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CONTENUTO

Trascrizioni complete delle intere lezioni, integrate con


nozioni presenti sul libro di testo, tabelle, schemi e
immagini pensati per un supporto visivo.
Mancini, Maresca

LINGUISTICA
ITALIANA
Professoressa M.Dota, anno 2021/22

LINGUISTICAITALIANA- lezione 1
Programma di studio:
Strutture dell’italiano standard e neo-standard
Varietà dell’italiano sociolinguistica
Italiano come lingua prima e seconda glottodidattica
Organizzazione esame: l’esame sarà scritto, informale con data non ufficiale più o meno nella seconda metà di
maggio. Tre domande aperte + una facoltativa. Le domande verteranno sui 3 macro-argomenti del corso: ambito
delle strutture linguistiche, ambito sociolinguistico, ambito dell’insegnamento della grammatica + domanda
random. Saranno poi disponibili, come da norma, due appelli a giugno, uno a luglio e uno a settembre; tutti orali.

Che cos’è la LINGUISTICA ITALIANA? È, banalmente, la disciplina che studia la lingua che si usa in Italia. La
linguistica è una disciplina descrittiva (ed estremamente analitica) che studia le lingue in uso nel territorio
italiano, nel passato e nel presente.
L’acquisizione naturale della lingua in famiglia è seguita dall’apprendimento materno, poi quello elementare in cui
c’è l’abbandono delle forme sbagliate apprese spontaneamente (selezione + eliminazione delle forme sbagliate +
conservazione delle forme giuste) secondo regole e filtri datici dall’insegnamento grammaticale ovvero dalla
grammatica normativa. Questa dichiara quali forme sono giuste e quali sbagliate (censurate dalla stessa grammatica
normativa). Tutti i manuali di grammatica partono da due assunti fondamentali:
- In Italia si parla una lingua unitaria
- Ci sono due modi di parlare e scrivere: giusto e sbagliata
L’idea di lingua non ci viene spiegata come essa è nella realtà quotidiana ma come dovrebbe essere in un mondo
ideale. Le grammatiche, infatti, sono prescrittive ci descrivono norme e regole.
La linguistica, invece, è descrittiva perché non si preoccupa di distinguere il giusto dallo sbagliato. Si occupa della
lingua che viene usata realmente tutti i giorni e in tutte le epoche. La linguistica, infatti, non condivide i due assunti
grammaticali soprascritti. Raccoglie, piuttosto, dati empirici e fa osservazioni.
Se dovessimo rivedere quegli assunti, sotto l’ottica della linguistica:
- In Italia non si usa una lingua unitaria, ma più varietà di lingua (e di dialetto). La situazione in cui ci troviamo,
modifica il modo in cui usiamo la lingua (esame vs. aperitivo). Quando scriviamo compiamo delle scelte
linguistiche che sono diverse da quelle che facciamo quando parliamo.
- Per l’italiano esiste un complesso di norme, che ci consentono di compiere la scelta linguistica, di volta in
volta, più adeguata al nostro scopo e alle circostanze della comunicazione.
Ci sono questioni linguistiche su cui gli stessi grammatici non concordano. Espressioni come “il giorno che ci siamo
conosciuti” oppure “non fate casino”, alcuni le considerano accettabili, alcuni le considerano da evitare, altri ancora
le considerano accettabili solo in certe occasioni (conversazioni informali).
Ciò vale per l’italiano contemporaneo, ma la linguistica italiana ha anche una dimensione storica legata ad una
variazione nel tempo dalla quale non possiamo prescindere per due motivi:
- La variazione nel tempo (o diacronica) di una lingua è una costante basta pensare alla differenza che c’è
tra un testo di Boccaccio e un testo di un autore contemporaneo. Cambiano i termini, la composizione della
frase, l’uso dei verbi ecc… Rispetto agli altri, noi italiani siamo fortunati perché, nonostante le differenze e gli
anni trascorsi, possiamo comunque comprendere i testi del Boccaccio piuttosto bene. Al contrario, la lingua
inglese è cambiata molto nel tempo un parlante anglofono trova difficoltà a comprendere Shakespeare.
- La dimensione storica è indispensabile per conoscere e capire le caratteristiche dell’italiano di oggi. Sapere
che l’italiano ha una storia più scritta che orale è importante per capire il perché del prevale di alcune forme.
Questa variazione nel tempo è stata causata anche dal contatto che l’italiano ha avuto con altre lingue.
Fattori esterni che incidono sul cambiamento della nostra lingua:
- Unificazione tarda rispetto ad altri paesi. Anche per questo motivo l’italiano non è stato parlato per molti
secoli.
- Alfabetizzazione, più le persone sono alfabetizzate più la lingua ha possibilità di cambiare.
*Esiste una distanza abissale tra linguistica (descrittiva) e grammatica (prescrittiva).
Che cos’è la NORMA di una lingua? Un insieme di regole che riguardano tutti i livelli della lingua (fonologia,
morfologia, sintassi, lessico, testualità) accettato da una comunità di parlanti e scriventi (o per lo meno dalla
stragrande maggioranza) in un determinato periodo e contesto storico-culturale.
La norma a cui si doveva attenere Ariosto è diversa da quella a cui dovrebbe attenersi uno scrittore contemporaneo.
Che cos’è lo STANDARD di una lingua? Oggi non parliamo lo standard (mai usato da nessuno) ma un neo-standard.
Lo standard dell’italiano è valido soprattutto per lo scritto e le occasioni molto formali. Lo STANDARD è quella
particolare varietà di una lingua eletta, dai parlanti, come quella di riferimento perché dotata di un certo prestigio.
Nel caso dell’italiano, questo prestigio è stato conferito dall’uso letterario che ne è stato fatto a partire dal ‘300.
Tale uso letterario ha spinto la codificazione di questo italiano usato nella letteratura, nei libri e nelle grammatiche.
Standard italiano scritto: il fiorentino. Il fiorentino parlato a Firenze, nel ‘300. Epurato e privato, nella forma parlata,
di quei tratti troppo marcati in senso locale (per esempio l’aspirazione della C occlusiva velare sorda. Tale
fenomeno è detto gorgia).
• Per il parlato, quindi, le grammatiche hanno scelto di eliminare tratti come la gorgia o la realizzazione lenita
delle consonanti C e G (come nel caso di fagiolo, cacio).
Nessun italiano parla l’italiano standard né lo ha mai parlato, almeno ché non abbia seguito un corso di dizione. Lo
standard, soprattutto dal punto di vista del parlato, è un ideale raggiungibile solo tramite lo studio.
Tutti siamo influenzati e assorbiamo il particolare modo di parlare l’italiano (suoni e parole, costruzione frase) del
luogo in cui abitiamo o del luogo da cui provengono i nostri genitori.
Parametri di variazione di una lingua:
- Diacronia, in relazione al tempo.
- Diatopia, in relazione al luogo di provenienza del parlante.
- Diamesia, in relazione al mezzo linguistico che scegliamo di usare (scritto o parlato).
- Diafasia, in relazione alla situazione comunicativa (situazioni molto formali e molto informali, noi oscilliamo
tra questi due estremi).
- Diastratia, in relazione alla classe sociale di appartenenza del parlante e allo status sociale cui appartiene il
parlante. Esempio: l’italiano usato dai nostri nonni (sfortunatamente poco istruiti) vs. l’italiano usato da noi
stessi (studenti universitari). Quindi, anche in relazione al livello d’istruzione. Più si è istruiti meglio ci si riesce
a destreggiare nell’ambito della lingua italiana. Anche l’età influisce (es. termini alla moda o giovanilismi
incomprensibili ai nostri nonni). Anche il sesso sembra influire (oggi questo aspetto è messo in discussione);
ci sono studi che ritengono che il parlato delle donne abbia delle caratteristiche specifiche (es. uso del
diminutivo) che non ritroviamo nel parlato maschile.
- Diatecnìa, in relazione ai nuovi mezzi tecnici e tecnologici di cui disponiamo. Mette a fuoco i mutamenti che
l’italiano subisce quando viene “digitato”. L’italiano standard e i parametri di variazione
Si tratta di una rappresentazione grafica elaborata da Gaetano Berruto (studioso di linguistica italiana) nel 1987,
aggiornata negli anni ’90. Nel 2011 c’è stata l’ultima rivisitazione, ad opera di Giuseppe Antonelli che volle portarlo
al passo con i tempi.
L’asso orizzontale rappresenta la variazione diamesica. Quindi, sulla dx c’è il parlato, sulla sx c’è lo scritto, nella
loro manifestazione prototipica.
L’asso verticale rappresenta la diastratia; in alto le persone con
status socio-economico e grado d’istruzione elevati, in basso le
persone con status e grado d’istruzione bassi. L’asse obliquo
rappresenta la diafasia; in alto a sx c’è il polo più formale, in basso
a dx c’è il polo dell’informalità.
Sullo sfondo c’è la diatopia, che quindi non è rappresentata come
un asse. Tale scelta è legata al fatto che nessuno parla lo standard
e che tutti siamo influenzati dallo spazio, dal luogo di origine. La
variazione diatopica tocca tutte le varietà dell’italiano.
Parliamo per ora SOLO dell’italiano standard che:
- Non è connotato in diatopia, quindi non è legato a regioni geografiche tende al fiorentino ma un fiorentino
epurato.
- È collocato verso il polo elevato della diafasia (formalità) e verso il polo elevato della diastratia (uso colto),
perché l’italiano standard è a panaggio di chi possiede un certo grado di istruzione. - Collocato verso il polo
dello scritto in diamesia.
Lo standard dovrebbe collocarsi nello zero degli assi cartesiani. Ma la storia dell’italiano è stata per secoli la storia di
una lingua scritta, per persone molto colte e contesti molto formali ciò spiega la sua posizione decentrata, nel
grafico.
L’italiano contemporaneo (o neo-standard) mantiene delle strutture in comune con l’italiano standard. Non è uno
standard che si è abbassato all’uso comune ma qualcosa che si è separato dallo standard per via di una maggior
circolazione post-guerra, quando la tv entra nelle case degli italiani, l’alfabetizzazione si diffonde e avviene la perdita
graduale del dialetto.

LINGUISTICAITALIANA- lezione 2

ELEMENTI DI STORIA DELLA LINGUA ITALIANA


Cosa si intende con italiano delle origini e con lingua volgare? Con il termine lingua delle origini ci si riferisce
convenzionalmente alla fase originaria delle lingue romanze o neo-latine (ovvero di matrice latina) che si
caratterizza per la conservazione su pergamena, muri, pietre, intonaco. Lingua “volgare” letteralmente lingua del
volgo, del popolo, umile, non istruito e che non sapeva usare il latino. La gente del popolo usava, quindi, una lingua
che si è distaccata progressivamente dal latino (lingua dei dotti, dei sacerdoti). Tra la lingua volgare e il latino, la
differenza era ben percepita. Già Dante nota come, per apprendere il latino, bisognasse passare per un percorso
artificiale (studio ≠ apprendimento spontaneo o per imitazione).
Prima metà del IX secolo e primo decennio del XIII secolo italiano delle origini. Questo perché i primi testi scritti su
quei supporti primitivi sono collocabili in questa fase.
Sperimentavano una situazione di diglossia, aspetto socio-linguistico elaborato nel 1950 da un linguista americano.
Diglossia quando in un paese convivono due lingue che si dividono le situazioni comunicative: una (il latino) viene
usata nei contesti diafasici molto formali, l’altra (il volgare) nei contesti diafasici molto informali. Se una lingua si
specializza solo in un polo dell’asse diafasico vuol dire che perde molte strutture. Ciò è negativo per lo sviluppo e la
sopravvivenza delle singole lingue, oltre che per il parlante stesso che deve saper scegliere la lingua da usare nei vari
contesti. Sulla fine del VI secolo, i volgari hanno iniziato ad essere trasferiti su supporto scritto.
*Passaggio da una scrittura di tipo pratico ad una scrittura di tipo iper-formale.
Classificazione delle prime testimonianze scritte in volgare
Basata non solo sul criterio cronologico, ma anche su un criterio geolinguistico e culturale la maggior parte delle
scritture in volgare sono nate in Italia centro-meridionale perché è in quel contesto che sono fioriti i comuni più
ricchi dal punto di vista economico e i monasteri benedettini.
Incrociando questi parametri gli studiosi sono stati in grado di individuare tre gruppi di testi:
1. Fine IX - X sec. Indovinello veronese, graffito della catacomba di Commodilla a Roma e i placiti campani.
Volgare usato, consapevolmente, affianco al latino e non ancora in modo autonomo.
2. Fine XI - inizio XII sec.  Iscrizione della basilica romana di San Clemente, utilizzo di carta navale pisana (testo
pratico)
3. Fine XII - inizio XIII sec.  Prime sperimentazioni poetiche. Testi di carattere pratico, con uso consapevole e
una prima vocazione letteraria.
*C’è, però, un gruppo di testi prodotti in area sarda, risalenti a prima della produzione di testi in volgare per usi pratici
e con intenti letterari.
L’ INDOVINELLO VERONESE (fine VIII sec.) è un esempio di
latino intriso di volgarismi, primo volgare italiano. Se
parebaboves
Alba prataliaaraba
Etalbo versorioteneba
Etnegro semenseminaba
Gratiastibiagimusomnipotenssempiterne deus Teneva davanti a sé i buoi, arava prati bianchi Teneva
un aratro bianco e seminava un seme nero

Rendiamo grazie a te, Dio onnipotente eterno


Iscrizione a margine di un libro in latino, di provenienza spagnola. È stato a Toledo poi Cagliari, Pisa,
oggi è a Verona dove è stato rinvenuto l’indovinello stesso.
Secondo il latino classico, sarebbe dovuto essere: tenebat, seminabat, anche la parola negro è una forma corrotta del
latino negrum. L’ultima forma, quella di ringraziamento a Dio, è scritta in latino puro. Il copista, quando deve scrivere
qualcosa di formale si attiene all’uso del latino, per l’indovinello, invece, sceglie di usare il volgare (carattere ludico).
L’indovinello istituisce un paragone tra il copista che scrive e porta sul foglio bianco la penna, e il contadino. Il nero è
l’inchiostro. Analogia tra il campo e il foglio bianco.
L’ISCRIZIONE NELLA CATACOMBA DI COMMODILLA
L’iscrizione muraria è un altro tipo di scrittura esposta (scritte in punti
visibili a tutti, collocazione spesso muraria). Roma, nel VI-IX secolo d.C.
Le parole sono rivolte al sacerdote, si tratta di una sorta di prescrizione
di non recitare ad alta voce le preghiere e le orazioni nelle catacombe.
Anche in questo breve testo, ci sono elementi di corruzione del latino
tipici del volgare dell’Italia centro-meridionale: dicere ≠ dire; ille (pron.
dimostrativo) usato come articolo; a bboce ≠ vocem (fenomeno di
betacismo a Napoli, bacio ≠ vas); bboce, rappresenta un fenomeno reale di raddoppiamento fono-sintattico tipico
delle aree dell’Italia centro-meridionale. Non sempre questi
raddoppiamenti sono registrati dallo scritto.
LE ISCRIZIONI NELL’AFFRESCO DELLA BASILICA DI SAN CLEMENTE
Si tratta di un’iscrizione muraria parietale, artistica. È ritenuta il
primo fumetto della storia della lingua italiana. Affresco
rappresentante il martirio di San Clemente nella basilica a lui
dedicata. Il santo (figura sacra, mondo ultraterreno) parla in
latino, i carnefici (rozzi e poveracci) parlano in volgare fili dele
pute. Manifestazione di diglossia.
IL PLACITO DI CAPUA
Capua, Italia meridionale. Il placito è un atto notarile che
stabilisce il possesso delle terre da parte del monastero di
Montecassino. Tale testimonianza è riportata in volgare per
evitare l’ambiguità, garantire la precisione della stessa e
permettere a tutti di accettare l’annessione delle terre al
monastero. La testimonianza è scritta così come il parlante
riusciva ad esprimersi.
*Presenza di una frase in volgare collocata in un testo interamente in latino.
Elementi latini Sancti Benedicti (declinazione al genitivo tipica del latino corretto). Elementi tipici del volgare uso
del grafema K (provenienza meridionale-campana) in kelle ≠ quelle, trenta ≠ triginta.
Struttura “kelle terre le possette” esempio di dislocazione a sinistra, costruzione per cui si mette in prima posizione
l’elemento più importante e in secondo luogo il verbo. Ciò dimostra che gli usi spontanei dei parlanti sono molto più
forti della struttura grammaticale.

LINGUISTICAITALIANA- lezione 3
Il volgare è ancora in rapporto con il latino e ne porta debiti. Primi esempi di volgare latino classico vs. prima forma
di italiano (dalle prime attestazioni del X sec. d.C. – XIV sec).

LA LINGUA DELLE TRE CORONE (Dante, Petrarca e Boccaccio) – 1300


Tre autori fondamentali per la lingua italiana, perché sulla base dell’italiano da loro usato è stato codificato, nelle
grammatiche del ‘500, l’italiano standard modello che si è protratto fino a Manzoni.

La lingua di Dante Alighieri


L’opera presa in considerazione è la Divina Commedia poiché è l’emblema della lingua volgare di cui Dante riesce a
fare sfoggio.
Sia come poeta stilnovista sia come autore della Commedia, Dante compie una selezione lessicale delle forme della
tradizione poetica precedente operata già, prima di lui, dai poeti della scuola siciliana (debitrice della poesia
provenzale). La selezione di Dante prevedeva:
• Che tutti i derivati del francese del provenzale (-enza, -anza) venissero fortemente ridotti e sfruttati, per lo
più, in rima.
• Lo stesso per i sostantivi terminanti in –ore. Alcune di queste forme sono ancora oggi normalissime (es.
splendore, valore…) ma, a differenza delle altre, queste sono latinismi usati anche nel provenzale.
Non sempre Dante fa una selezione, è il caso dei verbi; nella Commedia c’è una convivenza di più allotropi.
Allotropo quando a partire da una stessa parola di origine latina, a noi arrivano più forme. Parole
con morfologia e, spesso, significato diverso ma provenienti da un’unica parola latina.
Parole che hanno seguito due strade di evoluzione distinte:
1. Di tipo dotto; quindi, parole che vengono direttamente prelevate dai libri latini e conservate anche nella
forma morfologica originaria
2. Parole che sono il risultato delle mutazioni fonetiche e morfologiche tipiche del passaggio “di bocca in bocca”.
Quindi Dante opera una selezione soprattutto per quanto riguarda i sostantivi di origine provenzale e francese,
d’altro canto conserva gli allotropi soprattutto per quanto riguarda i verbi. Verbi di cui utilizza e mantiene più di una
forma: amare e pensare, originariamente, alla seconda persona singolare uscivano in –e (tu ame, tu pense…) lui,
affianca queste forme con l’uso di tu pensi e tu ami. Allo stesso modo, a volte troviamo siamo, leggiamo, abbiamo
altre volte troviamo forme più antiche come semo, leggemo, avemo che oggi sono correnti in zona romana.
Esempi di allotropia dei sostantivi nella Divina Commedia: vertù- vertude - virtute / etate- etade.
Perché c’è questa incoerenza? Da una parte è selettivo nei confronti della tradizione poetica precedente dall’altra fa
un grande miscuglio di forme due motivi:
- In lui convivono forme di generazioni diverse del fiorentino. Ragione legata a momenti diversi della storia di
Firenze
- Pluristilismo. Dante cerca di rendere il registro di molte classi sociali e di diverse provenienze geografiche
(fiorentine e non). Ragione di mimesi.
Infine, Dante conia nuove parole che sono andate poi a consolidarsi nella storia della letteratura.
Conia formazioni parasintetiche, ovvero costruite attraverso la parasintesi una delle possibilità di formazione di
parole che ha l’italiano, ricorrendo ai propri strumenti interni. Si ottiene una parola parasintetica quando ad una
base lessicale si unisce contemporaneamente un prefisso ed un suffisso. Di solito si ottengono dei verbi attraverso
questo procedimento. “Intuarsi” base lessicale = tu; prefisso = in; suffisso = arsi

La lingua di Petrarca e Boccaccio


Nel caso di Petrarca prendiamo in considerazione la lingua dei suoi Rerum Vulgarium Fragmenta.
Se con Dante si parla di plurilinguismo con Petrarca parliamo di monolinguismo; egli, infatti, opererà grandi pulizie
del lessico provenzale, siciliano e francese. In primis, riduce gli allotropi fonomorfologici in poesia. Es. tra meo e
mio “mio” è prevalente. Compaiono ancora pochi allotropi ma solo come residui, è prevalente l’uso di termini
nuovi. Altra innovazione apportata da Petrarca è il fatto che nella sua poesia non troviamo più forme come truova,
priego, brieve ma trova, prego, breve.
Per Boccaccio facciamo riferimento al Decamerone, in cui attua un pluristilismo (in questo si avvicina a Dante).
Boccaccio, oltre a mettere in scena personaggi fiorentini, tematizza personaggi di altre aree geografiche. Usa quindi,
per ragioni di mimesi linguistica, delle forme che non hanno un’origine fiorentina.
Boccaccio usa parole del quotidiano che possono essere ricondotte ad altre città toscane, non solo Firenze.
*Mimesi del parlato imitare il parlato altrui; per imitare bisogna essere il più fedele possibile a ciò che si sente,
anche con la conseguenza di sacrificare la volontà di scrivere SOLO in fiorentino.
Nel Decamerone, la sintassi latineggiante convive con soluzioni più moderne. La sintassi latineggiante si trova
maggiormente nelle parti in cui l’autore decide di adottare un tono più formale (ovvero nella cornice e nelle novelle
dell’ultima giornata) usando una sintassi che imita il modo di scrivere dei classici latini.
*Formazione della frase semplice nell’italiano standard: Soggetto + verbo + complemento oggetto Influenze
dal latino:
• Il latino, invece, era una lingua S+O+V, Boccaccio imita talvolta questo modo di costruire la frase.
• Periodi in cui la proposizione principale del periodo appare alla fine preceduto da molte subordinate; questa
costruzione rende la comprensione più complessa.
• Uso delle inversioni o tmesi spezzare un sintagma (gruppo di parole di solito unito) inserendovi una parola
all’interno (es. avverbio) che rende il dettato un po' più complesso.
• Costrutto del gerundio assoluto quando il modo verbale del gerundio non è collegato con il soggetto della
frase principale, ma è usato in una frase con soggetto diverso dalla frase principale“desinando messer Cane”
Se da una parte Boccaccio decide di recuperare tutta questa serie di costruzioni latineggianti per creare un
registro più elevato, d’altro canto utilizza costrutti sintattici più moderni come le dislocazioni a sinistra.
Petrarca: monolinguismo, poiché fa un’accurata selezione del lessico della tradizione precedente e rimane piuttosto
coerente con questa scelta.
Boccaccio: plurilinguismo. In Boccaccio, quindi, non c’è la stessa selezione lessicale e sintattica che troviamo in
Petrarca. In Boccaccio convivono più livelli: il livello di riproduzione del parlato dei suoi personaggi (anche basso) vs.
l’ispirazione a modelli classici latini più alti.
Ciascuno di questi tre grandi autori, ha gettato le basi per l’italiano standard, si è trovato a dover decidere quali
soluzioni linguistiche portare avanti e quali eliminare rispetto ad una tradizione già esistente. Il loro modo di fare
letteratura si è mosso su due piani da una parte selezionare, dall’altra creare nuove soluzioni linguistiche. Grazie a
loro e al fatto che Firenze (quando loro vissero) era una potenza economica e politica, il fiorentino divenne un
modello per i posteri.

Il DE VULGARI ELOQUENTIA (1303-05) dedicata a rendere legittimo l’uso del volgare. La scrive in latino perché
vuole convincere i letterati, gli intellettuali dell’epoca (che scrivevano e studiavano solo in latino) che anche il volgare
era degno di trattare temi elevati.
• Progetto enciclopedico: nelle sue intenzioni, voleva esaminare tutti i volgari fino ad arrivare alla forma più
pregiata del volgare quello municipale (il volgare nella sua forma più localizzata, particolareggiata). Questo
progetto enciclopedico non è stato mai concluso perché l’opera è rimasta incompiuta. Oggi disponiamo del primo
e del secondo libro, interrotto al capitolo XIV. Cosa dice nei libri che ci sono arrivati?
Nel primo libro annuncia il tema: la lingua volgare. Affianco al volgare, in molte comunità, esiste una lingua
secondaria e artificiale, ovvero la grammatica latina (opposizione tra una lingua che non è spontanea, ovvero
la grammatica, ed una naturale che è il volgare).
Poi da uomo medievale si domanda “quale essere umano abbia parlato per primo?”. Il linguaggio, Danta lo sa, è una
facoltà dell’essere umano. La risposta è Adamo. Secondo la sua ottica, la lingua d’Adamo e l’ebraico coincidono,
poiché la lingua d’Adamo è rimasta (dopo l’episodio della Torre di Babele) come appannaggio esclusivo della
popolazione ebraica. Per questo motivo, in questo libro c’è la rappresentazione dell’episodio della Torre di Babele
come un episodio nefasto per l’essere umano; però questo episodio è la chiave per capire che le lingue sono
soggette a variazione. In Europa, individua tre lingue:
• A NORD: gruppo germanico
• A EST: la lingua dei greci
• RESTO EUROPA: una terza lingua, il tripharium tripartita
▪ lingua d’oc (provenzale)
▪ lingua d’oil (antenato del francese) ▪ lingua del sì (italiano).
Riesce ad individuare in che modo complesso si possono differenziare le lingue. Egli vuole arrivare al volgare latium,
al volgare dell’Italia. Fa tutto questo discorso, in un’ottica enciclopedica, per arrivare ad un volgare ancora più
localizzato non è ancora municipale come sarebbe stato il suo intento, ma è più localizzato dell’idioma tripharium.
Cosa fa quando arriva a trattare il volgare Latium? Svolge una rassegna empirica dei volgari italiani, alla ricerca del
volgare illustre, cardinale, aulico, curiale.
• Illustre = utilizzabile in contesti letterari, che dia lustro e che sia illustre.
• Cardinale = deve fare da cardine a tutti gli altri volgari presenti nella penisola italica.
• Aulico = deve essere usato nell’aura.
• Curiale = deve essere utilizzato nelle corti.
Dante non trova un volgare già presente nella penisola italica che rispecchi tutte queste caratteristiche.
Si dimostra aspro nei confronti del fiorentino (troppo municipale, dai suoni aspri), neanche siciliano e bolognese,
che prima del fiorentino hanno dato uso notevole in letteratura, possono assurgere al ruolo di volgare illustre
questi però, a differenza di altri, si sono distinti provando ad emanciparsi dal tratto di municipalità.
Dante cercava un volgare sopra-municipale, e che fosse in grado di proporsi come lingua unitaria.
Il “De Vulgari Eloquentia” importante perché era la prima riflessione esplicita sullo stato linguistico dell’Italia in un
momento cronologico legato al ‘300. Dante nel suo progetto considera in totale 14 volgari (non solo il fiorentino).
Prima analisi sociolinguistica citazioni e trascrizioni dei vari volgari.
Sunto del ‘400: età dell’Umanesimo è caratterizzata dalla riscoperta dei testi classici, greci e latini e quindi un
momento di revival che ha conosciuto il latino nel suo aspetto classico, nell’Umanesimo, il volgare è tornato in
secondo piano. Già alla fine del ‘400, però, sempre a Firenze ricomincia un momento di rivalutazione del volgare ad
uso letterario e politico ad opera di Lorenzo de’ Medici. Questa scelta ha un riflesso politico, Lorenzo voleva proporsi
come alternativa alla corte papale. Prima realtà grammatica del volgare fiorentino: Leon Battista Alberti, pubblicata
nella seconda metà del ‘400.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA NEL CINQUECENTO


Protagonista del ‘500: Pietro Bembo Prose della volgar lingua 1525. Lui era veneziano però propone una
grammatica scritta in forma dialogica che diventa modello per i letterati anche fiorentini e non solo.

Teoria dell’imitazione. Prima di riflettere sul volgare, Pietro Bembo mostra un’attenzione al latino data la sua
formazione umanista, ed il suo interesse per il latino classico. Anche Bembo ha scritto opere in latino tenendo in
mente il latino dei grandi classici della letteratura: Cicerone (prosa) e Virgilio (poesia). Bembo scrive le sue opere in
latino tenendo in mente questi due grandi modelli. Teoria dell’imitazione che lui mantiene anche quando parla del
volgare anche nel caso del volgare ha due riferimenti: Petrarca (poesia) e Boccaccio (prosa), solo quei punti del
Decamerone in cui egli si mostra più vicino al latino.
Petrarca = emblema del monolinguismo VS Boccaccio = monolinguismo nella cornice e nelle novelle della decima
giornata.
Bembo non ama molto il pluristilismo dantesco ma pone come modelli, due autori e due opere che sono
caratterizzate da una forte coerenza interna.

Teoria arcaizzante Pietro Bembo (scrive nel 1525, le opere delle tre corone sono state scritte nel 1300) non
considera come modello di riferimento il fiorentino a lui contemporaneo bensì il fiorentino scritto quasi due secoli
prima, quindi arcaizzante. Egli guarda al fiorentino di un’epoca precedente e lo propone come modello da seguire
nell’era a lui contemporanea.
“Prose della volgar lingua” = dialogo e non grammatica come la intendiamo noi oggi (fonetica, sintassi, morfologia).
Dialogo fra vari personaggi, che si fanno portatori di ideologie linguistiche alternative a quella proposta da Bembo.
Alla fine del dialogo egli fa vincere la sua teoria. Tra quelle proposte abbiamo: teoria della superiorità del latino
(ereditata dagli Umanisti e prima che rifiuta Bembo), teoria cortigiana, teoria fiorentinista

Teoria della superiorità del latino: tutta la comunicazione intellettuale nel mondo occidentale fino al XVIII secolo è
avvenuta in latino, anche perché le lingue romanze hanno alla base la lingua latina. La lingua latina, non poteva che
essere di riferimento per tutti gli intellettuali. In quanto lingua di vari campi del sapere, il latino veniva considerato
superiore alla lingua volgare (che era la lingua del popolo e dei non colti). Questa teoria nel corso del ‘500 non è
tanto seguita come nell’Umanesimo, perché già nel ‘400 con Lorenzo il Magnifico c’è un processo di rivalutazione
del volgare, se ne fa una codificazione grammaticale e se ne continua a fare uso letterario.

