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Romn - Italian
II
Numrul de credite
Numrul orelor pe
an / activiti
Total
SI TC AT
56
36
8
12
Obiective
Coninut
(descriptori)
Obligatorii
(condiionate)
Recomandate
AA
DF
DI
Suport de curs ID
Coordonator de disciplin
Elena Prvu
Semntura
SUPORT DE CURS
Prezentul suport de curs este realizat pe baza volumelor: Bembo, Pietro, Prose e rime, a cura
di Carlo Dionisotti, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Ristampa 1978; Berruto,
Gaetano, Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza, 1995; Bruni, Francesco, Litaliano
letterario nella storia, Bologna, Il Mulino, 2002; DAchile, Paolo, Breve grammatica storica
dellitaliano, Roma, Carocci Editore, 2002; Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, Traduzione e
saggi introduttivi di Claudio Marazzini e Concetto Del Popolo, Milano, Oscar Mondadori, 1990;
Marcato, Carla, Dialetto, dialetti e italiano, Bologna, Il Mulino, 2002; Patota, Giuseppe,
Lineamenti di grammatica storica dellitaliano, Bologna, Il Mulino, 2002.
INDICE
I. Dal latino allitaliano
1. Nozioni preliminari
1.1. La variazione linguistica
1.2. Dal latino allitaliano
1.2.1. Il latino classico e il latino volgare
1.2.2. Le fonti del latino volgare
2. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti fonetici
2.1. Fenomeni del vocalismo
2.2. Fenomeni del consonantismo
3. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti morfologici
3.1. Il genere del nome. La scomparsa del neutro
3.2. La scomparsa del sistema dei casi
3.3. Larticolo
3.4. I pronomi personali
3.5. Laggettivo. Il comparativo e il superlativo
3.6. Il verbo
3.6.1. La riduzione delle coniugazioni verbali
3.6.2. La formazione del passato remoto
3.6.3. La formazione dei tempi composti
3.6.4. La formazione del passivo perifrastico
3.6.5. La formazione del futuro
3.6.6. La formazione del condizionale
4. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti sintattici
4.1. Lordine delle parole nella frase
4.2. Lespressione e la posizione del pronome soggetto
4.3. La posizione dei pronomi atoni. La legge Tobler-Mussafia
II. I primi documenti dellitaliano
1. Lindovinello veronese
forma errata, cio cos come le pronunciavano o le scrivevano gli scolari, secondo lo schema A,
non B:
speculum
columna
calida
auris
non
non
non
non
speclum
colomna
calda
oricla
A differenza degli scolari di quel maestro, a noi interessano proprio queste ultime forme, che
testimoniano di altrettanti fenomeni vivi nel latino volgare: caduta della vocale postonica nel
suffisso -ULUM, -ULAM in speclum e oricla; alterazione della vocale tonica in colomna (con u
breve diventata o chiusa); monottongazione del dittongo latino au in oricla; diffusione dei
diminutivi a preferenza delle forme semplici (ancora in oricla).
c) Le lettere private. Si tratta di papiri e cocci che conservano lettere di privati, scritte fuori
da rigidi canoni letterari. DallEgitto provengono circa 300 lettere in latino, molte delle quali, scritte
da militari, trattano di piccoli traffici e altre facende quotidiane.
d) Le testimonianze di autori letterari. Si tratta di opere di autori che tentano di riprodurre
nella lingua scritta i tratti tipici della lingua parlata: esemplari, in proposito, i casi delle commedie
di Plauto (III secolo a.C.) e del Satyricon di Petronio (I secolo d.C.), al cui interno lepisodio della
Cena di Trimalchione costituisce unimportante testimonianza di latino parlato.
e) La letteratura tecnica. Per la natura del suo argomento, questa trattatistica si sottrae alle
norme delluso classico. Sono interessanti per la storia della lingua i trattati di agricoltura (Catone il
Vecchio, Varrone, I secolo d.C.), quelli di veterinaria (Mulomedicina Chironis, IV secolo d.C.), di
cucina, di medicina, di dietetica ecc.
f) La letteratura dispirazione cristiana. Il latino degli autori cristiani allinizio
deliberatamente umile e popolare. Il complesso di versioni della Bibbia precedenti san Girolamo
mostrano molto bene questo carattere - oltre alla solita stretta dipendenza dal testo greco, dal quale
erano state tradotte in latino.
La versione di san Girolamo della Vulgata (383 d.C.), una correzione condotta sul testo
greco delle versioni correnti, e mantiene perci in grandissima parte lo stesso carattere. Ma
nellambito del Cristianesimo, perfino gli autori pi colti come santAgostino sono ricettivi nei
confronti del latino popolare, e non subiscono passivamente i modelli letterari. La lingua dei
Cristiani ha in generale caratteri propri molto spiccati, tanto che molti studiosi sono arrivati a
definirla una lingua speciale. Il carattere popolare sempre un elemento essenziale.
Un episodio saliente nella storia di questi testi cristiani offerto dalla Peregrinatio Egeriae (o
Aetheriae), resoconto di un pellegrinaggio sui Luoghi Santi di una gentildonna appartenente a un
ordine di suore. Si tratta di unopera pi tarda (V secolo), libera dai consueti schemi letterari, dove
compaiono in massa ille e ipse in usi che corrispondono a quelli pi elementari dellarticolo
romanzo.
g) Le glosse. Sotto il nome convenzionale di glosse viene elencata una serie di testimonianze
del latino tardo o piuttosto gi del primo romanzo. Le Glosse di Reichenau (che provengono dal
nord della Francia, e sono del IX secolo) contengono spiegazioni di parole ed espressioni della
Bibbia diventate difficili e un piccolo lessico alfabetico: il latino delle glosse maschera un
romanzo gi sviluppato.
Le Glosse di Kassel (XI secolo?) sono un manualetto romanzo-tedesco ad uso dei bavaresi
che si trovano in Francia: il romanzo , anche qui, sommariamente arrangiato in veste latina.
Del X secolo sono le glosse emilianensi (da San Milln) e silensi (Santo Domingo de Silos),
di zona iberica; pure del X secolo il Glossario di Monza, dove parole latino-romanze sono spiegate
in greco volgare.
Le glosse ci riportano non tanto alle ultime fasi del latino quanto gi agli inizi romanzi, ma a
un romanzo che tuttavia non ha ancora acquisito accesso a unespressione letteraria autonoma.
Dunque, nella pronuncia del latino volgare, A, breve o lunga che fosse, fu realizzata sempre
allo stesso modo: a, senza differenze nel grado di apertura. e furono continuate come [ ] e
come [ ], mentre e furono continuate come [e] e come [o]. ebbe lo stesso trattamento di e
divenne [e], mentre ebbe lo stesso trattamento di e divenne [o]. Queste due assimilazioni si
spiegano tenendo conto del fatto che la pronuncia di due vocali contigue come ed , e doveva
essere molto simile, e quindi ha dato gli stessi risultati. Infine, , la pi chiusa delle vocali palatali,
fu pronunciata come [i]; , la pi chiusa delle vocali velari, fu pronunciata come [u].
Dal latino volgare queste trasformazioni si sono riversate su tutte le lingue romanze,
compreso litaliano:
ALA(M) > ala
SPTE(M) > stte
LGE(M) > lgge
LGNU(M) > lgno
MLLE > mille
Durante il Medioevo dalle vocali toniche // e / / in sillaba libera (cio terminante per vocale)
si svilupperanno nel toscano i dittonghi i e u:
P-DE(M) > pide
I dittonghi i [j] e u [w ] si dicono dittonghi mobili perch tendono a ridursi, fuori accento,
alla sola vocale (rispettivamente [e] e [o]). Il fenomeno particolarmente evidente allinterno dei
paradigmi verbali: siede/sediamo, viene/veniva, pu/potete; ma si manifesta anche in serie
corradicali (cio con parole grammaticalmente distanti che presentano la stessa radice):
piede/pedata, siede/sedile, vuole/volont, muove/movimento.
b) Le vocali atone. Anche le vocali atone subirono delle trasformazioni, ma furono in parte
diverse. In particolare, il vocalismo atono del latino volgare non conosce vocali aperte: e atone
hanno dato e , come le rispettive lunghe e come e . Il vocalismo atono dellitaliano coincide
con quello del latino volgare, sicch possibile presentarli in un unico schema:
Vocalismo atono del latino volgare e dellitaliano
La -S finale, invece, o non caduta o non caduta immediatamente, producendo invece varie
trasformazioni. In particolare,
nei monosillabi, -s finale o si palatalizzata, cio si trasformata nella vocale palatale -i:
NS > noi, VS > voi, o si assimilata alla consonante iniziale della parola successiva: TRS
CAPRAS > tre capre (pronuncia [trek'kapre]);
nei polisillabi, -s finale, prima di cadere, ha palatalizzato la vocale precedente: per esempio,
nella parola latina CAPRAS, la -S finale ha trasformato la A che la precedeva in una E: CAPRAS >
CAPRES > CAPRE.
b) La palatalizzazione dellocclusiva velare. Questo fenomeno interess la pronuncia del
latino fin dal V secolo d.C. Nel passaggio dal latino in italiano, il processo di palatalizzazione
davanti a E e a I ha interessato la velare sorda [k] in posizione sia iniziale (CLIM > ciglio) sia
interna (MACRARE > macerare) e la velare sonora [g] in posizione iniziale (GLU > gelo).
In posizione interna la velare sonora, dopo essersi palatalizzata, ha subito unulteriore
trasformazione, e in alcuni casi si intensificata (come in LGIT > legge), in altri si dileguata
perch assorbita da una I successiva, detta omorganica perch pronunciata con gli stessi organi
articolatori della consonante precedente. Per esempio, dalla base latina SAGTTA(M), alla
palatalizzazione della velare ([sa'ditta]) seguito il suo dileguo, che ha prodotto SATTA e poi
saetta, con regolare trasformazione della tonica in e chiusa [e].
c) Trattamento di iod iniziale e interno. Quale che fosse la vocale successiva, lo iod [j] si
strasformato in unaffricata palatale sonora [d] in posizione iniziale e in unaffricata palatale
sonora intensa [dd] in posizione intervocalica:
IACRE > giacere
ICARE > giocare
Ho comprato il quadro
di
a
da un collega.
con
per
La riconoscibilit di un caso rispetto a un altro era affidata alla diversa uscita che un nome o
un aggettivo potevano avere. Ogni nome o aggettivo, infatti, era composto di una parte fissa
(tradizionalmente indicata come radice) e di una parte variabile, detta desinenza. La desinenza
cambiava a seconda della funzione logica svolta.
Ancor prima dellet classica, si afferm una forte tendenza a ridurre e a semplificare il
complesso sistema di casi del latino. Ben presto, ad esempio, i parlanti confusero il nominativo e il
vocativo, che nella maggior parte dei nomi presentavano la stessa desinenza; inoltre, alcuni
complementi non furono espressi solo dalla desinenza della parola, ma anche da una preposizione
che precedeva la parola stessa.
Divenuto il caso di tutti i complementi, laccusativo ha finito col sostituirsi anche al
nominativo, e si presenta, fatta salva qualche eccezione, come il caso da cui derivano tutte le parole
dellitaliano.
3.3. Larticolo
Il latino classico non conosceva larticolo. Funzioni analoghe allarticolo indeterminativo
italiano potevano per essere svolte dal numerale NS/-A/-M.
