Una lingua particolarmente ricettiva dei tratti dell’italiano, ma in grado di essere usata sia nel
parlato sia nello scritto di media formalità. La differenza fondamentale dell’italiano dell’uso
medio e l’italiano regionale è che il primo ha una diffusione panitaliana, e non presenta
quindi limitazioni di tipo areale.
Le consonanti, al contrario delle vocali, sono suoni la cui pronuncia incontra in qualche
punto dell’apparato fonatorio un ostacolo.
zucca cento
zanna gente
luce aglio
o
rana
Dittongo: unione di una vocale e di una /j/ o di una /w/. Dittongo ascendente (vocale
in prima posizione come in aumento); dittongo discendente (vocale in seconda
posizione come in fiume).
Trittongo: formato da due semiconsonanti e da una vocale (aiuola) o da una
semiconsonante, una vocale e una semiconsonante (miei, guai).
Iato: la sequenza di due vocali, le quali si appartengono a sillabe diverse. Sono iati le
sequenze vocaliche che troviamo in maestro, tuo, boato.
2.1.2 La sillaba
Combinandosi tra loro vocali, semivocali, e consonanti formano le parole e ancora prima le
sillabe, che possiamo definire come unità intermedie tra fonema e parola. Tuttavia a livello
fonetico la nozione di sillaba è legata al concetto di sonorità. Quando pronunciamo le parole
lo facciamo generalmente con un’unica emissione d’aria, ma il grado di apertura del canale
fonatorio, cioè la sonorità varia a seconda del suono che stiamo realizzando. La sillaba
individua per l’appunto una porzione di parola che contiene un picco di sonorità, preceduto e
seguito da minimi di sonorità. Il picco di sonorità cade sul nucleo della sillaba.
2.1.3 L’accento
Elemento soprasegmentale, che investe la vocale e la sillaba su cui cade di una forza
particolare, facendole ‘spiccare’ rispetto alle altre per durata e intensità. A differenza delle
altre lingue in cui l’accento è in posizione fissa, in italiano l’accento è mobile e può trovarsi
in varie posizioni nella parola. A seconda di dove cade l’accento possiamo classificare le
parole in:
a) Ossitone, che hanno l’accento sull’ultima sillaba: virtù
b) Parossitone, che hanno l’accento sulla penultima sillaba: rémo
c) Proparossitone, accentate sulla terzultima sillaba: tàvolo
Le parole che hanno più di quattro sillabe possiedono anche un accento secondario. Alcune
parole composte da una sola sillaba, i cosiddetti monosillabi deboli non hanno un proprio
accento. Queste forme sono clitiche si legano alla parola che li precede o che li segue: ad
esempio i pronomi personali possono collocarsi in proclisi rispetto al verbo (mi lavo) o, in
determinate condizioni, in enclisi (dimmi, rispondendole). L’enclisi è segnalata da
univerbazione.
2.1.5 L’intonazione
Finora si è descritto il sistema fonologico dell’italiano standard utilizzato per lo più nei
contesti formali e per l’insegnamento scolastico, ma per quanto riguarda i contesti informali e
più spontanei si ricorre alle varietà regionali di italiano, che si differenziano in base alla
provenienza geografica. 5 grandi tipi di italiani regionali:
Nell’italiano settentrionale troviamo differenze di pronuncia di e ed o in posizione
tonica: béne si pronuncia bène, ma biciclétta e perché diventano biciclètta e perché;
inoltre si coglie una tendenza allo scempiamento delle consonanti in posizione
intervocalica: capeli anziché capelli.
Nell’italiano toscano compare la gorgia, che determina la pronuncia spirantizzata
delle consonanti c, p e t in posizione intervocalica
Nell’italiano mediano (in particolare l’italiano di Roma) c’è la tendenza al
raddoppiamento di /b/ e /ʤ/ (subbito, raggione) e la pronuncia affricata di della
sibilante dopo l, n, r (borza, penzo)
Negli italiani meridionali un tratto molto diffuso è la pronuncia sonora delle
consonanti sorde dopo nasale (anghe per anche, tembo per tempo, sendo per sento);
inoltre si assiste spesso alla chiusura della vocale nei dittonghi ascendenti (piéde per
piède)
Nell’italiano della Sardegna troviamo la tendenza a raddoppiare le consonanti dopo
vocale tonica (capìtto, tàvvolo).
Talvolta i tratti regionali affiorano nello scritto, determinando grafie scorrette.
Quei segni, che pur non indicando fonemi, forniscono informazioni sulla pronuncia di una
determinata parola o sequenza di parole, sullo statuto del nome, ma anche sull’intonazione o
sulla distribuzione delle sequenze linguistiche nella frase e nel testo
Le iniziali maiuscole
CAPITOLO 3: MORFOLOGIA
La morfologia studia le forma delle parole e le trasformazioni che esse subiscono nel
concreto uso linguistico. Per analizzare la struttura delle parole si ricorre al concetto di
morfema, l’unità minima dotata di significato di cui si compongono le parole. Il morfema
può veicolare significato lessicale (morfema lessicale) oppure può codificare informazioni
grammaticali, come il plurale e il singolare, il femminile e il maschile ecc (morfema
grammaticale).
Non tutte le parole sono formate dalla combinazione di due o più morfemi: molte infatti sono
costituite da un solo morfema, che prende il nome di morfema libero (ieri, oggi, domani,
mai). Dai morfemi liberi si distinguono i morfemi semiliberi, rappresentati dalle cosiddette
parole funzionali (preposizione, articoli, ausiliari), che nella frase svolgono la loro funzione
in unione ad altre parole. I morfemi che invece devono legarsi necessariamente a un altro
morfema (come la –o di gatto) sono detti morfemi legati.
