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Programa analitic

Denumirea disciplinei
Codul disciplinei

Limba Italian, Anul III


Semestrul

Facultatea

Litere

Profilul
Specializarea

Filologie
Romn - Italian

II

Numrul de credite
Numrul orelor pe
an / activiti
Total
SI TC AT
56
36
8
12

Categoria formativ a disciplinei: DF - fundamental, DG - general,


DS - de specialitate, DE - economic/managerial, DU - umanist
Categoria de opionalitate a disciplinei: DI - impus, DO - opional,
DL - liber aleas (facultativ)
Discipline
anterioare

Obiective

Coninut
(descriptori)

Obligatorii
(condiionate)
Recomandate

AA
DF
DI

- familiarizarea studenilor cu principalele direcii ale evoluiei de la latin la


italian,
- familiarizarea studenilor cu principalele aspecte ale relaiei dintre italiana
comun i italiana din diversele regiuni ale Italiei.
I. Dal latino allitaliano
1. Nozioni preliminari
1.1. La variazione linguistica
1.2. Dal latino allitaliano
1.2.1. Il latino classico e il latino volgare
1.2.2. Le fonti del latino volgare
2. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti fonetici
2.1. Fenomeni del vocalismo
2.2. Fenomeni del consonantismo
3. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti morfologici
3.1. Il genere del nome. La scomparsa del neutro
3.2. La scomparsa del sistema dei casi
3.3. Larticolo
3.4. I pronomi personali
3.5. Laggettivo. Il comparativo e il superlativo
3.6. Il verbo
3.6.1. La riduzione delle coniugazioni verbali
3.6.2. La formazione del passato remoto
3.6.3. La formazione dei tempi composti
3.6.4. La formazione del passivo perifrastico
3.6.5. La formazione del futuro
3.6.6. La formazione del condizionale
4. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti sintattici
4.1. Lordine delle parole nella frase
4.2. Lespressione e la posizione del pronome soggetto

4.3. La posizione dei pronomi atoni. La legge Tobler-Mussafia


II. I primi documenti dellitaliano
1. Lindovinello veronese
2. Liscrizione murale della catacomba romana di Commodilla
3. Il Placito Capuano del 960
4. Il fumetto bilingue di San Clemente
III. Aspetti della questione della lingua
1. Che cosa si intende per questione della lingua?
2. Dante, primo teorico del volgare
2.1. Il De vulgari eloquentia
2.2. Il Convivio
2.3. Il De vulgari eloquentia e il Convivio
3. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo
4. Il Vocabolario dellAccademia della Crusca
5. La soluzione manzoniana alla questione della lingua
IV. Variet dellitaliano
1. Le dimensioni della variazione sincronica dellitaliano
2. Variazione diatopica: italiano regionale
3. La variet linguistica in Italia
4. Tra lingua e dialetto dal XVI secolo a oggi
5. La classificazione dialettale
6. I cinque sistemi dellitalo-romanzo
7. Dialetti fuori dItalia
8. Le minoranze linguistiche
Forma de evaluare (E - examen, C - colocviu / test final, LP - lucrri de control)
E
Stalibirea
- rspunsurile la examen / colocviu / lucrri practice
50%
notei
- activiti aplicative atestate / laborator / lucrri practice/ proiect etc.
finale
- teste pe parcursul semestrului
25%
(procentaje)
- teme de control
25%
Bibliografia
Francesco Bruni, Litaliano letterario nella storia, Bologna, Il Mulino,
2002;
Paolo DAchile, Breve grammatica storica dellitaliano, Roma,
Carocci Editore, 2002;
Carla Marcato, Dialetto, dialetti e italiano, Bologna, Il Mulino, 2002;
Giuseppe Patota, Lineamenti di grammatica storica dellitaliano,
Bologna, Il Mulino, 2002.
Lista materialelor
didactice
necesare

Suport de curs ID

Coordonator de disciplin
Elena Prvu

Gradul didactic, titlul


Confereniar univ. dr.

Semntura

Legenda: SI - studiu individual, TC - teme de control, AT - activiti tutoriale, AA - activiti


aplicative aplicate

SUPORT DE CURS

Disciplina: LIMBA ITALIAN


(Istoria limbii italiene)
Anul III ID, Semestrul II
Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PRVU

Prezentul suport de curs este realizat pe baza volumelor: Bembo, Pietro, Prose e rime, a cura
di Carlo Dionisotti, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Ristampa 1978; Berruto,
Gaetano, Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza, 1995; Bruni, Francesco, Litaliano
letterario nella storia, Bologna, Il Mulino, 2002; DAchile, Paolo, Breve grammatica storica
dellitaliano, Roma, Carocci Editore, 2002; Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, Traduzione e
saggi introduttivi di Claudio Marazzini e Concetto Del Popolo, Milano, Oscar Mondadori, 1990;
Marcato, Carla, Dialetto, dialetti e italiano, Bologna, Il Mulino, 2002; Patota, Giuseppe,
Lineamenti di grammatica storica dellitaliano, Bologna, Il Mulino, 2002.

INDICE
I. Dal latino allitaliano
1. Nozioni preliminari
1.1. La variazione linguistica
1.2. Dal latino allitaliano
1.2.1. Il latino classico e il latino volgare
1.2.2. Le fonti del latino volgare
2. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti fonetici
2.1. Fenomeni del vocalismo
2.2. Fenomeni del consonantismo
3. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti morfologici
3.1. Il genere del nome. La scomparsa del neutro
3.2. La scomparsa del sistema dei casi
3.3. Larticolo
3.4. I pronomi personali
3.5. Laggettivo. Il comparativo e il superlativo
3.6. Il verbo
3.6.1. La riduzione delle coniugazioni verbali
3.6.2. La formazione del passato remoto
3.6.3. La formazione dei tempi composti
3.6.4. La formazione del passivo perifrastico
3.6.5. La formazione del futuro
3.6.6. La formazione del condizionale
4. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti sintattici
4.1. Lordine delle parole nella frase
4.2. Lespressione e la posizione del pronome soggetto
4.3. La posizione dei pronomi atoni. La legge Tobler-Mussafia
II. I primi documenti dellitaliano
1. Lindovinello veronese

2. Liscrizione murale della catacomba romana di Commodilla


3. Il Placito Capuano del 960
4. Il fumetto bilingue di San Clemente
III. Aspetti della questione della lingua
1. Che cosa si intende per questione della lingua?
2. Dante, primo teorico del volgare
2.1. Il De vulgari eloquentia
2.2. Il Convivio
2.3. Il De vulgari eloquentia e il Convivio
3. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo
4. Il Vocabolario dellAccademia della Crusca
5. La soluzione manzoniana alla questione della lingua
IV. Variet dellitaliano
1. Le dimensioni della variazione sincronica dellitaliano
2. Variazione diatopica: italiano regionale
3. La variet linguistica in Italia
4. Tra lingua e dialetto dal XVI secolo a oggi
5. La classificazione dialettale
6. I cinque sistemi dellitalo-romanzo
7. Dialetti fuori dItalia
8. Le minoranze linguistiche

I. Dal latino allitaliano


1. Nozioni preliminari

1.1. La variazione linguistica


Ogni lingua, quanto pi diffusa nello spazio e nel tempo, tanto pi presenta nelle sue
manifestazioni concrete una serie di differenze interne, dovute alle seguenti variabili:
la variabile diacrnica (dal greco di attraverso e chronos tempo), legata al tempo, che
determina inevitabilmente un mutamento linguistico, nel parlato prima e pi spesso che nello
scritto;
la variabile diatpica (da di e topos spazio), legata allo spazio: una stessa lingua assume
caratteristiche pi o meno diverse a seconda delle zone in cui viene usata; lungo lasse della
variabile diatpica, nella quale si collocano gli italiani regionali, i poli sono costituiti dallitaliano
standard normativo (a base fiorentina) e dallitaliano regionale fortemente dialettizzante.
la variabile diafsica (da di e -fasa parola, linguaggio), legata alla situazione
comunicativa, allargomento trattato, alla confidenza che si ha con linterlocutore ecc.; lungo lasse
diafasico, si va dallitaliano formale aulico allitaliano informale trascurato.
la variabile diastrtica (da di e da un derivato di strato), legata alla classe sociale, alle
condizioni economiche, al livello di istruzione dei parlanti o degli scriventi; lungo lasse diastratico,
si va dallitaliano colto ricercato allitaliano popolare basso.
la variabile diamsica (da di e mesos mezzo), legata al mezzo materiale in cui avviene la
comunicazione (parlato, scritto, trasmesso): ogni mezzo ha caratteristiche fisiche diverse, che
influiscono sulla lingua.
Per un corso di storia della lingua, la pi importante la variabile diacronica, che si occupa
del mutamento linguistico. Lo studio in prospettiva diacronica esamina levoluzione storica della
lingua, analizzando le trasformazioni proprie del sistema (si parla allora di storia interna),
mettendola in rapporto a fatti di storia sociale, politica, letteraria e culturale (storia esterna),
spiegando, in una visione dinamica della lingua, le ragioni storiche della coesistenza di forme
diverse.
1.2. Dal latino allitaliano
Si dice, comunemente, che litaliano cos come le altre lingue romanze o neolatine: il
portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il sardo, il
ladino, il friulano e il romeno deriva dal latino. Siccome le lingue non sono organismi biologici,
pi corretto sarebbe dire che litaliano continua il latino, che litaliano il latino adoperato oggi in
Italia.
Poi, anche il latino stato soggetto alle variazioni ricordate sopra, cio sono esistite molte
variet di ununica lingua chiamata latino. I fattori che hanno prodotto le variet del latino sono
diversi: il tempo, lo spazio, il livello stilistico, la condizione socioculturale degli utenti, la modalit
di trasmissione (scritta o parlata) della lingua. E il fattore geografico si fuse col fattore etnico nel
determinare altre diversit, riconducibili al cosiddetto sostrato linguistico prelatino.
Prima che i Romani estendessero il loro dominio a tutta lItalia e a una gran parte dellEuropa,
il latino era semplicemente uno degli idiomi parlati da una delle tante popolazioni che abitavano
lItalia.
Nel nord della penisola, procedendo da occidente a oriente, si incontravano i Liguri, le trib
dei Celti, i Reti e infine i Carni; a sud di questi ultimi, nel Veneto meridionale, erano stanziati i
Veneti. Nella fascia immediatamente inferiore vivevano a est i Piceni, al centro gli Umbri e a ovest
gli Etruschi; a nord di Roma erano i Falischi; nellItalia centro-meridionale erano stanziati gli
Oschi, nel Salento e nella Puglia i Messpi, gli Iapgi e i Dauni. Tutte queste popolazioni avevano
una loro lingua: il ligure, il celtico, il retico, lumbro, losco e cos via. Alcuni idiomi (la maggior
parte) avevano una comune origine indoeuropea; altri (come per esempio letrusco) no. Quanto alla
Sicilia, prima della conquista romana vi si parlavano almeno tre lingue: il sicno, idioma

mediterraneo, il siculo, vicino al latino, e llimo, di origine e caratteristiche incerte. In Sardegna,


infine, era diffuso il paleosardo, parlata antichissima (anteriore alle migrazioni indoeuropee) e a noi
del tutto sconosciuta.
Nel giro di qualche secolo il latino, da lingua di una piccola comunit che occupava un
territorio ristretto presso lultimo tratto del Tevere, divenne la lingua di un popolo di conquistatori,
padroni di gran parte dellEuropa e di vaste zone in Africa e in Asia.
Dopo la conquista da parte di Roma, quasi tutti i popoli vinti abbandonarono, nel giro di
qualche generazione, la lingua dorigine e adottarono, come strumento di scambio, il latino.
Intervenne, a determinare questo processo, un fattore fondamentale nel contatto fra due lingue: il
prestigio. Quando due lingue entrano in concorrenza, quella che gode di maggior prestigio finisce
sempre col prevalere.
1.2.1. Il latino classico e il latino volgare
Come abbiamo detto, anche il latino era soggetto a variazioni. Fra le tante variet di latino che
si sono incrociate e sovrapposte nel tempo, nello spazio, nei livelli duso, della modalit di
realizzazione spiccano, per importanza storica, le due che convenzionalmente sono indicate come
latino classico e latino volgare.
Il latino classico il latino scritto cos come venne usato nelle opere letterarie della
cosiddetta et aurea di Roma (50 a.C. - 50 d.C. ca), ed rimasto sostanzialmente lo stesso nel
corso della storia. Esso una lingua colta, espressione dei ceti socioculturalmente pi elevati.
A differenza del latino classico, il latino volgare (cio il latino parlato dal vulgus, dal popolo)
non una lingua vera e propria, identificabile sincronicamente e dotata di una coerente norma
grammaticale. Si tratta piuttosto di un agglomerato dinamico e mutevole di fenomeni linguistici, e
perci privo di unorganica grammatica e descrivibile solo diacronicamente.
Il latino volgare presenta inoltre molti punti di contatto con il latino arcaico (dallVIII secolo
a.C., tradizionalmente indicato come quello della fondazione di Roma, alla fine del II secolo a.C.),
perch ne continua alcune tendenze grammaticali che, tagliate fuori dalla codificazione letteraria e
colta del I secolo a.C., riemergeranno nelle testimonianze scritte solo quando il prestigio scritto del
modello classico entrer in crisi.
1.2.2. Le fonti del latino volgare
Il latino volgare, che fu alla base delle nuove lingue romanze e che era essenzialmente parlato,
ci noto principalmente grazie ad alcune fonti:
a) Le iscrizioni pubbliche, sparse in tutto il territorio dellImpero. Le scritture occasionali
sono molto pi interessanti, perch rivelano limbarazzo di chi si muove con difficolt tra forme
ufficiali poco conosciute e forme familiari ma prive della dignit necessaria alla scrittura. Celebri i
graffiti conservati a Pompei dalle ceneri delleruzione del Vesuvio del 79 d.C., che offrono oltre
tutto il vantaggio di essere sicuramente databili.
b) Le opere di grammatici e insegnanti di latino. In quanto istituzionalmente incaricati di
trasmettere la norma linguistica tradizionale, i grammatici e in generale i maestri di scuola spesso
offrono testimonianza di usi sbagliati, vale a dire di tendenze popolari in atto nella lingua parlata,
spesso destinate ad affermarsi nel futuro.
La pi famosa e la pi importante testimonianza del genere la cosiddetta Appendix Probi,
opera di un maestro di scuola del III secolo d.C. rimasto anonimo, cos chiamata (Appendice di
Probo) perch trovata in fondo a un manoscritto contenente opere del grammatico Valerio Probo.
Questa Appendice una lista di 227 parole riportate su due colonne. Nella colonna di sinistra le
parole si presentano secondo la norma del latino scritto, nella colonna di destra si presentano nella

forma errata, cio cos come le pronunciavano o le scrivevano gli scolari, secondo lo schema A,
non B:
speculum
columna
calida
auris

non
non
non
non

speclum
colomna
calda
oricla

A differenza degli scolari di quel maestro, a noi interessano proprio queste ultime forme, che
testimoniano di altrettanti fenomeni vivi nel latino volgare: caduta della vocale postonica nel
suffisso -ULUM, -ULAM in speclum e oricla; alterazione della vocale tonica in colomna (con u
breve diventata o chiusa); monottongazione del dittongo latino au in oricla; diffusione dei
diminutivi a preferenza delle forme semplici (ancora in oricla).
c) Le lettere private. Si tratta di papiri e cocci che conservano lettere di privati, scritte fuori
da rigidi canoni letterari. DallEgitto provengono circa 300 lettere in latino, molte delle quali, scritte
da militari, trattano di piccoli traffici e altre facende quotidiane.
d) Le testimonianze di autori letterari. Si tratta di opere di autori che tentano di riprodurre
nella lingua scritta i tratti tipici della lingua parlata: esemplari, in proposito, i casi delle commedie
di Plauto (III secolo a.C.) e del Satyricon di Petronio (I secolo d.C.), al cui interno lepisodio della
Cena di Trimalchione costituisce unimportante testimonianza di latino parlato.
e) La letteratura tecnica. Per la natura del suo argomento, questa trattatistica si sottrae alle
norme delluso classico. Sono interessanti per la storia della lingua i trattati di agricoltura (Catone il
Vecchio, Varrone, I secolo d.C.), quelli di veterinaria (Mulomedicina Chironis, IV secolo d.C.), di
cucina, di medicina, di dietetica ecc.
f) La letteratura dispirazione cristiana. Il latino degli autori cristiani allinizio
deliberatamente umile e popolare. Il complesso di versioni della Bibbia precedenti san Girolamo
mostrano molto bene questo carattere - oltre alla solita stretta dipendenza dal testo greco, dal quale
erano state tradotte in latino.
La versione di san Girolamo della Vulgata (383 d.C.), una correzione condotta sul testo
greco delle versioni correnti, e mantiene perci in grandissima parte lo stesso carattere. Ma
nellambito del Cristianesimo, perfino gli autori pi colti come santAgostino sono ricettivi nei
confronti del latino popolare, e non subiscono passivamente i modelli letterari. La lingua dei
Cristiani ha in generale caratteri propri molto spiccati, tanto che molti studiosi sono arrivati a
definirla una lingua speciale. Il carattere popolare sempre un elemento essenziale.
Un episodio saliente nella storia di questi testi cristiani offerto dalla Peregrinatio Egeriae (o
Aetheriae), resoconto di un pellegrinaggio sui Luoghi Santi di una gentildonna appartenente a un
ordine di suore. Si tratta di unopera pi tarda (V secolo), libera dai consueti schemi letterari, dove
compaiono in massa ille e ipse in usi che corrispondono a quelli pi elementari dellarticolo
romanzo.
g) Le glosse. Sotto il nome convenzionale di glosse viene elencata una serie di testimonianze
del latino tardo o piuttosto gi del primo romanzo. Le Glosse di Reichenau (che provengono dal
nord della Francia, e sono del IX secolo) contengono spiegazioni di parole ed espressioni della
Bibbia diventate difficili e un piccolo lessico alfabetico: il latino delle glosse maschera un
romanzo gi sviluppato.
Le Glosse di Kassel (XI secolo?) sono un manualetto romanzo-tedesco ad uso dei bavaresi
che si trovano in Francia: il romanzo , anche qui, sommariamente arrangiato in veste latina.
Del X secolo sono le glosse emilianensi (da San Milln) e silensi (Santo Domingo de Silos),
di zona iberica; pure del X secolo il Glossario di Monza, dove parole latino-romanze sono spiegate
in greco volgare.
Le glosse ci riportano non tanto alle ultime fasi del latino quanto gi agli inizi romanzi, ma a
un romanzo che tuttavia non ha ancora acquisito accesso a unespressione letteraria autonoma.

h) Il metodo ricostruttivo e comparativo. Questo metodo, lo strumento pi importante per


la ricostruzione del latino parlato (ben pi importante delle registrazioni frammentarie che se ne
hanno nelle fonti scritte), consiste nel ricostruire una forma non documentata (cio non scritta,
appunto perch propria del latino parlato) sulla base dei risultati che se ne hanno nelle varie lingue
romanze. Cos, allineando litaliano passare, il francese passer, lo spagnolo pasar, il friulano pas,
si pu facilmente postulare nel latino volgare un verbo *PASSARE (quando una forma non
documentata nel latino scritto ma ricostruita nel latino parlato, la si fa precedere da un asterisco
*), tratto dal sostantivo PASSUS.
2. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti fonetici
Per prima cosa dobbiamo dire che le trasformazioni riguardano solo le parole di tradizione
ininterrotta (o popolari o ereditarie), che pure costituiscono la parte basilare del lessico italiano.
Queste, passate da generazione in generazione, sono arrivate fino a noi subendo nel corso dei secoli
una serie di mutamenti fonomorfologici e semantici, che ne hanno alterato la fisionomia originaria.
Le parole di origine dotta (o cultismi) sono state invece introdotte nel lessico italiano in un
determinato momento, sottraendosi cos ai mutamenti che erano gi avvenuti nelle parole ereditarie.
Pu cos accadere che una stessa parola possa aver avuto una doppia vita, come parola
popolare e come parola dotta (si parla in questo caso di allotropo). Doppia vita che spesso porta la
medesima parola latina non solo a due diverse forme fonetiche, ma anche a due diversi significati.
Cos, da CIRCULU(M) provengono cerchio e circolo; da SOLIDU(M) soldo e solido ecc.
2.1. Fenomeni del vocalismo
a) Le vocali toniche. Il latino aveva dieci vocali. Ciascuna delle cinque che conosciamo (A,
E, I, O, U) poteva essere realizzata in due modi, dipendenti dalla diversa durata o quantit della
pronuncia: una vocale poteva essere breve o lunga, cio pronunciata in un tempo pi breve o pi
lungo:

In latino, diversamente che in italiano, lopposizione fra vocali brevi e vocali lunghe, ben
percepita dai parlanti, consentiva di distinguere parole, forme e significati diversi. Per esempio, i
Latini percepivano con facilit la differenza fra o breve di SLUM (suolo, nome) e la o lunga di
SLUM (solo, aggettivo), e cos distinguevano le due parole e i loro significati.
Da un certo momento in poi nel latino parlato le vocali lunghe cominciarono a essere
pronunciate come chiuse e le vocali brevi come aperte. In questo caso, i parlanti hanno realizzato la
coppia SLUM (suolo, nome) / SLUM (solo, aggettivo) come slum / slum.
La perdita della quantit rappresent uno sconvolgimento fortissimo nel sistema vocalico del
latino; dal latino volgare questa caratteristica si rivers in tutte le lingue romanze. La quantit si
trasform in timbro, secondo lo schema che segue:
Vocalismo tonico latino volgare

Dunque, nella pronuncia del latino volgare, A, breve o lunga che fosse, fu realizzata sempre
allo stesso modo: a, senza differenze nel grado di apertura. e furono continuate come [ ] e

come [ ], mentre e furono continuate come [e] e come [o]. ebbe lo stesso trattamento di e
divenne [e], mentre ebbe lo stesso trattamento di e divenne [o]. Queste due assimilazioni si
spiegano tenendo conto del fatto che la pronuncia di due vocali contigue come ed , e doveva
essere molto simile, e quindi ha dato gli stessi risultati. Infine, , la pi chiusa delle vocali palatali,
fu pronunciata come [i]; , la pi chiusa delle vocali velari, fu pronunciata come [u].
Dal latino volgare queste trasformazioni si sono riversate su tutte le lingue romanze,
compreso litaliano:
ALA(M) > ala
SPTE(M) > stte
LGE(M) > lgge
LGNU(M) > lgno
MLLE > mille

PRCU(M) > prco


FLRE(M) > fire
MSCA(M) > msca
MRU(M) > muro

Durante il Medioevo dalle vocali toniche // e / / in sillaba libera (cio terminante per vocale)
si svilupperanno nel toscano i dittonghi i e u:
P-DE(M) > pide

B-NU(M) > buno

I dittonghi i [j] e u [w ] si dicono dittonghi mobili perch tendono a ridursi, fuori accento,
alla sola vocale (rispettivamente [e] e [o]). Il fenomeno particolarmente evidente allinterno dei
paradigmi verbali: siede/sediamo, viene/veniva, pu/potete; ma si manifesta anche in serie
corradicali (cio con parole grammaticalmente distanti che presentano la stessa radice):
piede/pedata, siede/sedile, vuole/volont, muove/movimento.
b) Le vocali atone. Anche le vocali atone subirono delle trasformazioni, ma furono in parte
diverse. In particolare, il vocalismo atono del latino volgare non conosce vocali aperte: e atone
hanno dato e , come le rispettive lunghe e come e . Il vocalismo atono dellitaliano coincide
con quello del latino volgare, sicch possibile presentarli in un unico schema:
Vocalismo atono del latino volgare e dellitaliano

Abbiamo dunque, in italiano, esiti come i seguenti:


DCBAT > diceva
LNTEOLUM > lenzuolo
TNERE > tenere
LTTRAM > lettera
HBBT > aveva

CASM > casa


HOM > uomo
QUAD > quando
TABLA > tavola
DRARE > durare

2.2. Fenomeni del consonantismo


a) La caduta di consonanti finali. Nelle parole latine, tre consonanti ricorrevano con
particolare frequenza in posizione finale: la -M (che era, fra laltro, la desinenza tipica
dellaccusativo singolare), la -T (che era, fra laltro, luscita caratteristica della terza persona
verbale, singolare e plurale) e la -S (che era, tra laltro, luscita caratteristica dellaccusativo plurale
dei nomi). Nel latino parlato, sia la -M sia la -T finale caddero molto presto.

La -S finale, invece, o non caduta o non caduta immediatamente, producendo invece varie
trasformazioni. In particolare,
nei monosillabi, -s finale o si palatalizzata, cio si trasformata nella vocale palatale -i:
NS > noi, VS > voi, o si assimilata alla consonante iniziale della parola successiva: TRS
CAPRAS > tre capre (pronuncia [trek'kapre]);
nei polisillabi, -s finale, prima di cadere, ha palatalizzato la vocale precedente: per esempio,
nella parola latina CAPRAS, la -S finale ha trasformato la A che la precedeva in una E: CAPRAS >
CAPRES > CAPRE.
b) La palatalizzazione dellocclusiva velare. Questo fenomeno interess la pronuncia del
latino fin dal V secolo d.C. Nel passaggio dal latino in italiano, il processo di palatalizzazione
davanti a E e a I ha interessato la velare sorda [k] in posizione sia iniziale (CLIM > ciglio) sia
interna (MACRARE > macerare) e la velare sonora [g] in posizione iniziale (GLU > gelo).
In posizione interna la velare sonora, dopo essersi palatalizzata, ha subito unulteriore
trasformazione, e in alcuni casi si intensificata (come in LGIT > legge), in altri si dileguata
perch assorbita da una I successiva, detta omorganica perch pronunciata con gli stessi organi
articolatori della consonante precedente. Per esempio, dalla base latina SAGTTA(M), alla
palatalizzazione della velare ([sa'ditta]) seguito il suo dileguo, che ha prodotto SATTA e poi
saetta, con regolare trasformazione della tonica in e chiusa [e].
c) Trattamento di iod iniziale e interno. Quale che fosse la vocale successiva, lo iod [j] si
strasformato in unaffricata palatale sonora [d] in posizione iniziale e in unaffricata palatale
sonora intensa [dd] in posizione intervocalica:
IACRE > giacere
ICARE > giocare

MAI(S) > maggio


PIRE(M) > peggiore

d) I nessi consonantici. I nessi consonantici si semplificarono attraverso lassimilazione dei


suoni: -CT- in -tt-, -MN- in -nn-, -PT- in -tt-, -X- quasi sempre in -ss-:
FACTU(M) > fatto
SOMNU(M) > sonno

SEPTE(M) > sette


SAXU(M) > sasso

Lassimilazione avviene anche tra le parole in fonetica sintattica, cio nellininterrotta


sequenza di suoni che emettiamo quando parliamo: AD CASA(M) (cio ADCASA(M)) > accsa
[ak'kasa].
Ci spiega perch nel toscano (e in quasi tutti i dialetti dellItalia centromeridionale) alcune
parole generano il raddoppiamento della consonante iniziale della parola seguente (raddoppiamento
fonosintattico). Si tratta, appunto, nella gran parte dei casi, del relitto della consonante finale (m, s, t
e d, foneticamente affine a t), che si assimilata al suono iniziale della parola seguente: ES(T)
BELLU(M) > ESBELLU > ebbllo. Tale raddoppiamento per avvertibile solo nel parlato, poich
lortografia italiana moderna prescrive una rappresentazione grafica analitica del tipo bello,
anzich una pi aderente alla realt fonetica come ebbllo (il raddoppiamento fonosintattico viene
espresso graficamente solo in presenza di univerbazione: frattanto, soprattutto ecc.).
e) I nessi di consonante + l. I nessi di consonante + [l] del latino (quindi cl, gl, pl, bl, fl),
allinizio di parola o dopo una consonante, si trasformano in nessi di consonante + [j].
*BLANCU(M) > bianco
CLAVE(M) > chiave
FLORE(M) > fiore

GLACIA(M) > ghiaccio


PLENU(M) > pieno
AMPL(M) > ampio

Se invece in posizione intervocalica, lo [j] che si prodotto determina il raddoppio della


consonante precedente:
CAP()L(M) > cappio
FB()LA(M) > fibbia
SPC()L(M) > specchio
3. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti morfologici
3.1. Il genere del nome. La scomparsa del neutro
La lingua latina aveva tre generi: il maschile, il femminile e il neutro. Schematizzando e
semplificando, si pu dire che gli esseri animati erano maschili o femminili e gli esseri inanimati
erano neutri. Ma le parole che si allontanavano da questo criterio distributivo erano molte, fin dai
tempi pi remoti della storia del latino.
Nel passaggio dal latino alle lingue romanze il neutro si perse, e le parole che appartenevano a
questo genere furono trattate come maschili. Questo avvenne anche perch la gran parte dei termini
neutri aveva unuscita tale da fondersi e confondersi facilmente con quella del maschile.
Il neutro, ad ogni modo, non scomparso del tutto dallitaliano: ne rimangono vari relitti. In
particolare, alcune parole maschili singolari in -o presentano due plurali: uno maschile in -i, laltro
femminile in -a, ciascuno con significati e usi specifici: il braccio (i bracci / le braccia), il cervello
(i cervelli / le cervella), il fondamento (i fondamenti / le fondamenta) ecc. Questi doppi plurali si
spiegano per il fatto che le rispettive parole erano, in latino, di genere neutro: brachium, cerebellum,
fundamentum. La loro uscita, al plurale, era -a: brachia, cerebella, fundamenta.
Nel passaggio dal latino allitaliano tutte queste parole sono diventate maschili e hanno avuto
un regolare plurale maschile in -i; i plurali in -a sono relitti del plurale neutro latino, e sono stati
trattati come femminili (le braccia, le cervella, le fondamenta) perch la -a una desinenza tipica
del femminile.
Nellitaliano antico i casi di sopravvivenza del neutro plurale dei nomi erano molto pi
numerosi che nellitaliano attuale. In scrittori medievali e cinquecenteschi si incontrano femminili
plurali in -ella, come le castella, le coltella, le martella; in testi medievali si incontrano femminili
plurali in -ora, come le corpora, le luogora, le pratora. Entrambe queste serie sono riconducibili al
fenomeno generale della sopravvivenza del neutro plurale latino in -a.
3.2. La scomparsa del sistema dei casi
Casi e declinazioni erano gli strumenti attraverso i quali il latino distingueva le funzioni
logiche e i significati che una o pi parole potevano avere allinterno della frase. Litaliano affida
questa funzione distintiva alla posizione che una parola o un gruppo di parole assumono allinterno
della frase, nonch allopposizione fra larticolo e le varie preposizioni che possono precedere un
nome o un pronome. Per esempio:

Ho comprato il quadro

di
a
da un collega.
con
per

La funzione della sequenza un collega (e, conseguentemente, il significato dellintera frase)


cambia a seconda della preposizione che la precede: di un collega esprime quello che in analisi
logica si chiama complemento di specificazione, a un collega esprime un complemento di termine,
da un collega un complemento di provenienza, con un collega un complemento di compagnia, per
un collega un complemento di interesse.
Se poi, cambiando la posizione della parola collega e facendola precedere non dalle
preposizioni ma solo dallarticolo, dicessimo: Un collega ha comprato il quadro, la funzione logica
della sequenza un collega sarebbe quella del soggetto, e il significato della frase cambierebbe
ancora.
In latino, la funzione di distinguere le funzioni logiche di una parola non era affidata n alla
sua posizione (che era libera) n allarticolo (che non esisteva) n alle preposizioni: era affidata,
invece, al caso, cio alla diversa uscita che una parola poteva assumere per esprimere funzioni
sintattiche diverse. Nella fattispecie, i casi erano sei: nominativo, genitivo, dativo, accusativo,
vocativo, ablativo, e ciascuno distingueva una o pi funzioni logiche. Schematizzando e
semplificando al massimo, il sistema dei casi potrebbe essere presentato nel modo che segue:
Nominativo
Genitivo
Dativo
Accusativo
Vocativo
Ablativo

indica la funzione logica del soggetto


indica la funzione logica del complemento di specificazione
indica la funzione logica del complemento di termine
indica la funzione logica del complemento oggetto
si usa per uninvocazione
indica la funzione logica di vari complementi (mezzo, causa,
provenienza ecc.) e spesso preceduto da una preposizione.

La riconoscibilit di un caso rispetto a un altro era affidata alla diversa uscita che un nome o
un aggettivo potevano avere. Ogni nome o aggettivo, infatti, era composto di una parte fissa
(tradizionalmente indicata come radice) e di una parte variabile, detta desinenza. La desinenza
cambiava a seconda della funzione logica svolta.
Ancor prima dellet classica, si afferm una forte tendenza a ridurre e a semplificare il
complesso sistema di casi del latino. Ben presto, ad esempio, i parlanti confusero il nominativo e il
vocativo, che nella maggior parte dei nomi presentavano la stessa desinenza; inoltre, alcuni
complementi non furono espressi solo dalla desinenza della parola, ma anche da una preposizione
che precedeva la parola stessa.
Divenuto il caso di tutti i complementi, laccusativo ha finito col sostituirsi anche al
nominativo, e si presenta, fatta salva qualche eccezione, come il caso da cui derivano tutte le parole
dellitaliano.
3.3. Larticolo
Il latino classico non conosceva larticolo. Funzioni analoghe allarticolo indeterminativo
italiano potevano per essere svolte dal numerale NS/-A/-M.
Per quel che riguarda le forme dellarticolo indeterminativo, il maschile uno continua
laccusativo maschile latino N(M) (un rappresenta la variante apocopata di uno), mentre il
femminile una (davanti a vocale normalmente eliso in un) continua laccusativo femminile latino
NA(M).
Larticolo determinativo italiano continua la forma latina ille, illa, illud, che era aggettivo o
pronome dimostrativo che indicava qualcuno o qualcosa lontano, materialmente o
psicologicamente, dallemitente e dal ricevente (come il dimostrativo italiano quello).
Ille con un significato vicino a quello dellarticolo determinativo italiano documentato in
vari testi latini medievali.

Le attestazioni pi significative di questa forma intermedia fra il dimostrativo latino e


larticolo determinativo italiano si trovano, in particolare, nellantica traduzione latina del Vecchio e
del Nuovo Testamento, nota col nome di Itala o Vetus Latina (II sec. d.C.), che precede nel tempo la
traduzione di san Girolamo, detta Vulgata (IV sec. d.C.).
In italiano gli articoli determinativi si sono sviluppati in seguito a unaferesi, secondo la
seguente trafila:
per il maschile singolare (L)L(M) > lo;
per i femminili (L)LA(M) > la e (L)LA(S) > le.
Al maschile plurale, la forma originaria dellarticolo, cos nel fiorentino antico come negli
altri dialetti medievali, era li (< (L)L), ben diffusa in italiano antico e poi palatalizzata in gli o
ridotta a i.
Come si vede, nellitaliano antico le forme dellarticolo determinativo maschile erano in parte
diverse di quelle dellitaliano attuale, ma soprattutto era diverso il loro uso.
In primo luogo, nella lingua delle origini lunica forma adoperata era lo.
In secondo luogo, il suono iniziale della parola che lo seguiva era ininfluente, e la selezione
delle forme dellarticolo maschile era determinata dalla finale della parola che precedeva larticolo
stesso. Se la finale della parola che precedeva larticolo era una consonante, questa non ostacolava
la piena realizzazione della forma lo. Se invece la finale della parola che precedeva larticolo era
una vocale, i parlanti si mangiavano la o dellarticolo, e ne riducevano la pronuncia alla sola l:
bere lo vino > bere l vino
fare lo pane > fare l pane
Successivamente, la l fu fatta precedere da una vocale, detta vocale dappoggio perch ne
consentiva la pronuncia autonoma.
La vocale dappoggio fu diversa nei vari dialetti medievali; in Toscana la vocale dappoggio
fu [e] o [i], e cos si ebbero forme di articolo come el e il.
3.4. I pronomi personali
Il sistema dei pronomi personali dellitaliano vicinissimo a quello latino, da cui proviene. Le
forme di prima e seconda persona conservano addirittura un residuo di declinazione, nel senso che,
proprio come in latino, cambiano a seconda della funzione sintattica svolta: io e tu indicano un
soggetto, me e te indicano un complemento.
Io deriva da *, forma ridotta di (G), nominativo del pronome di prima persona.
Me, tu e te sono le regolari continuazioni delle forme latine M (accusativo-ablativo del
pronome di prima persona), T (nominativo del pronome di seconda persona), T (accusativoablativo del medesimo pronome).
Come in latino, non c distinzione tra soggetto e complemento nella 1 a persona plurale noi (<
NS) e nella 2a persona plurale voi (< VS).
Per quanto riguarda i pronomi di 3a persona singolare e plurale, il latino non possedeva forme
autonome che avessero questa funzione, e sopperiva alla mancanza adoperando alcuni dimostrativi:
is, ille, ipse ecc. Litaliano ha continuato proprio queste forme, attribuendo loro la specifica
funzione di pronomi personali.
Il fiorentino antico (dallinizio del Duecento ai primi del Quattrocento) presentava una gran
variet di forme del pronome soggetto di terza persona singolare e plurale. Quelle pi usate erano le
seguenti: egli, elli, esso, per la 3a persona singolare maschile; ella, essa, per la 3a persona singolare
femminile; essi, egli, elli, eglino, per la 3a persona plurale maschile; elle, esse, elleno, per la 3a
persona plurale femminile.
Poi ce nerano altre meno frequenti, come per esempio ei e la sua forma apocopata e (3a
persona singolare e plurale maschile), la (3a persona singolare femminile), le (3a persona plurale

femminile). Erano adoperate anche le forme lui (3a persona singolare maschile), lei (3a persona
singolare femminile) e loro (3a persona plurale maschile e femminile), quasi mai in funzione di
soggetto, quasi sempre in funzione di complemento.
La maggior parte di questi pronomi deriva dai dimostrativi ille e ipse.
Nei pronomi personali litaliano, accanto alle forme forti, piene, toniche, ha sviluppato anche
forme deboli, ridotte, atone, che si appoggiano al verbo: sono i cosiddetti clitici, che possono essere
usati come complemento oggetto e di termine.
I pronomi mi, ti e si derivano dalla chiusura della e dei pronomi me, te e s. Gli, lo, la, li e le
derivano da varie forme declinate del pronome dimostrativo ille.
Ci e vi, oltre che pronomi di prima e seconda persona plurale, sono anche avverbi di luogo. Le
basi latine da cui derivano sono appunto forme avverbiali di luogo:
(C)CE HC > ci
()B > ve > vi
Alla terza persona plurale, per il complemento di termine il pronome gli (< (L)LS) stato
perlopi sostituito da loro (< (IL)LR(M).
3.5. Laggettivo. Il comparativo e il superlativo
Litaliano, come le altre lingue romanze, non ha conservato il comparativo organico (o
sintetico) del latino, ottenuto attraverso la combinazione del tema con una particolare desinenza
(altus: altior, altius). Ha prevalso infatti una comparazione di tipo analitico, formata da PLUS e
dallaggettivo di grado positivo, che ha sostituito ad altior, -ius del latino il tipo pi alto.
Delle forme organiche latine si conservano soltanto:
MAIRE(M) > maggiore
MELIRE(M) > migliore
MINRE(M) > minore
PEIRE(M) > peggiore
insieme con i neutri meno < MNU(S), meglio < MLIUS, peggio < PIUS.
Litaliano, come lo spagnolo, ha ripreso per via dotta (come mostra la mancata evoluzione di
in [e]) il superlativo organico:
ALTSSIMUS > altissimo.
3.6. Il verbo
Nel passaggio dal latino allitaliano, il sistema verbale ha subito modificazioni fortissime. Di
queste, le pi importanti sono state:
a) la riduzione delle coniugazioni verbali;
b) la formazione dei tempi composti;
c) la formazione del passivo perifrastico;
d) la diversa formazione del futuro;
e) la formazione del condizionale, che in latino non esisteva.
3.6.1. La riduzione delle coniugazioni verbali
Il latino aveva quattro coniugazioni verbali, distinguibili in base alluscita dellinfinito: la
prima aveva linfinito in -RE (AMRE), la seconda in -RE (TMRE) la terza in -RE
(LEGRE) e la quarta in -RE (FNRE).

