tentativo di produzione da parte
dell’apprendente di una norma della lingua obiettivo”. -Selinker, 1972.
• L’interlingua ha sempre un carattere sistematico e transitorio.
- Transitorio: perché il processo di semplificazione di una lingua è sempre momentaneo, ci si aspetta che
dopo una fase di semplificazione si passi avanti.
- Sistematico: per ogni grado di interlingua riusciamo a trovare per tutti i parlanti che apprendono quella
stessa lingua gli stessi errori, automatismi, regolarità. Questo avviene perché nell’acquisizione di una
lingua ci sono sempre dei punti in comune; ci sono delle variabili, ma possiamo trovare degli universali.
- Le varietà di apprendimento costituiscono un continuum, i due poli del continuum sono: la fase del
silenzio & la lingua obiettivo”
Differenza tra acquisizione ed apprendimento:
• Acquisizione= quando assorbiamo la lingua in modo inconsapevole, perché calati nel contesto in cui la lingua
che stiamo imparando è la lingua madre di quella comunità. Oppure acquisiamo quando siamo esposti a film
o canzoni nella lingua che stiamo imparando.
• Apprendimento= avviene in un contesto sorvegliato (scuola). Anche noi ci auto sorvegliamo quando
apprendiamo in contesto scolastico una lingua attiviamo il cosiddetto “monitor”: meccanismo cerebrale
che sorveglia il corretto apprendimento della lingua.
Es. Gli immigrati acquisiscono la lingua, ma se iniziassero a frequentare dei corsi di lingua passerebbero alla seconda
fase ovvero all’apprendimento. L’ideale sarebbe riuscire a servirsi di entrambi i canali, perché l’acquisizione da sola
non basta.
LINGUISTICA- lezione 17
Le varietà di apprendimento
-La varietà di apprendimento o interlingua è definita come un «sistema linguistico a sé stante [...] che risulta dal
tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una normadella lingua obiettivo» (Selinker, 1972). -Le varietà di
apprendimento hanno un carattere sistematico e transitorio, cioè non ci aspetteremmo di arrivare ad avere una
competenza linguistica sempre più perfezionata e vicina alla competenza dei nativi. Anche se, quando guardiamo al
quadro europeo e al grado più alto di competenza (C2), noi non diciamo che questo corrisponde alla competenza di
un nativo; solo che il C2 rappresenta il più alto livello di competenza linguistica e chi lo possiede ha gli strumenti per
potersi approssimare alla competenza di un nativo. Ma, almeno che non si è bilingui dalla nascita, l’approssimazione
alla competenza di un nativo ha sempre uno scarto. Carattere sistematico, cioè noi possiamo osservare delle
caratteristiche che sono sempre le stesse a prescindere dalla lingua madre dell’apprendente. -Le varietà di
apprendimento costituiscono un continuum (da spezzettare in intervalli che siano in qualche modo misurabili);
innanzitutto, possiamo distinguere due poli la ‘fase del silenzio’ (momento in cui si preferisce assimilare quello che
viene detto in lingua e ritardare la fase di produzione scritta e orale) e la ‘lingua obiettivo’ (la lingua “target” così
come la parlerebbe un nativo al massimo della competenza).
- La fase del silenzio è importante perché noi apprendenti non siamo apatici, anzi assorbiamo, analizziamo l’input
che ascoltiamo (prevalentemente l’input orale). Da qui, la delicatezza di tale fase che va rispettata specialmente dai
professori. L’apprendente non è pronto (non ha acquisito abbastanza strutture) dunque va rispettato e capito, non
obbligato. Se l’insegante pressa il ragazzo a volerlo far parlare nella lingua in apprendimento, rischia di fare un
danno sia perché l’apprendente non ha acquisito sufficienti strutture per potersi esprimere, seppur balbettando,
sia perché agisce una componente emotiva che è quella del cosiddetto “filtro affettivo” che viene alzato
dall’apprendete se lo si obbliga a parlare o scrivere prima del termine della fase del silenzio. All’arrivo di un non-
madrelingua in classe si preferisce usare delle tecniche che non implichino, da parte del ragazzo, una produzione
orale o scritta ma che assicurino all’insegnante una reale comprensione da parte dell’alunno.