Teoria fiorentinista: sostenuta dagli intellettuali come Machiavelli che ritenevano il fiorentino contemporaneo (in
uso nel parlato e nello scritto) degno di essere utilizzato in letteratura e anche di fare da modello nella letteratura
successiva per letterati anche non fiorentini. Secondo loro, il fiorentino, passato e presente, ha la virtù intrinseca di
essere della naturalezza e della spontaneità, lo renderebbero idoneo agli usi letterali. Bembo suppone che il
fiorentino si fosse corrotto poiché aveva ammesso forme del parlato popolare del contado, delle campagne che ne
avevano fatto perdere il pregio.

LINGUISTICAITALIANA- lezione 4

La teoria cortigiana
I maggiori esponenti sono Vincenzo Calmeta e Baldassarre Castiglione. Questa teoria difende l’uso della lingua
koinè* (lingua che ha un carattere sovra-regionale perché unisce le caratteristiche di diverse regioni in una stessa
area. Nessuno parlava le koinè, erano lingue create a tavolino a partire da varie lingue reali) che si faceva al tempo
(‘400-‘500) nelle corti d’Italia, in particolare quella romana nella quale confluivano persone anche dall’estero o da
altre parti d’Italia. La koinè che era usata nelle corti cancelleresche e in particolare a Roma, secondo i sostenitori di
questa teoria, era degna di essere utilizzata anche in letteratura, perché capace di mescolare vari apporti linguistici
tenendo in considerazione il modello toscano. Questa teoria non aveva un fondamento teorico, nessun libro
codificava questa prassi nelle corti. Queste koinè non erano coerenti ed omogenee tra di loro. VS La proposta di
Bembo che è coerente e omogenea. Riesce a smontare questa teoria facendone vedere proprio l’incoerenza
generale, data la mancanza di regole.
I letterati che hanno pubblicato opere post-Bembo, si sono conformati ai dettami di Bembo. Per esempio, L’Orlando
Furioso (‘32) viene riscritto secondo le forme petrarchesche (sulla base di ciò che Bembo ha detto). Bembo però non
ha fatto in tempo a difendere la sua teoria da tutte le possibili alternative successive.
Teoria italiana di Trissino
Gian Giorgio Trissino pubblica nel 1529 il suo libro “Il Castellano”. La sua teoria si fondava su una lettura personale
del “De Vulgari Eloquentia”, egli sostiene che Dante nella sua ricerca voleva proprio individuare, far emergere la
presenza di una lingua italiana sopra-municipale e comune che fosse in grado di unificare linguisticamente la
penisola. Secondo Trissino Dante già parla di una lingua italiana.
Trissino non si fonda sullo stesso principio di imitazione che segue Pietro Bembo (Petrarca – Boccaccio) ma apre la
strada ai sostenitori dei contributi regionali del lessico, ammette apporti regionali anche esterni all’uso fiorentino e
toscano.
(PRO alla teoria cortigiana) (CONTRO al monolinguismo di Bembo)
Il Varchi
Successivamente il teorico Varchi cerca di conciliare la teoria di Bembo con quella fiorentinista. Benedetto Varchi,
nel suo “Ercolano” (1570) cerca di dare risalto alle qualità del fiorentino vivo. Provando ad affiancare al principio
di autorità degli scrittori (principio bembiano) il principio dell’autorità popolare guardando il popolo nelle sue
manifestazioni di medietà (non in quelle troppo basse).
Lionardo Salviati
Lionardo Salviati è l’ultimo che entra in dialogo con la proposta di Bembo. Lui è stato uno dei fondatori
dell’Accademia della Crusca (1582 Firenze). Fonda la sua teoria di riferimento linguistico sul principio di imitazione
bembiano ma al contempo snatura l’idea di Bembo; perché sosteneva che era possibile rifarsi a tutte le scritture del
’300 purché fossero fiorentine e toscane (non solo Petrarca e Boccaccio). Quindi lui identifica il valore non tanto
nell’uso letterario quanto nella provenienza diatopica di Firenze del ‘300.
A cosa serve questa rivisitazione dell’idea bembiana? L’Accademia ha dato luce al primo dizionario storico della lingua
italiana, un’Accademia che ha investito in un’imponente attività lessicografica presa a modello in tutta Europa (i
dizionari storici francesi, spagnoli e inglesi hanno guardato al dizionario italiano).
La prima edizione del vocabolario risale al 1612. Salviati e i suoi compagni hanno spogliato manualmente molti testi
toscani del ‘300 e successivi solo se adeguati al canone trecentesco. Il canone portato avanti dalla prima edizione del
vocabolario della Crusca è arcaizzante, perché continua a proporre come lingua di riferimento quella del ‘300.
Nel ‘600 però questo canone arcaizzante non era accettato Barocco.
La prima e la seconda edizione furono contestate da molti letterati e intellettuali contemporanei. Fece scalpore il
fatto che in queste due edizioni era stato escluso dal canone Torquato Tasso. Ma Tasso non scriveva attenendosi
al canone arcaizzante, perché nei suoi testi troviamo voci settentrionali e molti latinismi.
Inaccettabile anche il fatto che le opere in volgare di Galileo Galilei non fossero prese in considerazione, perché non
contenevano temi letterari, ma riguardavano l’ambito tecnico-scientifico.
Il vocabolario dell’Accademia della Crusca ha conosciuto cinque edizioni totali.
Il canone non si mantiene stabile ed immutabile in tutte le edizioni, perché le idee iniziali mutano per le continue
proteste degli intellettuali contemporanei.
Nella terza edizione (1691) ci sono delle modifiche:
• due accademici della Crusca, allievi di Galilei, riescono ad aggiungere tra le voci inserite nel lemmario anche
le innovazioni fisiche del loro maestro.
• Inserimento di Torquato Tasso.
• Inserimento di una marca d’uso esplicita, per segnalare quando le voci erano arcaiche e quando erano di uso
ancora corrente.
La quinta edizione, interrotta nel 1923 alle soglie dell’affermazione del regime fascista. I metodi di compilazione
tradizionali dell’Accademia della Crusca vengono considerati obsoleti (ozono= ultima parola).
Tutto il dibattito sulla lingua italiana nel XVII gira intorno all’Accademia ed il suo vocabolario.
Contro le idee dell’Accademia Fratelli Verri e tutti gli autori del Caffè (rivista milanese) – Melchiorre Cesarotti
• Alessandro Verri è autore della “Rinunzia avanti notaio all’Accademia della Crusca”, in cui dimostra quanto
fosse inutile l’uso del vocabolario della Crusca nel ‘700 (pieno Illuminismo).
• Melchiorre Cesarotti
autore del “Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana” (1800). Cesarotti, diversamente
dalla Crusca, era favorevole all’accrescimento del linguaggio tecnico e all’inserimento di voci dialettali e
anche di prestiti linguistici. Secondo il suo pensiero illuminista, nessuna lingua può essere perfetta,
esaustiva, dalla nascita senza l’apporto di contributi esterni perché ogni lingua è sempre perfezionabile, non
è possibile fissare il suo periodo d’oro nel passato e pensare che possa essere ritenuto valido anche nei
secoli successivi. Il saggio di Cesarotti cadde in un contesto sociopolitico, socioeconomico e socioculturale
sfavorevole, perché fu pubblicato durante la dominazione napoleonica in Italia e quindi gli italiani sentivano
il peso di questa dominazione straniera e per reazione sviluppa un’ostilità nei confronti degli apporti
stranieri soprattutto quelli francesi.
L’Accademia oggi esiste ancora, anche se la sua attività lessicografica è stata interrotta nel ‘23 poi venne ripresa negli
anni ’50- ’60 avviando l’opera del TLIO nuova impresa dell’Italiano delle origini portata avanti dal CNR. Oggi si occupa
di fare consulenza linguistica, rispondere a domande e promuovere attività di studio della lingua italiana anche
all’estero. Esiste ancora ma non ha più il compito di elaborare dizionari.

INFLUSSO IBERICO E FRANCESE SULL’ITALIANO, LE REAZIONI


Alla fine del ‘600 e tutto il ‘700 ci sono state due lingue straniere (francese e spagnolo) che hanno esercitato il loro
influsso (non solo lessicale).
Ispanismi sono per esempio etichetta, cioccolato, complimento, vigliacco ecc. Poi attraverso le lingue iberiche sono
entrate tutte quelle parole che afferiscono al contesto amerindio caimano, ananas, patata, cacao ecc.
Il francese ha maggior influenza sull’italiano e diventa lingua franca della comunicazione intellettuale tra ‘700- ‘800.
Ad opporsi a quest’influenza del francese corrente del Purismo che ha dei punti di contatto con la mentalità di
Bembo. Purismo: pensare che ogni lingua abbia conosciuto un’età dell’oro in cui era perfetta e poi si è corrotta;
quindi, chi viene dopo deve cercare di conformarsi all’uso linguistico del passato.
Il maggior esponente è Antonio Cesari, che nelle sue opere “Dissertazione sopra lo stato presente della lingua
italiana” e la “Crusca Veronese”, accusa l’eccessiva contaminazione che il francese compie sull’italiano
contemporaneo e auspica un ritorno al passato. Cesari pubblica una propria versione della Crusca (“Crusca
Veronese”) e fonda la scuola veronese, portatrice dell’idea di purismo NO forestierismi e neologismi, a meno
che non designino cose sconosciute agli antichi + NO parole del contesto burocratico e quelle tecnico-scientifiche.
Il passo avanti, che la Crusca aveva fatto ammettendo i lessemi scientifici di Galilei, viene bloccato dal Purismo.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA NELL’OTTOCENTO


“In che lingua facciamo parlare e scrivere gli italiani post-unificazione?” domanda che intaccal’identità di una nazione
appena formata (questione già emersa prima dell’unificazione).
Questione molto “calda” dato l’elevato tasso di analfabetizzazione, in molte zone rurali si parlava il dialetto.
Rispetto a questa questione dialogano diverse proposte:
Teoria dei classicisti (vicini al Purismo). I classicisti vogliono che nelle scuole si insegni l’italiano scritto del ‘300. I
classicisti però si rendono conto che non si può prescindere dai cosiddetti europeismi. Essi, infatti, sono sulla scia
del Purismo, cioè riprendono l’idea di rifarsi alla letteratura dei grandi classici trecenteschi ma aggiungono anche
tutta la letteratura fino ad allora prodotta e si mostrano più aperti nei confronti dei neologismi ed europeismi.
Vincenzo Monti è il principale esponente.
Corrente dei romantici (posizione da cui parte anche Manzoni che poi prenderà altre strade).
I romantici si rendono conto che partire dalla letteratura non è sufficiente per dare una lingua che potesse
incontrare necessità comunicative del popolo nel quotidiano ed introducono la necessità di rifarsi all’uso vivo della
lingua. È da questa idea che si sviluppa il pensiero di Manzoni, protagonista della questione dell’800.
Graziadio Isaia Ascoli antagonista alle proposte di Manzoni.
Alessandro Manzoni: vuole sviluppare una lingua usata da tutti quando scrive i “Promessi sposi”. Prima redazione
“Fermo e Lucia” mai pubblicata e poi due edizioni nel ’27 e nel ’40. Le tre edizioni sono diverse dal punto di vista
della caratterizzazione linguistica. In “Fermo e Lucia” usa un italiano milanese e fortemente intriso di francesismi.
Manzoni capisce che una lingua di questo tipo non può ambire ad essere eletta da tutti gli italiani poiché è troppo
localizzata. Decide quindi di rivedere il suo scritto consultando il dizionario bilingue “milanese-toscano” del
lessicografo Cherubini. In questo dizionario alle voci milanesi vengono dati i traducenti toscani, prelevati dalla
letteratura toscana. Questa soluzione non soddisfa Manzoni, è una lingua ancora troppo lontana dall’uso vivo.
“Risciacquatura dei panni in Arno”: con il suo viaggio fiorentino, Manzoni matura l’dea che la lingua del romanzo
debba essere vicina all’uso vivo fiorentino della classe borghese colta. Tutta la sua riscrittura del romanzo che porta
all’edizione quarantana, è orientata alla sostituzione dei termini letterari toscani con termini più contemporanei.

Le quattro direzioni correttorie seguite da Manzoni:


1.Liberarsi delle forme connotate settentrionalmente (es. tosa / ragazza)
2.Liberarsi delle voci connotate in senso culto e letterario (es. “già presso
all’aggiornare” / “vicino al giorno”) – (es. v’era / c’era)
3.Introduzione delle forme fiorentine vive
4. Eliminazione degli allotropi, non troppe opzioni per una stessa parola.
Ne scelgo una e la mantengo per tutto il romanzo (es.
fra/tra).
Es. armadura / armatura  tendenza a realizzare come sonora la
consonante tra due vocali (settentrione).
Es. ad / a  abbandono di una forma di prosa formale con una forma più
agile del parlato.
Es. si / s’  introdurre elisioni per avvicinarsi al parlato.

Manzoni si fa carico della questione della lingua durante la stesura dei “Promessi Sposi” e nell’edizione del ‘40 riesce a
trovare una lingua più vicina all’uso vivo di Firenze lingua nazionale dell’Italia unita.
Riflette sulla questione della lingua anche nella “Lettera a Giacinto Carena” - Relazione al Ministro Broglio “Dell’unità
della lingua e dei modi di diffonderla”. Il ministro Broglio incarica due commissioni per risolvere questa questione,
una è proprio quella milanese guidata dal Manzoni. La proposta manzoniana è quella che verrà seguita da scrittori
come Collodi e De Amicis.
In questo saggio suggerisce alcuni modi per diffondere la lingua italiana, alcuni vengono poi messi in pratica.
• che venga concesso, agli studenti migliori, un viaggio gratuito in Toscana per acquisire migliori abilità
linguistiche.
• che tutti gli insegnanti possano formarsi a Firenze per apprendere la corretta ortoepia.
• che venga redatto un vocabolario della lingua italiana dell’uso vivo “Giorgini Broglio” pubblicato ma seguito
da una scarsa circolazione perché molto caro.
• riscrivere insegne, documenti amministrativi in fiorentino in tutta Italia.
• Vocabolari bilingui: da una parte lemmi nei vari dialetti italiani e poi nella descrizione del lemma il
corrispettivo italiano toscano.
Ascoli e il Proemio dell’Archivio glottologico italiano (1873)

LINGUISTICAITALIANA- lezione 5

Questione della lingua nell’Ottocento.


Lettera a Giacinto Carena documento in cui espone bene il suo ideale di lingua nazionale. Per lui non doveva trattarsi
di una lingua esclusivamente letteraria ma una lingua che potesse avere un’utilità proprio nel quotidiano.
Perché Manzoni sceglie il fiorentino? Fiorentino ha alle spalle una legittimazione letteraria, Firenze è stata la capitale
del Regno d’Italia. L’idea di Manzoni poi si è affermata, il suo modello è arrivato fino a noi, seguito da molti studiosi e
dai libri di grammatica.
Il principale antagonista di Manzoni è Graziadio Isaia Ascoli, nel suo proemio “all’archivio glottologico italiano”
(prima rivista di studi linguistici) si oppone al pensiero di Manzoni, affermando che per arrivare a concepire una
lingua nazionale fosse necessario diffondere la cultura in tutti gli strati sociali; con l’incremento dell’alfabetizzazione
ed il maggiore utilizzo della lingua si sarebbe concepita questa lingua nazionale. Quindi Ascoli afferma che questa
lingua non deve essere un’imposizione di un modello calato dall’alto, ma qualcosa che si sarebbe dovuto evolvere
da sé.
Ascoli accusa la storia della lingua italiana di essersi preoccupata troppo della forma e poco della sostanza (dibattito
Purista). Assieme alla scarsa densità della cultura, queste condizioni hanno creato una lingua letteraria scritta da
pochissimi e destinata a pochi.
L’idea manzoniana sul lungo termine ha funzionato; la sua rivoluzione si afferma verso la fine dell’ 800, inizi ‘900
grazie all’azione di letterati manzoniani e grazie alle grammatiche manzoniane. In questo periodo nelle grammatiche
iniziano a decadere delle strutture tradizionali che iniziano a essere considerate arcaiche:
• I pronomi personali eglino ed elleno (essi, esse) scompaiono dalle grammatiche
• Si afferma la possibilità di usare i pronomi lui e lei come soggetto, (egli è venuto – lui è venuto)
Quest’idea viene messa in pratica da Manzoni nella sua opera, sulla base di ciò che avveniva nel parlato
fiorentino del secondo Ottocento
• Io avev-a io avev- o (retaggio latino che nell’imperfetto si realizzava come habebam)
• Campagnuolo, figliuolo, fagiuolo  campagnolo, figliolo, fagiolo (dittongo -uo preceduto da consonante
palatale- realizzate con monottongo).
La lingua che parliamo noi oggi non è, però, solo l’esito della riforma manzoniana.
Il Novecento
Serie di fattori extra-linguistici (non linguistici ma sociali) che accelerano l’unificazione linguistica:
- l’urbanizzazione e l’emigrazione interna facilitano l’uso dell’italiano come lingua di comunicazione in
sostituzione dei dialetti. Movimenti di persone verso la città già subito dopo l’unificazione e poco prima del
periodo fascista. Un agricoltore che si inurba deve adattare il suo linguaggio a ciò che sente in città altrimenti
verrà definito “barbaro, analfabeta”.
- la scuola e l’esercito ruolo di alfabetizzazione primaria essenziale. Subito dopo l’Unificazione iniziano a
diffondersi una serie di leggi cercano di imporre l’obbligo di istruzione primaria (da 3 a 5 anni). Purtroppo, i
tassi di analfabetismo rimangono comunque elevati anche nel primo ‘900. Perché l’esercito?
• Esercito e le guerre (1° e 2°) che hanno accelerato l’unificazione linguistica, perché per necessità
comunicative (non felici), i soldati di diverse provenienze geografiche dovevano pur comunicare.
• Le scuole regimentali, che il Ministero della guerra fino agli anni 70 del ‘900, prevedevano che i soldati
ancora analfabeti venissero coinvolti in cicli di istruzione che offrivano elementi di base.
- Giornali, radio e tv autorizzano un modello di lingua più agile e moderno. I giornali: promotori di un modello
linguistico moderno, nella lingua dei giornali convivono la necessità di utilizzare forme convenzionali dall’altra
la voglia di aprire le porte ai neologismi, più accattivanti. Del resto, il giornale doveva poter esser compreso
non solo regionalmente. Stessa cosa radio e tv che diffondono ed autorizzano un modello di lingua moderno.
*La vera unificazione linguistica si è compiuta dopo la Seconda Guerra con la televisione.
Snodi fondamentali per la storia della lingua italiana nel Novecento
Fra Ottocento e Novecento, con il boom linguistico ed economico, il patrimonio lessicale della lingua italiana
raddoppia:
• Incremento all’interno della lingua di prestiti linguistici (soprattutto dall’inglese), che non vengono più
adattati come nel passato. Oggi troviamo parole che finiscono con consonante come “sport, bar” che
presentano un adattamento solo fonetico.
• Influenza di lingue classiche (greco) parole con nessi consonantici inusuali in italiano come eczema
• Sempre più numerose le parole invariabili, per esempio “euro”.
Il tentativo di autarchia linguistica (impedire l’arrivo di parole estere e l’uso di dialetti locali) del Fascismo è fallito.
L’ultima vera questione linguistica del Novecento si deve a Pasolini.
Pasolini è sensibile ai mutamenti antropologici della società italiana e ai mutamenti dell’italiano dell’epoca. Solleva
nuove questioni linguistiche (1964) interventi pubblicati sulla rivista “Rinascita”.
Cosa osserva? Si rende conto che negli anni ’60, il centro delle novità linguistiche corrisponde con il triangolo
industriale del Nord (Torino – Milano – Genova). Da questo triangolo si irradia il nuovo modello di italiano, che lui
definisce “tecnologico”, ispirato al capitalismo quindi l’aggettivo tecnologico ha un’accezione negativa: “italiano
comunicativo, ma non espressivo”.
Quale potrebbe essere la sorte dei dialetti in una società tecnologica industriale? Secondo Pasolini, i dialetti erano
l’ultima difesa degli italiani contro l’omologazione linguistica che l’italiano tecnologico imporrebbe. Secondo lui però,
questi dialetti sarebbero stati destinati all’oblio. Oggi possiamo affermare che non è andata così.
Questioni linguistiche vicine a noi:
• Il “politicamente corretto” il cercare di esprimersi in contesti pubblici in modo da non sembrare
offensivi. Una declinazione del politicamente corretto oggi, potrebbe essere considerata la tendenza
all’inclusività. Inclusività di generi non canonici, espressione del genere inclusiva anche in chi non si
riconosce nella dicotomia di genere maschile e femminile.
• La questione del sessismo linguistico nasce già alla fine degli anni 80 del Novecento. Alma Sabatini
propone delle linee guida per una comunicazione non sessista nell’ambito della comunicazione
amministrativa, politica, che sono arrivate fino a noi.
• La lingua burocratica è difficile da decodificare. A partire dagli anni 90 del ‘900 si prosegue con un
tentativo di semplificazione dell’italiano burocratico, attraverso delle linee guida, che faticano ad
affermarsi nella pubblica amministrazione, perché resiste l’idea che la comunicazione burocratica debba
essere elevata.

STRUTTURE DELL’ITALIANO STANDARD


Che cosa intendiamo, in linguistica, quando parliamo di STRUTTURA? Gli elementi che costituiscono la lingua in
quanto sistema complesso.
L’idea di considerare una lingua come un “sistema complesso” si deve a Ferdinand de Saussure (1857-1913), padre
della linguistica ma anche ideatore di concetti trasversali a varie discipline della linguistica. Costui aveva tenuto un
corso all’Università di Ginevra, i quali allievi hanno organizzato un deposito dei suoi insegnamenti Corso di
linguistica.
Noi consideriamo la lingua come un insieme di elementi tra loro interdipendenti, ciò significa che qualsiasi elemento
acquisisce un senso in rapporto agli elementi che gli sono immediatamente vicini.

FONETICA E FONOLOGIA: sotto-discipline della linguistica.


La fonetica è il ramo della linguistica che studia i suoni linguistici prodotti dall’apparato di fonazione umano. Il
fono è il suono di una lingua, considerato nel suo aspetto puramente fisico (in relazione alle sue caratteristiche
articolatorie e uditive). I foni rappresentano semplicemente unità sonore così come vengono prodotte dai
parlanti. Ciò significa che c’è un margine di variazione tra il fono “A” che produco io e quello che produce un’altra
persona, perché la conformazione dell’apparato fonatorio è diversa. In linea generale è simile, ma entrano in
campo fattori come: umore, età, sesso e tanto altro.
La branca gemella della fonetica è la fonematica o fonologia: ramo della linguistica che si occupa di studiare i suoni
in quanto elementi che contribuiscono al funzionamento di un sistema linguistico, cioè come entità astratte, come
rappresentazioni mentali. La fonologia studia i fonemi.
Il fonema è la più piccola unità di suono che ha valore distintivo in una lingua.
Il fono è, più semplicemente, la realizzazione concreta del fonema che è, invece, un’entità astratta. Per ogni fonema,
esistono infinite possibilità di foni che lo realizzano.

Trubeckoj e il concetto di coppia minima


Trubeckoj faceva parte della Scuola di Praga, impostata sull’ideologia dello strutturalismo linguistico. Questa Scuola
si occupava maggiormente di fonetica. Il concetto di coppia minima ci serve a capire quando il suono è un fonema
oppure no. Es. rana/tana; pèsca (frutto) / pésca (atto del pescare).

Varianti libere e varianti combinatorie


Cantare: vibrante alveolare o vibrante uvulare > variante libera
Inferno ha una nasale diversa dalla nasale di interno > l’articolazione della nasale è influenzata dalla consonante che
segue > varianti condizionate
Le varianti che in una lingua sono libere o condizionate non sono necessariamente tali anche in altre lingue:
• Vengo - vento
• King – Kin
• /kiŋ/ - /kin/
LINGUISTICAITALIANA- lezione 6

L’alfabeto fonetico internazionale (AFI o IPA)


L’IPA è stato presentato, per la prima volta,
nel 1889 e ha la funzione di assegnare una
corrispondenza scientifica dei suoni linguistici
in tutto il mondo. In generale, gli alfabeti
sono imperfetti perché a un grafema possono
corrispondere due o più suoni (fonemi). L’IPA,
invece, cerca di usare un solo simbolo per
ogni singolo suono.
In alcuni casi si tratta di grafemi identici a quelli
latini, altri provengono dall’alfabeto greco,
alcuni sono stati inventati di sana pianta.
Per rendere le trascrizioni fonetiche precise,
l’IPA utilizza una serie di diacritici. Le carte
IPA, elaborate negli anni successivi, ci consentono di dare le trascrizioni fonetiche e fonologiche di qualsiasi lingua.
Ovviamente parlando dell’italiano prendiamo solo un sottoinsieme della carta IPA completa.

L’apparato fonatorio e il meccanismo articolatorio


In italiano, i suoni linguistici (≠ urla, schiocchi di lingua) si producono solo in fase di espirazione dell’aria quindi sono
tutti suoni egressivi. L’aria esce dai polmoni, si incanala nella trachea e passa nella
laringe dove trova il primo ostacolo, ovvero le corde vocali (l’articolazione del
suono è data proprio dall’incontro di ostacoli):
- Suono sonoro le pliche delle corde vocali si accostano le une alle altre e
l’aria, passando, le fa vibrare.
- Suono sordo le pliche sono accostate alle pareti della laringe e l’aria,
passando, non incontra ostacoli, dunque non c’è vibrazione.
Le consonanti possono essere sia sonore che sorde, le vocali sono solo sonore.
Nella produzione dei foni italiani, gli ostacoli che incontra l’aria possono essere:
labbra, denti, alveoli, velo (palato molle).

VOCALI e CONSONANTI
Prospettiva fonologica:
Vocale = costituente il nucleo di una sillaba.
Consonante = non occupa il nucleo della sillaba e accompagna il suono vocalico,
occupando i margini della sillaba
La sillabazione fonologica-fonetica è diversa da quella che conosciamo, legata alla conservazione dell’etimologia di
una parola.
Tradizionalmente: as-pra Fonologicamente: a-spra
In fonetica e fonologia il raggiungimento del picco di sonorità indica l’inizio di una nuova sillaba.
Prospettiva fonetica:
Vocale = fono prodotto in modo che l’afflusso dell’aria proveniente dai polmoni non incontri ostacoli.
Criteri di classificazione delle vocali:
- La posizione della lingua nel momento dell’articolazione
- Il grado di apertura della bocca
- La posizione delle labbra
Grado di apertura della bocca e posizione delle labbra.
La prima possibilità è che la bocca sia aperta ma rilassata come nel caso della
vocale /a/.
L’altra opzione è quella che prevede le labbra tese come nel caso della /e/.
Ultimo caso, quello della /o/.
*Quanti fonemi vocalici ha l’italiano standard? Sette.
Le vocali italiane e la loro rappresentazione in IPA o AFI
• /a/ = vocale centrale, aperta, bassa, non arrotondata.
• / ɛ / = vocale anteriore, medio-aperta, non arrotondata.
• /e/ = vocale anteriore, medio-chiusa, non arrotondata.
• /i/ = vocale anteriore, chiusa, non arrotondata.
• /ɔ/ = vocale posteriore, medio-aperta, arrotondata.
• /o/ = vocale posteriore, medio-chiusa, arrotondata.
• /u/ = vocale posteriore, chiusa, arrotondata.

Il trapezio vocalico rappresentazione, in forma geometrica, dello spazio effettivo che


noi abbiamo a disposizione per articolare i suoni nella nostra bocca.

Parametri di classificazione delle consonanti:


- Modo di articolazione
- Luogo di articolazione velari, palatali, alveolari, dentali, labiali… -
La sordità o la sonorità
Modi di articolazione delle consonanti in italiano
Occlusive /p/, /b/… pronunciate creando un’occlusione totale (in qualche
punto). Seguo un rilascio improvviso dell’aria bloccata.
Fricative /f/, /v/… occlusione parziale del cavo orale con conseguente creazione
di un “fruscio d’aria”.
Affricate /ts/, /dz/… primo elemento occlusivo, secondo elemento fricativo.
Laterali /l/… la punta della lingua, nei pressi del palato, crea un arco e l’aria esce
dai lati di questo arco.
Vibranti /r/. La punta della lingua tocca la zone degli alveoli o del palato e da
dei colpi sul palato stesso.
Nasali /n/, /m/. L’aria esce dal cavo nasale.

Semivocali e semiconsonanti
Jod /j/: approssimante orale palatale sonora ieri
Uau /w/: approssimante orale labiovelare sonora uomo Questi
suoni appaiono solitamente dei dittonghi.

Dittonghi ascendenti Dittonghi discendenti

La semiconsonante precede la vocale La vocale nucleare precede la


sillabica, nucleare semivocale

/'pjɛ:de/, /'pjɔ:ve/, / 'pja:ʧe/, /'pju:ma/, / ajˈrone/, / ejˈla/, / ojˈmɛ/…


/'wɔ:vo/…

Gli allofoni di fonemi italiani


Possiamo considerare sia le varianti libere che quelle combinatorie come allofoni.
Allofono: realizzazione specifica di un fonema, determinato fonotatticamente (la cui presenza è condizionata dalla
presenza di un’altra consonante) nel caso delle varianti combinatorie (o di posizione).

Allofoni di /n/
Inverno, inferno, panfilo, anfora, invidia ecc.
occlusiva nasale labiodentale sonora [ ɱ ] Un pezzo, un picchio, un boccone ecc.
Panfilo: ['paɱfilo]. Unpezzo, unpicchio, unboccone…
consonante nasale bilabiale sonora [m]
Angolo, ancora, tinca, fungo ecc. un pezzo [um ˈpɛʦʦo]
Occlusiva nasale velare sonora [ ŋ ]. Tinca:
['tiŋka].
Allofoni di /k/ e /g/
Chiesa, chiedere, inchiesta…
J J occlusiva palatale
sorda: [c] oppure [K ]: ['cjɛsa] oppure [K jɛsa].

