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VARIETA' LINGUISTICHE
VARIETA' DIAFASICHE
varietà che dipendono dal contesto comunicativo
Si dividono in:
varietà diafasiche situazionali (registri) :dipendono dalla situazione comunicativa, e in particolare dal ruolo
reciproco assunto dal mittente e dal destinatario;
varietà diafasiche funzionali (sottocodici) : dipendono dall'argomento del discorso e dall'ambito esperienziale di
riferimento
REGISTRI
Il registro è una varietà della lingua di tipo diafasico situazionale: cioè è legato alla situazione comunicativa, alla
situazione concreta in cui avviene la comunicazione, e in particolare al tipo di rapporto esistente tra i soggetti della
comunicazione, al grado di formalità della situazione comunicativa.
I registri non vanno confusi con altre varietà della lingua, ad esempio con l’italiano popolare (varietà diastratica) o con
varietà diatopiche (italiani regionali), anche se queste possono essere utilizzate in situazioni informali, dunque in registri
bassi e trascurati.
I parametri linguistici che definiscono i vari registri sono
la situazione;
il tempo,
il luogo.
La diversificazione tra i vari registri coinvolge quasi tutte le strutture della lingua:
→la morfologia, che però risulta meno coinvolta;
→la fonetica (ad es. la pronuncia più o meno corretta, più o meno sorvegliata);
→la sintassi;
→il lessico.
Se ci soffermiamo in particolare sul lessico, notiamo che esistono in italiano serie di parole che di per sé sono sinonimi,
ma che non possono essere usate in modo indifferenziato, cioè non possono essere usate indifferentemente in tutti i
contesti comunicativi.
Naturalmente si verifica una grande variabilità di situazioni comunicative e per questo non è possibile stabilire dei
confini netti tra diversi livelli di formalità e quindi tra un registro e l’altro: la lingua è un continuum lungo il quale si
possono riconoscere dei ‘gradini’ o livelli collegati in modo fluido. Perciò si parla, a proposito della variazione di registro,
di parametro a variazione continua.
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pronuncia molto controllata;
sintassi elaborata.
Spesso si verifica un fraintendimento: si ritiene che parole o espressioni tecniche e specialistiche, ad esempio
del sottocodice burocratico, siano di per sé di registro elevato e formale. Ciò però non è vero (o per lo meno non
lo è sempre) e l’uso di queste espressioni andrebbe limitato appunto ai sottocodici di rispettiva appartenenza.
registro medio
Si usa in contesti comunicativi di livello medio, nei normali rapporti sociali e in testi scritti non ‘impegnati’. È dunque il
registro che risponde alle esigenze della quotidianità. È caratterizzato da sostanziale correttezza, appropriatezza nell’uso
della lingua e un lessico vario, ma rispetto al registro standard letterario è più flessibile e ‘aperto’.
lessico
morfologia e sintassi: sostituzione delle forme più colte con altre meno colte, o meno conformi alla grammatica
standard, o più semplici
→ estensione dell’uso dei pronomi ‘questo’ e ‘quello’ che tendono a sostituire ‘ciò’
→ ‘ci’ in funzione avverbiale, al posto di ‘lì’, ‘qui’, ‘qua’
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→ uso del cosiddetto ‘che polivalente’: ‘che’ come introduttore generico di frasi subordinate, che possono avere
valore temporale, causale, finale ecc.
→ uso di frasi pseudorelative introdotte da ‘quello che è’, ‘quelli che sono’ ecc.
Tratti linguistici:
apertura alle forme regionali; uso di forme abbreviate e di alterati (diminutivi, accrescitivi, dispregiativi,
vezzeggiativi);
preferenza per il modo verbale indicativo; sintassi semplificata che privilegia la paratassi; uso della sintassi marcata;
impiego ripetuto di pochi connettivi; rispetto non costante delle norme grammaticali;
Tratti linguistici:
Nell’italiano contemporaneo è indubbio l’ampliamento dei registri bassi, informali e colloquiali, spesso anzi
ipercolloquiali, anche grazie alla comunicazione dei cosiddetti ‘nuovi media’, che è immediata, spontanea, non
sorvegliata. Siamo infatti esposti ai modelli linguistici che provengono dai nuovi media e che sono
generalmente informali, ‘sciolti’, ‘brillanti’, talvolta anche trascurati. Tuttavia non bisogna perdere di vista la
necessità di adeguarsi al contesto comunicativo. Dobbiamo insomma acquisire una buona competenza
comunicativa, cioè la capacità di adeguare la lingua al contesto e alla situazione comunicativa.