Nel primo esempio notiamo la disposizione setting+tema+rema. Nel secondo esempio ritorna una presenza
massiccia dell’inglese perché l’informante ha un lessico molto ridotto, non ha tutte la parole e le strutture per poter
parlare con l’informante, ma a differenza della varietà prebasica, qui ci sono delle frasi minime in cui è il verbo ad
essere il focus degli enunciati e c’è un primo tentativo di elaborazione morfologica e morfosintattica. Quindi, al
livello della varietà basica emerge la morfologia che, però, non è ben gestita, possono esserci molti errori.
L’apprendente fa ancora molto affidamento ad un’altra lingua (in questo caso, l’inglese) e si aiuta con segni
paraverbali, la gestualità (es. segna 5 con la mano). Nell’ultimo esempio, si vede bene come emerge il verbo, quindi
c’è una struttura frasale minima.
f. \MH\ dunque + io c’ho un po di + tempo ++ a giorni che vado a l’uficio che/ che ha mio padre + import
export, di comercio + ehm + vado lì a lavorare con mio padre + aiutare, imbare qualcosa + eh + anche ieri
come tutti i giorni sono andato + è stata una giornata piena di lavora + perchè, sicome adeso abiamo
richiesta perl’Albania, per le cose + e sicome vogliono anche loro a/ a/ in questo momento che stanno
transversando + dificile u/ un momento dificile + diciamo è +sicome mancano cose [...]
g. [la ragazza] arriva a casa dà due banane anche alle sorelline piccolissime e ed arriva a anche il padre – e
cerca di fargli una sorpresa perché il padre è molto triste anzi distrutto disperato perché non ha lavoro e
non/non ha neanche da mangiare –suppongo – e gli dà trionfando queste banane che ha rubato.
Nelle varietà post-basiche, il principio pragmatico dell’organizzazione della frase non c’è più perché domina il
principio sintattico. A questo livello l’apprendente, non solo è consapevole dell’esistenza di una morfologia
complessa ma è anche in grado di gestirla. Questo non vuol dire che non commetterà errori però che li commetterà
con una certa sistematicità, per esempio (come anche in relazione all’italiano popolare) il caso del participio passato
responduto, al posto delle forme irregolari. Negli errori del parlante di varietà post-basiche, noi riconosciamo che lui
ha capito una regola di formazione delle parole in italiano e sta tentando di usarla magari sovraintendendola in
modo scorretto. Le interferenze con le lingue madri sono comunque presenti, soprattutto in fonetica qui si vede
la difficoltà di gestire le doppie (le geminate) poiché sono meno frequenti nelle altre lingue.
Rispetto alla varietà basica (che si attiene alla paratassi, alla giustapposizione di enunciati), qui emergono anche le
subordinate, dei connettivi sempre più complessi. Possiamo, ovviamente, arrivare da varietà post-basiche un po'
incerte (I esempio) fino a varietà quasi native (II esempio). Il secondo estratto è una vocalizzazione di un racconto
per immagini, tecnica che si usa per elicitare le produzioni libere e vedere a che livello di competenza è arrivato un
apprendente.
• Indotto dall’ipergeneralizzazione delle norme apprese (es. spenduto in luogo di speso,sul modello di mangiato,
pensato, creduto, veduto ecc. spenduto è un errore sistematico poiché è collegato alle interlingue). Nell’errore
è possibile vedere che almeno una norma della forma standard è stata acquisita.
• Sistematico, perché collegato alle interlingue. Cioè noi ci aspettiamo un certo tipo di errori dagli apprendenti,
perché è collegato all’acquisizione della lingua e all’evoluzione della competenza.
• Collegato all’interlingua: una struttura appartenente a un’interlingua ‘superiore’ sarà quasi sicuramente
prodotta in modo errato; la correzione deve tenerne conto: non ha senso correggere ‘tutto’, perché
l’apprendente può non essere ancora ‘pronto’ ad apprendere una certa struttura (per trasformare la
correzione in intake)
Ci sono diversi metodi per correggere:
• Con i principianti è meglio preferire la correzione esplicita (più diffusa): con gli apprendenti intermedi e
avanzati si possono usare strategie di correzione diverse. Nello scritto:
- La esplicita, se ci troviamo davanti a strutture che sono a un livello superiore e che l’apprendente non
potrebbe produrre correttamente
- La rilevativa, se l’apprendente è in grado di autocorreggersi se noi gli focalizziamo il punto dolente
- La classificatoria, e cioè concordiamo con gli apprendenti un sistema di etichette (L= lessico, N= nome, A=
articolo) che diventano un suggerimento in più per l’autocorrezione
- La mista
- La correzione tra pari, a gruppetti in modo da creare una situazione equilibrata; dove non arriva una
persone, può arrivarci un’altra
Nell’orale: ci sono due scuole su questo punto.
