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CAPITOLO 1

NORMA E ITALIANO STANDARD


L’italiano, come appunto l’italia, si è formato tardi, non quello letterario che nasce già
nel 16 secolo portato dalle Tre corone fiorentine Dante, Petrarca e Boccaccio, ma quello
da usare in tutti i registri della comunicazione scritta e parlata.
Come tutte le lingua storico-naturali (cioè quelle che realizzano in modo spontaneo, in
specifiche comunità etniche, sociali e politiche, la facoltà del genere umano di
comunicare con mezzi verbali) l’italiano si presenta in forme diverse in relazione:
● alla natura del messaggio;
● alle sue finalità;
● alla situazione in cui si attua la comunicazione.

La lingua non è solo quella delle grammatiche, codificata dalle grammatiche e


insegnata nelle scuole (standard) ma è costituita da un insieme di varietà che ne
determinano il repertorio.
Il repertorio è sociale, ma anche individuale: ogni parlante possiede, con competenza
diversa, alcune delle varietà del repertorio comunitario.

Lingua parlata:
Dopo il faticoso cammino che parte dall’unità d’Italia fino ad arrivare ad oggi, è
possibile confermare che tutti parlano l’italiano, ma esso si differenzia da persona a
persona dato che i vari dialetti influenzano molto la lingua parlata:
l’italiano di un Bolzanino non potrebbe mai coincidere con l’italiano di un Palermitano
→ vi saranno appunto differenze di intonazione e anche di pronuncia (che sono i più
rilevanti), nella morfosintassi e nel lessico (= per la presenza di regionalismi,
geosinonimi e geoomonimi).
tutto ciò non significa però che i due non parlino la medesima lingua, ma solo che il
loro italiano risente del retroterra dialettale di ciascuno → entrambi parlano il loro
italiano “regionale”, nel quale sono presenti dei tratti locali, che però non fa meno alla
loro unitarietà del modello.

Lingua scritta:
Per quanto riguarda lo scritto, le cose sono leggermente diverse: tra il bolzanino e il
palermitano, le differenze di scrittura saranno minime se non nulle.
Perchè?
essendo che il concetto di italiano scritto “standard”, appare legittimo se applicato
nello scritto.

- quindi, da uno scrivente mediamente colto, ci si aspetta l’osservanza della norma


vigente indipendentemente dalla sua provenienza geografica.
NORMA → è un insieme di regole che riguardano tutti i livelli della lingua (ortografia,
fonologia, morfologia, lessico, sintassi e testualità), che è accettato dalla stragrande
maggioranza di scriventi/parlanti in un determinato periodo storico e contesto
storico-culturale.
La Norma non è immutabile, ma varia col passare del tempo e col determinarsi di
nuovi contesti sociali e politico-culturali; infatti si può dire che è la manifestazione
concreta del sistema linguistico dell’italiano, però inteso come insieme di regoli
potenziali della lingua, che però non devono necessariamente poste in essere.
esempio:
il sistema dell’italiano prevede che, nella morfologia verbale, la desinenza -uto, sia
utilizzata per formare il participio passato dei verbi in -ere → da ripetere si forma
ripetuto, ma da competere non possiamo ^competuto’
(forma e struttura agrammaticale, cioè non accettate dalla coscienza linguistica dei
parlanti).
“Competuto” può pur essere compatibile con il sistema verbale dell’italiano, ma non è
ammesso dalla norma dell’italiano contemporaneo; tuttavia non si può escludere che in
futuro essa diventi una parola effettiva dell’italiano.
Se invece, per il participio passato di ‘competere’ usassimo la forma ^competoso’,
violeremmo le regole del sistema, che non prevedono la formazione del participio
passato con il suffisso -oso.