Per quel che riguarda le forme dellarticolo indeterminativo, il maschile uno continua
laccusativo maschile latino N(M) (un rappresenta la variante apocopata di uno), mentre il
femminile una (davanti a vocale normalmente eliso in un) continua laccusativo femminile latino
NA(M).
Larticolo determinativo italiano continua la forma latina ille, illa, illud, che era aggettivo o
pronome dimostrativo che indicava qualcuno o qualcosa lontano, materialmente o
psicologicamente, dallemitente e dal ricevente (come il dimostrativo italiano quello).
Ille con un significato vicino a quello dellarticolo determinativo italiano documentato in
vari testi latini medievali.
femminile). Erano adoperate anche le forme lui (3a persona singolare maschile), lei (3a persona
singolare femminile) e loro (3a persona plurale maschile e femminile), quasi mai in funzione di
soggetto, quasi sempre in funzione di complemento.
La maggior parte di questi pronomi deriva dai dimostrativi ille e ipse.
Nei pronomi personali litaliano, accanto alle forme forti, piene, toniche, ha sviluppato anche
forme deboli, ridotte, atone, che si appoggiano al verbo: sono i cosiddetti clitici, che possono essere
usati come complemento oggetto e di termine.
I pronomi mi, ti e si derivano dalla chiusura della e dei pronomi me, te e s. Gli, lo, la, li e le
derivano da varie forme declinate del pronome dimostrativo ille.
Ci e vi, oltre che pronomi di prima e seconda persona plurale, sono anche avverbi di luogo. Le
basi latine da cui derivano sono appunto forme avverbiali di luogo:
(C)CE HC > ci
()B > ve > vi
Alla terza persona plurale, per il complemento di termine il pronome gli (< (L)LS) stato
perlopi sostituito da loro (< (IL)LR(M).
3.5. Laggettivo. Il comparativo e il superlativo
Litaliano, come le altre lingue romanze, non ha conservato il comparativo organico (o
sintetico) del latino, ottenuto attraverso la combinazione del tema con una particolare desinenza
(altus: altior, altius). Ha prevalso infatti una comparazione di tipo analitico, formata da PLUS e
dallaggettivo di grado positivo, che ha sostituito ad altior, -ius del latino il tipo pi alto.
Delle forme organiche latine si conservano soltanto:
MAIRE(M) > maggiore
MELIRE(M) > migliore
MINRE(M) > minore
PEIRE(M) > peggiore
insieme con i neutri meno < MNU(S), meglio < MLIUS, peggio < PIUS.
Litaliano, come lo spagnolo, ha ripreso per via dotta (come mostra la mancata evoluzione di
in [e]) il superlativo organico:
ALTSSIMUS > altissimo.
3.6. Il verbo
Nel passaggio dal latino allitaliano, il sistema verbale ha subito modificazioni fortissime. Di
queste, le pi importanti sono state:
a) la riduzione delle coniugazioni verbali;
b) la formazione dei tempi composti;
c) la formazione del passivo perifrastico;
d) la diversa formazione del futuro;
e) la formazione del condizionale, che in latino non esisteva.
3.6.1. La riduzione delle coniugazioni verbali
Il latino aveva quattro coniugazioni verbali, distinguibili in base alluscita dellinfinito: la
prima aveva linfinito in -RE (AMRE), la seconda in -RE (TMRE) la terza in -RE
(LEGRE) e la quarta in -RE (FNRE).
numerosi dei rari verbi di seconda coniugazione (DELO, FLO, COMPLO e pochi altri) con un
perfetto uscente in -VI, naturale presupposto di un passato remoto in -ei.
Nel caso dei perfetti forti, spesso le forme italiane mantengono, alla prima e alle terze
persone, le variazioni tematiche proprie del latino (ma la di -RNT si abbrevia, con ritrazione
dellaccento). Abbiamo cos, per esempio, feci, fece e fecero (< FC, FCT, FCRNT); dissi,
disse e dissero (< DX, DXT, DXRNT) ecc.
Tra i perfetti forti latini, molti erano sigmatici, cio presentavano prima delle desinenze
delle persone, una /s/: MISI, RISI, SCRIPSI ecc.; questo tipo di perfetto non solo si conservato
(misi, risi, scrissi ecc.), ma si esteso a molti altri verbi (LEGIT > *LEXI > lessi; VOLVI >
*VOLSI > volsi ecc.). Altri perfetti forti latini avevano la terminazione in -UI (TACUI, PLACUI);
anche questa terminazione si per lo pi mantenuta (tacqui, piacqui; ma parvi < PARUI),
estendendosi anche ad altre forme, con la /w/ che ha in genere provocato il raddoppiamento della
consonante tematica): VENI > *VENUI > venni; *STT (forma del latino volgare in luogo del
classico STETI) > stetti, su cui si sono modellati *SEPUI (invece di SAPII o SAPUI) > seppi e
*HEBUI (invece di HABUI) > ebbi (a sua volta possibile modello per crebbi; rara la forma ridotta
i) ecc.
Per analogia con stetti, alcuni verbi in -ere hanno sviluppato, alla prima e alla terza persona
singolare e alla terza persona plurale, una forma parallela in -etti, -ette, -ettero: cos abbiamo
assistei e assitetti, cedei e cedetti, credei e credetti, temei e temetti ecc.
3.6.3. La formazione dei tempi composti
In latino, la coniugazione attiva era costituita soltanto da forme verbali semplici o sintetiche,
cio costituite da un unico elemento, nel quale al tema del verbo si univa unuscita distintiva del
tempo, del modo e della persona.
Le forme verbali composte, sconosciute al sistema verbale attivo del latino classico, erano
invece diffuse nel latino parlato.
I primi che ammettono il perfetto composto sono i verbi transitivi, se accompagnati da un
oggetto in accusativo (cfr. epistulam scriptam habeo). Questo perch i transitivi, esprimendo
unazione eseguita, possono esprimere anche il risultato di questa azione. Di fronte a epistulam
scripsi, che pu significare scrissi una / la lettera nonch ho scritto una / la lettera, epistulam
scriptam habeo (diventata, col trapasso dallordine soggetto-oggetto-verbo allordine soggettoverbo-oggetto, cambiamento collegabile alla crisi del sistema casuale del latino tardo, habeo
epistulam scriptam) esprime il risultato, il possesso: Possiedo (il risultato del fatto che) una lettera
( stata) scritta.
Cos la costruzione epistulam scriptam habeo, che indicava il possesso del risultato di
unazione (il perno della costruzione era habeo), viene a significare lazione stessa al passato (il
perno ora il verbo al participio e habeo indica solo il tempo); sono in possesso del risultato di
unazione passata ho compiuto questazione nel passato.
Il perfetto perifrastico si estende adesso anche ai verbi transitivi usati in senso assoluto (tipo
habeo cantatum). Qui si parla solo dellazione, senza indicare un contenuto come oggetto.
Partendo da qui, questo tipo di perfetto pu essere in seguito trasferito anche ai verbi
intransitivi.
***
La creazione della nuova perifrasi esprimente lanteriorit non si limita solo al presente: anche
nel livello temporale del passato, lanteriorit in opposizione allimperfetto, espressa prima con il
piuccheperfetto, sar espressa adesso, simmetricamente, dalla perifrasi composta dal participio e
dallimperfetto di habere, cos come nel livello temporale del futuro sorger la perifrasi, in tutto
simmetrica e parallela, composta dal participio e dal futuro di habere, la quale si sostituir a poco a
poco al futuro anteriore latino. Di fronte a portare, per esprimere lanteriorit (terminata) nasce, al
posto di portavisse, la perifrasi habere portatum; italiano: aver portato.
Anzi, si creano delle perifrasi anteriori anche l dove una corrispondente forma sintetica
prima non esisteva per niente. Accanto al gerundio non anteriore portando appare la corrispondente
perifrasi habendo portatum; italiano: avendo portato. Il perfetto sintetico portavi si specializza
sempre pi per esprimere la funzione di aoristo; esso, dunque, non esprime pi lanteriorit, sicch,
per esprimere questultima, in opposizione a portavi nasce la nuova perifrasi habui portatum;
italiano: ebbi portato.
3.6.4. La formazione del passivo perifrastico
In latino, la coniugazione passiva era costituita sia da forme verbali semplici o sintetiche (con
una desinenza specifica del passivo), sia da forme verbali perifrastiche o analitiche, risultate
dallunione di un participio perfetto con una voce del verbo esse essere.
La scomparsa del passivo sintetico latino fenomeno panromanzo.
I fattori che presiedono alla sostituzione delle forme sintetiche del passivo con quelle
analitiche sono:
il significato stesso del passivo, che in sostanza uno stato, dunque qualcosa di analogo a
una qualit determinante (questa viene espressa da sempre mediante il verbo esse e il determinante
rispettivo; per cui laudatus est interpretabile sia come perfetto passivo sia come aggettivo +
presente);
la duplicit del perfetto passivo latino, che aveva, come il perfetto attivo, il duplice valore di
passato effettivo (aoristo greco) e di perfectum propriamente detto, cosicch lespressione domus
clausa est indicava un fatto, un avvenimento del passato che veniva semplicemente constatato (la
casa fu chiusa), oppure serviva a designare unazione conclusa e lo stato attuale da essa derivante
(la casa (attualmente) chiusa), in opposizione a clauditur, che si riferiva allazione in corso di
svolgimento nel presente;
il fatto che nella maggior parte la distinzione dalle forme attive delle forme del passivo
(quelle sintetiche) dipende dalla consonante finale /r/: se questa cadesse, una serie di forme passive
diventerebbe omofona alle forme attive (nelle quali cadono /m/, /s/, /t/); ad esempio: portor ~ porto;
porter ~ portem; portamur ~ portamus, portemur ~ portemus ecc.
Proprio la plurivalenza del perfetto classico composto dal participio e dal presente di esse
determina luso del perfetto di esse (dunque, domus clausa fuit al posto di domus clausa est),
qualora sia necessario esprimere in modo pi chiaro e pi espressivo che si tratta di passato.
Per conseguenza, una perifrasi come clausa fuit esiste accanto a clausa est come una sua
variante, in posizione alquanto marginale nel sistema. Questultimo tipo ampiamente documentato
nelle iscrizioni del V secolo.
***
Le principali conseguenze dellevoluzione del passivo dalle forme sintetiche alle forme
analitiche sono le seguenti:
1. In opposizione al latino classico, che era analitico in una parte delle sue forme e sintetico in
altre, adesso tutto il passivo analitico.
2. Mentre nel latino classico il livello temporale dellausiliare e quello di tutta la perifrasi non
corrispondono, adesso essi corrispondono pienamente: in latino sum presente, portatus sum invece
anteriore, cio perfetto (parallelamente eram imperfetto, portatus eram anteriore, cio
piuccheperfetto; ero futuro, portatus ero futuro anteriore). Nel latino tardo, portatus sum
presente come il solo sum (parallelamente, portatus fui perfetto come il solo fui, portatus eram
imperfetto come il solo eram ecc.).
3.6.5. La formazione del futuro
Le forme di futuro del latino classico non ebbero continuazioni nel mondo romanzo.