Ghianda, ghiaia, ghiera, unghia…


J

Occlusiva palatale sonora: [ɟ] oppure [g ]: [ɟjanda] oppure [gJjanda].

Simboli IPA per alcune varianti libere e geografiche


• [ŋ] può trovarsi in finale di sillaba anche davanti a consonanti non velari ([ˈmaŋdo] mando, [ˈteŋpo] tempo,
ecc.), in alcune aree dell’Italia settentrionale.
• vibrante uvulare sonora [ʀ]: tipica della Valle d’Aosta e dell’Alto Adige e presente con una certa frequenza in
Piemonte e in alcuni centri dell’Emilia Romagna (come Parma).
• monovibrante alveolare sonora [ɾ]: diffusa nelle varietà regionali meridionali, soprattutto campane, dove
realizza il contoide occlusivo dentale sonoro (si pensi al napoletano [maɾonna] ‘madonna’)

LINGUISTICAITALIANA- lezione 7

Come fare una trascrizione fonetica?


1. Aprire la parentesi quadra (quelle oblique si usano per la trascrizione fonematica)
2. Scrivere per ciascuna parola la sequenza di foni che la compongono, cercando di fare attenzione alla presenza
di eventuali allofoni
3. Sillabare, alla fine di ogni sillaba mettiamo un punto
4. Collocare il simbolo per l’accento, indicandolo con un trattino verticale posto prima della sillaba accentata
5. Controllare la trascrizione e chiudere la parentesi quadra

LA FONETICA REGIONALE
Per fonetica regionale si intende come cambia la pronuncia delle parole a seconda dell’area geografica del parlante.
L’aggettivo regionale, in linguistica, non si riferisce precisamente alle regioni amministrative.
Varietà settentrionali: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria ed Emilia e Friuli (linea La Spezia-Rimini).
Béne vs Bène pronunciano le vocali toniche che terminano in vocale, come sillabe chiuse. Pronunciano, invece,
come aperte quelle vocali toniche che si trovano in sillaba chiusa (terminano in consonante).
Témpo vs Tèmpo eccezione: sillabe chiuse da consonanti nasali. Trè
vs perchè, perché vs tré.
Varietà meridionali: Sicilia, Calabria, il Salento. In queste zone il sistema vocalico tonico non è costituito da 7 vocali
ma da 5 vocali, tutte aperte.
Discorso sociolinguistico: ci sono varietà regionali ritenute più prestigiose di altre per motivi extra-linguistici. Ad oggi,
le varietà regionali, considerate più prestigiose, sono quella settentrionale dell’area milanese e quella romana.
Perché questi due poli?
• Roma, per la presenza delle strutture politiche del Paese ma anche per la presenza di Cinecittà, l’industria del
cinema.
• Milano, per l’idea dello stile di vita all’avanguardia della Milano moderna e per il ruolo della televisione
privata che ha dato ampio spazio a giornalisti locali (es. la RAI).
*Viceversa, ci sono alcune varietà regionali che vengono stigmatizzate dai parlanti stessi, perché ritenute troppo
marcate. Si tratta di stereotipi, ovviamente.
C’è da dire che anche un parlante toscano, che parla quasi lo standard, può conformare la propria pronuncia ad una
delle due varianti prestigiose citate precedentemente. A partire dagli anni ’80, infatti, certe pronunce (es. la vocale
chiusa in vénto, béne) si sono diffuse anche a Firenze; questo per via delle trasmissioni televisive fortemente
settentrionali/milanesi (es. canali Mediaset).

Dittonghi e vocali atone


- Nello standard: i dittonghi vengono pronunciati con vocali piene nella loro forma semiaperta [jε] e
[wɔ] Mièle, Buòno.
- Nelle varietà settentrionali: la e viene chiusa, la o resta semiaperta [je] e [wɔ] Miéle, Buòno - Nelle
varietà meridionali: vengono chiuse entrambe [je] e [wo] Miéle, Buono *È il dialetto che apporta tali
modifiche.
- Schwa [ə]: [ʹpa:.nə]

LE CONSONANTI E LA FONETICA REGIONALE


- Gheriglio, fascia, ragno, azione
Nell’italiano standard, dovremmo pronunciare queste consonanti come intense quindi rafforzarle. Invece
i parlanti delle varietà settentrionali, tendono a pronunciare questi suoni, se intervocalici, come scempi,
deboli.
- Nello standard è attiva l’opposizione fonematica (in grado di costruire coppie minime) tra la /s/ e la
/z/ /kiese/ e /kieze/ (verbo e plurale di chiesa); /fuso/ e /fuzo/ (verbo al participio passato e il fuso con
cui si punse la Bella addormentata).
- Concetto di assimilazione (agente anche nell’italiano standard) o Progressiva: mondo > monno
o Regressiva: che va nel senso inverso. Quando il tratto di sonorità o sordità passa dalla successiva alla
consonante precedente [ʹpã:.ne] - [zbu’t.tʃa:.re] vs [spel.ʹla:.re].
Alcuni tratti assimilativi sono regionali, altri avvengono indipendentemente dalla regionalità.
- La gorgia è quel fenomeno per cui, in posizione intervocalica, le occlusive velari/dentali sorde vengono
realizzate come aspirate, sia all’interno di parola sia tra due parole [amikho] - [la‿ʹKha:.sa]
- Sempre nel parlato fiorentino, le affricate palatali sorde vengono realizzate come fricative post-alveolari
sorde bacio, cacio, pace: / ʃ / fricativa post-alveolare sorda
- Al posto dell’affricata post-alveolare sonora il parlante userà la fricativa post-alveolare sonora progetto,
fagiolo, agile: /ʒ/ fricativa post-alveolare sonora
IL RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO
Vado a casa [ʹva:.do a‿ ʹka:.za] - [ʹva:.do a ‿ʹkka:.sa]
La prima trascrizione fonetica è tipica delle parlate regionali settentrionali. Ma nel meridione (e nello standard), si
rafforza l’iniziale /k/ di casa. Questo fenomeno in cui una consonante, a inizio parola, raddoppia si chiama
raddoppiamento fonosintattico ed è richiesto dall’italiano standard. Ciò ha origini lontanissime, a seguito del
passaggio dal latino all’italiano Ad me > [a ʹmme]
Quali parole registrano il raddoppiamento fonosintattico?
- I monosillabi accentati: preposizioni a, da, l’avverbio più
- Alcuni bisillabi piani: sopra, ogni
Esempi: accanto, soprattutto, daccapo, ognissanti
Eccezione: i parlanti trasferiscono automaticamente le loro abitudini anche a parole in cui non è richiesto apposto
(NON standard).
Nel caso di obiettivo o obbiettivo, entrambi sono giusti, parliamo di allotropi.

*i due punti :, all’interno di una trascrizione fonetica, indicano la durata della sillaba. Nello standard, si usano per le
sillabe toniche aperte.

(135) Phonemes and Allophones, Part 1 - YouTube  link per capire meglio il concetto di fonema

LINGUISTICAITALIANA- lezione 8

La MORFOLOGIA: nota storica e definizione


“studio delle forme degli animali”, “anatomia comparata”
MORFOLOGIA: branca della linguistica che analizza il modo in cui le lingue storico naturali mettono in opera
meccanismi di modificazione delle forme delle parole ai fini della comunicazione.
Concetti di base: MORFEMA e MORFO
Morfema: unità linguistica minima dotata di significato, collegabile ad un’entità reale. Possiamo paragonarlo al
fonema, quest’ultimo, però, non possiede un significato. Topo: top- / -o; il primo morfema è lessicale, il secondo
è grammaticale.
Il morfema è un’entità astratta, nella realtà concreta della lingua si manifesta nel morfo.
Morfo: manifestazione linguistica dei morfemi, dotata di una certa variabilità.
Per gli articoli determinativi maschili morfema: il / morfo: il, lo. L’articolo muta (“cambia forma”) in relazione alla
parola che segue, il morfo segue questa variazione.
Anti- è un morfema? Come facciamo a saperlo? Si tratta di un morfema solo se lo stesso insieme di foni conserva
lo stesso significato nelle varie parole che lo contengono. Morfemi grammaticali e lessicali
Morfemi grammaticali: ci danno informazione riguardo categorie grammaticali e sono divisi in morfemi flessionali e
derivativi.
I flessionali sono quelli che se attaccati ad un morfema lessicale, consentono di dare informazione di numero, caso,
genere, tempo, modo, diatesi…
I derivativi sono quelli con cui creiamo nuove prole in forma alterata
Lessicali: puntano ad entità reali, si tratta di porzioni di parola semanticamente piene (gatt-, top-, formaggi-),
semanticamente vuote o funzionali (dai al cane). Anche i m. grammaticali possiamo considerarli dotati di significato,
ma un significato funzionale.
I m. lessicali appartengono a classi aperte (aperte a nuove importazioni di significati), i m. grammaticali
appartengono a classi chiuse o difficilmente incrementabili (es. over, usato in italiano, ma specializzatosi in precise
collocazioni per indicare una fascia d’età: over 60, over 40…)
I m. lessicali sono forme libere (dotate di un significato proprio), mentre i m. grammaticali sono forme legate
(obbligati a connettersi a m. lessicali).

BASI E AFFISSI
Base o radice
Affissi: prefissi, suffissi, infissi noi, in italiano, usiamo molto suffissi e prefissi, pochi infissi
INALBERAVANO
Si riconosce: un
prefisso IN- una
base –ALBER-
un suffisso flessionale –AV-  ciò ci dimostra che il tempo è l’imperfetto
un suffisso flessionale –ANO-  ciò dimostra che si tratta della terza pers. Plurale

PELAPATATE
Pela “pelatore” (testa) + patata
Gli affissi ci servono per dar vita a parole autoctone. E soprattutto nei composti, è importante riconoscere la testa.
Non possiamo decidere in che ordine collocare tutti questi elementi; è la lingua stessa che ci obbliga seguire un certo
ordine, detto ordine sintagmatico.
GIOCATTOLINO
Morfema lessicale gioc-, un suffisso derivazionale –attol-, un suffisso derivazionale alternativo –in-, e un elemento
flessivo –o, in coda.

I MORFEMI FLESSIVI in rapporto all’evoluzione della lingua italiana dal latino allo standard e dallo standard al neo-
standard

Il CASO (in latino) è l’espressione morfica del ruolo sintattico di un elemento linguistico nominale.

Oggi non esiste più il caso, questo ruolo spetta alle preposizioni. La maggior parte delle nostre parole, però, deriva
dal caso accusativo. In italiano, quindi, la flessione di
caso è relittuale. Cioè, esistono dei relitti del caso
visibili sul sistema pronominale tonico io, tu, egli VS
me, te, se/si… VS mi, ti, gli, le…

Nell’italiano contemporaneo si sono verificate altre semplificazioni:


- Lui/lei/loro sono usati anche in funzione di soggetti
(nello standard sono pronomi usati solo per i complementi diretti e indiretti), al posto delle forme
egli/ella/essi.
- Gli è spesso usato in luogo di loro (es. Ho visto i tuoi colleghi; gli ho detto di contattarti)
- Gli è talvolta usato in luogo di le (es. Se vedi Sara, digli che...)

Il GENERE è la categoria grammaticale che viene associata alla capacità del nome e degli elementi nominali di
esprimere varie caratteristiche che permettono ai parlanti di raggrupparli in classi omogenee per via di qualche
caratteristica condivisa, cioè di qualche tratto semantico comune.
Il genere si esprime attraverso morfi comulativi (cioè che accumulano, al proprio interno, più informazioni).
La DISTINZIONE di genere è fatta in base a:
- Criterio semantico (in relazione al sesso del referente), che non funziona sempre - Altri criteri
semantici
- Criterio formale (la parola termina in –a? è femminile)

Analisi dei nomi femminili delle professioni lavorative ricoperte dalle donne, a partire dal secondo ‘900 in avanti.
Serie di esempi: la Sindaca, la ministra, la pilota, la giudice, la guardalinee, l’arbitra…
Tutte queste forme sono, in ogni caso, morfologicamente e grammaticalmente accettabili. Chi non le accetta, a volte,
sono i parlanti stessi.
Cosa ci fa dire, che il parallelo maschile è più autorevole? L’uso che ne fanno i parlanti, legato a fattori sociali.
- Se si dice la giudice, si può dire anche la magistrato? No, perché violerebbe una regola morfologica, non ci
sarebbe concordanza formale tra genere e nome.
- Avvocata o avvocatessa, ministra o ministressa? Queste forme sono, ancora, tutte accettabili.
Tutto questo dibattito è esploso con Il sessismo nella lingua italiana (1987) di Alma Sabatini, in cui si osserva l’uso
anomalo di forme marcate nel femminile che non si verificavano nei corrispettivi maschili. Es. la Thatcher ma non
il De Gasperi. A. Sabatini propone anche delle vere e propria raccomandazioni per evitare il sessismo nella lingua
italiana.

“Ora le donne addottorate in qualche disciplina, così fiere come esse sono della loro dignità, come chiamarle? A dottora
non ci si ausa e dottoressa sa di saccente, e pare contenere in sé alcuna parte di scherno o almeno di estraneo all’ideale
femminista: onde è che le donne che hanno diploma di laurea scrivono spesso sul biglietto dottore”.
(Alfredo Panzini, Dizionario moderno, 1905, s.v.
dottora) Dizionario moderno uno dei primi dizionari neologici.

PRONOMI DI GENERE NEUTRO o DI GENERE NON BINARIO?


• In Svezia, già negli Anni ’60, i linguisti avevano creato “hen”, in alternativa al maschile “han” (per “lui”) e al
femminile “hon” (per “lei”), da utilizzare quando non si conosce il genere della persona in questione. Nel
corso degli anni, “hen” è entrato gradualmente a far parte del parlato e, nel 2015, è stato incluso nel
dizionario della lingua svedese.
• In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, i pronomi “they/them” (loro) sono entrati a far parte delle linee guida
stilistiche di alcune riviste nel 2015, per indicare il pronome per un singolo individuo la cui identità di genere
sia non-binaria. Sono usati anche ze/hir/hirs. Il loro uso è oggi suggerito in contesto aziendale.
• Anche per lo spagnolo sono stati proposti alcuni pronomi (èlle/elles), ma non sono stati accettati e codificati
dalla Real Academia Española (RAE).
• E in italiano?
La comunicazione aziendale e burocratico-amministrativa impiega le forme asteriscate sugli elementi nominali
(gentilissim*, signor*), oppure le forme con barra obliqua ‘il/la candidato/a’ ma attualmente non c’è una
ristrutturazione del paradigma pronominale.
Le soluzioni proposte per includere le persone la cui identità di genere sia non binaria (-u finale – caru tuttu – o schwa
/ə / finale) sono praticabili?
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/un-asterisco-sul-
genere/4018?fbclid=IwAR3lPNDy0_iZ3YgqoItRZeZKLnOFobcaNuoOxGd7wycA5E9juESKfwHo5co

I MORFEMI DERIVATIVI
Quando applichiamo ad una radice, un suffisso, creiamo una parola che appartiene ad un’altra categoria
grammaticale: es. torre torreggiare
Questo procedimento prende il nome di transcategorizzazione: derivato denominale aggettivale (amore > amoroso)
e denominale verbale (amore > amoreggiare); derivato deverbale aggettivale (scrivere > scrivibile) e deverbale
nominale (scrivere > scrivano ); deaggettivali verbali (rosso > rosseggiare) e deaggettivali nominali (rosso > rossore).
Quando applichiamo un prefisso non cambiamo categoria grammaticale di appartenenza della parola che creiamo
rispetto a quella della parola originale: es. furto antifurto; nebbia antinebbia
Bambola + suffissi alternativi: solo nomi (bambolina, bamboletta…)
FORMAZIONI PARASINTETICHE: quando applichiamo sia un suffisso che un prefisso. Es. rosso arrossire;
fame affamare; dubitare indubitabile…
Analisi della produttività, nel corso del tempo, di un affisso. Ci sono alcuni affissi che sono molto produttivi, cioè
riusciamo, grazie ad essi, a coniare nuove parole per molto tempo. Altri sono meno produttivi.
-ACCIO: oggi è suffisso alternativo applicabile a nomi e aggettivi, ma in passato ha creato deverbali legaccio,
strofinaccio.
Alcuni affissi possono essere produttivi solo o per lo più in alcune varietà della lingua o sottocodici circoscritti. Per
esempio, nella lingua della chimica, abbiamo una serie di suffissi come –oso, -ico, molto produttivi.

LA COMPOSIZIONE
• I conglomerati originano dalla fusione di elementi che formerebbero isolati un sintagma con un componente
verbale o una frase intera: si pensi a messinscena da messa in scena.
• Le parole macedonia sono in risultato dell'aggregazione di frammenti di parole e assomigliano alle sigle:
cartolibreria informatica (da carto[LERIA] + libreria, informa[zione] + [auto]matica).
• Le unità polirematiche: gli elementi lessicali impiegati per la composizione mantengono la loro individualità
grafica ma hanno tutte le caratteristiche proprie di una parola tradizionale cioè:
a) un significato specifico differente da quello che si otterrebbe sommando logicamente significati di ciascuno
degli elementi componenti nella loro indipendenza;
b) l’unità e la non interrompibilità. Una frase come oggi non voglio usare il ferro da stiro potrà diventare il ferro
da stiro non la voglio usare oggi ma non *il ferro non lo voglio usare oggi da stiro;
c) identità individuale: la polirematica cane poliziotto può comparire in isolamento ed essere pronunciata tra
pause; i suoi componenti isolati invece non possono essere pronunciato in isolamento mantenendo lo stesso
significato del composto.
• dattiloscritto eliocentrico internauta aerofagia ematofago cronologia eccetera: in essi appaiono in posizione
iniziale, finale o sia iniziale sia finale, costituenti di etimologia greca che non si possono considerare parole
libere: morfemi come dattilo- elio- nauta- fagìa- emato- sono prefissoidi e suffissoidi o semi parole.

La natura della COMPOSIZIONE


La testa è il centro di un composto: in carta moneta l'elemento centrale è costituito dal nome carta di cui l'elemento
moneta predica una proprietà ossia quella di fungere appunto da mezzo di scambio economico; detto in maniera più
esplicita la testa e riconoscibile perché assegna al composto la sua categoria.
Portabagagli (nel senso di facchino) il nome testa porta(tore) trasferisce il tratto semantico {+UMANO} al composto;
il tratto risulta dominante su quello {-UMANO} di bagagli
Mario ha chiamato il portabagagli; *Mario ha chiamato il carrello
In agrodolce nessuno dei due componenti è il centro del composto. È un composto esocentrico perché la sua testa si
trova all’esterno del composto.

Ordine tradizionale e inverso


• L’Italiano colloca i determinanti a destra dei determinati e costruisce quindi frasi e sintagmi come sbucciare
le patate (verbo determinato + nome determinante); anche i composti sono costruiti normalmente con il
modificatore a destra: si ha così sbucciapatate e non per esempio *patasbuccio. In questo senso si ha ordine
tradizionale.
• My friend’s lover (lett. ‘la del mio amico amante’); blue collar (lett. Il blu colletto). Termini che penetrano in
italiano dall’inglese o lingue simili appariranno al parlante come costruiti in maniera anomala, in ordine
inverso. I composti ad ordine inverso sono perlopiù forme culte che sono originate di norma de elementi
provenienti dal latino o dal greco oppure possono essere dei calchi di composti tratti da lingue non romanze:
è il caso per esempio di ferrovia strada ferrata in questo caso è seguito l’ordine tradizionale di
composizione italiana ma il termine non si è affermato tanto quanto l’altro), autostrada, audioleso: il
determinante vi appare in prima posizione.

LINGUISTICAITALIANA- lezione 9

Cos’è il LESSICO?
L’insieme delle “parole” di cui dispone una lingua. Non esiste nessun parlante che dispone in maniera ativa e passiva
di tutte le parole di una lingua e neanche un unico dizionario in grado di raccoglierle tutte.
Stimare la quantità di parole che compongono una lingua è molto approssimativa.
Parola Lessema: unità di base del lessico. All’interno dell’etichetta lessema ci finiscono sia le parole singole, sia
le unità polirematiche (ferro da stiro, cane da caccia…). Quindi parole costituite dalla sola radice semantica come i
pronomi personali ma anche quelle parole formate dalla base semantica più il morfema flessionale (cane, gatta…).
Lemma = lessema? NO. Lemma: lessema contestualizzato all’interno dei dizionari, secondo ovviamente
determinati criteri. Cioè ogni parola è registrata all’interno del dizionario sempre secondo lo stesso assetto
morfologico. Per esempio, i nomi vengono registrati tutti al maschile singolare, i verbi all’infinito… Le convenzioni,
è chiaro, variano da lingua a lingua.
Gatto= lessema e lemma. Gatta= lessema ma non lemma.
L’insieme dei lemmi costituisce il lemmario. Sappiamo già che nessun dizionario, con il suo lemmario, può raccogliere
tutti i lessemi esistenti in una lingua.

Non tutti i prestiti linguistici sono visibili allo stesso modo


• Gli appassionati lo sanno, lo aspettano. Ogni anno una novità, un cambio di passo, di design e qualche
sorpresa. «Ogni generazione di iPhone ha cambiato le nostre aspettative rispetto ad uno smartphone e ora,
con il 5G, iPhone 12 Pro dà inizio a una nuova generazione di prestazioni» ha annunciato stanotte Greg
Joswiak, Senior Vice President Worldwide Marketing di Apple.
• Sembrerebbe che i fantasmi siano “trasparenti” anche al Covid. Quindi, almeno per loro, la festa di
Halloween è salva. Soprattutto se sono “a casa” o meglio al castello, la loro abitazione preferita. Mentre per
noi in carne ed ossa questo 31 ottobre 2020 non vedrà alcun scherzetto o dolcetto e party a base di zucca,
scheletri e spiritelli. E allora perché non pensare (o sognare) di comprare un castello vero? In un momento in
cui gli investimenti immobiliari stanno diventando un bene rifugio e le buone occasioni in tutta Europa
avanzano, sono tantissime le occasioni di acquisto di manieri, fortezze e rocche dal fascino indubbio su cui
puntare e rintracciabili sui siti di agenzie immobiliari.
Nel caso di iPhone si parla di prestito non integrato, non adattato alle regole fono-morfologiche della lingua italiana
dunque più visibile.
Nel caso di maniero (prestito dal francese), dal punto di vista della morfologia è coerente con le regole dell’italiano,
quindi meno visibile.
Perché oggi non adattiamo più i prestiti come si faceva un tempo, ma li lasciamo nella forma originale?
Innanzitutto perché è meno dispendioso (denaro e tempo) e poi anglicismi, francesismi e ispanismi sono prestigiosi.
La conseguenza di tale prestigio è la nascita dei falsi prestiti, parole create in senso ludico (es. ovulation) ma anche
parole come footing che letteralmente significa appoggio del piedi ma noi lo utilizzato come sinonimo di jogging. Si
tratta di parole create con l’intento di ricreare un prestito per darsi un certo tono, ma senza un fondamento reale.
Gallomania nasce con i puristi nel ‘700, che criticavano la presenza di troppi francesismi nell’italiano legata al
periodo illuminista e all’influenza napoleonica.
Nell’800, Arrigo Castellani riteneva che la presenza di moltissimi anglicismi fosse una vera e propria
malattia anglomania o morbus anglicus. Ma la presenza di prestiti inglese, se andiamo a vedere, non è poi così
grande. L’italiano è stato caratterizzato anche da altri apporti stranieri che hanno avuto diversa provenienza. In
particolare, possiamo far risalire al periodo di passaggio dal latino al volgare (Medioevo) l’ingresso di molti
germanismi. Ricordiamo anche l’apporto dell’arabo consistente dall’Alto Medioevo fino al XII secolo sia per settori
legati al commercio (darsena), militare (ammiraglio), matematico (algebra, cifra). Lo spagnolo ha oggi un certo
prestigio, ma ha avuto anche in passato un certo influsso sull’italiano, soprattutto nel tardo cinquecento e per tutto
il seicento. L’arricchimento di prestiti da altre lingue può riguardare anche varietà che sono presenti sul suolo
italiano ma che non sono ufficiali.
Dialettalismi: pizza, mozzarella.
Geosinonimi: parole che hanno un significante (forma) diverso ma lo stesso significato e sono diffuse in aree diverse
della penisola italiana. Grembiule Faudal, fadali; scusal; traversa; grambial; zinale; mandesino/vantesin; devantali.
Può capitare che un geosinonimo si imponga sugli altri e venga eletto a parola ufficiale. Giocattolo: geosinonimo
veneziano (in toscane sarebbe balocco).
A metà del ‘900, Robert Rüegg ha sottoposto, una serie di informati, ad un questionario per chiedere loro con quali
parole designassero alcuni concetti.
• Bambinaia balia asciutta, governante, bonne, nurse.
Oggi, per indicare la funzione di tutte queste figure, utilizziamo il termine baby-sitter, affermata per via del
cambiamento delle condizioni socio-economiche e le situazioni famigliari. La baby-sitter, infatti, si occupa anche di
bambini più grandi rispetto a quelli di cui di poteva occupare la balia asciutta.
Noi possiamo distinguere:
• prestiti di lusso parole di cui non abbiamo bisogno perché ci sarebbero dei traducenti già in uso nella lingua
ospite)
• prestiti di necessità parole che indicano un’entità, una funzione o un oggetto nuovi, legati ad una
particolare cultura e lingua che non abbiamo e dunque importiamo sia il concetto che la parola.
*Il prestito di necessità non è mai di reale necessità. Basterebbe adattare qualsiasi parola straniera, in epoca fascista
sarebbe stato così. Dato che, però, le condizioni socio-culturali sono cambiate si preferisce diversamente. Oltre al
prestito c’è la possibilità di creare dei calchi, cioè prendiamo come riferimento una parola straniera e, considerando
come è fatta, utilizziamo del materiale nostro per riprodurla.
Calco strutturale: traduzione di una parola appartenente ad un altro codice linguistico. Usando del materiale
endogeno, traduciamo la parola straniera.
• Grattacielo - skyscraper
• Lotta di classe - Klassenkampf
• Luna di miele – Honey moon
Calco semantico: assorbimento di significati diversi per parole che noi già possediamo in italiano ma con un altro
significato.
• Ho realizzato solo oggi che siamo già ad aprile (to realize something)
• Chiara non indossava gli occhiali ieri (to wear glasses)
• Il parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (Fino al ‘600 il parlamento
era una discussione tra persone, con la Rivoluzione francese ha cambiato significato).

Cos’è la SINTASSI?
Sotto-branca della linguistica. Essa studia le modalità e le regole in base alle quali fonemi, morfemi, lessico, sintagmi
si combinano tra loro in un certo ordine, e non in un altro, per formar Cos’è una frase?
• È espressione di un senso compiuto
• È espressione di un giudizio
• È quell’oggetto che contiene sempre un verbo di modo finito
Tutte definizione giuste ma incomplete. “Rigore!” frase (a tutti gli effetti, per la linguistica) che non rispecchia i tre
criteri.
La linguistica cerca di considerare la frase come concetto pluridimensionale: pragmatico, semantico e sintattico.
Nozioni di TEMA e REMA
Il tema o topic quella parte di frase che offre all’interlocutore le informazioni già note
Il rema o comment indica la parte di una frase che dal punto di vista dell’informazione presenta una novità per
l’interlocutore.
Tendenzialmente in italiano strutturiamo le frasi mettendo prima il tema e poi il rema. Il tema coincide spesso col
soggetto e il rema con la predicazione e quindi il resto della frase. Non è sempre così ma dal punto di vista
prototipico possiamo dire cosi.
Ci sono frasi che seguono l’ordine corretto di tema e rema ma presentano anomalie dal punto di vista sintattico
• Io/ il morale è alto e sono sempre allegro (tema/rema).
• Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro (Manzoni, Promessi Sposi, 36)
• Il primo che va in giro di notte gli faremo la pelle (Verga, Novelle, I)
Il problema dal punto di vista sintattico è che in queste frasi manca un accordo morfo-sintattico tra quello che è il
tema-soggetto e il resto della frase anacoluto. Utilizzando un punto di vista pragmatico, quindi guardando più alla
distribuzione della parole nella frase, possiamo parlare di tema sospeso.
Tali strutture sono tipiche del parlato informale, collocato in basso nell’asse diastratico. Già di norma, nel parlato c’è
meno progettualizzazione della frase ed è possibile cambiarla in corso d’opera. Nel parlato dei ceti bassi questo
fenomeno è ancora più accentuato.
E allora perché lo troviamo anche in testi letterali? Perché gli autori hanno voluto spesso avvicinarsi al popolo.

LINGUISTICAITALIANA- lezione 10

Ordine sintattico naturale e ordine marcato


L’ordine della prima tabella è quello naturale della lingua italiana detto anche “non marcato”. L’italiano viene
definita una lingua S+V+O, dunque il tema coincide spesso col soggetto e il rema con la restante parte. Non sempre
pronunciamo, nel parlato, frasi che rispettano questo ordine. Spesso, infatti, pronunciamo frasi utilizzando un
ordine “marcato”. La marcatezza investe tutti i vari livelli della lingua.