L’italiano, a differenza di altre lingue europee, possiede una norma non sempre
univoca: è caratterizzata da endemica polimorfia, a causa della frammentazione
politica e del policentrismo linguistico.
● apocope (caduta della vocale finale) vocalica facoltativa → si può dire bicchiere
o bicchier d’acqua;
● possibile alternanza col/con il;
● estensione del pronome dativale gli alla terza persona plurale (loro) e alla terza
persona singolare femminile (le);
● duello tra lui/egli, lei/ella, loro/essi come pronomi soggetto di terza persona , a
cui si è recentemente aggiunto il te, come pronome soggetto accanto al tu;
● pronome allocutivo plurale voi o loro → come voi sapete, come loro sanno;
● nel ramo dei dimostrativi, codesto non è totalmente scomparso, poiché ora viene
utilizzato solo in Toscana, che può sostituire questo in alcuni contesti burocratici;
mentre nella forma scritta è vitale l’uso di tale;
● allomorfia pronuncia / pronunzia;
● possibile accordo del participio con il soggetto → vi ho visti uscire / vi ho visto
uscire;
● possibile uso degli ausiliari dei verbi servili sia essere che avere davanti a verbi
intransitivi → sono dovuto partire / ho dovuto partire;
● campo morfologico → oscillazione tra è piovuto/ha piovuto.

un caso di grande incertezza della norma italiana, ma non solo, è l’uso del femminile
per le cariche pubbliche o professioni, che per tradizione, sono state svolte e coperte
da uomini e che solo di recente hanno visto la partecipazione delle donne.
Questo argomento è uno dei quali il dibattito è gravato da eccessi di ideologia → di
fatto per quanto riguarda ad esempio la carica di ministro riferito a una donna,
l’italiano offre varie possibilità, come ad esempio la ministra, il ministro, la ministro,
la ministressa che però viene usato per lo più come dispregiativo.

Molto spesso la violazione della norma porta a effetti comici o particolarmente


espressivi.
La NORMA può essere violata in due modi:
1. dall’alto, cioè da parte di chi, pur conoscendo perfettamente l’italiano, è
consapevole di forzarne le regole → come ad esempio gli scrittori “irregolari” a
partire, per certi aspetti, da Dante;
2. e dal basso, da chi non ha una perfetta conoscenza della norma stessa → ad
esempio da coloro che hanno una modesta istruzione scolastica.

Nell’Italiano Standard si può individuare la varietà di lingua che tende a far aderire
l’uso individuale alla norma:
● conoscenza sicura dell’ortografia e dell’interpunzione → non solo dei segni di
punteggiatura, ma anche dei segni paragrafematici, ossia delle lineette,
virgolette, parentesi, caratteri speciali, molto importanti all’interno di testi medio
complessi;
● padronanza della morfologia flessiva verbale e nominale;
● conoscenza dei processi di formazione delle parole;
● conoscenza nel campo della microsintassi → es: per quanto attiene alle reggenze
preposizionali;
● uso corretto degli elementi coesivi e connettivi nei collegamenti sintattici e
testuali;
● Capacità di far uso di tutti i tipi proposizionali e di regolare e disporre
correttamente i rapporti tra principali e secondarie.
● Buon dominio della testualità, ovvero della capacità di costruire testi usando
correttamente gli incastri proposizionali complessi attraverso i meccanismi della
coordinazione e della subordinazione.
● Buon dominio del lessico attraverso la conoscenza e la padronanza di ampi
settori del vocabolario intellettuale, astratto, letterario, tecnico-scientifico: il
parlante dovrebbe cioè essere in grado di produrre testi mediamente complessi e
di sapere interpretare testi mediamente complessi.
● Uso appropriato di sinonimi, iperonimi, iponimi, antonimi.
Tuttavia, per quanto riguarda le infrazioni della norma sul versante del parlato, sono
maggiori e più tollerate; però sarebbe più auspicabile per quanto riguarda la
pronuncia, la conoscenza e l’uso dell’intero reperto fonologico dell’italiano.

1.1 NORMA ESPLICITA E NORMA IMPLICITA

Il termine “norma”, nella linguistica, può essere utilizzato con due accezioni differenti.
1. norma esplicita, che fa riferimento all’insieme di regole, che occorrono a definire
la prestigiosità dell’italiano standard, e che individua i corretti usi linguistici.
Questo tipo di norma è codificato nelle grammatiche e da soggetti normatori che
possono cambiare a seconda delle epoche.
- A partire dagli studi linguistici del rumeno Eugenio Coseriu, si espande il
concetto di norma che rimanda alla media delle realizzazioni linguistiche
individuali, cioè agli usi linguistici che i parlanti utilizzano senza che
qualche autorità venga ad affermare o che ne indichi la legittimità.