Rispetto al latino, litaliano ha soltanto tre coniugazioni, anchesse distinguibili in base


alluscita dellinfinito: -are (prima coniugazione), -ere (seconda coniugazione), -ire (terza
coniugazione).
La differenza si spiega col fatto che, nel passaggio allitaliano, i verbi latini in -RE e i verbi
latini in -RE si fondono in ununica coniugazione, la seconda, che comprende sia verbi del tipo
temere (< TMRE) sia verbi del tipo leggere (< LEGRE); questo perch litaliano non distingue
fra ed .
Delle tre coniugazioni italiane, solo la prima (in -are) e la terza (in -ire), che sono poi quelle
che presentano paradigmi pi regolari, sono state e sono tuttora produttive, servono cio per
formare nuovi verbi.
3.6.2. La formazione del passato remoto
Il passato remoto italiano deriva dal perfetto indicativo latino.
Nella lingua di Roma antica questo tempo verbale, che ereditava, dalla propria fase pi
arcaica, sia le funzioni dellaoristo greco, sia quelle del perfetto (in senso stretto), presentava una
forte ambivalenza funzionale. Cos, esso poteva esprimere:
1) Unazione / processo / fatto ecc. svoltosi nel passato, completamente terminato e senza
alcun rapporto con il momento dellenunciazione: veni venni (una volta nel passato), feci feci
(una volta nel passato) ecc. Lesempio classico la celebre frase: veni, vidi, vici venni, vidi, vinsi;
2) Il risultato presente di unazione / processo / fatto ecc. che si svolto in un passato
immediato o antico: veni sono venuto (e adesso mi trovo qui), feci ho fatto (e adesso ho il
risultato fatto) ecc.
Litaliano rende questi valori con tre tempi: il passato prossimo, il passato remoto e il
trapassato remoto, raramente adoperato sia nella lingua antica sia nella lingua moderna.
In latino il perfetto aggiungeva al tema del presente una /w/ (AMA-T / AMA-V-IT) o ne
modificava la vocale (FACIO/FECI; VNIT / VNIT) o anche la consonante (MTTO / MSI).
Litaliano distingue anzitutto tra i verbi che presentano nella prima persona singolare e nella
terza persona singolare e plurale, come si verifica sempre nelle altre persone, forme rizoatone e
quelle che invece hanno forme rizotoniche, dette perfetti forti.
Nel primo caso, proprio dei verbi regolari derivati dalla prima e dalla quarta coniugazione
latina, aventi un perfetto uscente, rispettivamente, in -VI e in -VI, le trasformazioni che le singole
voci subirono sono le seguenti:
prima persona singolare: AM(V) > amai; FIN(V) > finii (la caduta di /v/, che si aveva
gi nella quarta coniugazione del latino classico in FINII si estese per analogia alla prima
coniugazione);
seconda persona singolare: AM(VI)STI > amasti; FIN(VI)STI > finisti (con sincope di
/vi/ e ritrazione dellaccento);
terza persona singolare: AMV(I)T > AMAU(T) > am; FINV(I)T > FINU(T) > fino >
fin (per analogia con la forma precedente);
prima persona plurale: AMV(I)MS > amammo; FINV(I)MS > finimmo
(probabilmente con allungamento compensativo di /m/);
seconda persona plurale: AM(VI)ST(S) > amaste; FIN(VI)ST(S) > finiste (con sincope
di /vi/ e ritrazione dellaccento);
terza persona plurale: AM(VE)R(NT) > amaro > amarono; FIN(VE)R(NT) > finiro >
finirono (con accento sulla terzultima attestato gi nel latino parlato, sincope di /ve/ e solita
terminazione in -no).
In alcuni verbi di seconda coniugazione (per esempio, cedere, temere ecc.) si afferm una
forma di passato remoto in -ei, -esti, -, -emmo, -este, -erono. Tale modello si diffuse per analogia
col passato remoto dei verbi di prima e di quarta coniugazione del tipo amai e finii, molto pi

numerosi dei rari verbi di seconda coniugazione (DELO, FLO, COMPLO e pochi altri) con un
perfetto uscente in -VI, naturale presupposto di un passato remoto in -ei.
Nel caso dei perfetti forti, spesso le forme italiane mantengono, alla prima e alle terze
persone, le variazioni tematiche proprie del latino (ma la di -RNT si abbrevia, con ritrazione
dellaccento). Abbiamo cos, per esempio, feci, fece e fecero (< FC, FCT, FCRNT); dissi,
disse e dissero (< DX, DXT, DXRNT) ecc.
Tra i perfetti forti latini, molti erano sigmatici, cio presentavano prima delle desinenze
delle persone, una /s/: MISI, RISI, SCRIPSI ecc.; questo tipo di perfetto non solo si conservato
(misi, risi, scrissi ecc.), ma si esteso a molti altri verbi (LEGIT > *LEXI > lessi; VOLVI >
*VOLSI > volsi ecc.). Altri perfetti forti latini avevano la terminazione in -UI (TACUI, PLACUI);
anche questa terminazione si per lo pi mantenuta (tacqui, piacqui; ma parvi < PARUI),
estendendosi anche ad altre forme, con la /w/ che ha in genere provocato il raddoppiamento della
consonante tematica): VENI > *VENUI > venni; *STT (forma del latino volgare in luogo del
classico STETI) > stetti, su cui si sono modellati *SEPUI (invece di SAPII o SAPUI) > seppi e
*HEBUI (invece di HABUI) > ebbi (a sua volta possibile modello per crebbi; rara la forma ridotta
i) ecc.
Per analogia con stetti, alcuni verbi in -ere hanno sviluppato, alla prima e alla terza persona
singolare e alla terza persona plurale, una forma parallela in -etti, -ette, -ettero: cos abbiamo
assistei e assitetti, cedei e cedetti, credei e credetti, temei e temetti ecc.
3.6.3. La formazione dei tempi composti
In latino, la coniugazione attiva era costituita soltanto da forme verbali semplici o sintetiche,
cio costituite da un unico elemento, nel quale al tema del verbo si univa unuscita distintiva del
tempo, del modo e della persona.
Le forme verbali composte, sconosciute al sistema verbale attivo del latino classico, erano
invece diffuse nel latino parlato.
I primi che ammettono il perfetto composto sono i verbi transitivi, se accompagnati da un
oggetto in accusativo (cfr. epistulam scriptam habeo). Questo perch i transitivi, esprimendo
unazione eseguita, possono esprimere anche il risultato di questa azione. Di fronte a epistulam
scripsi, che pu significare scrissi una / la lettera nonch ho scritto una / la lettera, epistulam
scriptam habeo (diventata, col trapasso dallordine soggetto-oggetto-verbo allordine soggettoverbo-oggetto, cambiamento collegabile alla crisi del sistema casuale del latino tardo, habeo
epistulam scriptam) esprime il risultato, il possesso: Possiedo (il risultato del fatto che) una lettera
( stata) scritta.
Cos la costruzione epistulam scriptam habeo, che indicava il possesso del risultato di
unazione (il perno della costruzione era habeo), viene a significare lazione stessa al passato (il
perno ora il verbo al participio e habeo indica solo il tempo); sono in possesso del risultato di
unazione passata ho compiuto questazione nel passato.
Il perfetto perifrastico si estende adesso anche ai verbi transitivi usati in senso assoluto (tipo
habeo cantatum). Qui si parla solo dellazione, senza indicare un contenuto come oggetto.
Partendo da qui, questo tipo di perfetto pu essere in seguito trasferito anche ai verbi
intransitivi.
***
La creazione della nuova perifrasi esprimente lanteriorit non si limita solo al presente: anche
nel livello temporale del passato, lanteriorit in opposizione allimperfetto, espressa prima con il
piuccheperfetto, sar espressa adesso, simmetricamente, dalla perifrasi composta dal participio e
dallimperfetto di habere, cos come nel livello temporale del futuro sorger la perifrasi, in tutto
simmetrica e parallela, composta dal participio e dal futuro di habere, la quale si sostituir a poco a
poco al futuro anteriore latino. Di fronte a portare, per esprimere lanteriorit (terminata) nasce, al
posto di portavisse, la perifrasi habere portatum; italiano: aver portato.

Anzi, si creano delle perifrasi anteriori anche l dove una corrispondente forma sintetica
prima non esisteva per niente. Accanto al gerundio non anteriore portando appare la corrispondente
perifrasi habendo portatum; italiano: avendo portato. Il perfetto sintetico portavi si specializza
sempre pi per esprimere la funzione di aoristo; esso, dunque, non esprime pi lanteriorit, sicch,
per esprimere questultima, in opposizione a portavi nasce la nuova perifrasi habui portatum;
italiano: ebbi portato.
3.6.4. La formazione del passivo perifrastico
In latino, la coniugazione passiva era costituita sia da forme verbali semplici o sintetiche (con
una desinenza specifica del passivo), sia da forme verbali perifrastiche o analitiche, risultate
dallunione di un participio perfetto con una voce del verbo esse essere.
La scomparsa del passivo sintetico latino fenomeno panromanzo.
I fattori che presiedono alla sostituzione delle forme sintetiche del passivo con quelle
analitiche sono:
il significato stesso del passivo, che in sostanza uno stato, dunque qualcosa di analogo a
una qualit determinante (questa viene espressa da sempre mediante il verbo esse e il determinante
rispettivo; per cui laudatus est interpretabile sia come perfetto passivo sia come aggettivo +
presente);
la duplicit del perfetto passivo latino, che aveva, come il perfetto attivo, il duplice valore di
passato effettivo (aoristo greco) e di perfectum propriamente detto, cosicch lespressione domus
clausa est indicava un fatto, un avvenimento del passato che veniva semplicemente constatato (la
casa fu chiusa), oppure serviva a designare unazione conclusa e lo stato attuale da essa derivante
(la casa (attualmente) chiusa), in opposizione a clauditur, che si riferiva allazione in corso di
svolgimento nel presente;
il fatto che nella maggior parte la distinzione dalle forme attive delle forme del passivo
(quelle sintetiche) dipende dalla consonante finale /r/: se questa cadesse, una serie di forme passive
diventerebbe omofona alle forme attive (nelle quali cadono /m/, /s/, /t/); ad esempio: portor ~ porto;
porter ~ portem; portamur ~ portamus, portemur ~ portemus ecc.
Proprio la plurivalenza del perfetto classico composto dal participio e dal presente di esse
determina luso del perfetto di esse (dunque, domus clausa fuit al posto di domus clausa est),
qualora sia necessario esprimere in modo pi chiaro e pi espressivo che si tratta di passato.
Per conseguenza, una perifrasi come clausa fuit esiste accanto a clausa est come una sua
variante, in posizione alquanto marginale nel sistema. Questultimo tipo ampiamente documentato
nelle iscrizioni del V secolo.
***
Le principali conseguenze dellevoluzione del passivo dalle forme sintetiche alle forme
analitiche sono le seguenti:
1. In opposizione al latino classico, che era analitico in una parte delle sue forme e sintetico in
altre, adesso tutto il passivo analitico.
2. Mentre nel latino classico il livello temporale dellausiliare e quello di tutta la perifrasi non
corrispondono, adesso essi corrispondono pienamente: in latino sum presente, portatus sum invece
anteriore, cio perfetto (parallelamente eram imperfetto, portatus eram anteriore, cio
piuccheperfetto; ero futuro, portatus ero futuro anteriore). Nel latino tardo, portatus sum
presente come il solo sum (parallelamente, portatus fui perfetto come il solo fui, portatus eram
imperfetto come il solo eram ecc.).
3.6.5. La formazione del futuro
Le forme di futuro del latino classico non ebbero continuazioni nel mondo romanzo.

Le cause che ne hanno determinato limpopolarit, la decadenza e infine la scomparsa sono


molteplici. Innanzitutto il futuro latino mancava di unit: si aveva da una parte amabo, -is, delebo,
-is, dallaltra dicam, -es, audiam, -ies (anche audibo, -is); la prima persona di questultimo tipo si
confondeva per di pi con il presente del congiuntivo, cos come, dal canto loro, le forme del futuro
anteriore, eccetto la prima persona singolare, coincidevano con il perfetto del congiuntivo. Infine, la
caduta delle consonanti finali ha provocato una grave confusione con limperfetto, mentre per il
passaggio di -b- a -v- pi forme convergono con le forme del perfetto (cfr. amabit ~ amavit).
Poi, a differenza del presente e del passato, il futuro il livello del non ancora accaduto, del
non oggettivo, in qualche modo di quello che ci si aspetta. Ci ha favorito le espressioni di
carattere modale e nello stesso tempo affettivo, di cui le pi importanti sono, come noto, quelle con
possum (portare possum), debeo (portare debeo), volo (portare volo), habeo (portare habeo) +
infinito, in cui da una parte si trova un infinito, che porta il contenuto semantico del verbo, e
dallaltra il verbo modale, contenente lidea di futuro, che indica il modo di svolgimento dellazione
(rispettivamente, la possibilit, la necessit, la volont).
Ognuna di queste perifrasi era un potenziale candidato per sostituire il futuro. Tra loro, nel
futuro romanzo occidentale (italiano, provenzale, francese, catalano, spagnolo, portoghese) ha avuto
successo la perifrasi formata col presente di habeo, generalizzata in Italia nel secolo VI, che
indicava la necessit di realizzare lazione espressa dal verbo allinfinito (portare habeo ho da
portare).
Dunque, alla base del futuro italiano c la perifrasi formata dallinfinito seguito dalle forme
ridotte (normali nel latino volgare) del presente di HABEO: *AO, *AS, *AT, *(AB)MUS,
*(AB)TIS, *A(B)NT.
I coniugazione
LAUDAR(E) *AO
LAUDAR(E) *AS
LAUDAR(E) *AT
LAUDAR(E) *(AB)MUS
LAUDAR(E) *(AB)TIS
LAUDAR(E) *A(B)NT

> lodar
> lodarai
> lodar
> lodaremo
> lodarete
> lodaranno

II coniugazione
TMR(E) *AO
TMR(E) *AS
TMR(E) *AT
TMR(E) *(AB)MUS
TMR(E) *(AB)TIS
TMR(E) *A(B)NT

> temer
> temerai
> temer
> temeremo
> temerete
> temeranno

III coniugazione
FNR(E) *AO
FNR(E) *AS
FNR(E) *AT
FNR(E) *(AB)MUS
FNR(E) *(AB)TIS
FNR(E) *A(B)NT

> finir
> finirai
> finir
> finiremo
> finirete
> finiranno

3.6.6. La formazione del condizionale

> loder (ar protonico > er)


> loderai
> loder
> loderemo
> loderete
> loderanno

In italiano il condizionale ha, tra le altre, due funzioni fondamentali: quella di esprimere la
conseguenza allinterno di unipotesi giudicata possibile (Se potesse, verrebbe) o irreale (Se avesse
potuto, sarebbe venuto) e quella di esprimere il futuro in dipendenza da un passato (Mi dicevano
che saresti arrivato oggi). La lingua latina esprimeva questi significati in altri modi e con altre
forme, e non aveva il condizionale, che uninnovazione romanza.
La nascita del condizionale strettamente connessa con la formazione del futuro romanzo, col
quale sta (da un punto di vista puramente formale) nella stessa relazione che corre tra presente e
imperfetto (o perfetto): cantare habeo: cantare habebam ovvero habui, per cui si pu dire che
propriamente il condizionale un imperfetto del futuro.
Il passato, contenuto nel verbo modale habebam/habui, e lidea della modalit protesa verso il
futuro, contenuta nellinfinito, concrescono a poco a poco nellespressione delleventualit, della
potenzialit: ci che doveva accadere (ma non accaduto) ci che accadrebbe.
Dunque, come il futuro, anche il condizionale nato da una perifrasi del latino volgare
formata dallinfinito e da una voce del verbo HABRE.
In fiorentino (e dunque in italiano), la voce usata stata *HBUI, forma latino-volgare del
perfetto di HABRE (il latino classico aveva HABUI; la di *HBUI dovuta allinflusso di
STTUI, perfetto di STARE, altro verbo di largo uso come HABRE).
*HBUI si ridotto a -ei per sincope della sillaba centrale, e cos si avuta la desinenza della
prima persona singolare.
Le rimanenti cinque uscite del condizionale (-esti, -ebbe, -emmo, -este, -ebbero) derivano
dalla riduzione o dalla trasformazione delle altre persone verbali di *HBUI (*HBUISTI,
*HBUIT, *HBUIMUS, *HBUISTIS, *HBUERUNT).
I coniugazione
LAUDAR(E) *(H)(BU)I > lodarei > loderei (ar protonico > er)
II coniugazione
TMR(E) *(H)(BU)I > temerei
III coniugazione
FNR(E) *(H)(BU)I > finirei
Il condizionale composto con il perfetto di habere, attestato nellVIII secolo, oltre allitaliano
letterario, si trova in Toscana e nellItalia settentrionale; a sud di Roma sconosciuto.
Molto diffuso anche il condizionale risultato dalla perifrasi composta dallinfinito e
dallimperfetto latino habebam. Attestato nel IV secolo, questo costrutto, che si fissato nel suffisso
in -ia, ha due focolai di origine, la Sicilia e la Provenza.
Attraverso linflusso della poesia siciliana - in cui il condizionale in -ia era usuale - penetr
nella lingua letteraria (limitatamente alla prima persona singolare e alla terza persona, singolare e
plurale), persistendovi a lungo, sempre in netta minoranza rispetto alle forme in -ei, e solitamente in
loro compagnia. Jacopone da Todi usa potria, taceria, vorria, fuggiria accanto a salverei, doverei.
Dante diede la preferenza alle forme in -ei nella prosa, mentre in Vita nuova sono pi frequenti le
forme in -ia; nella Divina Commedia per le forme in -ei sono pi numerose di quelle in -ia: poi
chei posato un poco il corpo lasso (Inferno, I, 28), una virt sarebbe in tutti (Paradiso, II, 68),
altro vorria e sperando sappaga (Paradiso, XXIII, 15). Anche il Petrarca accetta i condizionali in
-ia: (le parole morte / farian pianger la gente: Canzoniere, XVIII 12-13), affiancati per da quelli
toscani correnti. In Decameron i condizionali in -ia si rarefanno. Ma anche nel Boiardo si trova

risponderia. In Cecco Angiolieri crederie, conterie, dovrie, potrien, anche se quasi esclusivamente
alla prima e alla terza persona del singolare e alla terza plurale. Cellini impiega queste forme
soltanto in alcuni verbi modali. Il Bembo ammette le forme in -ia nella lingua poetica. Anche i poeti
moderni usano tali forme soltanto nella lingua poetica elevata.
Nel primo Ottocento il condizionale in -ia appare qua e l anche in prosa. Ad esempio, il
Leopardi nelle Operette morali preferisce il tipo saria, dovria davanti a consonante, ma sarebbe,
dovrebbe davanti a vocale. Nel secondo Ottocento le forme in -ia diventano rare ormai anche nel
verso, eccezionali in prosa (le chiese stupende ove saria dolce, credendo, pregare: Carducci).
Il condizionale in -ia pure assai diffuso nei dialetti moderni, sia a Nord sia nel Centro e nel
Sud. Si trova difficilmente da solo: solitamente in compagnia dellaltro condizionale, formato con
habui.
Nei dialetti dellItalia meridionale e della Sicilia si registra unaltra forma di condizionale,
oggi molto rara, il tipo amra (= amerei), cantra (= canterei), che deriva direttamente dal
piuccheperfetto indicativo latino:
AMA(V)RA(M) > amra
CANTA(V)RA(M) > cantra
Questo tipo di condizionale si trova solo occasionalmente nella lingua degli antichi poeti
toscani, accanto a canteria e canterei. Dante ha (in rima) sodisfara (Paradiso, XXI, 93) e fora
(Purgatorio, XXVI, 25; Paradiso, II, 75), il Petrarca solo fora sarei; anche Cecco Angiolieri usa
soltanto fora (fuora). Un po pi frequenti sono tali forme in Guittone dArezzo (amara amerei) e
Jacopone da Todi (te parlara ti parlerei).
4. Dal latino allitaliano: alcuni mutamenti sintattici
4.1. Lordine delle parole nella frase
Il latino distingueva le funzioni logiche e i significati delle parole in base al sistema dei casi,
mentre litaliano affida in parte questa funzione distintiva alla posizione che le parole hanno
allinterno della frase: si pu dire che lordine delle parole era relativamente libero nella frase latina,
mentre sottoposto ad alcuni vincoli nella frase italiana.
Lordine abituale di una frase italiana composta da un soggetto (S), un verbo (V) e un
complemento oggetto (O) rappresentato dalla sequenza SVO (soggetto-verbo-oggetto):
Claudio vide Marcello.
Nella maggior parte delle frasi italiane questordine obbligato, perch quello che, in
assenza di unintonazione particolare o di altri elementi di riconoscimento, consente di distinguere il
soggetto dal complemento oggetto. Nella frase Claudio vide Marcello, in cui il soggetto e il
complemento oggetto coincidono nella persona e nel numero, solo la posizione delle parole
consente di distinguerli, e di capire che a vedere Claudio e non Marcello.
Nel latino classico, invece, la desinenza distingueva non solo il genere e il numero, ma anche
la funzione che una parola svolgeva nella frase. In parole come Claudius e Marcellus, per esempio,
una -s finale distingueva la funzione del soggetto, mentre una -m finale distingueva la funzione del
complemento oggetto. Sicch, in latino, dire
Claudius vidit Marcellum
Marcellum Claudius vidit
Marcellum vidit Claudius