Detto questo, è però anche vero che il singolo parlante può fare una scelta, può cioè scegliere uno stile pur
sempre adeguandosi alle esigenze del contesto comunicativo
SOTTOCODICI
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I sottocodici sono varietà della lingua di tipo diafasico funzionale, legate a particolari ambiti extralinguistici, cioè a
particolari e specifici campi del sapere e dell’attività umana. I sottocodici (detti anche lingue speciali, linguaggi settoriali,
linguaggi specialistici, microlingue ecc.) sono dunque usati dagli specialisti e dagli esperti di un dato settore e hanno
diffusione limitata e ristretta.
In realtà i sottocodici possono essere posseduti dai parlanti in base alla loro competenza in un determinato settore: si
può quindi andare da un possesso totale a un possesso parziale da parte di non addetti ai lavori, ma dotati di un livello di
istruzione medio-alta e di una buona cultura, oppure dotati di conoscenze derivate dall’esperienza personale in un
determinato settore), fino alla quasi totale ignoranza. Si pone qui il problema della comprensibilità, cioè dell’uso adeguato
di un determinato sottocodice.
Quando si parla di sottocodici ci si riferisce a un insieme numeroso e variegato, all’interno del quale ci possono essere
molte differenze. Inoltre i sottocodici possono avere un diverso grado di specializzazione: in alcuni è molto alto, in altri
invece è minore e il lessico può essere ampiamente tratto dalla lingua comune. Naturalmente anche il grado di
specializzazione può essere adattato a seconda delle diverse situazioni comunicative, del contesto in cui avviene la
comunicazione, del pubblico a cui ci si orienta.
Bisogna poi considerare che nella lingua italiana contemporanea l’insieme dei sottocodici è aperto e in continua
evoluzione, in relazione:
I sottocodici producono testi in cui predomina la funzione referenziale, cioè informativa. L’utilizzo dei sottocodici
permette una comunicazione efficace rispetto allo scopo della comunicazione settoriale, cioè:
a) emotivamente neutra: si tratta però di un criterio che va ben inteso, e considerato in senso non assoluto
In generale si può dire che i sottocodici presentano caratteristiche particolari sia nell’organizzazione del testo, sia sul
piano morfologico e sintattico: a livello testuale, spesso il discorso è organizzato in modo rigido, come una sequenza di
informazioni, in blocchi tematici, fa uso di definizioni e di esempi; a livello morfosintattico, tende a usare la
nominalizzazione e la paratassi.
Senz’altro però l’aspetto più rilevante dei sottocodici è quello lessicale: mantenendo come base la lingua comune, essi
infatti si caratterizzano per l’utilizzo di un lessico speciale (specialistico, di specialità), cioè per una terminologia, che si
riferisce a un determinato settore di attività culturale, professionale, disciplinare. Esso comprende un alto numero di
tecnicismi, cioè parole specifiche di un dato settore o sapere, che hanno natura referenziale e che all’interno di
quel settore non possono essere soggette a più interpretazioni (sono dunque monosemici).
parole che hanno subito una rideterminazione semantica (specializzazione): termini già esistenti nella lingua
comune, cui viene assegnato un significato specifico relativo a un particolare settore;
forestierismi;
sigle: sequenza delle lettere iniziali di una serie di nomi, enti, ditte o termini scientifici;
acronimi: sono così definiti sia le sigle vere e proprie, sia le parole composte che si ottengono mettendo in sequenza
più di una lettera delle parole abbreviate.
Molto spesso, inoltre, i sottocodici fanno uso di tecnicismi collaterali, cioè di parole o espressioni caratteristiche di un
certo ambito settoriale, ma non necessarie di per sé alla comunicazione: essi piuttosto rispondono all’opportunità di
adoperare un registro elevato in situazioni formali, quali sono, tipicamente, quelle in cui si esercitano alcune professioni
e contribuiscono così a distinguere il sottocodice dalla lingua comune.
l'italiano manageriale
È il sottocodice nato nelle filiali italiane di grandi aziende internazionali e spesso usato nella comunicazione aziendale: è
usato da dirigenti, imprenditori, funzionari amministrativi, tecnici, impiegati.
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Si caratterizza in particolare per la forte presenza di tecnicismi collaterali e di anglicismi: il loro uso spesso non si
giustifica per esigenze oggettive (di precisione ed economia comunicativa, quindi di efficacia: per questo sono detti
‘collaterali’), ma per il loro valore connotativo. Essi infatti hanno lo scopo di suggerire un’idea di efficienza, modernità,
imprenditorialità; di veicolare l’idea del lavoratore moderno, dell’imprenditore.
Naturalmente non si tratta di rinunciare al forestierismo, che spesso è più sintetico del corrispettivo italiano, e
che può esprimere inoltre un giusto sentimento di appartenenza, purché usato in modo critico. Si tratta di
diventare consapevoli della ricchezza del lessico della lingua, di padroneggiare la sua ‘struttura’, fatta sia di
termini autoctoni che di forestierismi, e infine di non cadere negli automatismi linguistici, nello stereotipo.
