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LECTURE 2
VARIETA' LINGUISTICHE
VARIETA' DIAFASICHE
varietà che dipendono dal contesto comunicativo

Si dividono in:

varietà diafasiche situazionali (registri) :dipendono dalla situazione comunicativa, e in particolare dal ruolo
reciproco assunto dal mittente e dal destinatario;

varietà diafasiche funzionali (sottocodici) : dipendono dall'argomento del discorso e dall'ambito esperienziale di
riferimento

REGISTRI
Il registro è una varietà della lingua di tipo diafasico situazionale: cioè è legato alla situazione comunicativa, alla
situazione concreta in cui avviene la comunicazione, e in particolare al tipo di rapporto esistente tra i soggetti della
comunicazione, al grado di formalità della situazione comunicativa.

I registri non vanno confusi con altre varietà della lingua, ad esempio con l’italiano popolare (varietà diastratica) o con
varietà diatopiche (italiani regionali), anche se queste possono essere utilizzate in situazioni informali, dunque in registri
bassi e trascurati.
I parametri linguistici che definiscono i vari registri sono

la maggiore o minore accuratezza espressiva;

la maggiore o minore formalità;

la maggiore o minore adesione agli standard grammaticali.

I parametri socio-linguistici concomitanti sono

il grado di familiarità tra gli interlocutori;

la situazione;

il tempo,

il luogo.

La diversificazione tra i vari registri coinvolge quasi tutte le strutture della lingua:
→la morfologia, che però risulta meno coinvolta;
→la fonetica (ad es. la pronuncia più o meno corretta, più o meno sorvegliata);
→la sintassi;
→il lessico.
Se ci soffermiamo in particolare sul lessico, notiamo che esistono in italiano serie di parole che di per sé sono sinonimi,
ma che non possono essere usate in modo indifferenziato, cioè non possono essere usate indifferentemente in tutti i
contesti comunicativi.
Naturalmente si verifica una grande variabilità di situazioni comunicative e per questo non è possibile stabilire dei
confini netti tra diversi livelli di formalità e quindi tra un registro e l’altro: la lingua è un continuum lungo il quale si
possono riconoscere dei ‘gradini’ o livelli collegati in modo fluido. Perciò si parla, a proposito della variazione di registro,
di parametro a variazione continua.

registro formale - aulico


Si usa in situazioni solenni e formali, in cui è richiesto un grado molto elevato di accuratezza.
Tratti linguistici:

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pronuncia molto controllata;

tendenza alla verbosità (perifrasi, ricca aggettivazione);

ampia gamma lessicale;

uso di lessico astratto e arcaizzante;

preferenza per le forme impersonali;

sintassi elaborata.

registro standard letterario


Si usa in contesti comunicativi formali, in cui è richiesto un grado elevato di accuratezza: non è dunque solo la lingua
letteraria, ma un registro che ha come riferimento quella lingua, così come è descritta e regolata dai manuali e dalle
grammatiche.
Tratti linguistici (in misura leggermente inferiore rispetto al registro aulico):

accuratezza nella pronuncia;

rispetto rigoroso delle norme grammaticali;

ampia varietà lessicale; uso frequente di termini astratti;

uso di parole letterarie e di arcaismi; frequenza dei connettivi;

preferenza per una sintassi elaborata con periodi complessi.

Spesso si verifica un fraintendimento: si ritiene che parole o espressioni tecniche e specialistiche, ad esempio
del sottocodice burocratico, siano di per sé di registro elevato e formale. Ciò però non è vero (o per lo meno non
lo è sempre) e l’uso di queste espressioni andrebbe limitato appunto ai sottocodici di rispettiva appartenenza.

registro medio
Si usa in contesti comunicativi di livello medio, nei normali rapporti sociali e in testi scritti non ‘impegnati’. È dunque il
registro che risponde alle esigenze della quotidianità. È caratterizzato da sostanziale correttezza, appropriatezza nell’uso
della lingua e un lessico vario, ma rispetto al registro standard letterario è più flessibile e ‘aperto’.