Nell’ambito dei morfemi grammaticali occorre distinguere due tipi:
Morfemi flessivi
Morfemi derivativi
Morfemi flessivi
Allomorfia
Gli allomorfi sono le forme diverse che uno stesso morfema può assumere a seconda di
specifiche condizioni. Ad esempio molto spesso i morfemi lessicali cambiano a seconda del
modo, del tempo e della persona: la radice del verbo tenere nel presente indicativo è teng-
(per la 1 pers sing e la 3 pers plur), tien- per 2 e 3 persona singolare, ten- (per la 1 e la 2
persona plurale).
Un tipo particolare di allomorfia è il suppletivismo, un fenomeno molto diffuso nell’italiano
delle epoche passate. Con questo termine si indica la coesistenza di due o più morfemi, non
riconducibili a un etimo comune, per una stessa forma grammaticale. Nel paradigma del
verbo andare, accanto al morfema lessicale and- (andare, andando, andai ecc.), troviamo
anche va(d)- (vado, vai, va, vanno).
Ma in base a cosa si sceglie l’allomorfo da usare? In alcuni casi, come si è visto, i due
allomorfi sono in distribuzione complementare. Ciò vuol dire che a seconda della forma
grammaticale che intende realizzare, il parlante opterà per l’uno o per l’altro: sceglierà tien-
nei casi in cui è previsto (2 e 3 persona singolare) mentre userà ten- e teng- per le altre caselle
del paradigma. In questi casi si parla di allomorfi condizionati. In altri casi il parlante può
scegliere liberamente quale allomorfo utilizzare: può dire ho perduto le chiavi oppure ho
perso le chiavi. In questo caso si parla di allomorfi non condizionati.
Il sistema nominale
Nella morfologia nominale sono coinvolti i tratti del:
Numero: categoria che indica quantità cardinale, l’italiano conosce il singolare e il
plurale
Genere: l’italiano distingue tra maschile e femminile
Il numero
In italiano il plurale si forma sostituendo al morfema del singolare quello del plurale.
Vari nomi con accordo al maschile nel singolare, presentano un doppio plurale: uno maschile,
l’altro femminile (filo fili/fila; fondamento fondamenti/fondamenta).
In italiano esistono anche nomi pluralia tantum, che presentano cioè soltanto la forma del
plurale, come nozze, mutande, forbici. Altri nomi sono usati invece per lo più al singolare:
gregge, bestiame, frutta. Si tratta di nomi ‘collettivi’, che indicano un gruppo di animali o un
insieme di cose e che dunque contengono già in sé l’idea del plurale.
Per quanto riguarda i forestierismi, spesso i parlanti si trovano in dubbio se adattare il plurale
ai nomi stranieri, come films o omelettes. Il consiglio sarebbe quello di non adattarlo anche
perché con gli articoli si può far capire il numero.
A incrementare il numero di nomi invariabili è il fenomeno dell’accorciamento (auto da
automobile; moto da motocicletta; bici da bicicletta).
Il genere
Nei nomi che si riferiscono a esseri animati, e soprattutto umani, il genere grammaticale
tende a coincidere con il sesso femminile o maschile del referente. All’interno dei nomi che
rinviano a referenti animati bisogna distinguere diversi casi:
a) Nomi che presentano un maschile e un femminile: il gatto e la gatta
b) Nomi di genere comune, il cui sesso è segnalato mediante l’articolo o i modificatori:
il cantante e la cantante
c) Nomi epicèni, che non variano a seconda del genere pur potendosi riferire a individui
dei due sessi: la tigre (non *il tigro né *il tigre)
d) Nomi indipendenti (in cui il genere è segnalato attraverso lessemi diversi): uomo e
donna, marito e moglie, montone e pecora.
Una questione di sociolinguistica e culturale piuttosto importante riguarda il sessismo
linguistico, cioè l’eventualità che particolari usi della lingua possano causare e riflettere
discriminazioni di genere sessuale. Infatti nomi di molte professioni erano al maschile e si è
sentita l’esigenza di creare forme femminili, ricorrendo alla mozione di genere, fenomeno
che consente il passaggio dal maschile al femminile, anche nella direzione opposta. La
mozione di genere si realizza attraverso diverse strategie:
a) Adattamento del morfema flessivo (sostituzione della –o con la –a): maestra, ministra
b) Impiego di particolari suffissi come –essa e –trice: professoressa, direttrice
c) Con nomi derivanti dai participi presenti o formati mediante il suffisso –ista si
procede al solo accordo dei modificatori: la cantante, la stilista
Aggettivi e avverbi
Come i nomi, anche gli aggettivi possiedono un numero e un genere; inoltre, gli aggettivi
qualificativi sono anche marcati in base al loro grado. In italiano si articolano in due classi:
1. Gli aggettivi della prima classe presentano 4 morfemi distinti per il singolare, il
plurale, il maschile e il femminile: rosso, rossa, rossi, rosse
2. Quelli della seconda classe invece presentano morfemi distinti per il numero, ma sono
invariabili rispetto al genere: felice e felici
Esistono anche aggettivi invariabili sia rispetto al numero, sia rispetto al genere: pari, dispari,
arrosto. Sono invariabili molti nomi di colori usati in funzione aggettivale (lilla, rosa, blu).
In italiano gli avverbi non presentano una flessione: sono infatti classificati nella grammatica
tradizionale tra le parti invariabili del discorso. Possiamo distinguere gli avverbi lessicali,
semplici (qui, giù, là) e composti (soprattutto, di nascosto), dagli avverbi derivati da aggettivi,
come allegramente, serenamente, velocemente, formati dall’aggettivo (al femminile se
appartenente alla prima classe) e dal suffisso –mente.