2. norma implicita, che comprende gli usi reali della lingua e comprende il
comportamento linguistico della maggior parte dei parlanti.
- è molto spesso la norma incipiente, nel senso che anticipa un aggiustamento
della norma tradizionale → i tratti innovativi, che inizialmente non vengono
guardati di buon occhio, alla fine si affermano in una fase successiva.
queste due norme (imp. ed esp.) non sono sempre allineate: alcuni fattori che fanno
parte della norma implicita, e quindi usati tranquillamente dai parlanti, in forma
esplicita sono censurati.

esempio: la parola diatriba


molte grammatiche e dizionari, ritengono che sia meglio usare la forma diàtriba ( in
linea con il latino diatribam) , i parlanti utilizzano la forma diatrìba, dovuta all’influsso
dal francese o dal fatto che gli italofoni tendono a porre l’accento sulla penultima
sillaba.
un altro caso di mancanza corrispondenza tra norma descrittiva e prescrittiva, è
costituito da redarre/redigere → la prima forma viene censurata dalla forma
prescrittiva (che è modellata sul paradigma di astrarre, contrarre e di tutti quei verbi il
cui participio passato esce con -atto), preferendo invece la forma redigere. tuttavia, la
norma errata di questa forma viene utilizzata da parlanti sia nello scritto che nel
parlato ma talvolta anche dagli autori, e per risolvere questo conflitto, che molte volte
si configura come una tendenza della norma implicita che percorre delle soluzioni
attuate dalla norma implicita; è bene attenersi a forme riconosciute dalla norma
prescrittiva.

1.2 IL REPERTORIO E LA VARIETA’ DELLA LINGUA


L’italiano standard rappresento il registro più elevato della nostra lingua, ma il
repertorio degli italiani è molto più ampio.
in Sociolinguistica, branca della linguistica che studia il rapporto tra linguaggio e
società,il REPERTORIO è l’insieme delle risorse linguistiche messe a disposizione di una
precisa comunità linguistica.
Varietà → le effettive realizzazioni di una lingua, posta in una concreta situazione
comunicativa; “lingua” è una nozione astratta, poichè la sua fisionomia dipende
dall’uso che se ne fa, dal parlante (uso e intenzioni) e da tutti i fattori che condizionano
la comunicazione umana.
Nel repertorio della comunità linguistica italiana rientrano l’italiano e la varietà in cui si
articola, i dialetti e le lingue minoritarie.

Le varietà dell’italiano dipendono da 5 fondamentali parametri, che si intrecciano in ogni


produzione; gli assi di variazione.
● diacronia: la lingua varia in basa al periodo, all’epoca, in cui è parlata
● diatopia: la lingua varia in basa al luogo in cui è parlata, così è più facile comprendere
se un parlante proviene da una regione meridionale, centrale o settentrionale.
● diafasia: la lingua varia in basa alla situazione, al contesto in cui è parlata e al
rapporto che lega i partecipanti alla comunicazione, creando diversi registri; ma
cambia anche all’argomento, così venendo a creare diversi sottogeneri.
● diamesia: la lingua varia in base al canale attraverso cui è trasmesso il messaggio, la
più diffusa è la distinzione tra gli italiani parlati da quelli scritti e da quelli trasmessi.
● diastratia: la lingua varia in basa alle caratteristiche socioculturali del parlante.
Negli usi linguistici, gli assi di variazione si intersecano, non a punto, per rappresentare il
repertorio linguistico italiano, si usa il grafico di Berruto.
❖ mancano due assi, che sono la diacronia e la diatopia, perchè il grafico da un idea delle
varietà dell’italiano contemporaneo, mentre la diatopia è posta sullo sfondo: la parte
geografica è fondamentale per l’orale, che tocca tutte le varietà che si trovano nella
parte inferiore del grafico (6,5,4,3) e quella che si trova nella parte sopra la linea dell’
asse orizzontale (2)
❖ l’asse orizzontale coincide con la variazione diamesica → a sinistra si trovano le
varietà scritte, verso destra quelle parlate, tra cui il parlato colloquiale (3).
❖ l’asse verticale coincide con la variazione diastratica → nella parte bassa si trova
l’italiano regionale popolare (4), le varietà gergali (6) e l’italiano informale trascurato ,
cioè il substandard (5).
❖ l’asse diagonale rappresenta la variazione diafasica → in basso a destra si trovano i
registri più informali. Il parlato colloquiale, pur essendo informale, si trova più al centro;
vuol dire che è una varietà interessata da un uso più ampio.
❖ poco al di sopra del centro della diagonale si trovano l’italiano neostandard e l’italiano
standard (2-1) → vuol dire che le due varietà hanno uno statuto diafasico medio-alto
(più alto dello standard).
❖ il riquadro in alto a sinistra, viene occupato da varietà scritte e formali, come l’italiano
burocratico, cioè la lingua dell’amministrazione (9), l’italiano tecnico-scientifico (8), e
l’italiano formale aulico (7), che si può identificare con l’italiano usato in situazioni
importanti.