Marcatezza: un oggetto linguistico è marcato quando possiede una caratteristica diversa dalla forma base.
La scrittura “ke” è una scrittura marcata e anche le due espressioni sottostanti.
• Ma è Marco che ha rotto il vaso!  Frase scissa: costrutto marcato frase costruita da una prima parte
costituita dal verbo essere cui segue un elemento. Si tratta di un costrutto marcato, proveniente dal francese.
Nelle frasi scisse c’è l’inversione tema-rema, utilizzate per mettere in primo piano l’informazione nuova. Frase
marcata dal punto di vista pragmatico ma non sintattico
• Il c’è presentativo struttura importata ancora dal francese. Frase totalmente rematica, usata per dividere
in due blocchi un’informazione nuova. Non è da confondere il c’è presentativo con quello esistenziale
(c’è=esiste). Frase marcata dal punto di vista pragmatico ma non sintattico.
• Il giornale l’ho già comprato struttura marcata sintatticamente poiché l’oggetto è posto in prima posizione,
O+S+V. Si tratta di una dislocazione a sinistra che prevede lo spostamento del complemento oggetto o di
termine in prima posizione così da creare coesione con la battuta precedente, nel parlato soprattutto. La
frase è marcata anche dal punto di vista di un grammatico standard l’ho pronome anaforico: riprende un
tema già citato prima.
*Esiste un costrutto standard simile alla dislocazione a sinistra la struttura passiva. Perché non usiamo il passivo
ma preferiamo la dislocazione a sinistra? Perché la dislocazione a sinistra è una soluzione più economica, ed
egocentrica, cioè mette l’io al centro. Tutto il parlato, soprattutto quello informale è egocentrico quindi c’è una
certa coerenza.
• L’ho già comprato il giornale dislocazione a destra. Non c’è marcatezza dal punto di vista sintattico. Eppure
presenta un pronome cataforico cioè che punta ad un elemento che viene dopo. La frase è marcata dal punto
di vista pragmatico poiché è messo in prima posizione il rema.
Sono tutti fenomeni di sintassi marcata
La frase complessa
• I periodi, oggi, sono più brevi si arriva al massimo al secondo grado di subordinazione.
• Nel settecento si inizia ad imitare lo stile degli illuministi che usavano periodi brevi e stile spezzato frase
semplice e punti, mono-proposizioni, no subordinate. È come se venisse meno la frase complessa.
• Maggioranza di coordinazione
• Nell’italiano contemporaneo, rispetto al passato, viene a ridursi anche il numero dei connettivi subordinanti.
Descrivi il brano giornalistico.

TESTUALITÀ
Testo: unità fondamentale dell’attività linguistica, dotata dei caratteri di unità, completezza e autonomia per
rispondere a una precisa volontà comunicativa. Requisiti fondamentali di un testo
• Coesione: si realizza attraverso l’ordine delle parole e i rapporti grammaticali, parliamo di morfosintassi,
concordanze e forme sostituenti anafora (un pronome è anaforico quando rimanda ad un elemento citato
prima: gli, suo), catafora (un pronome è cataforico se rimanda a qualcosa che viene citato dopo), iperonimi
(termine più generale: barca), iponimi (sottospecie: gondola) e sinonimi. La coesione, in italiano, si realizza

a) Eh no Vale l ho già cacciato per questo motivo nessuno deve parlare così ne di noi ne di quello che facciamo
se non vi piace la serata o altro liberi di andare dove volete ma noi tutto quello che facciamo lo facciamo con
il cuore e sentire dai miei allievi cose così non mi piace - E infatti non è la prima volta ovviamente a) Lo
capisco
b) Ok grazie Vale
c) Mi spiace
d) Così lo abbiamo mandato via
e) Mi spiace…Non so che dire. Capisco che possa essere fastidioso.
f) Eh infatti guarda dovresti vedere cosa mi ha detto e scritto in privato
- Comunque sai cosa Vale anche con i nostri difetti cerchiamo di dare e lasciare qualcosa […] Pazienza
anche attraverso le ellissi.
A cosa servono le parole evidenziate in azzurro? Per mantenere il contatto (anche emotivo), per far capire
all’interlocutore di aver capito, per anticipare cosa dirà l’interlocutore, per attirare l’attenzione (es. guarda). Hanno
anche la funzione di focalizzatori. Si tratta di modulatori o riempitivi. Appartengono alla categoria dei segnali
discorsivi. Servono a gestire i turni della conversazione e a mitigare i nostri turni stessi, in questo senso realizzano la
coesione del testo.
Tra i segnali discorsivi possiamo far rientrare anche i connettivi testuali (dunque, quindi, poiché, anche..) che servono
per collegare porzioni di testo. Sono connettivi anche frasi intere es. “come vedremo prossimamente”
• Coerenza:
1. Tematica, possiamo varie progressioni tematiche lineare (il rema della prima frase diventa il tema
della successiva), a tema costante, a temi derivati da un ipertema o iperrema…
2. Logica, che può manifestarsi in vari modi
Successione temporale L’uomo entrò nella stanza. Si diresse verso le finestre; le aprì
Rapporto causa-effetto Domani Guglielmo non andrà a scuola. C’è uno sciopero dei
professori
Scopo Luisa ha preso il treno delle quattro. Per le sei deve essere a Milano
3. Semantica dettata dalla possibile sequenzialità. Morse con gli occhi l’acqua per soffocare le catene
delle canzoni frase non coerente
dal punto di vista semantico. TIPO DI TESTO PROCESSO COGNITIVO REFERENTI

Descrittivo percezione nello spazio fenomeni (persone, oggetti, relazioni) nel


contesto spaziale

Narrativo percezione nel tempo fenomeni (persone, oggetti, concetti) nel contesto
temporale

Espositivo: comprensione di concetti attraverso l’analisi in concetti generali, costrutti mentali elementi
a) di analisi costituenti concettuali semplici

b) di sintesi
comprensione di rapporti tra elementi attraverso
la sintesi; generalizzazione

Argomentativo ipotesi, confronto e valutazione per la soluzione relazioni tra fenomeni


di un problema

Regolativo pianificazione del proprio o dell’altrui comportamenti propri o altrui


comportamento
Due possibili classificazioni di tipologia testuale
- Tipologia testuale di Werlich che ha ideato tale classificazione mettendosi nei panni di chi produce il testo,
quindi guarda alla matrice cognitiva. Per ciascuno di questi tipi testuali possiamo individuare sia il punto di
vista che il rapporto col referente.

- Tipologia testuale di F. Sabatini (anni

‘80) propone una nuova classificazione


che si mette nei panni del ricevente,
guardando al vincolo interpretativo.

Egli considera tutti i fattori presenti nella tabella


Individua 3 categorie di testi:
a) testi con discorso molto vincolante (massimamente espliciti);
b) testi con discorso mediamente vincolante;
c) testi con discorso poco vincolante (minimamente espliciti).
Considera: la materia di base, il genere del discorso e la forma testuale.
Con quali elementi linguistici si può vincolare l’interpretazione di un
testo?
LINGUISTICAITALIANA- lezione 11

INTRODUZIONE ALLA SOCIOLINGUISTICA


La sociolinguistica è quella branca della linguistica che si occupa dei rapporti tra lingua e società; osserva la
distribuzione sociale della variazione linguistica a tutti i livelli e in tutti i suoi aspetti.
Essa si accorge che le varie azioni di una lingua hanno un significato e una funzione sociale. Il primissimo ricercatore
di sociolinguistica fu William Labov (USA) che, nel 1966, ha effettuato delle primissime ricerche sui correlati sociali
della variazione linguistica. Per esempio, Labov scopre che la pronuncia newyorkese della /r/ è correlata alla
stratificazione sociale dei parlanti i parlanti appartenenti ad una classe sociale più elevata pronunciavano la /r/ in
modo più nitido rispetto ai parlanti di classe sociale bassa. Lo studio fu, in più, effettuato in 3 supermercati per
sottolineare la quotidianità alla base della ricerca.

MUTAMENTI RILEVANTI DALLA SOCIETÀ ITALIANA TRA FINE NOVECENTO E PRIMI ANNI XXI SECOLO
• l’espansione della lingua nazionale a scapito dei dialetti è proseguita, ma non in modo uniforme sul territorio;
ci sono, infatti, aree come il Veneto o la Campania in cui il dialetto resiste molto, anche tra i giovani. In altre
regioni, come la Lombardia e il Piemonte, i dialetti sono conservati per lo più da parlanti di generazioni adulte
o addirittura anziane.
• agli innegabili progressi sul piano dell’alfabetizzazione e del conseguimento di un titolo di studio superiore al
diploma di licenza media fa da contrappeso la crescita del fenomeno dell’analfabetismo di ritorno, facilitato
dalla scarsa diffusione della lettura di libri e di giornali in ampie fasce della popolazione. L’ “analfabetismo di
ritorno” è la perdita dell’abilità di comprensione e produzione di testi. In questo caso la fascia della
popolazione interessata è anche istruita. Allora, perché questa regressione? A causa della scarsa diffusione
della lettura in tali fasce della popolazione.
• vari rapporti nazionali e internazionali (es. INVALSI) hanno rilevato lacune e difficoltà degli studenti nella
comprensione e nella produzione di testi scritti in italiano.
FATTORI EXTRALINGUISTICI CHE HANNO AVUTO IMPATTO SULL’ITALIANO CONTEMPORANEO
- Diffusione CMT (Comunicazione Mediata Tecnicamente): perché la messaggistica istantanea ha influito più
sull’italiano che su altre lingue? Perché ha incentivato l’instaurarsi, in ampie fasce della popolazione, di una
scrittura veramente quotidiana. Questa pratica quotidiana con la scrittura ha anche cambiato la percezione
dell’atto della scrittura. In passato, ci si avvicinava alla scrittura con una certa sacralità, formalità; gli errori di
ortografia erano fortemente stigmatizzati, come altri tipi di errori. Oggi, invece, questa pratica quotidiana e
molto diffusa ha abbassando la sorveglianza rispetto alla correttezza dell’italiano e ha alzato la tolleranza nei
confronti degli errori. Il trasferimento di abitudini ortografiche da un contesto ad un altro meno adeguato
crea problemi perché dimostra che non c’è la capacità di adeguare la lingua alle varie situazioni comunicative.
Ciò, ovviamente, è dato dall’abitudine quotidiana (molte occasioni di scrittura informale, pochissime di
scrittura formale). La tendenza contemporanea appiattirsi su un livello di media formalità in cui possono
convivere varie varianti diafasiche ma rimane la tendenza a livellarsi sul piano medio.
- Espansione dell’inglese: in alcuni settori come l’economia, finanza, informatica è quasi obbligatorio che ci sia
una forte presenza dell’inglese mentre in altri come la comunicazione aziendale, pubblicitaria, politica la
presenza dell’inglese inizia ad essere ingombrante, immotivata.
- Fenomeni migratori: in Italia hanno origine già nei primi anni’80, dai Balcani, poi Africa, Medio Oriente.
Vengono a crearsi, con le varie lingue madri delle persone che emigrano in Italia, varie forme di lingue di
contatto. Si inizia a toccare con mano l’italiano come Lingua2 (usuale per l’inglese, meno per l’italiano). Si
tratta di lingue di transizione che cambiano nel tempo, anche perché si presuppone che pian piano gli
immigrati apprendano ad utilizzare la lingua italiana.

L’ARCHITETTURA DELL’ITALIANO CONTEMPORANEO


Tutti questi fattori, mutamenti sociali extralinguistici, influiscono sul repertorio dell’italiano attuale e confermano il
fatto che l’italiano contemporaneo è una lingua dinamica, in continuo mutamento.
Lo avevano capito già negli anni ’60, in particolare il primo studioso che ha cercato di fotografare l’architettura (cioè
l’insieme delle varietà) dell’italiano contemporaneo è stato Pellegrini che, però, si era soffermato solo sul fatto che
l’italiano fosse influenzato dalla variazione geografica, diatopica. Gli studiosi successivi hanno iniziato a valutare
anche le altre variazioni diafasica, diamesica... Il primo che è riuscito a dare una rappresentazione organica di tutte
le variazioni, che impattavano sull’italiano contemporaneo, è stato Gaetano Berruto che, nel 1987, ha prodotto il
primo schema, quello a sinistra. Lo schema sulla destra è, invece, l’aggiornamento di Antonelli nel 2011 (tutt’oggi
accettata).

Questi due schemi non sono del tutto sovrapponibili, è


cambiato qualcosa.
C’è un po’ un ammassamento verso il centro, minore
distanza tra le varietà dell’italiano contemporaneo, proprio
perché c’è una tensione verso la medietà che è condivisa un po'
da tutte le varietà.
L’attributo che aggiunge Berruto ad italiano standard è diverso da quello di Antonelli, lui infatti lo definisce “italiano
standard letterario”. Questo significa che se nell’87 possiamo individuare la concretizzazione dell’italiano standard
ancora nella letteratura, (come era stato storicamente: italiano standard deriva dal 300 usato dalle Tre Corone),
Antonelli si rende conto che oggi non è tanto la letteratura a conservare l’italiano standard, ma è la scuola (le
grammatiche, pubblicistica scolastica, manualistica universitaria). Quindi chi conserva le manifestazioni di italiano
standard oggi, non è più tanto la letteratura ma è la scuola. È cambiato anche l’attributo relativo all’italiano neo-
standard. Berruto identifica il neo-standard come “italiano regionale colto medio” di fatti oggi, possiamo etichettare
l’italiano neo-standard come “italiano dell’uso medio”.
• l’attributo “colto” oggi è stato cancellato, prima Berruto lo utilizzava per designare quella categoria di persone
istruite.
• L’etichetta “regionale” è valida ancora oggi. Non esiste un italiano neo-standard che non sia interferito dalla
provenienza geografica del parlante.
Antonelli toglie gli attributi “colto” e “regionale” sostituendoli con “giornalistico”
• L’attributo “giornalistico”: la manifestazione più prototipica dell’italiano neo-standard oggi si ha in un
giornale. È un italiano scritto (o trasmesso) che ammicca a tratti tipici dell’oralità, questo perché il neo-
standard è legato per nascita al polo dell’oralità.

ASSE DIAFASICO (obliquo – situazioni comunicative)


• In alto sul polo estremo elevato Berruto colloca l’italiano formale aulico e viene conservato da Antonelli, e
che possiamo identificare nel registro più alto dell’italiano standard (oggi in occasioni rarissime). Nell’italiano
formale aulico odierno si potrebbero trovare costrutti non più in uso “gerundio assoluto”.
• Dall’altra parte dell’asse abbiamo l’italiano tecnico – scientifico: italiano standard, collocato un po’ più in
basso dell’italiano aulico formale, non troveremmo costrutti antiquati e si distingue dall’italiano standard in
generale per la presenza dei sottocodici disciplinari (medicina, chimica, fisica) che implicano la padronanza
di una nomenclatura tecnica che possono usare solo gli addetti ai lavori. È un italiano molto sorvegliato,
formale e denotativo.
• Un po’ più in basso nello schema di Berruto troviamo l’italiano burocratico, collocato proprio sull’asse.
Perché l’italiano burocratico si caratterizza per avere un registro formale tipico dell’italiano standard e al
contempo prende in prestito alcuni sottocodici (giuridico, economico) che poi mescola con altre parole
definite “parole del burocratese”: parole o espressioni che vengono utilizzate da chi scrive, perché le ritiene
più formali, ma che in realtà complicano soltanto il dettato. L’italiano burocratico che Berruto registra nell’
’87 e conferma nel ’93 non compare nello schema di Antonelli dove invece figura l’italiano aziendale che
possiamo definire come l’erede dell’italiano burocratico aggiornato ai nostri tempo. L’italiano aziendale =
varietà ibrida  eredita: strutture dell’italiano burocratico + vocaboli inglesi e neo-standard. Nasce in contesti
aziendali delle multinazionali e pervade per prestigio sociale anche quegli ambiti naturali dell’ambito
burocratico (uffici amministrativi, università).
• Andando verso le situazioni comunicative man mano più informali, troviamo nello schema di Berruto
l’italiano regionale popolare che ritroviamo anche in Antonelli che lo divide in: (italiano regionale + italiano
popolare) e lo colloca ancora più in basso rispetto all’asse diastratico. Italiano regionale è quello che parliamo
tutti in base alla nostra provenienza. L’attributo “popolare” non va inteso nel significato comune di “molto
diffuso”, “di successo”, ma va inteso come legato alla classe sociale più umile e meno istruita e che quindi
manifesta nel suo italiano delle caratteristiche molto distanti dallo standard.
• In “bassissimo” Berruto colloca l’italiano gergale, varietà che non sarà ripreso da Antonelli poiché non la
distingue come una varietà autonoma.
• Sempre nello schema di Berruto rispetto ai registri, quindi a destra dell’asse diafasico, in basso però rispetto
all’asse diastratico troviamo l’italiano informale trascurato che Antonelli conserva, ma sposta verso il centro,
risale un po’ per il fatto che tutte le varietà tendono alla medietà, a perdere i tratti più marcati.
• Italiano parlato colloquiale: posizione inalterata
• Tra italiano parlato colloquiale e italiano informale trascurato a volte la differenza può non essere
chiarissima, il discrimine sta nell’aggettivo “trascurato” perché è chito che l’italiano parlato colloquiale sia
informale.
L’aggettivo “trascurato” può essere legato sia alla realizzazione fonetica ma anche alla scelta lessicale che
può essere caratterizzata anche all’uso di turpiloquio.
Quadrante vuoto: quadrante che interseca l’asse diamesico nel suo polo scritto con le parti più basse dell’asse
diastratico per il momento non esistono (o esistono raramente) varietà di italiano molto marcate verso il basso in
diastratia che presenti anche le caratteristiche tipiche dello scritto-scritto (scritto formale).
• Rispetto allo schema di Berruto, quello di Antonelli aggiunge una varietà legata alla CMT e lo colloca nella
parte medio-alta della diastratia, (possono esistere manifestazioni di italiano digitato molto sorvegliate, come
Wikipedia) ma tutta la varietà tende verso il polo del parlato  perché la maggior parte delle manifestazioni
dell’italiano digitato sono manifestazioni che riproducono la conversazione (Social, blog) e quindi inseriscono
all’interno di una varietà scritta delle caratteristiche tipiche dell’oralità.
Architettura dell’italiano paragonata nell’arco di un trentennio e si può considerare come valida quella elaborata da
Antonelli. La diatopia resta sullo sfondo. Questo significa che anche nell’italiano digitato noi possiamo individuare
dei tratti che ci rivelano la provenienza geografica dello scrivente. (Scelta di alcuni costrutti morfosintattici o alcune
locuzioni lessicali).
• In entrambi gli schemi mancano degli elementi, presenti nel repertorio dell’italiano contemporaneo:
mancano i dialetti (come tali) e le interlingue (manca il posizionamento dell’italiano parlato dagli emigrati
che non si identifica con nessuna di queste varietà).
LA COMPRESENZA DI DUE STANDARD
Il nuovo standard è l’esito di un processo che ha portato lo standard ad adattarsi a nuovi contesti d’uso e a nuovi
parlanti. Possiamo sancire la nascita del nuovo standard negli anni ’50, quando si sono verificati una serie di fattori
che hanno aumentato le occasioni di uso quotidiano dell’italiano:
- Radio e televisione.
- La crescita della scolarità
- Migrazione verso le grandi città
A partire dagli anni ’50, l’italiano ha iniziato ad affiancare i dialetti in vari contesti d’uso, non solo in quelli molto
formali dove già era egemone ma anche in quelli quotidiani. L’italiano ha ampliato, così, la propria gamma di
variazione rispetto al passato.
Non bisogna, però, pesare che lo standard si sia abbassato ai nuovi usi e parlanti ma dobbiamo pensare alla nascita
parallela d un nuovo standard. Allora come ora, noi comunichiamo nei vari contesti avendo in mente due standard.
Nella società italiana possiamo parlare di compresenza di due standard: uno tradizionale e il neo-standard. È lo stesso
Antonelli a mostrarci che gli standard sono due attraverso l’utilizzo degli attributi standard scolastico e neo-
standard giornalistico. Ma ciò non riguarda solo l’italiano:
• Kristiansen (2001: 22), analizzando alcuni giudizi espressi da giovani parlanti danesi, conclude che «young
Danes seem to operate with two ‘standards’ when it comes to language: one for the school, where
‘excellence’ is perceived in terms of Superiority, and one for the media, where ‘excellence’ is perceived in
terms of Dynamism».

Fattori standardizzanti:
- Autorità della norma, nel caso dell’italiano sono Le Tre Corone
- Codificatori, quindi grammatiche e dizionari
- Esperti linguistici, abbiamo visto gli accademici della Crusca o gli insegnanti stessi - Parlanti/scriventi modello
Questi fattori possono avere un peso diverso nel corso del tempo e uno standard rispetto ad un altro può fare
affidamento su un fattore più che su un altro.
• Italiano standard: altamente codificato, è il modello adottato nell’insegnamento e per la compilazione di
dizionari e grammatiche prescrittive.
• Italiano neostandard: varietà di italiano parlata e scritta da parlanti colti in contesti mediamente controllati;
è scarsamente codificato; i suoi testi ‘modello’ non sono testi letterari bensì giornalistici.
Oggi anche la narrativa usa il neo-standard, perché l’intento è cercare un rispecchiamento con i propri lettori che
adottano esclusivamente l’italiano neo-standard.

ITALIANO NEO-STANDARD
Vediamo come caratterizzare sui vari livelli che abbiamo considerato, guardando le strutture, l’italiano neo-standard.
Per il fatto che è nato come italiano affiancatosi al dialetto (nella conversazione), già dalla sua creazione è più
prossimo al polo dell’oralità. È sempre regionale, dell’uso medio etichetta coniata da Francesco Sabatini (anni ’80)
che ha descritto l’italiano neo-standard individuando 35 tratti caratterizzanti. Altri tratti son stati trovati nel 2012 da
Lorenzo Renzi. Dell’uso medio perché impiegato nell’uso parlato e scritto di media formalità.
Sabatini ha individuato come tendenze generali, sotto cui raggruppare questi 35 tratti, da una parte la semplificazione
dei paradigmi presenti nello standard e dall’altra l’esigenza di espressività. Si è particolarmente concentrato sul fatto
che il neo-standard è più semplice nelle struttura rispetto allo standard. Quindi, alcuni tratti del neo-standard
semplificano i paradigmi dello standard, altri ne riempiono delle lacune.
Per esempio, le interrogative a doppio fuoco “Chi fa cosa?” sono tipi di interrogative non presenti nello standard,
arrivateci dall’influenza della lingua inglese e quindi presenti, invece, nel neo-standard. Il neo-standard,
introducendo questa struttura, ha colmato una lacuna dello standard. Altra struttura, sempre derivata dall’inglese,
che colma una lacuna, è la possibilità di usare la congiunzione alternativa “e/o”.

Per la fonologia
• si è neutralizzata l’opposizione tra e aperta ed e chiusa, insieme ad o aperta ed o chiusa, in favore
dell’elemento di volta in volta prediletto dalla particolare varietà regionale;
• si accolgono le terminazioni consonantiche delle parole, presenti negli stranierismi (autobus, Madrid, stop),
a scapito della propensione toscana, quindi standard, all’epitesi l’aggiunta di una sillaba o di una semplice
vocale per evitare che la parola termini per consonante (autobusse, Madridde, stoppe);
• il raddoppiamento fonosintattico ha una realizzazione variabile in diatopia: molto presente al sud,
praticamente assente al nord.
Per il prestigio conferito soprattutto alle varietà regionali settentrionali, e in particolare al milanese, si sono diffusi in
tutta la penisola tratti propri di quella varietà, come ad esempio:
• la tendenza a chiudere la vocale e seguita da nasale in sillaba chiusa (['vento], ['tempo]);
• la sonorizzazione della s intervocalica (['rɔ:za], ['Ka:za], in luogo di ['rɔ:sa], ['Ka:sa]);
• a sonorizzazione dell’affricata alveolare iniziale di parola (['dzukkero] in luogo di ['tsukkero]).
Questa influenza del milanese è legata alla fortuna della rappresentazione dello stile di vita della Milano da bere degli
anni ’80, probabilmente anche adesso con l’immagine di una Milano moderna, green, alla moda il modello milanese
continuerà ad avere un’attrattiva. Con il Covid, che ha sdoganato la possibilità di lavorare da remoto, non si avrà più
quel desiderio di abitare a Milano e imitare quello stile di vita. Quindi, probabilmente, nel tempo il prestigio attribuito
a questa varietà scemerà e magari se ne creeranno altre di varietà prestigiose. Il prestigio cambia nel tempo e in basa
alla percezione che i singoli parlanti hanno del valore di quella particolare varietà.

Per la morfologia
• la riduzione del sistema pronominale con i pronomi soggetto lui, lei, loro usati nel parlato in sostituzione di
egli, ella, essi, esse (che sopravvivono nello scritto); la cancellazione di ella non solo nel parlato, ma anche
nello scritto; l’uso di gli come dativo sia per il maschile che per il femminile (Quando vedo Silvia gli dico che
la cercavi); l’uso di gli in luogo di loro, a loro, a essi e a esse (Ora vado dai vicini e gli dico che la devono
smettere di fare tutto questo chiasso);
• l’uso ridondante di ne (Di questo ne parlerò con Luigi).

LINGUISTICAITALIANA- lezione 12

In morfosintassi
• il che polivalente (es. attento che cadi), cioè l’uso nell’italiano neo-standard della congiunzione “che” con
significato generico, come introduttore di subordinate che nell’italiano standard avrebbero più spesso
congiunzioni subordinanti semanticamente più precise (“stai attento altrimenti cadi”); tratto tipico del
parlato, perché non sempre ci arriva la parola giusta per ogni occasione.
• Alcuni tempi del modo indicativo assorbono le funzioni di altri tempi e modi verbali. La semplificazione della
coniugazione verbale
 il presente indicativo usato al posto del futuro semplice (Questa sera uscirò con Silvia → Questa sera
esco con Silvia; Tra un mese sarà Natale → Tra un mese è Natale); Questa semplificazione
morfologica, non implica che il futuro scompaia del tutto.
 futuro epistemico utilizzato per esprimere una probabilità, una supposizione (Anna non risponde,
avrà il cellulare spento) o una necessità (Per finire in tempo dovrò lavorare anche sabato)
 il passato prossimo al posto del passato remoto anche per eventi molto lontani nel tempo (Mario ha
conosciuto Francesca nel lontano 1986 ed è stato amore a prima vista!);  l’imperfetto, oltre al
rapporto temporale usato per:
a) indicare un rapporto aspettuale (Andavo a scuola, quando incontrai Maria)
b) esprimere la modalità contro-fattuale, ossia per esprimere il periodo ipotetico dell’irrealtà
andando a sostituire il condizionale e il congiuntivo (Se lo sapevo che venivi a Milano ti avrei potuto
ospitare); c) imperfetto ludico: parlato infantile (Facciamo che io ero Luke Skywalker e tu Darth
Fener);
d) imperfetto di cortesia: con una funzione conversazionale, attenuativa, di cortesia (Volevo
chiederle se fosse possibile spostare l’appuntamento alla settimana prossima), lo standard richiede il
condizionale;
e) imperfetto di pianificazione: quando si parla di un evento futuro già pianificato, ma nello
standard si dovrebbe esprimere con il futuro semplice, ma il fatto che la nostra idea è avvenuta prima
del momento dell’enunciazione induce ad usare l’imperfetto di pianificazione (Domani volevo andare
al cinema);
I vari domini dell’indicativo si erodono in domini standard tra di loro e lo erodono i domini che lo standard riserva al
condizionale e al congiuntivo, troppo complessi.
• L’espansione dell’uso dell’indicativo in sostituzione del congiuntivo dello standard, in particolare nelle
subordinate (Non so che cosa gli è preso);
• l’infinito usato:
a) nelle istruzioni (Agitare il contenuto prima dell’uso. Versare il prodotto in una pentola senza aggiungere
acqua. Scaldare a fuoco lento per pochi minuti mescolando di tanto in tanto); lo standard prevede delle
forme impersonali;
b) nella tematizzazione del verbo (Leggere, leggo, ma non ho molto tempo); “leggere” = per quanto
concerne l’attività di lettura, ridotto ai minimi termini diventa un infinito che svolge la funzione di
topicalizzare un argomento
c) nel foreigner talk, ossia nel linguaggio semplificato che i parlanti nativi utilizzano quando parlano con gli
stranieri, è una varietà marginale (Andare diritto, poi al semaforo girare a sinistra fino alla piazza).
Percependo come più semplice l’infinito abolisce tutta la morfologia flessionale dell’italiano facendo un
danno nei confronti dello straniero che percepisce un input substandard.
• La progressiva scomparsa del gerundio composto per esprimere l’anteriorità rispetto alla reggente
(difficilmente nel parlato e nello scritto non troviamo forme come “essendo stato votato”) e il parallelo
affermarsi del gerundio presente cosiddetto «iconico», esprimiamo il rapporto di anteriorità non attraverso
alla morfologia ma mettendo sempre le proposizioni che contengono questo gerundio prima della principale
(Avendo perso il treno, non sono riuscita ad arrivare all’appuntamento non sono riuscita ad arrivare
all’appuntamento, avendo perso il treno > perdendo il treno, non sono riuscita ad arrivare
all’appuntamento.) *se invece usassimo il gerundio composto potremmo collocare la subordinata senza
ledere l’espressione del rapporto di anteriorità, proprio perché è affidata alla morfologia verbale.
Tutti questi tratti sono legati alla semplificazione

In sintassi e nel lessico


• Per la sintassi dobbiamo ricordare che sono presenti tutte le forme di sintassi marcata (dislocazioni,
anacoluto, frase scissa, c’è presentativo)
• Per il lessico dobbiamo osservare i due fattori che influenzano il neo-standard:
 Espressività si manifesta anche con l’irruzione di forme colloquiali laddove la situazione comunicativa
standard non lo gradirebbe.
 Semplificazione si manifesta nell’uso di genericismi = parole che hanno una semantica molto vaga e
noi possiamo farci rientrare di tutto (tizio, roba, cosa, tipo)
• L’espressività si manifesta anche attraverso l’uso di regionalismi, neologismi e occasionalismi. Tra i
meccanismi di formazione derivazionali (neologismi) prediletti dall’italiano dell’uso medio spiccano,
coerentemente alla ricerca di espressività, gli elativi (forme iperboliche) iper-, super-, maxi-, più fortunati del
suffisso -issimo perché più affini alla struttura della lingua italiana; tra i molti suffissi produttivi, si possono
citare invece -oso, -ista e -ismo, -bile ed -ese, produttivo anche negli anglicismi. La loro presenza è consigliata
in alcuni campi, ma ci sono anche anglicismi collaterali dell’aziendale.
• Gli anglicismi collaterali dell’aziendalese (prestiti di lusso) e i plastismi (Castellani Pollidori negli anni ’80),
ossia a quelle espressioni logorate dall’uso, prima neologismi che impoveriscono il lessico e la capacità dei
parlanti di selezionare, o inventare, l’espressione di volta in volta più appropriata; ne sono esempi: a livello
di, a monte, quant’altro, ecc. (neologismi utilizzate a sproposito). Si usano anche all’interno della pubblicità,
a volte li assorbiamo senza rendercene conto, sono una vera e propria moda dei media che poi attecchisce
nella lingua.
“Quale testo è in standard e quale in neo-standard? Argomenta la tua risposta considerando il maggior numero di
fenomeni linguistici”
1° Neo-standard: dire come genericismo. “Può darsi” mono proposizione, nessuna progettualità ipotattica. Si
predilige l’uso spezzato. Struttura marcata: ellissi cataforica del tema, l’oggetto di cui si parla viene posticipato.
Pronome pleonastico che si riferisce alla carovana. “A dovere” espressione colloquiale. Parole fortemente espressive
e colloquiali (scippare- mega managers) managers tipico del neo-standard perché è un anglicismo aziendalese e non
è adattato. Verbo pronominale “se la facciano”. Altro genericismo “cosa”. Plastismo “in ogni angolo del mondo”. Il
“MA” dopo il punto: Dante lo fa molte volte, tratto presente nello standard, ma non è stato codificato da Bembo.
Nel testo neo-standard carovana non presenta nessun tratto ortografico, perché è visto come qualcosa di legittimo.
2° Standard: connettivo che esplicita il legame logico che nel neo-standard è lasciato implicito “Per questi motivi”.
Uso del pronome loro. Mega managers diventa grandi dirigenti.
“Commenta l’uso della punteggiatura in questo headline pubblicitario”.
Tu hai gli obiettivi. Noi, gli strumenti per aiutarti a raggiungerli.
“tu hai gli obiettivi, invece noi gli strumenti per aiutarti a raggiungerli”.
Neo-standard uso della virgola dopo il noi. Istituire un parallelo tra mittente e destinatario tu e noi. Stile spezzato.
“Noi abbiamo gli strumenti per aiutarti a raggiungerli” standard.
Varietà diatopiche: quando ci riferiamo agli italiani regionali, tenendo presente che non si parla
necessariamente di regioni amministrative.
Macrovarietà diatopiche: per identificarle ci affidiamo a delle isoglosse, cioè delle linee immaginarie che suddividono
il territorio italiano in parti e in relazione alla presenza o assenza di determinati fenomeni linguistici, fonetici, lessicali,
morfologici.
• Le varietà settentrionali sono separate dal resto d’Italia dalla linea “La Spezia- Rimini”, linea che collega
queste città e che corre lungo il Po.
• Le varietà centrali che si distinguono da quelle meridionali attraverso la linea “Roma- Ancona”.
• Sotto la linea Roma- Ancona abbiamo le varietà meridionali.
• Considerando i dialetti soggiacenti in queste aree, noi non possiamo considerare il Meridione come un
tutt’uno, ma dobbiamo separare alcune zone dal meridione centrale. Quindi si parla di varietà meridionali
estremi (Salento, Calabria meridionale e Sicilia).
• Sardo, che per la sua natura insulare fa sì che lo sviluppo di questi dialetti sia stato più autonomo degli altri.
Ricognizione dei fenomeni tipici di queste varietà.
Quando pensiamo agli italiani regionali dobbiamo pensare ad un continuum, una realtà sfumata in cui possiamo
individuare un polo elevato (italiano neo-standard regionale non così marcato geograficamente) e un polo basso che
corrisponde ai dialetti soggiacenti, dobbiamo immaginare questo continuum in cui i parlanti possono muoversi su
questa “linea”, parlando a volte un dialetto vero e proprio, o altre volte in contesti informali un dialetto regionale
trascurato, nella maggior parte dei casi si parla un dialetto regionale abbastanza sorvegliato. Ci accorgiamo della
provenienza geografica di un parlante non tanto dal lessico, ma attraverso la fonetica (cadenza). *Se dovessimo
insegnare (a studenti di italiano L2) a ragionare sulle varietà diatopiche dovremmo partire dalla percezione della
diversità fonetica e prosodica degli italiani regionali.