I gradi dell’aggettivo
Gli aggettivi che esprimo qualità o proprietà possono essere graduati attraverso
l’anteposizione di avverbi o l’uso di morfemi legati. I gradi dell’aggettivo sono 3:
Grado zero
Grado comparativo: esprime un confronto tra due elementi, si distingue a sua volta
in:
a) Comparativo di maggioranza: si forma anteponendo all’aggettivo l’avverbio
più (più intelligente)
b) Comparativo di minoranza: si forma anteponendo l’avverbio meno (meno
intelligente)
c) Comparativo di uguaglianza: si usa l’aggettivo di grado zero
Alcuni aggettivi hanno anche un comparativo di maggioranza sintetico (ereditato dal latino):
più grande e maggiore, più buono e migliore.
Grado superlativo: esprime l’intensità massima di una qualità, può essere formato
utilizzando gli avverbi tanto, molto, assai (tanto intelligente), ma si può formare
anche un superlativo sintetico, ricorrendo al morfema –issimo (intelligentissimo).
Infine, l’intensificazione dell’aggettivo può essere realizzata anche mediante appositi
prefissi, come super- (supersimpatico), iper- (iperproteico), stra- (strapermaloso).
Articolo
Gli articoli sono determinanti del nome e servono a precisare se a quel dato nome si
attribuisce un valore definito o non definito.
Gli articoli determinativi hanno la funzione di introdurre un referente noto nel
discorso, cioè persone o oggettivi che il parlante suppone conosciuti, o presenta come
tali. Sono flessi per genere e numero: il/lo, la, i/gli, le. L’uso di il e lo e di i e gli è
determinato da fattori fonetici.
Gli articoli indeterminativi invece indicano la non-definitezza e introducono
referenti nuovi nel discorso.
Si pensi alla differenza nella frase ho incontrato il medico e ho incontrato un medico. Nel
primo caso il parlante lascia sottintendere che il medico è una persona nota
all’interlocutore; nel secondo invece fa riferimento a una persona che l’interlocutore non
può identificare.
Gli articoli partitivi indicano una quantità indefinita e si formano con di + articolo
determinativo: ho comprato del miele (un po’ di miele).
Pronomi
È qualcosa che sta al posto del nome e ne assume la funzione nella frase.
Pronomi personali: rimandano a persone e oggetti già menzionati nella frase o nel
testo. In italiano si organizzano in 2 serie: tonica o atona. I pronomi personali tonici si
caratterizzano per diverse proprietà: sono parole bisillabiche o monosillabiche forti e
possono seguire una preposizione; i pronomi atoni invece non hanno un accento
proprio, non sono autonomi e si appoggiano a una parola vicina, con cui formano una
sola unità prosodica.
a) La serie tonica comprende i pronomi: io, me, tu, te, egli, ella, esso, lui, lei,
noi, voi, essi, elle, esse, loro e il riflessivo sé. I pronomi io e tu sono usati
come soggetto delle frase, mentre me e te sono impiegati come oggetto diretto
o indiretto.
b) La serie atona:
Il pronome si, oltre alla funzione di riflessivo di terza persona è usato per
realizzare costruzioni impersonali o con funzione passivante.
Pronomi allocutivi: i pronomi di cortesia. Nell’italiano standard la scelta del
pronome allocutivo dipende dal grado di confidenza e vicinanza che esiste tra gli
interlocutori. (lei, voi loro)
Pronomi possessivi: servono a esprimere il possessore, inteso come colui a cui
qualcosa appartiene (il mio libro), oppure a indicare una vicinanza affettiva (tua
madre). I pronomi variano al variare della persona di riferimento, ma anche del
numero e del genere. Ha funzione di possessivo anche l’aggettivo proprio, che si usa
quando il possessore coincide con il soggetto sintattico della frase: i genitori sono
pregati di accompagnare i propri figli all’uscita.
Pronomi dimostrativi: pronomi e aggettivi che il parlante utilizza per situare gli
oggetti di cui parla nello spazio e nel tempo. È a due uscite: per indicare oggetti che
sono vicini nello spazio si usa questo (dim. di vicinanza), mentre per riferirsi a oggetti
lontani di usa quello (dim. di lontananza). I concetti di vicinanza/lontananza non
riguardano soltanto la dimensione spaziale e temporale, ma anche quella psicologica.
Ad esempio il dimostrativo può indicare qualcosa che si sente estraneo o lontano dal
proprio modo di essere. L’italiano del passato conosceva anche codesto, oggi meno
utilizzato. Sono dimostrativi anche costui/costei/costoro, oggi meno usati, e
colui/colei/coloro molto spesso impiegati nella costruzione di proposizioni relative.
Pronomi numerali: si distinguono in cardinali (uno, due) e ordinali (primo, secondo).
Si tratta di una classe aperta in quanto potenzialmente illimitate sono le combinazioni
numeriche che li formano. I numeri cardinali sono invariabili ad eccezione di uno, che
si flette in base al genere, mentre gli ordinale variano per genere e per numero. Altri
numerali sono:
a) I moltiplicativi: con cui si indica una quantità fino a 6 volte più grande di
un’altra (doppio, triplo, quadruplo, quintuplo, sestuplo)
b) I frazionari: si riferiscono a una o più parti del tutto (due terzi)
c) I distributivi: indicano la distribuzione di più oggetti in base al numero (a uno
a uno, a due a due)
d) I collettivi: con cui si individua un insieme numerico (paio, coppia).