1.2.1 L’italiano regionale

L’italiano regionale è una varietà della lingua collegata all’origine e alla distribuzione
geografica dei parlanti. Non è necessario essere esperti per comprendere le differenze di
pronuncia tra un veneto e un pugliese, anche se nel contesto formale, queste differenze
tenderanno a diminuire.
tutto ciò ci fa capire che la definizione di “italiano regionale” è un’astrazione, poiché ne
esistono diverse realizzazioni, da quella più vicino allo standard a quella più vicina al dialetto,
che sono influenzate dal livello sociale e culturale.
-gli italiani regionali si distinguono in 5 varietà principali che si possono suddividere in
sottovarietà:
● settentrionale;
● toscano;
● mediano;
● sordo;
● meridiano.

distinzione tra italiano regionale e italiano comune:


- prosodia e intonazione → l’ “accento”, che rappresenta il biglietto da visita della nostra
provenienza.
La Parodia Linguistica cioè le prese in giro che gli italiani si scambiano per il loro modo di
parlare, si basano sull’intonazione e sulla pronuncia, meno invece sul lessico e sulla
morfologia → questo fenomeno interessa soltanto la lingua parlata.
il Lessico, evidenzia come la prosodia e la pronuncia, aspetti idiosincratici che caratterizzano
gli italiani regionali.
il lessico regionale interessa per due motivi:
1. i geosinonimi → sinonimi su base geografica: referente materiale che può avere nomi
diversi da zona a zona;
2. i regionalismi → le voci che hanno una diffusione limitata ad alcune aree geografiche ,
anche se alcune volte risalgono all’italiano comune.

GEOSINONIMI:
sinonimi su base geografica, che cambiano da zona a zona:
- l’anguria al nord, al centro è il cocomero, mentre al sud è il melone.
- Il brufolo al nord, in toscano è il foruncolo, mentre a roma è il pedicello.
- al nord la sfiga, iella al centro-sud.
In questi tre esempi, il geosinonimo che tende a imporsi su scala internazionale è quello
settentrionale, essendo che oggi il settentrionale è la varietà considerata la più prestigiosa.
Oggi, i geosinonimi, sono numerosi e vanno via via espandendosi a causa dell’espansione
dell'italiano comune, che finisce con l'imporre soluzioni lessicali unitarie.
Geoomonimi → i vocaboli che, a parità di forma, hanno significato diverso nelle aree
geografiche:
- scodella è il piatto fondo nel centro-sud, mentre al nord è ciotola;
- menare a roma significa picchiare, mentre in certe regioni meridionali significa
andarsene.

molte voci regionali risalgono nell’italiano, con o senza connotazioni espressive, tuttavia, oltre
che nelle singole parole, la “regionalità” è contenuta anche negli usi fraseologici, a volte più
marcati localmente.
- a Roma, dritto per dritto significa ‘sempre dritto’, così come ‘ci sei o ci fai’?, che è una
domanda che equivale a ‘stai scherzando o dici sul serio?’.
- in Veneto ‘sei sempre compagno’ significa ‘sei sempre uguale’, e non ha allusione a idee
politiche.
- in Abruzzo ‘cercare l’elemosina’ significa ‘chiedere l’elemosina’.
- in Sicilia ‘dare una mano d’aiuto’ vuol dire semplicemente ‘aiutare’.