Di seguito si fornisce una breve esemplificazione:

lessico

→ uso di forestierimi, soprattutto anglicismi (anche modificati)


→ uso di parole appartenenti ad altre classi grammaticali con funzione di aggettivi: niente, zero, no, gratis

→ creazione di neologismi con suffisso in -ismo, -ista, -bile, -eria, in -ata/o


→ uso di prefissi superlativi: mega-, maxi-, iper-, super-, ultra, extra-

→ uso di diminutivi e vezzeggiativi


→ uso di espressioni come ‘si capisce’ (è ovvio), ‘si vede’ (è chiaro), ‘ci vuole’ (occorre), ‘lo stesso’ (ugualmente), ‘se
no’ (altrimenti), ‘solo che’ (tuttavia)

morfologia e sintassi: sostituzione delle forme più colte con altre meno colte, o meno conformi alla grammatica
standard, o più semplici

→ uso di ‘piuttosto che’ con valore disgiuntivo


→ uso del pronome ‘gli’ sia per il maschile che per il femminile, e sia per il singolare che per il plurale

→ estensione dell’uso dei pronomi ‘questo’ e ‘quello’ che tendono a sostituire ‘ciò’
→ ‘ci’ in funzione avverbiale, al posto di ‘lì’, ‘qui’, ‘qua’

→ preferenza per la forma del pronome relativo soggetto ‘che’


→ semplificazione delle congiunzioni

→ uso di forme vuote come ‘in realtà’, ‘praticamente’

→ tendenza al rafforzamento di aggettivi e sostantivi attuato secondo vari meccanismi


→ semplificazione del sistema verbale: uso prevalente del modo indicativo e del tempo presente; il tempo futuro
viene usato per lo più a esprimere opinioni, ipotesi, deduzioni ecc. – il cosiddetto ‘futuro epistemico’

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→ uso del cosiddetto ‘che polivalente’: ‘che’ come introduttore generico di frasi subordinate, che possono avere
valore temporale, causale, finale ecc.

→ uso di frasi pseudorelative introdotte da ‘quello che è’, ‘quelli che sono’ ecc.

→ uso frequente della sintassi marcata


→ uso di segnali discorsivi a inizio frase (ma, dunque, allora, insomma, bene ecc.) con funzione diversa da quella
tradizionale, cioè parzialmente svuotati del loro significato proprio

→ uso della concordanza a senso

→ nell’organizzazione sintattica, prevalenza della paratassi rispetto alla ipotassi

registro parlato colloquiale


Si usa in un contesto comunicativo informale, familiare, confidenziale, in generale in una conversazione non impegnata.
È usato prevalentemente, ma non solo, nella comunicazione orale e ha un’estensione molto vasta, cioè può andare da un
grado molto colloquiale e informale a un grado solo lievemente informale.

Tratti linguistici:

nella pronuncia, scarso controllo sulle inflessioni regionali e municipali;

scarsa varietà nel lessico; uso di lessico popolare ed espressivo, colorito;

nello stesso tempo, uso di lessico generico, comune e ‘banale’;

apertura alle forme regionali; uso di forme abbreviate e di alterati (diminutivi, accrescitivi, dispregiativi,
vezzeggiativi);

preferenza per il modo verbale indicativo; sintassi semplificata che privilegia la paratassi; uso della sintassi marcata;

impiego ripetuto di pochi connettivi; rispetto non costante delle norme grammaticali;

mancanza di un’attenta pianificazione del discorso.

registro informale trascurato


È il registro più ‘basso’ fra quelli presi qui in considerazione, utilizzato in situazioni di estrema informalità e
caratterizzato da trascuratezza formale, da mancanza di controllo nella elocuzione, dall’assenza di un preciso progetto
comunicativo e piuttosto da improvvisazione.

Tratti linguistici:

pronuncia trascurata e semplificata (ad esempio dei nessi ‘difficili’);

ripetitività del lessico;

prevalenza di lessico generico;

uso di lessico espressivo e colorito; uso di commenti, epiteti, imprecazioni;

l’uso di lessico scatologico e volgare;

abbondanza di parole abbreviate;

uso di frasi brevi e molto brevi;

scarsa progettazione dell’architettura testuale.