Varietà settentrionali
• In fonetica
 [fato] ‘fatto’, [pele] ‘pelle’: le consonanti lunghe tendono ad essere pronunciate come
brevi scempiamento delle consonanti geminate o doppie. Si realizza in tutti i dialetti
dell’Italia settentrionale e che può trasferirsi in modo marcato anche nell’italiano regionale.
 la fricativa dentale sorda [s] in posizione intervocalica è sempre resa come sonora [z]; 
l’affricata dentale in posizione iniziale è realizzata sempre come sonora [dz];
• Per la morfosintassi:
 l’articolo determinativo precede spesso i nomi di persona, sia maschili che femminili: la Maria, la
Giovanna, ma anche il Paolo, il Mario;
 si usa il passato prossimo anche per avvenimenti e azioni accadute in un passato lontano, là dove lo
standard richiede il passato remoto. Questo fenomeno, espandendosi dal nord, si è ormai pressoché
generalizzato;
 la negazione di una frase prevede l’uso di mica: ho capito, mica sono stupido;
 la forma verbale dell’italiano sto seguita dal gerundio, che indica l’azione durante il suo svolgimento
(sto mangiando, sto facendo i compiti) è realizzata con la costruzione sono dietro a: sono dietro a
mangiare; sono dietro a fare i compiti.

Varietà toscana all’interno delle varietà mediane


• In fonetica
 la pronuncia aspirata delle occlusive sorde /p, t, k/ in posizione intervocalica e anche in fonetica
sintattica (ossia all’incontro fra due parole, una che finisca e l’altra che inizi per vocale): possono
essere realizzate come aspirate.
 nel parlato dialettale, e regionale la riduzione del dittongo velare uo, viene monottongato, (ova,
scola, bona); tratto comune anche alla varietà romana.
 Solo in Toscana non sono state neutralizzate le pronunce delle e & delle o aperte e chiuse. Pertanto
un parlante toscano pronunceràà in modo differente [pésca]≠ [pèsca] rispettivamente per la terza
persona del verbo pescare e per il frutto e [bót:e]≠[bòt:e] rispettivamente per recipiente e percosse.
 affricate palatali semplici intervocaliche [tʃ] e [dʒ] rese come fricative palatali [ʃ] e [ʒ]: piacere
[pjaʃere], agile [aʒile];
• Per la morfosintassi
 l’uso del dimostrativo codesto (come pronome e aggettivo dimostrativo) per indicare qualcosa che è
lontano da chi scrive o parla e vicino a chi ascolta.
 l’uso, solo toscano, di costì e costà che servono a indicare un luogo dov’è la persona a cui si parla o si
scrive: Come ti trovi costì? Che tempo avete costà? Fuori di Toscana, costì e costà sono sostituiti da lì
e là;
 l’utilizzo del pronome te complemento anche come soggetto: te sei bravo;
 l’uso del tipo morfologico noi si va ‘noi andiamo’;

Varietà mediane: (Lazio, Abruzzo, Umbria)


• In fonetica
 [tera] per ‘terra’ (scempiamento della vibrante /r/ quando è intervocalica);
 [pentso], [faltso], [bortsa] (la sibilante, fricativa alveolare, /s/ viene resa come affricata alveolare /ts/
se è preceduta da n, l, r);
 [djeʃi], [luiʒi] pronuncia fricativa delle affricate palatali /tʃ/ e /dʒ/ (come in toscano, ma diversamente
dalle varietà settentrionali e meridionali);
 [kwan:o] ‘quando’ (nd passa a nn per assimilazione progressiva, la nasale ingloba la dentale) nel
parlato informale.
 [fijo] ‘figlio’, [famija] ‘famiglia’ (gl diventa j).

LINGUISTICAITALIANA- lezione 13

Fenomeni tipici delle varietà mediane


• Per la morfosintassi:
 L’uso enfatico della congiunzione che nelle interrogative: che ti va di andare al cinema? 
La preposizione da dopo il verbo dovere: mi deve da dare molte cose  L’accusativo preceduto
dalla preposizione a: hai visto a tuo padre?
 La sostituzione della congiunzione interrogativa perché con che + verbo + a fare: che ridi a
fare?  Il verbo stare viene usato al posto di essere per indicare lo stato in luogo: Dove sei?/
Sto a Viale Trastevere.
Fenomeni delle varietà meridionali
• In fonetica
 le realizzazioni del tipo [ab:ito], [deb:ito], [madʒ:iko]: come per le varietà mediane, si realizza la
geminazione delle occlusive bilabiali e delle affricate palatali quando sono in posizione intervocalica;
 la pronuncia sorda delle fricative intervocaliche: [rɔsa] (si ricordi invece che nelle varietà
settentrionali si ha la pronuncia sonora, mentre nelle varietà toscane le due realizzazioni si
alternano);
 il passaggio del nesso -nt- > -nd- e del nesso -nk- > -ng-: [kwanto] > [kwando], [anke] > [ange];
 la resa vocalizzata delle laterali palatali: [fijo], [ajo];
 la resa delle vocali finali (-e) come vocale centrale non arrotondata /ǝ/, denominata schwa o vocale
“indistinta”: [salamǝ].
• Per la morfosintassi
 l’uso transitivo dei verbi intransitivi quali salire, scendere, entrare, uscire: ho salito la spesa; ho sceso
il cane; ho entrato la macchina in garage; ho uscito la moto;
 il congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente: ma facesse un po’ quello che vuole!
 gli usi non normativi del congiuntivo e condizionale tra protasi e apodosi del periodo ipotetico, a volte
con ripetizione del doppio congiuntivo o del doppio condizionale, a volte con l’inversione dei
tempi in protasi e apodosi: se dicessi, facessi; se direi faresti; se farei dicessi;
 il participio passato dopo verbi di volontà, con costruzione priva della congiunzione subordinante che
seguita dal congiuntivo: al posto di voglio che mi compri quella maglietta si ha voglio comprata quella
maglietta;
 la negazione realizzata da senza + participio passato: ha messo i pantaloni senza lavati;
 l’uso dei verbi transitivi che reggono l’oggetto animato, preceduto dalla preposizione a: ho visto a
Luigi.
Fenomeni delle varietà meridionali estreme (Sicilia, Salento)
• In fonetica
 la pronuncia cacuminale, o retroflessa, /ʈɽ/, che si ottiene piegando indietro la lingua contro il palato:
[ʈɽeno], [kwaʈɽ:o];
 in Sicilia, la pronuncia rafforzata e retroflessa anche di ɽ- iniziale: [la ɽ:ana];
 /ts/ sorda pronunciata come /dz/ sonora se preceduta da /r, l/: [aldzare];
 /s/ preceduto da /r, l, n/ diventa affricata /ts/: [pentso] (tratto comune a tutta l’area meridionale).
• Per la morfosintassi
 la posposizione dell’aggettivo possessivo: il libro mio, l’amico mio;
 la concordanza di mia, tua, sua con un nome maschile plurale: i libri mia; i fatti sua;
 l’uso di verbi transitivi con l’oggetto preceduto da preposizione a: hanno investito a sua sorella;
 l’imperfetto congiuntivo al posto del presente: che la smettesse!;
 l’uso transitivo dei verbi intransitivi: ti imparo l’inglese; esco la macchina; scendo la spesa; 
l’inversione tra congiuntivo e condizionale nel periodo ipotetico: se verresti, mi facessi contento.
Geosinonimi e geomonimi
Geosinonimi parole che hanno un significante diverso ma che si riferiscono ad uno stesso referente. Geomonimo
lo stesso significante può avere un diverso significato nelle svariate varietà regionali.
Varietà diafasiche:
sono quelle collegate alla situazione comunicativa, al ruolo che gli interlocutori hanno nella conversazione, al loro
rapporto che può essere di parità o asimmetrico, e all’argomento della situazione comunicativa.

Se ci concentriamo sul rapporto tra gli interlocutori e sul ruolo parliamo di registri formali o informali.
 si' mi piace molto per la posizione / un po' meno per i servizi / nel senso che non non ci sono servizi ce'
ci sono gli autobus che passano/ passano gli autobus passa il diciotto ma non ci sono panettieri /non
ci sono negozietti / macellerie nulla. Registro informale elementi fortemente colloquiali, ripetizione
di una stessa parola a poca distanza, l’apertura col si’, parlato egocentrico con conseguente uso della
prima persona singolare, sintassi nominale.
 Dopo Francis Chichester / un altro navigatore solitario inglese / Alec Rose / ha concluso felicemente
il giro del mondo su un’imbarcazione a vela di undici metri / Quarantasettemila chilometri / coperti
sugli oceani in poco meno di un anno / Come Chichester, /anche Rose non è più giovane / ha
sessant’anni / fa il commerciante / ma / come Chichester / ha il mare nel sangue. Registro formale o
sorvegliato appare più pianificato, non ci sono ripetizioni, la sintassi è più organizzata.
Fenomeni caratteristici dei registri formali e informali

Se ci concentriamo sull’argomento della conversazione, invece, parliamo di linguaggi settoriali e sottocodici la


particolare nomenclatura di una data disciplina.
🞅 Lessico dei sottocodici o linguaggi settoriali: Molti termini sono formati a partire da basi latine o greche
(con i suffissoidi), oppure sono mediati da altre lingue come l’inglese o il francese (come, per es.,
aracnofobia in psicologia, bufferizzare in informatica), dando luogo così a termini tecnici (detti anche
tecnicismi). Non pochi tecnicismi sono di trafila ereditaria, rappresentano cioè espressioni della lingua
comune che assumono anche accezioni tecniche, come accadde, ad es., per momento in fisica, statistica,
musicologia o per forza in varie discipline.
🞅 monosemia: si ha monosemia quando un termine tecnico appartenente a un sottocodice presenti un solo
significato; può però accadere che una stessa parola tecnica abbia in due sottocodici diversi due significati
diversi (es. valenza in chimica e in linguistica). In stesso sottocodice però sono esclusi sinonimi. Nelle lingue
speciali possiamo trovare i sinonimi quando ci si avvicina alla comunicazione divulgativa: p.es. nel
sottocodice della medicina, dove sono compresenti, rinite/raffreddore, parotite/orecchioni, cefalea/mal di
testa; un parlante del settore userà il tecnicismo, un parlante comune userà il sinonimo.
🞅 L’esistenza di nomenclature o terminologie costruite su definizioni tecniche è il criterio con cui discernere le
cosiddette lingue speciali all’interno della categoria dei linguaggi settoriali.
Le lingue speciali legate a dei settori del sapere o del costume di una cultura.
🞅 la lingua della moda: terminologia molto simile a quella di un sottocodice (es. la terminologia sartoriale) +
vocabolario allusivo impressionistico che non ha le stesse proprietà di monosomia e precisione che hanno i
linguaggi settoriali in senso stretto.
🞅 lingua della cronaca sportiva: tecnicismi proprio legati a determinati sport + uso di figure retoriche anche
banalizzate e meccanismi metaforici.
🞅 Interscambio fra le lingue speciali e la lingua comune: è infatti normale il passaggio alla lingua comune di
tecnicismi propri del vocabolario di una lingua speciale (es. tutti i termini della psicanalisi, come Io, super-io,
inconscio, nevrastenico, depresso, schizofrenico); all'inverso è pure frequente che è una lingua speciale
attinga il proprio vocabolario o una parte di esso dal lessico comune, specializzando il significato di parole
già esistenti; ciò è possibile anche per i sottocodici, ma questi ultimi generalmente coniano nuove parole
con dei meccanismi di formazione loro propri.
Quale testo usa un sottocodice? Quale invece una lingua speciale? In che cosa differiscono linguisticamente?
1. Il neutrino è una particella elementare elettricamente neutra, con spin 1/2 (in unità ℏ) e massa nulla o
comunque al disotto delle capacità attuali di misurazione, appartenente alla famiglia dei leptoni. Esistono
tre tipi di neutrini, indicati con i simboli νe, νμ, ντ, e tre tipi di corrispondenti antiparticelle (antineutrini), ν̄e,
ν̄μ, ν̄τ, che si diversificano dai neutrini per avere numero leptonico opposto. I neutrini interagiscono con la
materia solo mediante le interazioni deboli e quindi possono attraversare indisturbati enormi spessori di
qualsiasi materiale (il che rende molto problematica la loro rivelazione).
2. A fianco della tendenza strutturata di capispalla doppiopetto, le influenze militari di stagione si declinano in
modelli fluidi in nuance sabbiose. Come la mantella beige della sfilata autunno inverno 2020/2021 di
Balmain che, elegante e casual allo stesso tempo, aggiunge il tocco “drama” al look, mantenendo alto il
tasso
glamour. La tonalità must.have? Quella neutra e polverosa del kaki rifinita dai profili a contrasto, da mixare a
elementi in pelle nera come gli stivali cuissardes e la handbag ladylike. I tasconi applicati sahariani e le
minuterie dorate a effetto staffa bilanciano lo charme della camicia bianca in seta luminosa e cangiante.
1 TESTO 2 TESTO

Sottocodice Lingua speciale


LESSICO

Presenza di un linguaggio parallelo espresso Poca monosemia, i tecnicismi molto vaghi (glamour, nuance,
attraverso simboli, grafemi particolari + “drama”) sono vocaboli di uso comune che possono essere
tecnicismi (neutrino, leptoni, antineutrini..) + caricati di vari significati + forte disponibilità ad accogliere parole
forte monosemia. della moda (italiana + inglese + francese). Gli unici elementi
monosemici (capospalla doppiopetto) sono legati più alla
professione sartoriale che al mondo della moda.
SINTASSI

Carattere espositivo, ma impersonale (non c’è Carattere espositivo, ma con volontà di rivolgersi direttamente al
alcuna volontà di rivolgersi al lettore). Sintassi lettore (presenza di una domanda che lo chiama in causa).
non troppo complessa a parte per il nesso Maggioranza di coordinate e sintassi nominale.
relativo “Il che” tipico dei registri formali.
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ITALIANO BUROCRATICO E AZIENDALESE


Caratteristiche principali dell’italiano burocratico
Per italiano burocratico si intende quella varietà usata dagli uffici amministrativi italiani, sin dalla nascita degli stati
italiani, poi con l’unità d’Italia, ma più in particolare a partire dagli anni ’60.
La lingua della burocrazia, in qualche modo, unisce il carattere dei sottocodici a quello dei registri formali. Insieme di
sottocodici (sottocodice giuridico, economico-finanziario…). Elevata conservità, possibile presenza di connettivi colti.
🞅 Lessico: tecnicismi di varia natura come minutazione per ‘fare la minuta’ oppure tassativo discrezionale ; suffissati
in -Ale.
🞅 Connettivi culti: codesto testè ove; c’è una spiccata tendenza anche alla nominalizzazione e cioè il luogo di
scrivere per esempio l'utente potrà accendere un conto in valuta estera nell'italiano burocratico troveremo
una frase come per l'accensione di un conto in valuta estera l'utente dovrà operare ecc. Porre il soggetto
agente in seconda posizione, l’informazione principale viene riportata in fondo.
🞅 frasi fatte e sintagmi preconfezionati come per esempio in deroga a, in merito a , ai sensi di.
🞅 predilezione per gli eufemismi: in luogo di spazzino o netturbino troveremo operatore ecologico; il bidello è
denominato operatore scolastico ; il cieco è denominato non vedente ecc. Gli eufemismi sono connessi ai
tabù di una società.
🞅 Sintassi e testualità: sintassi impersonale con l'effetto di depersonalizzazione; uso del participio presente (le
istituzioni operanti in un settore, un attestato comprovante l’iscrizione); frasi al gerundio in luogo di frasi
esplicite dipendenti e poste in elenco prima della frase principale; il tempo futuro semplice con valore
deontico (ciascun ente dovrà redigere il proprio documento)

LINGUISTICAITALIANA- lezione 14

*Gli eufemismi tendono ad essere inclusivi.


Con italiano burocratico si intende la lingua propria degli uffici statali amministrativi, ex-custodi del centro del
potere. La lingua che irradiavano, dunque, corrispondeva a quella del potere. L’italiano burocratico ha avuto molto
prestigio in passato, oggi meno.
L’antilingua (Calvino, 1965)
Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande
un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di
troppo: “Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino
dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di
sopra era stata scassinata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il
sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire
l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un
quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del
combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante
il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante». Su questo
carattere di “antilingua” ha ragionato molto Italo Calvino. Egli si era reso conto che l’italiano burocratico, anche se si
rivolge maggiormente ai cittadini, si sforza di risultare il più incomprensibili possibile.
Nella riscrittura del brigadiere si vede come, l’italiano burocratico, tenda ad una verbosità eccessiva e non necessaria,
piuttosto ridondante. L’effetto è quello di confusione e necessaria decodificazione del brano. Inoltre, è evidente che
i lunghi giri di parole usati dal brigadiere non aggiungono nulla alla narrazione fatta dall’interrogato, già chiara e
piuttosto coincisa.
L’esempio di Calvino, però, è fittizio, una mimesi anche se piuttosto realistica.
Un esempio di italiano burocratico tratto da una circolare scolastica
In considerazione della possibilità che si verifichi eccedenza di domande rispetto ai posti disponibili e che,
conseguentemente, si renda necessario indirizzare verso altri istituti le domande non accolte (anche in base
ai criteri di precedenza deliberati dal consiglio di istituto), in sede di presentazione delle istanze di iscrizione
on line, è possibile indicare, in subordine all’istituto scolastico che costituisce la prima scelta, fino a un
massimo di altri due istituti di proprio gradimento. Il sistema di iscrizioni on line comunica di aver inoltrato
la domanda di iscrizione verso l’istituto scolastico indicato in subordine. Si fa presente che l’accoglimento
della domanda di iscrizione da parte di una delle istituzioni scolastiche indicate nel modulo on line rende
inefficaci le altre opzioni. Al fine di garantire l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, i genitori che intendono
avvalersi dell’istruzione parentale presentano specifica dichiarazione direttamente alla scuola primaria
statale viciniore, dimostrando di possedere le competenze tecniche e i mezzi materiali per provvedere, in
proprio o mediante frequenza di una istituzione non statale non paritaria, all’istruzione dell’alunno.
Si tratta dell’incipit di una circolare che leggono, ogni anno i genitori di potenziali iscritti agli asili.
Descrizione: profondamente disorientante, termini come viciniore, in subordine, istanze, al fine di sono parole del
tutto assenti nel linguaggio comune che sottolineano la volontà di rendersi indecifrabile. In considerazione della
possibilità che nominalizzazione; si verifichi, si fa presente impersonalità. È possibile indicare fino a un massimo
di altri due istituti informazione principale che, però, è messa soltanto alla fine.
Ci son stati, negli anni, diversi tentativi di semplificazione dell’italiano burocratico, tutti vani. Alcuni studi hanno
dimostrato che la volontà di scrivere in questo modo sia dettata da un “corto circuito” l’impiegato dell’ufficio
pubblico dovrebbe scrivere pensando al suo interlocutore come un cittadino comune, invece sembrerebbe scrivere
con l’idea di rivolgersi al suo diretto superiore.

L’aziendalese
L’italiano burocratico, però, non è più contemplato dallo schema di Antonelli. Questo perché, ultimamente, ha perso
prestigio. Oggi, il centro del potere è espresso dalle realtà aziendali. C’è l’idea, infatti, che la realtà aziendale sia quella
più produttiva mentre quella amministrativa è denominata come “nullafacente”.
La lingua praticata nel contesto aziendale ha, oggi, assunto il prestigio che prima apparteneva agli uffici pubblici.
L’aziendalese, però, non è completamente avulso dall’italiano burocratico, anzi ne riprende alcune locuzioni e
perifrasi. L’italiano aziendale poggia sul neo-standard (non sullo standard come l’italiano burocratico) accogliendo
anche molti termini inglesi. Alcuni sono prestiti di necessità, altri sono evidenti prestiti di lusso che rimandano
all’idea di efficienza e avanguardia legata al prestigio della lingua inglese.
Esempio di aziendalese
Egregio Dott. X, faccio seguito al report dell’ultimo incontro del GBS avente ad oggetto Bilancio Sociale
Aziendale 2019. Alcune
osservazioni. Mi preme focalizzare l’attenzione sul punto relativo al network di relazioni con i diversi stakeholder,
evidenziando che il gap rilevato tra gli obiettivi prefissati ed i risultati ottenuti nel 2019 denota una seria carenza
nel Management da Lei gestito. Nel rammentarLe che la nostra mission aziendale è quella di migliorare
l’engagement ed il consenso della clientela, del personale e dell’opinione pubblica, ritengo necessario ed
urgente addivenire ad una sintesi strategica d’impatto, per colmare le imperdonabili carenze rilevate
ed allinearci alle priorità prefissate in sede previsionale.
Interfacciamoci a breve, attendo un suo feedback.
L’aziendalese colloca, dunque, una struttura neo-standard con moltissimi forestierismi inglesi e prestiti dall’italiano
burocratico e si manifesta soprattutto nella comunicazione scritta infra-aziendale. Possiamo, però, trovare delle
perle aziendali anche in uno scritto amministrativo. Questo, per dire, che l’aziendalese ha contaminato anche luoghi
tipici dell’italiano burocratico.
Aziendalese, burocratese il suffiso –ese già esprime una connotazione negativa.

L’ITALIANO NEOMEDIALE
Si tratta di una varietà scritta, ma orientata verso il polo del parlato. L’italiano scritto, usato in rete, si sposta verso
l’oralità; sembra un controsenso ma è così.
Nello schema di Berruto, l’italiano neomediale non c’è ma egli aveva comunque riconosciuto una “comunicazione
mediata dal computer”. Oggi, però, tale mediazione non avviene solo attraverso il pc, ma anche attraverso il
cellulare, tablet… Si è passato, dunque, alla seguente etichetta: Comunicazione Mediata Tecnicamente.
• L’italiano digitato (o E-taliano) si manifesta come trasmesso, scritto.
• La digitazione quotidiana di messaggi, post, commenti ha creato e promosso un atteggiamento disinibito
verso la scrittura. Non abbiamo più paura di sbagliare scrivendo sulla rete. La quotidianità della digitazione
ha alzato la soglia di tollerabilità degli errori.
• I testi trasmessi tramite i vari servizi hanno due caratteristiche:
 Brevità, principio nato con delle restrizioni tecniche legate al servizio SMS. 
Frammentarietà spesso parliamo di ipotesti, testi non del tutto coesi.
• Vivacità espressiva a scapito della struttura logica del discorso; impostiamo il discorso come se fosse una
conversazione simultanea, orale, quando non lo è.
Esempi di CMT informale o Spotted: UNIMI
Al ragazzo/a che settimana scorsa ha lasciato una cicca attaccata al banco nelle prime
file in P4:
spero ti venga un cagotto micidiale e che tu rimanga incastrato in ascensore. Firmato
una alla quale hai rovinato i pantaloni.

Emanuele segnala Sconosciuto con il numero […] come Pubblicità aggressiva o


Signorina idiota e scortese, vende […] (cos’altro sennò).
Che possa prendere un virus raro di origine amazzonica che causa lentamente la paralisi
della mandibola. E l’ebola.
Commento: Lapsus digiti (scivolamenti sulla tastiera, errori di digitazione). Presenza di elementi legati alla sfera del
turpiloquio. Elevata espressività che arriva alla catarsi emotiva. Perifrasi ludiche per augurare il male hate speech.
Principali caratteristiche linguistiche o Fatti grafici e ortografici (lapsus digiti (errore di digitazione), spesso
indotto da ragioni tecniche (come la dimensione e la struttura delle tastiere o l’intervento di automatismi) e
dalle circostanze di scrittura improntate alla fretta e alla scarsa attenzione; errori di scrizione dovuti allo
scarso dominio delle norme ortografiche (sò, fà, in cinta, e’ in luogo di è; ingegniere, amicizzia ecc.) e
interpuntive ; tachigrafie
(cmq‛comunque’, nn ‛non’, xké‛ perché’) e abbreviazioni (alcune valide solo all’interno di comunità virtuali
specifiche: gine ‘ginecologo’, morfo ‘ecografia morfologica’); simbolismi e altri artifici grafico-alfabetici con
funzione espressiva, empatica, fatica (es. ASCII art).
o Scrizioni espressive (il k politico (kiarissimo rettore); gergalismi grafici (nah per no); scrizioni deformate a
scopo ludico (chatty, phirla) o di resa della prosodia (noooo); le scrizioni CamelCase, che intervallano lettere
maiuscole in stringhe di lettere minuscole; sono sfruttate nei Wiki, per indicare parole attive (cioè
collegamenti interni), ma pure negli hashtag, in twitter o nei nickname di forum e chat). Leetspeak: 4li3na
‘aliena’ (sostituzione dei grafemi con numeri graficamente simili).
o Lessico: registro informale, spesso di significato generico (roba, affare, coso, ecc.).; verbi fraseologici (darsi
delle arie, darsi una calmata) e i verbi pronominali, come prendersela, averci, esserci, e altri, tutti funzionali
all’espressività. A questa caratteristica risponde la frequenza d’uso di alterativi, soprattutto diminutivi, con
valore affettivo o attenuativo (le va un attimino stretto); ugualmente frequenti sono i superlativi enfatici
(ne sono sicurissimo), estesi anche a sostantivi e locuzioni avverbiali o con valore aggettivale (un ragazzo
perbenissimo), o locuzioni come un sacco di, un tubo, ecc. Componente significativa di giovanilismi, che
nella CMT tracimano nelle scritture di utenti non più giovani anagraficamente, che pure assorbono le
convenzioni e i nuovi canoni di scrittura digitale. Un’ulteriore componente significativa è costituita dai
forestierismi e neologismi, come i verbi denominali o deverbali, tutti confluiti nella prima classe flessiva
italiana: chattare, cliccare, postare, twittare, wazzappare, ecc. Specifiche, infine, della CMT sono le
rideterminazioni semantiche cui sono sottoposte alcune voci di uso comune: ad esempio, ignorare
acquisisce il significato di
‘non rispondere più a qualcuno in chat’, cadere ‘perdere il collegamento’, registrarsi ‘iscriversi a un servizio’,
accedere per ‘fare il log in’.
Altri servizi della CMT e loro caratteristiche
• Specificità della posta elettronica: l’email ha come antenato “la lettera” che prevedeva una struttura
testuale molto precisa ereditata, in parte, dall’attuale posta elettronica. Anche l’email è percepita come un
mezzo sincrono, come se stessimo conversando con l’interlocutore. Nelle formule d’apertura manifestiamo
la nostra percezione dell’email come conversazione orale. È evidente, a questo punto, l’infiltrazione
dell’oralità anche in forme di scrittura che dovrebbero essere più sorvegliate. Tendenza ad usare il tu come
allocutivo generalizzato. Le forme più rilassate sono, di fatto, dovute all’influenza e al prestigio
dell’aziendalese.
• Wiki e blog: tra tutti i servizi sono quelli che manifestano la forma di italiano più sorvegliato, anche molto
vicino all’italiano standard, soprattutto per quelle pagine che trattano argomenti disciplinari. Questo perché
le pagine Wikipedia, per esempio, sono sorvegliate da più persone quindi sono soggette al controllo di più
esperti. Per quanto riguarda i blog, dipende dal tipo di blog o dal taglio (divulgativo, giornalistico oppure
personale). I blog, più di Wiki, hanno uno spettro ampio di italiano che si manifesta.