Tratti morfosintattici :
- varietà settentrionale → mica assoluto nelle negazioni, mica vero!
- uso di verbi sintagmatici → cioè accompagnati da un avverbio che ne precisa il significato,
prendi su la spesa.
un’altra cosa che viene prediletta dall’italiano settentrionale è l’uso del passato prossimo
anche con riferimenti a eventi remoti-
- Per la varietà toscana invece, il tratto più idiosincratico è la forma impersonale al posto
della prima persona plurale : noi si parte, al posto di noi partiamo.
- varietà romana: tratti perifrastici molto marcati regionalmente → costrutto:
che+verbo+a fare: “che strilli a fare”, perché strilli, o l’altra perifrasi stare a +infinito:
“ma che stai a dire?” .
un’altro tratto della varietà romana, è il “che” plastico introduttore di domanda: “che
me la dai una sigaretta?”.

1.2.2 L’ITALIANO DELL’USO MEDIO


Francesco SABATINI, attuale Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, individuò una
nuova varietà dell’italiano, che definì dell’uso medio, alludendo a una lingua particolarmente
ricettiva dei tratti del parlato, ma che sia in grado di essere usato sia nello scritto che nel
parlato di media formalità.
Negli stessi anni, Gaetano BERRUTO, descrisse un “nuovo” italiano che definì neostandard.
differenza tra italiano dell’uso medio e l’italiano neostandard è:
● l’uso medio ha una diffusione panitaliana, e non presenta quindi limitazione di tipo
areale.
si tratta nella visione di Sabatini, di una rivincita del parlato nei confronti della lingua scritta
di stampo letterario; così anche l’italiano conosce una mescolanza tra lingua scritta e parlata.
Elementi di novità dell’uso medio: i tratti elencati da Sabatini sono 35 e riguardano:
● fonologia
● morfologia questi tre, nella frase semplice.
● sintassi

e nella frase complessa:


● lessico
● sintassi.

questi 35 tratti, erano già presenti nella erano già presenti nella tradizione linguistica
fiorentina della nostra lingua, ma erano stati oscurati dalla filiera delle grammatiche
scolastiche, quindi si tratterebbe solo di riaffioramenti, dopo che un’interpretazione troppo
restrittiva della norma aveva censurato i tratti in questione → si fa riferimento anche alle
“frase marcate”, cioè le frasi segmentate e quelle scisse.

Tratti dell’uso medio → solo i 10 che Ilaria Bonomi ha indagata nella stampa e poi nella lingua
della narrativa:
1. lui, lei, loro soggetto;
2. gli pronome dativale unificato;
3. ciò pronome dimostrativo in via di sparizione;
4. alternanza tra che/cosa/che cosa come pronomi interrogativi;
5. prevalenza di che su quale in funzione di aggettivo interrogativo;
6. presente pro futuro;
7. alternanza passto remoto- prossimo;
8. indicativo al posto del congiuntivo in proposizioni dipendenti;
9. concordanze a senso;
10. uso di che “polivalente”, ovvero come giuntore generico.
All’italiano regionale e all’italiano dell’uso medio, andrebbe aggiunto anche l’italiano
POPOLARE, prodotte da persone dialettofone che avevano una scarsa o nulla conoscenza
della lingua nazionale dovuta all’alfabetizzazione.