Claudius Marcellum vidit


era, sul piano teorico, la stessa cosa. Di solito, tuttavia, il verbo era posto alla fine della frase.
Nel latino volgare, con la perdita dei casi, la posizione delle parole acquist invece un ruolo
essenziale per stabilire i legami sintattici, specie per distinguere il soggetto dal complemento
oggetto, che, contrariamente agli altri complementi, non era preceduto dalle preposizioni (oggetto
diretto): il soggetto and a occupare la posizione prima del verbo, mentre loggetto venne posto
obbligatoriamente dopo il verbo, secondo il modello detto SVO (Soggetto-Verbo-Oggetto).
Questordine delle parole, comune a gran parte delle lingue romanze (e non solo), proprio anche
dellitaliano.
Se vero che il modello SVO ha rappresentato lordine naturale delle parole nellitaliano fin
dalle origini, anche vero che molti autori di testi letterari, soprattutto da Giovanni Boccaccio in
poi, applicarono spesso alla loro prosa la sequenza SOV, per imitare il modello latino: I tutori del
fanciullo insieme con la madre di lui bene e lealmente le sue cose guidarono (G. Boccaccio).
Occorre aggiungere che nella frase italiana la sequenza SVO rappresenta lordine naturale
delle parole dellitaliano soltanto nelle frasi normali o non marcate. Nelle frasi marcate, cio nelle
frasi in cui viene messo in rilievo un elemento diverso dal soggetto, lordine SVO viene alterato, e
lelemento messo in rilievo assume la posizione iniziale, normalmente riservata al soggetto. Questa
alterazione dellordine dei costituenti della frase si accompagna ad altri tratti specifici: per esempio,
a unintonazione particolare, con laccentuazione dellelemento messo in rilievo (Un cucchiaino ti
ha chiesto Luisa, non un cucchiaio), oppure a una sintassi particolare, col richiamo per mezzo di un
pronome dellelemento messo in rilievo (Mario, non lo vedo mai).
4.2. Lespressione e la posizione del pronome soggetto
Il latino non era tenuto a premettere al verbo i pronomi personali soggetto, se non in
particolari contesti sintattici o con specifici valori stilistici, anche perch la ricca flessione verbale
gi da sola distingueva le varie persone.
Riguardo a questo tratto morfosintattico, litaliano ha avuto uno sviluppo autonomo e
originale rispetto al latino. La lingua antica stata caratterizzata dalla forte tendenza (che in alcuni
casi diventata obbligatoriet) a esprimere il pronome personale soggetto e a collocarlo prima del
verbo nella frase enunciativa (Io mi ricordo che io feci al fante mio, un sabato dopo nona, spazzare
la casa, e non ebbi alla santa domenica quella reverenza che io dovea, G. Boccaccio) e dopo il
verbo nella frase interrogativa (Che ragione rendi tu di questo?, F. Sacchetti); la lingua
contemporanea, invece, ha abbandonato questuso, e tende a omettere il soggetto pronominale in
ogni tipo di frase, sia enunciativa (Ieri abbiamo pranzato alle otto) sia interrogativa (Hai comprato
il pane?).
Particolarmente complessa inoltre la storia dei pronomi di terza persona: le forme oblique
lui, lei e loro, originariamente riservate ai complementi, gi nel corso del Trecento si andarono
diffondendo (soprattutto in certe posizioni sintattiche e con valori particolari di tema o di rema)
anche come soggetti, a spese di egli, ella ecc.; furono per a lungo evitati nelle scritture in seguito
alle indicazioni dei grammatici, che volevano che si mantenesse luso dei grandi trecentisti; una
svolta decisiva si ebbe col Manzoni, che adott queste forme nel testo definitivo dei Promessi Sposi.
4.3. La posizione dei pronomi atoni. La legge Tobler-Mussafia
Nellitaliano contemporaneo, normalmente i pronomi atoni si appoggiano al verbo che li
segue. In questo caso si dicono proclitici, e il fenomeno prende il nome di prclisi. In quattro casi
particolari (con limperativo, il gerundio, il participio isolato e linfinito), invece, si appoggiano per
la pronuncia al verbo che li precede, al quale vengono uniti nella grafia. In questi casi, essi si dicono
enclitici, e il fenomeno prende il nome di nclisi.

Nellitaliano antico, i criteri di distribuzione dellenclisi e della proclisi dei pronomi atoni
erano completamente diversi. Essi sono descritti dalla legge Tobler-Mussafia, cos chiamata dal
nome dei due studiosi Adolf Tobler (1835-1910) e Adolfo Mussafia (1835-1905) che per primi
hanno scoperto e descritto il fenomeno dellenclisi, il primo nel francese e il secondo nellitaliano
dei secoli passati.
Nellitaliano antico (grosso modo, dalle origini al primo Quattrocento) lenclisi era
obbligatoria:
dopo pausa, allinizio di un periodo (si considera tale anche il periodo aperto da un vocativo
o da uninvocazione):
Dironne adunque una novelletta assai leggiadra, al mio parere, la quale rammemorarsi per
certo non potr essere se non utile (G. Boccaccio);
dopo le congiunzioni e, ma:
E io son contento che cos ti cappia nellanimo e piacemi forte la tua pura e buona
conscienza in ci (G. Boccaccio);
n di ci mi maraviglio niente, ma maravigliomi forte (G. Boccaccio);
allinizio di una proposizione principale successiva a una proposizione subordinata:
Giugnendo alluscio per uscir fuori, e cominciando a pensare su la ricchezza che gli parea
avere perduta, e volendosi mettere la mano a grattare il capo, come spesso interviene a quelli che
hanno malenconia, trovossi la cappellina in capo con la quale la notte avea dormito (F. Sacchetti).
Il principio unificatore di questa casistica che, dopo una pausa, il verbo vuole un pronome
enclitico. Alla legge Tobler-Mussafia si attengono Dante e Petrarca e, con minor fedelt, Boccaccio;
nel corso del XV secolo cessa gradualmente di operare, e in suo luogo si afferma lenclisi libera,
chiamata cos perch non vincolata dalla casistica prevista dalla legge. Lenclisi libera rimane ben
salda ancora nella lingua letteraria del XIX secolo e oltre, con un carattere progressivamente pi
arcaizzante. Un residuo contemporaneo dellenclisi sono certe forme fossilizzate degli annunci
commerciali (fittasi, vendesi) o della scrittura burocratica (trattasi; e si aggiunga la formula come
volevasi dimostrare).
Ancora in materia di pronomi, vanno ricordate le combinazioni di due pronomi. Luso
odierno prevede la successione oggetto indiretto-oggetto diretto: per esempio, me lo vieta, me
laddita. Nel fiorentino antico valeva invece lordine inverso, oggetto diretto-oggetto indiretto: basti
ricordare lo mi vieta e lo mi addita in Dante (Inferno XIX 100 e Paradiso XXV 89) e, con enclisi:
Dicerlti molto breve (Inferno III 45), con l(o)-ti. Intorno alla met del XIV secolo diventa forte la
concorrenza della successione pronominale odierna, come mostra il Decameron con il suo
equilibrio tra i due tipi.
Da questa materia intricata va estratto almeno il frequente gliele, invariabile, che va
interpretato nella sequenza antica accusativo-dativo; poi, affermandosi gradualmente la sequenza
dativo-accusativo, il -le stato inteso come oggetto e variato in -lo -la -li -le (glielo ecc.).
II. I primi documenti dellitaliano

1. Lindovinello veronese
Il primo documento della lingua italiana risale allVIII secolo o allinizio del IX: si tratta di un
indovinello scritto in una lingua mista di latino e di volgare veneto che si trova in un manoscritto
della Biblioteca Capitolare di Verona, da dove il nome di Indovinello veronese. Lindovinello, che
dal manoscritto venne pubblicato per la prima volta nel 1924, svolge un paragone tra lazione dello
scrivere e quella dellarare:
Se pareba boves, alba pratalia araba,

albo versorio teneba, negro semen seminaba.


Gli studiosi hanno a lungo discusso sullinterpretazione letterale e linguistica di questo
microtesto. Per esempio, se pareba iniziale stato interpretato variamente, prima di tutto come
spingeva innanzi (in Veneto si sente ancora dire parare per spingere avanti i buoi aggiogati), ma
anche come somigliava e come appariva e persino, leggendolo tutto unito, separeba, come
appaiava. Linterpretazione del verbo se pareba condiziona la scelta del soggetto sottinteso dei
quattro verbi della frase: sono stati proposti i seguenti soggetti: lo scrittore, la mano, le dita, la
penna. Il pi probabile tra questi lo scrittore, il quale verrebbe dunque paragonato a un aratore
che spinge avanti i buoi, arando campi bianchi (il foglio), reggendo un aratro bianco (la penna
doca), e seminando un seme nero (linchiostro).
La lingua del componimento non pu ancora definirsi propriamente volgare: piuttosto latino
medievale con alcuni volgarismi, come la caduta della -t finale nei verbi pareba, araba, teneba,
seminaba, o come luso di albo, versorio, negro invece di album, versorium, nigrum.
2. Liscrizione murale della catacomba romana di Commodilla
A met del IX secolo risale uniscrizione graffita ai margini di un affresco trovato nella
catacomba romana di Commodilla, in unampia cripta dedicata ai santi Felice e Adutto, pi nota
col nome di basilichetta. Mentre per la parte archeologica ed artistica, la basilichetta era gi nota
fin dal 1904, la valorizzazione delliscrizione e la sua giusta interpretazione si avuta solo nel 1966.
Essa dice:
Non dicere ille secrita a bboce.
(Non proferire ad alta voce le secrete [le orazioni segrete della Messa])
Le secrete sono le preghiere secrete della messa, che devono essere recitate
silenziosamente: la frase diretta quindi ad un celebrante un po distratto, per richiamarlo al
rispetto della regola liturgica.
La frase integralmente volgare: volgari sono limperativo proibitivo reso da non + infinito, il
valore di articolo di ille, il passaggio di dv (advocem) in bb (abboce), il rafforzamento consonantico
in inizio di parola (a bboce), la forma stessa di secrita, un plurale in -a derivante da un femminile
singolare (oratio secreta).
3. Il Placito Capuano del 960
Il Placito Capuano del marzo 960, conservato nellArchivio di Montecassino, per la sua
ufficialit, gode del privilegio di essere comunemente considerato latto di nascita della lingua
italiana. La scoperta del Placito Capuano risale al Settecento.
Il Placito Capuano fu emesso dal giudice Arechisi per definire una contesa fra il Monastero di
Montecassino, rappresentata dallabate Aligerno, e Rodelgrimo dAquino. Rodelgrimo, con una sua
memoria, rivendicava in lite giudiziaria il possesso di certe terre, a suo giudizio abusivamente
occupate dal monastero. Labate di Montecassino, per contro, invocava il diritto che oggi definiamo
di usucapione, affermando che quelle terre erano utilizzate dal monastero ormai da trentanni, ci
che per la legge longobarda (la zona in cui si svolsero questi fatti era parte del ducato longobardo di
Benevento) costituiva titolo per il possesso definitivo e porta tre testimoni che pronunciano davanti
al giudice il seguente giuramento:
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.

(So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla qui, per trentanni le possedette il
monastero di San Benedetto.)
Labate, grazie alla testimonianza, vinse la causa.
Il verbale del processo scritto in latino: luso del volgare, limitato alla formula di
giuramento, deriva in questo caso da una duplice esigenza: trascrivere fedelmente le parole dei
testimoni e consentire a tutti di capirle. Abbiamo cos lesempio pi antico di una contrapposizione
netta tra latino e volgare allinterno dello stesso documento. La lingua del placito di Capua pu
definirsi volgare illustre per i latinismi fini (da fines confini), parte Sacti Benedicti e sao. Ko
volgare campano, derivato da quod, cos come kelle e ki (invece dei toscani quelle e qui).
4. Il fumetto bilingue di San Clemente
Si tratta di uniscrizione romana della fine del secolo XI. A Roma, nella basilica inferiore di
San Clemente, fortemente danneggiata durante linvasione dei Normanni nel 1084, su una parete
che fa parte dei muri eretti tra le navate a sostegno degli archi per rendere pi stabile ledificio si
trovano alcuni affreschi destinati a illustrare qualche episodio della vita di San Clemente. Poich
venne costruita una basilica superiore nuova, consacrata nel 1128 mentre la vecchia venne
abbandonata, gli affreschi si possono considerare eseguiti non prima del 1084 e non oltre il 1128.
In uno degli affreschi, la scena rappresenta, a destra, il patrizio Sisinnio, vestito di toga, che
ordina ai servi di trasportare una colonna che uno di loro spinge con un palo. Per un miracolo,
Sisinnio e i servi credettero di vedere nella colonna lo stesso San Clemente che volevano legare ed
arrestare. Nellaffresco vi uniscrizione volgare e, solo in fine, nelle parole attribuite a San
Clemente, latina; essa dice:
Sisinium: Falite dereto colo palo
Carvoncelle.
Albertel Gosmari traite!
Fili dele pute, traite!
(Sanctus Clemens):
Duritiam cordis vestris
[in saxa conversa est, et
cum saxa deos aestimatis]
saxa traere meruistis.
(Sisinnio: Fagliti dietro con il palo, Carboncello. Albertello, Gosmari, tirate! Figli di puttane,
tirate! San Clemente: La durezza del vostro cuore trasformata in pietra; e poich stimate di le
pietre, avete meritato di trascinare pietre.)
Luso del volgare ha dunque in questo caso un intento realistico e dispregiativo - lo usa solo il
rozzo Sisinnio - mentre il santo si esprime in tono pi alto e nobile e ricorre al latino, anche se si
tratta di un latino non perfetto, come testimonia laccusativo duritiam usato invece dellablativo
duritia.
III. Aspetti della questione della lingua
1. Che cosa si intende per questione della lingua?
Sotto il nome di questione della lingua si indicano, nella tradizione culturale italiana, tutte
le discussioni e le polemiche, svoltesi nellarco di diversi secoli, da Dante ai nostri tempi,

relativamente alla norma linguistica e ai temi ad essa connessi. Questi temi, pur nella sostanziale
analogia, non furono uguali in tutti i periodi storici.
Forse in nessun altro secolo il dibattito teorico sulla lingua ebbe tanta importanza come nel
Cinquecento, anche perch lesito di queste discussioni fu la stabilizzazione normativa dellitaliano.
La disputa sulla lingua che si accende agli inizi del Cinquecento, proprio negli anni in cui
tramontava nelle coscienze della maggioranza degli intellettuali lillusione umanistica di poter
resuscitare il latino come lingua viva della poesia e della letteratura, vedeva tre posizioni
antitetiche: i sostenitori del fiorentino (o del toscano) parlato, ovviamente del fiorentino parlato da
persone di una certa cultura; i sostenitori della lingua italiana (o cortigiana) che, pur riconoscendo al
fiorentino i suoi meriti, negavano la sua egemonia e volevano si scrivesse nel linguaggio usato nelle
corti, cio nel linguaggio usato dalla classe dirigente, formato di parole prese dai vari dialetti;
infine, i sostenitori della lingua dei buoni scrittori, cio degli scrittori del Trecento e in particolare
del Petrarca e del Boccaccio convinti, questi ultimi della superiorit del toscano e, soprattutto, del
fiorentino, ma del toscano e fiorentino comera stato elaborato dai grandi scrittori del Trecento e
non di quello parlato e usato nel Quattro e nel Cinquecento.
Teorico della terza posizione che con alcuni adattamenti e compromessi fin col trionfare
appunto Pietro Bembo, con le Prose della volgar lingua, pubblicate a Venezia nel 1525.
2. Dante, primo teorico del volgare
Nei primi anni dellesilio comincia per Dante unintensa stagione di riflessione teorica
stimolata dalla necessit di ridefinire la propria posizione di intellettuale nel panorama cos diverso
delle corti settentrionali. A tale necessit Dante reagisce soprattutto con la stesura dei due trattati
teorici: il De vulgari eloquentia e il Convivio, composti pressoch contemporaneamente. Entrambe
le opere, pur radicalmente diverse tra loro, hanno come nodo centrale il problema linguistico.
2.1. Il De vulgari eloquentia
Quando, intorno al 1304-1305, Dante scrive De vulgari eloquentia, un libretto sulleloquenza
in volgare italiano, della quale mette in rilievo i risultati migliori per irrobustirla e imprimere alla
lingua e alla letteratura una spinta capace di nuove conquiste, devono ancora nascere i capolavori
del Trecento italiano: il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio, e la stessa Divina
Commedia dello stesso Dante.
Dante realizza il De vulgari procedendo dal generale al particolare e avendo come obiettivo
una trattazione approfondita dellarea italiana, si avvicina pian piano al suo obiettivo, venendo a
discutere il gruppo linguistico costituito da francese, provenzale e italiano. Si restringe poi alla sola
area italiana, la quale risulta diversificata al suo interno in almeno quattordici variet principali di
volgari, le quali hanno ulteriori diversificazioni al proprio interno.
Le due lingue (e letterature) che, insieme con la lingua e (la letteratura) italiana, gli si
presentano e anzi gli si impongono sono la lingua provenzale (parlata nella Francia meridionale) e
la lingua francese (usata nel resto della Francia), che esprimono laffermazione con oc e oil, mentre
la particella italiana s. Dante riconosce vicine tra loro le tre lingue, e insieme le distingue; tutte e
tre, poi, si differenziano nella sua prospettiva dal latino, e si possono chiamare volgari (vulgares),
nel senso che sono lingue parlate spontaneamente dal popolo (vulgus), a differenza del latino, che si
impara con lo studio e dunque noto solo a una minoranza che frequenta le scuole.
Anzitutto occorre tener presente che lItalia di Dante frammentata politicamente non meno
che linguisticamente, e che i centri produttori di cultura volgare sono dispersi in parecchie regioni
del paese. Ci premesso, si deve tenere conto del fatto che la prosa pre-dantesca non affatto ricca:
si riduce, infatti, a modesti volgarizzamenti dal latino o a traduzioni per lo pi dal francese; poche
lettere composte dal bolognese Guido Faba (prima met del XIII secolo) secondo le regole della

scuola di retorica e quelle, molto pi numerose, di Guittone dArezzo, attivo nella seconda met del
XIII secolo; una raccolta di brevi racconti, il Novellino, messa insieme tra il 1280 e il 1300 a
Firenze, sulla base di materiali in parte di provenienza veneta; unoperetta di argomento etico, poco
originale, Il libro de viz e delle virtudi, del fiorentino Bono Giamboni, e non molto altro. Anche
lasciando da parte la qualit, non altissima, di questi testi, si tratta di manifestazioni, provenienti da
Bologna, Arezzo, Firenze e altri centri, che sono alquanto sporadiche e non accennano al costituirsi
di generi letterari e tradizioni testuali.
Migliore era la situazione della poesia, anche a non tener conto della poesia religiosa del
francescano Jacopone da Todi, che Dante non conobbe o che, comunque, ignor.
La raccolta della lirica italiana duecentesca usata da Dante doveva essere simile, per
contenuto e struttura, a quella conservata nellattuale manoscritto Vaticano latino 3793, il pi ampio
e importante canzoniere dellantica poesia italiana: si chiama cos perch conservato nella
Biblioteca Apostolica di Citt del Vaticano, ed scritto in caratteri latini (ma in lingua volgare). Il
Vaticano latino 3793 stato copiato a Firenze tra la fine del XIII e i primi del XIV secolo;
suddiviso in due sezioni, dedicate la prima a unampia scelta di canzoni, la seconda ai sonetti, e in
tutto conta un migliaio di pezzi. Allinterno delle due sezioni metriche la distinzione per autori: si
parte con i pi antichi, che sono i poeti della cosiddetta scuola siciliana, e si prosegue con i loro
continuatori toscani, fino al Dolce stil nuovo escluso.
Il Vaticano latino 3793 si apre con le canzoni e i sonetti di Giacomo da Lentini e di altri
rimatori della corte di Federico II, e continua con le composizioni di autori toscani: di Lucca, di
Arezzo, di Pisa, infine di Firenze, che emerge un po dopo gli altri centri toscani ma conquista, alla
fine del XIII secolo, il primato, con Cavalcanti e Dante. Questa transizione dalla Sicilia alla Toscana
si spiega con il successo dei Siciliani in Toscana (e in altri centri culturali, umbri e settentrionali),
cui fa riscontro la frattura che la scuola siciliana sub nella sua culla dorigine: morto Federico II nel
1250, il suo erede Manfredi non riesce a conservare il regno meridionale, e con i nuovi dominatori
finisce la scuola siciliana.
Dal rapido abbozzo comparativo delle tre letterature romanze che gli sono familiari Dante
muove allindagine specifica sulla lingua letteraria italiana, che il nucleo dellopera nella parte
scritta e in quella che avrebbe dovuto scrivere. Dante parte da una definizione geografica dellItalia,
delimitata dalle Alpi e divisa in due parti fondamentali. Egli non divide la penisola secondo
lopposizione Nord-Sud alla quale siamo abituati oggi, ma in unItalia orientale e in una
occidentale, con gli Appennini che segnano il confine tra le due zone. Dante vede lItalia geografica
diversamente da noi: baster osservare che le carte medievali non hanno, nella parte alta, il Nord,
ma lEst, sede del Paradiso terrestre e origine della vita (le carte medievali ritraggono i due
progenitori dellumanit); Gerusalemme al centro del mondo, mentre la posizione dellItalia nel
Mediterraneo tale che Dante vede sulle carte del suo tempo ci che scrive nel De vulgari
eloquentia, e cio il Tirreno a destra e lAdriatico a sinistra. Le rappresentazioni medievali, poi,
mettono in rilievo la dorsale montuosa degli Appennini, sulla quale Dante si basa per distinguere
sette regioni linguistiche a est degli Appennini e altrettante a ovest (includendo Sicilia e Sardegna).
Queste quattordici regioni geografiche si trasformano in altrettante regioni linguistiche, che
dimostrano linstabile mutevolezza dei volgari nello spazio (oltre che nel tempo).
Ognuno dei quattordici volgari italiani giudicato indegno di identificarsi con la lingua della
poesia, compreso il fiorentino, che non occupa neppure un posto alto nella graduatoria degli idiomi
respinti (il meno indegno il volgare di Bologna). Il metro di giudizio dipende dalla sua idea di
definire illustre, cardinale, aulico e curiale quel volgare dItalia, che si trova in ogni citt ma non
sembra proprio di nessuna; con questo volgare dice Dante si devono commisurare e paragonare
e soppesare tutti gli altri volgari municipali dellItalia (I XVI 6), idea che contiene, di per s, il
rifiuto dei volgari locali.
Dante non si limita solo alla definizione del volgare che cercava e ha trovato e prosegue
esponendo i motivi per cui considera illustre, cardinale, aulico e curiale questo volgare, questo
per rendere evidente la sua essenza (I XVII e I XVIII).