> lodar
> lodarai
> lodar
> lodaremo
> lodarete
> lodaranno
II coniugazione
TMR(E) *AO
TMR(E) *AS
TMR(E) *AT
TMR(E) *(AB)MUS
TMR(E) *(AB)TIS
TMR(E) *A(B)NT
> temer
> temerai
> temer
> temeremo
> temerete
> temeranno
III coniugazione
FNR(E) *AO
FNR(E) *AS
FNR(E) *AT
FNR(E) *(AB)MUS
FNR(E) *(AB)TIS
FNR(E) *A(B)NT
> finir
> finirai
> finir
> finiremo
> finirete
> finiranno
In italiano il condizionale ha, tra le altre, due funzioni fondamentali: quella di esprimere la
conseguenza allinterno di unipotesi giudicata possibile (Se potesse, verrebbe) o irreale (Se avesse
potuto, sarebbe venuto) e quella di esprimere il futuro in dipendenza da un passato (Mi dicevano
che saresti arrivato oggi). La lingua latina esprimeva questi significati in altri modi e con altre
forme, e non aveva il condizionale, che uninnovazione romanza.
La nascita del condizionale strettamente connessa con la formazione del futuro romanzo, col
quale sta (da un punto di vista puramente formale) nella stessa relazione che corre tra presente e
imperfetto (o perfetto): cantare habeo: cantare habebam ovvero habui, per cui si pu dire che
propriamente il condizionale un imperfetto del futuro.
Il passato, contenuto nel verbo modale habebam/habui, e lidea della modalit protesa verso il
futuro, contenuta nellinfinito, concrescono a poco a poco nellespressione delleventualit, della
potenzialit: ci che doveva accadere (ma non accaduto) ci che accadrebbe.
Dunque, come il futuro, anche il condizionale nato da una perifrasi del latino volgare
formata dallinfinito e da una voce del verbo HABRE.
In fiorentino (e dunque in italiano), la voce usata stata *HBUI, forma latino-volgare del
perfetto di HABRE (il latino classico aveva HABUI; la di *HBUI dovuta allinflusso di
STTUI, perfetto di STARE, altro verbo di largo uso come HABRE).
*HBUI si ridotto a -ei per sincope della sillaba centrale, e cos si avuta la desinenza della
prima persona singolare.
Le rimanenti cinque uscite del condizionale (-esti, -ebbe, -emmo, -este, -ebbero) derivano
dalla riduzione o dalla trasformazione delle altre persone verbali di *HBUI (*HBUISTI,
*HBUIT, *HBUIMUS, *HBUISTIS, *HBUERUNT).
I coniugazione
LAUDAR(E) *(H)(BU)I > lodarei > loderei (ar protonico > er)
II coniugazione
TMR(E) *(H)(BU)I > temerei
III coniugazione
FNR(E) *(H)(BU)I > finirei
Il condizionale composto con il perfetto di habere, attestato nellVIII secolo, oltre allitaliano
letterario, si trova in Toscana e nellItalia settentrionale; a sud di Roma sconosciuto.
Molto diffuso anche il condizionale risultato dalla perifrasi composta dallinfinito e
dallimperfetto latino habebam. Attestato nel IV secolo, questo costrutto, che si fissato nel suffisso
in -ia, ha due focolai di origine, la Sicilia e la Provenza.
Attraverso linflusso della poesia siciliana - in cui il condizionale in -ia era usuale - penetr
nella lingua letteraria (limitatamente alla prima persona singolare e alla terza persona, singolare e
plurale), persistendovi a lungo, sempre in netta minoranza rispetto alle forme in -ei, e solitamente in
loro compagnia. Jacopone da Todi usa potria, taceria, vorria, fuggiria accanto a salverei, doverei.
Dante diede la preferenza alle forme in -ei nella prosa, mentre in Vita nuova sono pi frequenti le
forme in -ia; nella Divina Commedia per le forme in -ei sono pi numerose di quelle in -ia: poi
chei posato un poco il corpo lasso (Inferno, I, 28), una virt sarebbe in tutti (Paradiso, II, 68),
altro vorria e sperando sappaga (Paradiso, XXIII, 15). Anche il Petrarca accetta i condizionali in
-ia: (le parole morte / farian pianger la gente: Canzoniere, XVIII 12-13), affiancati per da quelli
toscani correnti. In Decameron i condizionali in -ia si rarefanno. Ma anche nel Boiardo si trova
risponderia. In Cecco Angiolieri crederie, conterie, dovrie, potrien, anche se quasi esclusivamente
alla prima e alla terza persona del singolare e alla terza plurale. Cellini impiega queste forme
soltanto in alcuni verbi modali. Il Bembo ammette le forme in -ia nella lingua poetica. Anche i poeti
moderni usano tali forme soltanto nella lingua poetica elevata.
Nel primo Ottocento il condizionale in -ia appare qua e l anche in prosa. Ad esempio, il
Leopardi nelle Operette morali preferisce il tipo saria, dovria davanti a consonante, ma sarebbe,
dovrebbe davanti a vocale. Nel secondo Ottocento le forme in -ia diventano rare ormai anche nel
verso, eccezionali in prosa (le chiese stupende ove saria dolce, credendo, pregare: Carducci).
Il condizionale in -ia pure assai diffuso nei dialetti moderni, sia a Nord sia nel Centro e nel
Sud. Si trova difficilmente da solo: solitamente in compagnia dellaltro condizionale, formato con
habui.
Nei dialetti dellItalia meridionale e della Sicilia si registra unaltra forma di condizionale,
oggi molto rara, il tipo amra (= amerei), cantra (= canterei), che deriva direttamente dal
piuccheperfetto indicativo latino:
AMA(V)RA(M) > amra
CANTA(V)RA(M) > cantra
Questo tipo di condizionale si trova solo occasionalmente nella lingua degli antichi poeti
toscani, accanto a canteria e canterei. Dante ha (in rima) sodisfara (Paradiso, XXI, 93) e fora
(Purgatorio, XXVI, 25; Paradiso, II, 75), il Petrarca solo fora sarei; anche Cecco Angiolieri usa
soltanto fora (fuora). Un po pi frequenti sono tali forme in Guittone dArezzo (amara amerei) e
Jacopone da Todi (te parlara ti parlerei).
4. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti sintattici
4.1. Lordine delle parole nella frase
Il latino distingueva le funzioni logiche e i significati delle parole in base al sistema dei casi,
mentre litaliano affida in parte questa funzione distintiva alla posizione che le parole hanno
allinterno della frase: si pu dire che lordine delle parole era relativamente libero nella frase latina,
mentre sottoposto ad alcuni vincoli nella frase italiana.
Lordine abituale di una frase italiana composta da un soggetto (S), un verbo (V) e un
complemento oggetto (O) rappresentato dalla sequenza SVO (soggetto-verbo-oggetto):
Claudio vide Marcello.
Nella maggior parte delle frasi italiane questordine obbligato, perch quello che, in
assenza di unintonazione particolare o di altri elementi di riconoscimento, consente di distinguere il
soggetto dal complemento oggetto. Nella frase Claudio vide Marcello, in cui il soggetto e il
complemento oggetto coincidono nella persona e nel numero, solo la posizione delle parole
consente di distinguerli, e di capire che a vedere Claudio e non Marcello.
Nel latino classico, invece, la desinenza distingueva non solo il genere e il numero, ma anche
la funzione che una parola svolgeva nella frase. In parole come Claudius e Marcellus, per esempio,
una -s finale distingueva la funzione del soggetto, mentre una -m finale distingueva la funzione del
complemento oggetto. Sicch, in latino, dire
Claudius vidit Marcellum
Marcellum Claudius vidit
Marcellum vidit Claudius
Nellitaliano antico, i criteri di distribuzione dellenclisi e della proclisi dei pronomi atoni
erano completamente diversi. Essi sono descritti dalla legge Tobler-Mussafia, cos chiamata dal
nome dei due studiosi Adolf Tobler (1835-1910) e Adolfo Mussafia (1835-1905) che per primi
hanno scoperto e descritto il fenomeno dellenclisi, il primo nel francese e il secondo nellitaliano
dei secoli passati.
Nellitaliano antico (grosso modo, dalle origini al primo Quattrocento) lenclisi era
obbligatoria:
dopo pausa, allinizio di un periodo (si considera tale anche il periodo aperto da un vocativo
o da uninvocazione):
Dironne adunque una novelletta assai leggiadra, al mio parere, la quale rammemorarsi per
certo non potr essere se non utile (G. Boccaccio);
dopo le congiunzioni e, ma:
E io son contento che cos ti cappia nellanimo e piacemi forte la tua pura e buona
conscienza in ci (G. Boccaccio);
n di ci mi maraviglio niente, ma maravigliomi forte (G. Boccaccio);
allinizio di una proposizione principale successiva a una proposizione subordinata:
Giugnendo alluscio per uscir fuori, e cominciando a pensare su la ricchezza che gli parea
avere perduta, e volendosi mettere la mano a grattare il capo, come spesso interviene a quelli che
hanno malenconia, trovossi la cappellina in capo con la quale la notte avea dormito (F. Sacchetti).
Il principio unificatore di questa casistica che, dopo una pausa, il verbo vuole un pronome
enclitico. Alla legge Tobler-Mussafia si attengono Dante e Petrarca e, con minor fedelt, Boccaccio;
nel corso del XV secolo cessa gradualmente di operare, e in suo luogo si afferma lenclisi libera,
chiamata cos perch non vincolata dalla casistica prevista dalla legge. Lenclisi libera rimane ben
salda ancora nella lingua letteraria del XIX secolo e oltre, con un carattere progressivamente pi
arcaizzante. Un residuo contemporaneo dellenclisi sono certe forme fossilizzate degli annunci
commerciali (fittasi, vendesi) o della scrittura burocratica (trattasi; e si aggiunga la formula come
volevasi dimostrare).
Ancora in materia di pronomi, vanno ricordate le combinazioni di due pronomi. Luso
odierno prevede la successione oggetto indiretto-oggetto diretto: per esempio, me lo vieta, me
laddita. Nel fiorentino antico valeva invece lordine inverso, oggetto diretto-oggetto indiretto: basti
ricordare lo mi vieta e lo mi addita in Dante (Inferno XIX 100 e Paradiso XXV 89) e, con enclisi:
Dicerlti molto breve (Inferno III 45), con l(o)-ti. Intorno alla met del XIV secolo diventa forte la
concorrenza della successione pronominale odierna, come mostra il Decameron con il suo
equilibrio tra i due tipi.
Da questa materia intricata va estratto almeno il frequente gliele, invariabile, che va
interpretato nella sequenza antica accusativo-dativo; poi, affermandosi gradualmente la sequenza
dativo-accusativo, il -le stato inteso come oggetto e variato in -lo -la -li -le (glielo ecc.).
II. I primi documenti dellitaliano
1. Lindovinello veronese
Il primo documento della lingua italiana risale allVIII secolo o allinizio del IX: si tratta di un
indovinello scritto in una lingua mista di latino e di volgare veneto che si trova in un manoscritto
della Biblioteca Capitolare di Verona, da dove il nome di Indovinello veronese. Lindovinello, che
dal manoscritto venne pubblicato per la prima volta nel 1924, svolge un paragone tra lazione dello
scrivere e quella dellarare:
Se pareba boves, alba pratalia araba,
(So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla qui, per trentanni le possedette il
monastero di San Benedetto.)
Labate, grazie alla testimonianza, vinse la causa.
Il verbale del processo scritto in latino: luso del volgare, limitato alla formula di
giuramento, deriva in questo caso da una duplice esigenza: trascrivere fedelmente le parole dei
testimoni e consentire a tutti di capirle. Abbiamo cos lesempio pi antico di una contrapposizione
netta tra latino e volgare allinterno dello stesso documento. La lingua del placito di Capua pu
definirsi volgare illustre per i latinismi fini (da fines confini), parte Sacti Benedicti e sao. Ko
volgare campano, derivato da quod, cos come kelle e ki (invece dei toscani quelle e qui).