SECONDO CAPITOLO

2.1 Repertorio e architettura delle varietà


In linguistica si usano linguaggi presi in prestito da altre discipline; è il caso appunto , dei
termini repertorio(preso dal linguaggio musicale) e architettura, con i quali si cerca di
descrivere il complesso intreccio delle varietà linguistiche.
l’analisi della varietà dipende da fattori storici, sociali, culturali e che riguardano la
specializzazione dei discorsi, la distribuzione lungo un percorso che va dall’alta formazione
del discorso alla dimessa informalità, l’uso del canale scritto o orale.
A tutti questi parametri, si dà nome agli assi di variazione.
Il repertorio linguistico è costituito dall’insieme delle varietà usate da una ben definita
comunità di parlanti → la nozione di comunità è vaga, in quanto indica agglomerati sociali di
diversa estensione: da abitanti di un borgo a tutti i cittadini italiani.
oltre a un repertorio sociale, esiste anche un repertorio individuale, che è costituito dal
bagaglio linguistico posseduto da ogni individuo, che si differenziano a seconda
dell’istruzione, della professione e del bagaglio culturale.

Pezzi che compongono il repertorio linguistico della comunità italiana di oggi:


1. l’italiano in tutte le sue varietà determinate dagli assi di variazioni (diafasico,
diamesico, diastratico, diatopico);
2. i dialetti italoromanzi;
3. le lingue di minoranze linguistiche;
4. le lingue di minoranze di recente immigrazione.

2.2 IL DIALETTO
il termine DIALETTO, proviene dal grego e significa “conversazione”, “discorso”, “modo di
parlare”; solo dopo acquista il significato di ‘lingua’.
questo termine fu introdotto nel 400’ e 500’ dagli umanisti, dal momento che la situazione di
frammentazione linguistica ricordava quella della Grecia antica.

Il ‘DIALETTO’, definito dal ‘Grande dizionario italiano dell’uso’ di Tullio De Mauro, dice che:
“il sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e
culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante e non
utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico”.

da questa definizione, si possono ricavare alcuni luoghi comuni molto diffusi in passato che si
devono eliminare:
● il dialetto è una lingua storpiata, o inferiore, o incompleta, o rozza.
al contrario, il dialetto è un sistema linguistico ben formato da tutti i punti di vista, del
tutto autonomo rispetto alla lingua nazionale.
● Il dialetto è la lingua degli ignoranti.
I dialetti hanno rappresentato, la risorsa linguistica in cui, nella comunicazione parlata,
si identificava l’intera comunità, ovviamente, chi aveva la possibilità di apprendere
l’italiano, che però non veniva molto usato nelle conversazioni anni fa.
● il dialetto connota chi lo usa come una persona destinata a restare ai margini
della società.
Oggi, chi usa solamente il dialetto, si troverebbe in grande difficoltà in una società
dove anche solo il possesso del solo italiano non garantisce di poter aspirare a ruoli e
professioni di rilievo.
Ma va detto che i dialettofoni puri, cioè quelli che sanno esprimersi solo usando il
dialetto, sono molto pochi.

invece si possono ricavare delle considerazioni positive:


● il dialetto è un sistema linguistico autosufficiente, che viene parlato in un’area
geografica ristretta, in contesti sociali culturali e sociali più limitati; che non può essere
impiegato negli ambiti formali, istituzionali.
Per poter parlare di Dialetto, è necessario che nella comunità sociale di riferimento sia
presente una varietà dominante, cui sono appunto demandati gli usi formali e ufficiali.
Per quanto riguarda i dialetti italoromanzi, la lingua dominante è la lingua italiana.

2.2.1 CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI ITALIANI


in Italia, i dialetti hanno avuto una diffusione capillare, ma sono tratti molto diversi tra loro e
quindi non facilitano un criterio uniforme di classificazione.
I linguisti si rifanno alla “Carta dei dialetti d’Italia” , disposto dal Glottologo “Giovanni
Battista Pellegrini” nel 1977, che individuò 5 sistemi, che a loro volta contengono altre varietà
affini tra di loro:
1. il sistema settentrionale, nel quale confluiscono i dialetti piemontesi, liguri, lombardi,
emiliano-romagnoli, veneti;
2. il sistemo friulano;
3. il sistemo toscano;
4. il sistema centro-meridionale, nel quale confluiscono i dialetti mediani, alto-meridionali
e i meridionali estremi;
5. il sistema sardo.