Cos il volgare deve essere illustre perch la sua luminosa perfezione elimina la grossolanit
degli idiomi parlati, volge a suo piacimento il cuore dei lettori, assicura la fama agli autori. Deve
essere cardinale: come la porta gira sui cardini, cos il volgare il punto di riferimento per i volgari
municipali. Devessere aulico, nel senso che dovrebbe risiedere nellaula, e cio nella corte
imperiale: dovrebbe ma non pu, perch lItalia priva di aula e la mancanza di unaula lo
costringe a peregrinare come chi non ha casa, esule, aggiungiamo, come lautore dellopera.
Devessere, infine, curiale, perch la curia, parola che designava lamministrazione della giustizia,
anchessa un luogo istituzionale. In unepoca ancora lontana dalla distinzione fra potere politico e
potere giudiziario, la curia si appoggia allaula (i significati di aula e curia si sovrappongono
parzialmente), sicch limperatore regna nellaula e rende giustizia nella curia; ma la mancanza
dellaula fa s che anche una curia unitaria sia, in Italia, assente. Alla giustizia, che lufficio
principale della curia, si associa lidea della bilancia che deve soppesare le azioni e i loro meriti e
demeriti. Anche il volgare curiale valutato dalla bilancia che seleziona parole, costruzioni,
desinenze. Una curia unitaria manca in Italia, ed supplita dal lume della ragione.
Dunque il volgare illustre non dispone delle istituzioni dellaula e della curia che solo il
potere dellimperatore, in quanto re dei Romani, potrebbe garantire, in Italia. Il volgare illustre,
allora, dovr supplire con il lume della ragione allassenza di una curia centrale, e con liniziativa
individuale dei suoi cultori alla mancanza dellaula. Sono passati i tempi in cui laula di Federico II
e Manfredi aveva funzionato da centro dattrazione per i migliori italiani, sicch tutto ci che i
predecessori di Dante avevano scritto aveva preso il nome di siciliano. la riflessione su
quellepoca, conclusasi con la morte di Manfredi nel 1266, quando lui era appena nato, che conduce
Dante a formulare lidea dellaulico e del curiale, che per lui corrispondono a un luogo mentale e
non fisico. E poich, come abbiamo detto, Dante leggeva i Siciliani in veste toscanizzata, poteva a
buona ragione sostenere che essi avevano raggiunto leccellenza volgare, allontanandosi
dallidioma locale siciliano; allo stesso modo, i toscani che avevano incorporato la lezione siciliana
dovevano tenersi lontani dallaretino, dal fiorentino e cos via. Cos Dante pu scrivere in
fiorentino, ma respingere il fiorentino e le altre variet parlate in Italia e invocare il precedente dei
Siciliani, che scrivevano in una lingua prossima al fiorentino perch li leggeva in un manoscritto
toscanizzato; e pu tirare una linea dai Siciliani allavanguardia stilnovistica di cui fa parte,
tagliando fuori la presenza ingombrante di Guittone dArezzo, accusato di municipalismo plebeo,
alla pari di Brunetto Latini, di Bonagiunta Orbicciani da Lucca e di altri toscani (I XIII 1).
Il De vulgari eloquentia, composto prima della Commedia, lasciato interrotto al II libro con
un periodo in sospeso, il primo trattato sulla lingua e sulla poesia volgare, ed un saggio
avanzatissimo nel quadro della cultura europea del Medioevo. Nonostante ci, non ag da stimolo
per altri, perch Dante non lo pubblic, cio non permise che fosse copiato e diffuso: lo trasmettono
appena tre manoscritti, uno dei quali fu ritrovato dal letterato vicentino Gian Giorgio Trissino che
us il De vulgari nel dibattito sulla lingua accesosi a partire dal terzo decennio del XVI secolo, e lo
tradusse e stamp nel 1529. Anche dopo la pubblicazione, per, la fortuna del trattato non fu
pacifica, n completa, n senza contrasti, anche perch le sue tesi furono utilizzate in chiave
polemica nelle dispute sulla questione della lingua, tanto che il De vulgari eloquentia fin per
essere uno dei testi fondamentali nel dibattito linguistico del Rinascimento. Nel corso di queste
discussioni, alcuni insinuarono il sospetto che il trattato non fosse di Dante, che ci si trovasse di
fronte ad un falso.
2.2. Il Convivio
Nel 1304 Dante si dedica al Convivio. Lopera ha come nodo centrale il problema linguistico.
Buona parte del primo libro del Convivio dedicata, infatti, a giustificare minutamente la scelta del
volgare invece del latino, che era la lingua obbligata per una trattazione filosofica. Una scelta
dettata dalla volont di utilizzare la stessa lingua delle canzoni commentate, dal desiderio di
rivolgersi ai molti a cui lo volgare servir veramente, e cio principi, baroni, cavalieri, e

moltaltra gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua,
volgari, e non litterati e di assecondare il naturale amore per la propria loquela. La ragione
principale sembra per essere soprattutto la volont di mostrare la bellezza e la versatilit del
volgare soprattutto nelluso prosastico in cui, non condizionato dalle accidentali adornezze
proprie della poesia (la rima, il metro, ecc.), il volgare pu manifestare tutta la propria virt, e
cio la sua capacit di esprimere gli altissimi e novissimi concetti convenevolmente,
sufficientemente e aconciamente, quasi come per esso latino (Convivio I, X, 12).
La riflessione teorica si concretizza di fatto in un autocommento: nella fattispecie, di tre
canzone allegorico-dottrinali (Voi che ntendendo il terzo ciel movete, Amor che nella mente mi
ragiona, Le dolci rime damor chio solia) via via analizzate nella loro duplicit letterale e
allegorica. Attraversato al suo interno da innumerevoli contraddizioni che di fatto ne devono aver
impedito il proseguimento, il Convivio si interrompe al quarto libro, a nemmeno un quarto del
percorso: solo tre infatti le canzoni commentate delle quindici previste.
2.3. Il De vulgari eloquentia e il Convivio
Come abbiamo visto, le idee di Dante sul volgare si leggono nel Convivio e nel De vulgari
eloquentia. Nel Convivio il volgare viene tra laltro celebrato come sole nuovo destinato a
splendere al posto del latino, per un pubblico che non in grado di comprendere la lingua dei
classici. Altra questione toccata in entrambi i testi (ma risolta nelluno e nellaltro in maniera
diversa) la maggiore o minore dignit delluna e dellaltra lingua: nel Convivio il latino reputato
superiore in virt del suo essere lingua regolata contrapposta a un volgare non stabile e
corruttibile che seguita uso e non arte. Il De vulgari eloquentia, invece, rovescia queste
posizioni caricando di segno positivo la nozione di naturalit del volgare e deviando il concetto
di latino come arte proprio del I del Convivio verso quello del latino come lingua artificialis, e
cio lingua non parlata ma solo scritta, elaborata ad hoc dai dotti (positores) per porre riparo alla
continua corruzione delle lingue seguita alla disgregazione babelica. Le conseguenze non sono di
poco conto: rispetto a una visione antagonistica proposta nel Convivio, in cui al sorgere della
letteratura in volgare corrisponde un tramontare della letteratura in lingua latina, il De vulgari
eloquentia ammette la continuit e il ruolo del latino come modello permanente di stabilit e
regolarit cui il volgare deve rifarsi. Non questa daltronde lunica contraddizione tra i due trattati,
n tanto meno mancano aporie allinterno dello stesso De vulgari eloquentia, accentuate anche dalla
sua brusca interruzione. La stessa definizione di volgare illustre tuttaltro che pacifica. stato
sottolineato in proposito come di fatto il volgare illustre venga a essere due cose distinte: lingua
degli italiani, parlata da chi veramente italiano, e lingua letteraria, stilisticamente elevata, da cui il
poeta deve distanziarsi qualora voglia sperimentare gli stili inferiori.
3. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo
Le Prose della volgar lingua sono divise in tre libri, il terzo dei quali contiene una vera e
propria grammatica1 dellitaliano, la quale per risulta poco sistematica agli occhi di moderni, anche
perch il trattato ha una forma dialogica. Non dunque una grammatica schematica e metodica, ma
una serie di norme e regole esposte nella finzione del dialogo, dalle quali tuttavia emerge un chiaro
profilo dellitaliano, quale Bembo teorizzava.
Il dialogo che costituisce le prose si immagina svolto nel 1502, a Venezia, lungo tre giornate
di discussione. Vi prendono parte quattro personaggi, ognuno dei quali portavoce di una tesi
diversa: Giuliano de Medici (terzo figlio di Lorenzo il Magnifico) rappresenta la continuit con il
1

Non fu tuttavia questa la prima grammatica della lingua italiana data alle stampe. Bembo era stato preceduto da
Giovan Francesco Fortunio, letterato forse friulano di nascita: questo, nel 1516, stamp ad Ancona le Regole
grammaticali della volgar lingua. Numerose riedizioni mostrano che lopera di Fortunio ebbe una buona accoglienza e
fu effettivamente utilizzata dagli utenti almeno fino a quando non furono disponibili grammatiche capaci di divulgare le
teorie bembiene.

pensiero dellUmanesimo volgare, Federico Fregoso espone molte delle tesi storiche presenti nella
trattazione, Ercole Strozzi (umanista e poeta in latino) espone la tesi degli avversari del volgare, e
infine Carlo Bembo, fratello dellautore, portavoce delle idee di Pietro. Come abbiamo detto, la
finzione del dialogo riporta allinizio del secolo. Si noti, del resto, che i primi due libri delle prose
erano gi pronti nel 1512, anche se lopera fu data alle stampe pi tardi.
Nelle Prose viene svolta prima di tutto unampia analisi storico-linguistica, secondo la quale il
volgare sarebbe nato dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari. Il riscatto del
volgare contaminato per le sue barbare origini era stato possibile grazie agli scrittori e alla
letteratura. Il principio adottato dunque quello di un possibile mutamento della qualit delle
lingue, la cui eventuale barbarie originaria non risulta irreversibile. Litaliano era andato
progressivamente migliorando, osservava Bembo, mentre unaltra lingua moderna, il provenzale,
che pure aveva preceduto litaliano nel successo letterario, era andata progressivamente perdendo
terreno. Il discorso si spostava dunque sulla letteratura, le cui sorti venivano giudicate inscindibili
da quelle della lingua.
Bembo sapeva perfettamente che la scelta del modello costituito dalle Tre Corone riportava
indietro nel tempo. Ma la teoria di Bembo voleva appunto coniugare la modernit della scelta del
volgare con un totale distacco dalleffimero, secondo un ideale rigorosamente classicistico, la cui
natura squisitamente e implacabilmente letteraria. Requisito necessario per la nobilitazione del
volgare era dunque un totale rifiuto della popolarit. Per questo Bembo non accettava integralmente
il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso lo stile basso e
realistico. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per
la sua forte selezione linguistico-lessicale. Alcuni problemi, invece, potevano venire da parte del
Decameron in cui emergeva pi vivace il parlato. Per questo Bembo precisa che il modello
linguistico a cui si doveva far riferimento non stava nei dialoghi delle novelle del Decameron, ma
nello stile vero e proprio dello scrittore, caratterizzato dalla sintassi fortemente latineggiante, dalle
inversioni, dalle frasi gerundive.
La grande diffusione delle Prose render le opzioni bembesche delle regole a cui sar difficile
sottrarsi. Tanto pi che lopera agir anche oltre le sue intenzioni esclusivamente letterarie, godendo
di un credito che la elever al rango di auctoritas in virt della quale verranno giustificate molte
delle scelte linguistiche almeno sino al Manzoni.
Dopo la riforma del Bembo, nelle scritture in lingua diminuiscono lelemento locale e quello
latino, a vantaggio del polo toscano; tuttavia, in una produzione scrittoria in aumento, anche in
seguito al diffondersi della stampa, sono molti i testi, specialmente di carattere pratico, colorati in
senso municipale o locale. In altre parole, allaffermazione delle Prose della volgar lingua si
collegano la nascita della letteratura dialettale riflessa e una posizione nuova del volgare regionale.
La grammatica di Bembo influenz lesito di un grande capolavoro quale lOrlando furioso,
perch Ariosto corresse la terza e definitiva edizione del poema seguendo proprio le indicazioni
delle Prose. Delle tre edizioni dellOrlando furioso, rispettivamente del 1516, 1521 e 1532, la prima
risente ancora del padano illustre, bench sia gi notevolmente toscanizzata. I ritocchi delledizione
1521 sono relativamente pochi, mentre ledizione del 1532 tiene decisamente conto dei
suggerimenti delle Prose della volgar lingua, che si situano appunto tra le ultime due stampe
dellOrlando furioso. Tra le correzioni introdotte sistematicamente, ricordiamo la sostituzione
dellarticolo maschile el con il, le desinenze del presente indicativo prima persona plurale
regolarizzate in -iamo, la prima persona singolare dellimperfetto in -a ecc.
4. Il Vocabolario dellAccademia della Crusca
La fondazione dellAccademia della Crusca risale al 1582. Nella prima fase della sua
esistenza, la Crusca si fece conoscere per la polemica, condotta soprattutto da Leonardo Salviati
(1540-89), contro la Gerusalemme liberata di Tasso, a sostegno del primato dellAriosto.

LAccademia della Crusca, unassociazione privata che cont solo sulle proprie forze in
unItalia divisa in stati diversi, ciascuno con la propria tradizione, si rifiuter di produrre una
grammatica intesa come espressione collegiale in materia di codificazione della lingua; produrr
invece un vocabolario, il Vocabolario degli Accademici della Crusca, un grosso volume pubblicato
nel 1612 a Venezia, in una situazione culturale diversa da quella che aveva caratterizzato, al tempo
di Salviati, lavvio del progetto. Sul frontespizio portava limmagine del frullone o buratto, lo
strumento che si usava per separare la farina dalla crusca (esso era appunto lemblema
dellAccademia), con sopra, in cartiglio, il motto Il pi bel fior ne coglie, allusivo alla selezione
compiuta nel lessico, per analogia alla selezione tra la farina (il fiore) e la crusca (lo scarto).
Questopera, il pi antico dizionario di una lingua europea di cultura, riflette unidea della
lingua che si riassume nel binomio costituito dalle Tre Corone del Trecento e dalluso fiorentino,
vivo e quindi dinamico. Lidea quella che la lingua, dunque, ha i suoi classici, e nello stesso tempo
in movimento, sicch impossibile fissarne lo sviluppo in una grammatica. Il vocabolario, invece,
ne rappresenta questo aspetto per cos dire duplice: antico e chiuso da un lato, e dallaltro
contemporaneo e aperto.
La Crusca si indirizz alla lessicografia a partire dal 1591. In quellanno gli accademici
discussero sul modo di fare il Vocabolario e si divisero gli spogli da compiere, mettendo a punto un
procedimento razionale di schedatura.
Limpostazione del Vocabolario della Crusca fu essenzialmente legata allinsegnamento di
Salviati, anche se lopera fu realizzata dopo la sua morte.
La prova della rigida fedelt dellAccademia alle teorie del maestro sta soprattutto nel canone
degli autori spogliati per il Vocabolario, il cui elenco corrisponde a quello fornito da Salviati, anzi
dipende da esso, salvo poche aggiunte del resto non incoerenti con quel modello medesimo. Da
Salviati, soprattutto, veniva agli accademici la caratteristica impostazione (di fatto profondamente
antibembiana) secondo la quale gli autori minori e minimi erano giudicati degni, per meriti di
lingua, di stare accanto ai grandi della letteratura. Agli occhi di Salviati (e poi degli accademici) i
problemi del contenuto si ponevano su di un piano diverso da quello della forma; i meriti
linguistici potevano accoppiarsi a una grande modestia della sostanza: certi antichi volgarizzatori,
ad esempio, si erano dimostrati incapaci di comprendere i testi latini che cercavano di tradurre, ma,
nonostante la loro crassa ed evidente ignoranza, nellottica della Crusca, essi erano validi modelli,
perch avevano scritto bene.
Per criticabile che fosse sul piano dei principi ispiratori, infatti, il lavoro fu condotto con una
coerenza metodologica e un rigore che andavano al di l di tutti i precedenti. La squadra dei
lessicografi fiorentini and formandosi da s, e mantenne inoltre una notevole collegialit nelle sue
scelte, forse anche per la mancanza di figure in grado di egemonizzare loperato degli altri. In
questo senso, quello della Crusca fu un vocabolario concepito attenendosi alle regole fissate
allinterno dellAccademia.
In sostanza gli accademici fornirono il tesoro della lingua del Trecento, esteso al di l dei
confini segnati dallopera delle Tre Corone (che pure ne erano la base), arrivando a integrare con
luso moderno.
Le parole del fiorentino vivo erano documentate di preferenza attraverso gli autori antichi. Per
questo il massimo sforzo era stato compiuto per trovare lessico negli autori del passato, anche a
costo di ricorrere a fonti che non sarebbe stato corretto citare, ad esempio ricorrendo a manoscritti
inediti, dei quali non era possibile controllare lautenticit e la correttezza della trascrizione. Tali
manoscritti, che stavano nelle mani degli accademici, non erano ovviamente verificabili da parte dei
lettori. Quest condizion negativamente il Vocabolario, tradendone la funzione primaria, quella di
fornire parole utilizzabili. Saltavano fuori invece troppo abbondanti le parole rare e sconosciute,
forme fiorentine o toscane di sapore dialettale (troppo locale, prive di carattere illustre), come
assempro per esempio, manicare per mangiare, sezzaio per ultimo ecc. A volte sotto la parola
meno comune, come assempro, cera effettivamente il rinvio al termine pi diffuso, in questo caso
esempio: la Crusca, dunque, non necessariamente mancava della parola corrente, ma moltiplicava le
sinonimie, molto spesso inutili e sovrabbondanti, e quindi complicava la vita a chi consultasse il