- Quando ci accorgiamo che l’apprendente commette un errore, è bene interromperlo e correggerlo subito
oppure aspettare che abbia finito la produzione e poi ritornare su quelli percepiti come errori e
correggergli esplicitamente riformulando la frase? I metodi comunicativi consigliano la seconda opzione,
perché secondo alcuni studi, se noi interrompiamo il flusso comunicativo inibiamo la produzione
- Dall’altra parte sembra che alcuni apprendenti preferiscano la correzione immediata Oltre alla correzione
esplicita abbiamo, anche qui, varie possibilità di intervento:
- Riformulazione della frase che avvertiamo come sbagliata, la riformuliamo subito dopo la produzione
dell’apprendente, in modo corretto
- Ripetizione dell’errore, interrompiamo il flusso comunicativo ma senza dare la correzione, piuttosto
ripetiamo la forma errata in modo da sollecitare l’autocorrezione (simile all’elicitazione) - Uso di segnali
non verbali (gesti, smorfie...)
L’apprendente è più consapevole degli errori ‘grammaticali’ (di morfologia, o sintassi…), meno degli errori socio-
pragmatici (es. come prendere il turno in una conversazione; come formulare una richiesta da parte di un
bambino- fammi andare in bagno sarebbe ritenuta impropria; reagire a un complimento dell’insegnante (se noi ci
troviamo in classe uno studente sinofono con scolarizzazione della sua madrepatria, nel momento in cui si trova
nella nostra classe e viene lodato, potrebbe sentirsi in imbarazzo perché la sua cultura non contempla questo tipo
di reazione ad un complimento; la priorità non è data all’individuo, ma al senso di unità di una classe): ciascuno è
portato a trasferire automaticamente sulla lingua target (straniera o seconda che stiamo apprendendo) le
convenzioni della sua L1.
Emigrazione italiana ottocentesca. Per chi è del meridione, possiamo individuare altre linee di tendenza diverse
dell’emigrazione odierna.
▪ Diverso profilo socioculturale degli emigrati italiani nel tempo. Gli emigrati del secondo ottocento erano
prevalentemente dialettofoni, perché la maggior parte di loro era analfabeta e nella migliore delle ipotesi
poteva maneggiare l’italiano popolare in circostanze di necessità. Una cosa importante degli emigrati di
quell’epoca è che l’esperienza dell’emigrazione (come si evince dagli epistolari, nei tentativi di scrittura a chi
era rimasto in patria in Italia) sembra aver agito come motivatore all’alfabetizzazione. Gli emigrati d’allora si
erano resi conto dell’importanza di acquisire l’italiano come codice standard. Oggi, gli emigrati italiani non
sono analfabeti, ma si tratta di persone con un alto livello di istruzione (laureati e addottorati), che oltre
all’italiano standard, parlano almeno un’altra lingua straniera, molto spesso sono addirittura poliglotti. Le
dinamiche che questo diverso profilo socioculturale creano sul repertorio linguistico degli emigranti di ieri e
di oggi, sono diverse.
▪ L’incidenza del progetto migratorio sul repertorio linguistico. Se chi è emigrato oggi, conta di tornare in
Italia, avrà una certa cura di far mantenere l’italiano ai propri figli; chi è partito per non tornare più, avrà dei
comportamenti opposti, o forse li incoraggerà a dimenticarsi dell’italiano. È difficile mappare, così come è
stato fatto per gli emigrati dell’800, le conseguenze sul repertorio linguistico di chi è emigrato da vent’anni a
questa parte. Ci sono, però, diversi studi, uno in particolare, quello dei membri di una famiglia veneta
emigrata nel 2008 in Brasile l’italiano rimane all’interno della famiglia, però si alterna (in modo non
negativo o erosivo) col dialetto veneto e il portoghese locale. Esistono degli spazi di sovrapposizione di
queste lingue; a volte l’italiano viene usato come codice identitario per rimarcare la differenza con la
comunità ospitante, ma il rapporto con tale comunità è non conflittuale, quindi le occasioni di
comunicazione plurilingue non sono vissute in modo traumatico, anzi, il plurilinguismo è vissuto in termini di
arricchimento. Potrebbero, però, esserci casi d’attrito nel repertorio linguistico.
Inevitabili fenomeni di erosione linguistica (che può accadere sul piano microscopico anche agli immigrati di I
gen.) causati dall’interferenza tra le lingue. P.e. una perdita delle corrette reggenze preposizionali dei verbi.
