Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Lingua parlata:
Dopo il faticoso cammino che parte dall’unità d’Italia fino ad arrivare ad oggi, è
possibile confermare che tutti parlano l’italiano, ma esso si differenzia da persona a
persona dato che i vari dialetti influenzano molto la lingua parlata:
l’italiano di un Bolzanino non potrebbe mai coincidere con l’italiano di un Palermitano
→ vi saranno appunto differenze di intonazione e anche di pronuncia (che sono i più
rilevanti), nella morfosintassi e nel lessico (= per la presenza di regionalismi,
geosinonimi e geoomonimi).
tutto ciò non significa però che i due non parlino la medesima lingua, ma solo che il
loro italiano risente del retroterra dialettale di ciascuno → entrambi parlano il loro
italiano “regionale”, nel quale sono presenti dei tratti locali, che però non fa meno alla
loro unitarietà del modello.
Lingua scritta:
Per quanto riguarda lo scritto, le cose sono leggermente diverse: tra il bolzanino e il
palermitano, le differenze di scrittura saranno minime se non nulle.
Perchè?
essendo che il concetto di italiano scritto “standard”, appare legittimo se applicato
nello scritto.
L’italiano, a differenza di altre lingue europee, possiede una norma non sempre
univoca: è caratterizzata da endemica polimorfia, a causa della frammentazione
politica e del policentrismo linguistico.
● apocope (caduta della vocale finale) vocalica facoltativa → si può dire bicchiere
o bicchier d’acqua;
● possibile alternanza col/con il;
● estensione del pronome dativale gli alla terza persona plurale (loro) e alla terza
persona singolare femminile (le);
● duello tra lui/egli, lei/ella, loro/essi come pronomi soggetto di terza persona , a
cui si è recentemente aggiunto il te, come pronome soggetto accanto al tu;
● pronome allocutivo plurale voi o loro → come voi sapete, come loro sanno;
● nel ramo dei dimostrativi, codesto non è totalmente scomparso, poiché ora viene
utilizzato solo in Toscana, che può sostituire questo in alcuni contesti burocratici;
mentre nella forma scritta è vitale l’uso di tale;
● allomorfia pronuncia / pronunzia;
● possibile accordo del participio con il soggetto → vi ho visti uscire / vi ho visto
uscire;
● possibile uso degli ausiliari dei verbi servili sia essere che avere davanti a verbi
intransitivi → sono dovuto partire / ho dovuto partire;
● campo morfologico → oscillazione tra è piovuto/ha piovuto.
un caso di grande incertezza della norma italiana, ma non solo, è l’uso del femminile
per le cariche pubbliche o professioni, che per tradizione, sono state svolte e coperte
da uomini e che solo di recente hanno visto la partecipazione delle donne.
Questo argomento è uno dei quali il dibattito è gravato da eccessi di ideologia → di
fatto per quanto riguarda ad esempio la carica di ministro riferito a una donna,
l’italiano offre varie possibilità, come ad esempio la ministra, il ministro, la ministro,
la ministressa che però viene usato per lo più come dispregiativo.
Nell’Italiano Standard si può individuare la varietà di lingua che tende a far aderire
l’uso individuale alla norma:
● conoscenza sicura dell’ortografia e dell’interpunzione → non solo dei segni di
punteggiatura, ma anche dei segni paragrafematici, ossia delle lineette,
virgolette, parentesi, caratteri speciali, molto importanti all’interno di testi medio
complessi;
● padronanza della morfologia flessiva verbale e nominale;
● conoscenza dei processi di formazione delle parole;
● conoscenza nel campo della microsintassi → es: per quanto attiene alle reggenze
preposizionali;
● uso corretto degli elementi coesivi e connettivi nei collegamenti sintattici e
testuali;
● Capacità di far uso di tutti i tipi proposizionali e di regolare e disporre
correttamente i rapporti tra principali e secondarie.
● Buon dominio della testualità, ovvero della capacità di costruire testi usando
correttamente gli incastri proposizionali complessi attraverso i meccanismi della
coordinazione e della subordinazione.
● Buon dominio del lessico attraverso la conoscenza e la padronanza di ampi
settori del vocabolario intellettuale, astratto, letterario, tecnico-scientifico: il
parlante dovrebbe cioè essere in grado di produrre testi mediamente complessi e
di sapere interpretare testi mediamente complessi.
● Uso appropriato di sinonimi, iperonimi, iponimi, antonimi.
Tuttavia, per quanto riguarda le infrazioni della norma sul versante del parlato, sono
maggiori e più tollerate; però sarebbe più auspicabile per quanto riguarda la
pronuncia, la conoscenza e l’uso dell’intero reperto fonologico dell’italiano.