4. Il fumetto bilingue di San Clemente
Si tratta di uniscrizione romana della fine del secolo XI. A Roma, nella basilica inferiore di
San Clemente, fortemente danneggiata durante linvasione dei Normanni nel 1084, su una parete
che fa parte dei muri eretti tra le navate a sostegno degli archi per rendere pi stabile ledificio si
trovano alcuni affreschi destinati a illustrare qualche episodio della vita di San Clemente. Poich
venne costruita una basilica superiore nuova, consacrata nel 1128 mentre la vecchia venne
abbandonata, gli affreschi si possono considerare eseguiti non prima del 1084 e non oltre il 1128.
In uno degli affreschi, la scena rappresenta, a destra, il patrizio Sisinnio, vestito di toga, che
ordina ai servi di trasportare una colonna che uno di loro spinge con un palo. Per un miracolo,
Sisinnio e i servi credettero di vedere nella colonna lo stesso San Clemente che volevano legare ed
arrestare. Nellaffresco vi uniscrizione volgare e, solo in fine, nelle parole attribuite a San
Clemente, latina; essa dice:
Sisinium: Falite dereto colo palo
Carvoncelle.
Albertel Gosmari traite!
Fili dele pute, traite!
(Sanctus Clemens):
Duritiam cordis vestris
[in saxa conversa est, et
cum saxa deos aestimatis]
saxa traere meruistis.
(Sisinnio: Fagliti dietro con il palo, Carboncello. Albertello, Gosmari, tirate! Figli di puttane,
tirate! San Clemente: La durezza del vostro cuore trasformata in pietra; e poich stimate di le
pietre, avete meritato di trascinare pietre.)
Luso del volgare ha dunque in questo caso un intento realistico e dispregiativo - lo usa solo il
rozzo Sisinnio - mentre il santo si esprime in tono pi alto e nobile e ricorre al latino, anche se si
tratta di un latino non perfetto, come testimonia laccusativo duritiam usato invece dellablativo
duritia.
III. Aspetti della questione della lingua
1. Che cosa si intende per questione della lingua?
Sotto il nome di questione della lingua si indicano, nella tradizione culturale italiana, tutte
le discussioni e le polemiche, svoltesi nellarco di diversi secoli, da Dante ai nostri tempi,
relativamente alla norma linguistica e ai temi ad essa connessi. Questi temi, pur nella sostanziale
analogia, non furono uguali in tutti i periodi storici.
Forse in nessun altro secolo il dibattito teorico sulla lingua ebbe tanta importanza come nel
Cinquecento, anche perch lesito di queste discussioni fu la stabilizzazione normativa dellitaliano.
La disputa sulla lingua che si accende agli inizi del Cinquecento, proprio negli anni in cui
tramontava nelle coscienze della maggioranza degli intellettuali lillusione umanistica di poter
resuscitare il latino come lingua viva della poesia e della letteratura, vedeva tre posizioni
antitetiche: i sostenitori del fiorentino (o del toscano) parlato, ovviamente del fiorentino parlato da
persone di una certa cultura; i sostenitori della lingua italiana (o cortigiana) che, pur riconoscendo al
fiorentino i suoi meriti, negavano la sua egemonia e volevano si scrivesse nel linguaggio usato nelle
corti, cio nel linguaggio usato dalla classe dirigente, formato di parole prese dai vari dialetti;
infine, i sostenitori della lingua dei buoni scrittori, cio degli scrittori del Trecento e in particolare
del Petrarca e del Boccaccio convinti, questi ultimi della superiorit del toscano e, soprattutto, del
fiorentino, ma del toscano e fiorentino comera stato elaborato dai grandi scrittori del Trecento e
non di quello parlato e usato nel Quattro e nel Cinquecento.
Teorico della terza posizione che con alcuni adattamenti e compromessi fin col trionfare
appunto Pietro Bembo, con le Prose della volgar lingua, pubblicate a Venezia nel 1525.
2. Dante, primo teorico del volgare
Nei primi anni dellesilio comincia per Dante unintensa stagione di riflessione teorica
stimolata dalla necessit di ridefinire la propria posizione di intellettuale nel panorama cos diverso
delle corti settentrionali. A tale necessit Dante reagisce soprattutto con la stesura dei due trattati
teorici: il De vulgari eloquentia e il Convivio, composti pressoch contemporaneamente. Entrambe
le opere, pur radicalmente diverse tra loro, hanno come nodo centrale il problema linguistico.
2.1. Il De vulgari eloquentia
Quando, intorno al 1304-1305, Dante scrive De vulgari eloquentia, un libretto sulleloquenza
in volgare italiano, della quale mette in rilievo i risultati migliori per irrobustirla e imprimere alla
lingua e alla letteratura una spinta capace di nuove conquiste, devono ancora nascere i capolavori
del Trecento italiano: il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio, e la stessa Divina
Commedia dello stesso Dante.
Dante realizza il De vulgari procedendo dal generale al particolare e avendo come obiettivo
una trattazione approfondita dellarea italiana, si avvicina pian piano al suo obiettivo, venendo a
discutere il gruppo linguistico costituito da francese, provenzale e italiano. Si restringe poi alla sola
area italiana, la quale risulta diversificata al suo interno in almeno quattordici variet principali di
volgari, le quali hanno ulteriori diversificazioni al proprio interno.
Le due lingue (e letterature) che, insieme con la lingua e (la letteratura) italiana, gli si
presentano e anzi gli si impongono sono la lingua provenzale (parlata nella Francia meridionale) e
la lingua francese (usata nel resto della Francia), che esprimono laffermazione con oc e oil, mentre
la particella italiana s. Dante riconosce vicine tra loro le tre lingue, e insieme le distingue; tutte e
tre, poi, si differenziano nella sua prospettiva dal latino, e si possono chiamare volgari (vulgares),
nel senso che sono lingue parlate spontaneamente dal popolo (vulgus), a differenza del latino, che si
impara con lo studio e dunque noto solo a una minoranza che frequenta le scuole.
Anzitutto occorre tener presente che lItalia di Dante frammentata politicamente non meno
che linguisticamente, e che i centri produttori di cultura volgare sono dispersi in parecchie regioni
del paese. Ci premesso, si deve tenere conto del fatto che la prosa pre-dantesca non affatto ricca:
si riduce, infatti, a modesti volgarizzamenti dal latino o a traduzioni per lo pi dal francese; poche
lettere composte dal bolognese Guido Faba (prima met del XIII secolo) secondo le regole della
scuola di retorica e quelle, molto pi numerose, di Guittone dArezzo, attivo nella seconda met del
XIII secolo; una raccolta di brevi racconti, il Novellino, messa insieme tra il 1280 e il 1300 a
Firenze, sulla base di materiali in parte di provenienza veneta; unoperetta di argomento etico, poco
originale, Il libro de viz e delle virtudi, del fiorentino Bono Giamboni, e non molto altro. Anche
lasciando da parte la qualit, non altissima, di questi testi, si tratta di manifestazioni, provenienti da
Bologna, Arezzo, Firenze e altri centri, che sono alquanto sporadiche e non accennano al costituirsi
di generi letterari e tradizioni testuali.
Migliore era la situazione della poesia, anche a non tener conto della poesia religiosa del
francescano Jacopone da Todi, che Dante non conobbe o che, comunque, ignor.
La raccolta della lirica italiana duecentesca usata da Dante doveva essere simile, per
contenuto e struttura, a quella conservata nellattuale manoscritto Vaticano latino 3793, il pi ampio
e importante canzoniere dellantica poesia italiana: si chiama cos perch conservato nella
Biblioteca Apostolica di Citt del Vaticano, ed scritto in caratteri latini (ma in lingua volgare). Il
Vaticano latino 3793 stato copiato a Firenze tra la fine del XIII e i primi del XIV secolo;
suddiviso in due sezioni, dedicate la prima a unampia scelta di canzoni, la seconda ai sonetti, e in
tutto conta un migliaio di pezzi. Allinterno delle due sezioni metriche la distinzione per autori: si
parte con i pi antichi, che sono i poeti della cosiddetta scuola siciliana, e si prosegue con i loro
continuatori toscani, fino al Dolce stil nuovo escluso.
Il Vaticano latino 3793 si apre con le canzoni e i sonetti di Giacomo da Lentini e di altri
rimatori della corte di Federico II, e continua con le composizioni di autori toscani: di Lucca, di
Arezzo, di Pisa, infine di Firenze, che emerge un po dopo gli altri centri toscani ma conquista, alla
fine del XIII secolo, il primato, con Cavalcanti e Dante. Questa transizione dalla Sicilia alla Toscana
si spiega con il successo dei Siciliani in Toscana (e in altri centri culturali, umbri e settentrionali),
cui fa riscontro la frattura che la scuola siciliana sub nella sua culla dorigine: morto Federico II nel
1250, il suo erede Manfredi non riesce a conservare il regno meridionale, e con i nuovi dominatori
finisce la scuola siciliana.
Dal rapido abbozzo comparativo delle tre letterature romanze che gli sono familiari Dante
muove allindagine specifica sulla lingua letteraria italiana, che il nucleo dellopera nella parte
scritta e in quella che avrebbe dovuto scrivere. Dante parte da una definizione geografica dellItalia,
delimitata dalle Alpi e divisa in due parti fondamentali. Egli non divide la penisola secondo
lopposizione Nord-Sud alla quale siamo abituati oggi, ma in unItalia orientale e in una
occidentale, con gli Appennini che segnano il confine tra le due zone. Dante vede lItalia geografica
diversamente da noi: baster osservare che le carte medievali non hanno, nella parte alta, il Nord,
ma lEst, sede del Paradiso terrestre e origine della vita (le carte medievali ritraggono i due
progenitori dellumanit); Gerusalemme al centro del mondo, mentre la posizione dellItalia nel
Mediterraneo tale che Dante vede sulle carte del suo tempo ci che scrive nel De vulgari
eloquentia, e cio il Tirreno a destra e lAdriatico a sinistra. Le rappresentazioni medievali, poi,
mettono in rilievo la dorsale montuosa degli Appennini, sulla quale Dante si basa per distinguere
sette regioni linguistiche a est degli Appennini e altrettante a ovest (includendo Sicilia e Sardegna).
Queste quattordici regioni geografiche si trasformano in altrettante regioni linguistiche, che
dimostrano linstabile mutevolezza dei volgari nello spazio (oltre che nel tempo).
Ognuno dei quattordici volgari italiani giudicato indegno di identificarsi con la lingua della
poesia, compreso il fiorentino, che non occupa neppure un posto alto nella graduatoria degli idiomi
respinti (il meno indegno il volgare di Bologna). Il metro di giudizio dipende dalla sua idea di
definire illustre, cardinale, aulico e curiale quel volgare dItalia, che si trova in ogni citt ma non
sembra proprio di nessuna; con questo volgare dice Dante si devono commisurare e paragonare
e soppesare tutti gli altri volgari municipali dellItalia (I XVI 6), idea che contiene, di per s, il
rifiuto dei volgari locali.
Dante non si limita solo alla definizione del volgare che cercava e ha trovato e prosegue
esponendo i motivi per cui considera illustre, cardinale, aulico e curiale questo volgare, questo
per rendere evidente la sua essenza (I XVII e I XVIII).