Nell’italiano contemporaneo è indubbio l’ampliamento dei registri bassi, informali e colloquiali, spesso anzi
ipercolloquiali, anche grazie alla comunicazione dei cosiddetti ‘nuovi media’, che è immediata, spontanea, non
sorvegliata. Siamo infatti esposti ai modelli linguistici che provengono dai nuovi media e che sono
generalmente informali, ‘sciolti’, ‘brillanti’, talvolta anche trascurati. Tuttavia non bisogna perdere di vista la
necessità di adeguarsi al contesto comunicativo. Dobbiamo insomma acquisire una buona competenza
comunicativa, cioè la capacità di adeguare la lingua al contesto e alla situazione comunicativa.

Detto questo, è però anche vero che il singolo parlante può fare una scelta, può cioè scegliere uno stile pur
sempre adeguandosi alle esigenze del contesto comunicativo

SOTTOCODICI

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I sottocodici sono varietà della lingua di tipo diafasico funzionale, legate a particolari ambiti extralinguistici, cioè a
particolari e specifici campi del sapere e dell’attività umana. I sottocodici (detti anche lingue speciali, linguaggi settoriali,
linguaggi specialistici, microlingue ecc.) sono dunque usati dagli specialisti e dagli esperti di un dato settore e hanno
diffusione limitata e ristretta.

In realtà i sottocodici possono essere posseduti dai parlanti in base alla loro competenza in un determinato settore: si
può quindi andare da un possesso totale a un possesso parziale da parte di non addetti ai lavori, ma dotati di un livello di
istruzione medio-alta e di una buona cultura, oppure dotati di conoscenze derivate dall’esperienza personale in un
determinato settore), fino alla quasi totale ignoranza. Si pone qui il problema della comprensibilità, cioè dell’uso adeguato
di un determinato sottocodice.

Quando si parla di sottocodici ci si riferisce a un insieme numeroso e variegato, all’interno del quale ci possono essere
molte differenze. Inoltre i sottocodici possono avere un diverso grado di specializzazione: in alcuni è molto alto, in altri
invece è minore e il lessico può essere ampiamente tratto dalla lingua comune. Naturalmente anche il grado di
specializzazione può essere adattato a seconda delle diverse situazioni comunicative, del contesto in cui avviene la
comunicazione, del pubblico a cui ci si orienta.

Bisogna poi considerare che nella lingua italiana contemporanea l’insieme dei sottocodici è aperto e in continua
evoluzione, in relazione:

a) ai numerosi settori e sottosettori che si vengono a creare;


b) alle innovazioni tecnologiche del settore di riferimento.

I sottocodici producono testi in cui predomina la funzione referenziale, cioè informativa. L’utilizzo dei sottocodici
permette una comunicazione efficace rispetto allo scopo della comunicazione settoriale, cioè:
a) emotivamente neutra: si tratta però di un criterio che va ben inteso, e considerato in senso non assoluto

b) chiara, precisa, senza ambiguità

c) economica e rapida, sintetica.

In generale si può dire che i sottocodici presentano caratteristiche particolari sia nell’organizzazione del testo, sia sul
piano morfologico e sintattico: a livello testuale, spesso il discorso è organizzato in modo rigido, come una sequenza di
informazioni, in blocchi tematici, fa uso di definizioni e di esempi; a livello morfosintattico, tende a usare la
nominalizzazione e la paratassi.

Senz’altro però l’aspetto più rilevante dei sottocodici è quello lessicale: mantenendo come base la lingua comune, essi
infatti si caratterizzano per l’utilizzo di un lessico speciale (specialistico, di specialità), cioè per una terminologia, che si
riferisce a un determinato settore di attività culturale, professionale, disciplinare. Esso comprende un alto numero di
tecnicismi, cioè parole specifiche di un dato settore o sapere, che hanno natura referenziale e che all’interno di
quel settore non possono essere soggette a più interpretazioni (sono dunque monosemici).