Tutte queste varietà, vengono definite Italoromanze, perché sono imparentate con l’italiano,
quindi riconoscono la loro “lingua tetto” (l’italiano).
Regis e Cerruti preferiscono parlare di lingua tetto, ossia la lingua che “copre” i dialetti ad
essa strettamente imparentati ed è usata nella scuola e nell’amministrazione pubblica.
Al contrario invece, le varietà alloglotte, anche con un livello socio culturale alto nell’italiano,
se ne allontanano drasticamente, e quindi non è possibile utilizzarle come “lingua tetto”.

Isoglosse: confini tra aree dialettali, e sono quei tratti linguistici che distinguono gruppi più o
meno ampi di dialetti, e dipendono dalla loro presenza o assenza.
Il territorio italiano è attraversato da due linee immaginarie attorno al quale si addensano
fasci di isoglossia:
1. linea La Spezia-Rimini → separa le varietà settentrionali (sopra la linea) da quelle
toscane e centrali o mediane (sotto la linea);
2. linea Roma- Ancona → separa varietà centrali(sopra la linea) da quelle meridionali
(sotto la linea).
Il sistema dialettale settentrionale si divide in due sub-aree:
● dialetti gallo-italici → piemontesi, liguri, lombardi, emiliano-romagnoli;
● dialetti veneti.
→ Isoglossa fonetica dei dialetti settentrionali:
● sonorizzazione fonetica delle consonanti occlusive sorde intervocaliche:
es: amica>amiga, nipoti>nevodi;
● degeminazione(processo fonologico che vede una consonante passare da geminata
“lunga” a scempia “breve”) delle consonanti intense intervocaliche:
es: cavalli>cavali, vacca>vaca.
→ differenza tra i due sottogruppi:
● presenza delle vocali turbate nei dialetti gallo-italici (lϋna) → sconosciuto dal gruppo
veneto;
● caduta delle vocali finali diverse da -a →che si conservano nei dialetti veneti.

I dialetti TOSCANI, sono caratterizzati dal passaggio da -rj a -j, sopratutto nella desinenza
latina -ARIUM che passa a -AJO: latino CALCEOLARIUM al toscano calzolaio.
un’altro tratto distintivo del dialetto Toscano, è la “Gorgia” → la spirantizzazione delle
consonanti occlusive sorde intervocaliche:
es: amico> amiho> amìo.
Dialetti CENTRALI (o Mediani) → assimilazione nessi consonantici:
-nd- in -nn-, -mb- in -mm-, -ld- in -ll-: quando > quanno, gamba > gamma, caldo > callo.

- altro tratto caratteristico della sub-area mediana → conservazione della distinzione tra
-u e -o finali del latino.
- sub-area alto-meridionale → vocalismo tonico caratterizzato dalla metafonesi, cioè la
chiusura della -e chiusa in -i e della -o chiusa in -u in parole terminanti in un originaria
-I o -U latina (es: niri “nero”, russo “rosso”) / nella stessa condizione possiamo trovare il
dittongamento condizionato di -e aperta in -ié e di -o aperta in -uò (es: castiello
“castello” e puorco “porco”).
- un’altro tratto diffuso è la centralizzazione delle vocali che tendono a diventare
evanescenti.

● per la sub-area meridionale estrema, si ricorda il vocalismo tonico di tipo siciliano, che
comprende 5 livelli di apertura, e non 7, come il toscano, dal momento che la -e chiusa
si assimila alla -i e la -o chiusa alla -u (es: sapiri → sapere, fitusu → fetoso).

2.2.2. CRISI DEI DIALETTI


Grazie all’istruzione scolastica dal 1861, cioè dall’Unità d’Italia, l’analfabetismo era diminuito
e si cominciò a diffondere l’italiano; un’altra agevolazione è stata data dal cambiamento
dell’assetto economico e culturale del Paese dal secondo Dopoguerra, che favorì il cosiddetto
boom economico, a cavallo tra gli anni 50’ e 60’ del 900’, ma il cambiamento lo si poteva
notare anche dal punto di vista linguistico: il ‘dialetto’, che fino a quel momento era il metodo
di comunicazione usato dai parlanti quotidianamente, e fu percepito come inadeguato e
rimosso dalle generazioni più giovani che erano anche le più istruite.