Il termine “norma”, nella linguistica, può essere utilizzato con due accezioni differenti.
1. norma esplicita, che fa riferimento all’insieme di regole, che occorrono a definire
la prestigiosità dell’italiano standard, e che individua i corretti usi linguistici.
Questo tipo di norma è codificato nelle grammatiche e da soggetti normatori che
possono cambiare a seconda delle epoche.
- A partire dagli studi linguistici del rumeno Eugenio Coseriu, si espande il
concetto di norma che rimanda alla media delle realizzazioni linguistiche
individuali, cioè agli usi linguistici che i parlanti utilizzano senza che
qualche autorità venga ad affermare o che ne indichi la legittimità.
2. norma implicita, che comprende gli usi reali della lingua e comprende il
comportamento linguistico della maggior parte dei parlanti.
- è molto spesso la norma incipiente, nel senso che anticipa un aggiustamento
della norma tradizionale → i tratti innovativi, che inizialmente non vengono
guardati di buon occhio, alla fine si affermano in una fase successiva.
queste due norme (imp. ed esp.) non sono sempre allineate: alcuni fattori che fanno
parte della norma implicita, e quindi usati tranquillamente dai parlanti, in forma
esplicita sono censurati.
L’italiano regionale è una varietà della lingua collegata all’origine e alla distribuzione
geografica dei parlanti. Non è necessario essere esperti per comprendere le differenze di
pronuncia tra un veneto e un pugliese, anche se nel contesto formale, queste differenze
tenderanno a diminuire.
tutto ciò ci fa capire che la definizione di “italiano regionale” è un’astrazione, poiché ne
esistono diverse realizzazioni, da quella più vicino allo standard a quella più vicina al dialetto,
che sono influenzate dal livello sociale e culturale.
-gli italiani regionali si distinguono in 5 varietà principali che si possono suddividere in
sottovarietà:
● settentrionale;
● toscano;
● mediano;
● sordo;
● meridiano.
GEOSINONIMI:
sinonimi su base geografica, che cambiano da zona a zona:
- l’anguria al nord, al centro è il cocomero, mentre al sud è il melone.
- Il brufolo al nord, in toscano è il foruncolo, mentre a roma è il pedicello.
- al nord la sfiga, iella al centro-sud.
In questi tre esempi, il geosinonimo che tende a imporsi su scala internazionale è quello
settentrionale, essendo che oggi il settentrionale è la varietà considerata la più prestigiosa.
Oggi, i geosinonimi, sono numerosi e vanno via via espandendosi a causa dell’espansione
dell'italiano comune, che finisce con l'imporre soluzioni lessicali unitarie.
Geoomonimi → i vocaboli che, a parità di forma, hanno significato diverso nelle aree
geografiche:
- scodella è il piatto fondo nel centro-sud, mentre al nord è ciotola;
- menare a roma significa picchiare, mentre in certe regioni meridionali significa
andarsene.
molte voci regionali risalgono nell’italiano, con o senza connotazioni espressive, tuttavia, oltre
che nelle singole parole, la “regionalità” è contenuta anche negli usi fraseologici, a volte più
marcati localmente.
- a Roma, dritto per dritto significa ‘sempre dritto’, così come ‘ci sei o ci fai’?, che è una
domanda che equivale a ‘stai scherzando o dici sul serio?’.
- in Veneto ‘sei sempre compagno’ significa ‘sei sempre uguale’, e non ha allusione a idee
politiche.
- in Abruzzo ‘cercare l’elemosina’ significa ‘chiedere l’elemosina’.
- in Sicilia ‘dare una mano d’aiuto’ vuol dire semplicemente ‘aiutare’.
Tratti morfosintattici :
- varietà settentrionale → mica assoluto nelle negazioni, mica vero!
- uso di verbi sintagmatici → cioè accompagnati da un avverbio che ne precisa il significato,
prendi su la spesa.
un’altra cosa che viene prediletta dall’italiano settentrionale è l’uso del passato prossimo
anche con riferimenti a eventi remoti-
- Per la varietà toscana invece, il tratto più idiosincratico è la forma impersonale al posto
della prima persona plurale : noi si parte, al posto di noi partiamo.