Pronomi indefiniti: fanno parte dei quantificatori, elementi con cui le lingue naturali
esprimono informazioni sulla quantità dei referenti considerati nel discorso. Al loro
interno è possibile distinguere:
a) Gli universali, come tutti, ogni e ognuno, che si riferiscono a tutti gli elementi
dell’insieme considerato
b) Gli esistenziali, come alcuno e qualche, che rimandano almeno a un elemento
dell’insieme individuato dal nome
c) I quantitativi, come parecchio, molto e poco, che invece esprimono la quantità
considerata di un certo referente
d) I negativi, come nessuno e niente, che escludono qualsiasi elemento
dell’insieme considerato
e) Gli identificativi, come certo, tale e altro che riguardano l’identità o la
differenza di un certo referente
f) I generalizzanti, come qualsiasi, qualunque e chiunque che esprimono
l’indifferenza del parlante rispetto all’elemento dell’insieme che si sta
considerando
Pronomi relativi: realizzano una duplice funzione: riprendono un referente già
espresso precedentemente e collegano due proposizioni, agendo come introduttori di
frasi relative. Si distinguono in invariabili o relativi sintetici (che, usato in funzione di
soggetto e complemento oggetto, e cui, usato in funzione di complemento indiretto) e
variabili o relativi analitici (il quale, la quale, i quali, le quali). Un terzo tipo è
rappresentato dai pronomi relativi doppi, come colui che e ciò che.
Pronomi interrogativi: chi, che quale, quanto, introducono domande che vertono
sull’identità o sulla quantità di un dato referente.
Il sistema verbale
Le forme del verbo trasmettono molte informazioni: la persona, il tempo, il modo, la diatesi
(attiva o passiva) e l’aspetto (perfettivo, imperfettivo, incoativo). Questi tratti possono essere
veicolati da singoli morfemi che si cumulano alla radice del verbo (parl-a-v-a).
Le coniugazioni: tre coniugazioni (-are, -ere, -ire). Nei verbi regolari la parte che
contiene il significato del verbo, cioè la radice, si presenta alla stessa forma (ad
esempio la radice di parlare è sempre parl-); nei verbi irregolari invece si manifesta il
fenomeno del suppletivismo : la radice di questi verbi cambia a seconda della persona
(vado ma andiamo) o del tempo o del modo (prendo ma presi e preso). Non sempre i
verbi possiedono tutte le voci del paradigma verbale: in italiano esistono diversi verbi
difettivi, coniugabili soltanto in alcune persone, tempi o modi.
I tempi e la scelta degli ausiliari: i tempi verbali si distinguono in deittici e anaforici.
I tempi deittici sono quelli che codificano anteriorità, contemporaneità e posteriorità
rispetto al momento dell’enunciazione (presente, passato remoto, imperfetto e futuro
semplice). I tempi anaforici invece codificano una relazione temporale rispetto a
un’azione già espressa, e dunque rispetto a un verbo già presente nella frase, o a un
avverbio temporale, chiamati momento di riferimento: sono tempi anaforici il
trapassato prossimo e remoto e il futuro anteriore, spesso impiegati nelle subordinate.
Per i tempi composti l’italiano sfrutta gli ausiliari essere o avere e il participio
passato del verbo. La distribuzione degli ausiliari dipende dalla transitività del verbo.
Con i verbi transitivi, che cioè ammettono l’uso di un oggetto diretto, si usa avere (ho
mangiato). Con gli intransitivi inaccusativi si usa il verbo essere (sono andato);
mentre i verbi intransitivi inergativi richiedono l’ausiliare avere (ho camminato).
Alcuni verbi possono richiedere entrambi gli ausiliari (correre: ho corso per tre km,
sono corso a casa).
La diatesi
Si fa riferimento alla relazione che intercorre tra le funzioni sintattiche degli argomenti del
verbo e il loro ruolo semantico. I verbi italiani presentano una diatesi attiva, passiva,
riflessiva o pronominale.
Nella diatesi attiva il soggetto del verbo individua colui che attiva e controlla
l’evento (Luca ha picchiato Paolo).
Nella diatesi passiva il soggetto sintattico del verbo è il paziente (i lavoratori sono
stati messi in cassa integrazione).
Il lessico è l’insieme di tutte le parole e di tutte le espressioni che fanno parte della lingua
italiana, come di ogni altra lingua. Intendiamo con parola un segno unitario; con espressione
un segno multiplo, cioè formato da più parole che però ha un significato unitario (pronto
soccorso). Il lessico è un sistema aperto quindi soggetto a continue modifiche con nuovi
arrivi (i neologismi) e con parole che invece cadono nel dimenticatoio (gli arcaismi). Il
nucleo dei vocaboli fondamentali è intorno alle 2000 unità. Il vocabolario di base 7000
parole.
Parole e significati
Linguaggi settoriali
Ogni scienza, tecnologia ha bisogno di un vocabolario specifico per indicare in modo preciso
ed esauriente referenti e concetti. I cosiddetti linguaggi settoriali o specialistici necessitano di
un lessico altamente specializzato. Tale esigenza è raggiunta mediante l’impiego di termini,
cioè vocaboli dal significato estremamente definito, che intrattengono con il referente una
relazione univoca. Ad esempio se nella lingua comune possiamo parlare di mal di gola, un
medico è tenuto a essere più preciso e a distinguere la faringite dalla laringite ricorrendo a
due tecnicismi lessicali. Nel lessico italiano la parola rete ha vari significati: parliamo infatti
di una rete da pesca, una rete di salvataggio, ma nel linguaggio calcistico rete ha
un’eccezione ristretta: indica infatti il gol, ossia il momento in cui il pallone entra nella rete
della porta. In questo caso si tratta di tecnicismo semantico, cioè un tecnicismo che è tale per
il suo significato.
Prestiti
Quando una parola passa da una lingua a un’altra si parla di prestito, anche se in realtà la
parola non viene più restituita. Il prestito può essere integrale se la parola viene acquisita
nella sua forma originale (tailleur dal francese); può essere adattata alla struttura morfologica
italiana (besciamella da bechamelle). Oltre al prestito esiste anche il calco strutturale, che
consiste nel tradurre le parole (grattacielo da skyscraper), e il calco semantico, che consiste
nel dotare di un nuovo significato una parola italiana (per esempio opportunità ha aggiunto il
termine possibilità dall’inglese opportunity).
I popoli e le lingue che hanno arricchito il nostro lessico sono tanti.