vocabolario per trarne uninformazione sicura e univoca. Queste scelte non arrichivano la lingua,
ma piuttosto la confondevano. Cera poi la spinosa questione della mancata citazione di Tasso, che
tradiva il pregiudizio contro i non toscani. Da tutto ci deriv la lunga serie di polemiche contro il
Vocabolario.
Nonostante le polemiche che si scatenarono attorno ai criteri seguiti nella compilazione, il
Vocabolario assunse senzaltro un prestigio sovraregionale e internazionale, anche perch non ne fu
prodotto altrove unaltro capace di fargli davvero concorrenza. LAccademia trasse dunque dalla
realizzazione del Vocabolario una forza nuova, leg definitivamente la propria autorit alla lingua,
si accoll un compito di aggiornamento e di revisione che dur per secoli. La fortuna del
Vocabolario della Crusca confermata dalle due edizioni che ebbe nel XVII sec., dopo la prima del
1612. La seconda edizione usc nel 1623 e fu analoga alla prima, anche nella mole (un solo grosso
volume). La terza edizione, stampata a Firenze (non pi a Venezia, come le precedenti) nel 1691,
dopo un lavoro di ben trentanni, si presenta invece vistosamente diversa fin dallaspetto esterno: tre
tomi al posto di uno (mantenendo il formato in foglio), con un notevole arricchimento di materiale,
verificabile sia nella quantit dei lemmi, sia negli esempi e nella definizione delle voci. La terza
Crusca, insomma, fece un salto quantitativo e qualitativo notevole, consolidando il primato
dellAccademia di Firenze nel campo della lessicografia.
Nelledizione del 1691 si accolgono per la prima volta citazioni dal Tasso, dal Castiglione e
da tanti altri autori moderni che vengono inseriti nella tavola dei citati; sono accolte inoltre voci di
botanica, di zoologia, di anatomia e fisiologia, non legittimate come ovvio da citazioni
dautore. Spicca, invece, vistosa lassenza del maestro della poesia barocca, il Marino, autore del
poema LAdone.
Tra le novit della terza edizione vi un maggior uso dellannotazione V.A., cio voce
antica, per contrassegnare le parole arcaiche, registrate a scopo documentario, ma destinate ad
essere tralasciate nelluso corrente.
I sei volumi della quarta edizione del Vocabolario vengono stampati fra il 1729 e il 1738: di
nuovo con maggiore determinazione si rifiutano in modo programmatico tutte le definizioni
specialistiche.
Con luscita di questa edizione lo scontro fra le posizioni della Crusca e quelle dei suoi
avversari si fece pi duro. Anche in risposta al malcontento emergente in misura diversa dalle tante
opere anticruscanti di quegli anni, il 7 luglio del 1783 Pietro Leopoldo neg lautonomia
dellAccademia, fondendola con quella fiorentina e quella degli Apatisti, sotto lunico nome di
Accademia fiorentina. Ma la soppressione della Crusca, da troppo tempo al centro delle questioni
linguistiche italiane, non pass inosservata.
Nel 1808 lAccademia fiorentina viene divisa in tre classi: quella del Cimento, del Disegno e
della Crusca. Questultima riacquister la sua piena autonomia nel 1811 con Napoleone. Nonostante
le vicende di alterna fortuna dellAccademia, il Vocabolario continua ad avere un suo sguito: se da
un lato labate Antonio Cesari aveva pubblicato una ristampa aggiornata (nota come Crusca
veronese), dallaltro proprio in concomitanza con la ricostituzione della Crusca gli
Accademici cominceranno a progettare una quinta edizione del Vocabolario, la cui pubblicazione fu
avviata nel 1863 e si protrasse, alquanto stancamente, fino al 1923, quando il dizionario, che nel
frattempo era giunto alla lettera O, rimase interrotto definitivamente, in sguito non soltanto alle liti
grammaticali tra gli Accademici, ma come conseguenza naturale del disagio di fronte alle continue
critiche e alle accuse che da pi parti si levavano e che si legavano a quelle pi antiche.
La quinta edizione del Vocabolario della Crusca, bench incompiuta, costitu il prototipo dei
dizionari storici, quelli cio che registrano il patrimonio scritto di una tradizione letteraria fornendo
esempi di passi dautore che illustrino le varie accezioni che una parola assume nelluso. Due opere
fondamentali di questo tipo sono il Tommaseo-Bellini (compilato tra il 1861 e il 1879) e il Grande
dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, la cui pubblicazione (iniziata nel 1961),
ancora in corso.

5. La soluzione manzoniana alla questione della lingua


Abbiamo detto a suo tempo che le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, pubblicate a
Venezia nel 1525, godettero di un credito che le elev al rango di auctoritas, sicch molte scelte
linguistiche furono giustificate almeno sino al Manzoni (1785-1873).
Giunti al Manzoni, cominciamo col dire che questultimo si dedic con continuit e passione
agli studi linguistici, dapprima per trovare la forma migliore per il proprio romanzo, in seguito per
dare agli italiani una lingua nazionale. La riflessione di Manzoni sullitaliano venne inoltre a
collegarsi direttamente alla nuova situazione creatasi con lunificazione politica del Regno dItalia,
avvenuta nel 1861; cos, con Manzoni, la questione della lingua acquist una valenza sociale e
politica prima impensabile. Da questo punto di vista, la teoria linguistica manzoniana segn una
svolta nelle discussioni sulla questione della lingua. Di ci si accorsero anche i contemporanei,
come dimostra la vivacit del dibattito attorno alle proposte dello scrittore.
Come abbiamo detto, Manzoni affront la questione della lingua italiana a partire dalle sue
personali esigenze di romanziere. Inizi a occuparsi del problema della prosa italiana fin dal 1821,
con la stesura del Fermo e Lucia, redazione iniziale dei Promessi Sposi. Questa prima fase, che si
riflette nella lettera del 3 novembre 1821 a Claude Fauriel, suo amico e maestro e traduttore delle
sue tragedie in francese, viene definita come eclettica, nel senso che Manzoni cercava di
raggiungere uno stile duttile e moderno mediante il ricorso a vari elementi, utilizzando il linguaggio
letterario, ma senza vincolarsi a esso alla maniera dei puristi, anzi accettando francesismi e
milanesismi, o applicando la regola dellanalogia. Questa descrizione della propria lingua letteraria
fu data da Manzoni stesso nella seconda Introduzione al Fermo e Lucia, riscritta nel 1823, dopo che
fu terminata la prima stesura del romanzo. Anche se sar pubblicata solo molti anni dopo la morte
dellautore, la seconda Introduzione al Fermo e Lucia merita di essere ricordata, perch in essa
veniva messa lucidamente a fuoco la situazione italiana, caratterizzata dalla presenza e dalla forza
dei dialetti. Chi era abituato a parlare in dialetto, osservava Manzoni, finiva per esserne influenzato
anche quando scriveva in italiano. Da ci derivava il colore municipale caratteristico della lingua
degli autori italiani. Egli ammetteva di aver adoperato nel romanzo alcune espressioni lombarde, e
descriveva la propria lingua, usata fino a quel momento, come qualche cosa di non omogeneo, di
composito: vi entravano elementi lombardi, toscani, ma anche francesi e latini. Manzoni si
dichiarava insoddisfatto del risultato ottenuto.
La seconda fase del suo pensiero linguistico, quella in cui ancora cercava di raggiungere la
lingua toscana per via libresca (non con il ricorso al fiorentino parlato), che Manzoni chiam
toscano-milanese, corrisponde alla stesura dei Promessi Sposi per ledizione del 1825-1827.
Riscrivendo il romanzo, Manzoni modifica e sopprime molte digressioni critiche e interi episodi ma
si sforza soprattutto di rendere omogeneo lassetto formale, abbandonando ogni eclettismo, nella
ricerca di una lingua viva e vera di matrice toscana. Alla base vi la raggiunta convinzione che il
toscano costituisca un fondo comune e accessibile a tutta lItalia, possibile veicolo per incanalare e
valorizzare le somiglianze tra i dialetti delle diverse regioni. Questa fase documentata anche dalle
postille alla copia in suo possesso del Vocabolario della Crusca nelledizione veronese di Antonio
Cesari. Molte di queste postille, annotazioni sui margini della copia personale del vocabolario (la
copia che lo scrittore veniva leggendo, consultando e commentando, copia oggi posseduta dalla
Biblioteca Braidense di Milano), mostrano il fastidio dello scrittore, che dopo aver consultato testi e
vocabolario, non era ancora in grado di sapere con certezza se le forme linguistiche che lo
interessavano fossero vive o antiquate.
Lanno 1827, lanno in cui Manzoni partiva per Firenze, compiendo un viaggio decisivo che
lo avrebbe avvicinato al fiorentino parlato nellunica citt italiana in cui lingua e dialetto
sostanzialmente coincidevano, segna la terza fase del suo pensiero linguistico. Il contatto diretto con
il fiorentino parlato lo induce a cominciare il lungo lavoro di revisione linguistica delledizione del
1825-1827 dei Promessi sposi. Lesito pubblico di questo travaglio fu la nuova edizione dei
Promessi sposi, del 1840-1842, la cosiddetta edizione quarantana, corretta per adeguarla
allideale di una lingua duso, resa scorrevole, piana, purificata da latinismi, dialettismi ed

espressioni letterarie di sapore arcaico. La nuova veste linguistica del romanzo suscit molte
discussioni, e non pochi furono i dissensi. Molti preferirono la forma della ventisettana, in linea
con la tradizione dellitaliano letterario, senza rotture traumatiche e senza principi innovatori cos
forti come quelli che avevano governato la revisione per la quarantana.
Dal 1830 circa, Manzoni si dedica anche alla stesura di opere linguistiche, come il Sentir
messa e limpegnativo trattato Della lingua italiana, di cui ci restano diverse stesure2, scritti rimasti
per nel cassetto.
La prima esposizione pubblica del principio per cui il modello dellitaliano comune doveva
essere il fiorentino vivo una Lettera sulla lingua italiana indirizzata al lessicografo piemontese
Giacinto Carena il 27 febbraio 1847, che Manzoni pubblicher nel 1850 nel VI fascicolo delle
Opere varie.
Nel 1846, a Torino, Giacinto Carena aveva pubblicato un Vocabolario domestico in cui
ricorreva la terminologia per indicare cose comuni, oggetti di casa, del mobilio, utensili ecc.
Carena, nel compilare lopera, si era preoccupato di raccogliere anche la terminologia delluso
vivente toscano ma, non avendo voluto limitare i propri spogli al fiorentino, e nemmeno al solo
toscano vivo, aveva utilizzato anche la lingua letteraria. Manzoni, invece, in questoccasione,
espose in una lettera allautore del Vocabolario domestico la propria teoria ormai formata: la lingua
italiana andava identificata in maniera rigorosa nel fiorentino. La lettera al Carena, tuttavia, pur
pubblicata, non ebbe molta eco, anche se non mancarono reazioni.
Loccasione di rendere davvero pubbliche le proprie teorie e di scatenare un grande dibattito
attorno ad esse venne per Manzoni pi tardi, dopo lunificazione politica italiana. Nel 1867 divenne
ministro della pubblica istruzione del Regno dItalia il milanese Emilio Broglio, che era favorevole
alle idee manzoniane. Nel 1868 il ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio nomina
lanziano scrittore a presiedere una commissione composta da Ruggero Bonghi, Giulio Carcano,
Raffaele Lambruschini, Niccol Tommaseo, Giuseppe Bertoldi, Achille Mauri, Gino Capponi,
invitati a proporre tutti i provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare e rendere pi universale
in tutti gli ordini del popolo la notizia [conoscenza] della buona lingua e della buona pronunzia.
Era la prima volta, insomma, che la questione della lingua si collegava cos strettamente a una
questione sociale, finalizzata allorganizzazione della scuola e della cultura del nuovo Regno
dItalia.
Manzoni, Bonghi e Carcano formavano la sezione milanese della commissione, gli altri, in
ragione della loro residenza, la sezione fiorentina. In qualche settimana, Manzoni, che aveva la
presidenza generale e guidava la sezione milanese, scrisse la Relazione Dellunit della lingua e dei
mezzi di diffonderla, in cui riproponeva in sostanza quanto gi sostenuto nella Lettera al Carena,
fornendo in aggiunta alcuni indirizzi operativi.
La Relazione di Manzoni fu pubblicata nello stesso 1868, assieme allelenco di una serie di
mezzi idonei (nelle intenzioni e speranze dei tre relatori, Manzoni, Bonghi e Carcano) a diffondere
il fiorentino. Tra questi mezzi, ricordiamo: la proposta di scegliere insegnanti toscani o educati in
Toscana per le scuole primarie; conferenze di maestri toscani ai colleghi del resto dItalia;
abbecedari, catechismi e primi libri di lettura scritti da toscani; soggiorni-premio in Toscana per gli
studenti. Ma lo strumento in cui si riponeva pi fiducia era la compilazione di un vocabolario del
linguaggio fiorentino vivente, un vocabolario che ne rappresenti luso attuale, di cui si sarebbe
dovuta fare unedizione economica a larghissima diffusione, e da cui si sarebbero dovuti ricavare
vocabolarietti minori, ad uso pratico e didattico.
La sezione fiorentina present la sua relazione, una relazione molto diversa, nella quale
invece, pur ammettendo limportanza delluso vivo, si proponeva di tener conto della lingua
letteraria tradizionale. Una simile discrepanza di opinioni spinse il Manzoni alle dimissioni, ma il
suo orientamento vinse comunque per il decisivo impulso dello stesso ministro, dichiaratamente
filomanzoniano.
2

Le cinque redazioni del trattato Della lingua italiana (un migliaio di pagine a stampa), su cui Manzoni lavor
per circa trentanni, sono state pubblicate nel 1974.

La Relazione manzoniana sollev una nuova ventata di polemiche, in cui si fronteggiarono e


si riproposero tutte le posizioni della questione della lingua.
La critica pi autorevole al programma manzoniano venne da parte di Graziadio Isaia Ascoli
(1829-1907), il fondatore della glottologia italiana, che pochi mesi prima della morte del Manzoni,
nel Proemio (1873) allArchivio glottologico italiano, negava che Firenze potesse avere, per
litaliano, la stessa funzione irradiante avuta da Parigi per il francese e indicava come modello pi
vicino a cui ispirarsi quello tedesco.
Dunque, agli esempi di accentramento di Roma antica e di Parigi (i due punti di riferimento
citati dal Manzoni nella Relazione), Ascoli opponeva il modello tedesco: anche la Germania, come
lItalia, era arrivata tardi allunit politica, e i due paesi erano affini tra loro almeno perch erano
stati caratterizzati dalla vitalit culturale di molte citt, non dal predominio di una capitale unica:
non si dava nella storia moderna dellItalia (n della Germania) nessuna Roma, nessuna Parigi.
Ascoli proponeva un modello competitivo, una gara di densit della cultura, che sarebbe stata
vinta dalla citt pi produttiva culturalmente.
Nonostante questa e altre critiche, di fatto la soluzione di Manzoni si afferm, anche se con
molti compromessi (comera successo daltronde anche nel caso di Pietro Bembo), ed ebbe molto
successo specialmente nella scuola: mentre Ascoli rimandava al libero gioco delle proposte
culturali, che avrebbero fatto viaggiare, con la cultura, la lingua, Manzoni e i suoi seguaci
indicavano un modello preciso, identificabile.
Anche il vocabolario proposto dalla Relazione del 1868 vide la luce: il Broglio, infatti,
ministro dal 1867 al 1869, nel 1868 istitu una Giunta, presieduta da lui stesso, con il compito di
realizzare il vocabolario delluso fiorentino. Nel 1870 cominci a uscire a fascicoli il Novo
vocabolario della lingua italiana, compilato da un gruppo di collaboratori. Suscit poco interesse, e
proprio dal Vocabolario e dal Novo (invece che Nuovo) del titolo parte la critica del Proemio di
Ascoli. Tuttavia lopera fu completata nel 1897, e se non ebbe fortuna, tuttavia ispir alcuni
vocabolari di successo, pi limitati nelle dimensioni, quelli che entravano davvero nelle case degli
italiani dove fosse qualche libro: primo fra tutti il Novo dizionario (1887-1891) di Policarpo
Petrocchi.
Inoltre, il fiorentino come lingua parlata fece grandi progressi non solo grazie al
miglioramento dellistruzione (e nella scuola i manzoniani erano lelemento pi attivo e moderno,
in opposizione al partito dei tradizionalisti) ma, di nuovo, grazie alla letteratura di marca fiorentina:
anzitutto i Promessi Sposi, che entrarono fra i libri scolastici e vi rimasero saldamente per buona
parte del XX secolo, e con essi i due successi editoriali dellItalia unita, i due libri realmente
popolari di fine Ottocento: il Cuore di Edmondo De Amicis (1886) e il Pinocchio di Carlo
Lorenzini detto Collodi (1883).

IV. Variet dellitaliano


1. Le dimensioni della variazione sincronica dellitaliano
Come tutte le grandi lingue di cultura, litaliano ha sviluppato una gamma assai ampia di
diversificazione, nella quale si possono riconoscere specifiche variet di lingua, determinate dalle
fondamentali dimensioni di variazione, vale a dire dai parametri extralinguistici con cui la
variazione interna alla lingua correlata.
Le fondamentali dimensioni della variazione sincronica della lingua sono costituite:
dallarea geografica in cui viene usata la lingua (o, pi specificamente, dalla regione di
provenienza dei parlanti e dalla loro distribuzione geografica) - variazione diatopica;
dallo strato o gruppo sociale a cui appartengono i parlanti (o, pi specificamente, dalla
posizione che il parlante occupa nella stratificazione sociale) - variazione sociale o diastratica;

dalla situazione comunicativa nella quale si usa la lingua - variazione situazionale o


funzionale-contestuale o diafasica;
dal canale attraverso cui la lingua viene usata - variazione diamesica.
Le quattro dimensioni di variazione suddette costituiscono degli assi di riferimento lungo i
quali si possono ordinare le variet compresenti nello spazio di variazione dellitaliano
contemporaneo. Ciascun asse si pu concepire come un continuum che unisce due variet
contrapposte come poli estremi fra cui si collocano variet intermedie.
Lungo lasse della dimensione diatopica, nella quale si collocano gli italiani regionali, i poli
sono costituiti dallitaliano standard normativo (a base fiorentina) e dallitaliano regionale
fortemente dialettizzante.
Lungo lasse diastratico, si va dallitaliano colto ricercato allitaliano popolare basso.
Lungo lasse diafasico, si va dallitaliano formale aulico allitaliano informale trascurato.
Lungo lasse diamesico, si va dallitaliano scritto-scritto allitaliano parlato-parlato
(Nencioni, 1976).
Se larticolazione secondo queste quattro dimensioni fondamentali consente di schematizzare
quella che si potrebbe chiamare larchitettura dellitaliano contemporaneo, non va dimenticato che
nelle reali variet duso della lingua spesso le varie dimensioni si intrinsecano, e le relative variet
possono determinarsi contemporaneamente secondo pi assi di variazione: cos i gerghi e le variet
paragergali, e pi in generale certi linguaggi settoriali, si definiscono contemporaneamente sullasse
diastratico, in quanto propri di certi gruppi sociali, e sullasse diafasico, in quanto svolgenti una
particolare funzione in date classi di situazioni comunicative; un italiano fortemente marcato in
diatopia sar per lo pi anche una variet sociale bassa; litaliano popolare, variet diastratica tipica
di fasce sociali non istruite, sar per i suoi parlanti anche una variet diafasica, il registro delle
occasioni pi formali.
Difficili da collocare con precisione, anche se appartengono fondamentalmente alla
dimensione diafasica, sono poi le variet di lingua legate a movimenti culturali, a mode, a costumi
pi o meno passeggeri ecc., come le variet duso via via battezzate giornalisticamente come
sinistrese, politichese, giornalese e cos via.
Si potrebbe sostenere che esiste fra le dimensioni di variazione un rapporto tale che esse
agiscono luna dentro laltra: la diastratia dentro la diatopia, la diafasia dentro la diastratia, la
diamesia dentro la diafasia; un parlante italiano nel periodo dello sviluppo linguistico impara una
variet sociale dellitaliano della propria regione, entro la quale impara diversi registri adeguati a
diverse situazioni, entro cui impara la fondamentale dicotomia fra parlato e scritto.
A tutti gli elementi della lingua, o a tutte le produzioni linguistiche, pu essere assegnato in
linea di principio un valore sulle quattro dimensioni separatamente.
I punti di riferimento pi rilevanti nel continuum pluridimensionale delle variet della lingua
italiana sono:
litaliano formale aulico - la variet (scritta e parlata-scritta) delle situazioni pubbliche
molto formali e solenni;
litaliano tecnico-scientifico - la variet (scritta e parlata) usata normalmente in contesti
tecnici o scientifici;
litaliano burocratico - la variet (scritta ma anche parlata) usata negli ambienti
amministrativi, ufficiali;
litaliano standard letterario - la variet (scritta) della tradizione letteraria;
litaliano neo-standard - indica, in maniera forse un po esagerata (in quanto non si tratta
propriamente di un altro standard, nuovo), la variet di lingua comunemente usata dalle persone
colte, che ammette come pienamente corretti alcune forme e costrutti sino a tempi non lontani
ritenuti non facenti parte della buona lingua.