LINGUISTICA ITALIANA- lezione 15

Altri servizi della CMT e loro caratteristiche


• Specificità della posta elettronica
• Wiki e blog ➡ uso italiano più sorvegliato
• Social network ➡ uso italiano neo-standard, colloquiale e a volte ricco di turpiloqui
• Servizi di microblogging (twitter)➡ hashtag: ci obbliga a strutturare il testo in un certo modo, valore
topicalizzante (indico il tema del discorso); troviamo anche pochi segnali discorsivi; usiamo # per modulare
un discorso (creazione di iperparole che rimandano ad altri contenuti)
Twitter: si scrive prevalentemente in presente / stare + gerundio; il lessico abbonda di parole iperboliche, dalla
forma enfatica per cercare di parlare “in un tono più alto” (simile all’urlato) VARIETA DIASTRATICHE:
Diastratia: è una variazione della lingua in relazione a parametri come l’età, status sociale, condizione sociale, ecc.
raggiunge le sue manifestazioni più elevate con l’italiano burocratico. L’italiano digitato si colloca a metà, in quanto
indipendente dal sesso e dal parametro dell’istruzione ( parte inferiore planimetria Berruto-Antonelli: utenti con
scarsa istruzione e marginali nella società).
GERGHI
La finalità dei gerghi è promuovere la coesione interna del gruppo con l’obiettivo/risultato di escludere chi non
usa questo gergo, (che non li capisce). Il gergo è come una sorta di lingua segreta; anche se molte parole di origine
gergale sono successivamente entrate nell’italiano comune (come sbobba, malloppo, monello ecc.) Si possono
riconoscere due tipi di gergo: storico & transitorio
- Gergo storico= (propriamente detto) fa riferimento alla lingua propria di una cerchia di persone che si
colloca ai margini della società e viene usato solo in quel contesto. (gergo lavorativo nelle professioni)
- Gerghi transitori: un certo tipo di linguaggio che un utente adotta in relazione a determinati momenti e
circostanze che si trova a vivere. (poi si abbandona). Es. questura, droghese, giovanilese legato sia alla
variante diastratica che diafasica.
Caratteristiche comuni tra i due gerghi
• Lessico: base dialettale sottostante
Le neoformazioni gergali seguono alcuni procedimenti di formazione caratteristici e diffusi in tutti i tipi di gerghi:
• Suffissazione in -oso (neoformazione sulla base del vocabolo originale)
• Troncamento di parole comuni con varie forme di storpiatura (caramba, pula) *è possibile che alcuni vocaboli
passino da un gergo all’altro
• Uso di parole che iniziano con la nasale per esprimere negazione (nisba, nieti) oppure inizianti per sibilante
per esprimere affermazione (siena)
• Ricorso alla metafora (neve per ‘cocaina’) Gerghi e varietà giovanili:
Gli studi italiani a partire dagli anni ’60 – ’70 parlano del giovanilese collegandolo ai paninari. Grazie alla CMT
possiamo osservare ancora meglio come si evolve il gergo giovanile. Il giovanilese è la varietà meno conservativa.
Esempi di commenti tratti da Youtube, dove convergono utenti di fascia adolescenziale. Provare a commentare le
caratteristiche fenerali del gergo giovanile.
GIOVANILESE, esempio
Oddio! Io se ti ricordi ti chiedevo repentinamente l’età (sorry), ma quando hai detto che non la volevi dire ho
smesso :) mi stavi facendo piangere aAH .
comunque nell’ultima parte del video ero tipo “same same same same same same same”
4:50e 4:51paranormal activity. Abbiamo capito che Luì è un mago. la bidella che
dice ‘e spolliciaaaamo!E spolliciaaamo!’ TOP DEI TOP
NO VABBE’ UMBEEEEE TU SEI SEMPRE HOT PERÓ I CAPELLI GRIGI OMG@
IrisFerrari sto test spacca, alla seconda domanda è partita We don’t talk anymore di Charlie Puth che descrive
perfettamente questo periodo della mia life
Caratteristiche del gergo giovanile: disinvoltura del passaggio tra italiano ed inglese  code mixing. (inglese >
italiano, per carattere ludico). Neo coniazioni, neologismi (spolliciamo), presenza di voci espressive collocate in senso
colloquiale "spaccare”, abbreviazioni, uso sconsiderato di maiuscole (richiamo all’urlato per enfatizzare), riprodurre
prosodia (grafia imita quello che noi faremmo nel parlato), fare riferimenti a canzoni, film popolari tra i giovani,
anglicismi (TOP dei TOP), attribuire a parole significati diversi da quello originale. Tratti Tipici che persistono:
• Forme interdette dallo standard
• Iperboli (forma enfatizzante)
• Termini e frasi gergali [sgammare/ sgamare “vedere, scoprire”] (La prof mi ha sgammato a copiare);
[gnocco“bello”] (Che tocco di gnocco! Che bel ragazzo”).
• Usi figurati (fossile, ameba, labbra a canotto)
• Forme dialettali, che circolano attraverso mass-media, musica ed Internet, con scambio ad ampio raggio di
azione tra nord e sud.
- Meridione Settentrione (appicciare, capa, minchia, lampascione)
- Settentrione Meridione (cuccare, balengo)
• Termini mutuati dai messaggi pubblicitari o da trasmissioni televisive: zero limits, free download, music store,
lip gloss, hair care, I’m in lovin’ it
• Metafore
• Termini che provengono da sottocodici specifici, come quello della caserma: azionare, battere la stecca,
cazziare, o quello della droga: farsi una canna, farsi una pera,
• Forestierismi (bro da brother ‘fratello, amico’), tra i quali sono sempre più in rimonta gli ispanismi, anche finti
come cucador, mucho gusto, dinero.
• Giochi lessicali: suffissazioni in -oso:[merdoso, cagoso] & inversioni sillabiche, sincopi, apocopi (tele, bici, cine)
• Fraseologia specifica [essere sul pezzo “essere pronto, preparato], o formule di saluto come [bella! Per
“ciao”].
• termini o tecniche presenti nella CMT [“connettere”  essere presente - “resettare” ricominciare]
ITALIANO POPOLARE
Varietà connotata verso il basso (diastratica) e studiata a partire dagli anni ’70 del ‘900; ci sono due definizioni da
parte di De Mauro e Cartellazzo:
De Mauro (1970) si focalizza sull’aspetto comunicativo. – “è il modo di esprimersi di un incolto, che sotto la spinta a
comunicare e senza addestramento, maneggia quello che ottimisticamente si chiama lingua nazionale”
Cortelazzo si sofferma sul fatto che l’italiano popolare sia molto deviante rispetto alla norma standard- “è l’italiano
imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto”. Questa definizione avvicina questa varietà alle
interlingue lingue transitorie che ciascuno sperimenta quando intraprende un percorso di apprendimento di una
lingua “italiano come L2 appresa dagli immigranti”.
Nello schema Antonelli-Berruto il fatto che l’italiano popolare si trovi sul latto basso destro = significa che è basato
sull’oralità. In realtà gli studi si sono concentrati sulle manifestazioni scritte: le scritture esposte sui muri, lettere
personali, diari, autobiografie. Anche nello scritto si possono trovare tratti tipici del parlato.
ITALIANO POPOLARE, esempio
abbiamo sentito che a Shepparton i nostri paisani piandavano i pomodori per la salsa, se le prendeva la fattoria,
e
andavano un pò meglio, e cosi mio padro e decise di scasare, e anche noi abbiamo piantate pomodori per tanti anni,
a Shepparton era più impopolate di Italiani qualche parola si comingiava a capire per inglese, qualche negozio di
generi elimentare a tipo nostro, come pasta, salami, vino, ecc ecc. e la vita si comingiava a passare meglio
Caratteristiche:
• trascrizione del parlato (sintassi sconnessa)
• parole scritte come pronunciate, con la trascrizione della fonetica regionale [piandavano piantavano =
assimilazione progressiva del tratto della sonorità che dalla nasale passa alla dentale -d sonora > -t sorda.
• Uso improprio delle preposizioni e degli ausiliari
• Presenza di vocaboli regionali connotati diatopicamente [“scasare”]-
• Operazione di semplificazione e di analogia associare il genere maschile alla vocale “o” [“padro”]. Siccome
nel suo dialetto le vocali atone finali possono essere centralizzate (vanno a perdersi nella trascrizione scritta
ci metto la “o”).
• sintassi non organizzata & c’è un fenomeno di sintassi marcata dal parlato egocentrico: - “ e la vita si
comingiava a passare meglio”  si cominciava a passare meglio la vita  topicalizzazione.

Italiano popolare o dei semicolti? ➡ oggi vogliono indicare la stessa cosa, ma in realtà hanno accezioni diverse.
popolare: utente dialettofono non istruito VS semicolto: utente dialettofono, che ha avuto un qualche periodo di
istruzione, ma per qualche motivo ha perso la capacità di scrivere testi complessi; quindi, è rimasto distante dalle
manifestazioni più culturali. Questo fa sì che nelle sue produzioni scritte ci siano dei tratti dell’oralità colloquiale
e per questo ha tratti in comune con l’italiano popolare.
La dialettofonia esclusiva è in forte esclusione semicolti > popolari.
ITALIANO DI SEMICOLTI (digitato), esempio
L' osservazione che ho fatto al Dottor […]( sia tramite e mail è sia telefonicamente), se si può correggere sul Regolamento del
Super Condominio alcuni Articoli della Bozza. Devo ammettere che è stato molto gentile e confidenziale a darmi delle
delucidazioni in merito.
Parte 2 - Spese e ripartito. [….].
La mia domanda che ho rivolto al Dottor XXX: «La parte Giardinaggio» Possiamo lasciare hai singoli Amministratori per evitare
costi di scavo per collegare la palazzina X e la palazzina Y con la Palazzina Z? Bisogna tenere presente i costi per scavo ed
allattamento in quanto nei lavori straordinari c'è ne sono tanti d'affrontare, siamo sicuri che tutti hanno la possibilità di poter
affrontare queste Spese? Tanti sono Pensionati, tanti sono rimasti soli/e sé qualcuno non può pagare chi paga per loro? Se
questo avviene? Anche perché c'è la potatura Alberi e cespugli, chi li ha, e chi non li ha e come taglia erba. Potrebbe nascere un
piccolo qui, quo, qua, tra Condomini. La risposta datomi telefonicamente dell'amministratore! È stata che tutti hanno il diritto di
dire la sua in assemblea e con la maggioranza si può trovare una via di intesa ed'é per questo che giorno 2 di Aprile abbiamo
questa riunione Mi è stato detto (testuale parole), tutte le riunioni Straordinarie tutti i Condomini possono intervenire e dire la
sua, la maggioranza decide. Mentre solo nelle Assemblee Ordinario possono essere presenti i rappresentanti delle tre palazzine
per verificare i conti di bilancio fine Anno e quant'altro. Di cui mi ha confermato che tutti i Condomini possono telefonare da
Lunedì al Venerdì dalle ore 09:00 alle 18:30 loro sono sempre a disposizione dei Condomini per qualsiasi cosa ha bisogno. Questo
è quanto ho potuto Confermarvi. Per accertamenti potete telefonare per avere tutte le risposte personali gli indirizzi li avete tutti.
Ciao.
Caratteristiche:
• Anacoluto all’inizio del testo (“l’osservazione che ho fatto al Dottor “) [tratto dell’oralità- chi scrive inizia con
una topicalizzazione, inizia la frase ma non la continua. Difficoltà di continuare un testo]
• Sforzarsi di scrivere in un registro più elevato utilizzando sintagmi fissi burocratici, perché percepiti come
formali: [“la risposta datomi” – “soli/e” (non sviluppato nel testo) – “in quanto” - “giorno 2 di Aprile” – “e di
cui”.
• Errori ortografici.
• Formule fisse poco maneggiate che vengono storpiate [“testuale parole”] – [“potrebbe nascere un piccolo
qui, quo, qua”< quiproquò ] - lo stilema [“ Di cui”] non ha senso nella sintassi del testo.
• Uso di plastismi [“Quant’altro”]
• Mancata pianificazione del testo e quindi di una sintassi traballante che produce un testo poco coerente
[“Anche perché c’è la potatura…taglia erba”]
• [“la risposta datami…in assemblea”] & [“e tutti i condomini … la maggioranza decide”] a causa di una lacuna
nelle conoscenze morfosintattiche si produce un esito comico.
• L’uso di [“ciao”] come chiusura è tipico del parlato. Elemento che stona in un testo che voleva raggiungere
un registro formale.
Nel testo si percepisce una forte volontà di avvicinarsi ad un italiano standard, ma non avendo gli strumenti adatti,
l’esito è quello di creare un registro totalmente inappropriato al contesto (miscuglio di generi).
LINGUISTICAITALIANA- lezione 16

FATTORI E FENOMENI CHE CARATTERIZZANO L’ITALIANO POPOLARE:


▪ L’interferenza col dialetto: Itaglia (incertezza nella trascrizione dei fonemi consonantici realizzati con
digrammi o trigrammi, mancata focalizzazione sull’ortografia italiana), subbito (geminazione
meridionale di -b intervocalica) o pasegeri (realizzazione scempia delle affricate palatali geminate
intervocaliche al nord). Nella morfosintassi spicca la costruzione del periodo ipotetico dell’irrealtà col
doppio condizionale o col doppio congiuntivo (se lo avrei saputo, lo avrei fatto o se lo sapessi, lo
facessi).
▪ La semplificazione dei paradigmi linguistici: (articoli, nomi, verbi)
- per la fonetica e l’ortografia: la riduzione di nessi consonantici difficili (tra i quali quelli con nasale),
tramite assimilazione (tennica), epentesi (pisicologia)0o cancellazione (dimeticato). 0 I nessi consonantici
con “ps” vengono pronunciati con il fenomeno di epentesi [inserimento di una vocale all’interno del
nesso consonantico per semplificarne la pronuncia] ; fenomeno di aferesi di sillabe[cancellazione di
suoni iniziali per una pronuncia trascurata, quindi c’è una concomitante rianalisi della parola]:
[dirizzo indirizzo].
La semplificazione agisce anche in morfologia
- Nella morfologia, si generalizzano le desinenze nominali su quelle prototipiche (il caporalo, la moglia).
Tipica dell’italiano popolare è la riduzione di tutte le forme del pronome relativo (in cui, il quale, di
quale) al che indistinto (un posto che c’ero stato da bambino). Anche l’avverbio dove è sovra-esteso alle
funzioni locative diventa un connettivo argomentale [la lettera dove gli ho scritto che venivo], per le
quali lo standard prevede altri elementi. Viceversa, proprio per la pressione di voler usare un registro
formale possiamo trovare la forma relativa “la quale” impiegata senza preposizioni e in luogo di che
congiunzione.
▪ L’analogia con strutture e vocaboli noti e più frequenti per il parlante:
- si manifesta morfologicamente con le regolarizzazioni del paradigma, sulle forme più semplici. Il
paradigma dell’articolo determinativo [“il sciopero  lo sciopero” i zii], oppure dei congiuntivi
rimodellati su forme frequenti per il parlante popolare [il tipo facci, venghi], dei passati remoti [dissimo,
fecimo, misimo], dei participi [faciuto].
- sul piano lessicale, malapropismi o “false etimologie”. Di fronte a forme più rare perché appartengono a
sottocodici scientifici, vengono rimodellate su forme più familiari ricreando delle false etimologie.
(comprativa per cooperativa, febbrite per flebite, vita sedimentaria per vita sedentaria)
▪ Gli ipercorrettismi e i malapropismi:
- per l’ortografia, il tipo cuello o luogho (indotta dalla mancata corrispondenza tra grafemi e fonemi), le
discrezioni1 o le concrezioni2 insolite dell’articolo, delle preposizioni o dei clitici [lamico, in cinta
*percepito come un sintagma preceduto da preposizione] le sovraestensioni del grafema h.
La fenomenologia è tutta riconducibile alla scarsa dimestichezza con la scrittura e, forse, ha anche una
carente esposizione ai testi scritti formali che, almeno, potrebbe garantire un assorbimento passivo della
norma affidato alla memorizzazione dell’immagine (orto)grafica.
*Ipercorrettismo quando il parlante di italiano popolare consapevole di non riuscire a padroneggiare la lingua
italiana soprattutto nelle sue manifestazioni scritte e colte, si sforza di prevedere gli errori in cui incorrerà ma a volte
fa troppo.
Discrezione1 = separazione dell’articolo rispetto al nome che lo segue / concrezione2= attaccare l’articolo al nome che
lo segue.

ALTRI TRATTI DELL’ITALIANO POPOLARE:


• In morfosintassi sono frequenti le sovraestensioni delle reggenze preposizionali [non era solo una lingua
capibile a tutti > da tutti], imputabili anche all’analogia e all’interferenza col sostrato regionale.
• Proprio dell’italiano popolare è l’uso del pronome clitico “ci” in luogo dei dativi “gli / le” (ci ho detto> le ho
detto). Il lessico, per la semplificazione, dato che agisce sempre la semplificazione c’è una certa preferenza
per le costruzioni analitiche in luogo dei sostantivi sintetici, come accade spesso nel parlato informale.
[versare un assegno < fare un versamento (si usa la perifrasi) ].
• Abbondano i genericismi (le carte > documenti), talvolta marcati regionalmente ( imparare > insegnare nel
meridione - chiamare > chiedere in Piemonte).

L’ITALIANO POPOLARE È ESTINTO?


Questa domanda è più che lecita data la regressione del tasso di analfabetismo e la presenza di persone
esclusivamente dialettofone in fasce molto anziane della popolazione; in realtà però non è così, anzi molti studi
rilevano una nuova categoria i semicolti:
• i semicolti: sono la categoria del XXI secolo, perlopiù italofoni, giovani, in possesso di un titolo di studio medio-
alto (diploma di scuola superiore o laurea), spesso con scarsa coscienza delle proprie lacune, a differenza
degli incolti del passato, consapevoli dei propri limiti. Il loro italiano popolare non si manifesta soltanto nelle
scritture private o quelle principalmente digitate, bensì anche in scritture formali (la corrispondenza
elettronica professionale), anche a carattere ufficiale (tesi di laurea, comunicazioni burocratico-aziendali).
• Le ragioni di questo collasso della norma che si vede nella scrittura dei semicolti sia legato alla
desacralizzazione della scrittura, accelerata dalla «graforrea» digitale (bisogno di scrivere tutti i giorni
qualcosa, anche senza senso), che ha favorito l’abbassamento dei meccanismi di controllo e l’innalzamento
della soglia di tolleranza all’emergere dei tratti sub-standard.
• Questo fenomeno non riguarda solo il XXI secolo, ma si verifica sempre nella storia (socio)linguistica ogni
volta che il numero di utenti che scrive si amplia rispetto al passato (cfr. alfabetizzazione di massa in epoca
postunitaria, da quando il sistema scolastico elementare ha iniziato ad estendersi a tutti i neonati).
Nell’italiano popolare i forestierismi appaiono molto raramente, le uniche possibilità sono: forestierismi pronunciati
da immigrati con una diversa lingua madre. O si possono manifestare nei semicolti che ne conoscono alcuni solo
grazie agli studi fatti.

VARIETÀ DIAMESICHE:
variazione del mezzo. I due poli sono il parlato fonico (colloquiale che si realizza nelle conversazioni) e lo scritto-
scritto (nei testi tradizionali, come manuali).
Perché “fonico”? Esistono diverse manifestazioni del parlato; esiste il parlato fonico recitato (teatro, film) che simula
il parlato spontaneo ma dentro di sé contiene dei tratti dello scritto fonico.
Tratti del parlato fonico
• scarsa accuratezza della produzione di un enunciato, che porta a fenomeni di allegro (forme tronche: dir, son,
far; forme aferetiche: sto > ‘questo’, notte > ‘buona notte’; forme abbreviate: cine, bici, moto); (giovanilese
= parlato fonico o trasmesso digitato)
• scarsa pianificazione del discorso, con conseguente frammentazione dello stesso, insieme a riprogettazioni,
ripetizioni ecc.;
• stretto legame con il contesto di enunciazione, che si esprime attraverso deittici3 e segnali discorsivi fatici,
che servono a stabilire il contatto con l’ascoltatore (senti, guarda, capisco);
Deittici3 = parole che puntano al contesto spaziale e temporale. (qui, li, oggi, domani)
• sul piano lessicale, uso di genericismi (coso, roba,tipo), dovuti alla scarsa pianificazione.
Dall’altra parte dell’asse c’è lo scritto-scritto o scritto grafico:
• caratterizzato da una maggiore pianificazione del testo rispetto al parlato fonico. La pianificazione è vincolata
alle specificità richieste da ciascuna tipologia testuale (ad esempio, un’accurata paragrafazione nei saggi; una
struttura a elenco nei testi burocratici, ecc.);
• ricchezza di connettivi che collegano le diverse porzioni testuali, e assicurano la coesione del testo, spesso i
testi conversazionali del parlato fonico sono poco coesi.
• elevata coerenza del testo;
• maggiore varietà del lessico rispetto al parlato fonico. Il lessico dello scritto grafico possiede, di solito, una
maggiore densità lessicale. Chi scrive medita, scegliendo le parole più appropriate. (facile trovare tecnicismi
o parole monosemiche)
Il trasmesso: racchiude quelle varietà che presentano dei tratti sia appartenenti allo scritto grafico prototipico che al
parlato fonico sono delle varietà ibride come l’italiano digitato, televisivo o radiofonico.
DIAPOSITIVA 4
• Il Quadro O è stato strutturato onde consentire, per i versamenti eseguiti rispettivamente dal dichiarante e/o
del coniuge, l’indicazione di eventuali versamenti integrativi dell’acconto e/o del saldo già versato in misura
inferiore a quella dovuta, nonché il calcolo per il versamento a saldo dell’addizionale straordinario ILOR.
Varietà: italiano burocratico -- polo scritto-scritto.
Tratti tipici del burocratese:
• Uso di connettivi culti/aulici: [“onde” - “nonché”]
• Uso del participio presente in funzione nominale [“dichiarante”]
• [“coniuge”] vocabolo appartenente ad un registro formale, ma che non stona in un testo burocratese.
• [“e/o”] una delle possibilità che il neo-standard ha ereditato modellandosi sull’inglese e che è ritenuto
funzionale nei discorsi burocratici.
• Uso dell’ipotassi  tendenza a strutturare periodi lunghi su varie subordinate.
• Suffissati in [“-ale”  addizionale]
• Presenza di sottocodici economici finanziari entrati nell’italiano burocratico [addizionale -saldo-
finanziamento].
• Presenza di un acronimo [ILOR] (anche nell’italiano tecnico- scientifico)
• Presenza dell’accumulazione di specificazioni nominali [ il calcolo, per il versamento, a saldo, dell’addizionale]
• Spersonalizzazione del testo grazie a costruzioni passive o al “si” impersonale [“Il quadro è stato strutturato]
DIAPOSITIVA 5
Mentre che guardava le facce [...] dei due pulotti americani (uno biondo l’altro bruno, centomila volte meglio il
bruno) ha continuato a tirare giù sorsate discrete di grappa. A un certo punto si è sentita da dio. Ha cambiato un
paio di volte il programma, si è messa a guardare una storia di canzoni e di dediche a richiesta su Tele Monte
Carlo e si è sentita bene. Niente magone, [...] le cose che la facevano amareggiare non se le ricordava più. Ora
sapeva cosa bisognava fare nella vita se hai un po’ di merde che ti ronzano per la testa. Quando è arrivato il
padre le ha dato un’occhiata e ha detto: E che brava! Chi fa per sé fa per tre! Lei ha continuato a strafocarsi e non
ha risposto nient’altro che un Mh. Lui ha detto: E non c’è mai un cazzo di pronto, non fai mai niente, potevi
cominciare a fare qualcosa che sono le otto.
Varietà: parlato colloquiale informale – polo parlato fonico, tratti tipici
dell’italiano colloquiale informale (lo fanno scadere nel trascurato):
• [“mentre che”] connettivo anormativo, non grammaticale.
• Presenza del turpiloquio (scende in diastratia) & gergo giovanilese [“sentirsi da Dio” – “strafogarsi” – “culotti”
– “centomila volte meglio” uso iperbolico.
• Presenza di un’interiezione [“Mh”]
• [“tirare giù sorsate”]  costruzione analitica (sostituzione di una parola unica precisa con perifrasi)
• Uso di frasi nominali [“niente magone”].
• Semplificazione dei paradigmi verbali: uso dell’imperfetto > condizionale [“potevi fare qualcosa che sono le
8”].
• Uso del che polivalente [“che sono le 8”].
• Dislocazione a sinistra [ “le cose che la facevano amareggiare non se le ricordava più”] – uso del [“le”]
anaforico – [“cosa”] genericismo.
• Uso di espressioni idiomatiche [“chi fa per sé, fa per tre”].
• Semplificazione del pronome interrogativo “che cosa?” [“ora sapeva cosa fare”].
DIAPOSITIVA 6
Quale sarà il mio foturo in poche parole e sempre presente il rientro in Patria visto anche liniziativa contro gli stranieri
ci anno dato linsicuressa e ci anno fatto sentire di essere ancora di piu Italianissimi, io non vedo certamente come tanti
nostri emigranti una seconda Patria, di Patria per me e i miei figli ce ne una Sola. Varietà: italiano popolare tradizionale
prototipico Tratti caratteristici del popolare:
• concrezioni dell’articolo (liniziativa, linsicuressa).
• Interferenza dialettale [“insicuressa”] (settentrione, assibilazione della fricata alveolare).
• Mancato uso dell’ortografia corretta [“h”] come diacritico, [“e”] senza accento, [ce ne] senza giusta
discrezione del verbo essere.
• Uso ideologico delle maiuscole. (legato al senso di appartenenza alla nazione). [“Italianissimi”]
• Uso di un futuro improprio.
• La sintassi: anacoluto (nessun collegamento morfosintattico tra l’inizio del testo e quello che segue)  scarsa
pianificazione del discorso, dovuta ad una scarsa padronanza della lingua scritta. Questo porta anche ad una
mancata interpunzione.
Professore, buonasera.
Sono costernato per il ritardo della consegna del secondo capitolo ma sono stato bloccato alcuni giorni per colpa di
un’ernia lombale. Ho iniziato il terzo capitolo e conto di inviarvelo entro fine settimana, sempre con il vostro bene
placido. Vi ringrazio della disponibilità
Cordiali saluti. Varietà: italiano di semicolti del XXI secolo Tratti caratteristici
dell’italiano semicolto:
• Presenza di malapropismi [“ernia lombale” < ernia lombare] – [“bene placido” < beneplacito].
• Arcaismo & pressione dell’italiano regionale sottostante: uso del voi > lei.
• Pur essendo una comunicazione scritta formale ritroviamo tratti tipici del parlato fonico [“buonasera”].
[“conto di inviarvelo”] tratto colloquiale.
• [“Professore, buonasera”]  attacco con vocativo, dovuto al forte peso dell’oralità.
LE VARIETÀ DI APPRENDIMENTO
Nello schema Berruto-Antonelli  non sono comprese le varietà italiane estremamente semplificate:
(interlingue o varietà di apprendimento, teacher talk, foreign talk)
• Interlingua = “sistema linguistico a sé stante […] che risulta dal tentativo di produzione da parte
dell’apprendente di una norma della lingua obiettivo”. -Selinker, 1972.
• L’interlingua ha sempre un carattere sistematico e transitorio.
- Transitorio: perché il processo di semplificazione di una lingua è sempre momentaneo, ci si aspetta che
dopo una fase di semplificazione si passi avanti.
- Sistematico: per ogni grado di interlingua riusciamo a trovare per tutti i parlanti che apprendono quella
stessa lingua gli stessi errori, automatismi, regolarità. Questo avviene perché nell’acquisizione di una
lingua ci sono sempre dei punti in comune; ci sono delle variabili, ma possiamo trovare degli universali.
- Le varietà di apprendimento costituiscono un continuum, i due poli del continuum sono: la fase del
silenzio & la lingua obiettivo”
Differenza tra acquisizione ed apprendimento:
• Acquisizione= quando assorbiamo la lingua in modo inconsapevole, perché calati nel contesto in cui la lingua
che stiamo imparando è la lingua madre di quella comunità. Oppure acquisiamo quando siamo esposti a film
o canzoni nella lingua che stiamo imparando.
• Apprendimento= avviene in un contesto sorvegliato (scuola). Anche noi ci auto sorvegliamo quando
apprendiamo in contesto scolastico una lingua attiviamo il cosiddetto “monitor”: meccanismo cerebrale
che sorveglia il corretto apprendimento della lingua.
Es. Gli immigrati acquisiscono la lingua, ma se iniziassero a frequentare dei corsi di lingua passerebbero alla seconda
fase ovvero all’apprendimento. L’ideale sarebbe riuscire a servirsi di entrambi i canali, perché l’acquisizione da sola
non basta.