Questo può capitare anche a parlanti estremamente istruiti o colleghi italofoni trasferiti in un contesto ispanofono
(in cui la vicinanza tra italiano e spagnolo favorisce le interferenze tra le due lingue) la scelta delle
preposizioni dinanzi ai verbi, risente di quello che è il corrispettivo spagnolo. Le preposizioni (anche
nell’apprendimento dell’italiano come lingua seconda) sono i punti deboli, così come anche gli articoli, perché
sono parole che non veicolano tanto un contenuto semantico. Sono anche scarsamente percepite e meno importanti
di altri elementi, quindi vengono colpite facilmente dai fenomeni di erosione linguistica. Ci sono casi di
erosione linguistica che colpiscono i figli di immigrati (quelli di II gen.), i quali potrebbero benissimo apprendere a
parlare le lingue di provenienza della famiglia, ma ritengono che il mantenimento di tali lingue non sia produttivo,
quindi lo scoraggiano un fenomeno di erosione linguistica di questo tipo può portare a ledere tutta la
competenza linguistica, finché non rimangono solo singole parole, le quali vengono investite (siccome sono gli
ultimi rimasugli del legame con la prima lingua dei genitori) di un valore simbolico tag switching. Esempio: I
ragazzi arabofoni che si salutano utilizzando salam aleikum, poi il discorso che segue è completamente in italiano.
I FENOMENI DI INTERFERENZA
•Calchi semantici, manteniamo il significante italiano, prendiamo un significato della lingua straniera
(fattoria per ‘fabbrica’, introdurre per ‘presentare’, libreria per ‘biblioteca’)
• Calchi strutturali, traduzione pedissequa (scuola alta per ‘scuola superiore’, sul modello di high school)
LINGUISTICAITALIANA- lezione 18
Dal foreigner talk al teacher talk; Alcuni studi sostengono che queste due varietà siano dei poli opposti di un
continuum. Perché anche il teacher talk è l’esito del tentativo di risultare più comprensivi ai parlanti non nativi. Con
l’intento, al contempo, di rimanere modellizzanti, cioè di offrire un parlato corretto che sia all’interno della norma
standard. Il teacher talk dovrebbe essere un parlato molto sorvegliato dal docente e molto programmato
Tratti caratterizzanti
I tratti che caratterizzano il parlato dell’insegnante sono comuni, in parte, a quelli del foreigner talk: -
La velocità del discorso, però, è generalmente più lenta. Più la varietà è bassa, più il parlato
rallenta - Le pause, che servono al docente per pianificare il parlato, sono più lunghe e frequenti.
- Si ha iperarticolazione, la pronuncia è più marcata anche perché c’è un intento didattizzante.
- Il lessico è più basico
- Il grado medio di subordinazione è più basso. Nel parlato dell’insegnante che è glottodidatticamente
orientato, la subordinazione si riduce.
- Si usano più frasi affermative e dichiarative rispetto alle domande. Questa è una conseguenza del fatto che
buona parte degli insegnanti, in contesto italiano, è impostata su un tipo di lezione frontale
- L’insegnante può usare frequentemente l’autoripetizione, per riprendere concetti che si sono detti prima.
Quello che abbiamo fatto quando abbiamo considerato le strutture una per volta, corrisponde a queste visioni della
grammatica, per cui è possibile isolare ciascun livello, analizzarlo e considerarlo in parte nella sua autonomia o nel
suo cooperare con i livelli immediatamente successivi. Poi abbiamo elaborato, in contesto anglosassone, un’idea di
grammatica legata alla teoria della competenza linguistica, che hanno tutti i parlanti.
Noam Chomsky, negli anni 50, inventa la grammatica generativo-trasformazionale con lo scopo di trovare degli
universali linguistici, cioè di dimostrare che tutte le lingue funzionano nello stesso modo e che noi possiamo trovare
delle regolarità costanti che accomunano tutte le lingue, in particolare Noam Chomsky guarda la formazione delle
frasi, la sintassi.
Chomsky distingue tra due concetti principali:
- il concetto di competenza; la competenza è, per lui, l’insieme delle conoscenze grammaticali che sono in gran
parte innate grazie al fatto che ciascuno di noi, nel nostro cervello, avrebbe un LAD (Language Acquisition Device).