- varietà romana: tratti perifrastici molto marcati regionalmente → costrutto:
che+verbo+a fare: “che strilli a fare”, perché strilli, o l’altra perifrasi stare a +infinito:
“ma che stai a dire?” .
un’altro tratto della varietà romana, è il “che” plastico introduttore di domanda: “che
me la dai una sigaretta?”.
questi 35 tratti, erano già presenti nella erano già presenti nella tradizione linguistica
fiorentina della nostra lingua, ma erano stati oscurati dalla filiera delle grammatiche
scolastiche, quindi si tratterebbe solo di riaffioramenti, dopo che un’interpretazione troppo
restrittiva della norma aveva censurato i tratti in questione → si fa riferimento anche alle
“frase marcate”, cioè le frasi segmentate e quelle scisse.
Tratti dell’uso medio → solo i 10 che Ilaria Bonomi ha indagata nella stampa e poi nella lingua
della narrativa:
1. lui, lei, loro soggetto;
2. gli pronome dativale unificato;
3. ciò pronome dimostrativo in via di sparizione;
4. alternanza tra che/cosa/che cosa come pronomi interrogativi;
5. prevalenza di che su quale in funzione di aggettivo interrogativo;
6. presente pro futuro;
7. alternanza passto remoto- prossimo;
8. indicativo al posto del congiuntivo in proposizioni dipendenti;
9. concordanze a senso;
10. uso di che “polivalente”, ovvero come giuntore generico.
All’italiano regionale e all’italiano dell’uso medio, andrebbe aggiunto anche l’italiano
POPOLARE, prodotte da persone dialettofone che avevano una scarsa o nulla conoscenza
della lingua nazionale dovuta all’alfabetizzazione.
SECONDO CAPITOLO
2.2 IL DIALETTO
il termine DIALETTO, proviene dal grego e significa “conversazione”, “discorso”, “modo di
parlare”; solo dopo acquista il significato di ‘lingua’.
questo termine fu introdotto nel 400’ e 500’ dagli umanisti, dal momento che la situazione di
frammentazione linguistica ricordava quella della Grecia antica.
Il ‘DIALETTO’, definito dal ‘Grande dizionario italiano dell’uso’ di Tullio De Mauro, dice che:
“il sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e
culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante e non
utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico”.
da questa definizione, si possono ricavare alcuni luoghi comuni molto diffusi in passato che si
devono eliminare:
● il dialetto è una lingua storpiata, o inferiore, o incompleta, o rozza.
al contrario, il dialetto è un sistema linguistico ben formato da tutti i punti di vista, del
tutto autonomo rispetto alla lingua nazionale.
● Il dialetto è la lingua degli ignoranti.
I dialetti hanno rappresentato, la risorsa linguistica in cui, nella comunicazione parlata,
si identificava l’intera comunità, ovviamente, chi aveva la possibilità di apprendere
l’italiano, che però non veniva molto usato nelle conversazioni anni fa.
● il dialetto connota chi lo usa come una persona destinata a restare ai margini
della società.
Oggi, chi usa solamente il dialetto, si troverebbe in grande difficoltà in una società
dove anche solo il possesso del solo italiano non garantisce di poter aspirare a ruoli e
professioni di rilievo.
Ma va detto che i dialettofoni puri, cioè quelli che sanno esprimersi solo usando il
dialetto, sono molto pochi.
Tutte queste varietà, vengono definite Italoromanze, perché sono imparentate con l’italiano,
quindi riconoscono la loro “lingua tetto” (l’italiano).
Regis e Cerruti preferiscono parlare di lingua tetto, ossia la lingua che “copre” i dialetti ad
essa strettamente imparentati ed è usata nella scuola e nell’amministrazione pubblica.
Al contrario invece, le varietà alloglotte, anche con un livello socio culturale alto nell’italiano,
se ne allontanano drasticamente, e quindi non è possibile utilizzarle come “lingua tetto”.
Isoglosse: confini tra aree dialettali, e sono quei tratti linguistici che distinguono gruppi più o
meno ampi di dialetti, e dipendono dalla loro presenza o assenza.
Il territorio italiano è attraversato da due linee immaginarie attorno al quale si addensano
fasci di isoglossia:
1. linea La Spezia-Rimini → separa le varietà settentrionali (sopra la linea) da quelle
toscane e centrali o mediane (sotto la linea);
2. linea Roma- Ancona → separa varietà centrali(sopra la linea) da quelle meridionali
(sotto la linea).
Il sistema dialettale settentrionale si divide in due sub-aree:
● dialetti gallo-italici → piemontesi, liguri, lombardi, emiliano-romagnoli;
● dialetti veneti.
→ Isoglossa fonetica dei dialetti settentrionali:
● sonorizzazione fonetica delle consonanti occlusive sorde intervocaliche:
es: amica>amiga, nipoti>nevodi;
● degeminazione(processo fonologico che vede una consonante passare da geminata
“lunga” a scempia “breve”) delle consonanti intense intervocaliche:
es: cavalli>cavali, vacca>vaca.