I tecnicismi possono essere:

tecnicismi specifici o primari (termini): propri di un determinato sottocodice;

parole che hanno subito una rideterminazione semantica (specializzazione): termini già esistenti nella lingua
comune, cui viene assegnato un significato specifico relativo a un particolare settore;

forestierismi;

sigle: sequenza delle lettere iniziali di una serie di nomi, enti, ditte o termini scientifici;

acronimi: sono così definiti sia le sigle vere e proprie, sia le parole composte che si ottengono mettendo in sequenza
più di una lettera delle parole abbreviate.

Molto spesso, inoltre, i sottocodici fanno uso di tecnicismi collaterali, cioè di parole o espressioni caratteristiche di un
certo ambito settoriale, ma non necessarie di per sé alla comunicazione: essi piuttosto rispondono all’opportunità di
adoperare un registro elevato in situazioni formali, quali sono, tipicamente, quelle in cui si esercitano alcune professioni
e contribuiscono così a distinguere il sottocodice dalla lingua comune.

Fra lingua comune e sottocodici si verifica un continuo interscambio, in entrambi i sensi.

l'italiano manageriale
È il sottocodice nato nelle filiali italiane di grandi aziende internazionali e spesso usato nella comunicazione aziendale: è
usato da dirigenti, imprenditori, funzionari amministrativi, tecnici, impiegati.

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Si caratterizza in particolare per la forte presenza di tecnicismi collaterali e di anglicismi: il loro uso spesso non si
giustifica per esigenze oggettive (di precisione ed economia comunicativa, quindi di efficacia: per questo sono detti
‘collaterali’), ma per il loro valore connotativo. Essi infatti hanno lo scopo di suggerire un’idea di efficienza, modernità,
imprenditorialità; di veicolare l’idea del lavoratore moderno, dell’imprenditore.

Naturalmente non si tratta di rinunciare al forestierismo, che spesso è più sintetico del corrispettivo italiano, e
che può esprimere inoltre un giusto sentimento di appartenenza, purché usato in modo critico. Si tratta di
diventare consapevoli della ricchezza del lessico della lingua, di padroneggiare la sua ‘struttura’, fatta sia di
termini autoctoni che di forestierismi, e infine di non cadere negli automatismi linguistici, nello stereotipo.

VARIETA' DIATOPICHE
Sono le varietà che dipendono dall’area geografica di appartenenza. Anche se sono meno marcate che in passato,
soprattutto presso le nuove generazioni, sono però ancora ben presenti. Anzi, la variazione di tipo spaziale e geografico,
come già detto, è il più importante elemento di differenziazione linguistica in Italia.

GLI ITALIANI REGIONALI


In particolare i vari italiani regionali sono le varietà usate nelle diverse regioni italiane, dove però ‘regione’ non coincide
con la regione amministrativa, ma con l’area geografica in cui una data varietà appunto è usata, e che può essere poco o
molto estesa. Le varietà regionali derivano dall’italiano,sul quale agiscono in modo più o meno evidente i vari dialetti
locali. Ciò deriva soprattutto da ragioni storiche: soprattutto nel parlato, fino al XX secolo si usavano quasi
esclusivamente i dialetti (che sono una cosa diversa dagli italiani regionali). A partire dall’inizio del Novecento la
progressiva diffusione dell’italiano ha causato la regressione dei dialetti, ma l’italiano a sua volta è stato modificato dal
sostrato dialettale, dando vita agli italiani regionali. Gli italiani regionali sono oggi di fatto la varietà linguistica più usata
dagli italiani, perché è il tipo di lingua che viene usata quotidianamente.
Sul piano morfologico (ad es. l’uso dei tempi verbali, l’uso dell’articolo davanti ai nomi propri, l’uso del ‘si’ impersonale
con pron. di 1a pers. plur.) e sintattico le differenze sono meno percepibili ed evidenti di un tempo. È invece soprattutto
sul piano fonetico e lessicale che le variazioni diatopiche sono ancora marcate.
Per quanto riguarda la fonetica, di fatto quasi nessuno usa la pronuncia standard dell’italiano letterario. L’intonazione
(quello che comunemente si chiama parlata o accento) e le varie realizzazioni fonetiche (ad es. il diverso grado di
apertura delle vocali) sono nella quasi totalità dei casi di tipo ‘regionale’: ogni parlante conserva un ‘accento’ proprio del
luogo in cui vive o del quale è nativo.