Cos il volgare deve essere illustre perch la sua luminosa perfezione elimina la grossolanit
degli idiomi parlati, volge a suo piacimento il cuore dei lettori, assicura la fama agli autori. Deve
essere cardinale: come la porta gira sui cardini, cos il volgare il punto di riferimento per i volgari
municipali. Devessere aulico, nel senso che dovrebbe risiedere nellaula, e cio nella corte
imperiale: dovrebbe ma non pu, perch lItalia priva di aula e la mancanza di unaula lo
costringe a peregrinare come chi non ha casa, esule, aggiungiamo, come lautore dellopera.
Devessere, infine, curiale, perch la curia, parola che designava lamministrazione della giustizia,
anchessa un luogo istituzionale. In unepoca ancora lontana dalla distinzione fra potere politico e
potere giudiziario, la curia si appoggia allaula (i significati di aula e curia si sovrappongono
parzialmente), sicch limperatore regna nellaula e rende giustizia nella curia; ma la mancanza
dellaula fa s che anche una curia unitaria sia, in Italia, assente. Alla giustizia, che lufficio
principale della curia, si associa lidea della bilancia che deve soppesare le azioni e i loro meriti e
demeriti. Anche il volgare curiale valutato dalla bilancia che seleziona parole, costruzioni,
desinenze. Una curia unitaria manca in Italia, ed supplita dal lume della ragione.
Dunque il volgare illustre non dispone delle istituzioni dellaula e della curia che solo il
potere dellimperatore, in quanto re dei Romani, potrebbe garantire, in Italia. Il volgare illustre,
allora, dovr supplire con il lume della ragione allassenza di una curia centrale, e con liniziativa
individuale dei suoi cultori alla mancanza dellaula. Sono passati i tempi in cui laula di Federico II
e Manfredi aveva funzionato da centro dattrazione per i migliori italiani, sicch tutto ci che i
predecessori di Dante avevano scritto aveva preso il nome di siciliano. la riflessione su
quellepoca, conclusasi con la morte di Manfredi nel 1266, quando lui era appena nato, che conduce
Dante a formulare lidea dellaulico e del curiale, che per lui corrispondono a un luogo mentale e
non fisico. E poich, come abbiamo detto, Dante leggeva i Siciliani in veste toscanizzata, poteva a
buona ragione sostenere che essi avevano raggiunto leccellenza volgare, allontanandosi
dallidioma locale siciliano; allo stesso modo, i toscani che avevano incorporato la lezione siciliana
dovevano tenersi lontani dallaretino, dal fiorentino e cos via. Cos Dante pu scrivere in
fiorentino, ma respingere il fiorentino e le altre variet parlate in Italia e invocare il precedente dei
Siciliani, che scrivevano in una lingua prossima al fiorentino perch li leggeva in un manoscritto
toscanizzato; e pu tirare una linea dai Siciliani allavanguardia stilnovistica di cui fa parte,
tagliando fuori la presenza ingombrante di Guittone dArezzo, accusato di municipalismo plebeo,
alla pari di Brunetto Latini, di Bonagiunta Orbicciani da Lucca e di altri toscani (I XIII 1).
Il De vulgari eloquentia, composto prima della Commedia, lasciato interrotto al II libro con
un periodo in sospeso, il primo trattato sulla lingua e sulla poesia volgare, ed un saggio
avanzatissimo nel quadro della cultura europea del Medioevo. Nonostante ci, non ag da stimolo
per altri, perch Dante non lo pubblic, cio non permise che fosse copiato e diffuso: lo trasmettono
appena tre manoscritti, uno dei quali fu ritrovato dal letterato vicentino Gian Giorgio Trissino che
us il De vulgari nel dibattito sulla lingua accesosi a partire dal terzo decennio del XVI secolo, e lo
tradusse e stamp nel 1529. Anche dopo la pubblicazione, per, la fortuna del trattato non fu
pacifica, n completa, n senza contrasti, anche perch le sue tesi furono utilizzate in chiave
polemica nelle dispute sulla questione della lingua, tanto che il De vulgari eloquentia fin per
essere uno dei testi fondamentali nel dibattito linguistico del Rinascimento. Nel corso di queste
discussioni, alcuni insinuarono il sospetto che il trattato non fosse di Dante, che ci si trovasse di
fronte ad un falso.
2.2. Il Convivio
Nel 1304 Dante si dedica al Convivio. Lopera ha come nodo centrale il problema linguistico.
Buona parte del primo libro del Convivio dedicata, infatti, a giustificare minutamente la scelta del
volgare invece del latino, che era la lingua obbligata per una trattazione filosofica. Una scelta
dettata dalla volont di utilizzare la stessa lingua delle canzoni commentate, dal desiderio di
rivolgersi ai molti a cui lo volgare servir veramente, e cio principi, baroni, cavalieri, e
moltaltra gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua,
volgari, e non litterati e di assecondare il naturale amore per la propria loquela. La ragione
principale sembra per essere soprattutto la volont di mostrare la bellezza e la versatilit del
volgare soprattutto nelluso prosastico in cui, non condizionato dalle accidentali adornezze
proprie della poesia (la rima, il metro, ecc.), il volgare pu manifestare tutta la propria virt, e
cio la sua capacit di esprimere gli altissimi e novissimi concetti convenevolmente,
sufficientemente e aconciamente, quasi come per esso latino (Convivio I, X, 12).
La riflessione teorica si concretizza di fatto in un autocommento: nella fattispecie, di tre
canzone allegorico-dottrinali (Voi che ntendendo il terzo ciel movete, Amor che nella mente mi
ragiona, Le dolci rime damor chio solia) via via analizzate nella loro duplicit letterale e
allegorica. Attraversato al suo interno da innumerevoli contraddizioni che di fatto ne devono aver
impedito il proseguimento, il Convivio si interrompe al quarto libro, a nemmeno un quarto del
percorso: solo tre infatti le canzoni commentate delle quindici previste.
2.3. Il De vulgari eloquentia e il Convivio
Come abbiamo visto, le idee di Dante sul volgare si leggono nel Convivio e nel De vulgari
eloquentia. Nel Convivio il volgare viene tra laltro celebrato come sole nuovo destinato a
splendere al posto del latino, per un pubblico che non in grado di comprendere la lingua dei
classici. Altra questione toccata in entrambi i testi (ma risolta nelluno e nellaltro in maniera
diversa) la maggiore o minore dignit delluna e dellaltra lingua: nel Convivio il latino reputato
superiore in virt del suo essere lingua regolata contrapposta a un volgare non stabile e
corruttibile che seguita uso e non arte. Il De vulgari eloquentia, invece, rovescia queste
posizioni caricando di segno positivo la nozione di naturalit del volgare e deviando il concetto
di latino come arte proprio del I del Convivio verso quello del latino come lingua artificialis, e
cio lingua non parlata ma solo scritta, elaborata ad hoc dai dotti (positores) per porre riparo alla
continua corruzione delle lingue seguita alla disgregazione babelica. Le conseguenze non sono di
poco conto: rispetto a una visione antagonistica proposta nel Convivio, in cui al sorgere della
letteratura in volgare corrisponde un tramontare della letteratura in lingua latina, il De vulgari
eloquentia ammette la continuit e il ruolo del latino come modello permanente di stabilit e
regolarit cui il volgare deve rifarsi. Non questa daltronde lunica contraddizione tra i due trattati,
n tanto meno mancano aporie allinterno dello stesso De vulgari eloquentia, accentuate anche dalla
sua brusca interruzione. La stessa definizione di volgare illustre tuttaltro che pacifica. stato
sottolineato in proposito come di fatto il volgare illustre venga a essere due cose distinte: lingua
degli italiani, parlata da chi veramente italiano, e lingua letteraria, stilisticamente elevata, da cui il
poeta deve distanziarsi qualora voglia sperimentare gli stili inferiori.
3. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo
Le Prose della volgar lingua sono divise in tre libri, il terzo dei quali contiene una vera e
propria grammatica1 dellitaliano, la quale per risulta poco sistematica agli occhi di moderni, anche
perch il trattato ha una forma dialogica. Non dunque una grammatica schematica e metodica, ma
una serie di norme e regole esposte nella finzione del dialogo, dalle quali tuttavia emerge un chiaro
profilo dellitaliano, quale Bembo teorizzava.
Il dialogo che costituisce le prose si immagina svolto nel 1502, a Venezia, lungo tre giornate
di discussione. Vi prendono parte quattro personaggi, ognuno dei quali portavoce di una tesi
diversa: Giuliano de Medici (terzo figlio di Lorenzo il Magnifico) rappresenta la continuit con il
1
Non fu tuttavia questa la prima grammatica della lingua italiana data alle stampe. Bembo era stato preceduto da
Giovan Francesco Fortunio, letterato forse friulano di nascita: questo, nel 1516, stamp ad Ancona le Regole
grammaticali della volgar lingua. Numerose riedizioni mostrano che lopera di Fortunio ebbe una buona accoglienza e
fu effettivamente utilizzata dagli utenti almeno fino a quando non furono disponibili grammatiche capaci di divulgare le
teorie bembiene.
pensiero dellUmanesimo volgare, Federico Fregoso espone molte delle tesi storiche presenti nella
trattazione, Ercole Strozzi (umanista e poeta in latino) espone la tesi degli avversari del volgare, e
infine Carlo Bembo, fratello dellautore, portavoce delle idee di Pietro. Come abbiamo detto, la
finzione del dialogo riporta allinizio del secolo. Si noti, del resto, che i primi due libri delle prose
erano gi pronti nel 1512, anche se lopera fu data alle stampe pi tardi.
Nelle Prose viene svolta prima di tutto unampia analisi storico-linguistica, secondo la quale il
volgare sarebbe nato dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari. Il riscatto del
volgare contaminato per le sue barbare origini era stato possibile grazie agli scrittori e alla
letteratura. Il principio adottato dunque quello di un possibile mutamento della qualit delle
lingue, la cui eventuale barbarie originaria non risulta irreversibile. Litaliano era andato
progressivamente migliorando, osservava Bembo, mentre unaltra lingua moderna, il provenzale,
che pure aveva preceduto litaliano nel successo letterario, era andata progressivamente perdendo
terreno. Il discorso si spostava dunque sulla letteratura, le cui sorti venivano giudicate inscindibili
da quelle della lingua.
Bembo sapeva perfettamente che la scelta del modello costituito dalle Tre Corone riportava
indietro nel tempo. Ma la teoria di Bembo voleva appunto coniugare la modernit della scelta del
volgare con un totale distacco dalleffimero, secondo un ideale rigorosamente classicistico, la cui
natura squisitamente e implacabilmente letteraria. Requisito necessario per la nobilitazione del
volgare era dunque un totale rifiuto della popolarit. Per questo Bembo non accettava integralmente
il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso lo stile basso e
realistico. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per
la sua forte selezione linguistico-lessicale. Alcuni problemi, invece, potevano venire da parte del
Decameron in cui emergeva pi vivace il parlato. Per questo Bembo precisa che il modello
linguistico a cui si doveva far riferimento non stava nei dialoghi delle novelle del Decameron, ma
nello stile vero e proprio dello scrittore, caratterizzato dalla sintassi fortemente latineggiante, dalle
inversioni, dalle frasi gerundive.