VARIETA' DIATOPICHE
Sono le varietà che dipendono dall’area geografica di appartenenza. Anche se sono meno marcate che in passato,
soprattutto presso le nuove generazioni, sono però ancora ben presenti. Anzi, la variazione di tipo spaziale e geografico,
come già detto, è il più importante elemento di differenziazione linguistica in Italia.
Per quanto riguarda il lessico si parla di geosinonimi, cioè di sinonimi che hanno diffusione solo in alcune aree. Si tratta per
lo più, ma non solo, di parole che riguardano la vita quotidiana.
Diverso è il caso dei geoomonimi, cioè di parole diffuse in più italiani regionali ma con significati diversi:
I DIALETTI
I dialetti, a differenza dell’italiano regionale, sono lingue autonome, che cioè si sono gradualmente sviluppate dal latino
parlato (non dall’italiano): essi hanno strutture fonetiche, morfologiche e sintattiche proprie, distinte da quelle della
lingua italiana.
Rispetto alla lingua i dialetti
a) hanno una diffusione geografica limitata;
b) hanno minori possibilità di impiego, perché sono generalmente usati nel parlato (anche se esiste, almeno per alcuni,
una tradizione letteraria dialettale: ad esempio, per il dialetto milanese, veneziano, napoletano) e in contesti familiari e
informali;
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dilalia: la presenza di due lingue utilizzate in ambiti separati, una sia in contesti ‘alti’ e formali sia in contesti bassi,
colloquiali, familiari, l’altra solo in contesti informali. Nel caso dell’Italia, le due lingue sono italiano e dialetto.
Inoltre da qualche decennio è cambiato l’atteggiamento nei confronti del dialetto: se è pur sempre avvertito come lingua
di minor prestigio rispetto all’italiano, il dialetto viene oggi avvertito
a) come simbolo identitario;
VARIETA' DIASTRATICHE
Sono le varietà che dipendono dalle diverse condizioni sociali e culturali (ad es. classe sociale; posizione sociale; grado e
tipo di istruzione; età; appartenenza a determinati gruppi sociali; ambiente di lavoro; sesso).
L’ITALIANO POPOLARE
Una varietà diastratica importante è l’italiano popolare, che però non va confuso con il registro familiare e basso. Per
italiano popolare si intende la varietà di lingua usata da parlanti appartenenti a strati sociali bassi incolti o semi incolti e
caratterizzata dalla presenza di tratti non standard. È una varietà soprattutto parlata ed è caratterizzata da forti
interferenze con il dialetto.
In particolare grazie all’aumento della scolarizzazione, nell’italiano contemporaneo l’italiano popolare è molto meno
diffuso rispetto a qualche decennio fa; tuttavia esiste ancora, però con tratti che si allontanano meno dall’italiano
standard. Esso è utilizzato non tanto da parlanti analfabeti, quanto da parlanti semicolti.
I LINGUAGGI GIOVANILI
Sono varietà utilizzate da parlanti giovani (il primo problema, tuttavia, è definire che cosa si intende per ‘giovani’).
Il linguaggio giovanile è fortemente influenzato anche da fattori diatopici e diafasici, tanto che i linguisti non sono
unanimi nel collocare questa varietà tra quelle diastratiche. In effetti l’uso di questo linguaggio non dipende solo dall’età
anagrafica, ma anche dall’appartenenza a un gruppo giovanile (che si manifesta nella condivisione dei luoghi di incontro
e nelle diverse occasioni di aggregazione e socializzazione, cioè appunto in diverse situazioni comunicative). Per questo
c’è una forte eterogeneità: non si dovrebbe parlare di ‘linguaggio giovanile’, ma più opportunamente di ‘linguaggi
giovanili’.
In linea generale, possiamo dire che i linguaggi giovanili si costituiscono su una base di italiano colloquiale e sono
caratterizzati da:
tendenza a creare neologismi o a usare in senso diverso o metaforico parole già appartenenti alla lingua comune;
uso frequente del linguaggio figurato (in particolare della metafora, su cui ci soffermeremo).
Il linguaggio giovanile è contraddistinto da rapidità di mutamento: si assiste dunque a un continuo e rapido ricambio
lessicale (anche se una parte può per ragioni varie entrare stabilmente nel lessico comune).
I GERGHI
Sono varietà di lingua legate a gruppi o cerchie di persone ristretti. La loro caratteristica principale è di essere dotati di
un lessico ristretto e specifico, che non si intende condividere: i gerghi insomma hanno in genere un forte valore di
contrapposizione e un valore criptico.
LE VARIETÀ DIAMESICHE
Sono le varietà che dipendono dal mezzo fisico di trasmissione del testo, cioè dal canale.