Il greco classico svolge un ruolo importante nella formazione di parole della scienza.
I francesismi: abbandonare, danza
Provenzalismi proveniente dalla lirica cortese: beltà, donzella
Ispanismi: riguardano soprattutto la vita militare e la società: alfiere, appartamento
Gli anglismi, la maggior parte dei quali provengono dall’inglese americano
1. Falsi anglicismi: a volte ci illudiamo di usare parole inglesi, per poi scoprire
che in realtà o non esistono o hanno un altro significato (in campo sportivo noi
utilizziamo la parola mister, mentre gli inglesi utilizzano coach)
2. Falsi amici: alcune parole hanno una forma simile all’italiano ma hanno
significati diversi (factory si traduce in fabbrica e non in fattoria)
3. Cortocircuito grafia-pronuncia: talvolta si pronuncia o si scrive all’inglese ciò
che inglese non è. (agnus dei è diventato agnus day).
Onomastica
Una parte consistente del lessico è costituita dai nomi propri. Distinguiamo fra i nomi di
persona (antroponimi) e nomi di luogo (toponimi)
Composizione: unione di due parole, le quali danno vita a una terza parola il cui
significato è autonomo
- Nome + nome calzamaglia, capostazione
- Nome + aggettivo cassaforte, altopiano
- Aggettivo + aggettivo austro-ungarico
- Verbo + nome reggiseno, asciugacapelli
- Verbo + verbo dormiveglia, toccasana
- Verbo + avverbio tiratardi
- Avverbio + participio maldicente
- Preposizione + nome sottopentola
- Preposizione + verbo sottoporre, sopravvalutare
- Composti ibridi (anglo-italiani) missione killer
- Confissi elemento morfologico dotato di valore semantico autonomo, che
occupa la posizione iniziale (1 elemento) o finale (ultimo elemento) in parole
composte, a volte capace di apparire come parola libera: glotto sia in
glottologia che in poliglotta.
- Unità polirematiche insiemi di parole che però hanno un significato
autonomo e unitario. (Uscita di sicurezza)
Sigle e acronimi
Le sigle e gli acronimi sono dovuti a due fattori concomitanti: da un lato l’aumento
delle conoscenze tecniche e scientifiche; dall’altro l’esigenza di risparmiare spazio e
tempo (FIGC Federazione Italiana Giuoco Calcio)
Tamponamenti
A volte le parole vengono scomposte e ricomposte petrodollari (petrolio + dollari)
Abbreviazioni, accorciamenti, retroformazioni
Talvolta le parole si formano per sottrazione, anziché per aggiunta. Ciò avviene
soprattutto per un’esigenza di risparmio di tempo e di spazio, ma si tratta di fenomeni
diffusi prevalentemente nella lingua parlata. Bici da bicicletta, foto da fotografia. Le
retroformazioni seguono un percorso formativo diverso. Si tratta di parole che
vengono create pensano che siano la fonte di altre parole, le quali hanno invece altra
origine. Ad esempio il sostantivo vendita deriva dal verbo vendere; per analogia si è
pensato che compravendita derivi da un presunto verbo compravendere, mentre
invece è un composto verbo + nome. Molte di queste retroformazioni hanno una
circolazione limitata al linguaggio giovanile; si pensi a forme come spino da spinello,
pariolo da pariolino.
Conversione talvolta le parole mutano la funzione sintattica originaria senza che la
loro forma cambi. L’esempio più noto è rappresentato dal cosiddetto infinito
sostantivato, laddove il verbo, nella forma dell’infinito svolge la funzione di
sostantivo (il) piacere.
CAP. 5 SINTASSI
Le relazioni e le regole che collegano tra loro le parole nella frase rientrano nel dominio della
sintassi. La frase è la modalità linguistica con cui si dà forma ai pensieri, ai ragionamenti e
alle emozioni. È definita come l’ambito in cui si manifestano le relazioni di accordo e
reggenza.
L’accordo è la proprietà in base alla quale un elemento della frase ‘trasferisci’ su altri
elementi i propri tratti morfologici (in italiano il nome controlla numero e genere dei suoi
attributi).
La reggenza è invece il fenomeno per cui un dato elemento della frase seleziona la forma
sintattica dell’elemento che controlla (ad esempio in italiano il verbo suonare regge un
oggetto diretto suono la chitarra).
La frase serve a realizzare una predicazione, che consiste nel riferire un’informazione
espressa tipicamente dal verbo (predicato) rispetto a un determinato referente.
La frase semplice è quella provvista di un solo predicato, mentre la frase complessa è
composta da più proposizioni ognuna delle quali presenta un elemento predicativo.
A differenza della frase, la proposizione non possiede il requisito dell’autonomia sintattica.
L’enunciato è l’unità minima del testo e nozione fondamentale della linguistica pragmatica.
L’unità minima della sintassi non è la frase, ma il sintagma. Ogni sintagma contiene una
testa (la parola fondamentale) e dei modificatori facoltativi.
La frase semplice
In una frase semplice deve essere necessariamente presente un nucleo, a cui possono essere
aggiunti vari elementi circostanziali. Il nucleo è rappresentato dal verbo e dai suoi argomenti.
Gli argomenti del verbo possono essere considerati l’espressione sintattica dei partecipanti a
un evento.
La valenza è la capacità del verbo di istituire legami con altri elementi della frase.
Alcuni verbi, come quelli atmosferici sono del tutto autosufficienti e non presentano
argomenti: sono zero valenti. I verbi monovalenti possiedono invece un solo argomento, il
soggetto (Luigi passeggia). Sono bivalenti i verbi che ammettono due argomenti. Nei verbi
trivalenti oltre al soggetto compaiono due argomenti. Nei verbi tetravalenti ci sono 4
argomenti.