La grande diffusione delle Prose render le opzioni bembesche delle regole a cui sar difficile
sottrarsi. Tanto pi che lopera agir anche oltre le sue intenzioni esclusivamente letterarie, godendo
di un credito che la elever al rango di auctoritas in virt della quale verranno giustificate molte
delle scelte linguistiche almeno sino al Manzoni.
Dopo la riforma del Bembo, nelle scritture in lingua diminuiscono lelemento locale e quello
latino, a vantaggio del polo toscano; tuttavia, in una produzione scrittoria in aumento, anche in
seguito al diffondersi della stampa, sono molti i testi, specialmente di carattere pratico, colorati in
senso municipale o locale. In altre parole, allaffermazione delle Prose della volgar lingua si
collegano la nascita della letteratura dialettale riflessa e una posizione nuova del volgare regionale.
La grammatica di Bembo influenz lesito di un grande capolavoro quale lOrlando furioso,
perch Ariosto corresse la terza e definitiva edizione del poema seguendo proprio le indicazioni
delle Prose. Delle tre edizioni dellOrlando furioso, rispettivamente del 1516, 1521 e 1532, la prima
risente ancora del padano illustre, bench sia gi notevolmente toscanizzata. I ritocchi delledizione
1521 sono relativamente pochi, mentre ledizione del 1532 tiene decisamente conto dei
suggerimenti delle Prose della volgar lingua, che si situano appunto tra le ultime due stampe
dellOrlando furioso. Tra le correzioni introdotte sistematicamente, ricordiamo la sostituzione
dellarticolo maschile el con il, le desinenze del presente indicativo prima persona plurale
regolarizzate in -iamo, la prima persona singolare dellimperfetto in -a ecc.
4. Il Vocabolario dellAccademia della Crusca
La fondazione dellAccademia della Crusca risale al 1582. Nella prima fase della sua
esistenza, la Crusca si fece conoscere per la polemica, condotta soprattutto da Leonardo Salviati
(1540-89), contro la Gerusalemme liberata di Tasso, a sostegno del primato dellAriosto.
LAccademia della Crusca, unassociazione privata che cont solo sulle proprie forze in
unItalia divisa in stati diversi, ciascuno con la propria tradizione, si rifiuter di produrre una
grammatica intesa come espressione collegiale in materia di codificazione della lingua; produrr
invece un vocabolario, il Vocabolario degli Accademici della Crusca, un grosso volume pubblicato
nel 1612 a Venezia, in una situazione culturale diversa da quella che aveva caratterizzato, al tempo
di Salviati, lavvio del progetto. Sul frontespizio portava limmagine del frullone o buratto, lo
strumento che si usava per separare la farina dalla crusca (esso era appunto lemblema
dellAccademia), con sopra, in cartiglio, il motto Il pi bel fior ne coglie, allusivo alla selezione
compiuta nel lessico, per analogia alla selezione tra la farina (il fiore) e la crusca (lo scarto).
Questopera, il pi antico dizionario di una lingua europea di cultura, riflette unidea della
lingua che si riassume nel binomio costituito dalle Tre Corone del Trecento e dalluso fiorentino,
vivo e quindi dinamico. Lidea quella che la lingua, dunque, ha i suoi classici, e nello stesso tempo
in movimento, sicch impossibile fissarne lo sviluppo in una grammatica. Il vocabolario, invece,
ne rappresenta questo aspetto per cos dire duplice: antico e chiuso da un lato, e dallaltro
contemporaneo e aperto.
La Crusca si indirizz alla lessicografia a partire dal 1591. In quellanno gli accademici
discussero sul modo di fare il Vocabolario e si divisero gli spogli da compiere, mettendo a punto un
procedimento razionale di schedatura.
Limpostazione del Vocabolario della Crusca fu essenzialmente legata allinsegnamento di
Salviati, anche se lopera fu realizzata dopo la sua morte.
La prova della rigida fedelt dellAccademia alle teorie del maestro sta soprattutto nel canone
degli autori spogliati per il Vocabolario, il cui elenco corrisponde a quello fornito da Salviati, anzi
dipende da esso, salvo poche aggiunte del resto non incoerenti con quel modello medesimo. Da
Salviati, soprattutto, veniva agli accademici la caratteristica impostazione (di fatto profondamente
antibembiana) secondo la quale gli autori minori e minimi erano giudicati degni, per meriti di
lingua, di stare accanto ai grandi della letteratura. Agli occhi di Salviati (e poi degli accademici) i
problemi del contenuto si ponevano su di un piano diverso da quello della forma; i meriti
linguistici potevano accoppiarsi a una grande modestia della sostanza: certi antichi volgarizzatori,
ad esempio, si erano dimostrati incapaci di comprendere i testi latini che cercavano di tradurre, ma,
nonostante la loro crassa ed evidente ignoranza, nellottica della Crusca, essi erano validi modelli,
perch avevano scritto bene.
Per criticabile che fosse sul piano dei principi ispiratori, infatti, il lavoro fu condotto con una
coerenza metodologica e un rigore che andavano al di l di tutti i precedenti. La squadra dei
lessicografi fiorentini and formandosi da s, e mantenne inoltre una notevole collegialit nelle sue
scelte, forse anche per la mancanza di figure in grado di egemonizzare loperato degli altri. In
questo senso, quello della Crusca fu un vocabolario concepito attenendosi alle regole fissate
allinterno dellAccademia.
In sostanza gli accademici fornirono il tesoro della lingua del Trecento, esteso al di l dei
confini segnati dallopera delle Tre Corone (che pure ne erano la base), arrivando a integrare con
luso moderno.
Le parole del fiorentino vivo erano documentate di preferenza attraverso gli autori antichi. Per
questo il massimo sforzo era stato compiuto per trovare lessico negli autori del passato, anche a
costo di ricorrere a fonti che non sarebbe stato corretto citare, ad esempio ricorrendo a manoscritti
inediti, dei quali non era possibile controllare lautenticit e la correttezza della trascrizione. Tali
manoscritti, che stavano nelle mani degli accademici, non erano ovviamente verificabili da parte dei
lettori. Quest condizion negativamente il Vocabolario, tradendone la funzione primaria, quella di
fornire parole utilizzabili. Saltavano fuori invece troppo abbondanti le parole rare e sconosciute,
forme fiorentine o toscane di sapore dialettale (troppo locale, prive di carattere illustre), come
assempro per esempio, manicare per mangiare, sezzaio per ultimo ecc. A volte sotto la parola
meno comune, come assempro, cera effettivamente il rinvio al termine pi diffuso, in questo caso
esempio: la Crusca, dunque, non necessariamente mancava della parola corrente, ma moltiplicava le
sinonimie, molto spesso inutili e sovrabbondanti, e quindi complicava la vita a chi consultasse il
vocabolario per trarne uninformazione sicura e univoca. Queste scelte non arrichivano la lingua,
ma piuttosto la confondevano. Cera poi la spinosa questione della mancata citazione di Tasso, che
tradiva il pregiudizio contro i non toscani. Da tutto ci deriv la lunga serie di polemiche contro il
Vocabolario.
Nonostante le polemiche che si scatenarono attorno ai criteri seguiti nella compilazione, il
Vocabolario assunse senzaltro un prestigio sovraregionale e internazionale, anche perch non ne fu
prodotto altrove unaltro capace di fargli davvero concorrenza. LAccademia trasse dunque dalla
realizzazione del Vocabolario una forza nuova, leg definitivamente la propria autorit alla lingua,
si accoll un compito di aggiornamento e di revisione che dur per secoli. La fortuna del
Vocabolario della Crusca confermata dalle due edizioni che ebbe nel XVII sec., dopo la prima del
1612. La seconda edizione usc nel 1623 e fu analoga alla prima, anche nella mole (un solo grosso
volume). La terza edizione, stampata a Firenze (non pi a Venezia, come le precedenti) nel 1691,
dopo un lavoro di ben trentanni, si presenta invece vistosamente diversa fin dallaspetto esterno: tre
tomi al posto di uno (mantenendo il formato in foglio), con un notevole arricchimento di materiale,
verificabile sia nella quantit dei lemmi, sia negli esempi e nella definizione delle voci. La terza
Crusca, insomma, fece un salto quantitativo e qualitativo notevole, consolidando il primato
dellAccademia di Firenze nel campo della lessicografia.
Nelledizione del 1691 si accolgono per la prima volta citazioni dal Tasso, dal Castiglione e
da tanti altri autori moderni che vengono inseriti nella tavola dei citati; sono accolte inoltre voci di
botanica, di zoologia, di anatomia e fisiologia, non legittimate come ovvio da citazioni
dautore. Spicca, invece, vistosa lassenza del maestro della poesia barocca, il Marino, autore del
poema LAdone.
Tra le novit della terza edizione vi un maggior uso dellannotazione V.A., cio voce
antica, per contrassegnare le parole arcaiche, registrate a scopo documentario, ma destinate ad
essere tralasciate nelluso corrente.
I sei volumi della quarta edizione del Vocabolario vengono stampati fra il 1729 e il 1738: di
nuovo con maggiore determinazione si rifiutano in modo programmatico tutte le definizioni
specialistiche.
Con luscita di questa edizione lo scontro fra le posizioni della Crusca e quelle dei suoi
avversari si fece pi duro. Anche in risposta al malcontento emergente in misura diversa dalle tante
opere anticruscanti di quegli anni, il 7 luglio del 1783 Pietro Leopoldo neg lautonomia
dellAccademia, fondendola con quella fiorentina e quella degli Apatisti, sotto lunico nome di
Accademia fiorentina. Ma la soppressione della Crusca, da troppo tempo al centro delle questioni
linguistiche italiane, non pass inosservata.
Nel 1808 lAccademia fiorentina viene divisa in tre classi: quella del Cimento, del Disegno e
della Crusca. Questultima riacquister la sua piena autonomia nel 1811 con Napoleone. Nonostante
le vicende di alterna fortuna dellAccademia, il Vocabolario continua ad avere un suo sguito: se da
un lato labate Antonio Cesari aveva pubblicato una ristampa aggiornata (nota come Crusca
veronese), dallaltro proprio in concomitanza con la ricostituzione della Crusca gli
Accademici cominceranno a progettare una quinta edizione del Vocabolario, la cui pubblicazione fu
avviata nel 1863 e si protrasse, alquanto stancamente, fino al 1923, quando il dizionario, che nel
frattempo era giunto alla lettera O, rimase interrotto definitivamente, in sguito non soltanto alle liti
grammaticali tra gli Accademici, ma come conseguenza naturale del disagio di fronte alle continue
critiche e alle accuse che da pi parti si levavano e che si legavano a quelle pi antiche.
La quinta edizione del Vocabolario della Crusca, bench incompiuta, costitu il prototipo dei
dizionari storici, quelli cio che registrano il patrimonio scritto di una tradizione letteraria fornendo
esempi di passi dautore che illustrino le varie accezioni che una parola assume nelluso. Due opere
fondamentali di questo tipo sono il Tommaseo-Bellini (compilato tra il 1861 e il 1879) e il Grande
dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, la cui pubblicazione (iniziata nel 1961),
ancora in corso.
espressioni letterarie di sapore arcaico. La nuova veste linguistica del romanzo suscit molte
discussioni, e non pochi furono i dissensi. Molti preferirono la forma della ventisettana, in linea
con la tradizione dellitaliano letterario, senza rotture traumatiche e senza principi innovatori cos
forti come quelli che avevano governato la revisione per la quarantana.