Il suo ragionamento è il seguente: tutte le lingue hanno regole soggiacenti identiche e noi abbiamo questo
dispositivo che ci predispone all’acquisizione di qualsiasi lingua, dunque, nel momento in cui nasciamo qui in Italia,
si setta sull’input che sente, quindi sulle particolari regole che caratterizzano l’italiano. Per cui, in potenza, un
bambino è pronto ad imparare qualsiasi lingua, perché questa parte del cervello gli consente di decodificare l’input
in qualsiasi lingua esso sia e di ricostruire le regole particolari, disponendo di un dispositivo che inconsciamente gli
dà delle regole generali. Del resto, noi tutti abbiamo acquisito la lingua madre semplicemente ascoltando
(attraverso una lunga fase di silenzio) quello che dicevano i nostri conoscenti e abbiamo, da soli, ricostruito le
regole per poi formare le nostre prime frasi e poi dei veri e propri discorsi. La competenza quindi, secondo
Chomsky, rende possibile al parlante la comprensione e la produzione di infinite frasi mai sentite in precedenza.
Noi non ci limitiamo ad imitare le frasi che abbiamo sentito, ma riusciamo anche ad inventare frasi mai ascoltate
prima.
- il concetto di esecuzione; l’esecuzione, secondo lui, è la manifestazione della competenza nell’uso effettivo della
lingua. La competenza è qualcosa di astratto, cioè la lingua è impotenza; l’esecuzione è la lingua così come noi la
produciamo nella realtà, quindi l’esecuzione è sempre un sottoinsieme della competenza.
REGOLA E REGOLARITÀ
Col termine regola ci riferiamo di solito a singoli elementi verbali autosufficienti, che esprimono che c’è un rapporto
costante tra fenomeni osservabili; per esempio quando parliamo di regola abbiamo in mente le categorie oppositive
come giusto/sbagliato, accettabile/non accettabile ecc... Esempi di regole riguardano l’uso degli allocutivi tu/lei,
esprimono come ciascuna categoria del discorso si “comporta” in una frase (es. le regole ci dicono che gli articoli
precedono i nomi, talvolta i verbi) ecc...
Abbiamo diversi tipi di regole:
• Regole categoriali formali quelle che, per esempio, ci dicono come dobbiamo formare l’indicativo presente.
• Regole categoriali di tipo semantico quelle che, per esempio, ci obbligano a selezionare, quando noi
abbiamo un verbo, solo determinati sostantivi, perché ci sono dei legami implicazionali tra il verbo e le parole
che possiamo selezionare e attaccare attorno. Es. la nave cammina non c’è una solidarietà semantica tra il
camminare e l’entità nave.
Ma non è tutto così monolitico come lo è, invece, la regola morfologica del femminile (che si forma con certi suffissi
e non con altri)
• Regole categoriali aperte a variazione l’italiano è una lingua SVO, ma possiamo costruire frasi del tipo OSV,
cioè quelle che presentano la dislocazione a sinistra
Con regolarità intendiamo comportamenti ricorrenti, in qualche misura prevedibili, e che a differenza delle regole
formali non sono obbligatorie. Quindi noi non vediamo un principio di grammaticalità che viene violato, ma il fatto di
non rispettare una regolarità viene comunque notato dal nostro interlocutore.
Le regolarità discorsive sono affrontate da quest’altra branca della linguistica che è La Linguistica Internazionale,
che è una sotto-disciplina della pragmatica e che cerca di studiare quali sono le regolarità che, in una data lingua o
cultura, si manifestano quando siamo in una conversazione spontanea con un nostro interlocutore. Le regolarità
sono influenzate dalla cultura di appartenenza. Quelle che seguono sono regolarità valide per l’italiano ma che
possono non valere per altre lingue:
- regolarità delle coppie adiacenti (saluto-saluto; domanda-risposta; invito-accettazione oppure rifiuto + scuse o
giustificazioni)
- regolarità nei turni di parola (p.es., il completamento anticipatorio, anche questo, culturalmente determinato [pp.
34-35]; ci sono delle convenzioni che stabiliscono dove e come l’interlocutore può intervenire)
- regolarità pragmatiche, chiamano in causa fattori della situazione sociale in cui avviene la comunicazione: p.es.
chiedere sarcasticamente a un adulto, che si comporta in modo infantile, «Quanti anni hai?» non ha lo stesso
valore se la domanda è posta come richiesta di informazione.