Il soggetto
Il soggetto è l’elemento della frase che determina l’accordo del verbo; generalmente è al
soggetto che si riferisce la predicazione. Il soggetto può corrispondere:
Verbo e predicato
Quella di predicato è una categoria più ampia e comprende ogni elemento in grado di
apportare una predicazione, a prescindere se appartenga alla categoria grammaticale del
verbo. Il predicato può essere costituito da un singolo verbo (predicato verbale) o da un verbo
seguito da un nome o aggettivo (predicato nominale).
Il predicato verbale è costituito da un verbo predicativo, cioè da un verbo che ha un
significato lessicale pieno.
Il predicato nominale si compone invece di un verbo copulativo seguito da un aggettivo o da
un nome, detti anche parte nominale o complementi predicativi.
I complementi
Sono i costituenti frasali diversi dal soggetto e dal verbo e si chiamano così perché
completano la frase.
Il complemento predicativo del soggetto è un elemento nominale e aggettivale riferito al
soggetto che segue un verbo copulativo.
Quando l’elemento nominale o aggettivale è riferito a un oggetto diretto si è in presenza di un
complemento predicativo dell’oggetto.
I complementi indiretti sono introdotti da una preposizione; alcuni di essi sono retti da
elementi nominali.
a) Il complemento di specificazione è introdotto dalla preposizione di e dipende da un
nome o da un aggettivo che serve a precisare e a specificare.
b) Il complemento partitivo è preceduto da di, tra, fra e serve a indicare il tutto o
l’insieme al quale il nome da cui dipende appartiene
c) Il complemento di termine indica verso chi o cosa è diretta l’azione
d) Il complemento d’agente (esseri animati) e il complemento di causa efficiente (esseri
inanimati) indicano chi o cosa compie l’azione espressa da un verbo passivo.
e) Il complemento di causa esprime il motivo per cui si verifica l’azione espressa dal
verbo o il contenuto dell’elemento nominale cui si riferisce
f) Il complemento di fine o scopo indica lo scopo dell’azione espressa dal verbo
g) Il complemento di modo precisa il modo in cui si verifica il contenuto espresso dal
verbo.
h) Il complemento di mezzo indica lo strumento animato o inanimato che consente la
realizzazione del contenuto espresso dal verbo
i) Il complemento di luogo indica la collocazione nello spazio di un elemento della
frase.
Di stato in luogo: colloca un oggetto o un’azione in un punto dello spazio
Di moto a luogo: precisa il luogo da cui si origina l’azione
Di moto per luogo: indica lo spazio attraverso il quale si svolge l’azione
l) Il complemento di tempo colloca un’azione o un nome in una dimensione temporale.
Il complemento di tempo determinato indica un momento o periodo circoscritto
Il complemento di tempo continuato indica una durata nel tempo
L’apposizione
Determinazioni nominali poste in secondo piano rispetto alla linea sintattica principale.
Servono a qualificare meglio un elemento della frase, individuandone una proprietà o una
condizione: possono essere semplici, se costituite da un solo nome, o complesse, se sono
formate da più elementi.
Tipi di frase
Le frasi dichiarative esprimono un’asserzione, che può avere contenuto affermativo,
oppure negativo.
Le frasi interrogative esprimono una domanda
Interrogative totali: l’informazione richiesta riguarda l’intero contenuto della frase e
prevede la risposta sì/no
Interrogative parziali: la risposta non è riducibile a un’alternativa secca. Sono
introdotte da avverbi, aggettivi o pronomi interrogativi (che cosa hai fatto stamattina?)
Interrogative disgiuntive: contengono un’alternativa tra due o più possibili risposte
(preferisci il calcio o il tennis?)
Interrogative retoriche: prevedono già la risposta, il loro scopo è quello di rafforzare il
consenso attraverso un’accentuazione dell’enfasi (forse pensi che io sia un ingenuo?)
La frase complessa
Le singole unità sintattiche che compongono la frase complessa sono le proposizioni, termine
con cui si indicano le frasi che nell’ambito del periodo si collegano ad altre attraverso i
meccanismi della coordinazione e della subordinazione.
La coordinazione
È un modo di collegare le proposizioni tra loro ponendole sullo stesso piano, senza cioè
creare un rapporto gerarchico tra le due unità.
Coordinazione copulativa: due proposizioni sono unite per mezzo di una semplice
congiunzione copulativa affermativa e negativa (non mi piace ballare né andare in
discoteca)
Coordinazione avversativa: la proposizione coordinata contrasta il contenuto
dell’altra. Il contrasto può essere parziale, come nella frase ‘mi piace il mare, ma ci
vado poco’ o totale come nella frase ‘non è tornata a casa, ma ha dormito da
un’amica’.
Coordinazione disgiuntiva: si verifica quando la proposizione coordinata costituisce
un’alternativa alla precedente. ‘restiamo a casa o usciamo a fare una passeggiata? ’
Coordinazione correlativa: le due proposizioni sono coordinate mediante l’uso di
una coppia di congiunzioni, la prima delle quali richiama l’altra realizzando una
struttura correlativa. ‘non voglio né vederlo né sentirlo’
Coordinazione conclusiva: la proposizione coordinata rappresenta il punto d’arrivo o
lo sviluppo di quanto enunciato nella proposizione precedente. ‘comincia a piovere,
perciò ripariamoci in un locale’
Coordinazione esplicativa: la proposizione coordinata spiega e motiva il contenuto
della proposizione precedente. ‘il testo non è corretto, cioè è pieno di errori’
Coordinazione per asindeto e polisindeto: consiste nell’allineare le proposizioni
coordinare senza collegarle con una congiunzione. Tale procedimento è anche detto
giustapposizione: ‘ha chiuso la porta, è sceso per le scale, ha salutato gli amici al bar,
è salito in macchina, si è dileguato nel traffico’.