Dal 1830 circa, Manzoni si dedica anche alla stesura di opere linguistiche, come il Sentir
messa e limpegnativo trattato Della lingua italiana, di cui ci restano diverse stesure2, scritti rimasti
per nel cassetto.
La prima esposizione pubblica del principio per cui il modello dellitaliano comune doveva
essere il fiorentino vivo una Lettera sulla lingua italiana indirizzata al lessicografo piemontese
Giacinto Carena il 27 febbraio 1847, che Manzoni pubblicher nel 1850 nel VI fascicolo delle
Opere varie.
Nel 1846, a Torino, Giacinto Carena aveva pubblicato un Vocabolario domestico in cui
ricorreva la terminologia per indicare cose comuni, oggetti di casa, del mobilio, utensili ecc.
Carena, nel compilare lopera, si era preoccupato di raccogliere anche la terminologia delluso
vivente toscano ma, non avendo voluto limitare i propri spogli al fiorentino, e nemmeno al solo
toscano vivo, aveva utilizzato anche la lingua letteraria. Manzoni, invece, in questoccasione,
espose in una lettera allautore del Vocabolario domestico la propria teoria ormai formata: la lingua
italiana andava identificata in maniera rigorosa nel fiorentino. La lettera al Carena, tuttavia, pur
pubblicata, non ebbe molta eco, anche se non mancarono reazioni.
Loccasione di rendere davvero pubbliche le proprie teorie e di scatenare un grande dibattito
attorno ad esse venne per Manzoni pi tardi, dopo lunificazione politica italiana. Nel 1867 divenne
ministro della pubblica istruzione del Regno dItalia il milanese Emilio Broglio, che era favorevole
alle idee manzoniane. Nel 1868 il ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio nomina
lanziano scrittore a presiedere una commissione composta da Ruggero Bonghi, Giulio Carcano,
Raffaele Lambruschini, Niccol Tommaseo, Giuseppe Bertoldi, Achille Mauri, Gino Capponi,
invitati a proporre tutti i provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare e rendere pi universale
in tutti gli ordini del popolo la notizia [conoscenza] della buona lingua e della buona pronunzia.
Era la prima volta, insomma, che la questione della lingua si collegava cos strettamente a una
questione sociale, finalizzata allorganizzazione della scuola e della cultura del nuovo Regno
dItalia.
Manzoni, Bonghi e Carcano formavano la sezione milanese della commissione, gli altri, in
ragione della loro residenza, la sezione fiorentina. In qualche settimana, Manzoni, che aveva la
presidenza generale e guidava la sezione milanese, scrisse la Relazione Dellunit della lingua e dei
mezzi di diffonderla, in cui riproponeva in sostanza quanto gi sostenuto nella Lettera al Carena,
fornendo in aggiunta alcuni indirizzi operativi.
La Relazione di Manzoni fu pubblicata nello stesso 1868, assieme allelenco di una serie di
mezzi idonei (nelle intenzioni e speranze dei tre relatori, Manzoni, Bonghi e Carcano) a diffondere
il fiorentino. Tra questi mezzi, ricordiamo: la proposta di scegliere insegnanti toscani o educati in
Toscana per le scuole primarie; conferenze di maestri toscani ai colleghi del resto dItalia;
abbecedari, catechismi e primi libri di lettura scritti da toscani; soggiorni-premio in Toscana per gli
studenti. Ma lo strumento in cui si riponeva pi fiducia era la compilazione di un vocabolario del
linguaggio fiorentino vivente, un vocabolario che ne rappresenti luso attuale, di cui si sarebbe
dovuta fare unedizione economica a larghissima diffusione, e da cui si sarebbero dovuti ricavare
vocabolarietti minori, ad uso pratico e didattico.
La sezione fiorentina present la sua relazione, una relazione molto diversa, nella quale
invece, pur ammettendo limportanza delluso vivo, si proponeva di tener conto della lingua
letteraria tradizionale. Una simile discrepanza di opinioni spinse il Manzoni alle dimissioni, ma il
suo orientamento vinse comunque per il decisivo impulso dello stesso ministro, dichiaratamente
filomanzoniano.
2
Le cinque redazioni del trattato Della lingua italiana (un migliaio di pagine a stampa), su cui Manzoni lavor
per circa trentanni, sono state pubblicate nel 1974.
3
La parola koin (anche nella grafia koin, pi raramente con c per k) deriva dal greco koin dilektos,
letteralmente lingua comune, e si riferiva, in ambito greco, al greco comune diffuso a partire dal tempo di Alessandro
Magno nei territori di cultura ellenistica.
abbracciato, vi fa cittadini dItalia, ribadendo quella che ormai una situazione di fatto:
opposizione tra italiano comune e parlate locali.
Fra le nazioni europee lItalia gode il privilegio di essere, certamente, il paese pi frazionato
nei suoi dialetti []. Ogni viaggiatore che, cominciando con il Piemonte, attraversando poi la
Liguria, la Toscana, il Lazio e le province napoletane, si reca in Sicilia, si pu rendere conto di
questa situazione. Sono le parole dello studioso tedesco Gerhard Rohlfs (Studi e ricerche su lingua
e dialetti dItalia, Firenze, Sansoni, 1990, pp. 26-27), che si occupato a fondo della situazione
dialettale della Penisola.
Gi Dante, osservando le differenze nella lingua parlata tra un luogo e laltro dellItalia
allepoca sua, aveva dato una prima classificazione dellItalia dialettale nel suo trattato di retorica
sullarte del dire in volgare, composto in latino intorno al 1303-1304, il De vulgari eloquentia. La
classificazione dantesca si avvale di un criterio geografico:
Per prima cosa diciamo dunque che lItalia divisa in due parti, una destra e una sinistra. E
se qualcuno vuol sapere qual la linea divisoria, rispondiamo in breve che il giogo
dellAppennino: il quale, come la cima di una grondaia sgronda da una parte e dallaltra le acque
che sgocciolano in opposte direzioni, sgocciola per lunghi condotti, da una parte e dallaltra, verso i
contrapposti litorali [].
Le regioni di destra sono lApulia, non tutta per, Roma, il Ducato, la Toscana e la Marca
Genovese; quelle di sinistra invece parte dellApulia, la Marca Anconitana, la Romagna, la
Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia. Quanto al Friuli e allIstria, non possono appartenere
che allItalia di sinistra, mentre le isole del Mar Tirreno, cio la Sicilia e la Sardegna, appartengono
senza dubbio allItalia di destra, o piuttosto vanno associate ad essa. Ora in entrambe queste due
met, e relative appendici, le lingue degli abitanti variano: cos i Siciliani si diversificano dagli
Apuli, gli Apuli dai Romani, i Romani dagli Spoletini, questi dai Toscani, i Toscani dai Genovesi e i
Genovesi dai Sardi; e allo stesso modo i Calabri dagli Anconitani, costoro dai Romagnoli, i
Romagnoli dai Lombardi, i Lombardi dai Trevigiani e Veneziani, costoro dagli Aquileiesi e questi
ultimi dagli Istriani. Sul che pensiamo che nessun italiano dissenta da noi.
Ecco perci che la sola Italia presenta una variet di almeno quattordici volgari. I quali poi si
differenziano al loro interno, come ad esempio in Toscana il Senese e lAretino, in Lombardia il
Ferrarese e il Piacentino; senza dire che qualche variazione possiamo coglierla anche nella stessa
citt []. Pertanto, a voler calcolare le variet principali del volgare dItalia e le secondarie e quelle
ancora minori, accadrebbe di arrivare, perfino in questo piccolissimo angolo di mondo, non solo
alle mille variet, ma a un numero anche superiore (De vulgari eloquentia, I x 4-5)
Questa descrizione dantesca, originale per il modo di procedere, anche ricca di informazioni
su quelli che Dante chiama i volgari. Questa classificazione non ha avuto seguito e lo stesso
trattato in cui contenuta rimasto, come abbiamo visto, sconosciuto agli studiosi finch nel 1529
il letterato vicentino Gian Giorgio Trissino non ne ha diffuso il contenuto curandone pure
unedizione a stampa.
4. Tra lingua e dialetto dal XVI secolo a oggi
Per diversi secoli in Italia la parlata nettamente prevalente il dialetto. Quanto allitaliano,
fissato sulla base del toscano, anzi del fiorentino scritto trecentesco, dai grammatici del XVI secolo
una lingua che si legge, si scrive, si studia a scuola, ma parlata da un numero limitato di persone
almeno fino alla seconda met del XIX secolo; scrittori come Ugo Foscolo sostengono addirittura
che litaliano una lingua morta e Manzoni dice che agli scrittori italiani manca una lingua viva
e vera.
A partire dallUnit dItalia (1861, poi 1870 con Roma capitale) si accelera il processo di
diffusione dellitaliano avviato da tempo anche a livello di lingua parlata, non senza i contatti e le
interferenze con i vari dialetti che si realizzano facilmente quando la competenza della lingua
scarsa e si padroneggia meglio il dialetto e che si vedono in quelle scritture in un italiano stentato
che sono documentate nel corso dei secoli.
La diffusione della lingua nazionale favorita da circostanze diverse: lunificazione nazionale
con il suo apparato burocratico, la scuola, i mezzi di comunicazione, lurbanizzazione.
Lapprendimento dellitaliano avviene per lungo tempo attraverso la scolarizzazione mentre la
conversazione spontanea si realizza in dialetto: si avverte maggiore naturalezza e spontaneit nel
parlare in dialetto piuttosto che in italiano.
Pi si espande litaliano meno si usano i dialetti, ma ci non significa che i dialetti stiano
scomparendo. Bench di questi tempi vi sia un progressivo calo nel numero dei parlanti dialetto,
mentre aumentano coloro che preferiscono usare solo litaliano, le statistiche informano che i
dialetti sono adoperati o conosciuti ancora da buona parte della popolazione che spesso alterna, e
mescola, nelluso quotidiano italiano e dialetto. La conservazione maggiore in regioni come il
Veneto e la Sicilia, ma in generale maggiore al Sud che al Nord.
5. La classificazione dialettale
Dopo Dante, che aveva ordinato i volgari con criterio geografico tenendo come riferimento
lAppennino, necessario attendere il XIX secolo per delle proposte di classificazione. Verso la
seconda met del XIX secolo il tema della classificazione dei dialetti viene ripreso specialmente
per opera di studiosi come Graziadio Isaia Ascoli, seguito poi da Clemente Merlo ed altri.
Nella maggior parte delle classificazioni vale il principio (che si deve sostanzialmente
allAscoli) del rapporto con il latino, ovvero un criterio genealogico, cio una valutazione della
maggiore o minore distanza dei diversi dialetti da questa lingua dalla quale, per lappunto, sono
derivati.
Inoltre, tenuto conto del fatto che il toscano la variet che nella struttura della parola
rimasta pi vicina rispetto al latino, la prospettiva pu essere vista anche in termini di maggiore o
minore affinit col toscano.
Graziadio Isaia Ascoli (LItalia dialettale, in Archivio Glottologico Italiano, nr. 8, 1882, pp.
98-128) elabora uno schema che comprende quattro gruppi:
gruppo A: dialetti franco-provenzali, dialetti ladini (cio dialetti considerati appartenenti a
sistemi neolatini estranei allItalia);
gruppo B: dialetti gallo-italici, dialetti sardi;
gruppo C: veneziano, dialetti centrali, dialetti meridionali, crso;
gruppo D: toscano.