→ differenza tra i due sottogruppi:
● presenza delle vocali turbate nei dialetti gallo-italici (lϋna) → sconosciuto dal gruppo
veneto;
● caduta delle vocali finali diverse da -a →che si conservano nei dialetti veneti.
I dialetti TOSCANI, sono caratterizzati dal passaggio da -rj a -j, sopratutto nella desinenza
latina -ARIUM che passa a -AJO: latino CALCEOLARIUM al toscano calzolaio.
un’altro tratto distintivo del dialetto Toscano, è la “Gorgia” → la spirantizzazione delle
consonanti occlusive sorde intervocaliche:
es: amico> amiho> amìo.
Dialetti CENTRALI (o Mediani) → assimilazione nessi consonantici:
-nd- in -nn-, -mb- in -mm-, -ld- in -ll-: quando > quanno, gamba > gamma, caldo > callo.
- altro tratto caratteristico della sub-area mediana → conservazione della distinzione tra
-u e -o finali del latino.
- sub-area alto-meridionale → vocalismo tonico caratterizzato dalla metafonesi, cioè la
chiusura della -e chiusa in -i e della -o chiusa in -u in parole terminanti in un originaria
-I o -U latina (es: niri “nero”, russo “rosso”) / nella stessa condizione possiamo trovare il
dittongamento condizionato di -e aperta in -ié e di -o aperta in -uò (es: castiello
“castello” e puorco “porco”).
- un’altro tratto diffuso è la centralizzazione delle vocali che tendono a diventare
evanescenti.
● per la sub-area meridionale estrema, si ricorda il vocalismo tonico di tipo siciliano, che
comprende 5 livelli di apertura, e non 7, come il toscano, dal momento che la -e chiusa
si assimila alla -i e la -o chiusa alla -u (es: sapiri → sapere, fitusu → fetoso).
Nel 1959, il sociolinguista Charles A. Ferguson, coniò il termine “diglossia” (due-lingue), con il
quale indicò la compresenza di due codici diversi (alto e basso), ciascuno dei quali però ha
funzione diversa: il codice “alto” impiegato da tutti negli usi formali e istituzionali; il codice
“basso” usato da tutti nei contesti informali.
Ferguson aveva presenti alcune situazioni sociolinguistiche nelle quali non si confrontavano
delle lingue diverse, ma varietà di una stessa lingua; ed è il caso per esempio dell’arabo
classico (alto),e dell’arabo parlato (basso), del greco moderno standard (alto) e del greco
moderno parlato (basso).
Il modello di Ferguson si poteva, in passato, applicare alla situazione sociolinguistica italiana,
dato che l’italiano (alto), era riservato all’insegnamento scolastico e superiore, ed era la
lingua usata nella scrittura; il dialetto(basso) era la lingua della socializzazione primaria per la
maggioranza della popolazione, ed era confinato nella comunicazione del parlato.
Oggi? la novità odierna che si è diffusa dal secondo Dopoguerra in tutto il territorio
italoromanzo, consiste nel fatto che l’italiano non è più confinato negli usi colti e scritti, ma è
usato anche nella conversazione informale , invadendo così il campo che era stato ricoperto
per secoli dal solo dialetto.
non essendoci più la rigida ripartizione di competenze tra codici prevista nella situazione di
diglossia, hanno creato il termine dilalia (due modi di parlare), che prevede una distinzione
meno netta tra le due varietà , anche se resta marcata la distanza funzionale tra la varietà
alto(l’italiano) e varietà bassa (dialetto).
un caso a sé stante, nel panorama sociolinguistico italiano, è rappresentato dalla Toscana, da
Roma e da qualche altro centro urbano dell’Italia centrale → in queste aree infatti la distanza
tra l’italiano e le varietà locali è meno marcata che nel resto del paese; si ha invece un
“continuum” che va dal polo dell’alto standard fino a quello basso del dialetto, con in mezzo
una serie di possibilità intermedie, ora più prossime alla lingue, ora al dialetto.
anche notando le enormi differenze tra a. ed e. , non ci si rende conto di trovarsi davanti a
codici strutturalmente lontani, come accade invece quando si mettono a confronto l’italiano
con i dialetti settentrionali o meridionali.
2.2.4 UN PO’ D’ITALIANO E UN PO’ DI DIALETTO
La situazione di dilalia, che riguarda la maggior parte del territorio italoromanzo, ha
determinato un fenomeno interessante: nella conversazione di tutti i giorni l’italiano (specie
nel registro colloquiale)