La subordinazione
È un modo di collegare le proposizioni attraverso il quale si crea un rapporto di dipendenza
tra una proposizione principale e una o più proposizioni secondarie dipendenti. La
proposizione subordinata che dipende direttamente dalla principale è detta di primo grado,
mentre una subordinata che dipende da un’altra subordinata è detta di secondo grado, e così
via.
Le subordinate esplicite sono le dipendenti costruite con un verbo di modo finito (indicativo,
congiuntivo, condizionale). ‘mi hanno detto che il film sarebbe iniziato alle otto’
Le subordinate implicite sono le proposizioni dipendenti costruite con un modo non finito
(infinito, gerundio, participio). ‘arrivato Carlo il gruppo si diresse verso l’imbarco’.
Anche le subordinate, come i costituenti della frase semplice, possono essere suddivise in
argomentali e circostanziali: le prime si comportano come il corrispettivo proposizionale
dell’argomento del nucleo, completando il significato del verbo, mentre le seconde apportano
informazioni accessorie. A questi due gruppi vanno aggiunte le proposizioni relative che
dipendono da un elemento nominale della reggente.
Subordinate argomentali
A seconda della funzione sintattica espletata rispetto al verbo della reggente
distinguiamo diversi tipi di proposizioni argomentali.
Le proposizioni oggettive, svolgono la funzione di complemento oggetto della
principale e possono essere esplicite e implicite.
Le oggettive esplicite sono introdotte per lo più dalla congiunzione che o come.
Le oggettive implicite sono introdotte dalla preposizione di e hanno il verbo
all’infinito
Le proposizioni soggettive si comportano come il soggetto della proposizione
principale e in genere dipendono da:
a) Verbi impersonali: pare, sembra, risulta, capita
b) Verbi usati come impersonali preceduti da si: si crede, si dice, si spera
c) Espressioni formate con il verbo essere seguito da un nome, un avverbio, un
aggettivo: è il caso, è ora, è bene.
Le proposizioni dichiarative sono simili alle oggettive, ma se ne differenziano perché
espandono un elemento presente nella reggente. ‘ti ricordo solo questo: che gli
accordi erano diversi’.
Le proposizioni interrogative indirette esprimono una domanda o un dubbio in
forma indiretta: la frase ‘con chi è uscito Luca? ’ può essere riformulata in ‘vorrei
sapere con chi è uscito Luca’. Si suddividono in
a) Totali: sono introdotte da se: ‘mi chiedo se Luca sia arrivato’
b) Disgiuntive: presentano un’opzione tra due alternative ‘mi chiedo se aspettare
o andarmene’
c) Parziali: sono introdotte dagli elementi wh- ‘mi chiedo perché tu non me
l’abbia detto’.
Subordinate relative
Si riferiscono a un elemento della proposizione principale, detto antecedente e sono
introdotte da un pronome relativo. Il pronome che fa da cerniera tra reggente e
subordinata. ‘ti ho regalato un libro che ti piacerà senz’altro’.
a) Relative restrittive: restringono, limitano, precisano la porta semantica
dell’antecedente. ‘mi piacciono i racconti che hanno il lieto fine’
b) Relative appositive: agiscono come una sorta di apposizione rispetto
all’antecedente, ne illustrano infatti una qualità o un aspetto. ‘mi è piaciuto il
tuo racconto, che ha un lieto fine, perché mi ha emozionato’
c) Relative predicative: dipendono da un verbo di percezione o da espressioni
presentative ‘ho visto Maria che andava a scuola’.
Le costruzioni assolute
Il participio e il gerundio presentano un soggetto diverso da quello della sovraordinata. Il
termine assoluto deriva dal latino absolutus, aggettivo che individua alcune strutture
classiche, non introdotte da nessuna congiunzione o preposizione. Possono essere considerate
costruzioni assolute:
a) Le proposizioni al gerundio e al participio ‘essendo mio figlio malato, preferisco
prendere un giorno di ferie’
b) Sequenze di “nome + aggettivo o sintagma preposizionale”, in cui il nome è in
rapporto meronimico rispetto al soggetto della reggente: ‘i piedi sul tavolo, Luca fuma
una sigaretta’.
c) Sequenze costituite da un nome e un avverbio, un aggettivo o un sintagma
preposizionale (dette anche nominativi assolutivi): ‘via il dolore, torna la gioia di
vivere’.
d) L’accusativo di relazione, costrutto diffuso nell’italiano letterario del passato, ma oggi
decisamente marginale. ‘di morte il bianco aspetto’.
Le proposizioni incidentali
Sono strutture inserite all’interno del periodo, ma prive di un rapporto sintattico con le altre
proposizioni. ‘la sua pigrizia, lo dicono tutti, è proverbiale’. È possibile distinguere tra
incidentali primarie, prive di congiunzione; e secondarie, che invece sono introdotte da
congiunzioni coordinative o subordinative.
CAP.6 TESTUALITÁ
Chi produce il testo, ovvero l’emittente, usa la lingua per inviare intenzionalmente una
comunicazione a qualcuno che la riceve ed è in grado di farla propria, ovvero il destinatario.
Per la comunicazione saranno inoltre necessari un codice condiviso (una lingua naturale) e un
canale di emissione/ricezione.
Perché un insieme di parole o di frasi costituisca un testo efficace, occorrono quattro
condizioni:
Unità: un testo deve essere sempre ravvisato come un prodotto unitario, anche se
suddiviso in parti
Completezza: la qualità della comunicazione; ogni testo deve esaurire in sé
completamente tutti gli aspetti di ciò che si desidera comunicare e trasmettere al
destinatario.
Coesione: ciò che concerne le relazioni morfologiche e sintattiche tra le varie parti
che compongono il testo
Coerenza che riguarda i rapporti di significato all’interno del testo
L’intertestualità
Individua le relazioni che ogni testo intrattiene con altri testi. I rapporti che possono istituirsi
tra un testo e l’altro non sono dei legami inerti, ma potenziano il significato del testo stesso.