- regolarità collegate alle conoscenze schematiche che noi abbiamo di come funziona il mondo, che prefigurano e
determinano le nostre attese o quelle dell’interlocutore, regolano l’interpretazione di ciò che si ascolta e
incidono sull’organizzazione stessa dell’informazione (es. libro pp.38-39)
- regolarità collegate alla competenza etnolinguistica (es. la regola dell’accettabilità sociale: un ospite dovrebbe
rifiutare più volte un’offerta, prima di accettarla)
- regolarità nella sequenziazione di episodi (es. regolarità nell’ordinare le parti di discorso di un testo
argomentativo problema + tesi + prove a sostegno della tesi + antitesi + confutazione dell’antitesi)
LINGUISTICAITALIANA-lezione 19
IL MODELLO VALENZIALE APPLICATO ALLE FRASI COMPLESSE “Mara ha dichiarato al notaio la sua accettazione
dell’eredità”. Una stessa funzione può realizzarsi a livello superficiale con varie forme. L’elemento che ha la funzione
di argomento interno del verbo può essere realizzato come un’oggettiva introdotta da “di” o da “che” o una
dichiarativa in discorso indiretto. Possiamo ricondurre tutte queste nozioni ad un unico concetto argomento
interno del verbo (sostantivo o frasi intere). Questo modello ci consente di distinguere le preposizioni subordinate
che finiscono nel nucleo del verbo (oggettive, soggettive, interrogative dirette) e quelle che diventano circostanti
“Mara che ho incontrato ieri ha dichiarato…” se si aggiungesse una temporale finirebbe nel cerchio delle espansioni.
GRAMMATICA PEDAGOGICA:
insegnamento di grammatica che è centrato sui bisogni del singolo apprendente. Se ci troviamo ad insegnare
grammatica italiana ad un bambino inserito nella scuola italiana faremo scelte diverse rispetto ad un immigrato
adulto che viene ai corsi d’italiano L2. Il bambino potrebbe avere anche l’italiano come L2. Scelte diverse perché le
necessità comunicative sono diverse, entrambi avranno la necessità di saper socializzare, ma i contesti non sono gli
stessi. La grammatica per l’adulto deve essere tarata su argomenti professionali o legati allo svolgimento delle
incombenze quotidiane, sin da subito deve apprendere anche vocaboli burocratici VS con il bambino si cerca di
orientare la grammatica verso l’italiano standard, lo scopo è quello di farlo inserire facilmente nel contesto
scolastico.
L’idea della grammatica di italiano come L1 non è pedagogica perché mirava a darci una panoramica il più esaustivo
possibile di tutte le strutture della lingua seguendo un ordine preconfezionato (prima morfologia, sintassi semplice e
poi complessa).
I principi della grammatica pedagogica:
• utilità, che cosa in quel momento è più utile per l’apprendente. Si elabora un sillabo (elenco ordinato di tutte
le strutture grammaticali, di tutte le funzioni comunicative e di tutti i testi in cui si realizzano) diverso a
seconda di chi si ha davanti; non è sovrapponibile. ≠ La grammatica tradizionale mira a far diventare lo
studente un’enciclopedia vivente, senza preoccuparsi dei bisogni del singolo. I sillabi: consentono di
diminuire la presentazione di uno stesso argomento grammaticale in più tappe a seconda della funzionalità
comunicativa che ci serve focalizzare in quel momento.
• Complessità, dobbiamo presentare le strutture in relazione alla loro complessità rispetto all’apprendente
mediando i suoi bisogni comunicativi (a volte si anticipano strutture).
• Funzionalità, descrivere le categorie grammaticali o le strutture in relazione ai loro usi reali in un ipotetico
scambio comunicativo.
• Contrastività, dobbiamo favorire la capacità di confrontare e riflettere metalinguisticamente sulle diverse
lingue che l’apprendente ha a disposizione. L’italiano in contesto scolastico di solito è confrontato con
l’inglese, ed altre lingue. Allo stesso modo, se siamo in contesto di didattica di italiano come L2 potremmo
cercare di favorire i transfer positivi, domandando ad un madrelingua straniero come si dice una determinata
parola nella sua lingua. Questo principio dovrebbe guidare l’insegnante anche nella selezione degli
argomenti. Se sa che ci sono dei punti di “attrito” provocati dalla vicinanza tra le due lingue dovrà dedicare
attività esplicitamente a questi punti di contatto. Es. apprendente ispanofono: attenzione sulla pronuncia
dell’occlusiva bilabiale sonora “B”, perché l’apprendente potrebbe confonderla con la fricativa labiodentale
sonora “V”.
Contrastività= individuare i punti in cui l’apprendente potrebbe fare un transfer negativo