Per quanto riguarda il lessico si parla di geosinonimi, cioè di sinonimi che hanno diffusione solo in alcune aree. Si tratta per
lo più, ma non solo, di parole che riguardano la vita quotidiana.
Diverso è il caso dei geoomonimi, cioè di parole diffuse in più italiani regionali ma con significati diversi:

I DIALETTI
I dialetti, a differenza dell’italiano regionale, sono lingue autonome, che cioè si sono gradualmente sviluppate dal latino
parlato (non dall’italiano): essi hanno strutture fonetiche, morfologiche e sintattiche proprie, distinte da quelle della
lingua italiana.
Rispetto alla lingua i dialetti
a) hanno una diffusione geografica limitata;

b) hanno minori possibilità di impiego, perché sono generalmente usati nel parlato (anche se esiste, almeno per alcuni,
una tradizione letteraria dialettale: ad esempio, per il dialetto milanese, veneziano, napoletano) e in contesti familiari e
informali;

c) da ciò deriva che i dialetti godono di minor prestigio sociale.


I dialetti in Italia sono assai numerosi, come si può verificare concretamente spostandosi nella penisola: è possibile
tuttavia classificarli in gruppi tenendo conto di alcune caratteristiche che li accomunano. Nel corso del tempo sono state
proposte diverse classificazioni. Una tappa importante è rappresentata dagli studi di Gerhard Rohlfs che nel 1937 stabilì
due spartiacque linguistici principali: la linea La SpeziaRimini e la linea Roma-Ancona.
Come succede con i vari italiani regionali, anche tra i dialetti e l’italiano si sono verificati e continuano a verificarsi
passaggi di lessico:
Si parlano ancora i dialetti oggi?
Se è vero, come abbiamo visto, che nel Novecento l’uso del dialetto è arretrato a causa di numerosi fattori (storici, sociali,
economici ecc.), è però vero che i dialetti sono ancora oggi vitali. In alcune aree italiane troviamo anzi una situazione di

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dilalia: la presenza di due lingue utilizzate in ambiti separati, una sia in contesti ‘alti’ e formali sia in contesti bassi,
colloquiali, familiari, l’altra solo in contesti informali. Nel caso dell’Italia, le due lingue sono italiano e dialetto.

Inoltre da qualche decennio è cambiato l’atteggiamento nei confronti del dialetto: se è pur sempre avvertito come lingua
di minor prestigio rispetto all’italiano, il dialetto viene oggi avvertito
a) come simbolo identitario;

b) come mezzo adatto all’espressione di contenuti ironici e umoristici, oppure metaforici;


c) anche del dialetto, infine, si è fatto un uso ‘creativo’, come nella pubblicità.

VARIETA' DIASTRATICHE
Sono le varietà che dipendono dalle diverse condizioni sociali e culturali (ad es. classe sociale; posizione sociale; grado e
tipo di istruzione; età; appartenenza a determinati gruppi sociali; ambiente di lavoro; sesso).

L’ITALIANO POPOLARE
Una varietà diastratica importante è l’italiano popolare, che però non va confuso con il registro familiare e basso. Per
italiano popolare si intende la varietà di lingua usata da parlanti appartenenti a strati sociali bassi incolti o semi incolti e
caratterizzata dalla presenza di tratti non standard. È una varietà soprattutto parlata ed è caratterizzata da forti
interferenze con il dialetto.
In particolare grazie all’aumento della scolarizzazione, nell’italiano contemporaneo l’italiano popolare è molto meno
diffuso rispetto a qualche decennio fa; tuttavia esiste ancora, però con tratti che si allontanano meno dall’italiano
standard. Esso è utilizzato non tanto da parlanti analfabeti, quanto da parlanti semicolti.