Sistemi di collegamento
Definiamo anaforici quegli elementi che si riferiscono a una o più parole che precedono, e
che agiscono come meccanismi di ripresa e di collegamento tra le parti del discorso.
Le ripresa senza ripetizione può avvenire in diversi modi:
Uso dei pronomi
Sostituzione lessicale con un sinonimo, iperonimo, iponimo, con un nome generale,
un meronimo
Ellissi che consiste nell’omettere un elemento, cioè nel non ripeterlo a breve distanza
Definiamo cataforici quegli elementi che si riferiscono a una o più parole che seguono, e che
agiscono come meccanismi di anticipazione e di collegamento tra le parti del testo
‘solo di questo si era parlato, dei tuoi successi’: questo anticipa il coreferente e, al tempo
stesso, funge da elemento di collegamento.
Deittici
Rinviano non agli elementi del testo in cui compaiono, ma alla realtà extralinguistica. Perché
dunque possano essere correttamente interpretati è necessario che l’emittente e il destinatario
condividano lo stesso contesto comunicativo.
‘puoi spostare, per favore, quella sedia da lì a qui? ’: l’aggettivo dimostrativo quella e gli
avverbi di luogo lì e qui possono essere compresi solo se il destinatario del messaggio è
compresente e condivide lo spazio in cui avviene lo scambio dialogico.
Tema e rema
La coppia di termini serve a distinguere nel contesto di un enunciato, ciò di cui si parla (tema)
da quanto su di esso viene detto (rema). Il tema è la parte del messaggio che salda
l’enunciato al contesto extralinguistico mentre il rema è l’effettivo contenuto dell’asserzione.
Frasi marcate
Nella frase semplice l’italiano presenta di norma la sequenza SVO. Quando l’ordine normale
SVO viene violato, siamo di fronte a una frase marcata. La marcatezza può servire a mettere
in rielevo il tema, oppure il rema dell’enunciato.
Marcatezza tematizzante:
Dislocazione a sinistra ‘mangio volentieri la carne la carne, la mangio volentieri’
Dislocazione a destra ‘la mangio volentieri, la carne’
Marcatezza focalizzante:
la focalizzazione consiste nel mettere in evidenza la funzione di focus, o rema, di un
costituente della frase. Spostando un elemento dalla sua sede naturale.
‘devi dare i soldi a suo fratello’ A SUO FRATELLO, devi dare i soldi
Altra struttura focalizzante è la frase scissa, cosiddetta perché nella prima parte il verbo
essere introduce l’elemento focalizzato, e nella seconda c’è il resto dell’informazione: ‘è a
suo fratello che devi dare i soldi’.
La frase pseudoscissa: l’ordine delle parti è invertito rispetto alla frase scissa
‘chi mi ha prestato i soldi è stato suo fratello’.
Il discorso riportato
Immettiamo nelle nostre enunciazioni la parola di altri o riportiamo parole e frasi che
abbiamo detto e pensato in un momento diverso rispetto a quello in cui si svolge il discorso
citante.
Il discorso diretto la riproduzione fedele di quel che è stato detto o che sarà detto
da altri o dallo stesso parlante
Il discorso indiretto è la parafrasi del contenuto di parole, frasi o discorsi
Una settimana fa Luca ha annunciato: ‘domani porterò la mia fidanzata a Roma’
‘una settimana Luca ha annunciato che il giorno dopo avrebbe portato la sua fidanzata a
Roma’
Il discorso indiretto libero una mistione di discorso diretto e di discorso indiretto.
Tipico soprattutto della prosa letteraria, è impiegato per riportare in forma indiretta il
discorso di un personaggio, mantenendo tuttavia alcuni tratti del discorso diretto.
Il discorso diretto libero una sorta di discorso diretto privo di introduttori
sintattici e grafici. Il narratore riporta le parole del personaggio nel discorso senza
operare alcun tipo di adattamento e senza segnalare in alcun modo la presenza del
discorso diretto
Modelli poststrutturalisti, fra i più noti la fenomenologia di Umberto Eco. Eco pone
l’accento sull’interazione, assegnando al ricevente un ruolo attivo. Il destinatario
infatti non soltanto riceve e decodifica il messaggio, ma lo interpreta:
La teoria della rilevanza di Dan Sperber e Deirdre Wilson secondo loro la
comunicazione è sempre finalizzata al raggiungimento di un fine, riconosciuto da
entrambi i partecipanti alla comunicazione e perseguito mediante il principio del
massimo effetto con il minimo sforzo. In base al principio cognitivo della pertinenza,
mittente e destinatario sono in grado di codificare e decodificare quegli input che
risultano maggiormente pertinenti, poiché attivano effetti cognitivi più significativi.
L’emittente
È colui che produce il messaggio e dà avvio all’atto comunicativo mediante la realizzazione
di un testo, scritto o orale.
C’è una distinzione nel campo della scrittura: chi scrive saltuariamente o per ragioni
personali, lo scrivente, che produce testi diversi da chi lo fa per professione, lo scrittore. Il
‘profilo’ dell’emittente si riflette dunque sulla sua familiarità con la scrittura e con i diversi
generi testuali, ma condiziona anche le sue scelte formali e il tipo di varietà linguistica usata
per esprimersi. In tal senso ha un certo peso la variazione diastratica (caratteristiche sociali)
Il ricevente
Destinatario conosciuto persona o gruppo di persone specifiche all’emittente
Destinatario virtuale o non definito il testo non si rivolge a un ricevente preciso, ma a un
gruppo indeterminato di persone
Il tipo di ricevente cui ci riferiamo condiziona la variabile diafasica (il grado di formalità
che lega i partecipanti all’interazione e che dipende dal rapporto che si ha con
l’interlocutore).