LINGUISTICA- lezione 17

Le varietà di apprendimento
-La varietà di apprendimento o interlingua è definita come un «sistema linguistico a sé stante [...] che risulta dal
tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una normadella lingua obiettivo» (Selinker, 1972). -Le varietà di
apprendimento hanno un carattere sistematico e transitorio, cioè non ci aspetteremmo di arrivare ad avere una
competenza linguistica sempre più perfezionata e vicina alla competenza dei nativi. Anche se, quando guardiamo al
quadro europeo e al grado più alto di competenza (C2), noi non diciamo che questo corrisponde alla competenza di
un nativo; solo che il C2 rappresenta il più alto livello di competenza linguistica e chi lo possiede ha gli strumenti per
potersi approssimare alla competenza di un nativo. Ma, almeno che non si è bilingui dalla nascita, l’approssimazione
alla competenza di un nativo ha sempre uno scarto. Carattere sistematico, cioè noi possiamo osservare delle
caratteristiche che sono sempre le stesse a prescindere dalla lingua madre dell’apprendente. -Le varietà di
apprendimento costituiscono un continuum (da spezzettare in intervalli che siano in qualche modo misurabili);
innanzitutto, possiamo distinguere due poli la ‘fase del silenzio’ (momento in cui si preferisce assimilare quello che
viene detto in lingua e ritardare la fase di produzione scritta e orale) e la ‘lingua obiettivo’ (la lingua “target” così
come la parlerebbe un nativo al massimo della competenza).
- La fase del silenzio è importante perché noi apprendenti non siamo apatici, anzi assorbiamo, analizziamo l’input
che ascoltiamo (prevalentemente l’input orale). Da qui, la delicatezza di tale fase che va rispettata specialmente dai
professori. L’apprendente non è pronto (non ha acquisito abbastanza strutture) dunque va rispettato e capito, non
obbligato. Se l’insegante pressa il ragazzo a volerlo far parlare nella lingua in apprendimento, rischia di fare un
danno sia perché l’apprendente non ha acquisito sufficienti strutture per potersi esprimere, seppur balbettando,
sia perché agisce una componente emotiva che è quella del cosiddetto “filtro affettivo” che viene alzato
dall’apprendete se lo si obbliga a parlare o scrivere prima del termine della fase del silenzio. All’arrivo di un non-
madrelingua in classe si preferisce usare delle tecniche che non implichino, da parte del ragazzo, una produzione
orale o scritta ma che assicurino all’insegnante una reale comprensione da parte dell’alunno.

Il continuum delle varietà di apprendimento è suddiviso convenzionalmente in 3 livelli:


• Varietà prebasica (A0),
• Varietà basica (A1, A2),
• Varietà post basica (B1, B2, C1, C2).

Esempi DI VARIETÀ PRE BASICA


Un intervistatore italiano fa delle domande a dei non-madrelingua.
a. \I\ ?che cosa fai?? fai una festa?
\EN\ sì, festa, anche +++ uhm mh vado tutte famiglie in uhm, non lo so come sichiama [«Sì, (faccio una)
festa, vado anche con tutta la mia famiglia in, non lo so come si chiama»] b. \I\ tra due anni torni in India
\SU\ sì, poi torna italiano/Itali/Italia [«Sì, poi tornerò in Italia»]
c. \IT\ [...] e: sei venuto con l’aeroplano o con la nave?
\HG\con eh(*plan*)*flight*
\IT\ mh mh anche tu sei andato prima in Sudan e poi: -al Cairo?
\HG\ Cairo = Cai/sì no \IT\= sì:
\HG\ Etiopia - Addis Abèba
\IT\ah sei_andato dall’Asinara ad Addis Abèba
\HG\Asmara Addis Abèba
\IT\ mhmh
\HG\ Addis Abèba = -Sudan -Kartum

Cosa accomuna questi estratti? Cosa ci colpisce?


Manca la struttura della frase minima, non c’è né morfologia né morfosintassi
C’è un’evidente interferenza con le lingue di cui si ha maggiore competenza (es. inglese), tali lingue assumono la
funzione di “lingua ponte” tra i due interlocutori.
Forte presenza di elementi deittici, ancoraggio a tutto ciò che ci circonda e quindi all’uso di elementi paraverbali.
Non ci sono molti verbi; gli enunciati sono costituiti prevalentemente da nomi che si presentano nella forma più
frequente nell’input e anche prototipica. Nel primo estratto c’è una frase complessa “Non lo so come si chiama”
dovuta all’assorbimento senza analisi; succede con le formule molto frequenti nell’input orale come quelle
quotidiane “Buongiorno; grazie; non lo so; mi chiamo” l’apprendente le assorbe e riesce ad utilizzarle quando
avverte uno stesso contesto d’uso ma non è in grado di analizzarle al loro interno. L’apprendente non saprebbe
usare “lo” al di fuori di questo sintagma orale fisso, ciò è chiamato “isola di affidabilità”. Il parlante le ascolta
talmente tante volte da parte dei nativi che riesce automaticamente ad utilizzarle.
I parlanti delle varietà prebasiche, per comunicare, si appoggiano moltissimo al proprio interlocutore; quest’ultimo
ha il ruolo di decodificare tutto il messaggio, manifestando così quello che si chiama principio di cooperazione
linguistica al massimo grado perché è lui a ricostruire il senso del messaggio del parlante della varietà prebasica.
Come costruiscono i loro enunciati i parlanti di varietà prebasica?
Uso di sostantivi, quindi nomi
Mettono in prima posizione il rema (ossia l’informazione nuova) e poi eventualmente ripetono il tema (esempio:
quarta battuta di HG). In generale, nella varietà prebasica, domina il principio pragmatico di organizzazione del
discorso metto prima ciò che mi interessa riferire all’interlocutore (ovvero l’informazione nuova). In italiano,
invece, c’è prima il tema e poi il rema.

Esempi DI VARIETÀ BASICA


d. Cinese eh f: ato eh media [in Cina (setting) (io = tema) ho fatto le scuole medie (rema)]
e. \PE\ di mattina io lavoro + !di mattina io lavoro! + ah di labor/ laboratorio *twelveo’clock + how do you say
lunch? + twelve o’clock + how do you say that? in Italian* ah pranzo?
\IT\ sì
\PE\ sì? pranzo- di ah *canteen* no *wrong wrong* *canteen*?
\IT\ mensa
\PE\ mensa
\IT\ mangi in mensa
\PE\ mangiare di mensa pranzo ah +++ *five o’clock + how do you say?*
\IT\ [CNV:SEGNA 5 CON LA MANO]
\PE\ cinque cinque^ ah +++ and(i!andiamo:!+ andiamo *is let’s go, perhaps it waswrong* (xxx) cinque +
andiamo + autobus ah +

Nel primo esempio notiamo la disposizione setting+tema+rema. Nel secondo esempio ritorna una presenza
massiccia dell’inglese perché l’informante ha un lessico molto ridotto, non ha tutte la parole e le strutture per poter
parlare con l’informante, ma a differenza della varietà prebasica, qui ci sono delle frasi minime in cui è il verbo ad
essere il focus degli enunciati e c’è un primo tentativo di elaborazione morfologica e morfosintattica. Quindi, al
livello della varietà basica emerge la morfologia che, però, non è ben gestita, possono esserci molti errori.
L’apprendente fa ancora molto affidamento ad un’altra lingua (in questo caso, l’inglese) e si aiuta con segni
paraverbali, la gestualità (es. segna 5 con la mano). Nell’ultimo esempio, si vede bene come emerge il verbo, quindi
c’è una struttura frasale minima.

Esempi DI VARIETÀ POST BASICA

Nel primo caso la lingua madre è l’albanese, nel secondo è il tedesco.

f. \MH\ dunque + io c’ho un po di + tempo ++ a giorni che vado a l’uficio che/ che ha mio padre + import
export, di comercio + ehm + vado lì a lavorare con mio padre + aiutare, imbare qualcosa + eh + anche ieri
come tutti i giorni sono andato + è stata una giornata piena di lavora + perchè, sicome adeso abiamo
richiesta perl’Albania, per le cose + e sicome vogliono anche loro a/ a/ in questo momento che stanno
transversando + dificile u/ un momento dificile + diciamo è +sicome mancano cose [...]
g. [la ragazza] arriva a casa dà due banane anche alle sorelline piccolissime e ed arriva a anche il padre – e
cerca di fargli una sorpresa perché il padre è molto triste anzi distrutto disperato perché non ha lavoro e
non/non ha neanche da mangiare –suppongo – e gli dà trionfando queste banane che ha rubato.

Nelle varietà post-basiche, il principio pragmatico dell’organizzazione della frase non c’è più perché domina il
principio sintattico. A questo livello l’apprendente, non solo è consapevole dell’esistenza di una morfologia
complessa ma è anche in grado di gestirla. Questo non vuol dire che non commetterà errori però che li commetterà
con una certa sistematicità, per esempio (come anche in relazione all’italiano popolare) il caso del participio passato
responduto, al posto delle forme irregolari. Negli errori del parlante di varietà post-basiche, noi riconosciamo che lui
ha capito una regola di formazione delle parole in italiano e sta tentando di usarla magari sovraintendendola in
modo scorretto. Le interferenze con le lingue madri sono comunque presenti, soprattutto in fonetica qui si vede
la difficoltà di gestire le doppie (le geminate) poiché sono meno frequenti nelle altre lingue.
Rispetto alla varietà basica (che si attiene alla paratassi, alla giustapposizione di enunciati), qui emergono anche le
subordinate, dei connettivi sempre più complessi. Possiamo, ovviamente, arrivare da varietà post-basiche un po'
incerte (I esempio) fino a varietà quasi native (II esempio). Il secondo estratto è una vocalizzazione di un racconto
per immagini, tecnica che si usa per elicitare le produzioni libere e vedere a che livello di competenza è arrivato un
apprendente.

FOSSILIZZAZIONE E LE SUE CAUSE


Quando ad un certo punto non si progredisce, il processo di acquisizione non ci porta adun livello interlinguistico
superiore, l’apprendimento sembra non funzionare, a volte addirittura sembra di regredire. È qualcosa che capita
a tutti.
Spesso è temporaneo; tutti noi, quando apprendiamo una LS/L2, sperimentiamo uno o più periodi di
fossilizzazione una interruzione nel processo di apprendimento/ acquisizione e di approssimazione alla lingua
target.
Esempio di soluzioni: trovare uno strumento che aumenti la motivazione La
fossilizzazione ha molteplici cause, esterne e interne all’apprendente:
- Qualità dell’input; dobbiamo chiederci se l’immigrato abbia o meno la possibilità di entrare in contatto
con diverse varietà d’italiano (anche formale) oppure se questo entra in contatto solo con varietà
deformate come il foreigner talk o sub-standard cioè del tutto erronee, o molto marcate regionalmente.
Altra domanda: la lingua viene acquisita solo in contesto naturale o anche in un ambiente strutturato come
la classe? Per arrivare a livelli di competenza elevati non è sufficiente basarci sull’acquisizione, quindi sul
contesto naturale immersivo ma è bene portare in parallelo un percorso di apprendimento strutturato in
classe dove si osservano in modo esplicito le strutture grammaticali, il lessico e i vari tipi di testo…
- Motivazione dell’apprendente verso la lingua che si vuole o deve apprendere; nel caso degli immigrati è
spesso legata al progetto migratorio l’immigrante è solo di passaggio o è venuto in Italia con la volontà
di rimanervi?
- Distanza sociale e psicologica (reale o percepita) rispetto alla comunità dei nativi (fattore extra-linguistico,
cioè fuori da ciò che riguarda il singolo individuo ≠ dalla motivazione). Il sentirsi accettati o meno, essere
oggetto di episodi di intolleranza (es. comunità sinfone, arabofone…)

L’ERRORE E LA CORREZIONE DELL’ITALIANO L2


Come viene concepito l’errore? E come lo correggiamo quando siamo di fronte ad un apprendente? L’errore è
qualcosa da censurare e da punire, ma se lo vediamo dal punto di vista della glottodidattica dobbiamo sforzarci
di vederlo come una manifestazione positiva (cioè un’ipergeneralizzazione) delle norme apprese. L’errore,
dunque, è:

• Indotto dall’ipergeneralizzazione delle norme apprese (es. spenduto in luogo di speso,sul modello di mangiato,
pensato, creduto, veduto ecc. spenduto è un errore sistematico poiché è collegato alle interlingue). Nell’errore
è possibile vedere che almeno una norma della forma standard è stata acquisita.

• Sistematico, perché collegato alle interlingue. Cioè noi ci aspettiamo un certo tipo di errori dagli apprendenti,
perché è collegato all’acquisizione della lingua e all’evoluzione della competenza.

• Collegato all’interlingua: una struttura appartenente a un’interlingua ‘superiore’ sarà quasi sicuramente
prodotta in modo errato; la correzione deve tenerne conto: non ha senso correggere ‘tutto’, perché
l’apprendente può non essere ancora ‘pronto’ ad apprendere una certa struttura (per trasformare la
correzione in intake)
Ci sono diversi metodi per correggere:

• Con i principianti è meglio preferire la correzione esplicita (più diffusa): con gli apprendenti intermedi e
avanzati si possono usare strategie di correzione diverse. Nello scritto:
- La esplicita, se ci troviamo davanti a strutture che sono a un livello superiore e che l’apprendente non
potrebbe produrre correttamente
- La rilevativa, se l’apprendente è in grado di autocorreggersi se noi gli focalizziamo il punto dolente
- La classificatoria, e cioè concordiamo con gli apprendenti un sistema di etichette (L= lessico, N= nome, A=
articolo) che diventano un suggerimento in più per l’autocorrezione
- La mista
- La correzione tra pari, a gruppetti in modo da creare una situazione equilibrata; dove non arriva una
persone, può arrivarci un’altra
Nell’orale: ci sono due scuole su questo punto.
- Quando ci accorgiamo che l’apprendente commette un errore, è bene interromperlo e correggerlo subito
oppure aspettare che abbia finito la produzione e poi ritornare su quelli percepiti come errori e
correggergli esplicitamente riformulando la frase? I metodi comunicativi consigliano la seconda opzione,
perché secondo alcuni studi, se noi interrompiamo il flusso comunicativo inibiamo la produzione
- Dall’altra parte sembra che alcuni apprendenti preferiscano la correzione immediata Oltre alla correzione
esplicita abbiamo, anche qui, varie possibilità di intervento:
- Riformulazione della frase che avvertiamo come sbagliata, la riformuliamo subito dopo la produzione
dell’apprendente, in modo corretto
- Ripetizione dell’errore, interrompiamo il flusso comunicativo ma senza dare la correzione, piuttosto
ripetiamo la forma errata in modo da sollecitare l’autocorrezione (simile all’elicitazione) - Uso di segnali
non verbali (gesti, smorfie...)
L’apprendente è più consapevole degli errori ‘grammaticali’ (di morfologia, o sintassi…), meno degli errori socio-
pragmatici (es. come prendere il turno in una conversazione; come formulare una richiesta da parte di un
bambino- fammi andare in bagno sarebbe ritenuta impropria; reagire a un complimento dell’insegnante (se noi ci
troviamo in classe uno studente sinofono con scolarizzazione della sua madrepatria, nel momento in cui si trova
nella nostra classe e viene lodato, potrebbe sentirsi in imbarazzo perché la sua cultura non contempla questo tipo
di reazione ad un complimento; la priorità non è data all’individuo, ma al senso di unità di una classe): ciascuno è
portato a trasferire automaticamente sulla lingua target (straniera o seconda che stiamo apprendendo) le
convenzioni della sua L1.

A quali varietà di apprendimento assegnereste ciascun


testo? Quali metodi di correzione usereste?
Il secondo testo: varietà post-basica. Errore: eamo
studiato; correzione: rilevativa o meglio, classificatoria.
Il primo testo: varietà basica (ci sono verbi e non solo
sostantivi c’è anche un primo accenno di morfologia, anche
se oscillante). Errore: forme verbali; correzione: esplicita.
L’ITALIANO FUORI D’ITALIA, ieri ed oggi

Emigrazione italiana ottocentesca. Per chi è del meridione, possiamo individuare altre linee di tendenza diverse
dell’emigrazione odierna.

▪ Diverso profilo socioculturale degli emigrati italiani nel tempo. Gli emigrati del secondo ottocento erano
prevalentemente dialettofoni, perché la maggior parte di loro era analfabeta e nella migliore delle ipotesi
poteva maneggiare l’italiano popolare in circostanze di necessità. Una cosa importante degli emigrati di
quell’epoca è che l’esperienza dell’emigrazione (come si evince dagli epistolari, nei tentativi di scrittura a chi
era rimasto in patria in Italia) sembra aver agito come motivatore all’alfabetizzazione. Gli emigrati d’allora si
erano resi conto dell’importanza di acquisire l’italiano come codice standard. Oggi, gli emigrati italiani non
sono analfabeti, ma si tratta di persone con un alto livello di istruzione (laureati e addottorati), che oltre
all’italiano standard, parlano almeno un’altra lingua straniera, molto spesso sono addirittura poliglotti. Le
dinamiche che questo diverso profilo socioculturale creano sul repertorio linguistico degli emigranti di ieri e
di oggi, sono diverse.
▪ L’incidenza del progetto migratorio sul repertorio linguistico. Se chi è emigrato oggi, conta di tornare in
Italia, avrà una certa cura di far mantenere l’italiano ai propri figli; chi è partito per non tornare più, avrà dei
comportamenti opposti, o forse li incoraggerà a dimenticarsi dell’italiano. È difficile mappare, così come è
stato fatto per gli emigrati dell’800, le conseguenze sul repertorio linguistico di chi è emigrato da vent’anni a
questa parte. Ci sono, però, diversi studi, uno in particolare, quello dei membri di una famiglia veneta
emigrata nel 2008 in Brasile l’italiano rimane all’interno della famiglia, però si alterna (in modo non
negativo o erosivo) col dialetto veneto e il portoghese locale. Esistono degli spazi di sovrapposizione di
queste lingue; a volte l’italiano viene usato come codice identitario per rimarcare la differenza con la
comunità ospitante, ma il rapporto con tale comunità è non conflittuale, quindi le occasioni di
comunicazione plurilingue non sono vissute in modo traumatico, anzi, il plurilinguismo è vissuto in termini di
arricchimento. Potrebbero, però, esserci casi d’attrito nel repertorio linguistico.
Inevitabili fenomeni di erosione linguistica (che può accadere sul piano microscopico anche agli immigrati di I
gen.) causati dall’interferenza tra le lingue. P.e. una perdita delle corrette reggenze preposizionali dei verbi.
Questo può capitare anche a parlanti estremamente istruiti o colleghi italofoni trasferiti in un contesto ispanofono
(in cui la vicinanza tra italiano e spagnolo favorisce le interferenze tra le due lingue) la scelta delle
preposizioni dinanzi ai verbi, risente di quello che è il corrispettivo spagnolo. Le preposizioni (anche
nell’apprendimento dell’italiano come lingua seconda) sono i punti deboli, così come anche gli articoli, perché
sono parole che non veicolano tanto un contenuto semantico. Sono anche scarsamente percepite e meno importanti
di altri elementi, quindi vengono colpite facilmente dai fenomeni di erosione linguistica. Ci sono casi di
erosione linguistica che colpiscono i figli di immigrati (quelli di II gen.), i quali potrebbero benissimo apprendere a
parlare le lingue di provenienza della famiglia, ma ritengono che il mantenimento di tali lingue non sia produttivo,
quindi lo scoraggiano un fenomeno di erosione linguistica di questo tipo può portare a ledere tutta la
competenza linguistica, finché non rimangono solo singole parole, le quali vengono investite (siccome sono gli
ultimi rimasugli del legame con la prima lingua dei genitori) di un valore simbolico tag switching. Esempio: I
ragazzi arabofoni che si salutano utilizzando salam aleikum, poi il discorso che segue è completamente in italiano.

I FENOMENI DI INTERFERENZA

I fenomeni di interferenza riguardano, oltre la fonetica, anche il lessico.

▪ Code-mixing: inserimento di singole parole all’interno di un enunciato completamente in un’altra lingua.


Esempio di code-mixing di un emigrato italiano a Città del Messico: Bardarsi con sciarpe, berretti, però non
capisco come mai arrivando in metropolitana rimangono assolutamente identici. Togliersi la bufanda non è
che sia un grande lavoro, ora la gorra... Qui il code mixing è favorito dal fatto che spagnolo e italiano siano
della stessa famiglia, quindi condividono delle regole di fondo nella formazione della frase, nella
morfologia, nella collocazione dei costituenti.
▪ Estensione semantica di un lessema morfologicamente simile tra L1/L2 o LS. Esempio: classe per ‘lezione’,
nel senso che italiani residenti in Messico estendono lo spazio semantico della parola italiana classe fino ad
inglobare quello di lezione dello stesso lessema spagnolo classe. Lo stesso vale anche per il contatto con
lingue non vicinissime (es. inglese).
Esempi storici, frutto delle primissime emigrazioni degli italiani in America:

•Calchi semantici, manteniamo il significante italiano, prendiamo un significato della lingua straniera
(fattoria per ‘fabbrica’, introdurre per ‘presentare’, libreria per ‘biblioteca’)
• Calchi strutturali, traduzione pedissequa (scuola alta per ‘scuola superiore’, sul modello di high school)
LINGUISTICAITALIANA- lezione 18

IL FOREIGNER TALK o xenoletto


Si tratta di un tecnicismo inglese di matrice anglosassone. È la varietà di italiano che un madrelingua adotta
spontaneamente per rivolgersi ad un parlante non nativo (con scarsa padronanza della lingua veicolare), nei
confronti del quale percepisce che c’è una simmetria di competenza linguistica e quindi dal suo canto cerca di
aiutarlo, di favorire la comprensione.
C’è un aspetto positivo nel foreigner talk: è una delle tante manifestazioni del principio di cooperazione linguistica
tra parlanti.
Il problema invece è che, in questo tentativo di risultare comprensibili a persone di cui si suppone non abbiano una
buona competenza di italiano, il prodotto poi diventa sub-standard o completamente aberrante.
Il foreigner talk è una varietà che il parlante adotta per semplificare il proprio parlato fonico spontaneo che
altrimenti userebbe con i parlanti nativi, perché chiunque tra noi si rende conto che ci sono delle caratteristiche del
parlato fonico spontaneo che possono creare problemi a persone non native.

I problemi del parlato fonico spontaneo


- La velocità dell’eloquio, sebbene in misura minore di altre lingue, che non affidano soltanto alle vocali il
ruolo di nucleo sillabico. Sebbene la nostra lingua risulti più facilmente decodificabile, perché ci sono un
sacco di vocali nel parlato, è comunque complicata dai fenomeni di allegro (elisioni, apocopi, alterazioni
e assimilazioni di suoni, anche legati alla variabilità diatopica);
- L’uso di espressioni idiomatiche, che comprendono i tecnicismi dei vari sottocodici e che, spesso, non
c’entrano nulla con il significato referenziale che sottintendono. Allo stesso modo le espressioni
metaforiche, para-gergali o genericamente colloquiali, spesso non del tutto trasparenti proprio perché
vengono instaurate nell’uso e che possono non avere una codifica nello standard (si pensi all’attacco del
discorso riportato in conversazioni spontanee con terzi: lui / lei mi fa, invece di lui / lei dice questo è un
gergalismo del parlato colloquiale neo-standard che non è codificato in nessuna grammatica e che può
essere del tutto incomprensibile per un parlante non nativo con bassa competenza. - Gli impliciti, le
riprogettazioni, gli anacoluti e le strutture marcate nella sintassi.

Dal foreigner talk al teacher talk; Alcuni studi sostengono che queste due varietà siano dei poli opposti di un
continuum. Perché anche il teacher talk è l’esito del tentativo di risultare più comprensivi ai parlanti non nativi. Con
l’intento, al contempo, di rimanere modellizzanti, cioè di offrire un parlato corretto che sia all’interno della norma
standard. Il teacher talk dovrebbe essere un parlato molto sorvegliato dal docente e molto programmato

CARATTERISTICHE del foreigner talk


Per risultare comprensibile ad un non nativo, il parlante nativo:
o Rallenta il suo parlato, quindi l’eloquio diventa più enfatico; si parla di iperarticolazione. Questo è un tratto
comune al teacher talk per i livelli pre-basici e basici, però poi viene progressivamente abbandonato, perché
l’obiettivo dell’insegnante è portare lo studente ad un livello potenzialmente elevato.
o Tende ad usare vocaboli più brevi, più comuni e dal significato più elementare.
o Omette degli elementi grammaticali (articoli, copula, ausiliari, preposizioni, congiunzioni); es. tu andare
destra. Viceversa, esprime i pronomi nelle lingue in cui potrebbero essere omessi (le lingue pro drop, come
l’italiano e diversamente dall’inglese), le lingue, cioè, che possono lasciar cadere il soggetto perché hanno
una morfologia così ricca che questo si capisce da sé.
o Cerca di sostituire le forme linguistiche che userebbe con un nativo con quelle che lui ritiene più basilari,
perché hanno un significato più elementare.
o Usa una sintassi piana, nel senso che procede per giustapposizione; es. tu girare destra, poi girare sinistra,
palazzo davanti.
o Privilegia concetti basilari in luogo di alternative articolate e complesse; non si useranno termini astratti
neppure là dove sono necessari.
Le modifiche possono riguardare non solo il piano grammaticale della morfologia o della sintassi, ma anche la
pragmatica. Quando noi usiamo espressioni tipo tu girare a destra, da una parte lo facciamo perché pensiamo che il
tu allocutivo sia più trasparente del lei (forma standard), d’altra parte rinunciamo ad un principio pragmatico
fondamentale della nostra lingua, quello di cortesia e formalità. L’effetto di chi recepisce questo parlato (che può
non essere così incompetente come noi pensiamo) è quello del talking down, quello di abbassare lo status del
nostro interlocutore, perché presumiamo che sia un incompetente, un ignorante.
In relazione al foreigner talk, Gaetano Berruto ha individuato due tendenze principali:
1. Parlare poco, cioè ridurre l’enunciato a pochi elementi basilari.
2. Parlare eccessivamente; per farsi capire si arriva a utilizzare una serie di perifrasi sovrabbondanti. Ciò accade
anche per il teacher talk, che è un parlato sovrabbondante si parla più del dovuto rispetto a quello che
farebbe, lo stesso insegnante, coi nativi.

IL TEACHER TALK o parlato dell’insegnante


Quando si parla dell’insegnante, non dobbiamo pensare solamente al parlato dei nostri insegnanti di lingua, ma
chiunque trasmette una conoscenza, attraverso una lingua veicolare, si propone come modello linguistico. Quindi si
parla di teacher talk (in contesto scolastico) anche per l’insegnante di matematica che presenterà, nel suo parlato,
delle strutture ricorsive utile all’argomentazione e alla definizione. Quindi tutti gli insegnanti di qualsiasi disciplina
forniscono input linguistico all’apprendente e, per questo motivo, dovrebbero essere tutti ugualmente sorvegliati.
Spesso accade che l’insegnante di scienze non si rende conto che, in presenza di classi con molti non nativi,
dovrebbe ritarare il suo parlato per favorire la comprensibilità.

Tratti caratterizzanti
I tratti che caratterizzano il parlato dell’insegnante sono comuni, in parte, a quelli del foreigner talk: -
La velocità del discorso, però, è generalmente più lenta. Più la varietà è bassa, più il parlato
rallenta - Le pause, che servono al docente per pianificare il parlato, sono più lunghe e frequenti.
- Si ha iperarticolazione, la pronuncia è più marcata anche perché c’è un intento didattizzante.
- Il lessico è più basico
- Il grado medio di subordinazione è più basso. Nel parlato dell’insegnante che è glottodidatticamente
orientato, la subordinazione si riduce.
- Si usano più frasi affermative e dichiarative rispetto alle domande. Questa è una conseguenza del fatto che
buona parte degli insegnanti, in contesto italiano, è impostata su un tipo di lezione frontale
- L’insegnante può usare frequentemente l’autoripetizione, per riprendere concetti che si sono detti prima.

L’ipotesi di Krashen e il teacher talk


Si tratta di un’ipotesi acquisizionale, elaborata da Krashen, uno degli studiosi principali dell’acquisizione linguistica.
“Gli esseri umani acquisiscono la lingua solo se comprendono i messaggi e se sono esposti agli input comprensibili
[…]. Ci muoviamo dal livello a cui ci troviamo i al livello successivo i+1, seguendo l’ordine naturale; comprendiamo
cioè gli input che contengono i+1”
Esempio: abbiamo una classe di livello A1 e noi li vogliamo portare al livello A2 il nostro parlato dovrebbe
contenere tutte le strutture presenti nel livello A1 e A2, ma non quelle del B1, B2, ecc., perché l’apprendente è
pronto ad assorbire le strutture immediatamente successive al suo livello, non quelle superiori. Ovviamente, ciò
implica che noi ci auto-sorvegliamo e monitoriamo il nostro parlato, mentre lo produciamo. Nessuno di noi è una
macchina, ma è un’indicazione da tener presente.
L’ipotesi afferma che l’input ha maggiore probabilità di trasformarsi in intake (acquisizione) se contiene elementi
che superano di poco il livello di competenza già acquisita dall’apprendente (i), cioè strutture linguistiche
appartenenti allo stadio successivo (i+1). E come faccio a sapere in che ordine sono le strutture? Come sono
disposte rispetto alle varietà d’apprendimento? Le varietà di apprendimento e gli stadi che corrispondono alle
varietà di apprendimento possono essere descritte accuratamente, nella loro progressione, tramite le sequenze
acquisizionali.

LINGUISTICA ACQUISIZIONALE E SEQUENZE ACQUISIZIONALI


E’ una branca della linguistica applicata che studia soprattutto i processi e modelli relativi all’acquisizione di una
lingua non materna. Studia anche i fattori che condizionano l’acquisizione di una lingua e dà, a chi insegna, le
corrette indicazioni su come impostare la sua didattica della lingua.
Ci sono evidenze che gli apprendenti imparano, le strutture di una data LS/LS, in ordine ricorrente. Quindi per ogni
lingua è possibile elaborare delle sequenze di acquisizione, per ciascuna struttura grammaticale. Ad esempio, ci
sono delle sequenze acquisizionali che riguardano il pronome, in che ordine vengono acquisiti tutti i pronomi
dell’italiano o in che ordine viene acquisita la capacità di applicare il corretto morfema di genere o numero alle
parole.