2.2.3 L’INTERAZIONE ITALIANO-DIALETTO


oggi, in Italia, nel repertorio linguistico l’italiano convive quasi sempre con uno o più dialetti.
L’interazione lingua-dialetto può avvenire in modi diversi, a seconda di come si utilizzano.
Presupposto → l’italiano costituisce la varietà alta, cioè quella insegnata a scuola, a cui
spetta la funzione di rappresentare gli usi formali e ufficiali della comunicazione ; il dialetto
rappresenta invece la varietà bassa, che è destinata agli usi informali.
gli aggettivi alto e basso, vanno intesi dal punto di vista sociolinguistico, e non come giudizi
di valore.

Nel 1959, il sociolinguista Charles A. Ferguson, coniò il termine “diglossia” (due-lingue), con il
quale indicò la compresenza di due codici diversi (alto e basso), ciascuno dei quali però ha
funzione diversa: il codice “alto” impiegato da tutti negli usi formali e istituzionali; il codice
“basso” usato da tutti nei contesti informali.
Ferguson aveva presenti alcune situazioni sociolinguistiche nelle quali non si confrontavano
delle lingue diverse, ma varietà di una stessa lingua; ed è il caso per esempio dell’arabo
classico (alto),e dell’arabo parlato (basso), del greco moderno standard (alto) e del greco
moderno parlato (basso).
Il modello di Ferguson si poteva, in passato, applicare alla situazione sociolinguistica italiana,
dato che l’italiano (alto), era riservato all’insegnamento scolastico e superiore, ed era la
lingua usata nella scrittura; il dialetto(basso) era la lingua della socializzazione primaria per la
maggioranza della popolazione, ed era confinato nella comunicazione del parlato.
Oggi? la novità odierna che si è diffusa dal secondo Dopoguerra in tutto il territorio
italoromanzo, consiste nel fatto che l’italiano non è più confinato negli usi colti e scritti, ma è
usato anche nella conversazione informale , invadendo così il campo che era stato ricoperto
per secoli dal solo dialetto.
non essendoci più la rigida ripartizione di competenze tra codici prevista nella situazione di
diglossia, hanno creato il termine dilalia (due modi di parlare), che prevede una distinzione
meno netta tra le due varietà , anche se resta marcata la distanza funzionale tra la varietà
alto(l’italiano) e varietà bassa (dialetto).
un caso a sé stante, nel panorama sociolinguistico italiano, è rappresentato dalla Toscana, da
Roma e da qualche altro centro urbano dell’Italia centrale → in queste aree infatti la distanza
tra l’italiano e le varietà locali è meno marcata che nel resto del paese; si ha invece un
“continuum” che va dal polo dell’alto standard fino a quello basso del dialetto, con in mezzo
una serie di possibilità intermedie, ora più prossime alla lingue, ora al dialetto.

questa frase in diversi realizzazione del repertorio romani


“Ho mangiato troppo, ora sono sazio e devo prendere un digestivo”:

A. ho mangiato troppo, ora sono sazio e devo prendere un digestivo;


B. ho mangiato troppo, adesso sono pieno e devo pigliare un diggestivo;
C. ho mangiato troppo,, mo’ sono pieno e devo pigliare un diggestivo;
D. ho mangiato troppo, mo’ so’ pieno e me devo piglià un diggestivo;
E. me so’ abbuffato, mo’ me sento abbottato e me devo pijà un diggestivo.

anche notando le enormi differenze tra a. ed e. , non ci si rende conto di trovarsi davanti a
codici strutturalmente lontani, come accade invece quando si mettono a confronto l’italiano
con i dialetti settentrionali o meridionali.
2.2.4 UN PO’ D’ITALIANO E UN PO’ DI DIALETTO
La situazione di dilalia, che riguarda la maggior parte del territorio italoromanzo, ha
determinato un fenomeno interessante: nella conversazione di tutti i giorni l’italiano (specie
nel registro colloquiale)

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