Una prima grande distinzione riguarda quella tra il parlato (canale fonico-acustico) e lo scritto (canale grafico-visivo).
→ il parlato può sfruttare il tono della voce, le curve intonative; può sfruttare la prossemica (parte della semiologia che
studia il significato, nel comportamento sociale dell’uomo, della distanza che l’individuo pone tra sé e gli altri/gli oggetti,
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quindi del modo di porsi nello spazio), la cinesica (studio della comunicazione non verbale, che si attua attraverso i
movimenti, i gesti, le posizioni, la mimica del corpo, in modo volontario o involontario);
→ nel parlato mittente e destinatario sono compresenti e possono sfruttare le opportunità offerte dal contesto; il
contesto inoltre chiarisce il significato dei deittici (cioè gli elementi che servono a situare l’enunciato nello spazio e nel
tempo: qui, là, lui, eccolo ecc.). Nello scritto, al contrario, manca la contestualità;
→ a differenza del parlato, lo scritto, soprattutto in alcune tipologie testuali, presenta ricchezza di
connettivi;
→ lo scritto presente una maggiore ricchezza lessicale rispetto al parlato;
→ a differenza del parlato, lo scritto presenta un’accurata pianificazione del testo e quindi una sua
attenta organizzazione.
È una griglia che tuttavia oggi non appare più del tutto adeguata, perché non copre tutte le varietà diamesiche.
All’interno di questa distinzione si possono infatti individuare altre varietà più particolari (ad es. il trasmesso, cioè
affidato ai mezzi di comunicazione linguistica a distanza: radio, televisione, cinema). Inoltre negli ultimi anni la
situazione si è fatta molto più complessa per l’uso esteso dei social media. In particolare a partire dagli anni Settanta-
Ottanta del Novecento si è cominciato a parlare di CMC (comunicazione mediata dal computer) e di lingua del web (o
lingua della rete, o lingua di internet, o e-taliano), cioè la varietà di lingua scritta utilizzata appunto nei social media, che
dunque utilizza il canale scritto ma che è diversa dalla varietà scritta tradizionalmente intesa: essa infatti utilizza in
misura maggiore o minore strutture dell’orale in forma scritta (per questo è chiamata anche ‘written speech’) e rimane
per alcuni aspetti ancorata alla scrittura ‘tradizionale’. Ciò che è assodato è che oggi si scrive moltissimo.
La lingua del web è infatti molto variegata al suo interno, tanto che sarebbe più corretto parlare di ‘lingue della rete’. In
questo mondo di testi eterogenei si può però operare almeno una distinzione generale fra:
è inscindibilmente connessa con altri codici: sonoro, grafico, ma soprattutto iconico (che è appunto simultaneo). In
alcuni casi il codice visivo recupera almeno in parte l’oralità; in altri il codice iconico e quello grafico svolgono la
funzione di coesione, perché suggeriscono la relazione fra due o più parti di testo;
tende ad esaltare la velocità di esecuzione più che la riflessione della scrittura tradizionale, la simultaneità rispetto
alla linearità;
è semplificata;
tende ad essere lontana dalla varietà standard, a posizionarsi cioè nelle fasce diafasicamente basse;
presenta spesso notevoli oscillazioni di registro, con la compresenza di tratti colloquiali e ‘bassi’ con altri medi e
‘alti’;
tendono ad essere brevi e frammentari (anche quando il testo disponibile è più lungo, una buona parte è ‘nascosto’);
tendono ad essere incompleti e incompiuti perché i testi sono potenzialmente espandibili all’infinito attraverso il
rimando ad altri contenuti;
tendono ad essere dialogici, cioè a chiamare in causa altre voci e altri testi, in un continuo flusso interattivo: i
messaggi dunque fanno riferimento ad altri testi (senza conoscere i quali talvolta non è possibile capirli), in una sorta
di intertestualità esasperata. Ci si può allora chiedere: in queste condizioni, si può ancora identificare un cotesto?
Quanto può essere espandibile)? E qual è il contesto? Uno dei problemi di internet riguarda proprio la difficoltà di
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contestualizzare le informazioni che si ricevono: ma le informazioni vanno sempre contestualizzate per interpretarle
correttamente.
A proposito della lingua della rete va anche osservato che essa non è collocabile semplicemente e solo all’interno della
variazione diamesica, perché molto forte è anche il peso della variazione diafasica, cioè relativa alla situazione
comunicativa.
L’importante è adottare la varietà giusta, coerente, adatta al tipo di canale utilizzato. Può sembrare una
banalità, ma il rischio è che il modo di scrivere sui social media sia utilizzato anche nelle varietà scritte
tradizionalmente intese (ad es. una tesi, una relazione); che insomma il modo di scrivere su un social media sia
indebitamente esteso a tutti gli altri.
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