I LINGUAGGI GIOVANILI
Sono varietà utilizzate da parlanti giovani (il primo problema, tuttavia, è definire che cosa si intende per ‘giovani’).
Il linguaggio giovanile è fortemente influenzato anche da fattori diatopici e diafasici, tanto che i linguisti non sono
unanimi nel collocare questa varietà tra quelle diastratiche. In effetti l’uso di questo linguaggio non dipende solo dall’età
anagrafica, ma anche dall’appartenenza a un gruppo giovanile (che si manifesta nella condivisione dei luoghi di incontro
e nelle diverse occasioni di aggregazione e socializzazione, cioè appunto in diverse situazioni comunicative). Per questo
c’è una forte eterogeneità: non si dovrebbe parlare di ‘linguaggio giovanile’, ma più opportunamente di ‘linguaggi
giovanili’.
In linea generale, possiamo dire che i linguaggi giovanili si costituiscono su una base di italiano colloquiale e sono
caratterizzati da:

tendenza alla brevità, con uso di troncamenti, contrazioni, sigle;

uso di lessico informale e ‘basso’;

tendenza all’esagerazione e all’iperbole;

tendenza a creare neologismi o a usare in senso diverso o metaforico parole già appartenenti alla lingua comune;

uso frequente del linguaggio figurato (in particolare della metafora, su cui ci soffermeremo).

Il linguaggio giovanile è contraddistinto da rapidità di mutamento: si assiste dunque a un continuo e rapido ricambio
lessicale (anche se una parte può per ragioni varie entrare stabilmente nel lessico comune).

I GERGHI
Sono varietà di lingua legate a gruppi o cerchie di persone ristretti. La loro caratteristica principale è di essere dotati di
un lessico ristretto e specifico, che non si intende condividere: i gerghi insomma hanno in genere un forte valore di
contrapposizione e un valore criptico.

LE VARIETÀ DIAMESICHE
Sono le varietà che dipendono dal mezzo fisico di trasmissione del testo, cioè dal canale.
Una prima grande distinzione riguarda quella tra il parlato (canale fonico-acustico) e lo scritto (canale grafico-visivo).

Essi si differenziano per molti aspetti:


→ il parlato permette una comunicazione interattiva (feedback), lo scritto no;

→ il parlato può sfruttare il tono della voce, le curve intonative; può sfruttare la prossemica (parte della semiologia che
studia il significato, nel comportamento sociale dell’uomo, della distanza che l’individuo pone tra sé e gli altri/gli oggetti,

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quindi del modo di porsi nello spazio), la cinesica (studio della comunicazione non verbale, che si attua attraverso i
movimenti, i gesti, le posizioni, la mimica del corpo, in modo volontario o involontario);

→ il parlato permette un’unica esecuzione, lo scritto ne permette numerose;


→ parlato e scritto tollerano un diverso grado di presupposizione, cioè di informazioni implicite; lo scritto è dunque più
ricco di informazioni;

→ nel parlato mittente e destinatario sono compresenti e possono sfruttare le opportunità offerte dal contesto; il
contesto inoltre chiarisce il significato dei deittici (cioè gli elementi che servono a situare l’enunciato nello spazio e nel
tempo: qui, là, lui, eccolo ecc.). Nello scritto, al contrario, manca la contestualità;

→ a differenza del parlato, lo scritto, soprattutto in alcune tipologie testuali, presenta ricchezza di
connettivi;
→ lo scritto presente una maggiore ricchezza lessicale rispetto al parlato;

→ a differenza del parlato, lo scritto presenta un’accurata pianificazione del testo e quindi una sua
attenta organizzazione.
È una griglia che tuttavia oggi non appare più del tutto adeguata, perché non copre tutte le varietà diamesiche.