litaliano parlato colloquiale - la variet (tipicamente parlata) della conversazione


quotidiana non impegnata;
litaliano popolare (regionale) - la variet (parlata ma anche scritta) degli strati socioculturali non istruiti;
litaliano informale trascurato - la variet (parlata) delle situazioni molto confidenziali, pi
spontanee e non controllate;
litaliano gergale - la variet (parlata) marcatamente espressiva che si pu sviluppare fra
parlanti che condividono attivit, esperienze, idee e modi di vita, per sottolineare lappartenenza a
un gruppo o cerchia particolare e distinguersi dagli altri.
Semplificando, linsieme di variet tra lingua e dialetto pu essere schematizzato (seguendo
Pellegrini 1975) nel modo seguente:
1. italiano standard
2. italiano regionale
3. koin3 dialettale, una variet dialettale condivisa da un territorio relativamente ampio, come
pu essere quello di una provincia o di una regione.
4. dialetto locale (o rustico, o schietto, nel senso di non intaccato da influssi esterni).
Il parlante seleziona una variet in relazione alla situazione comunicativa, che linsieme
formato dal luogo, dal momento, dai partecipanti, dai risultati, e da altri fattori che determinano tale
scelta. Per codificare in modo accettabile un messaggio non basta conoscere bene una lingua, ma
occorre saperla usare in maniera appropriata: non solo bisogna avere competenza linguistica ma
anche competenza comunicativa.
Per esempio, per il contenuto da trasmettere dire a qualcuno che non si pu andare da lui,
potremmo avere le seguenti formulazioni:
italiano formale aulico: Mi pregio informarLa che la nostra venuta non rientra nellambito
del fattibile;
italiano tecnico-scientifico: Trasmettiamo a Lei destinatario linformazione che la venuta di
chi sta parlando non avr luogo;
italiano burocratico: Vogliate prendere atto dellimpossibilit della venuta dei sottoscritti;
italiano standard letterario: La informo che non potremo venire;
italiano neo-standard: Le dico che non possiamo venire;
italiano parlato colloquiale: sa, non possiamo venire;
italiano popolare: ci dico che non potiamo venire;
italiano informale trascurato: mica possiam venire, eh;
italiano gergale: ehi, apri ste orecchie, col cavolo che ci si trasborda.
Si pu notare che la variabile lessicale per designare la nozione di andare (da qualcuno)
viene realizzata da tre varianti: la forma nominalizzata venuta (variet pi alte: italiano aulico,
italiano tecnico-scientifico e italiano burocratico), il verbo venire (italiano standard letterario,
italiano neo-standard, italiano parlato colloquiale, italiano popolare e italiano informale trascurato)
e il verbo mataforico trasbordarsi (italiano gergale). La variabile corrispondente a dire
realizzata in sette modi diversi: informare, dire (forma o variante non marcata), (far) prendere atto,
trasmettere linformazione, il segnale discorsivo sa, linteriezione asseverativa eh, e la perifrasi
espressiva figurativa ehi, apri ste orecchie. La forma di allocuzione varia dal Lei di deferenza al
Voi burocratico, al ci (per le) tipico di variet sociali basse, al tu di confidenza, a (italiano
informale trascurato).

3
La parola koin (anche nella grafia koin, pi raramente con c per k) deriva dal greco koin dilektos,
letteralmente lingua comune, e si riferiva, in ambito greco, al greco comune diffuso a partire dal tempo di Alessandro
Magno nei territori di cultura ellenistica.

2. Variazione diatopica: italiano regionale


Con italiano regionale ci si riferisce a quella variet della lingua connessa a fattori diatopici
(o geografici o spaziali) e dovuta al fatto che la lingua si diffusa su comunit che erano
generalmente solo dialettofone.
I diversi dialetti parlati nella penisola italiana hanno condizionato litaliano frammentandolo,
suddividendolo in variet che risentono del sottofondo dialettale. Tuttavia nel tipo di italiano che
stiamo considerando i condizionamenti si possono dire contenuti, perch i due codici in contatto,
italiano e dialetto, hanno prestigio asimmetrico (minore quello del dialetto che perci tende ad
orientarsi verso litaliano, maggiore quello di questultimo che risentir, ma in maniera pi
misurata, del dialetto).
I principali italiani regionali sono quello settentrionale, quello centrale (con la sottovariet
toscana), romano, meridionale, meridionale estremo e sardo. La variet romana stata sinora
considerata importante per la possibilit di diffondersi sul piano nazionale (a Roma si trovano infatti
i centri della pubblica amministrazione e dellinformazione, la televisione, il cinema), ma
nonostante lespansione di elementi lessicali, non si , in realt, realizzata unegemonia di questa
variet.
I tratti regionali riguardano lintonazione, la fonetica, la morfosintassi e il lessico, ma non tutti
i tratti ricorrono in tutte le produzioni linguistiche dellarea.
Relativamente ai tratti fonetici, i diversi italiani regionali hanno varianti fonetiche pi o meno
specifiche. Questi tratti, con lintonazione, per i parlanti sono i pi evidenti e consentono di
riconoscere la provenienza di chi sta parlando, perch sono note certe particolarit nella pronuncia
di consonanti e vocali grazie alla loro altissima frequenza.
Tra i numerosi tratti fonetici regionali vi sono ad esempio:
la mancanza di opposizione fonologica tra le coppie di e chiusa (psca del pesce) ed e aperta
(psca frutto) e tra o chiusa (btte per il vino) ed o aperta (btte percosse) al di fuori dellItalia
centrale;
la realizzazione sempre sonora di s intervocalica in tutta lItalia settentrionale (cio la
pronuncia di una parola come casa che nellItalia centro-meridionale sembra cassa);
la tendenza, nellItalia settentrionale, ad articolare come semplici le consonanti doppie (o
intense o rafforzate): belo per bello; lo stesso vale anche per i suoni gn, gl, sc, z, quando sono
intervocalici in parole come pegno, figlia, coscia, vizi;
la tendenza, nellItalia centro-meridionale alla lenizione (vale a dire indebolimento
dellarticolazione) delle occlusive sorde (p, t, k) dopo consonante nasale: cambo per campo.
Per i tratti morfosintattici dellitaliano regionale si richiamano in particolare tra quelli di pi
ampia diffusione:
uso del passato prossimo e non del passato remoto che caratterizza larea settentrionale (nei
dialetti il passato remoto scomparso da oltre un secolo) e che si sta diffondendo in italiano pure
nelle aree in cui esiste anche il passato remoto;
uso dellausiliare avere con i verbi dovere, potere, volere seguiti da un intransitivo: ho
dovuto andare per sono dovuto andare;
uso del cosiddetto accusativo preposizionale (anche oggetto preposizionale, o costruzione
dativale) in tutte le regioni del Centro-Sud; si tratta della costruzione verbo + oggetto animato
preceduto dalla preposizione a: vedere a qualcuno (ma vedere qualcosa), per esempio Ho visto a
Maria rispetto a Ho visto una casa;
variazioni diffuse in tutta larea meridionale (le diverse soluzioni dipendono dalle aree e dal
livello di cultura del parlante) nelluso del modo verbale nel periodo ipotetico dellirrealt: se direi
farei, se direi facessi, se dicessi facessi;

distribuzione differenziata geograficamente di suffissi diminutivi: -uccio nel Centro-Sud,


-ino nel Nord-Ovest, -etto nel Nord-Est; per esempio, macchinuccia / macchinina / macchinetta
automobile giocatolo in scala ridotta.
Fra i tratti di diffusione pi limitata vi sono per esempio:
uso di essere + gerundio; per esempio sono scrivendo una lettera per sto scrivendo in
Sardegna;
collocazione del verbo in fondo alla frase: Salvatore molto bravo , in Sardegna;
la preposizione a per da; per esempio vado a Vincenzo per vado da, di area meridionale e
specialmente abruzzese;
uso del si impersonale con pronome soggetto di I persona plurale: noi si va noi andiamo di
area toscana e umbra settentrionale.
Anche gli elementi lessicali provenienti dai dialetti sono particolarmente caratterrizzanti le
variet regionali. Ovviamente nel contatto tra italiano e dialetto avviene pure il procedimento
contrario, ovvero lingresso di parole dellitaliano nei dialetti, specialmente quando si tratta di
termini relativi a novit tecnologiche.
I termini di origine dialettale entrati in italiano sono solitamente denominati dialettismi o
dialettalismi. Ma si usano anche altri termini: regionalismi, provincialismi, localismi, con
allusione ad ambiti geografici talvolta ambigui; per esempio regionalismo richiama la nozione di
regione politico-amministrativa, ma tali regioni italiane non corrispondono ad entit linguistiche
omogenee.
Spesso i dialettalismi si utilizzano per coprire un vuoto oggettivo in italiano, vale a dire
perch mancano parole corrispondenti a tradizioni e usi locali. Basti pensare a quelle, assai
numerose, della cucina locale, in alcuni casi diffuse a livello nazionale, favorite anche dalla
commercializzazione del prodotto: dalla pizza napoletana alla cassata siciliana, ai grissini
piemontesi, ai cantucci toscani, al panettone milanese
I dialettalismi si possono classificare in diverso modo a seconda della funzione che svolgono
nellitaliano (sono entrati stabilmente, sono limitati allitaliano regionale, sono di uso occasionale),
degli adattamenti o meno allitaliano, della loro relazione alle diverse variet della lingua (per
esempio luso limitato a situazioni comunicative informali, quindi a registri pi bassi, o anche ad
altri registri).
3. La variet linguistica in Italia
LItalia, dal punto di vista linguistico, notevolmente differenziata al suo interno: oltre
allitaliano, lingua nazionale almeno dal XVI secolo, sono presenti e con diverso grado di vitalit
numerose altre variet linguistiche per le quali comunemente si adopera il termine dialetto. Ma
questa parola, dal significato ambiguo, non sempre accettata dai parlanti, perch ritenuta di
valore inferiore rispetto a lingua e spesso associata a stereotipi negativi.
Il termine dialetto un cultismo nella tradizione linguistica italiana; le sue remote origini
risalgono al greco dilektos che significa dapprima colloquio, conversazione poi anche lingua,
lingua di un determinato popolo. Passato al latino, nelle forme dialectos (alla greca) o dialectus, il
vocabolo indica parlata locale assunta a importanza letteraria.
Le documentazioni mostrano che dal secondo Cinquecento letterati italiani nei loro scritti si
riferiscono a dialetto con unaccezione subordinata a lingua, intendendo una variet meno
prestigiosa rispetto a una pi prestigiosa.
La prima attestazione del termine dialetto nel significato odierno, come designazione di
parlata che diffusa in un territorio ristretto e in contrapposizione allitaliano (ovvero il toscano),
del letterato Anton Maria Salvini e risale al 1724. Scrive Salvini: I vostri natii dialetti vi
costituiscono cittadini delle sole vostre citt; il dialetto toscano appreso da voi, ricevuto,

abbracciato, vi fa cittadini dItalia, ribadendo quella che ormai una situazione di fatto:
opposizione tra italiano comune e parlate locali.
Fra le nazioni europee lItalia gode il privilegio di essere, certamente, il paese pi frazionato
nei suoi dialetti []. Ogni viaggiatore che, cominciando con il Piemonte, attraversando poi la
Liguria, la Toscana, il Lazio e le province napoletane, si reca in Sicilia, si pu rendere conto di
questa situazione. Sono le parole dello studioso tedesco Gerhard Rohlfs (Studi e ricerche su lingua
e dialetti dItalia, Firenze, Sansoni, 1990, pp. 26-27), che si occupato a fondo della situazione
dialettale della Penisola.
Gi Dante, osservando le differenze nella lingua parlata tra un luogo e laltro dellItalia
allepoca sua, aveva dato una prima classificazione dellItalia dialettale nel suo trattato di retorica
sullarte del dire in volgare, composto in latino intorno al 1303-1304, il De vulgari eloquentia. La
classificazione dantesca si avvale di un criterio geografico:
Per prima cosa diciamo dunque che lItalia divisa in due parti, una destra e una sinistra. E
se qualcuno vuol sapere qual la linea divisoria, rispondiamo in breve che il giogo
dellAppennino: il quale, come la cima di una grondaia sgronda da una parte e dallaltra le acque
che sgocciolano in opposte direzioni, sgocciola per lunghi condotti, da una parte e dallaltra, verso i
contrapposti litorali [].
Le regioni di destra sono lApulia, non tutta per, Roma, il Ducato, la Toscana e la Marca
Genovese; quelle di sinistra invece parte dellApulia, la Marca Anconitana, la Romagna, la
Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia. Quanto al Friuli e allIstria, non possono appartenere
che allItalia di sinistra, mentre le isole del Mar Tirreno, cio la Sicilia e la Sardegna, appartengono
senza dubbio allItalia di destra, o piuttosto vanno associate ad essa. Ora in entrambe queste due
met, e relative appendici, le lingue degli abitanti variano: cos i Siciliani si diversificano dagli
Apuli, gli Apuli dai Romani, i Romani dagli Spoletini, questi dai Toscani, i Toscani dai Genovesi e i
Genovesi dai Sardi; e allo stesso modo i Calabri dagli Anconitani, costoro dai Romagnoli, i
Romagnoli dai Lombardi, i Lombardi dai Trevigiani e Veneziani, costoro dagli Aquileiesi e questi
ultimi dagli Istriani. Sul che pensiamo che nessun italiano dissenta da noi.
Ecco perci che la sola Italia presenta una variet di almeno quattordici volgari. I quali poi si
differenziano al loro interno, come ad esempio in Toscana il Senese e lAretino, in Lombardia il
Ferrarese e il Piacentino; senza dire che qualche variazione possiamo coglierla anche nella stessa
citt []. Pertanto, a voler calcolare le variet principali del volgare dItalia e le secondarie e quelle
ancora minori, accadrebbe di arrivare, perfino in questo piccolissimo angolo di mondo, non solo
alle mille variet, ma a un numero anche superiore (De vulgari eloquentia, I x 4-5)
Questa descrizione dantesca, originale per il modo di procedere, anche ricca di informazioni
su quelli che Dante chiama i volgari. Questa classificazione non ha avuto seguito e lo stesso
trattato in cui contenuta rimasto, come abbiamo visto, sconosciuto agli studiosi finch nel 1529
il letterato vicentino Gian Giorgio Trissino non ne ha diffuso il contenuto curandone pure
unedizione a stampa.
4. Tra lingua e dialetto dal XVI secolo a oggi
Per diversi secoli in Italia la parlata nettamente prevalente il dialetto. Quanto allitaliano,
fissato sulla base del toscano, anzi del fiorentino scritto trecentesco, dai grammatici del XVI secolo
una lingua che si legge, si scrive, si studia a scuola, ma parlata da un numero limitato di persone
almeno fino alla seconda met del XIX secolo; scrittori come Ugo Foscolo sostengono addirittura
che litaliano una lingua morta e Manzoni dice che agli scrittori italiani manca una lingua viva
e vera.
A partire dallUnit dItalia (1861, poi 1870 con Roma capitale) si accelera il processo di
diffusione dellitaliano avviato da tempo anche a livello di lingua parlata, non senza i contatti e le

interferenze con i vari dialetti che si realizzano facilmente quando la competenza della lingua
scarsa e si padroneggia meglio il dialetto e che si vedono in quelle scritture in un italiano stentato
che sono documentate nel corso dei secoli.
La diffusione della lingua nazionale favorita da circostanze diverse: lunificazione nazionale
con il suo apparato burocratico, la scuola, i mezzi di comunicazione, lurbanizzazione.
Lapprendimento dellitaliano avviene per lungo tempo attraverso la scolarizzazione mentre la
conversazione spontanea si realizza in dialetto: si avverte maggiore naturalezza e spontaneit nel
parlare in dialetto piuttosto che in italiano.
Pi si espande litaliano meno si usano i dialetti, ma ci non significa che i dialetti stiano
scomparendo. Bench di questi tempi vi sia un progressivo calo nel numero dei parlanti dialetto,
mentre aumentano coloro che preferiscono usare solo litaliano, le statistiche informano che i
dialetti sono adoperati o conosciuti ancora da buona parte della popolazione che spesso alterna, e
mescola, nelluso quotidiano italiano e dialetto. La conservazione maggiore in regioni come il
Veneto e la Sicilia, ma in generale maggiore al Sud che al Nord.
5. La classificazione dialettale
Dopo Dante, che aveva ordinato i volgari con criterio geografico tenendo come riferimento
lAppennino, necessario attendere il XIX secolo per delle proposte di classificazione. Verso la
seconda met del XIX secolo il tema della classificazione dei dialetti viene ripreso specialmente
per opera di studiosi come Graziadio Isaia Ascoli, seguito poi da Clemente Merlo ed altri.
Nella maggior parte delle classificazioni vale il principio (che si deve sostanzialmente
allAscoli) del rapporto con il latino, ovvero un criterio genealogico, cio una valutazione della
maggiore o minore distanza dei diversi dialetti da questa lingua dalla quale, per lappunto, sono
derivati.
Inoltre, tenuto conto del fatto che il toscano la variet che nella struttura della parola
rimasta pi vicina rispetto al latino, la prospettiva pu essere vista anche in termini di maggiore o
minore affinit col toscano.
Graziadio Isaia Ascoli (LItalia dialettale, in Archivio Glottologico Italiano, nr. 8, 1882, pp.
98-128) elabora uno schema che comprende quattro gruppi:
gruppo A: dialetti franco-provenzali, dialetti ladini (cio dialetti considerati appartenenti a
sistemi neolatini estranei allItalia);
gruppo B: dialetti gallo-italici, dialetti sardi;
gruppo C: veneziano, dialetti centrali, dialetti meridionali, crso;
gruppo D: toscano.
Il quarto gruppo caratterizzato da una maggiore fedelt al latino. Questo non significa che il
toscano somiglia al latino ma che i cambiamenti, rispetto al latino, sono pi contenuti che in altri
dialetti come si pu vedere nella struttura della parola. Per esempio, gli esiti dialettali di un termine
latino come DOMINCA sono: toscano domenica; veneto domnega, friulano domnie; romagnolo
dmenga.
Se la classificazione ascoliana si basa su una descrizione della situazione attuale, quella
proposta da Clemente Merlo (LItalia dialettale, in LItalia Dialettale, nr. 1, 1924, pp. 12-26)
aggiunge una prospettiva storica richiamando le antiche fasi linguistiche prelatine dellItalia. Lo
schema di Clemente Merlo piuttosto simile a quello di Ascoli, ne differisce aggiungendo il vegliotto
(parlata dellisola di Veglia estinta nel 1898; era una delle variet del dalmatico, idioma neolatino
diffuso lungo le coste della Dalmazia) nel gruppo A e spostando al gruppo B i dialetti con sostratto
venetico.
La classificazione dialettale che stata seguita da vari studiosi quella proposta da Giovan
Battista Pellegrini (Saggi di linguistica italiana, 1975, pp. 55-87, e Carta dei dialetti dItalia, 1977)
che si fonda sul concetto di italo-romanzo (scritto anche: italoromanzo), con il quale allude al