Il quarto gruppo caratterizzato da una maggiore fedelt al latino. Questo non significa che il
toscano somiglia al latino ma che i cambiamenti, rispetto al latino, sono pi contenuti che in altri
dialetti come si pu vedere nella struttura della parola. Per esempio, gli esiti dialettali di un termine
latino come DOMINCA sono: toscano domenica; veneto domnega, friulano domnie; romagnolo
dmenga.
Se la classificazione ascoliana si basa su una descrizione della situazione attuale, quella
proposta da Clemente Merlo (LItalia dialettale, in LItalia Dialettale, nr. 1, 1924, pp. 12-26)
aggiunge una prospettiva storica richiamando le antiche fasi linguistiche prelatine dellItalia. Lo
schema di Clemente Merlo piuttosto simile a quello di Ascoli, ne differisce aggiungendo il vegliotto
(parlata dellisola di Veglia estinta nel 1898; era una delle variet del dalmatico, idioma neolatino
diffuso lungo le coste della Dalmazia) nel gruppo A e spostando al gruppo B i dialetti con sostratto
venetico.
La classificazione dialettale che stata seguita da vari studiosi quella proposta da Giovan
Battista Pellegrini (Saggi di linguistica italiana, 1975, pp. 55-87, e Carta dei dialetti dItalia, 1977)
che si fonda sul concetto di italo-romanzo (scritto anche: italoromanzo), con il quale allude al
complesso delle svariate parlate della Penisola e delle Isole che hanno scelto gi da tempo, come
lingua guida (in sostanza come lingua) litaliano (Giovan Battista Pellegrini 1977, p. 17).
Assumendo come principio classificatorio tale criterio, non rientra, ad esempio, nel gruppo
italo-romanzo il dialetto crso che ha come lingua guida (o come altrimenti si dice lingua tetto) il
francese.
Litalo-romanzo pu essere suddiviso in cinque gruppi o sistemi fondamentali: 1. dialetti
settentrionali; 2. friulano; 3. toscano; 4. dialetti centromeridionali (compresa la Sicilia); 5. sardo.
Come si vede, fanno parte dellitalo-romanzo anche il sardo e il friulano ai quali altre
classificazioni hanno assegnato una posizione autonoma nellambito delle variet neolatine.
La classificazione di Pellegrini va oggi in parte rivista se si assume di considerare le variet
dellItalia linguistica diverse dallitaliano come suddivisibili nei due gruppi seguenti:
a) dialetti italiani o dellItalia;
b) minoranze linguistiche.
Infatti per la legge 482 del 15 dicembre 1999 Norme di tutela delle minoranze linguistiche
storiche, la quale stabilisce che tra le minoranze sono compresi anche friulano e sardo, tali variet
entrano nel gruppo b). Ad esse Pellegrini riserva comunque una posizione a s stante nellambito
italo-romanzo, dati i peculiari tratti linguistici che le caratterizzano.
Al di l di criteri puramente linguistici dai quali ovviamente non si pu prescindere
rilevante, invece, nel quadro delineato dal Pellegrini, il criterio politico-culturale che tiene conto
della posizione di tali variet rispetto alla lingua nazionale: il friulano e il sardo hanno come lingua
tetto litaliano e pertanto vanno inclusi secondo questo criterio nellinsieme che forma lItalia
dialettale e inseriti nellambito della storia linguistica italiana.
I dati linguistici che sono alla base dellindividuazione di cinque aree, o gruppi o sistemi,
fondamentali in seno allitalo-romanzo, provengono da fonti diverse, ma in particolare dalle carte
dellAIS (Karl Jaberg e Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Sdschweiz, 1928-1940),
un atlante linguistico i cui materiali sono stati raccolti mediante inchieste sul campo tra il 1919 e
il 1928, quando la dialettalit nella Penisola era certo pi spiccata.
6. I cinque sistemi dellitalo-romanzo
Litalo-romanzo pu essere suddiviso, come abbiamo visto, in cinque gruppi o sistemi
fondamentali: 1. dialetti settentrionali; 2. friulano; 3. toscano; 4. dialetti centromeridionali; 5. sardo.
Il gruppo dei dialetti settentrionali ha tra i suoi tratti linguistici pi caratteristici e generali la
sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche e lo scempiamento delle consonanti doppie.
Altri fenomeni hanno una distribuzione areale diversificata allinterno di questo vasto sistema
che proprio sulla base della compresenza di taluni fenomeni caratterizzanti pu essere suddiviso
in due aree principali: galloitalica e veneta.
Larea galloitalica comprende i dialetti piemontesi, lombardi, liguri, emiliani e romagnoli.
cos denominata gi da Bernardino Biondelli (Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano 1853) perch
condivide elementi che sono anche dellarea francese e che costituiscono il risultato di
unevoluzione comune, dal latino, per ragioni storiche e culturali: presenza di sostrato celtico e di
un superstrato germanico, continuit di rapporti con la Gallia perlomeno sino allXI secolo e anche
dopo.
Fra i tratti linguistici di questi dialetti ricordiamo:
le cosiddette vocali turbate, ovvero le pronunce del tipo lna luna, lm lume, cr
cuore ecc. Sono particolari pronunce (simili a quelle del francese) di vocali come u ed o (quando
nella parola sono accentate e nelle corrispondenti parole latine erano rispettivamente u lunga ed o
breve);
A fenomeni di migrazione allestero si deve la presenza di dialetti che ancora rimangono ben
conservati nelle comunit pi omogenee dal punto di vista linguistico e culturale e che vivono in
localit appartate. il caso di colonie venete nel Messico o in zone del Sud America (specie in
Brasile), venete e trentine in Bosnia, friulane in Argentina o in Romania, ed altre, le cui parlate si
sono conservate attraverso le generazioni (le migrazioni risalgono alla seconda met del XIX
secolo).
La grande migrazione italiana, diretta anche oltreoceano, iniziata negli ultimi tre decenni del
XIX secolo, ed durata, con flussi alterni, fino al 1960 allincirca.
8. Le minoranze linguistiche
Lespressione minoranza linguistica si adopera con riferimento ad un gruppo, di solito non
molto numeroso (a volte anche piccolissimo), nel quale i parlanti alloglotti 4 hanno come prima
lingua o lingua materna, cio acquisita con la prima socializzazione, una lingua diversa da quella
nazionale (Giuseppe Francescato, Sociolinguistica delle minoranze, 1993, p. 311) che costituisce la
lingua maggioritaria e/o ufficiale.
Non vi accordo tra gli studiosi su quante e quali siano le minoranze linguistiche in Italia,
dato che i criteri di valutazione possono essere diversi.
In ogni caso con la legge 482 del 15 dicembre 1999 (alla quale i legislatori sono giunti dopo
vari progetti che si sono seguiti a partire dal 1976) si dispone di un elenco di dodici minoranze
linguistiche storiche, vale a dire, riprendendo alla lettera la legge (art. 2):
La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche,
greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,
loccitano e il sardo.
Gli albanesi sono circa 100.000. Le prime ondate migratorie risalgono alla met del 1400:
arrivarono nel 1448 i mercenari al servizio di Alfonso I dAragona, re di Napoli. Poi, alla fine del
secolo, la grande fuga dallAlbania dopo la conquista turca. Gli insediamenti attuali sono in
Calabria (26 comuni), in Puglia (4 comuni nelle province di Foggia e Taranto), in Sicilia (5
comuni). Centri sparsi anche in Basilicata (5 comuni), Abruzzo, Campania e in Molise.
I catalani sono circa 15.000. Vivono solo ad Alghero, in provincia di Sassari (Sardegna).
Sono i discendenti degli Spagnoli che dominarono lisola. Lorigine della comunit risale al 1354,
anno della conquista della citt da parte di Pietro IV dAragona. Il catalano di Alghero simile alla
lingua di Barcellona, ma molto pi arcaico e condito da sardismi e italianismi.
I tedeschi sono circa 330.000 di cui 15.000 fuori dallAlto Adige (Sd Tirol). Linsediamento
principale nel Tirolo meridionale, e riguarda tutta la provincia di Bolzano: sono popolazioni
tedesche originarie. Risale invece al XIII secolo larrivo di gruppi di contadini e minatori della
Carinzia nella zona di Trento, di Udine e in parte del Veneto. I tedeschi della provincia di Trento (5
comuni) si chiamano mocheni. Sono cimbri quelli arrivati in Veneto, e rimasti in 4 comuni delle
province di Belluno, Verona e Vicenza. In Friuli, sono di lingua tedesca 4 comuni in provincia di
Udine. Si chiamano walfer (vengono dal canton Vallese) le popolazioni germaniche che abitano in
Piemonte e in 3 comuni della Valle dAosta.
I greci sono 20.000 circa. La comunit principale nel Salento, 9 comuni in provincia di
Lecce. Ne resta traccia anche in 5 comuni di Reggio Calabria. Qualche storico fa risalire lorigine
di queste comunit alla Magna Grecia. Prevale per la teoria che si tratti di ripopolamenti bizantini,
del IX-X secolo.
4
Le parlate alloglotte sono le parlate delle comunit che usano lingue diverse da quelle parlate nel territorio
circostante; in alcuni casi si tratta di vere e proprie lingue straniere. In altri casi, invece, si tratta di resti di antiche
dominazioni o emigrazioni straniere.
Gli sloveni sono 100.000 circa, quasi tutti nella Venezia Giulia. Sono i comuni di confine con
la Slovenia, insediamenti originali che risalgono al VI secolo: 6 in provincia di Trieste, 7 in
provincia di Gorizia, 19 in provincia di Udine.
Le colonie croate (circa 3000 parlanti) di alcuni paesi del Molise sono residuo di pi ampi
insediamenti avvenuti nel XV secolo ad opera di popolazioni che abbandonavano la loro terra per
sfuggire ai Turchi.
I franco-provenzali (circa 120.000 parlanti) sono concentrati principalmente nella Valle
dAosta (eretta a Regione a statuto speciale nel 1945); sono invece linguisticamente provenzali
(circa 40.000 parlanti) parte della valle di Susa con alcune altre vallate contermini e inoltre la valle
del Pellice. I repertori delle minoranze provenzale e franco-provenzale prevedono la conoscenza di
almeno altre due lingue (di solito italiano e francese, oppure piemontese).
I friulani abitano le province di Gorizia, di Udine e parte di quella di Pordenone. La
consistenza numerica, in termini assoluti, della comunit linguistica friulana difficile da stabilire,
specialmente se si vuol tener conto delle colonie friulanofone sparse in molte parti del mondo. Il
nucleo pi consistente rimane, comunque, quello del Friuli, che pu essere valutato intorno alle
700.000 persone.
I ladini sono 25.000 e vivono in aree montane del Veneto settentrionale, provincia di Belluno,
e valli del Trentino e dellAlto Adige.
Gli occitani sono circa 150.000. la lingua dOc, quella dei trovatori. La parlano le
popolazioni che vivono ai piedi delle Alpi in Piemonte (le alte valli in provincia di Torino e di
Cuneo) e in due comuni liguri, in provincia di Imperia.
I sardi sono circa 1.500.000. La lingua diffusa in tutta lisola. considerata una delle pi
antiche lingue di origine latina, molto caratterizzata e fortemente distinta dallitaliano.
RICAPITOLAZIONE
1. Presentare le varianti alle quali sono dovute le differenze interne di una lingua.
2. Quali sono i fattori che hanno prodotto le variet del latino?
3. Definire il latino classico.