Sequenza acquisizionale relativa alla temporalità e al sistema verbale


All’inizio sarà in grado di decodificare ed assorbire solamente i verbi coniugati al presente e all’infinito, per la loro
morfologia analoga. Il secondo stadio “(ausiliare +) participio” prevede quello che, unito, sarebbe il passato
prossimo, ma scritto in questo modo vuole significare che la maggior parte degli apprendenti, prima sa produrre
i participi passati da soli (o meglio, costruisce il passato solo ricorrendo ai participi), poi riesce a ricostruire il
passato prossimo nella sua forma normativa, quindi ricorrendo agli ausiliari. Quando l’apprendente si trova al
livello
apprendimento del participio passato, all’inizio apprende i
La temporalità viene acquisita in participi regolari, poi inizia ad applicare la regola anche a quelli che
quest’ordine: sarebbero irregolari. Poi inizia ad acquisire la morfologia
Temporalità: presente (e infinito) > dell’imperfetto, quindi a distinguere anche i diversi usi che noi
(ausiliare +) participio passato > abbiamo nel neo standard di questi tempi verbali (imperfetto per
imperfetto > futuro> condizionale > narrare il contesto; passato prossimo per indicare un evento
congiuntivo particolare). Poi l’apprendente saprà acquisire e usare il futuro e
solo dopo si potrà passare ai modi condizionale e congiuntivo. Il
parlato dell’insegnante dovrebbe tenere conto di questa sequenza. Siamo arrivati a trattare il passato prossimo e se
nel nostro parlato introduciamo degli imperfetti, molto probabilmente il nostro apprendente li acquisisce
inconsapevolmente, quindi lo predisponiamo al passaggio successivo. Se, invece, iniziamo ad usare il futuro o il
condizionale o congiuntivo, non possiamo aspettarci che quello che pronunciamo venga compreso e assorbito dal
nostro apprendente.
Non è detto che i nostri apprendenti riescano a fare questo percorso e arrivare fino alla fine fenomeno di
fossilizzazione, che può dipendere da varie cause. Per esempio, è stato visto recentemente che la maggior parte
degli apprendenti di area sub-sahariana (poco o non alfabetizzati) si ferma all’imperfetto e quindi non riesce ad
avanzare nella sequenza acquisizionale.
Sequenza acquisizionale relativa all’acquisizione delle subordinate
Prima si acquisiscono e si producono le causali, poi temporali, finali, ipotetiche, concessive, completive e le relative,
che rappresentano lo scoglio ultimo per gli apprendenti. Queste sequenze sono utili, non solo per programmare il
proprio parlato, ma soprattutto per impostare la didattica della
La padronanza della subordinazione segue
grammatica di tutti gli aspetti grammaticali.
quest’ordine:
Quando presentiamo la grammatica ad uno studente di L2 o LS, noi
Subordinazione: causali > temporali >
dobbiamo rispettare questa sequenza; altrimenti rischiamo di
finali > ipotetiche > concessive >
risultare opachi a chi ci ascolta. Non dobbiamo anticipare una
completive > relative vere e proprie
struttura se non abbiamo focalizzato quelle che la precedono nella
sequenza. Anche nel suo parlato, l’insegnante dovrebbe tenere
conto di queste sequenze e tararlo sul livello dei suoi allievi. Quindi, è poco efficace usare i periodi ipotetici con
congiuntivi e condizionali, riferendoci ad apprendenti basici e pre-basici.
Quanto incide lo stile di apprendimento di ciascuno studente sul modo in cui l’insegnante programma il proprio
parlato? Ciascuno degli studenti ha delle preferenze; per esempio, la maggior parte di noi ha uno stile di
apprendimento visivo, cioè avere un supporto video nell’acquisizione di contenuti disciplinari e l’ausilio di tabelle e
immagini, può avere un impatto positivo sulla capacità di assorbire un concetto. C’è chi ha uno stile uditivo e quindi
preferisce ascoltare la lezione più volte piuttosto che prendere appunti, oppure riesce maggiormente ad assorbire le
conoscenze quando viene a lezione piuttosto che quando si legge il manuale da solo. C’è chi ha uno stile cinesico,
che consiste nel fare qualcosa mentre si apprende prendere appunti, schematizzare, camminare per la stanza
mentre si ripassa; o ancora, ascoltare la musica mentre si ripassa, musica che può anche non essere collegata ai
contenuti studiati. Abbiamo anche uno stile di tipo analitico, globale o listico. Chi ha uno stile di tipo analitico si
trova molto bene e in accordo con le sequenza acquisizionali che suddividono l’evoluzione dell’apprendimento in
fasi. Chi ha uno stile globale o listico potrebbe giovarsi di un input dell’insegnante “a rete”, cioè che non solo abbia
una struttura successiva al livello in cui si trova l’apprendente, ma che presenti strutture più elevate, perché riesce a
ricostruirsi da solo un po’ di regole facendo dei paragoni con le conoscenze pregresse delle altre lingue.
L’insegnante non può sapere che stili di apprendimento hanno tutti gli studenti. Quindi, va bene tarare il teacher talk
sull’ipotesi di Krashen i+1, però anche se facciamo i+3 becchiamo il gradimento di qualche studente.

Le strategie per un buon parlato dell’insegnante


Le strategie sul parlato dell’insegnante sono le stesse che noi usiamo naturalmente quando non ci capiamo con i
nostri amici, parenti nativi e sono:
▪ riformulazione e spiegazione: ad esempio la domanda quando eravate ragazzi, giocavate a calcio? può
essere riformulata in questo modo quando tu eri piccolo giocavi a calcio cioè giocavi con una palla…football
(ib.); l’enunciato iniziale è modificato sostituendo le collocazioni più dense semanticamente (essere ragazzi,
a calcio) con parole che intrattengono con tali collocazioni una relazione logica (un rapporto metonimico, o
di iperonimia/iponimia) e che, pur banalizzando (molti giochi richiedono una palla, non solo il calcio),
risultano più trasparenti all’interlocutore, in questo caso aiutato anche dal traducente inglese (le lingue
veicolari possono essere sfruttate come aggancio, ponte);
*L’iponimo è una sottospecie della parola più vaga (iperonimo: albero; iponimo: faggio); il rapporto di metonimia è
quando possiamo usare sostituenti.
▪ ripetizione di parole piene, rilevanti per il messaggio (vd. l’esempio al punto seguente), compresa la
riesplicitazione lessicale degli elementi anaforici pronominali, cioè invece di usare i pronomi, riutilizziamo lo
stesso nome (ciò è dovuto alla scarsa salienza fonologica dei pronomi, cioè il fatto che essi sono quasi tutti
monosillabi e non hanno un accento forte nella frase);
▪ contestualizzazione: l’enunciato in questo scompartimento non si può fumare (in un cartello di divieto) può
essere contestualizzato, cioè riformulato attraverso la deissi al contesto e ai partecipanti alla conversazione,
come Siamo in treno…e nel treno c’è lo scompartimento…in questo scompartimento dove noi siamo non
possiamo fumare. Questo è un esempio del fatto che il teacher talk è un parlato sovrabbondante, proprio
perché ricorre alla contestualizzazione e perchè richiede di esplicitare al massimo tutto ciò che è possibile
esplicitare. A volte noi usiamo questa strategia di contestualizzazione con parlanti nativi a scopo ironico,
cioè per canzonare qualcuno che non ha capito una banalità che stiamo dicendo, però è una strategia che
funziona bene in ambito glottodidattico.

LA GRAMMATICA: MODELLI PER L’INSEGNAMENTO


Argomenti
 Definizioni di grammatica
 Definizione di regola e regolarità
 I punti forti e le criticità della prassi didattica tradizionale della grammatica
 Il modello valenziale per insegnare la grammatica
 La grammatica pedagogica
 Tecniche per la didattica della grammatica: i metodi induttivo e deduttivo
LE DEFINIZIONI DI GRAMMATICA
• L’insieme delle regole di una lingua, che ne governano i sistemi fonologico, morfosintattico e lessicale
• La descrizione completa di una lingua, cioè dei suoi principi di organizzazione.

Quello che abbiamo fatto quando abbiamo considerato le strutture una per volta, corrisponde a queste visioni della
grammatica, per cui è possibile isolare ciascun livello, analizzarlo e considerarlo in parte nella sua autonomia o nel
suo cooperare con i livelli immediatamente successivi. Poi abbiamo elaborato, in contesto anglosassone, un’idea di
grammatica legata alla teoria della competenza linguistica, che hanno tutti i parlanti.

Noam Chomsky, negli anni 50, inventa la grammatica generativo-trasformazionale con lo scopo di trovare degli
universali linguistici, cioè di dimostrare che tutte le lingue funzionano nello stesso modo e che noi possiamo trovare
delle regolarità costanti che accomunano tutte le lingue, in particolare Noam Chomsky guarda la formazione delle
frasi, la sintassi.
Chomsky distingue tra due concetti principali:
- il concetto di competenza; la competenza è, per lui, l’insieme delle conoscenze grammaticali che sono in gran
parte innate grazie al fatto che ciascuno di noi, nel nostro cervello, avrebbe un LAD (Language Acquisition Device).
Il suo ragionamento è il seguente: tutte le lingue hanno regole soggiacenti identiche e noi abbiamo questo
dispositivo che ci predispone all’acquisizione di qualsiasi lingua, dunque, nel momento in cui nasciamo qui in Italia,
si setta sull’input che sente, quindi sulle particolari regole che caratterizzano l’italiano. Per cui, in potenza, un
bambino è pronto ad imparare qualsiasi lingua, perché questa parte del cervello gli consente di decodificare l’input
in qualsiasi lingua esso sia e di ricostruire le regole particolari, disponendo di un dispositivo che inconsciamente gli
dà delle regole generali. Del resto, noi tutti abbiamo acquisito la lingua madre semplicemente ascoltando
(attraverso una lunga fase di silenzio) quello che dicevano i nostri conoscenti e abbiamo, da soli, ricostruito le
regole per poi formare le nostre prime frasi e poi dei veri e propri discorsi. La competenza quindi, secondo
Chomsky, rende possibile al parlante la comprensione e la produzione di infinite frasi mai sentite in precedenza.
Noi non ci limitiamo ad imitare le frasi che abbiamo sentito, ma riusciamo anche ad inventare frasi mai ascoltate
prima.
- il concetto di esecuzione; l’esecuzione, secondo lui, è la manifestazione della competenza nell’uso effettivo della
lingua. La competenza è qualcosa di astratto, cioè la lingua è impotenza; l’esecuzione è la lingua così come noi la
produciamo nella realtà, quindi l’esecuzione è sempre un sottoinsieme della competenza.

La grammatica come sistema dell’agire sociale


Secondo le teorie basate sull’uso e secondo la linguistica cognitivo-funzionale, la grammatica è un prodotto di un
insieme di processi storici e ontogenetici cui collettivamente noi ci riferiamo come grammaticalizzazione. Le
strutture linguistiche che emergono dall’uso e dall’imitazione, non esistono di per sé, ma sono il frutto di una
ricontrattazione da parte dei parlanti che stabiliscono che un certo setter di regole diventerà standard per una data
comunità. Quindi, in questo tipo di teorie, è l’uso linguistico che determina la formazione della grammatica.
Secondo questa prospettiva “imparare la grammatica” non significa solamente imparare le forme convenzionali o la
corretta morfologia delle parole, ma anche le regole di appropriatezza (o uso convenzionale). Se il contesto varia,
anche le regole che io applicherò saranno altre perché il mio atto linguistico ha uno scopo comunicativo e si
manifesta come “agire sociale”.

REGOLA E REGOLARITÀ
Col termine regola ci riferiamo di solito a singoli elementi verbali autosufficienti, che esprimono che c’è un rapporto
costante tra fenomeni osservabili; per esempio quando parliamo di regola abbiamo in mente le categorie oppositive
come giusto/sbagliato, accettabile/non accettabile ecc... Esempi di regole riguardano l’uso degli allocutivi tu/lei,
esprimono come ciascuna categoria del discorso si “comporta” in una frase (es. le regole ci dicono che gli articoli
precedono i nomi, talvolta i verbi) ecc...
Abbiamo diversi tipi di regole:
• Regole categoriali formali quelle che, per esempio, ci dicono come dobbiamo formare l’indicativo presente.
• Regole categoriali di tipo semantico quelle che, per esempio, ci obbligano a selezionare, quando noi
abbiamo un verbo, solo determinati sostantivi, perché ci sono dei legami implicazionali tra il verbo e le parole
che possiamo selezionare e attaccare attorno. Es. la nave cammina non c’è una solidarietà semantica tra il
camminare e l’entità nave.
Ma non è tutto così monolitico come lo è, invece, la regola morfologica del femminile (che si forma con certi suffissi
e non con altri)
• Regole categoriali aperte a variazione l’italiano è una lingua SVO, ma possiamo costruire frasi del tipo OSV,
cioè quelle che presentano la dislocazione a sinistra
Con regolarità intendiamo comportamenti ricorrenti, in qualche misura prevedibili, e che a differenza delle regole
formali non sono obbligatorie. Quindi noi non vediamo un principio di grammaticalità che viene violato, ma il fatto di
non rispettare una regolarità viene comunque notato dal nostro interlocutore.

Le regolarità discorsive sono affrontate da quest’altra branca della linguistica che è La Linguistica Internazionale,
che è una sotto-disciplina della pragmatica e che cerca di studiare quali sono le regolarità che, in una data lingua o
cultura, si manifestano quando siamo in una conversazione spontanea con un nostro interlocutore. Le regolarità
sono influenzate dalla cultura di appartenenza. Quelle che seguono sono regolarità valide per l’italiano ma che
possono non valere per altre lingue:
- regolarità delle coppie adiacenti (saluto-saluto; domanda-risposta; invito-accettazione oppure rifiuto + scuse o
giustificazioni)
- regolarità nei turni di parola (p.es., il completamento anticipatorio, anche questo, culturalmente determinato [pp.
34-35]; ci sono delle convenzioni che stabiliscono dove e come l’interlocutore può intervenire)
- regolarità pragmatiche, chiamano in causa fattori della situazione sociale in cui avviene la comunicazione: p.es.
chiedere sarcasticamente a un adulto, che si comporta in modo infantile, «Quanti anni hai?» non ha lo stesso
valore se la domanda è posta come richiesta di informazione.
- regolarità collegate alle conoscenze schematiche che noi abbiamo di come funziona il mondo, che prefigurano e
determinano le nostre attese o quelle dell’interlocutore, regolano l’interpretazione di ciò che si ascolta e
incidono sull’organizzazione stessa dell’informazione (es. libro pp.38-39)
- regolarità collegate alla competenza etnolinguistica (es. la regola dell’accettabilità sociale: un ospite dovrebbe
rifiutare più volte un’offerta, prima di accettarla)
- regolarità nella sequenziazione di episodi (es. regolarità nell’ordinare le parti di discorso di un testo
argomentativo problema + tesi + prove a sostegno della tesi + antitesi + confutazione dell’antitesi)
LINGUISTICAITALIANA-lezione 19

LA GRAMMATICA: MODELLI PER L’INSEGNAMENTO


Critiche al modello tradizionale di insegnamento della grammatica italiana come L1 (sia dal punto di vista della materia
sia dal punto di vista acquisizionale.
Dal più piccolo al più grande: è davvero più facile?
Il modello di insegnamento tradizionale parte dalle singole categorie: nome, articolo, preposizione, verbo per poi
arrivare a costruire una frase. In realtà questa tecnica non è del tutto idonea ad un bambino che deve da quel
momento iniziare a pensare in astratto. Per i bambini di quell’età sarebbe più opportuno partire dalle frasi intere,
osservare quelle semplici per far notare le due proprietà principali della lingua italiana:
1. La collocazione delle parole nella struttura italiana è vincolata. C’è un ordine prestabilito da seguire per poter
dare un significato alla frase. Esempi:
- Il babbo stira le camicie della mamma > La babbo del mamma stira camicie
2. Bisogna obbligatoriamente prevedere l’accordo morfosintattico tra il verbo e uno dei suoi argomenti. - La
maestra ride > la maestra ridono.
L’obiettivo della grammatica è rendere gli studenti capaci di riflettere metalinguisticamente sulla propria e sulle altre
lingue. (atteggiamento scientifico)
3. L’insegnamento tradizionale della grammatica italiana abitua gli studenti ad usare dei criteri nozionali-
semantici per riconoscere le varie categorie. (soggetto= persona, animale, cosa che compie l’azione) – (verbo:
indica azione o stato). Il sistema nozionale-semantico può generare delle ambiguità anche per concetti
basilari: parole come: malattia, fuga, dormita rientrano nella categoria dei nomi ma indicano stati e azioni.
Esempi:
 [“Da qualche tempo è tornato di moda l’uso di scrivere diari”]  qualche studente potrebbe dire che il
soggetto è “diari”, perché ragiona sul focus tematico mettendo da parte il vero soggetto grammaticale, cioè
la parte della frase che concorda morfosintatticamente col verbo. (“l’uso di scrivere”)
 [“Mi è giunta notizia del viaggio che avete fatto”]  si individuare come soggetto “mi” o “mio” perché si
pensa al soggetto logico e non al fatto che il soggetto è “notizia”.
È meglio far ragionare sulle proprietà distributive sintattiche degli elementi piuttosto che su una definizione basata
sulla semantica.
Dinanzi ad un esercizio in cui si chiede di riconoscere in una frase se “suo” sia pronome o aggettivo, il ragionamento
immediato che facciamo si basa su proprietà distribuzionali o sintattiche (cosa c’è dopo?), senza riflettere sulla
semantica del significato.
Questo tipo di criterio ci consente di risolvere i casi di assegnazioni categoriali quando un elemento in una data fase
non svolge la sua funzione prototipica. Avverbi come: “sopra” e “vicino” si considerano in astratto sempre come tali;
ma nella frase “sopra al letto” sono delle preposizioni.
4. Analisi logica non funziona perché si basa su criteri intuitivi di assegnazione di significato. Gli stessi
complementi all’interno dell’analisi logica sono fondati su criteri di tipo semantico-intuitivo.
Perché si insegna la grammatica italiana attraverso l’analisi logica? A che cosa serve in termini di acquisizione
l’analisi logica? L’analisi logica è stata introdotta dalla didattica dell’italiano, al momento dell’unificazione per
facilitare l’apprendimento del latino. In realtà non è utile applicare uno strumento su una lingua solo per agevolarne
l’apprendimento di un’altra, soprattutto se quello strumento non è funzionale sulla lingua su cui si applica.
L’alternativa è quella di adottare il modello valenziale nasce negli anni ’50 in Francia, poi negli anni ’80 è stato
adottato dal linguista italiano Sabatini  “A che cosa serve avere un modello?”: serve per spiegare in maniera chiara
e convincente le caratteristiche degli oggetti che osserviamo (lingua) e che permetta di cogliere il rapporto del tutto
(la frase) con le sue parti.
In ambito scientifico, s’intende per modello uno schema teorico che in un certo campo cerchi di ridurre una varietà
di fenomeni agli elementi fondamentali e di tali fenomeni dia una spiegazione unitaria. Un buon modello deve:
• essere potente, nel senso
- economico (deve avere pochi strumenti su cui appoggiarsi, l’analisi logica non è economica)
- predittivo (deve spiegare con un unico principio il maggior numero di casi noti o prevedibili.)
• deve avere capacità euristiche: favorire anche la scoperta di nuovi aspetti nell’oggetto in osservazione.
Nel campo degli studi grammaticali queste proprietà (potente, economico, predittivo) sono state riscontrate nel
modello valenziale che:
• spinge fortemente l’alunno (e chiunque voglia riflettere sulla lingua) a utilizzare la propria competenza innata;
• impegna la mente in un costante esercizio di analisi semantica delle parole in un campo di autonomia dai vari
possibili contesti situazionali della comunicazione;
• offre una spiegazione fortemente unitaria di molti aspetti del meccanismo della lingua e quindi propone
traguardi di conoscenza che si sommano progressivamente;
• mette in pieno risalto le funzioni dei singoli elementi e mostra come a una stessa funzione possano
corrispondere espressioni formali diverse, abituando quindi l’alunno a servirsi di formulazioni diverse (questa
proprietà risulterà molto evidente a proposito della presentazione, assai precoce, delle frasi complesse);
• si presta per una rappresentazione delle strutture frasali mediante schemi grafici di forte impressività.
Quest’immagine poi dà una rappresentazione della frase radiale e non lineare
• è facilmente applicabile alla descrizione di altre lingue, specialmente di quelle geneticamente più affini
(latino, francese, spagnolo) e permette di istituire immediati confronti sul piano delle strutture linguistiche.
• questo modello tende a mettere la semantica in stretto contatto con la parte distribuzionale e sintattica

STRUTTURAZIONE DELLA FRASE:


▪ la grammatica tradizionale insegnata a scuola presenta la frase come una struttura che si sviluppa
partendo dal “soggetto”  nozione centrale + verbo che predica qualcosa sul soggetto + complementi
che si susseguono in una catena che cresce linearmente.
Questa concezione presenta la frase secondo una prospettiva informativa esterna, che mette in evidenza
un attore principale e accumula via via altre informazioni sui fatti descritti; ma non fa emergere con
chiarezza il meccanismo interno della frase.
▪ Il modello valenziale rende meglio l’idea dei rapporti gerarchici che ci sono tra le varie componenti di
una frase semplice o complessa, perché sceglie come punto di partenza il verbo, elemento motore che
regola i rapporti sintattici tra i pezzi principali della frase. Il verbo con le sue “valenze” (caselle da
saturare con degli elementi) chiama a sé gli “argomenti” e forma il nucleo della frase. Quando
pronunciamo frasi come “Sto correndo per prendere l’autobus”, il cervello mette in risalto la parte
motoria.
Per insegnarlo ai bambini si adotta la metafora del teatro: il verbo ci obbliga ad organizzare una scena teatrale dove
dobbiamo capire quanti attori sono necessari per realizzare una scena con quel verbo.
Se conosciamo una grande quantità di significati dei verbi, il parlante sa per esperienza generale quali elementi sono
indispensabili, (da aggiungere) perché si formi intorno ad esso una frase. Il verbo = componente chimico.
Diversamente dall’analisi logica, nel metodo valenziale noi non dobbiamo distinguere i vari complementi, perché si
chiamano tutti argomenti o attanti. In italiano i nostri verbi possono avere 0 – 1 – 2 – 3 – 4 valenze).
• Zerovalenti (quando il verbo non necessita di nessun argomento per costruire una frase, metereologici).
• Monovalenti (intransitivi: cammini, corro)
• Bivalenti, trivalenti e tetravalenti
Uno stesso verbo può avere più di una valenza a seconda del significato che noi selezioniamo. “Parlo”, “Parlo bene
l’inglese”.

UN ESEMPIO CON UN VERBO TETRAVALENTE:


rappresentazione radiale:
verbo al centro, poi gli colleghiamo tutti gli altri
argomenti interni al verbo che finiscono nel
nucleo (--- cerchio tratteggiato). I tecnicismi,
presenti sotto, della grammatica tradizionale
non sono necessari nell’analisi valenziale. Ma si
chiede di esplicitare i legami proposizionali, per
far ricordare che alcuni argomenti devono
essere retti da preposizioni.
Se la frase fosse «In soggiorno mia cugina Ada
traduce dal russo un romanzo in cinese»,
la parte aggiuntiva «mia cugina» non finirebbe
nel nucleo, perché sarebbe un circostante (un
modificatore di uno degli argomenti) del nome Ada, che metteremmo in un cerchio più esterno;
«nel soggiorno» sarebbe una ‘espansione’ della frase, che modifica tutto il significato della frase e per questo
dovrebbe essere collocato in un cerchio ancora più esterno.
Questi tre tecnicismi (argomento, circostante, espansione) sono sufficienti per un’analisi valenziale

UN ESEMPIO DI FRASE CON NUCLEO E CIRCOSTANTI:


“il lampione sul marciapiede del viale della stazione è pericolante” la frase
nucleare all’interno del cerchio tratteggiato (---) è: “il lampione è pericolante).
Non c’è bisogno di esplicitare che è un predicato nominale, ci basta metterlo
come un verbo. Poi ci sono tutti circostanti collegati ad un unico verbo. Questo
tipo di rappresentazione aiuta lo studente a capire una proprietà delle lingue:
la ricorsività (si possono aggiungere modificatori all’infinito).
UN ESEMPIO DI FRASE CON NUCLEO, CIRCOSTANTI ED ESPANSIONI
“Il bravissimo Mario pulisce i vetri della finestra della sua stanza”
Questo tipo di disposizione ci fa capire che quelle espansioni (“su un alto sgabello” –
“tutti i giorni” - “alle prime luci del mattino” – con molta cura e abilità”) potrebbero essere
messe sia prima sia dopo la frase nucleare con i suoi circostanti.
 altra proprietà: ci sono degli elementi che possono essere spostati ed altri che
devono essere necessariamente attaccati al verbo.

IL MODELLO VALENZIALE APPLICATO ALLE FRASI COMPLESSE “Mara ha dichiarato al notaio la sua accettazione
dell’eredità”. Una stessa funzione può realizzarsi a livello superficiale con varie forme. L’elemento che ha la funzione
di argomento interno del verbo può essere realizzato come un’oggettiva introdotta da “di” o da “che” o una
dichiarativa in discorso indiretto. Possiamo ricondurre tutte queste nozioni ad un unico concetto  argomento
interno del verbo (sostantivo o frasi intere). Questo modello ci consente di distinguere le preposizioni subordinate
che finiscono nel nucleo del verbo (oggettive, soggettive, interrogative dirette) e quelle che diventano circostanti
“Mara che ho incontrato ieri ha dichiarato…” se si aggiungesse una temporale finirebbe nel cerchio delle espansioni.

Perché noi possiamo sostituire il modello valenziale con l’analisi logica?


• Il metodo valenziale porta a scoprire continuamente le funzioni delle parole nella frase, costruendo e
maneggiando frasi che sono poi pienamente comprese dal discendente sulla base della competenza
linguistica che già possiede, è questo il più autentico percorso di analisi logica.
• L’analisi logica ha un doppio errore:
1. non mira a far riconoscere le funzioni di quell’espressione nella frase (vera operazione logica da
compiere in grammatica) perché non spiega se quelle stesse espressioni completano il significato del
verbo (e quindi costituiscono il nucleo della frase) o occupano un’altra preposizione nella frase. Un
effetto collaterale dell’analisi logica è quello di far sparire l’immagine della frase quando si
classificano i complementi.
2. non tiene conto delle ambiguità che spesso si presentano nel cercare di riconoscere il valore
semantico delle espressioni in questione. La causa e il fine sono spesso connessi, come nella frase:
“Il ladro ha commesso il furto per il bisogno di curare la madre” “per il bisogno” si può intendere come: a.
complemento di causa
b. complemento di fine
“Dalla finestra della mia camera vedo il mare”  “dalla finestra” si può intendere sia come:
a. stato in luogo, chi guarda è in quel punto
b. moto da luogo, figurativamente il mio sguardo parte “da lì”.
*Nello studio della lingua, da una parte utilizzare il ragionamento logico per interpretare la lingua e dall’altra
utilizzare l’analisi della lingua per sviluppare le capacità logiche. *

GRAMMATICA PEDAGOGICA:
insegnamento di grammatica che è centrato sui bisogni del singolo apprendente. Se ci troviamo ad insegnare
grammatica italiana ad un bambino inserito nella scuola italiana faremo scelte diverse rispetto ad un immigrato
adulto che viene ai corsi d’italiano L2. Il bambino potrebbe avere anche l’italiano come L2. Scelte diverse perché le
necessità comunicative sono diverse, entrambi avranno la necessità di saper socializzare, ma i contesti non sono gli
stessi. La grammatica per l’adulto deve essere tarata su argomenti professionali o legati allo svolgimento delle
incombenze quotidiane, sin da subito deve apprendere anche vocaboli burocratici VS con il bambino si cerca di
orientare la grammatica verso l’italiano standard, lo scopo è quello di farlo inserire facilmente nel contesto
scolastico.
L’idea della grammatica di italiano come L1 non è pedagogica perché mirava a darci una panoramica il più esaustivo
possibile di tutte le strutture della lingua seguendo un ordine preconfezionato (prima morfologia, sintassi semplice e
poi complessa).
I principi della grammatica pedagogica:
• utilità, che cosa in quel momento è più utile per l’apprendente. Si elabora un sillabo (elenco ordinato di tutte
le strutture grammaticali, di tutte le funzioni comunicative e di tutti i testi in cui si realizzano) diverso a
seconda di chi si ha davanti; non è sovrapponibile. ≠ La grammatica tradizionale mira a far diventare lo
studente un’enciclopedia vivente, senza preoccuparsi dei bisogni del singolo. I sillabi: consentono di
diminuire la presentazione di uno stesso argomento grammaticale in più tappe a seconda della funzionalità
comunicativa che ci serve focalizzare in quel momento.
• Complessità, dobbiamo presentare le strutture in relazione alla loro complessità rispetto all’apprendente
mediando i suoi bisogni comunicativi (a volte si anticipano strutture).
• Funzionalità, descrivere le categorie grammaticali o le strutture in relazione ai loro usi reali in un ipotetico
scambio comunicativo.
• Contrastività, dobbiamo favorire la capacità di confrontare e riflettere metalinguisticamente sulle diverse
lingue che l’apprendente ha a disposizione. L’italiano in contesto scolastico di solito è confrontato con
l’inglese, ed altre lingue. Allo stesso modo, se siamo in contesto di didattica di italiano come L2 potremmo
cercare di favorire i transfer positivi, domandando ad un madrelingua straniero come si dice una determinata
parola nella sua lingua. Questo principio dovrebbe guidare l’insegnante anche nella selezione degli
argomenti. Se sa che ci sono dei punti di “attrito” provocati dalla vicinanza tra le due lingue dovrà dedicare
attività esplicitamente a questi punti di contatto. Es. apprendente ispanofono: attenzione sulla pronuncia
dell’occlusiva bilabiale sonora “B”, perché l’apprendente potrebbe confonderla con la fricativa labiodentale
sonora “V”.
Contrastività= individuare i punti in cui l’apprendente potrebbe fare un transfer negativo

QUALE METODO SCEGLIERE: DEDUTTIVO O INDUTTIVO?


• Metodo deduttivo: si parte dall’esplicitazione della regola, poi si fanno degli esercizi per far applicare la regola
in un determinato modo.
• Metodo induttivo: si parte da un testo autentico (testo o conversazione) e si osserva per ricavare le
irregolarità presenti enunciando al contempo la regola. Questo metodo spinge l’apprendente a stimolarsi e
capire, riflettendo sulla lingua.
Un buon compromesso è quello di alternare i due metodi.
CARAP (quadro di riferimento per gli approcci plurali alle lingue e alle culture), si propone come strumento che
consente di sviluppare in un modo molto concreto la concezione della competenza plurilingue ed interculturale.
Il docente ha delle linee guide per impostare la didattica.

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