complesso delle svariate parlate della Penisola e delle Isole che hanno scelto gi da tempo, come
lingua guida (in sostanza come lingua) litaliano (Giovan Battista Pellegrini 1977, p. 17).
Assumendo come principio classificatorio tale criterio, non rientra, ad esempio, nel gruppo
italo-romanzo il dialetto crso che ha come lingua guida (o come altrimenti si dice lingua tetto) il
francese.
Litalo-romanzo pu essere suddiviso in cinque gruppi o sistemi fondamentali: 1. dialetti
settentrionali; 2. friulano; 3. toscano; 4. dialetti centromeridionali (compresa la Sicilia); 5. sardo.
Come si vede, fanno parte dellitalo-romanzo anche il sardo e il friulano ai quali altre
classificazioni hanno assegnato una posizione autonoma nellambito delle variet neolatine.
La classificazione di Pellegrini va oggi in parte rivista se si assume di considerare le variet
dellItalia linguistica diverse dallitaliano come suddivisibili nei due gruppi seguenti:
a) dialetti italiani o dellItalia;
b) minoranze linguistiche.
Infatti per la legge 482 del 15 dicembre 1999 Norme di tutela delle minoranze linguistiche
storiche, la quale stabilisce che tra le minoranze sono compresi anche friulano e sardo, tali variet
entrano nel gruppo b). Ad esse Pellegrini riserva comunque una posizione a s stante nellambito
italo-romanzo, dati i peculiari tratti linguistici che le caratterizzano.
Al di l di criteri puramente linguistici dai quali ovviamente non si pu prescindere
rilevante, invece, nel quadro delineato dal Pellegrini, il criterio politico-culturale che tiene conto
della posizione di tali variet rispetto alla lingua nazionale: il friulano e il sardo hanno come lingua
tetto litaliano e pertanto vanno inclusi secondo questo criterio nellinsieme che forma lItalia
dialettale e inseriti nellambito della storia linguistica italiana.
I dati linguistici che sono alla base dellindividuazione di cinque aree, o gruppi o sistemi,
fondamentali in seno allitalo-romanzo, provengono da fonti diverse, ma in particolare dalle carte
dellAIS (Karl Jaberg e Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Sdschweiz, 1928-1940),
un atlante linguistico i cui materiali sono stati raccolti mediante inchieste sul campo tra il 1919 e
il 1928, quando la dialettalit nella Penisola era certo pi spiccata.
6. I cinque sistemi dellitalo-romanzo
Litalo-romanzo pu essere suddiviso, come abbiamo visto, in cinque gruppi o sistemi
fondamentali: 1. dialetti settentrionali; 2. friulano; 3. toscano; 4. dialetti centromeridionali; 5. sardo.
Il gruppo dei dialetti settentrionali ha tra i suoi tratti linguistici pi caratteristici e generali la
sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche e lo scempiamento delle consonanti doppie.
Altri fenomeni hanno una distribuzione areale diversificata allinterno di questo vasto sistema
che proprio sulla base della compresenza di taluni fenomeni caratterizzanti pu essere suddiviso
in due aree principali: galloitalica e veneta.
Larea galloitalica comprende i dialetti piemontesi, lombardi, liguri, emiliani e romagnoli.
cos denominata gi da Bernardino Biondelli (Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano 1853) perch
condivide elementi che sono anche dellarea francese e che costituiscono il risultato di
unevoluzione comune, dal latino, per ragioni storiche e culturali: presenza di sostrato celtico e di
un superstrato germanico, continuit di rapporti con la Gallia perlomeno sino allXI secolo e anche
dopo.
Fra i tratti linguistici di questi dialetti ricordiamo:
le cosiddette vocali turbate, ovvero le pronunce del tipo lna luna, lm lume, cr
cuore ecc. Sono particolari pronunce (simili a quelle del francese) di vocali come u ed o (quando
nella parola sono accentate e nelle corrispondenti parole latine erano rispettivamente u lunga ed o
breve);

la vocale a quando accentata diventa (e dal timbro aperto). Questo cambiamento di


pronuncia consiste in una palatalizzazione e riguarda specialmente il piemontese (in forme verbali:
parl parlare, cant cantare ecc.) e soprattutto il romagnolo (sl sale, tl tale ecc.);
amplissima caduta di vocali atone in fine di parola quando sono diverse da a ed e (del
plurale): can cane, cavre o crave capre;
il gruppo consonantico -CT- delle parole latine (per esempio LACTE(M) latte,
NOCTE(M) notte) si modifica in due modi diversi:
a) nel piemontese centroccidentale e ligure diventa -it-: lit latte, nit notte;
b) nel piemontese orientale e nel lombardo diventa c: lac, noc.
Rispetto alle caratteristiche galloitaliche, larea veneta non ha le vocali turbate, quindi si dir
luna, fogo ecc.
La caduta della vocale finale interessa solo qualche contesto (dopo n, r: can cane, ndr
andare, come nel veneziano) mentre pi diffusa nel veneto di area bellunese e trevigiana (si dir,
per esempio, gat gatto contro gato nel resto del veneto).
Il gruppo consonantico -CT- si risolve in -t-: LACTE(M) > latte > late, NOCTE(M) > notte >
note.
Oggi, il veneto, principalmente di tipo veneziano, si parla anche in aree che in passato
avevano un dialetto diverso (per esempio nella zona di Trieste, di dialetto friulaneggiante, attestato
almeno fino al XVIII secolo), nelle quali si diffuso grazie al prestigio culturale e allespansione
politica, economica e culturale di Venezia; questo veneto, irradiatosi in tal modo, denominato
veneto coloniale.
Parlato in Friuli, il friulano formato da variet che si differenziano luna dallaltra
(principalmente sono tre: friulano centro-orientale, carnico o settentrionale e occidentale) ma le
diversit interne non impediscono la reciproca comprensione tra friulanofoni.
Fra le caratteristiche proprie del friulano, notiamo:
la distinzione fra le vocali lunghe e brevi: miele > ml; mille > mil;
la conservazione dei gruppi latini pl, bl, cl, gl, fl: pieno > plen (lat. PLENU(M)); bianco >
blanc (lat. *BLANCU(M)); chiave > clf (lat. CLAVE(M)); ghiaccio > glace (lat. GLACIA(M));
fiore > flr (lat. FLORE(M));
la palatalizzazione dei gruppi latini ca, ga: casa > cjase (lat. CASA(M)); gallo > gjal (lat.
GALLUM);
la conservazione di -s finale latino nel plurale dei sostantivi e degli aggettivi e nelle seconde
persone verbali: pari padre - paris padri; furlan friulano - furlans friulani; tu tu amis tu ami
- vualtris o amais voi amate.
Il toscano tradizionalmente articolato in almeno quattro principali variet:
gruppo pisano-lucchese-pistoiese;
gruppo senese e grossetano;
gruppo aretino-chianaiolo;
fiorentino.
Un tratto tipico del toscano la gorgia toscana, che consiste in una sorta di aspirazione delle
consonanti occlusive sorde (c, t, p) in posizione intervocalica davanti alle vocali a ed o: amiho
anzich amico, la hasa (ma: casa) invece di la casa.
Questo tipo di pronuncia interessa in particolare larea fiorentina. Secondo alcuni studiosi si
tratterebbe di un fenomeno da ricondurre alla lingua di sostrato del territorio, cio letrusco, che
aveva consonanti aspirate.
Toscani sono anche i dittonghi uo (come in nuovo) e ie (come in piede), in corrispondenza
delle vocali o ed e che in latino sono pronunciate brevi (e successivamente aperte) e si trovano in
sillaba aperta. Questo sistema di dittongazione meglio rappresentato nellarea fiorentina.

Il sistema dei dialetti centromeridionali si suddivide in tre aree principali:


area mediana (comprendente Marche e Umbria centromeridionali, Lazio centrale);
area meridionale;
area estrema (Salento, Calabria centromeridionale, Sicilia).
Nei dialetti centromeridionali, le principali caratteristiche fonetiche si possono classificare
cos:
le consonanti sorde diventano sonore dopo una nasale: montone > mondone; ancora >
angora;
il nesso latino pl- diventato chi- (non pi- come in Toscana e nel nord Italia): chi (lat.
PLUS, it. pi);
nd passa a nn e mb a mm: quando > quannu; gamba > jamma;
si conservata la u finale delle parole latine; anzi, quando la finale di una parola i od u, la
o e la e precedenti diventano uo, ie, se seguite da due consonanti: denti > dienti; corpo > cuorpu.
Altrimenti diventano u ed i: solo > sulu; aceto > acitu.
Da ricordare che questi fenomeni non si manifestano tutti alla stessa maniera in tutta la vasta
area dellItalia centro-meridionale.
Il sardo comprende almeno quattro variet: campidanese (a sud, gravita su Cagliari; la
variet pi innovativa); logudorese (comprende il Nuorese e la Barbagia; la variet pi
conservativa); gallurese (a nord-est, con influssi toscaneggianti e italianeggianti, fin dai tempi della
dominazione di Pisa, nel XIII secolo); sassarese (a nord-ovest).
Nel sardo il latino ha subito il minor numero di trasformazioni. In questa lingua infatti le
vocali latine si sono conservate senza mutamenti di sorta (non c neppure la distinzione tra vocali
aperte e chiuse) e si sono conservate persino alcune consonanti finali delle desinenze, tanto che
alcune voci verbali sono identiche alle latine: cantas (tu) canti; cantat (egli) canta.
Il fenomeno pi caratteristico per la conservazione (nellarea centrale della Sardegna) del
suono gutturale della c e della g anche davanti ad i e ad e, secondo la pronuncia latina: chentu
cento; leghere leggere.
7. Dialetti fuori dItalia
Si tratta di dialetti di tipo italo-romanzo parlati fuori dei confini politici dellItalia in aree
geograficamente confinanti, come una sorta di appendici di aree dialettali interne ai confini, e di
dialetti esportati in seguito a migrazioni.
In Svizzera, dove litaliano una delle tre lingue ufficiali (con il tedesco e il francese), si
parlano dialetti di tipo settentrionale nel Canton Ticino e in alcuni distretti del Cantone dei Grigioni.
In particolare, questi dialetti appartengono alle parlate lombarde pi conservatrici; nelle valli
grigionesi si avvertono influssi del romancio (o ladino svizzero) che si parla nei Grigioni.
In Corsica, la cui lingua ufficiale il francese, si parla il dialetto crso che vicino al toscano;
il dialetto, infatti, in epoca medievale ha subito una forte toscanizzazione modificando i caratteri
originali, pi vicini al sardo.
Un dialetto di tipo ligure si trova anche nel Principato di Monaco; gli influssi italiani arrivano
fino a Nizza (ma il dialetto della citt, il nizzardo, di tipo provenzale).
Un dialetto romagnolo si parla nella Repubblica di San Marino (la lingua ufficiale
litaliano).
In Malta, che ha come lingua ufficiale linglese (ma vitale anche litaliano), il dialetto, il
maltese, di tipo arabo; tuttavia vi giunto anche il siciliano attestato dai documenti gi nel XV
secolo e usato almeno da parte delle classi pi colte.
Nei luoghi costieri dellIstria e della Dalmazia ancora presente un dialetto detto venetoistriano e veneto giuliano, veneto-dalmata. In Istria si trova il dialetto istrioto (o istro-romanzo) che
gli studiosi considerano coordinato con i dialetti italiani settentrionali e in particolare col veneto.

A fenomeni di migrazione allestero si deve la presenza di dialetti che ancora rimangono ben
conservati nelle comunit pi omogenee dal punto di vista linguistico e culturale e che vivono in
localit appartate. il caso di colonie venete nel Messico o in zone del Sud America (specie in
Brasile), venete e trentine in Bosnia, friulane in Argentina o in Romania, ed altre, le cui parlate si
sono conservate attraverso le generazioni (le migrazioni risalgono alla seconda met del XIX
secolo).
La grande migrazione italiana, diretta anche oltreoceano, iniziata negli ultimi tre decenni del
XIX secolo, ed durata, con flussi alterni, fino al 1960 allincirca.
8. Le minoranze linguistiche
Lespressione minoranza linguistica si adopera con riferimento ad un gruppo, di solito non
molto numeroso (a volte anche piccolissimo), nel quale i parlanti alloglotti 4 hanno come prima
lingua o lingua materna, cio acquisita con la prima socializzazione, una lingua diversa da quella
nazionale (Giuseppe Francescato, Sociolinguistica delle minoranze, 1993, p. 311) che costituisce la
lingua maggioritaria e/o ufficiale.
Non vi accordo tra gli studiosi su quante e quali siano le minoranze linguistiche in Italia,
dato che i criteri di valutazione possono essere diversi.
In ogni caso con la legge 482 del 15 dicembre 1999 (alla quale i legislatori sono giunti dopo
vari progetti che si sono seguiti a partire dal 1976) si dispone di un elenco di dodici minoranze
linguistiche storiche, vale a dire, riprendendo alla lettera la legge (art. 2):
La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche,
greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,
loccitano e il sardo.
Gli albanesi sono circa 100.000. Le prime ondate migratorie risalgono alla met del 1400:
arrivarono nel 1448 i mercenari al servizio di Alfonso I dAragona, re di Napoli. Poi, alla fine del
secolo, la grande fuga dallAlbania dopo la conquista turca. Gli insediamenti attuali sono in
Calabria (26 comuni), in Puglia (4 comuni nelle province di Foggia e Taranto), in Sicilia (5
comuni). Centri sparsi anche in Basilicata (5 comuni), Abruzzo, Campania e in Molise.
I catalani sono circa 15.000. Vivono solo ad Alghero, in provincia di Sassari (Sardegna).
Sono i discendenti degli Spagnoli che dominarono lisola. Lorigine della comunit risale al 1354,
anno della conquista della citt da parte di Pietro IV dAragona. Il catalano di Alghero simile alla
lingua di Barcellona, ma molto pi arcaico e condito da sardismi e italianismi.
I tedeschi sono circa 330.000 di cui 15.000 fuori dallAlto Adige (Sd Tirol). Linsediamento
principale nel Tirolo meridionale, e riguarda tutta la provincia di Bolzano: sono popolazioni
tedesche originarie. Risale invece al XIII secolo larrivo di gruppi di contadini e minatori della
Carinzia nella zona di Trento, di Udine e in parte del Veneto. I tedeschi della provincia di Trento (5
comuni) si chiamano mocheni. Sono cimbri quelli arrivati in Veneto, e rimasti in 4 comuni delle
province di Belluno, Verona e Vicenza. In Friuli, sono di lingua tedesca 4 comuni in provincia di
Udine. Si chiamano walfer (vengono dal canton Vallese) le popolazioni germaniche che abitano in
Piemonte e in 3 comuni della Valle dAosta.
I greci sono 20.000 circa. La comunit principale nel Salento, 9 comuni in provincia di
Lecce. Ne resta traccia anche in 5 comuni di Reggio Calabria. Qualche storico fa risalire lorigine
di queste comunit alla Magna Grecia. Prevale per la teoria che si tratti di ripopolamenti bizantini,
del IX-X secolo.
4

Le parlate alloglotte sono le parlate delle comunit che usano lingue diverse da quelle parlate nel territorio
circostante; in alcuni casi si tratta di vere e proprie lingue straniere. In altri casi, invece, si tratta di resti di antiche
dominazioni o emigrazioni straniere.

Gli sloveni sono 100.000 circa, quasi tutti nella Venezia Giulia. Sono i comuni di confine con
la Slovenia, insediamenti originali che risalgono al VI secolo: 6 in provincia di Trieste, 7 in
provincia di Gorizia, 19 in provincia di Udine.
Le colonie croate (circa 3000 parlanti) di alcuni paesi del Molise sono residuo di pi ampi
insediamenti avvenuti nel XV secolo ad opera di popolazioni che abbandonavano la loro terra per
sfuggire ai Turchi.
I franco-provenzali (circa 120.000 parlanti) sono concentrati principalmente nella Valle
dAosta (eretta a Regione a statuto speciale nel 1945); sono invece linguisticamente provenzali
(circa 40.000 parlanti) parte della valle di Susa con alcune altre vallate contermini e inoltre la valle
del Pellice. I repertori delle minoranze provenzale e franco-provenzale prevedono la conoscenza di
almeno altre due lingue (di solito italiano e francese, oppure piemontese).
I friulani abitano le province di Gorizia, di Udine e parte di quella di Pordenone. La
consistenza numerica, in termini assoluti, della comunit linguistica friulana difficile da stabilire,
specialmente se si vuol tener conto delle colonie friulanofone sparse in molte parti del mondo. Il
nucleo pi consistente rimane, comunque, quello del Friuli, che pu essere valutato intorno alle
700.000 persone.
I ladini sono 25.000 e vivono in aree montane del Veneto settentrionale, provincia di Belluno,
e valli del Trentino e dellAlto Adige.
Gli occitani sono circa 150.000. la lingua dOc, quella dei trovatori. La parlano le
popolazioni che vivono ai piedi delle Alpi in Piemonte (le alte valli in provincia di Torino e di
Cuneo) e in due comuni liguri, in provincia di Imperia.
I sardi sono circa 1.500.000. La lingua diffusa in tutta lisola. considerata una delle pi
antiche lingue di origine latina, molto caratterizzata e fortemente distinta dallitaliano.

RICAPITOLAZIONE

1. Presentare le varianti alle quali sono dovute le differenze interne di una lingua.
2. Quali sono i fattori che hanno prodotto le variet del latino?
3. Definire il latino classico.

4. Definire il latino volgare.


5. Elencare le fonti del latino volgare.
6. In che consta il metodo ricostruttivo e comparativo.
7. Presentare levoluzione delle consonanti finali nel passaggio dal latino allitaliano.
8. Presentare levoluzione dei nessi di consonante + l nel passaggio dal latino allitaliano.
9. Presentare il processo della scomparsa del neutro nel passaggio dal latino allitaliano.
10. Presentare la scomparsa del sistema dei casi nel passaggio dal latino allitaliano.
11. Presentare levoluzione dellarticolo dal latino allitaliano.
12. Presentare le cause della riduzione delle coniugazioni verbali nel passaggio dal latino
allitaliano.
13. Presentare la formazione del passato remoto italiano.
14. Presentare la formazione dei tempi composti.
15. Presentare la formazione del passivo perifrastico.
16. Presentare la formazione del futuro italiano.
17. Presentare la formazione del condizionale italiano.
18. Presentare levoluzione dalla sequenza SOV alla sequenza SVO nel passaggio dal
latino allitaliano.
19. Presentare i criteri di distribuzione dellenclisi e della proclisi dei pronomi atoni
nellitaliano antico cos come sono descritti dalla legge Tobler-Mussafia.
20. Presentare il contenuto e le caratteristiche linguistiche dellindovinello veronese.
21. Presentare il contenuto e le caratteristiche linguistiche delliscrizione murale della
catacomba romana di Commodilla.
22. Presentare il contenuto e le caratteristiche linguistiche del placito di Capua.
23. Presentare il contenuto e le caratteristiche linguistiche del fumetto bilingue di San
Clemente.
24. Che cosa si intende per questione della lingua?
25. Il De vulgari eloquentia. Breve presentazione.
26. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Breve presentazione.
27. Il Vocabolario dellAccademia della Crusca. Breve presentazione.
28. Breve presentazione della Relazione Dellunit della lingua e dei mezzi di diffonderla di
Alessandro Manzoni.
29. Quali sono le dimensioni fondamentali della variazione sincronica di una lingua?
30. Quali sono i punti di riferimento pi rilevanti nel continuum pluridimensionale delle
variet della lingua italiana?
31. Cosa litaliano regionale?

32. Quali sono i principali italiani regionali?


33. Quali sono i pi importanti tratti fonetici dellitaliano regionale?
34. Quali sono i tratti morfosintattici di pi ampia diffusione dellitaliano regionale?
35. Cosa sono i dialettalismi; perch si utilizzano; come si possono classificare?
36. Quale il significato della parola dialetto?
37. Quale la classificazione dantesca dei volgari italiani?
38. Quali sono le circostanze che favoriscono la diffusione dellitaliano in Italia?
39. Presentare la classificazione dialettale proposta da Giovan Battista Pellegrini.
40. Presentare le aree principali e i tratti linguistici pi caratteristici dei dialetti settentrionali.
41. Presentare le variet e i tratti linguistici pi caratteristici del friulano.
42. Presentare le variet e i tratti linguistici pi caratteristici del toscano.
43. Presentare le aree principali e i tratti linguistici pi caratteristici dei dialetti
centromeridionali.
44. Presentare le variet e i tratti linguistici pi caratteristici del sardo.
45. Quale il significato dellespressione minoranza linguistica?
46. Presentare le pi importanti minoranze linguistiche dellItalia.

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