All’interno di questa distinzione si possono infatti individuare altre varietà più particolari (ad es. il trasmesso, cioè
affidato ai mezzi di comunicazione linguistica a distanza: radio, televisione, cinema). Inoltre negli ultimi anni la
situazione si è fatta molto più complessa per l’uso esteso dei social media. In particolare a partire dagli anni Settanta-
Ottanta del Novecento si è cominciato a parlare di CMC (comunicazione mediata dal computer) e di lingua del web (o
lingua della rete, o lingua di internet, o e-taliano), cioè la varietà di lingua scritta utilizzata appunto nei social media, che
dunque utilizza il canale scritto ma che è diversa dalla varietà scritta tradizionalmente intesa: essa infatti utilizza in
misura maggiore o minore strutture dell’orale in forma scritta (per questo è chiamata anche ‘written speech’) e rimane
per alcuni aspetti ancorata alla scrittura ‘tradizionale’. Ciò che è assodato è che oggi si scrive moltissimo.
La lingua del web è infatti molto variegata al suo interno, tanto che sarebbe più corretto parlare di ‘lingue della rete’. In
questo mondo di testi eterogenei si può però operare almeno una distinzione generale fra:

a) testi ‘tradizionali’ poi importati nella rete (semplicemente copiati);


b) testi scritti con il supporto digitale ma concettualmente simili ai testi ‘tradizionali’;

c) testi nati appositamente per la rete.


Un fattore che risulta ormai determinante nel modificare le abitudini linguistiche è inoltre la possibilità di usare la lingua
del web sul cellulare, che condiziona anche il modo di usare la lingua.

In linea generale si può dire che la lingua del web:

è inscindibilmente connessa con altri codici: sonoro, grafico, ma soprattutto iconico (che è appunto simultaneo). In
alcuni casi il codice visivo recupera almeno in parte l’oralità; in altri il codice iconico e quello grafico svolgono la
funzione di coesione, perché suggeriscono la relazione fra due o più parti di testo;

tende ad esaltare la velocità di esecuzione più che la riflessione della scrittura tradizionale, la simultaneità rispetto
alla linearità;

è semplificata;

è ‘piatta’, cioè dispone tutte le informazioni sullo stesso piano;

tende ad essere lontana dalla varietà standard, a posizionarsi cioè nelle fasce diafasicamente basse;

presenta spesso notevoli oscillazioni di registro, con la compresenza di tratti colloquiali e ‘bassi’ con altri medi e
‘alti’;

è ricca di fenomeni transitori, di vere e proprie ‘mode’

Inoltre in linea generale si può dire che i testi del web:

tendono ad essere brevi e frammentari (anche quando il testo disponibile è più lungo, una buona parte è ‘nascosto’);

tendono ad essere incompleti e incompiuti perché i testi sono potenzialmente espandibili all’infinito attraverso il
rimando ad altri contenuti;

tendono ad essere dialogici, cioè a chiamare in causa altre voci e altri testi, in un continuo flusso interattivo: i
messaggi dunque fanno riferimento ad altri testi (senza conoscere i quali talvolta non è possibile capirli), in una sorta
di intertestualità esasperata. Ci si può allora chiedere: in queste condizioni, si può ancora identificare un cotesto?
Quanto può essere espandibile)? E qual è il contesto? Uno dei problemi di internet riguarda proprio la difficoltà di

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contestualizzare le informazioni che si ricevono: ma le informazioni vanno sempre contestualizzate per interpretarle
correttamente.

A proposito della lingua della rete va anche osservato che essa non è collocabile semplicemente e solo all’interno della
variazione diamesica, perché molto forte è anche il peso della variazione diafasica, cioè relativa alla situazione
comunicativa.

L’importante è adottare la varietà giusta, coerente, adatta al tipo di canale utilizzato. Può sembrare una
banalità, ma il rischio è che il modo di scrivere sui social media sia utilizzato anche nelle varietà scritte
tradizionalmente intese (ad es. una tesi, una relazione); che insomma il modo di scrivere su un social media sia
indebitamente esteso a tutti gli altri.

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